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1 ANDREA MASCARETTI Presidente del Comitato Scientifico del Salone Internazionale della Ricerca, Innovazione e Sicurezza Alimentare EXPO 2015: DALLE ORIGINI ALLA LEGACY Nel (lontano) 2006 parte la sfida di Expo 2015, Milano si appresta a sfidare Smirne e l’Italia a conquistare la manifestazione universale. La scelta del tema “nutrire il Pianeta, energia per la vita” riassume paure e speranze dell’umanità. Stili di vita insostenibili e il previsto aumento demografico, pongono i decisori politici del Pianeta di fronte a grandi responsabilità. L’Expo del 2015 rappresenta la possibilità per intraprendere la strada giusta per sfamare il pianeta in modo sostenibile.

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ANDREA MASCARETTI

Presidente del Comitato Scientifico del Salone Internazionale della Ricerca,

Innovazione e Sicurezza Alimentare

EXPO 2015: DALLE ORIGINI ALLA LEGACY

Nel (lontano) 2006 parte la sfida di Expo 2015, Milano si appresta a sfidare

Smirne e l’Italia a conquistare la manifestazione universale.

La scelta del tema “nutrire il Pianeta, energia per la vita” riassume paure e

speranze dell’umanità. Stili di vita insostenibili e il previsto aumento

demografico, pongono i decisori politici del Pianeta di fronte a grandi

responsabilità. L’Expo del 2015 rappresenta la possibilità per intraprendere la

strada giusta per sfamare il pianeta in modo sostenibile.

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AMINA CIAMPELLA

Presidente dell’ordine dei tecnologi alimentari delle Regioni Lombardia e

Liguria

ASPETTI MATERIALI E IMMATERIALI DELLA QUALITA’ DEL CIBO

L’universo della qualità alimentare si presenta come un sistema di requisiti, sia

materiali che immateriali, relativi al prodotto in sé, al contesto di produzione, al

sistema prodotto-packaging, al sistema prodotto – mercato ( Peri, 2005) . Ogni

alimento possiede sue caratteristiche: chimiche, fisiche, strutturali,

microbiologiche, genetiche, di contesto . In relazione ad esse, la qualità si

esprimere con una serie di performances, quali: sicurezza, nutrizione,

sensorialità, funzionalità, esteticità, eticità, convenience. In questo ampio

contesto è contenuto non solo quello che il consumatore si attende, ma anche

quello che dobbiamo favorire per un sviluppo sostenibile del sistema produttivo

agroalimentare.

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ALFREDO VANOTTI

Dipartimento Salute nutrizione e benessere, L.U.de.S. Lugano (CH);

Dipartimento di Scienze della Salute UNIMIB

FRAGILITÀ NUTRIZIONALE

Primi risultati di un intervento informativo-formativo in Lombardia (2013-2014)

La malnutrizione per difetto (d’ora in avanti definita semplicemente

malnutrizione, come nell’accezione comune ormai consolidata) è una forma di

squilibrio energetico piuttosto diffusa in tutto il mondo. Nonostante tale

patologia costituisca un grave problema endemico nelle popolazioni in via di

sviluppo, essa si riscontra con notevole frequenza anche in diverse fasce della

popolazione nei paesi occidentali industrializzati.

Si stima che i costi sanitari relativi alla malnutrizione, nella nostra società,

siano superiori ai costi dell’obesità. Essa rappresenta, infine, un problema

spesso non diagnosticato o, addirittura, non trattato.

L’identificazione di fattori di rischio della malnutrizione, modificabili con

appositi interventi, rappresenta un primo importante passo nella prevenzione di

questa patologia.

Da sempre, gli interventi individuati e proposti per combattere la malnutrizione

si sono concentrati sul trattamento specifico e terapeutico di tale condizione

una volta verificatasi, mentre, negli ultimi anni, sono state suggerite nuove

modalità di screening per l’identificazione precoce di situazioni di rischio di

malnutrizione (o rischio nutrizionale), in particolare nel contesto ospedaliero e

socio-sanitario.

Tali modalità sono state ideate ed elaborate tenendo proprio conto del fatto

che la situazione di rischio nutrizionale (intesa come quella situazione in cui è

in atto un iniziale squilibrio energetico negativo, frequentemente recuperabile

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col semplice ripristino della correttezza della dieta) non è spesso riconoscibile

attraverso sintomi evidenti.

Tuttavia, numerosi studi dimostrano come tali procedure di screening siano, ad

oggi, ancora scarsamente applicate. Inoltre, raramente, in letteratura, è stato

presa in considerazione l’identificazione del rischio nutrizionale al di fuori

dell’ambito sanitario-ospedaliero e, quindi, gli interventi sono stati indirizzati

sostanzialmente all’ambito medico-specialistico.

In questo contesto, un gruppo di studiosi, all’inizio del 2013, ha gradualmente

avvertito la necessità di elaborare il concetto di “fragilità nutrizionale”, al fine

di affrontare il problema della malnutrizione, attraverso interventi preventivi.

Con il termine di “fragilità nutrizionale” si è arrivati a identificare tutte quelle

situazioni di incipiente squilibrio energetico negativo in cui: tale squilibrio, se

non corretto, diviene causa di malattia; una adeguata nutrizione rappresenta la

fonte di guarigione; il problema non è noto al soggetto stesso e a tutti coloro

che si curano di lui (caregivers).

Tale definizione aggiunge, quindi, una variabile tra i fattori determinanti del

rischio nutrizionale, cioè la possibilità che non venga riconosciuto il rischio di

malnutrizione da parte dei caregivers, a causa di inadeguate conoscenze in

campo nutrizionale.

Il possibile intervento richiesto per limitare la prevalenza di fragilità

nutrizionale, e quindi di malnutrizione, diviene socio-educativo, e non più

sostanzialmente terapeutico-sanitario. Non si tratta di curare, ma di rindirizzare

il modo di nutrirsi, con l’aiuto di chi si occupa abitualmente del soggetto

fragile. L’obiettivo ultimo, che è quello di prevenire la malnutrizione, passa

inevitabilmente dalla necessità di agire sul cerchio di persone intorno al

soggetto a rischio di malnutrizione, aumentandone la consapevolezza e la

capacità di intervenire, direttamente o indirettamente, sullo stato di fragilità,

revertendolo.

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E’ stato quindi sviluppato un progetto di educazione alimentare dal nome

“Intervento multidisciplinare per il controllo della fragilità nutrizionale nella

Regione Lombardia”.

In una prima fase, svolta a livello ospedaliero per questioni legate alla più

semplice reperibilità dei soggetti a rischio di fragilità nutrizionale e dei relativi

caregivers, si è concentrata la verifica delle ipotesi progettuali.

Per questa parte del lavoro si è, cioè, valutata la relazione tra la presenza di

rischio nutrizionale (misurata attraverso il Malnutrition Universal Screening

Tool) in pazienti neo-ricoverati, e le conoscenze nutrizionali degli stessi e dei

relativi caregivers domiciliari (misurate attraverso un questionario

appositamente predisposto).

Dall’analisi dei dati è emerso che erano a rischio malnutrizione il 27,9% dei

pazienti, in linea con le statistiche internazionali sul rischio di malnutrizione

ospedaliero. Inoltre, è stato preso in considerazione il ruolo dell’età, del sesso

e delle presenza di almeno un caregiver come possibili fattori di rischio nella

determinazione del rischio nutrizionale. Dall’analisi statistica è emerso che tale

rischio si verifica con probabilità significativamente maggiore nelle femmine.

I dati hanno, infine, confermato l’ipotesi progettuale, in quanto è emerso che le

conoscenze nutrizionali dei caregivers dei pazienti a rischio nutrizionale erano

significativamente inferiori rispetto a quelle dei caregivers dei pazienti non a

rischio. Allo stesso modo, i pazienti a rischio nutrizionale hanno mostrato

competenze significativamente minori rispetto ai pazienti non a rischio.

Successivamente, sono stati descritti i risultati ottenuti attraverso i primi

interventi di educazione nutrizionale, condotti come sperimentazione “pilota”,

nei quali si sono individuate differenze significative tra il livello di competenze

iniziali e finali dei soggetti formati. Si è inoltre tentato di stabilire quali fattori

potessero influenzare l’efficacia della formazione e, tra questi, il livello di

istruzione si è dimostrato potenzialmente in grado di modificarne l’effetto.

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Parallelamente, si è tenuto un corso di formazione del personale infermieristico

dell’ospedale, e si è tentato di stabilirne l’efficacia attraverso il miglioramento

delle competenze dello stesso, con le medesime modalità degli interventi

tenuti nel territorio.

Dai dati è emerso che gli infermieri hanno significativamente migliorato il loro

livello di competenze nutrizionali.

Nonostante si tratti di dati preliminari, e il progetto sia ancora in divenire, i

risultati ottenuti sembrano suggerire un importante ruolo dell’educazione nella

determinazione di rischio nutrizionale e, quindi, la potenziale efficacia di

interventi formativi come strumento di prevenzione del rischio di malnutrizione.

Infine, si è tenuto conto del coinvolgimento del sistema produttivo industriale

alimentare e della distribuzione commerciale nel tema più ampio della fragilità

nutrizionale. Caratteristiche quali densità calorica, composizione, palatabilità,

durata, facilità d’uso, ma soprattutto adeguatezza della consistenza, vanno

ancor meglio sviluppate per incoraggiare un atteggiamento proattivo nel

consumatore.

In tale senso, il mondo dell’industria, in particolare, è stato stimolato a

produrre alimenti adatti soprattutto alle esigenze di soggetti disfagici, per i

quali sarebbe possibile dilatare il periodo di tempo che precede la nutrizione

artificiale, attraverso alimenti appositamente studiati.

Inoltre è prevista un’azione educativa nei confronti di figure che fungeranno da

“accompagnatori” alla spesa, nel contesto di un progetto rivolto agli anziani.

La proposta progettuale e la realizzazione del Progetto, per quanto solo

parzialmente attuata, si presenterà all'appuntamento dell'EXPO nel 2015 con

una serie di esperienze derivanti dalle azioni formative rivolte a diversi target

della popolazione, e dal dibattito culturale che sarà stimolato dagli interventi

progettuali sulla Fragilità Nutrizionale.

I risultati conseguiti dal Progetto, entro il 2014, potranno quindi costituire

argomento di grande interesse nell'ambito delle tematiche che saranno

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presentate e dibattute durante lo svolgimento dell'EXPO stesso, pienamente in

linea con la sfida collettiva proposta di creare modelli per “nutrire il pianeta”.

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PAOLA PALESTINI

Coordinatrice del master di II livello Alimentazione e Dietetica Applicata

(ADA), Dipartimento di Scienze della Salute UNIMIB

E’ TUTTA COLPA DELLA BIOCHIMICA, OVVERO YIN AND YANG DEGLI ALIMENTI

Giornalmente introduciamo con l’alimentazione un numero rilevante di

molecole e/o nutrienti che interagendo con il nostro corpo attivano risposte

positive o negative. In quest’ultimo caso, molecole che differiscono per

“piccoli” particolari chimici, possono innescare vie di signalling intracellulare

che danno origine a condizioni morbose.

Perché è meno salutare introdurre grassi di origine animale che vegetale? La

differenza chimica principale è la presenza di acidi grassi saturi nel primo caso

e insaturi nel secondo e solo quest’ultimi hanno la capacità di attivare il

metabolismo energetico.

La differenza fra glucosio e fruttosio è la “forma” che questi zuccheri adottano

in acqua ma mentre il primo scatena una risposta ormonale, il secondo no ma

se viene assunto in quantità, ha una maggior propensione a essere convertito

in grassi. Le differenze fra il colesterolo e i fitosteroli sono minime ma

quest’ultimi non possono essere utilizzati dal nostro organismo. Il saccarosio,

lo zucchero da cucina e il lattosio, presente nel latte e nei suoi derivati, hanno

poche differenze ma molte persone non possono digerire il lattosio mentre

praticamente tutta la popolazione è capace di digerire il saccarosio.

In conclusione, in biochimica le piccole differenze fanno le grandi differenze

quindi possiamo dire che è tutta colpa della biochimica se alcuni alimenti che

introducimento danno delle reazioni avverse nel nostro corpo.

Allergie e intolleranze modulando le, possono direttamente e/o indirettamente

essere implicate nel controllo del peso corporeo. Il controllo del peso corporeo

è regolato da molteplici fattori.

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In primis il rapporto ematico insulina e glucagone: quando è alto induce

nell’individuo un senso di sazietà, mentre quando è basso, appetito.

Intervengono poi altre molecole come la leptina e la grelina che agendo a

livello dei nuclei arcuati ipotalamici (ARC) inducono rispettivamente sazietà e

appetito. Inoltre, negli ultimi anni sono state scoperte ulteriori molecole

endogene che agendo a diversi livelli concorrono a regolare il peso corporeo.

Recentemente, si è presa in considerazione l’ipotesi che l’azione di questi

ormoni/molecole prodotte dall’organismo potesse essere potenziata o mitigata

dai nutrienti presenti negli alimenti. In particolare, si è ipotizzato che i

nutrienti,

Le prime molecole esogene su cui è stata posta l’attenzione sono gli acidi

grassi a lunga catena (C14-C22) insaturi della serie ω3 come l'acido

docosaesaenoico, DHA e l'acido eicosapentaenoico, EPA. Numerose meta-

analisi hanno confermato che l’azione più consistente degli ω3 nelle condizioni

di insulina-resistenza e nel diabete di tipo 2, è quella di diminuire la

concentrazione dei trigliceridi plasmatici (1), di migliorare la sensibilità all’

insulina e soprattutto di inibire lo stato infiammatorio sia sistemico che nel

tessuto adiposo, caratteristico di queste patologie. Questi acidi grassi agendo

come ligandi positivi di uno specifico recettore (GPR120), inibiscono nei

macrofagi la via del segnale mediata da TNFα e aumentano la sensibilità

all’insulina negli adipociti (2). Topi privi del recettore GPR120, in seguito a una

dieta ad alto contenuto lipidico, diventano intolleranti al glucosio, insulino-

resistenti, obesi con parallelo aumento della lipogenesi epatica, della

differenziazione degli adipociti e concomitante infiammazione. Nella

popolazione umana, nei soggetti obesi è frequente una mutazione di GPR120

che trasduce il segnale in cellula in modo poco efficiente (3). Tutti questi dati

hanno portato alla conclusione che GPR120 è un importante sensore di dieta

lipidica, regola l’appetito e la preferenza del cibo. In ultimo, non bisogna

dimenticare che metaboliti della acido arachidonico (C20:4) attivano le PPARs

e in particolare le PPARs-γ importanti attivatori del metabolismo energetico

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lipidico e glucidico. Quest’ultime sono anche presenti a livello ipotalamico e la

loro attivazione acuta o cronica può contribuire allo sviluppo di leptina-

resistenza in diete ad alto contenuto lipidico (4).

Anche gli acidi grassi di media lunghezza (C6-C12) sono molecole di signalling

importanti nella regolazione del peso corporeo. Infatti, l’acilazione della grelina

mediata dall’enzima O-aciltransferasi, è indispensabile per il legame della

grelina con il suo recettore. E’ dimostrato che la grelina attiva in modo diverso

il recettore in funzione della lunghezza dell’acido grasso legato e che gli acidi

grassi a media lunghezza, introdotti con la dieta, sono quelli maggiormente

utilizzati. Si è quindi arrivati alla conclusione che il sistema grelina/O-

aciltransferasi, è una via del segnale che avvisa l’ipotalamo della presenza di

cibo calorico (lipidi) nella dieta (5). Infine, gli acidi grassi a corta catena (C2-

C4) prodotti dalla fermentazione batterica intestinale, attivano mediante i

recettori GPR43 eGPR41, presenti nelle cellule intestinali, una via di signalling

intracellulare che porta alla liberazione nel sistema circolatorio del glucagon-

like peptide, modulando così la liberazione di insulina e quindi l’appetito (6).

Anche gli amminoacidi agiscono come modulatori di una importante via di

signalling mediata da mTOR, una proteina chinasi cellulare del complesso

proteico mTORC1. Quest’ultimo è un importante “sensore” sia cellulare che

sistemico (tramite l’insulina) della disponibilità dei nutrienti. Alcuni aminoacidi

come leucina, glicina e arginina attivano mTORC1 con conseguente attivazione

delle vie anaboliche, per esempio aumentando la biosintesi proteica. Negli

adipociti aumenta in particolare la sintesi di leptina che a livello ipotalamico

induce la riduzione dell’assunzione dei cibo (7,8). Infine, recentemente è stato

dimostrato che la somministrazione orale di L-arginina stimola la produzione di

glucagon-like peptide1, aumentando così la secrezione di insulina post-

prandiale e migliorando la tolleranza al glucosio (9).

Per quanto riguarda i glucidi, oltre all’azione regolatoria principe del glucosio

sul rapporto insulina/glucagone, non bisogna dimenticare il ruolo del fruttosio.

L’organismo umano non risente delle variazioni ematiche di questo zucchero

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che negli ultimi anni è sempre più utilizzato dall’industria alimentare come

dolcificante. Il fruttosio viene catabolizzato, a fini energetici nell’uomo,

“incanalandolo” nella glicolisi aggirando però il sistema di controllo principale

di questa via catabolica. Conseguentemente, si ha una produzione elevata di

prodotti finali che vengono indirizzati in altre vie metaboliche (lipogenesi per

es.) alterando il perfetto equilibrio metabolico cellulare e conducendo a poco a

poco a condizioni fisiopatologiche che posso sfociare nel tempo in condizioni

patologiche (insulina-resistenza, ipertensione, disfunzione epatica, ect)(10).

Si può concludere che i nutrienti possono essere definiti come ormoni che

modulando le complesse vie di signalling cellulare controllano il metabolismo

energetico e quindi il peso corporeo (11). Il poter identificare quali sono le

molecole modulatrici e gli alimenti che le contengono, permetterà di

comprende in modo sempre più sofisticato il rapporto tra ciò che mangiamo e

alcune malattie come l’obesità, l’ipertensione e il diabete.

REFERENZE

1)Abeywardena MY and Patten GS. (2011) Role of ω3 long-chain polyunsaturated fatty acids in reducing cardio-metabolic risk factors. Endocr Metab Immune Disord Drug Targets. 3:232-46. 2) Da Young Oh. et al. (2010) GPR120 is an omega-3 fatty acid receptor mediating potent anti-inflammatory and insulin-sensitizing effects. Cell 142: 687–698 3) Ichimura A. et al (2012) Dysfunction of lipid sensor GPR120 leads to obesity in both mouse and human. Nature 483: 3 5 0-356. 4) Ryan KK. et al. (2011) A role for central nervous system PPAR-γ in the regulation of energy balance. Nature Medicine 17:623-627. 5) Kirchner H. et al., (2009) GOAT links dietary lipids with the endocrine control of energy balance. Nature Medicine 15:741-745. 6)Tolhurst G. et al., (2012) Short-Chain Fatty Acids Stimulate Glucagon-Like Peptide-1 Secretion via the G-Protein–Coupled Receptor FFAR2. Diabetes 61:364–371. 7)Dan SG. et al., (2006) The amino acid sensitive TOR pathway from yeast to mammals. FEBS Letters 580: 2821–2829. 8)Ricoult SJH. and Manning BD. (2013) The multifaceted role of mTORC1 in the control of lipid metabolism. EMBO reports 14: 242-251. 9)Clemmensen C. et al, (2013) Oral L-Arginine Stimulates GLP-1 Secretion to Improve Glucose Tolerance in Male Mice. Endocrinology doi: 10.1210/en.2013-1529. 10) Lustig RH. et al., (2012) The toxic truth about sugar. Nature, 482;27-29. 11) Ryan KK and Randy JS. (2013) Food as a Hormone. Science 339, 918-919.

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PIETRO NERVI

Presidente associazione Cervati Trento, Demani civici proprietà collettive –

UNITN

L’AZIENDA FONDIARIA IN UN SISTEMA ECONOMIA-AMBIENTE IN

CONTINUA EVOLUZIONE

1. Il patrimonio naturale e le produzioni territoriali

Le risorse naturali, costituenti il patrimonio naturale di un territorio,

possono dare origine a flussi di beni finiti o intermedi e di energie

rinnovabili. Tali risorse alimentano i processi delle produzioni territoriali,

tra cui distinguiamo le attività:

a. dell’agricoltura;

b. della selvicoltura;

c. dell’allevamento;

d. delle industrie collettrici (caccia, pesca, fungatico, ecc.)

e. dell’industria estrattiva;

f. dell’industria delle acque minerali alimentari;

g. delle industrie delle energie rinnovabili (idroelettrica, eolica,

solare).

2. Due tipologie di azienda fondiaria:

a. il demanio civico come azienda agro-silvo-pastorale e ambientale

i. il sé,

j. come fornitore di beni finiti ed intermedi alle famiglie ed alle

imprese della collettività titolare del possesso;

b. l’azienda agricola;

3. L’azienda fondiaria come fonte dell’energia biologica della terra.

4. Implicazioni della natura dell’azienda in approcci diversi:

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a. in quello di tipo valutativo, in cui si distingue tra la domanda di

utilità in termini di merci 8che sono riproducibili ed, in parte, anche

sostituibili) e l’offerta di supporti (cui sono strettamente collegati i

servizi naturali finali) i quali non sono riproducibili né sostituibili;

b. in quello relativo alle azioni di sviluppo sostenibile e durevole di un

territorio, in cui è facile identificare nel potenziale di produzione del

patrimonio naturale uno dei motori dello sviluppo territoriale.

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MARTA VILLA

Presidente Club UNESCO di Trento, antropologa culturale -alimentazione, Alpi e identità-

L'INVENZIONE DELLA TRADIZIONE A TAVOLA

Ricettari e antropologia dell'alimentazione nel Trentino dal XVIII secolo ad oggi. Il caso del ricettario Todeschi

Le culture umane nel corso del loro sviluppo e della loro storia sociale si sono

relazionate con il cibo, sia quello prodotto sia quello consumato, e hanno

incorporato una serie di azioni rituali e simboliche legate a questo elemento

imprescindibile della vita umana. La tradizione e la memoria sono correlate alle

pratiche alimentari: esistono infatti una oralità ed una scrittura legate al cibo

con caratteristiche molto differenti. La memoria percettiva diviene memoria

emozionale, la tradizione familiare attraverso l'individuo diventa tradizione

comunitaria e quindi patrimonio immateriale da salvaguardare. Il cibo spesso

viene a costituirsi come emblema identitario che come altri tipi di

manifestazioni (la moda, la lingua, la musica...) concorre a costruire l'immagine

che ogni individuo ha di se stesso in relazione con gli altri membri della

comunità. Emblematico per eccellenza, l'atto del mangiare pone l'uomo di

fronte all'ambivalenza tra natura/cultura che lo stesso Lévi-Strauss ha

esemplificato nel suo triangolo culinario.

In Trentino sono presenti ricettari poco noti o sconosciuti che testimoniano in

modo vivo modalità differenti di relazione con gli alimenti e i prodotti locali:

spesso dalle ricette si può desumere molto dello spaccato sociale di una

determinata epoca. Dal XVIII secolo in poi la cucina trentina ha visto dei

mutamenti importanti, spesso legati alla dimensione della storia e della politica

che ha investito il territorio: dalla dominazione veneziana, a quella asburgica,

dalle spinte irredentiste alla prima guerra mondiale... la cucina della borghesia

muta profondamente e testimonia una precisa appartenenza. Molte ricette

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presentano derivazioni da luogo molto lontani (il caso dello strudel è

emblematico), molti piatti sono frutto di una tradizione inventata o reinventata,

alcune preparazioni sono specifiche solo della cucina popolare. I piatti

raccontano anche la vocazione di un territorio e il legame con altre regioni,

evidenziano ricchezze e povertà, mutano condizionati da situazioni politiche e

chiusure di frontiere e limitazione dei commerci. I ricettari di casa Todeschi di

Rovereto, casa Marzani di Villalagarina e casa Fiumi di Rovereto e Verona

raccontano uno spaccato di storia trentina con modalità differenti e sono una

testimonianza poco esplorata fino ad ora per narrare storie intrecciate con la

Storia.

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MARIA LUISA CALDOGNETTO

Università di Treviri (D), Centro di Documentazione sulle Migrazioni Umane (L)

LA TRADUZIONE DELLE TRADIZIONI ALIMENTARI

Varcare le frontiere con le proprie speranze di un futuro migliore, ma anzitutto

con il proprio corpo e le sue esigenze, in primis alimentari (si fugge spesso la

precarietà e la penuria di cibo), tale è la condizione che definisce il migrante.

Poi nulla sarà più come prima, nonostante il bisogno di intrattenere

(alimentare) il legame con il passato e con i luoghi delle origini (tempo e spazio,

realtà e immaginari). Legame che passa inevitabilmente attraverso il culto

della tradizione, dove la sfera del cibo si carica di aspetti simbolici che

trascendono gli ambiti puramente fisiologici della nutrizione.

Nel processo di “autotraduzione” che l’incontro/scontro con l’alterità sempre

presuppone, le tradizioni alimentari trapiantate all’estero inevitabilmente

scontano adattamenti, mescidanze e reinterpretazioni di quel patrimonio

ritenuto immutabile nella sua qualità di riferimento identitario forte,

prefigurando esiti e interrogativi che si rispecchiano nelle fragilità che

investono oggi il Pianeta e ci interpellano sui modelli di vita che intendiamo

consegnare al futuro.

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FABIO GABRIELLI

Facoltà di Scienze Umane, Università L.U.de.S. Lugano (CH)

IL CIBO COME ESPRESSIONE ANTROPOLOGICA E CENTRALITÀ RELAZIONALE

Il cibo si configura come spazio identificativo, radicalità abitativa1, capace, in

qualche misura, di arginare quel frazionismo sociale che alimenta senza posa la

discontinuità comunitaria. Nella con-fusione delle identità, cioè nel loro

saldarsi reciproco, nasce la possibilità dell’abitare comunitario, che non è fatto

solo di uno spazio fisico condiviso, ma di una potente simbolica che va dalla

ritualità collettiva del gioco alle tracce storico-esistenziali custodite dalla

memoria, da una laboriosità davvero sociale a progettualità culturali, che

ancora prima di informare siano capaci di formare un noi che emerga come

realtà qualitativamente altra.

Purtroppo, il cibo è diventato, nella società tecnologica, che peraltro ha

contribuito in misura rilevante a democratizzarlo e purificarlo, oggetto, merce,

vita informe, e non fascio di relazioni, medium simbolico e sociale2, elemento

non secondario nella strutturazione degli assetti personologici.

1 «Lo spazio di identità è quello che, immunizzandoci rispetto all'incertezza e all'esperienza dello spaesamento, genera la condizione preziosa della stabilità dei nostri confini in un mondo, come io lo chiamo, di incessante deformazione. Naturalmente, il fatto dell'identità qualifica uno spazio come il “nostro” spazio, uno spazio abitato dalle memorie e dalle impronte di altri, di quella cerchia di riconoscimento da cui la nostra identità in almeno un senso dipende. E questo, a sua volta, rende conto del senso dell’abitare per noi» (S. Veca, Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni personali, BUR, Milano 2006). 2 R. Bodei, La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari 2009. Sul tema degli oggetti e delle merci negli attuali contesti sociali, tra risemantizzazioni e produzioni di senso, cfr., tra gli altri, L. Ciabarri, a cura di, Cultura materiale. Oggetti, immagini, desideri in viaggio tra mondi, R. Cortina, Milano 2014; D. Miller, Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, tr. it. Il Mulino, Bologna 2014; F. Clerici, F. Gabrielli, A. Vanotti, Il corpo in vetrina. Cura, immagine, benessere, consumo tra scienza dell’alimentazione e filosofia, Springer, Milano 2010.; V. Codeluppi, Metropoli e luoghi del consumo, Mimesis, Milano 2014; J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, tr. it. Bompiani, Milano 2009; G. Ritzer, La religione dei consumi, tr. it. Il Mulino, Bologna 2000; M. Maffesoli, Le rénchantement du

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In linea con l’ambivalenza tipica del postmoderno, il cibo oscilla tra fast food e

slow food, presentismo e primitivismo3, voracità e salutismo, prevenzione e

patologia, il tutto su uno sfondo più legato a forme di biopotere e contropotere

che ad una organica visione antropologica.

Forse occorrerebbe una rivisitazione più esistenziale del cibo, inteso come

radicamento biologico e narrazione mondana, topos privilegiato del nostro

stare al mondo.

monde, La Table Ronde, Paris 2007; A. Weiner, Inalienable Possessions, University of California Press, Berkeley 1992. 3 A proposito della fin troppo enfatizzata cultura del “cibo genuino”, appare ben centrata la posizione di un grande storico delle idee come Paolo Rossi: «Si sente spesso ripetere che un tempo si mangiava “naturale, che per i nostri nonni e bisnonni il cibo era “genuino” e “gustoso”. I luoghi comuni dovrebbero crollare di fronte ai dati e alle serie ricerche. Invece resistono impavidamente. A forza di essere ripetuti diventano verità » (P. Rossi, Mangiare. Bisogno, desiderio, ossessione, Il Mulino, Bologna 2011; cfr. anche P. Sorcinelli, Gli italiani e il cibo. Dalla polenta ai cracker, Bruno Mondadori, Milano 1999). Naturalmente questo non significa demonizzare il “cibo genuino” in quanto tale, cioè non trattato, ottimo farmaco naturale contro le cosiddette “malattie del benessere”, semmai significa tenerci lontano da espressioni nostalgiche del tipo “ si stava meglio una volta”; insomma, occorre, nelle valutazioni, equilibrio e distacco, recuperando dal passato il “cibo integro”, non il mito del “cibo della purezza originaria”.

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CASIMIRA GRANDI

Dipartimento di Sociologia Ricerca Sociale – UNITN

EXPO È UN’IDEA

La divulgazione della conoscenza in ambito EXPO è un obiettivo di valore

complesso, che impegna sul fronte della transdisciplinarietà perché impone di

affrontare contenuti oltre i canonici contesti di riferimento disciplinare, ed è

arduo armonizzare diversi approcci conoscitivi senza che i soggetti di studio

perdano di significato. È una sfida culturale impegnativa, in cui si deve parlare

di un’economia oltre il tempo di riferimento, in cui si deve descrivere una

popolazione oltre il suo contesto territoriale: tutto questo è quello che

genericamente chiamiamo globalizzazione, ma che potremo anche definire

“oltre” l’immediatezza della conoscenza convenzionale, conformata nel tempo e

nello spazio. Questa è l’idea EXPO: una proiezione verso il futuro dell’umanità,

costruito con l’obiettivo di garantirne l’alimentazione in modo sostenibile per la

Terra.

In un tale scenario, modelli di marginalità esistenziale del passato si traducono

in strategie di sopravvivenza per l’uomo di domani, stimoli per vedere con occhi

altri consuetudini secolari capaci di farci superare visioni standardizzate di un

mondo non più sostenibile. Dobbiamo cambiare

“la nostra condotta negli affari [perché è] strettamente connessa con il modo in

cui amiamo e odiamo, mangiamo e ci riposiamo: in una parola, essa è

fortemente influenzata dalla nostra visione generale delle cose. Per mutare il

nostro stile di lavorare e di fare affari è necessaria una trasformazione più

generale nelle abitudini, negli atteggiamenti, nelle motivazioni, nei valori, che

nel loro complesso costituiscono il nostro retaggio culturale […] molti

avvertiranno una profonda repulsione al riguardo, ritenendo che subire un

simile cambiamento comporti l’ammissione di una sconfitta […ma la resistenza

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al cambiamento e il rifiuto del nuovo innescano] un processo cumulativo

destinato inevitabilmente a mettersi in moto, peggiorando progressivamente la

situazione. A questo punto, la decadenza entra nella sua fase finale, la più

drammatica” [cit. in Landes 2005, 15-16]. Questo scriveva lo “storico globale”

Carlo Cipolla sulla epocale crisi del Seicento. La storia, paradossalmente, è una

straordinaria riserva di fantasia per la nostra omologata contemporaneità.

Non ci sono esaustive spiegazioni, né ricette miracolose per avere ancora

futuro, ma sicuramente è necessario disporre di strumenti culturali adeguati

per individuare le possibili soluzioni -senza preclusione alcuna- ed EXPO è un

motore di conoscenze, formazione, ricerca, innovazione per contribuire

fattivamente allo sviluppo positivo della società globalizzata.

REFERENZE

Beck, U. (2005) Lo sguardo cosmopolita, Carocci, Roma Buarque de Hollanda, H. (2012) Cultura como Recurso, Salvador, Secretaria de Cultura do Estado da Bahia

Huizinga, J. (2004), Lo scempio del mondo, Milano, Mondadori

Lupo, S. (2010), Il passato del nostro presente, Roma-Bari, Laterza

Landes, D. S. (2005) “Uomo rinascimentale e storico globale”, in Vigo G. (ed), Le lezioni della storia. Letture Carlo M. Cipolla 2001 - 2005, Bologna, il Mulino, pp. 9-18

Mazlish, B. (2006) The New Global History, New York, Routledge Ministério da Cultura (2010) Seminário Internacional do Programa Cultura Viva: novos mapas conceituais. Brasília, Ministério da Cultura www.cultura.gov.br/cultura_viva

Montanari M., Il cibo come cultura, Roma 2004

Percy Snow, C. (2005) Le due culture, ed. A. Lanni, Venezia, Marsilio

Ruffolo G., Sylos Labini S. (2012) Il film della crisi. La mutazione del capitalismo, Torino, Einaudi

Università Roma Tre, (2013) Materiali, strumenti e progetti per una riconfigurazione delle scienze umane, Progetto internazionalizzazione Università Roma Tre, in www.newhumanities.org.it.

Vivarelli, R. (2005), I caratteri dell’età contemporanea, Bologna, il Mulino

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LAUREA MAGISTRALE GOVERNO ORGANIZZAZIONE TERRITORIO – UNITN

CORSO DI STORIA SOCIALE PROGREDITO A.A. 2014-2015

DOCENTE PROF. CASIMIRA GRANDI

ICONE DI TRADIZIONI E FRAGILITÀ

NONNE E NIPOTI A TAVOLA

Le Icone intendono essere una semplice testimonianza di metodologia transdisciplinare, rappresentative di più ampi studi sulla “traduzione delle tradizioni alimentari nel tempo e nello spazio”.

Il valore sociale del cibo è stato evidenziato attraverso le conversazioni di due nonne del veronese con le nipoti -studentesse universitarie- Greta e Anita, in cui memoria alimentare e memoria identitaria si fondono, presentando il persistente legame delle persone con i luoghi delle origini attraverso la “topografia degli affetti”. L’acceso campanilismo tra due territori risicoli confinanti sulla ricetta originale di un piatto tipico è segno di consapevolezza culturale, di saperi affinati da secolari esperienze e di fragilità sociale al contempo; esso rappresenta, però, anche un efficace antidoto allo spaesamento che deriva dalla mobilità, assumendo un significato ancor più pregnante nel mondo della globalizzazione per affrontare consapevolmente l’alterità. Magari ricordando l’espressione popolare che vede “l’anima nel piatto”.

Casimira Grandi

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GRETA POZZATO

IL SAPORE DEI RICORDI

A mia nonna Maria Teresa4 (originaria di Trevenzuolo-Verona) piace ricordare il

risotto “con il maiale” -o meglio “risotto alla veneta”- come piatto tipico del suo

territorio e come ricetta che l’ha accompagnata lungo tutta la sua vita. Un

ricordo vivo nella sua memoria, che risale agli anni quaranta, è aver mangiato

per l’ultimo dell’anno un risotto preparato appunto con il maiale, fatto

all’onda. 5 e quindi morbido, cremoso, mantecato con molto burro, insaporito

con formaggio grana, cannella (a volte anche noce moscata), pepe e rosmarino;

era una pietanza ricca e propiziatrice per il nuovo anno, che ha il sapore

inimitabile e oramai lontano della gioventù.

A quei tempi era inusuale il riso con le verdure, si faceva solamente con la

carne poiché quasi ogni famiglia possedeva un maiale: che era utilizzato in ogni

sua parte e niente era buttato. Nonna Maria Teresa narra che «il fegato veniva

messo in una rete di grasso, la rete del maiale penso, non sapevo che rete

fosse, dicevano che era la rete del cuore del maiale e lo appendevano al muro.

Tutto veniva buono!».

Maria Teresa il I° maggio del 1952 sposava il compaesano Savino F. -giovane

fotografo che aveva imparato l’arte della fotografia dagli zii Ciro e Remo F.6-

trasferendosi a Bovolone7, paese più grande di Trevenzuolo e vicino a Verona,

una zona strategica che permetteva maggiore visibilità e opportunità lavorative

per la professione del giovane sposo. Bovolone aveva una florida agricoltura,

4 Maria Teresa N. nasce a Trevenzuolo (Vr) nel 1932, oggi è residente a Bovolone (Vr) 5 “All’onda: consistenza ottimale del risotto, che si deve presentare non troppo liquido o troppo compatto: muovendo la casseruola il risotto deve formare l’“onda”. Definizione tratta da http://cucina.corriere.it/dizionario/riso/allonda.htm (link consultato in data 06/12/2014). 6 Ciro F. viveva a Trevenzuolo e praticava la fotografia in casa, invece Remo F. viveva e lavorava a Villafranca, era padre della famosa cantate lirica Alida F. . Savino cominciò a imparare a stampare, ritoccare, fotografare, sviluppare in camera oscuro quando era ancora alle elementari. 7 Bovolone, provincia di Verona, a 16.5 km di distanza da Trevenzuolo.

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con estese coltivazioni di tabacco e granoturco che ne avevano connotato la

ruralità sino agli anni cinquanta, quando il generalizzato miglioramento

economico aveva sviluppato imprese e servizi, inducendo un cambiamento

culturale che aveva mutato anche le abitudini alimentari dei suoi abitanti

(sempre più vicini agli stili di vita urbani). Nello specifico, mia nonna sottolinea

questo aspetto ricordando come lei abbia cominciato a mangiare

frequentemente frutta e verdura proprio in quel periodo, “traducendo” anche un

alimento della tradizione -il risotto appunto- nel cibo del “benessere” con

questo esempio: «c’era una signora che passava gridando “Orto! Orto” e

vendeva verdura. A Trevenzuolo non c’era [l’abitudine di mangiare] la verdura!».

È stato così che nonna Maria Teresa ha introdotto il risotto con le verdure in

famiglia, quando quello più diffuso nel veronese in quel periodo era il “risotto

con il ciccio” 8, insieme con altri alimenti consuetudinari come la classica

“pearà”, il minestrone di patate e fagioli o il salame.9

Dal mondo contadino degli anni precedenti la seconda guerra mondiale a quello

“simil-urbano” dopo il trasferimento a Bovolone, una migrazione entro i confini

provinciali e di pochi chilometri, ma sufficiente a far recepire la necessità di

adeguamento a un nuovo ambiente di vita; era un mutamento percepito in

maniera positiva, che evolveva mantenendo saldo il legame con le proprie

origini.

All’epoca, certamente l’attività nel settore della fotografia ha favorito lo spirito

di innovazione della famiglia, proiettata nell’accelerato progresso del mondo

delle immagini, ma per converso non si può ignorare il più ampio stimolo dato

all’evoluzione alimentare dalla necessità di superare le ristrettezze del lungo 8 Risotto alla veneta o, come si dice oggi, risotto all’Isolana (da Isola della Scala, provincia di Verona) 9 Per ulteriori approfondimenti al riguardo si veda: - Michele Lecce, La coltura del riso in territorio veronese (secoli XVI-XVIII), Verona 1958; - Bruno Chiappa, La risicoltura veronese, Verona 2012; - Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Verona, Il riso Vialone Nano veronese I.G.P. e il suo territorio, Verona 1998; - Monica Del Soldato, La civiltà del risotto tra mantovano e veronese, Edizioni del Baldo s.a.;

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secondo dopoguerra attraverso una nuova cultura. Infatti, il Cibo come

cultura10 è portatore di valori e differenti modi di rappresentare l’appartenenza

identitaria, che la mobilità esprime al meglio “traducendo” l’alimentazione, per

esigenza o per virtù

10 Massimo Montanari, Il cibo come cultura, di, Roma 2004.

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ANITA FERRARIN

IL RISOTTO ALLA PALARO

Il piatto che nonna Teresa R. porta nel cuore è il risotto col tastasàl11. È il suo

piatto preferito, l’immancabile piatto della festa. Sono necessarie delle

precisazioni però: il piatto in questione è conosciuto nel veronese anche col

nome di “risotto all’isolana“. La ricetta abbisogna circa «ogni chilo di riso un

litro e mezzo (o uno e sessanta dcl) di brodo e tanto tastasàl quanto riso».

Però quello che prepara mia nonna non è così, la sua ricetta è leggermente

diversa rispetto all’originale. Teresa ha imparato in giovane età a preparare il

risotto (all’isolana) da suo padre, perché «lui faceva il risotto per le feste nelle

piazze, e in tanti lo gustavano. Il suo risotto è diventato famoso. A Fagnano

(paese di provenienza della nonna, frazione di Trevenzuolo, Verona) ancora oggi

fanno il risotto “alla Palaro” (dal soprannome con cui era conosciuto il padre): è

una tradizione di famiglia, «a Palaro piaceva proprio fare il risotto col tastasàl».

La storia del soprannome del bisnonno è piuttosto interessante, infatti, lui

usava portare -in special modo nelle occorrenze più importanti- un cappello che

era identico al cappello che portava il maestro - direttore d’orchestra Ugo

Pallaro, uno dei padri fondatori della banda di Cerea -Verona- vissuto a inizio

Novecento. La somiglianza ha portato la gente del posto a soprannominarlo

Palaro (la perdita della L è dovuta al dialetto), e così è stato “battezzato” il suo

risotto.

11 Il Tastasàl è un impasto di carne fresca di maiale macinata, salata ed insaporita con abbondante pepe nero frantumato grossolanamente; si tratta dello stesso impasto usato per fare il salame e le salamelle. Le massaie della bassa pianura veronese (zona che comprendeva Isola della Scala, Trevenzuolo e Vigasio) usavano preparare il risotto col tastasàl per assaggiare la pasta dei salumi prima di insaccarli. Da questa verifica deriva il nome del condimento: tastare (=assaggiare) la salatura della carne di maiale, da cui tastasàl.

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Tornando a nonna Teresa, poco dopo il matrimonio, negli anni sessanta, si era

spostata verso il mantovano. Con la prima gravidanza, anni dopo, lei ha iniziato

a detestare il risotto alla veronese; quindi, ha imparato un po’ per necessità e

un po’ per gusto personale, a cucinare il Riso alla Pilota, piatto con una cottura

un po’ particolare; in questa ricetta ogni chilo di riso è necessario un litro e

dieci dcl di brodo (o acqua), così a metà cottura (7 – 8 minuti dopo) non risulta

più liquido. A quel punto, si copre il riso con un panno e poi il coperchio, con

l’umidità si “sgrana”; questo procedimento consente al riso di rimanere

inalterato anche per lungo tempo, senza diventare stracotto. Si tratta di una

specialità rinomata nei territori del sinistra Mincio mantovano12.

Sicuramente il riso “sgranato” è più digeribile, così risulta che «Il riso che

corre, quello mollo, butta fuori tutto il suo amido…ma vuoi mettere quando

l’amido lo tiene dentro?? Ecco, a me piace farlo così…che poi è sempre buono,

anche se non sono presenti tutti, non scuoce mai…sempre che il condimento lo

metti in ultima però!». Nonna Teresa, però, non ha semplicemente imparato a

fare un piatto nuovo, ma ha tradotto la ricetta del risotto di casa sua, in un riso

più appetibile. Ha mantenuto il condimento col tastasàl, piuttosto che col pisto

(condimento costituito da salamelle, sale e pepe), inoltre «qui sul mantovano, il

riso viene cotto nell’acqua, poi lo condiscono una volta pronto…invece io lo

faccio bollire nel brodo che è più gustoso…si parte già da una premessa

migliore, prende più sapore». Raffinate particolarità di una gastronomia

semplice, fatta di attenzioni per la tradizione tradotta da necessità contingenti,

fedele a quella cultura identitaria che fonde i sapori ai saperi ancestrali.

12 Si tratta di territori a sinistra del Mincio, compresi tra il Lago di Garda, il confine con il Veneto e il fiume Mincio appunto. Essi sono caratterizzati da un’imponente presenza di fiumi e canali, che formano una rete idrografica utile per la coltivazione del riso.