EVENTO STORIA E STORIE RIMINESI NELLA BUFERA IL … · del Soroptimist, del Ladies Circle della...

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“Spedizione in A.P. 45% Art. 2 - Comma 20/B - L. 662/96 Filiale di Rimini - Tassa riscossa Taxe percue” CONTIENE I.P. EVENTO I protagonisti del Meeting 2003 RIMINESI NELLA BUFERA I quattro fratelli di Coriano I N T E R N A T I O N A L R O T A R Y STORIA ARTE E CULTURA DELLA PROVINCIA DI RIMINI F o n d a t o d a l R o t a r y C l u b R i m i n i Anno X - N. 5 Settembre / Ottobre 2003 STORIA E STORIE L’ultimo conte Cantelli di Covignano IL PERSONAGGIO Marco Magalotti Uno zoom dal Paradiso PH: F. Compatangelo 1987

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EVENTOI protagonisti

del Meeting 2003

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STORIA E STORIEL’ultimo conte Cantelli

di Covignano

IL PERSONAGGIOMarco Magalotti

Uno zoom dal Paradiso

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SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

EDITORIALE

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SOMMARIO

Hanno collaboratoAlessandro Caprio, Adriano Cecchini,

Michela Cesarini, Federico Compatangelo (foto), Gerardo Filiberto Dasi, Lara Fabbri, Angela Fontemaggi, Ivo Gigli,

Silvana Giugli, Aldo Magnani, Arturo Menghi Sartorio,Amedeo Montemaggi, Silvia Paccassoni, Maddalena Patella,

Arnaldo Pedrazzi, Orietta Piolanti, Sandro Piscaglia, Luigi Prioli (foto), Romano Ricciotti, Maria Antonietta Ricotti Sorrentino, Gaetano Rossi, Emiliana Stella,

Emilia Maria Urbinati, Guido ZangheriDirezione e Segreteria

Via Destra del Porto, 61/B - 47900 RiminiTel. e Fax 0541 52374 - E-mail: [email protected]

(Redazione: Park Hotel)Editore

Tipolitografia GarattoniAmministratore

Giampiero GarattoniRegistrazione

Tribunale di Rimini n. 12 del 16/6/1994Collaborazione

La collaborazione ad Ariminum è a titolo gratuito

Bimestrale di storia, arte e cultura della provincia di RiminiFondato dal Rotary Club Rimini

Anno X - N. 5 (56) Settembre-Ottobre 2003DIRETTOREManlio Masini

DiffusioneQuesto numero di Ariminumè stato stampato in 7.000 copie

e distribuito gratuitamente ai soci del Rotary, della Round Table, del Rotaract, dell’Inner Wheel, del Soroptimist, del Ladies Circle della Romagna

e di San Marino e ad un ampio ventaglio di categorie di professionisti della provincia di Rimini

Per il pubblicoAriminumè reperibile gratuitamente

presso il Museo Comunale di Rimini (Via Tonini) e la Libreria Luisè (Corso d’Augusto, 76, Antico palazzo Ferrari, ora Carli, Rimini)

PubblicitàPromozione & Comunicazione

Tel. 0541.28234 - Fax 0541.28555Stampa

Tipolitografia Garattoni, Via A. Grandi, 25,Viserba di RiminiTel. 0541.732112 - Fax 0541.732259

FotocomposizioneMagiComp - Tel. 0541.678872 Villa Verucchio

E-mail: [email protected] copertina: Fabio Rispoli

C’É POSTO ANCHE PER LOROLi chiamano “campanellari”. Stazionano nei punti nevralgici della passeggiata,

dove maggiormente si concentra lo struscio dei vacanzieri. Lavorano in équipe e ognisquadra si compone di sei o sette compari: il palo, l’imbonitore, il regista (o il mazzie-re) e i finti giocatori. Finti come il gioco che eseguono: quello delle tre campanelle (odelle tre carte, o delle tre palline, o dei tre dadi…). Vince sempre chi le maneggia. Nonc’è scampo per chi punta; lo sanno anche i bambini. Eppure c’è sempre qualche imbe-cille che sfida l’impossibile, che s’illude di triplicare il proprio gruzzolo nel giro di tresecondi. “Uno su mille ce la fa”, cantava a squarciagola Morandi, ma qui, con questogiochino, neanche uno su un milione ce la può fare.

La presenza di questi operatori dell’imbroglio -una volta erano tutti napoletani,oggi, a questi, si sono aggiunti gli slavi- solleva sempre un coro di proteste. A parer mio,esagerate e fuori posto. Credetemi, faccio fatica a digerire l’indignazione che si scate-na nei loro confronti. A me sono simpatici. Li preferisco di gran lunga ai mendicanti, aipataccari, ai venditori abusivi e a quella scomposta orda di stravaganti “turisti” cheaffollano la nostra sbracata e tollerante estate. Sono dei truffatori, d’accordo, ma agi-scono alla luce del sole, sotto lo sguardo di tutti. E poi il loro è un mestiere faticoso, cheli impegna in spostamenti repentini, da cardiopalmo. Sempre alle prese con carabinieri,polizia, vigili urbani e petulanti moralisti che sputano sentenze e gridano “vergogna!”.

Ma come si fa, dico io, ad avercela con questi maestri del raggiro? Oltre ad esse-re un’attrazione -sono veramente bravi, degli artisti: non mi dite che non vi siete maifermati ad osservarli- svolgono un servizio sociale: aiutano la gente a crescere. Sì, acrescere e a maturare. Perchè il “pollo”, una volta “spennato”, smette di credere nellefavole e diventa adulto. Quest’estate, grazie a questi benemeriti, molti bagnanti hannoottenuto la “maturità” sui marciapiedi dei nostri viali Vespucci, Regina Elena e ReginaMargherita. A pieni voti e con menzione d’onore sulla stampa. Smettiamola, dunque, dioccuparci di questi “onesti” furfanti; lasciamoli lavorare in pace: anche loro tengonofamiglia. E auguriamoci che tornino la prossima stagione: nel calderone della canicolariminese c’è posto anche per loro.

M. M.

IN COPERTINA“Reti sul molo”

di Federico CompatangeloEVENTO

Meeting 20036-8

MOSTREIl Santo Marino

Al Castello degli Agolanti10-11ARTE

Curiosando tra le chiese del rimineseMeditazioni / Ugo Riva

12-14IL PUNTO

Sulla Linea Gotica17

PAGINE DI STORIALa prigionia di Mario Casadei

18-19TRA CRONACA E STORIA

I quattro fratelli FocacciaGalvano Della Volpe e gli antifascisti riminesi

Noterelle riminesi dell’Ottocento20-23

STORIA E STORIEL’ultimo conte Cantelli di Covignano

24-25DENTRO LA STORIA

La Rimini che non c’è più / Porta Montanara26-31

MUSEIIl nuovo spazio archeologico del Museo

della CittàIl Museo Archeologico di Verucchio

32-34IL PERSONAGGIO

Marco Magalotti37

OSSERVATORIOSugli orari delle discoteche

38PIO MANZU’

XXIX Edizione delle Giornate di Studio39

POLVERE DI STELLECommiato

40LIBRI

“Un quartiere sul Marecchia”“Come creare una azienda di successo”

“Il racconto di Rimini”“Armido Della Bartola”

41-43MUSICA

Pio Sgrighi / Liutaio34° Edizione Corsi Estivi

44-46TEATRO DIALETTALE

Jarmidied49

ROTARY NEWSDi tutto un po’

50-52

A R I M I N V M

lla domanda “Quale ideadi questo Meeting porta a

casa?”, Giorgio Vittadini, unodei protagonisti della manife-stazione, ha risposto: “E’ statoil Meeting della vocazione evocazione significa trattare lepersone e la realtà in modo piùumano, secondo ciò per cuil’uomo è fatto: era vero 1500anni fa al tempo di SanBenedetto ed è possibile ancheoggi”.Il tema del Meeting 2003 “C’èun uomo che vuole la vita edesidera giorni felici?” è unafrase del Salmo 33, ripresanella Regola di San Benedettoe posta al novizio che intendeintraprendere la strada delconvento. Solo se il giovanerisponde “Io”, può diventaremonaco benedettino. Padre Mauro GiuseppeLepori, abate dell’AbbaziaCistercense di Hauterive, inSvizzera, ha ispirato questotitolo ed è stato chiamato adaffrontare il tema davanti a unAuditorium stracolmo. “Lavita dell’uomo è un misteroimmenso – ha esordito – maquando si osserva l’uomo,l’uomo così come lo si incon-tra per strada, quando s’incon-trano i giovani, il volto dellagente, uno si chiede: ma c’è unuomo che vuole la vita e desi-dera giorni felici?”. Ladomanda è posta a ognuno dinoi da un Dio che si fa mendi-cante del nostro desiderio difelicità e che stabilisce uncompito per ciascuno. “Dionon può nulla davanti allalibertà di ciascuno (…) ma ilsuo amore sorpassa la libertàdell’uomo per offrirgli, al di làdel rifiuto, l’ambito di un’atte-sa”.Sempre sul tema del XXIVMeeting è intervenuto l’arci-vescovo di Vienna Schonborn:“Dio ci chiama alla sua beati-

tudine – ha detto – la chiaveper raggiungerla è la croce diCristo e il dono di sé. Ognipiccola gioia sgorga dallagrande gioia”.

ASan Benedetto il Meeting haanche dedicato una mostra.“In un solo corpo. SanBenedetto una tradizionevivente”, il titolo della rasse-gna, tra le più visitate dellamanifestazione. I monacibenedettini del monasterodella Cascinazza, che hannocurato la mostra, sono uscitidal loro monastero di clausura- evento rarissimo - per testi-moniare la loro esperienza divita in comunione, secondo laregola dell’ “ora et labora”.“Vivere la comunione – hannodetto – non è poca cosa: è iltutto della vita cristiana, per-

ché la vita cristiana è Cristotra di noi che ci rende un solocorpo”.

La figura di San Benedetto e iltitolo del Meeting hannorichiamato con decisione iltema delicato e attuale dellaCostituzione Europea e delsuo mancato riferimento alleradici cristiane del Continente.“Il futuro si costruisce ripar-tendo dalle originidell’Europa – ha scritto il papanel suo messaggio agli orga-nizzatori – e facendo tesorodelle esperienze passate, perlarga parte segnate dall’incon-tro con Cristo”. Appello rac-colto dal Presidente dellaCamera Pier FerdinandoCasini che ha auspicato “unmomento unificante di dialo-go in tema di radici cristiane

con tutti i governidell’Unione” e ha sottolineatocome un’Europa non cristiananon sia credibile. Sempre l’Europa è stata alcentro del dibattito “Se ti dis-trai l’Europa è giacobina”, cheha visto confrontarsi tre costi-tuzionalisti di diverse prove-nienze: Joseph Weiler, costitu-zionalista ebreo della NewYork University, autenticoprotagonista dei primi giornidel Meeting, che ha definito“uno scandalo inaccettabile” ilmodello della ConvenzioneEuropea ispirato solo almodello laicista francese,senza tenere conto di costitu-zioni che si ispirano esplicita-mente a Dio e al cristianesimo,come la tedesca, l’irlandese ola polacca. Ma è altrettantoscandaloso, afferma, che nes-suna voce cristiana si alzi con-tro questa situazione. Il professore cattolico Grossi eil diessino Barbera si sono tro-vati in perfetta sintonia: “Lamenzione delle radici giudeo-cristiane nel testo è un attodovuto. I sentimenti non c’en-trano: è materia storica, deldiritto e della ragione”. Anche il ministro degli InterniPisanu, invitato a parlare sultema “Abbattere i muri,costruire i ponti”, insieme alpresidente del ParlamentoEuropeo Pat Cox, ha sottoli-neato come “le radici cristianedell’Europa corrispondanoalle sue radici popolari. Il cri-stianesimo – ha continuato – èil collante principale di cui ipopoli europei dispongono perunirsi”.

Il tema della felicità è legato aquello dell’amore. “Amore èdire all’altro: tu non morrai” èil titolo dell’incontro con ilsociologo Francesco Alberoni,

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

EVENTO

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LA XXIV EDIZIONE DEL MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI

LA GRANDE KERMESSERIMINESENEGLI INTERVENTI DEI SUOI PROTAGONISTI

Alessandro Caprio

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A

il regista Alessandro D’Alatrie Giancarlo Cesana, delConsiglio Nazionale diComunione e Liberazione.“Posso dire di essere fatto perla vita perché sono stato amato– ha detto Cesana –, perchésenza quest’abbraccio la vita èfumo. Nell’amore c’è l’evi-denza di una corrispondenza,di un abbraccio: c’è qualcunoche mi cerca, che mi vuole nelmondo”.“L’amore – ha detto D’Alatri –è il motore fondamentale dellavita e si alimenta di un propel-lente fondamentale: la speran-za”.

L’amore e l’ospitalità sonostati i temi al centro del dibat-tito “Il miracolo dell’ospitali-tà”, organizzato da Famiglieper l’accoglienza, per presen-tare l’omonimo libro di donGiussani. Insieme a MarcoMazzi, leader dell’associazio-ne, hanno partecipato lo psico-logo Claudio Risè, la giornali-sta Barbara Palombelli eAndrea Muccioli, leader diSan Patrignano. “E’ un libro distraordinaria importanza – hadetto Risè – perché parla dellapatologia più grave dellanostra società: l’inospitalità(…). La società attuale procla-ma l’ospitalità universale, manessuno più accoglie neppurese stesso. (…) L’ospitalità è unmiracolo, non è un atto divolontariato, perché ha lanatura della Grazia”.

“Si può essere felici nel lavo-ro?” “Bisognerebbe chiederloa un disoccupato”. FrancoisMichelin, terzo presidente del-l’omonima multinazionalefrancese, affascina il pubblicodel Meeting raccontando lasua vita. “Ho 70 anni,Bernadette è mia moglie, hosei figli di cui due fanno partedi ordini religiosi e otto nipoti.(…) Entrando in fabbrica misono accorto che i miei operaierano uomini come me, conpregi e difetti. C’è un idea chenon mi abbandona mai: gliuomini vanno guardati per ciò

che sono, non per ciò chefanno”.

Il lavoro e l’economia da sem-pre interessano il Meeting. Tragli ospiti di quest’anno anchegrandi imprenditori comeRoberto Colaninno, da pocoacquirente della Piaggio, chesi è confrontato con VitoArtioli, amministratore dele-gato del gruppo omonimo,Giuseppe Castelli, del GruppoPerfetti Van Melle e MiroRadici, leader nel settore tessi-le. “Negli ultimi 50 anni - hadetto Colaninno – il mondoindustriale italiano ha saputomettersi in gioco, oggi sembraaver meno propensione alrischio”.Per superare la crisi, Artiolipropone maggiori investimen-ti in formazione e ricerca e ilpotenziamento dell’Istituto delCommercio estero per diffon-dere il “marchio Italia”.Anche il Presidente diConfindustria D’Amato hachiesto “riforme urgenti” perrecuperare il divario con laconcorrenza d’oltreoceano erilanciare la produttività delnostro paese.

Dalle imprese alle banche. IlMeeting ha riunito anche i bigdel mondo bancario. “Chi dàcredito alla piccola impresa?”Il titolo della tavola rotondache ha visto confrontarsiAlfonso Iozzo, amministratoredelegato di Sanpaolo Imi,Roberto Mazzotta, presidentedella Banca Popolare diMilano, Corrado Passera,amministratore delegato diBanca Intesa e AlessandroProfumo, amministratoredelegato di UnicreditoItaliano.Davanti alla sfida degli accor-di europei di Basilea, hannoconcordato i relatori, le impre-se devono dimostrare unamaggiore trasparenza delsistema e una maggiore stabi-lità. Le banche dovranno averecapacità e radicamento sul ter-ritorio maggiori per valutare

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meglio le situazioni delleimprese. “Il nostro non è unmondo di grigiore e negatività– ha detto poi Profumo,rispondendo alla provocazio-ne del titolo del Meeting –Alla domanda se c’è anche unbancario che vuole la vita edesidera giorni felici, cioèpieni di progetti, di soddisfa-zioni, io rispondo di sì”.

Non è una manifestazionepolitica il Meeting, ma all’im-portanza della politica non èindifferente. Oltre alPresidente della CameraCasini, sono intervenutinumerosi protagonisti delmondo politico italiano einternazionale. “Ciò che uni-sce, ciò che divide” è il titolodel confronto tra MassimoD’Alema e Gianfranco Fini,invitati a parlare di politica atutto campo: dal problemadella libertà di educazione altema del welfare. Cosa acco-muna due uomini così distantipoliticamente? Secondo Fini“una concezione alta dellapolitica e la passione, le stessecose che ci accomunano a voidel Meeting”. Oltre ai due leader, è interve-nuto anche Piero Fassino,segretario DS, che si è con-frontato a viso aperto con ilPresidente della RegioneLombardia RobertoFormigoni sul tema del “rifor-mismo”. “Siete una plateaappassionata – ha dettoFassino al pubblico delMeeting – e la passione èquello che mi piace di più”.Sono passati da Rimini anchenumerosi esponenti dell’ese-cutivo: oltre al Ministro

dell’Interno Pisanu, ancheLetizia Moratti, Ministrodell’Istruzione, FrancoFrattini, Ministro degli Esteri,che ha parlato della difficilesituazione dell’Iraq del dopo-guerra, sottolineando come“ricostruire sia compito ditutti, in primis dell’Italia nelsemestre di presidenza euro-peo”. Maurizio Gasparri haparlato di “Innovazione tecno-logica nell’impresa italiana”.“L’Italia – ha detto Gasparri –deve uscire dalla sindromedello stato che fa tutto, ma nonricadere in quella dello statoche non fa niente. Tra il lassi-smo e il protezionismo esisteuna terza via”.E ancora il Ministrodell’Agricoltura Alemanno,quello dell’Ambiente Matteolie il Ministro del WelfareRoberto Maroni, che si è con-frontato con il senatore DsDebenedetti e con il vicepresi-dente degli industrialiTognana sul tema della rifor-ma del lavoro. Ma i più applauditi tra i politi-ci sono stati FrancescoCossiga e ancora una voltaGiulio Andreotti che è statointervistato da Renato Farina.“Ho imparato da tutti”: il tito-lo dell’incontro, è una frasecelebre del senatore a vita.“Siate romantici – ha detto alpubblico di giovani delMeeting – perché bisogna darecalore umano alla vita, altri-menti si invecchia presto”. “IlMeeting è un punto di liberaespressione, è gente che segueil proprio impulso cristianocon grande libertà”.

“La cosa più incomprensibiledell’universo è che esso sia

comprensibile”. Con questacitazione di Einstein da partedi Elio Sindoni si è chiusa latavola rotonda di altissimovalore scientifico che ha vistoil premio Nobel per la FisicaRubbia parlare degli “estremiconfini dell’impresa scientifi-ca”. Rubbia, che era già statoal Meeting nel 1987, ha parla-to dell’importanza della curio-sità, “vero dono dellaProvvidenza” e dell’immagi-nazione per la ricerca scienti-fica. “Il futuro – ha dettoRubbia – appartiene e coloroche sapranno cogliere il confi-ne tra ciò che è bello e ciò cheè brutto”.Un altro premio Nobel, questavolta per la chimica, ha spie-gato a una platea vastissima ilpassaggio che ha portato dalleparticelle (“dalla materia”) alpensiero (“alla vita”). Jean-Marie Lehn, per sua ammis-sione molto emozionato da unpubblico così vasto, ha spiega-to anche che “è corretto soste-nere la possibilità di un nuovostadio evolutivo dopo quelloumano”.

Al Meeting si è parlato anchedi America, con il teologo edi-torialista del new York TimesAlbacete, con il capitano del-l’esercito Usa David Jones econ Archie Spencer, teologobattista legatissimo a donGiussani e al suo carisma; difede e politica, con la presen-tazione del libro di JosefRatzinger “Fede, Verità eTolleranza”, con l’arcivescovodi Genova Tarcisio Bertone eil presidente dell’unione deigiuristi cattolici italianiFrancesco D’Agostino. Impossibile citare tutti gli

incontri della manifestazione(oltre 130), che ha visto anchespettacoli gremiti: dal teatro,con l’inaugurale della compa-gnia anglo-francesce deiFootsbarn, il teatro di Testori,con l’applauditissimo “IPromessi Sposi alla prova”, iltradizionale spazio Onda suOnda che avuto grandi ospiti,tra cui Andrea Mingardi.

Sedici le mostre presentate alMeeting: oltre a “La Sistina eMichelangelo. Storia e fortunadi un capolavoro”, alla giàcitata mostra su SanBenedetto, una rassegna suMontale, una su Santa GemmaGalgani, due mostre scientifi-che, una fotografica sulla vitadi Testori, una rassegnasull’Apocalisse di SanGiovanni, solo per citare le piùvisitate.

“Il Meeting cambia casa”,questo lo slogan usato percomunicare lo spostamentodella manifestazione al NuovoQuartiere Fieristico di Rimini.I risultati sono senza dubbiopositivi: si parla di oltre 700mila presenze raggiunte (circa50 mila in più rispetto alloscorso anno), oltre 700 i gior-nalisti accreditati: insommauna sorta di nuovo inizio chefa ben sperare, naturalmentesenza adagiarsi. Il titolo delprossimo Meeting, che coinci-derà con l’edizione numero 25e con i 50 anni dalla nascita diComunione e Liberazione èeloquente: “Il nostro progres-so non consiste nel presumeredi essere arrivati ma nel tende-re continuamente alla meta”.

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“Il nostro progresso non consiste

nel presumere di essere arrivati

ma nel tendere continuamente alla meta”.

Questo il titolo del prossimo Meeting,

che coinciderà con l’edizione numero 25

e con i 50 anni dalla nascita

di Comunione e Liberazione

arra la storia che ai tempi dell’Impero Romano, più precisa-mente nel III sec. d.C., lo scalpellino Marino giunse ad

Ariminum dalle coste della Dalmazia per rinforzare e costruirenuove mura a difesa della città devastata dalle invasioni barbari-che. Marino sbarcò assieme ad altri suoi compagni d’arte, tra cuiil futuro San Leo, e lavorò abilmente e instancabilmente la pietradelle cave del Titano fin quando, si dice, giunse dall’isola di Arbesuo paese natio, una donna che sosteneva esserne la moglieabbandonata e cercò di svergognarlo di fronte a tutti. Questapazza indemoniata costrinse Marino a fuggire dalla città e rifu-giarsi in solitudine sull’aspro monte che aveva imparato a cono-scere e probabilmente ad apprezzare, perché da allora il nostromaestro scalpellino non ridiscese più verso la civiltà, ma tentò difondare una comunità -basata sui fondamenti cristiani di fratel-lanza, fede e lavoro e sui principi democratici d’uguaglianza elibertà- in quella terra successivamente donatagli da una riccapossidente cui aveva miracolato il figlio malato.Questa in sintesi la storia, o meglio una delle leggende che si rac-contano attorno alla figura del fondatore della più piccola e anti-ca repubblica del mondo. Storie che la mostra a lui dedicata,recentemente inaugurata in quest’antico monastero situato nelcentro di San Marino e adibito a moderno contenitore culturale,si ripromette di raccontare attraverso le numerose e più svariateimmagini che raffigurano questo santo, sicuramente tra i piùinsolitamente rappresentati d’Europa.Ed ecco che curiosando tra i dipinti esposti nelle sale troviamo lafigura del santo racchiusa dentro una mandorla o raffigurata conl’aureola crociata, solitamente esclusiva di Cristo o della Vergine.Al tempo stesso lo ritroviamo su pagine pubblicitarie, cartoline,monete, suppellettili, addirittu-ra proposto per la confezionedella magnesia locale. È unpoud-pourrì di immagini e raf-figurazioni che vanno dalle piùraffinate, sicuramente espressesu tela, a quelle popolari, devo-zionali e rappresentative, chenei secoli hanno testimoniatol’importanza di una devozioneunica, la quale ha dato vita aprincipi intramontabili, tuttorarispettati quanto il suo enun-ciatore.È basandosi su quest’ottica chei visitatori della mostra devonopercorrerne le sale, suddivisein diverse sezioni tematicheche si ripropongono non solodi ricostruire la vicenda delsanto in maniera scientifico-

didattica e rigorosamente cronologica, ma anche di creare sugge-stioni, opportunamente incanalate nelle giuste direzioni, in unpercorso nel tempo senza tempo che vede Marino, San Marino,oggi come allora assoluto protagonista nell’arte e nella storia ditutti i giorni.S’inizia così inquadrando il contesto storico dell’epoca e dei luo-ghi in cui lo scalpellino dalmata visse e morì, attraverso immagi-ni fotografiche e reperti archeologici di una prima sezione intro-duttiva a mio parere un po’ scarna, soprattutto per quanto riguar-da la parte dedicata al Titano che può vantare interessanti cam-pagne scavo effettuate negli ultimi anni, ma bisogna pur ricorda-re che questa non è una mostra archeologica semmai iconografi-ca, e ce lo ricorda felicemente la successiva sezione dedicata aipregevoli dipinti che vanno dal XV al XVIII secolo e intitolatagiustamente “Frammenti di bellezza” visto che può vantare raffi-gurazioni del santo dipinte da Luca Frosino probabile allievo delBotticelli di cui se ne risente l’elegante impronta, o del noto pit-tore emiliano Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, assi-duo frequentatore delle nostre zone, il quale lasciò anche a SanMarino una delle più riuscite e raffinate interpretazioni del suosanto. Di notevole pregio e spessore anche l’opera settecentescadel toscano Pompeo Batoni, il quale rappresenta il Santo che libe-ra e riafferma i valori della Repubblica, riaffermando egli stessoquei valori e canoni imperanti del classicismo, con un’improntatipicamente rinascimentale.Rimini, città legata inevitabilmente a San Marino e alla sua sto-ria, non ha potuto fornire opere per la sezione archeologica dellamostra, ma altresì contribuito prestando un Passionario del XIIsecolo, manoscritto contenente la vita del Santo e un paio d’inte-

ressanti dipinti cinquecenteschiprovenienti dalla Chiesa diSanta Rita, all’origine dei SantiBartolomeo e Marino. Sorta aquanto pare sulle rovine del-l’antico luogo di culto doveMarino dimorò e operò nellanostra città.Quest’esposizione non dà solol’occasione a vicini e “conter-ranei” di scoprire e approfondi-re origini, storie e tradizionilegate alle proprie e altruivicissitudini, ma crea un’occa-sione in più per i sammarinesidi mettersi sulle tracce d’opered’arte documentate e dispersecome il quadro trecentesco raf-figurante San Marino conGiovanni Battista, finora la piùantica e conosciuta immaginedel santo. Un altro sempre vali-do motivo per recuperare evalorizzare porzioni della pro-pria cultura.

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MOSTRE

A R I M I N V M

R.S.M. / ANTICO MONASTERO SANTA CHIARA: 31 AGOSTO - 30 NOVEMBRE

IL SANTO PIÙ RAPPRESENTATO D’EUROPA“LIBERTATIS FUNDATOR” / IL SANTO MARINO: ICONOGRAFIA, ARTE E STORIA

Lara Fabbri

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N

Giovan Francesco Barbieri (il Guercino),

San Marino benedice la Città. San Marino, Palazzo Pubblico.

iunge alla terza edizionela rassegna d’illustrazione

“Farfadet” ospitata nelle saledel Castello degli Agolanti diRiccione dal 23 agosto al 7settembre: un bilancio sicura-mente positivo per l’affluenzadi pubblico e per l’interessedimostrato da parte degliappassionati del settore.Realizzata dall’associazioneculturale Sinforosa, in colla-borazione con l’Assessoratoalla Cultura del Comune diRiccione, l’iniziativa ospitaquest’anno sei artisti -AnnaLaura Cantone, MajaCelija, Mara Cerri, MassimoMaida, Claudia Muratori eMarina Palácio – chiamati adillustrare con la loro matita l’i-dea del viaggio. “Visionariillustratori” è infatti il titolodell’esposizione: si avvicen-dano sulla carta i luoghi attra-versati dal segno. Sequenzesurreali e mondi sconosciuti,lune sognanti e funamboli diseta, boschi improbabili edesploratrici incantate. Non cisi può fermare in questo viag-gio fra isole: a volte si vola,altre si precipita per risalire eritrovarsi nuovamente staccatida terra, per poi addentrarsiancora nelle profondità.Ma accade, a volte, che l’iro-nia entri nella realtà fiabesca:improvvisamente le etereeprotagoniste si trasformano infanciulle non proprio avve-nenti, eppure delicate, spose“buffe, buffissime” ricoperteda vele, piuttosto che da veli,giganti montagne decorate dapizzi e fiocchi: è questo ilmondo di AnnaLauraCantone.Sopra alle nuvole, o nei fondimarini, siamo certi inveceviva Mara Cerri: sospinta dal-l’aria si muove, si ferma,lascia segni di colore a cui unsoffio donerà la vita. Abitanole città queste anime in volo,vestono le metropoli, si aggi-

rano fra gli scompartimentidei treni, viaggiano.Attraversa la vecchia Europal’arte di Marina Palacio, un’il-lustratrice di Lisbona presentein Italia per la prima volta con“O circo da lua”. Una magia,forse, l’ha portata lungo i cro-cicchi e dentro le piazze diqueste città di costa: un’ele-ganza di segni e di colori vagasulle tracce di antichi passanti,alla ricerca di anime nomadi. Dalla Jugoslavia di Tito edalla Croazia di Tudjman arri-va Maja Celija, nata a Maribornel 1977, quando, come amaricordare lei, nelle sale cine-matografiche americane usci-va “Star Wars”. E da questoincrocio di culture, ora Majavive a Milano, nasce la suaarte, fiabesca nonostante lastoria.Un viaggio dunque di geogra-fie e pensieri, lungo i sentieridell’arte. E allora all’illustra-zione non resta che acquisire ilmovimento. Provengono dalmiglior cinema d’animazione,dal luogo ideale quale laScuola del Libro di Urbino,Claudia Muratori e MassimoMaida, autori assai noti diquesta particolare e raffinatis-sima forma espressiva. Eppureoggi, abbandonano (ma soloapparentemente) il cinema,per prendersi cura dell’illu-strazione.L’iniziativa si inserisce all’in-terno del più ampio progetto“Illustrissimi” promossodall’Assessorato alla Culturadel Comune di Riccione:manifestazione che prevedelaboratori d’illustrazione nellescuole elementari, corsi perillustratori ed un concorsorivolto a giovani illustratori.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

MOSTRE

A R I M I N V M

RICCIONE / TERZA EDIZIONE DI “FARFADET” AL CASTELLO DEGLI AGOLANTI

“VISIONARI ILLUSTRATORI”Silvia Paccassoni

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G

“Sequenze surreali e mondi sconosciuti,

lune sognanti

e funamboli di seta, boschi improbabili

ed esploratrici incantate…”

Mara Cerri, “A fondo”, 2003.

Sopra: Nicoletta Ceccoli,“Sinforosa”, 2003

a cappella “dei Pianeti”nel Tempio Malatestiano,

per il tema dei rilievi e la loromagistrale esecuzione, è sicu-ramente una delle più ammira-te e indagate dello splendidoedificio rinascimentale. Adestare interesse sono soprat-tutto le personificazioni deipianeti, divinità dell’Olimpocon i loro riconoscibili attribu-ti, che decorano l’intradossodell’arcata ogivale di ingressoalla cappella, ed i segni zodia-cali corrispondenti, ovvero lecostellazioni in cui ogni piane-ta raffigurato ha il propriodomicilio diurno e notturno,scolpiti sui lati esterni ed inter-ni dell’arcata. I visitatori diogni tempo, stupiti dalla pre-senza di tali soggetti astrologi-co-astronomici in una chiesa,sono ammaliati dal raffinato efluente linearismo delle figureche scaturisce dal lieve agget-to, cifra stilistica del toscanoAgostino di Duccio, allievodel celebre Donatello, da cuiapprende la tecnica scultoreadello ‘stiacciato’. Gli studiosi,anche recentemente 1, si sonosoprattutto interrogati sulsignificato delle raffigurazio-ni, anche per la difformità dialcune da quelle consuete,ricercando inoltre le fonti let-terarie e figurative che hannopresieduto all’elaborazionedel complesso programmadecorativo. Questo è stato pro-babilmente suggerito dall’u-manista Basinio da Panna,autore del poemaAstronomicom dedicato aSigismondo, morto a Rimininel 1457 e sepolto nella primaarca sul fianco destro delTempio Malatestiano.Le divinità planetarie si dis-pongono sull’intera superficiedell’arcata della cappellaseguendo l’ordine tolemaico,dalla sfera più vicina alla terraa quella più lontana: dal bassoverso l’alto, sul pilastro sini-

stro, compaiono infatti Luna,Mercurio e Venere, in chiaved’arco il Sole, con a fianco ilsegno del leone, mentre sulpilastro destro, dall’alto versoil basso, sono presenti Marte,Giove e Saturno. Il domicilionotturno della luna è la costel-lazione del cancro, rappresen-tato sul lato verso la navata.Per il legame con la commit-tenza e la celeberrima vedutacittadina è una delle formellepiù importanti.Nato a Brescia il 19 giugno del1417, Sigismondo PandolfoMalatesta era del segno delcancro (il calendario giulianoallora in uso era indietrorispetto al nostro di dieci gior-ni). Il realistico granchio, raf-figurato, insolitamente per l’a-strologia, in posizione dorsale,sovrasta un centro abitato

cinto da mura, ai piedi di colli-ne aguzze e lambito dal mare.Nonostante la geometrizzazio-ne degli edifici e la spropor-zione di alcuni elementi, qualii pini marittimi che punteggia-no, anche cromaticamente, laraffigurazione, è la primaveduta storicamente attendibi-le di Rimini. Essendo la cittàrappresentata non sotto il pro-prio segno dello Scorpione masotto quello del Malatesta, laveduta simboleggia il poteredel signore su di essa.Emblematico è anche il tagliodella raffigurazione, in cuicompare una parte ben precisadella città, dove i Malatestaerano intervenuti da diverse

generazioni.Castel Sismondo, innanzitutto,ampiamente ristrutturato dalsignore, sul luogo in cui fin dalXIII secolo esistevano le abi-tazioni della famiglia. Conl’alto cassero, le torri ed ilmuro di cinta, il castello tro-neggia su tutto l’abitato esovrasta la piazza del Comune,in cui si scorgono il Palazzodell’Arengo e la fontana, dallapeculiare forma a doppio tam-buro. La chiesa visibile all’e-strema sinistra del rilievo èprobabilmente quella diSant’Agostino, i cui splendidiaffreschi opera dei pittori rimi-nesi del Trecento furono finan-ziati dai Malatesta. L’edificioreligioso fiancheggiato daglialberi al di sopra del castello èla chiesa monastica di SantaMaria Annunziata Nuova diScolca (ora intitolata a SanFortunato), fondata da CarloMalatesta nel 1418. Al saggiozio di Sigismondo si deveanche la risistemazione dellemura cittadine, che cingevano,come si vede nel rilievo, nonsolo il centro urbano ma ancheil Borgo San Giuliano, in cui siscorge anche l’omonima chie-sa. Come oggi, esso è collega-to alla città dal Ponte diTiberio, dall’inconfondibilesagoma a cinque arcate. Nellaformella è assente l’altro con-siderevole monumento roma-no, l’Arco di Augusto, ubicatoin una zona che nel medioevoaveva perduto di importanza.La cura di Agostino di Duccioper le caratteristiche strutturalidegli edifici si mostra anchenella rappresentazione delleporte urbiche, turrite ed irro-bustite alla sommità da merli ebeccatelli, come PortaGalliana, tuttora esistenteanche se parzialmente interra-ta. Ingresso alla città dal mare,fu probabilmente risistematadallo stesso Sigismondo, comefa ipotizzare il rinvenimento dimedaglie con l’effigie delsignore2. Porta Galliana ePorta San Pietro, distruttanell’Ottocento, dominano ilMarecchia, il cui corso tempe-stoso è evocato dalle lineeoblique e sinuose incise sulla

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ARTE

A R I M I N V M

CURIOSANDO TRA LE CHIESE DEL RIMINESELA COCCA DI SIGISMONDO NEL TEMPIO MALATESTIANO

EMBLEMA DELLA PROVINCIA DI RIMINIMichela Cesarini

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L

Rimini e la cocca malatestiana,part. della formella

con il cancro, pietra, 1455,Tempio Malatestiano

pietra. Massi quadrangolaricosteggiano l’alveo tortuosodel fiume a monte del ponte,mentre la foce appare regola-rizzata. Nel 1417 CarloMalatesta era infatti intervenu-to in maniera significativa suquesta parte del Marecchia,dove esisteva uno dei due portidella città, che da allora diven-ne il solo. L’altro porto, citatonella Descriptio Romandiolaedel cardinale Anglic Grimoard(1371), ovvero quello romano,in prossimità della stazioneferroviaria, dove fino al XIIsecolo sfociava il Marecchia,declinò rapidamente3. Il porto sul Marecchia, che altempo di Carlo ospitava ses-santa navi, è evocato nel rilie-vo del Tempio dalla grandiosabarca che a vele spiegate solcaun mare increspato. Le ritmi-che ondulazioni formano inalcuni punti, graziose volute,soprattutto in prossimità del-l’imbarcazione, costruitaanch’essa con armoniosi tratticurvilinei. E’ la cocca, tipicaimbarcazione medioevale diforma arrotondata. Nave dacarico con ponte, sotto il qualeun unico vano costituiva lastiva, poteva anche esserearmata per la guerra. Sua pre-rogativa era la vela quadra,che porta lo stesso nome.

Agostino di Duccio ha illustra-to fedelmente una cocca dipiccole dimensioni, ad un soloalbero e con la vela dotata dibonetta, parte inferioreaggiunta in caso di vento leg-gero, che veniva tolta quandosoffiava più intensamente. Ilmaestro toscano si è ispiratoad una delle cocche nel portoriminese, presenti come sap-piamo dai documenti. Forsedisegnò dal vero quella dellostesso Sigismondo di nome S.Maria, della portata di 180botti, che il signore vendettenel 1453 “nova e noviter fabri-cata” 4. Cocche dalle vele spiegatecompaiono, appena abbozzate,nel bassorilievo speculare a

quello del cancro, variamenteinterpretato dagli studiosi,posto sulla faccia interna dellostesso pilastro. Solcano unostretto braccio di mare, popo-lato da mostri marini e delfinied agitato dal soffiare deiquattro venti agli angoli dellaformella. Lambisce un arcipe-lago di isole montuose, concittà fortificate nella parte altadel rilievo, alberi ed animali(un elefante, un leone ed unaquila) al centro. In basso unuomo ignudo su una barca aremi in balia delle onde, forselo stesso Sigismondo.Estrapolata dal suo contesto esemplificata, la cocca diSigismondo continua tuttora anavigare insieme al nome di

Rimini, essendo il logo dell’o-monima provincia, grazieall’idea di Giuseppina Dolci diFano, vincitrice del concorsobandito nel 1995 per indivi-duare il simbolo rappresentati-vo della giovane istituzione.

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ARTE

A R I M I N V M13

MEDITAZIONI di Ivo Gigli

EDOARDO PAZZINILavori primaverili, 1956

Tutto è idillio, una leggerezza di luce e di colore che fa delcampo ove lavorano i contadini con la zappa un luminosogiorno di festa quando la gente, la mattina, guarda calmadalla finestra il mondo e tutto è silenzio; dai lavoranti chininon traspare davvero la fatica, il lavoro in tale contesto èsolo un segno lieve in uno scenario diafano, ridente.

MARCO NERIInalberarsi, 1995

Pare una favola, un bosco nero, da orchi, pregno di misteroe di attese, un guardare di tra gli alberi fitti, neri e laggiùl’ombra appena visi-bile di una casa su diuno sfondo di unceleste crepuscolare.È il bosco di Neri ovela luce è solo un ricor-do, come tenutaocculta in una criptadalla quale balugina,trapela un larvatopresagio, ma di cuinon si ha nostalgiaperchè grande è lavoglia del tenebrorearboreo ove siamoimmersi.

Paesaggio con rematore(foto da P. Delucca -

R. Sanchini in P. G. Pasini, Il Tempio Malatestiano,

Fondazione Cassa di Risparmiodi Rimini,

Skira, 2000, pp. 150-151)

Note1) Si ricordano sinteticamente i contributi più recenti: P. MELDINI - P. G.PASlNI, La cappella dei pianeti nel Tempio Malatestiano, 1983, M. CAMPI-GLI, Luce e marmo: Agostino di Duccio,1999, S. PANDOLFI, I bassorilievidella Cappella dei Pianeti nel Tempio Malatestiano, in “Romagna Arte eStoria”, 1999, C. MUSCOLINO,Il Tempio Malatestiano di Rimini, 2000, P. G.PASINI, Il Tempio Malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico,2000, A. TURCHINI, Il Tempio Malatestiano, Sigismondo Malatesta e LeonBattista Alberti, 2000, M. BERTOZZI, Segni simboli, visioni: Il TempioMalatestiano e i suoi enigmi, in Templum mirabile, Atti del Convegno sulTempio Malatestiano, 2002.2) A. TURCHINI, 2000, p. 288.3) Avanzi del muro dell’antico porto sono visibili nella celebre pianta dell’Arrigoni del 1616; vennero distrutti agli inizi del XIX secolo. L. TON1NI,Guida illustrata di Rimini, 1893, pp. 224-225 (ed. Ghigi, 1995), G. GoBBI- P.SICA, Rimini, Roma-Bari, 1982, p. 534) M. BONINO, L’arte di costruire, in Barche e gente dell’Adriatico. 1400-1900, Bologna, 1985, p. 9.

accontare le sculture didonna, o meglio, “le

spose” di Ugo Riva, di recenteesposte al Grand Hotel diRimini, nella interessantemostra organizzata dallaGalleria Franceschini, significaaddentrarsi – da maschi – nellepieghe occulte dell’universofemminile. Impresa ardua, fati-cosa, per certi versi angosciosa,visto che all’altra “metà delcielo” tributiamo ogni giorno lanostra devozione. Lo scultore sicimenta da sempre con questofardello tematico: la donna,nelle sue varie e molteplici mis-sioni terrene, la donna che “nonè dato naturale” come direbbeSimone de Beauvoir, ma ilrisultato di una storia. Rivasposa questa tesi: non c’è undestino biologico e psicologicoche definisce la donna in quan-to tale. Tale destino è la conse-guenza della storia della civiltàe, per ogni donna, la storia dellasua vita.Nelle sculture che interpretanoquasi sempre un modello didonna, dove la postura e l’abbi-gliamento altro non sono che unpretesto per spogliarla delsuperfluo che la cultura maschi-le e maschilista gli ha fattoindossare, l’artista rappresentaun pianeta di circostanze: ora ildubbio, ora l’attesa, ora la sedu-zione, quasi a voler scrivere unasorta di enciclopedia del femmi-nino che si evolve nel tempo.Attento alla forma, rigido nellasostanza del messaggio, semprecoerente con l’ispirazione fon-damentale, non usa il soggettoma lo spiega, o tenta di spiegar-lo. Certe volte, come in unasplendida scultura di donna dis-cinta, addormentata su un meta-forico carro dei sogni, civettalargamente con l’apoteosi stili-stica rinascimentale. Lo fa fortedi una solida scuola, densa diesercizio, ma piegata con garboalla contemporaneità: le sem-bianze delle spose di Riva

appaiono davvero come figliedelle “Tre Grazie” che noncome delle pedanti imitatrici diun neoclassicismo di maniera.Nella lezione dello scultore c’èevidente l’ammirazione perl’arte nobile, da Raffaello aLeonardo, da Botticelli a

Michelangelo. Certe espressionidei visi, talune posizioniammiccano neanche tanto lar-vatamente a Madonne, a depo-sizioni, a Pietà marmoree diillustre scalpello.Ciò non di meno, riconosciamola buona fede, l’autenticità e la

libertà di pensiero, il gesto arti-stico senza compromessi. UgoRiva, insomma, ci accompagnain un viaggio verso la donna,per avvicinarcela con tutto ilsuo fascino e il suo mistero.Oriana Fallacci, una volta ebbea scrivere nell’indimenticabilelibro “Intervista a un bambinomai nato”, che essere donna èun’avventura che richiedecoraggio, una sfida che nonannoia mai. Nel corso dell’ulti-mo mezzo secolo, le donnehanno mosso passi avantiimportanti riappropriandosi dilarga parte del loro destino.Segni di liberazione sono ovun-que, ma non sufficienti. Rivasembra volerci ricordare adogni istante questo atto incom-piuto. Ciò detto, vale pur sem-pre l’obiettivo dell’artista, chein questo caso, più che mai,affronta la donna come simbolodella bellezza creata. E in questasfida riesce a contemplare nellesue figure ogni sentimento: l’a-more, la fugacità, la sofferenza,l’attesa, la speranza… Questesculture, inoltre, stimolano unaltro sentimento, se si vuolebanale, ma autentico: vienevoglia di possederle. L’idea diportarsi a casa uno di questi per-sonaggi risponde ad una pulsio-ne naturale: l’amore per l’arte ela curiosità per l’ignoto cheessa, talvolta, infonde.Compagne di viaggio, le statuepotrebbero agevolmente posarein un salotto, a fianco di compa-gne, mogli, fidanzate.Controfigure e riflesso dellenostre amate.

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ARTE

A R I M I N V M

SCULTORI RIMINESI / UGO RIVA

I MISTERI DEL PIANETA DONNAGerardo Filiberto Dasi

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R

Ugo Riva,Davanti al mare,bronzo policromo.Sopra: Dolci sogni, bronzo policromo.

medeo, che mi onora dellasua amicizia, mi riceve

seduto nello studiolo di casacon la consueta affabilità.Conosco da tempo quella pic-cola stanza, sede del CentroInternazionale diDocumentazione sulla LineaGotica, accreditato presso leAccademie Militari di mezzomondo, le cui pareti sononascoste dalle centinaia e cen-tinaia di libri, rapporti, volu-mi, dispense, fascicoli pluri-lingue attraverso lo studiometicoloso e sistematico deiquali – e le testimonianzedirette di centinaia di protago-nisti di tutti gli eserciti che vipresero parte- l’amicoProfessore ha distillato l’uni-ca, vera storia attendibile dellaBattaglia di Rimini, quella,per intendersi, che viene piùgeneralmente conosciutacome la battaglia della LineaGotica, attualmente a rischiodi uno scippo storico culturalesul quale il mio illustre inter-locutore ha vivacemente dadire la sua. “Caro Amedeo, haiscritto una dozzina di libri lacui autorevolezza è ricono-sciuta in tutto il mondo, haistudiato per cinquant’anniogni dettaglio della battagliadi Rimini, sei l’unico almondo che ne conosce i piùpiccoli particolari ed i prota-gonisti, reparto per reparto,comandante per comandante;a volte, uomo per uomo. Il tuoultimo lavoro, “Linea Gotica1944” è stato scelto comelibro di testo per AccademieMilitari, ne hai scoperto,primo storico a documentarlo,le recondite ragioni politicheevidentemente scomode perqualcuno. E’ per questo che, aquanto sostieni, si sta tentandodi ‘accreditare’ una storiadiversa da quella vera?”“Caro Gaio (così, per gli

amici), provo una grandeamarezza. Ho impiegato unavita di studio appassionato emeticoloso su tutte le vicendemilitari e politiche collegate oricollegabili alla Battaglia diRimini, e, in coscienza, so per-fettamente –e con me gli stori-ci non intrisi di ideologia- chel’offensiva che condusse allosfondamento della c.d. “Lineagialla”–quella che facevaperno su Rimini, dopo lo sfon-damento della Linea Goticacreata dai Tedeschidall’Adriatico (Pesaro) alTirreno (Massa Carrara) edella successiva linea difensi-va, per quanto riguarda lanostra zona si è svolta in soledue fasi: fra l’agosto ed il set-tembre del 1944 (battaglia diRimini: 25 agosto - 30 settem-bre) e nel ravennate, fino alfiume Senio, dal 1 ottobre al 6gennaio 1945 (battaglia deifiumi), dove l’avanzata siarenò. Fu una battaglia imma-ne, combattuta da 1.200.000uomini supportati da migliaiadi aerei, cannoni, carri arma-

ti. Durò complessivamente135 giorni, dal 25 agosto1944 al 6 gennaio 1945 pro-vocando oltre 200.000 vittime,fra morti, feriti e dispersi.Militarmente –e paradossal-mente- può dirsi che finì inuna sconfitta per l’VIII arma-ta britannica –che ne sostenneprincipalmente il peso- per lamancata collaborazione dellaV Armata Americana -checopriva il settore tirrenico edappenninico- la quale, permotivi controversi (Roosvelt,all’insaputa di Churchill, siera accordato con Stalin perlasciar mano libera al dittato-re comunista nei Balcani: ilche era quanto Churchilltemeva, detestando Stalin ed ilcomunismo, e che volevaimpedire sfondando per tempola linea gotica per dilagarenei Balcani attraversoLubiana, anticipando così learmate sovietiche nella certez-za che, diversamente, avreb-bero solo contribuito a sosti-tuire una dittatura con altracome in effetti poi avvenne),dopo aver sfondato le lineetedesche sul Passo del Giogo,si fermò inspiegabilmente a

Monte Battaglia pur essendoormai libera la strada perBologna, occupata la quale sisarebbero chiuse le truppetedesche in una tenaglia taleda costringerle alla resa ter-minando la guerra, in Italia,otto mesi prima di quanto inrealtà poi avvenne.Politicamente parlando (e lodimostrano i documenti da mepubblicati nel mio ultimolibro) la fine della guerra furitardata dagli americani(s’intende, dai consiglieri filo-stalinisti che attorniavanoRoosvelt, ormai annullatodalla malattia che lo consu-mava) per consentire all’“alleato” Stalin di occuparemezza Europa, sottoponendo-la ad un giogo che si è poiprotratto per mezzo secolo.Spostare l’offensiva dal 1944al 1945, come sta tentando diprospettare la Regione EmiliaRomagna attraverso la realiz-zazione di un circuito turisticoculturale organizzato voltoalla valorizzazione dei luoghidella “linea Gotica” circo-scrivendoli alla sola areabolognese (Pianoro, Loiano,Monzuno, Sasso Marconi,Marzabotto) -per altro versoammirevole iniziativa- signifi-ca però annullarne l’impor-tanza politica; significa morti-ficarla e ridurla ad un sempli-ce combattimento locale,quasi insignificante nell’eco-nomia politico-militare dellaII G M, con gravissimo detri-mento storico-culturale deiComuni che vissero queglieventi primo fra tutti Rimini, -ma penso a Gemmano,Morciano, Montefiore,Tavullia, per citarne soloalcuni), che rischiano di veni-re “scippati” di un evento sto-rico che appartiene invecesolamente a loro e non adaltri”.“Caro Amedeo, mi pare dicapire che pensi al rischio diun falso storico sul qualeimpostare un ennesimo capito-lo di una certa mitologia post-bellica -stante la mancanza di

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IL PUNTO

A R I M I N V M

PARLAAMEDEO MONTEMAGGI, STORICO DELLA BATTAGLIA DI RIMINI

“LA VERA STORIA DELLA LINEA GOTICAE’ SCRITTA NEI MIEI LIBRI!”

Gaetano Rossi

17

A “Qualcuno,

per motivi politici,

tenta di scipparci

il passato”

Carristi Gurka sulle colline

dell’entroterra riminese

Segue a pag. 31

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003A R I M I N V M 18

ignor Casadei mi raccontidella sua prigionia!

E un ricordo triste e terribile.Triste e terribile perché lavivevamo da sconfitti senzasperanza di rivincita e perché,se sul campo di battaglia com-battevamo ad armi pari espesso c’era una sorta dimedesimo, reciproco rispetto,in prigionia eravamo umiliati,in balia degli umori di questoo quel comandante, di questao quella sentinella o dell’ulti-mo degli sguatteri ed a conti-nuo rischio della vita senzapoterci in alcun modo difende-re.A ciò aggiunga la fame, lepunizioni per la minima man-canza o anche solo per purosadismo, le malattie (ameba,congiuntiviti, gastroenteriti,dissenteria erano le più comu-ni e diffuse) spesso deliberata-mente non curate, il lavoroforzato, il clima, gli insetti, ela depressione, per esser lon-tani da casa in momenti in cui,a casa, la guerra continuava amietere vittime, la totale per-dita di cognizione del tempo.Le assicuro che la prigionia èdi gran lunga peggiore dellaguerra. Ti consuma lentamen-te, fisicamente, mentalmente,caratterialmente. Oggi non èneppure immaginabile cosa sipossa provare in quelle condi-zioni, anche se poi ci si adattaa tutto. Pensi che, verso la finedella prigionia, trovammoanche il modo di organizzarepartite di calcio ed io, tantoper ricordare la mia divisione,facevo parte della squadrache si denominava “SquadraSportiva Tricolore”. Sonoriuscito a conservare il “tes-serino” che un nostro commi-litone, ragioniere nella vitacivile, aveva predisposto inbella grafia, con cura, nelNatale del 1943: credo che sia

una rarità, oltre che un pezzodi storia.In quali campi di internamen-to fu tenuto prigioniero?Me li hanno fatti girare un po’tutti, dall’Egitto al Sudan(dove imperversava la mala-ria), alla Palestina al Kenia alSud Africa. I peggiori eranoquelli del Sudan e del SudAfrica, perché fra malattie epunizioni, molti ci rimisero lapelle. Pensi che in Sud Africaho visto il “calabus” o casettarossa, così chiamata per il suo

presentavano la pena minima:o moriva o impazziva o, se sisalvava, aveva rimediato latubercolosi. E ho visto, inSudan, la famosa “collina deldisonore” (come il titolo di unfilm di alcuni anni fa, inter-pretato da Sean Connery):una collina di sabbia, congrande pendenza, a forma dipiramide, che doveva esserrisalita e discesa più volte dalpunito, con una pietra sullespalle. Era una punizioneriservata agli inglesi ma che

fu il più terribile. La genteimpazziva, qualcuno si uccisebuttandosi nelle latrine, altrisi tagliarono le vene. Ci fu unragazzo di ventitrè anni che sievirò con una lametta. Fu unaspecie di epidemia di dispera-zione collettiva cui fu difficilereagire. Ci scosse da quelclima la rivoluzione dei MauMau, che odiavano gli Inglesiil cui colonialismo era bendiverso dal nostro.(Casadei ha ragione; se nedovrebbe ristudiare la storia.Italia più colonizzatrice checolonialista come ha rilevatoaltri; Italia che, fra i primiprovvedimenti dell’Imperoabolì la schiavitù in tutti i terri-tori ove sventolasse il tricolo-re, con grande disappuntodelle vere potenze colonialisteche sulla schiavitù prosperava-no. Sintomatico ricordare unepisodio: Churcill commen-tando i nostri tentativi didiventare una ritardataria mini-potenza coloniale –quello chel’Inghilterra era da secoli inbuona compagnia di Francia,Spagna, Portogallo, Belgio,Olanda- e su cui aveva basatole proprie fortune ma che nontollerava che altri tentasse difare) disse in una pubblicaoccasione: “Ma che strani que-sti Italiani che sbarcano canno-ni e banchi di scuola!” Già, gliInglesi, nelle loro guerre diconquista, ai banchi di scuolanon avevano mai pensato).Una mattina (eravamo in SudAfrica, chissà dove) fummosvegliati da una fucileria infer-

PAGINE DI STORIA

PER NON DIMENTICARE / AFRICA SETTENTRIONALE 1940-1943 (2)

NELLA COLLINA DEL DISONOREMARIO CASADEI: ANEDDOTI DI GUERRAE DI PRIGIONIA

Gaetano Rossi

S

colore, una sorta di piccolacella in muratura, coperta dauna lamiera di metallo. Digiorno si arroventava e dinotte, per l’escursione termi-ca, il freddo diventava insop-portabile. Chi veniva rinchiu-so lì dentro (e bastava unapiccola mancanza, per esem-pio usare più acqua del con-sentito) non arrivava a supe-rare le due settimane che rap-

fu applicata anche a molti pri-gionieri.L’anno fra il 1943 ed il 1944 ➣

1940. Mario Casadei

CI STARETE POCO.... :Carboncino di Luigi Pasquini,

anno XIX. Lo schizzo ricorda quello che ilegionari italiani scrivevano sui

muri delle case in Cirenaica, quando gli Inglesi

la occuparono durante la loro prima avanzata (gennaio-aprile 1941)

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003 A R I M I N V M19

nale; uscimmo dalle nostretende e vedemmo decine dinegri più o meno rozzamentearmati che tentavano di assali-re le sentinelle e ci urlavano:“Italiani liberi! Scappare,scappare!” Quella specie ditentativo di rivoluzione duròdiversi giorni tutto all’intorno,finché arrivarono delle auto-blindo e fu la fine per queipoveri disgraziati.Furono tutti presi e, per giorni,sentimmo sul pianoro il crepi-tare di una mitragliatrice.Poi si seppe, tramite il medicodel campo, che gli inglesi ave-vano fatto scavare un lungofosso e ci allineavano davantii Mau Mau a gruppi e li mitra-gliavano: questo non lo trove-rà scritto in nessun libro distoria, ma noi l’abbiamo vistoe sentito.Né le racconto dei trasferimen-ti, spesso in condizioni disuma-ne. Voglio solo ricordare quel-lo, per mare, fra Kenia e SudAfrica, quando ci rinchiuseroin centinaia, stipati come sar-dine, nelle stive di una navealta e stretta, la Queen ofCanada, che ballava sulle ondein modo assurdo, tanto più chesi era in periodo di monsoni.Può immaginare come si ridu-cevano le stive e come ci ridu-cemmo noi, rinchiusi per gior-ni in quella fossa.

Voglio però aggiungere unparticolare dal quale si puòcapire come gli inglesi avesse-ro un certo rispetto per alcunireparti, forse perché li aveva-no visti combattere e ci stima-vano. Noi prigionieri avevamole nostre povere cose in unsacco di tela che spesso veni-va svuotato per controlli eperquisizioni; ma se sulle cosedel sacco vedevano poggiatoun fez da bersagliere o un ber-retto da alpino, il trattamentoci veniva risparmiato. E’ ben

poca cosa rispetto al resto maa noi sembrava un grande pri-vilegio. Per questo motivosono riuscito a salvare il miofez, che s’è fatto, con me, tuttala campagna d’Africa. E’ uncimelio storico…quasi comeme!E come visse il ritorno a casa?Una grande gioia …dappri-ma. Poi l’amarezza diun’Italia ingiusta eingrata,che non ci voleva nep-pure vedere.Mio padre, vecchio socialista,

era scomparso durante laguerra e mia madre non miaveva quasi più riconosciutoda quanto ero magro.Abbracciandomi forte, fra lelacrime esclamò: “Figlio mio,come ti hanno cambiato!”…“Dentro mi hanno cambia-to” le risposi.Dopo due giorni dal mio arri-vo venne a casa un marescial-lo dei Carabinieri per notifi-carmi una richiesta di paga-mento di 148 lire (di allora)per rimborso, all’UfficioCommissariato delle truppeinglesi di occupazione, delvestiario da me utilizzato inprigionia.Lo considerai veramente ilcolmo! Da allora, tranne checon i miei ex commilitoni nonho più voluto parlare di queitempi, ma voglio ricordare unultimo episodio.Qualche giorno dopo il mioritorno un amico di vecchiadata, imboscato della primaora, patriota dell’ultima, chemi vide per strada, di lontano,mentre passavo sul ponte diTiberio mi gridò: “Dì Luvigi,ta t’arcord ad me? A to lass‘na bela stèca eh ?. Che sim-patico!

PAGINE DI STORIA

I Bersaglieri dell’Ariete

Mario Casadei appoggiato ad un autocarro

Mario Casadei, al centro, con due bersaglieri

Nel sacrario eretto tra le dune di El Alamein

è incisa una frase

pronunciata dal feldmaresciallo Erwin Rommel:

“Il soldato tedesco ha stupito il mondo:

il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco”

ircolano in Italia periodiciredatti da reduci della

Repubblica sociale italiana esostenuti dalle loro associa-zioni d’arma. Sono foglisovente ben fatti, con lo scopodi mantenere viva la memoriadei reparti e dei combattenti,soprattutto di quelli caduti.Essi rappresenterebbero unacospicua fonte di informazionistoriche se fossero più diffusie soprattutto conservati nellebiblioteche. Ma purtroppovanno dispersi ed è difficilereperirli.Un amico mi ha dato copia diun ritaglio, che lui conserva,della Rivista San Marco, “tri-mestrale dell’AssociazioneDivisione fanteria di MarinaSan Marco della RSI”, nelquale si rievoca la vicenda diuna famiglia riminese degnadi essere ricordata.

Scrive Alberto Codecasa suSan Marco(ritaglio privo didata): “La divisione in duedell’Italia, provocata dallaresa dell’8 settembre, si riper-cosse sul destino di moltefamiglie italiane, i cui compo-nenti si trovarono non solomaterialmente divisi dal fron-te di guerra, ma anche schiera-ti su fronti contrapposti.Ognuno di noi ne ricorda qual-cuno, e molti hanno provatopersonalmente tale esperienza.Tra tutte mi sembra esseretipica e degna di memoria lastoria di Edmondo, Carlo,Fausto e Silvano Focaccia.All’8 settembre i primi treerano sotto le armi, Edmondo,del 1919, era militarenell’Aviazione in Sardegna;Carlo, del ‘22, faceva parte delLI Battaglione AllieviUfficiali di Complemento deibersaglieri, che il 5 luglio erastato trasferito da Marostica aPalese, in Puglia. Cosi si tro-

varono a far parte dell’esercitodei Regno del Sud. Faustoinvece faceva parte di un bat-taglione M, e passò nellaGNR; Silvano, dopo l’8 set-tembre 1943, si arruolò volon-tario tra i granatieridell’Esercito NazionaleRepubblicano.Carlo col suo battaglionevenne inquadrato nel PrimoRaggruppamento motorizzato,al comando del generaleDapino, che comprendeva il67° Fanteria, composto da duebattaglioni della “Legnano”ed appunto dal LI battaglioneAUC dei bersaglieri, e l’11°Rgt di artiglieria, già delladivisione “Mantova”’, nonchéreparti minori di genio e servi-zi.Ai primi di dicembre del ‘43 ilRaggruppamento entrò inazione nella zona di MonteLungo, a sud di Cassino, tra i

reparti della 36^ Divisione difanteria americana. L’8 dicem-bre, all’alba, i bersaglieriattaccarono sulle pendici diquota 343, a Monte Lungo, madopo un primo successo ini-ziale, essendo venuto a man-care l’appoggio americano suifianchi degli attaccanti, i ber-saglieri furono sottoposti aduna violenta reazione difuoco, e contrattaccati daitedeschi. Il reparto ebbe 47Caduti, 102 feriti e 151 disper-si. Fra i Caduti vi fu ancheCarlo Focaccia.Il successivo 16 dicembre ibersaglieri, questa voltaaffiancati come previsto dal-l’attacco americano, raggiun-sero gli obiettivi stabiliti.L’elogio più disinteressato aquei soldati italiani, venne dalCapo della RepubblicaSociale Italiana. Informatodell’episodio, Mussolini

dichiarò: -Bene. I bersaglierihanno vinto-. E a chi gli face-va notare che si trattava dimilitari dell’altra parte, rispo-se: -Non importa, sempre ber-saglieri italiani sono-.Al nord, Fausto partecipò alCorso Allievi Ufficiali dellaGuardia NazionaleRepubblicana di Varese.Nell’ottobre del 1944, nelcorso del trasferimento dellaScuola da Varese ad Oderzo,la colonna fu sottoposta adattacco aereo nei dintorni diRezzato, a seguito del qualeFausto morì.Dopo la guerra, Edmondo eSilvano, uniti nel ricordo deifratelli morti sì su due frontiopposti, ma per una sola ideadell’Italia, non ebbero bisognodi rappacificazioni. (Ognunodei due sapeva che l’altroaveva fatto il suo dovere neilimiti che le circostanze gliconsentivano, per salvarequella dignità che la maggiorparte degli italiani aveva ver-gognosamente buttato).Ancora oggi, a distanza di 57anni da quegli avvenimenti,non esiste un luogo comune incui vengano onorati insiemetutti gli italiani caduti nelcorso della seconda guerramondiale”.

Morto anche Edmondo (dimalattia, qualche anno fa), deiquattro fratelli Focaccia rima-ne Silvano, il più giovane,classe 1926. Ancor minoren-ne, dopo la costituzione delpartito fascista repubblicano aRimini, irrequieto com’era,riuscì a litigare con PerindoBuratti (con il quale, fino allasua morte, avrebbe poi conser-vato un rapporto affettuoso),con Paolo Tacchi e con il suovice, Mosca. Insomma, con ivecchi fascisti non si trovava

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

RIMINESI NELLA BUFERA / EDMONDO, CARLO, FAUSTO E SILVANO FOCACCIA

I QUATTRO FRATELLI DI CORIANOSCHIERATI SU FRONTI OPPOSTI MAUNITI PER UNA SOLA IDEADELL’ITALIA

Romano Ricciotti

20

C “Nella nostra famiglia

non vi è mai stata divisione

per il fatto che due di noi erano ‘repubblichini’

e gli altri due ‘badogliani’.

Mai, neppure un pensiero ci divise.

Sapevamo di avere fatto il nostro dovere di italiani,

e ne andavamo fieri,

senza retorica, con grande semplicità

e spirito fraterno”

“Quando il sindaco di Coriano

propose a mia madre una lapide per Carlo,

lei gli rispose che la lapide

si doveva fare anche per Fausto,

oppure non si faceva.

Ma subito ci ripensò e aggiunse:

‘La lapide ce l’ho per conto mio.

Non ho bisogno della vostra’.

La lapide non si fece”

bene, e partì per Milano, dove,dopo una breve e insoddisfa-cente esperienza nella LegioneMuti, approdò al Battaglionegranatieri della GuardiaRepubblicana, detto Ruggineper il colore della divisa.“Fummo addestrati -raccontaSilvano- per essere impiegatial fronte, contro gli Alleati.Ma non ve ne fu il tempo.

Venne presto l’Aprile 1945, ledifese germaniche cedettero egli angloamericani incomin-ciarono a salire la VallePadana, verso Milano. IlBattaglione Ruggine, accam-pato a Vercelli, si avviò, for-mando una colonna con altrireparti delle forze armaterepubblicane, verso laValtellina, per l’ultima difesa.Ma, giunti a Castellazzo diNovara, trovammo gruppi di

partigiani con i quali, percontinuare nella nostra mar-cia, avremmo dovuto impe-gnare combattimenti. Noifacevamo paura, perché era-vamo duemilacinquecentocirca, tutti bene armati e dis-posti anche al sacrificio. Ma inostri comandanti, dopo unatrattativa propiziata da unparroco, decisero, contro lavolontà di molti di noi, dideporre le armi, per evitarespargimento di sangue italia-no a guerra ormai finita.Fummo rinchiusi nello stadiosportivo. Ogni giorno i parti-giani prelevavano alcuni dinoi e li fucilavano. Gli uominidi Moranino ne prelevarono euccisero barbaramente più dicinquanta in una sola volta.Poi gli americani ci caricaro-no su autocarri per condurcial campo di concentramentodi Coltano.Nei pressi di Porretta, eranotte, approfittai di una curvadella strada, per gettarmi dal-

l’autocarro. E poi, a piedi,arrivai a Cesena, dove fuiaccolto da uno zio. Nella suacasa trovai mio padre, il qualemi diede la notizia, che io non

conoscevo, della morte diCarlo. Io dovetti dargli quella,che lui ignorava, della mortedi Fausto.Rientrato a Coriano, doveabitava la mia famiglia mipresentai al Comitato diLiberazione Nazionale. Fuimesso subito in prigione,prima nella Rocca di

Santarcangelo e poi nellaRocca di Rimini. Non mi furo-no contestate accuse. Non homai avuto notizia di un proce-dimento penale a mio carico.Dopo sei mesi fui rimesso inlibertà. Potei riabbracciareEdmondo, che nel frattempoera tornato.Nella nostra famiglia non vi èmai stata divisione per il fattoche due di noi erano ‘repub-blichini’ e gli altri due ‘bado-gliani’. Mai, neppure un pen-siero ci divise. Sapevamo diavere fatto il nostro dovere diitaliani, e ne andavamo fieri,senza retorica, con grandesemplicità e spirito fraterno.Quando il sindaco di Corianopropose a mia madre una lapi-de per Carlo, lei gli risposeche la lapide si doveva fareanche per Fausto, oppure nonsi faceva. Ma subito ci ripensòe aggiunse: ‘La lapide ce l’hoper conto mio. Non ho bisognodella vostra’. La lapide non sifece.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M21

Marostica, 16 giugno 1943 – XX. Da sini-stra: Carlo, Edmondo e Fausto Focaccia.Carlo, del LI Battaglione Allievi Ufficiali diComplemento dei Bersaglieri, dopo l’8 set-tembre 1943 si trovò inquadrato nell’eserci-to del Regno del Sud, tra i reparti della 36^Divisione di fanteria americana (morì l’8dicembre del ’43 a Monte Lungo una locali-tà a sud di Cassino). Edmondo, militaredell’Aviazione in Sardegna, si trovò inseritonell’esercito del Regno del Sud. Fausto, delbattaglione M, passò alla Guardia

Nazionale Repubblicana (morì nell’ottobredel 1944, durante un attacco aereo alleato,nei dintorni di Rezzato).Silvano, il più giovane dei fratelli (all’epocadella foto aveva 17 anni), dopo l’armistiziocorse ad indossare la divisa militare dellaRepubblica Sociale Italiana.Sul retro della foto: Marostica 16 giugno1943 – XX. Alla mamma e al babbo perché,guardandoci, ci ricordino con un po’ diorgoglio e ci ritengano sempre a loro vicinicol nostro affetto e con la nostra devozione.

“...trovai mio padre,

il quale

mi diede la notizia,

che io non conoscevo,

della morte di Carlo.

Io dovetti dargli quella,

che lui ignorava,

della morte di Fausto.

Rientrato a Coriano,

dove abitava

la mia famiglia,

mi presentai al Comitato

di Liberazione

Nazionale.

Fui messo

subito in prigione,

prima nella Rocca

di Santarcangelo

e poi nella Rocca

di Rimini...”

“Perché non pensare

ad un luogo comune

in cui vengano

onorati insieme

tutti gli italiani

caduti nel corso

della seconda

guerra mondiale?”

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003A R I M I N V M 22

TRA CRONACA E STORIA

ella discussione conVeniero Accreman l’in-

tellettuale Galvano DellaVolpe aveva rivelato la grandeverità, che con i soli intellet-tuali non si fanno i partiti per-chè l’ideologia vive solo setrova gli uomini comuni chenel campo operativo la serva-no con fede e umiltà e lasostengano con tutto se stessi,pronti fino all’estremo sacrifi-cio. La mente non vale senza ilbraccio che la realizzi. Unproletario che scende sul terre-no della lotta e rischia la vita,magari attaccando dei manife-sti, è più utile ad un partito dicento intellettuali chiusi nelleloro torri d’avorio. (L’esempiodello squagliamento delPartito d’Azione, un esercitodi generali intellettuali senzasoldati proletari, è probante).D’altra parte il parrucchiereDecio Mercanti, citato daGalvano, non era solo il sem-plice parrucchiere conosciutocol nome di “Alfredo” ma erail proletario “Luigi”, un com-battente antifascista che avevadedicato la vita al comunismoe per oltre vent’anni aveva sfi-dato l’esilio, le polizie e le car-ceri di Francia, Belgio,Svizzera e subìto il carcerefascista. Se Galvano si consi-derava la mente, per lui Decioera il braccio. Senza cheGalvano forse lo immaginas-se, confrontare un sempliceintellettuale ad un antifascistacome Decio era fargli involon-tariamente un complimento.(A questo punto mi si permet-ta un ricordo personale. Deciomi introdusse nella lotta anti-fascista e fino alla sua mortefui legato a lui da un sinceroaffetto. Da lui appresi comeparlare ai proletari, comeacquistarsene la fiducia, comevivere fra di loro, pensarecome loro, lavorare come loro

e non dare l’impressione di“degnarsi di scendere” fra diloro. Le sue indicazionisosterranno la mia propagandadi sensibilizzazione antifasci-sta nelle campagne di S.Giovanni in Galilea, nelComune di Borghi, quandoper un anno vissi la vita ed illavoro di un contadino, comericordano ancora nitidamentele mie mani segnate e la miaschiena talvolta dolorante).Della “Libertà comunista” diGalvano scrissi a macchinagiorno per giorno la trentina dipagine della prima esposizio-ne sinottica. Alla fine egli mene consegnò una copia chefirmò in calce, con tono disentita gravità. “Conservalacon la mia firma”, mi racco-mandò, convinto. “Un giornoavrà un grande valore”.(Purtroppo la persi nellasequela di bombardamenti e difughe in montagna).Quell’opera intendeva essereun testo fondamentale per ilcomunismo, di cui esaltava laliberazione della personaumana attraverso lo stakhano-vismo e la giustizia sociale.Stakhanov, l’uomo che lavorail doppio dei suoi compagni,

doveva essere il modello del-l’uomo nuovo comunista, checrea una nuova società per ilbenessere dell’umanità e checosciente di ciò proprio inquesta coscienza avrebbe tro-vato la sua libertà. (A dire laverità mi pareva piuttosto stra-no che per liberare un uomodallo sfruttamento capitalistalo si costringesse a lavorare ildoppio - soprattutto se a direqueste cose era un intellettualele cui dita sottili ed affusolatenon avevano mai conosciutol’onta di un utensile di lavoro.Ma io evidentemente non sonoun filosofo). Nel 1968, allasua morte, nel lungo telegram-ma di condoglianze inviatoalla famiglia l’allora segreta-rio del PCI, Luigi Longo, met-teva in rilievo fra tutta l’operadella volpiana, proprio queglistudi sul contrasto “fra libera-lismo o libertà senza ugua-glianza e socialismo o libertàcon giustizia sociale”.Sulle concezioni espressedalla “Libertà comunista” leopinioni dei colleghi filosofisono varie. Chi le critica,come il discepolo LucioColletti, chi le esalta comeAntonio Gnoli, che sul quoti-diano “Repubblica”, presen-tando l’ultimo volume suGalvano (“Galvano DellaVolpe, un altro marxismo”),afferma che egli “è stato ilsolo teorico del marxismo cheabbia dato vita a una scuola icui tratti sono ancora oggiriconoscibili”.Galvano sosteneva che lalibertà degenera nella arbitra-rietà che favorisce i ricchi ed ipotenti mentre la uguaglianzasarebbe la libertà di tutti. “Iodarò le basi veramente filoso-fiche al comunismo, afferma-va con convinzione. Qualcunodi noi lo considerava allora unpo’ esaltato e diceva che più di

lui avevano ragione i compa-gni dirigenti del ‘partito’.D’altronde era logico che il‘partito’ non vedesse troppo dibuon occhio un uomo scomo-do come lui (in seguito pole-mizzerà perfino con Togliatti)e non avesse voluto tesserarlo:o perchè propugnava la neces-sità di una continua rivoluzio-ne, una rivoluzione permanen-te alla Trotsky, o perchè que-sto apostolo del collettivismoera l’uomo di gran lunga piùindividualista che a noi fossestato dato di vedere e conosce-re. Oggi non sono lontano dalsospettare che la visita che glifece il professore bologneseAntonio Meluschi, un uomo dipartito, marito della scrittriceRenata Viganò (l’autrice di“E. l’Agnese va a morire...”),fosse in relazione con questadiffidenza.A settembre inoltrato, nonpotendo tornare a Messina siritirò presso Lugo. Ritornò aRimini in ottobre, quandoMussolini era già stato rimes-so al potere da Hitler, ed allog-giò a casa mia suscitando ilpiù grande allarme in miamadre già vivamente impres-sionata per i libri di HenriBarbusse (“Il fuoco dell’abis-so”) e di Lenin (“Stato e rivo-luzione”), prestatemi da BrunoToni e da Gianni Baldinini.Sospettava che la presenza diun tale personaggio politicoavrebbe potuto costarmi moltocara, tanto più che ai primi disettembre avevo spedito al

ANTIFASCISMO RIMINESE (3)

PER GALVANO DELLA VOLPE“UN PROLETARIO VALE 100 INTELLETTUALI”

Amedeo Montemaggi

N

Galvano Della Volpe

“Un proletario

che scende

sul terreno della lotta

e rischia la vita,

magari attaccando

dei manifesti,

è più utile ad un partito

di cento intellettuali

chiusi

nelle loro torri

d’avorio”

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003 A R I M I N V M23

comporre la bandiera nazionaleattese l’inevitabile, secondolui, intervento della polizia.Visto che nulla era successo,presa carta e penna, il 23 feb-braio indirizzò una lettera alCommissario Straordinario,Cardinale Albani, per infor-marlo “dello spirito di questisconsigliati, che non cessanoancora di nutrirsi di speranzerigeneranti”.Lo Zavagli non si preoccupavaa vuoto. Se si trattava di un ten-tativo di sommossa, il luogo

scelto per iniziarla era ilpiù idoneo.

Nell’ottocento il teatro, soprat-tutto d’opera, era il punto d’in-contro di tutte le classi sociali eassorbiva la maggior partedella vita collettiva della città.Oltre ad essere un luogo didivertimento era anche il salot-to cittadino, dove si discutevadelle novità del giorno, dellavita cittadina e nazionale.Proprio in quegli anni la recitade “La muta di Portici” scate-nava a Bruxelles l’insurrezioneche avrebbe portato all’indi-pendenza del Belgiodall’Olanda.L’Albani chiese spiegazioni alGovernatore Antimi, un fun-zionario simile al sottoprefetto,il quale rispose il 5 aprile con-

TRA CRONACA E STORIA

Resto del Carlino,a Bologna,un articolo sugli amori riviera-schi di “Ben” con Claretta(Benito Mussolini e ClarettaPetacci), incurante del mottoallora vigente, “Chi si firma èperduto”. (E difatti quell’arti-colo incauto a fine ottobre mifarà licenziare dal nuovo diret-tore fascista Giorgio Pini).Data la situazione d’emergen-za, con il fallimento dell’of-fensiva della Linea Gotica e lostabilirsi della linea del frontesul fiume Senio, non poteiandare a trovarlo a Lugo.Non lo rividi più fino a che laguerra non terminò ed io ripre-si avventurosamente gli studiuniversitari a Bologna.Abitava in un appartamentonel vicolo del Cane, dietro SanPetronio. A casa sua conobbidiversi personaggi delCUMER, il Comando UnicoMilitare Emilia-Romagna, fracui il famoso “Dario”, il

comunista livornese IlioBarontini che nel periodo frale due guerre era stato in esilioin Francia, Russia e Spagna eperfino in Etiopia, ove avevacombattuto il fascismo. Avevapoi organizzato la resistenzain Francia, a Parigi eMarsiglia, ed infine in Italia.Con Galvano mi propose diandare a Roma, alla sede cen-trale del ‘partito’.Per le mie circostanze familia-ri non se ne fece niente equando Galvano tornò aRimini, nel 1946 per una con-ferenza pre-elettorale sul temadella sua “Libertà comunista”,le nostre vie erano ormaidistinte.

imini, carnevale del 1832,21 febbraio. Il teatro è

gremito in ogni ordine di posti.Si rappresenta “L’esule diRoma” ed è la serata di benefi-cio a favore del tenore, secon-do l’uso ottocentesco che pre-vede la devoluzione dell’incas-so di una serata a favore di unoo più degli interpreti.La recita procede bene, il pub-blico segue incantato. I sosteni-tori del tenore, un talOstacchini, in preda ad unentusiasmo incontenibile,interrompono la rappresen-tazione con applausi scro-scianti ad ogni occasione.A metà della recita dalloggione cade in platea“un copioso numero dimotti Poetici a lodedel Tenore, in unottavo di Carta,bianco, rosso e verde”. Lapioggia estemporanea non pro-voca alcun rumore e solo aspettacolo terminato ci siaccorse per caso che accostan-do i biglietti si poteva compor-re la bandiera “Costituzionale”.Ma, o perché il pubblico nondà segno di accorgersene, operché i sonetti poetici sonostampati anche su foglietti tur-chini, gialli e arancioni, leautorità di polizia non dannoseguito alla cosa.E’ da considerare che lo scon-tro delle Celle era dell’annoprima e che da appena unmese, con la battaglia delMonte di Cesena, si era conclu-so l’episodio rivoluzionarioche stava per costare lo Stato alPapa.Ma c’è sempre un oltranzistache vigila, insoddisfatto delcomportamento dell’apparatorepressivo, giudicato troppoaccomodante. Ercole Zavagli,suddito fedele e futuro capita-no dei Volontari Pontifici, pre-sente in sala, accortosi cheunendo i foglietti si poteva

fermando l’episodio e spiegan-do di aver creduto bene “di dis-simulare, onde non spargerenel Pubblico un allarme per unoggetto, che non ha promossoverun entusiasmo e che non èstato conosciuto se non chetardi, e solo dopo che si è potu-to per accidentalità riunire limedesimi tre fogli ogniuno diessi di diverso colore”. IlCommissario Straordinario,timoroso di un riaccendersi delfuoco rivoluzionario, ordinòall’Antimi di svolgere discreteindagini e questi naturalmenteobbedì. Scoprì che i fogli eranousciti dalla tipografia diDomenico Grandi la cui libre-ria era frequentata dai liberali. Icommittenti erano stati

Giuseppe Corsi e AntonioClini, l’autore delle poe-sie l’avvocato DomenicoMissiroli, ma che “su diesse non cade eccezio-ne, mentre furono inantecedenza sotto-poste alla debitarevisione, e non

presentarono motivo dicensura”. Insomma tantochiasso per nulla o quasi.L’episodio era da considerarsidel tutto accidentale, avendo lostampatore usato colori diversisolo per rendere, a suo dire, piùspettacolare la caduta deivolantini dal loggione.L’Antimi il 12 aprile, a conclu-sioni delle indagini, “trattan-dosi di affare quasi affattosopito, e non chiaramente allu-sivo ad emblema costituziona-le”, consigliò il Cardinale dilasciar cadere la cosa.L’Albani, che ha lasciato di sèuna fama di feroce reazionario,e forse lo era, ma che non erainvece uno sprovveduto,accondiscese, vanificando lesperanze, se mai c’erano state,di chi avrebbe voluto riaccen-dere la fiamma rivoluzionaria.

NOTERELLE RIMINESI DELL’OTTOCENTO

UNA SERAALL’OPERAArturo Menghi Sartorio

R

“Galvano sosteneva

che la libertà

degenera

nella arbitrarietà

che favorisce i ricchi

ed i potenti

mentre la uguaglianza

sarebbe la libertà

di tutti”Due volantini

lanciati dal loggione

uesta è l’affascinante etriste storia di Girolamo

Cantelli (1884-1951) secondoe ultimo membro del ramoriminese della nobile famigliaoriginaria di Parma. Colui chefu per diritto d’importanza,l’unico signore che negli annia cavallo tra la Prima e laSeconda Guerra, poté essereconsiderato il vero Conte diCovignano. Ricchissimo, dibell’aspetto e animo gentile,amato e rispettato da tutti,ebbe forse il cruccio di nontrovare mai una degna compa-gna di vita; sicuramente l’a-marezza di veder distruggereil sogno e l’impegno di unavita.Girolamo nacque nel 1884 aParma -anno in cui morì ilcelebre nonno paterno mini-stro dello Stato Italiano, di cuiprese il nome- frutto dell’u-nione tra il conte Antonio eRosita Bacigalupo di Genova.Scomparso prematuramente ilconte Antonio, la moglie e ilfiglio si trasferirono definiti-vamente a Rimini nei primidel ‘900.Proveniente da una famigliad’antiche origini nobiliari,proprietaria di un patrimoniodal valore inestimabile,Girolamo visse praticamentetutta la vita negli amati posse-dimenti riminesi, acquistatidal padre dai lotti un tempoappartenuti alle famiglieValloni e Rastelli e successi-vamente ingranditi dal figlio,il quale trasformò la tenuta sulCovignano, comprendentenumerose ville, casolari e ter-reni agricoli, in una grande efiorente azienda dove si colti-vavano soprattutto la vite el’ulivo e dove vi lavoravanotutti quelli della zona. Non perniente, i suoi diciotto poderivenivano chiamati dalla gentedel luogo “le vigne delSignore” e il paragone era ben

azzeccato, visto che il conteCantelli dava lavoro e sosten-tamento agli abitanti di tutti ighetti del colle: Castlaz,Mavos, Grotta Rossa... e nonsolo. Talvolta, quando si reca-va in città, arruolava disgra-ziati e vagabondi e li portava alavorare nelle sue terre.Proprietà saggiamente ammi-nistrate anche grazie all’aiutodel fido sovrintendente MarioFabbri detto Zano. Un altro diquelli che non rifiutava mai untetto e del lavoro a qualcunoed era temuto e rispettatoquanto il conte, tant’è veroche quando i contadini vede-vano avvicinarsi il primoesclamavano in codice: “U iéla nebbia!” mentre per ilsecondo “E piòv!”. Figlio delgiardiniere Taplà, sovrinten-dente del conte Girolamo sinda quando aveva poco più divent’anni, Zano era cresciutoa villa Cantelli e con lui la suafamiglia, la quale occupandosisoprattutto del giardino, dimo-rò nelle case attigue alla pro-prietà come quella che si puòancora vedere in stato d’ab-bandono sulla strada primadella villa, venendo dalCastellaccio. La servitù e glieventuali ospiti potevanorisiedere nella villa a fianco a

quella padronale, l’ottocente-sca ex Villa Rastelli, tuttoraesistente e di proprietà dellafamiglia Patacconi.I conti Cantelli abitarono sem-pre e solo nella villa più anti-ca, l’adiacente oggi completa-mente scomparsa cinquecen-tesca ex Villa Valloni; mentregli altri dipendenti del conteoccuparono le varie proprietàCantelli, sistemati o in casecontadine o in dimore signori-li, come la Villa Tancia-Francolini (dove sorse “LaMecca”) o il casolare di SanFortunato, ex convento deiFrati Olivetani.Girolamo rimase sempremolto legato alla madre versocui nutriva una forma di timo-roso rispetto e affettuosa sog-gezione, fin quando morìanche lei e il conte rimasesolo. C’è chi racconta di aver-lo sentito uscire all’alba pian-gente per parecchi giorni dopola morte della madre, ma c’èchi ricorda la contessa comeuna donna temibile, generosasì, ma soprattutto severa edesigente, sia col figlio, sia coni dipendenti, sia coi figli diquesti. Dai primi esigeva tuttele sere il resoconto della gior-nata e dei guadagni, ai secondicontrollava igiene e compiti

scolastici. Dopo la scomparsadella contessa, a fare le veci dipadrona di casa e ad occuparsidei marmocchi fu la giovanefiglia adottiva del conteGirolamo. Nata da una fami-glia contadina di QuattroCastella, altro possedimentodel Cantelli nel reggiano,Giovanna fu cresciuta daGirolamo nella sua casa eamata come una figlia e forsepiù. Bella e appassionata(dicono assomigliasse a SofiaLoren), pare che la giovanefiglioccia abbia fatto perderela testa al maturo e compassa-to conte Cantelli, partito ambi-to dalle riminesi più in vista aquei tempi. Adocchiato dallerampolle di famiglie comeTorlonia e Serpieri, fu purecorteggiato da Finetta Tacchi,sorella del Segretario delFascio di Rimini, la qualesembra non accettò di buongrado il rifiuto del conte... Si dice che una delle pochevolte in cui il conte indossò lasua divisa da gerarca fascistafu per salvare alcuni suoidipendenti ricercati dai tede-schi. Un uomo tutto d’unpezzo, gentile e signorile, cuipiacevano le donne, ma chedecise di rimanere sempre dis-taccato dal gentil sesso edignitosamente scapolo; forsea causa di un problema d’im-potenza causato da una malat-tia trascurata in giovane età.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

STORIA E STORIE

A R I M I N V M

ALLA SCOPERTA DI…

L’ULTIMO CONTE CANTELLI DI COVIGNANOLara Fabbri

24

Q

Il conte Girolamo Cantelli

di Covignano

Antica piantadella proprietàCantelli

Chissà, forse Girolamo in cuorsuo sognò di poter amare di unamore appassionato, o forsesperò solo di poter esseregenerosamente, romantica-mente contraccambiato...magari proprio da quella bellafanciulla per la quale avevafatto tanto e che invece nel1950 sposò il figlio di uno deicontadini, con il benestare delconte che donò loro una bellacasa nel Borgo San Giovanni.Tra i dipendenti fissi del conteCantelli oltre a Zanoe a tuttala famiglia Fabbri, vi erano ilfattore Soci, il cantiniere altroFabbri e l’autista Gino, i con-tadini Flippoune Castiglioun,la servitù, tra cui la cuocaRosa ad Cuciareine tanti altriche è impossibile nominare.Questo bell’esempio di vitarurale condotta dal conteCantelli, durò fino all’iniziodella Seconda Guerra, porta-trice di morte e distruzione intutta Rimini e dintorni. Ilconte durante il conflitto siallontanò da Covignano persfuggire ai bombardamenti econtrollare meglio proprietà eaffari sparsi per il paese, tra iquali quote della Pirelli edell’Acquedotto Bolognese.Rifugiatosi nella sua casa diQuattro Castella, al ritornotrovò tanta disperazione edistruzione: amici e dipenden-ti scomparsi, case e possedi-menti rovinati. La cinquecen-tesca dimora dei Cantelli furasa al suolo. Di questa casa ilconte e i suoi, riuscirono a sal-vare alcuni pezzi architettonicicome lo scalone poi impianta-to all’entrata dell’attuale villa,alcuni stucchi, parti di colonnee una bella statua di Madonnaattribuita al Canova, dono dinozze alla contessa madre,nuovamente posta nel saloned’ingresso. Le numeroseopere d’arte e i bellissimimobili antichi che adornavanola vecchia villa, andarono per-duti. Sotto lo scalone d’ingres-so si dipanava una grandegrotta con cunicoli, usataprima come cantina per lenumerose bottiglie di vino

(più di tremila, trafugate daitedeschi) e poi come rifugioper gli abitanti durante i bom-bardamenti. Oggi è l’unicoambiente superstite dell’anticadimora dei conti ed è usatacome ripostiglio dagli attualiproprietari della tenuta.Davanti a tutte quelle macerie,Girolamo cercò di non abbat-tersi e di rimediare ai danni,ma non andò mai ad abitarenell’altra villa. Il conte si tra-sferì nella vicina casa del con-tadino Castiglioune la fami-glia di Zanosu a S. Fortunato.A quei tempi il conte avevagià più di sessant’anni e unasalute non più florida. Il rovi-noso stato delle sue terre diCovignano lo colpì molto eminò il suo animo di gentiluo-mo. Passò gli ultimi anni dellasua vita a cercare di rimetterein sesto l’azienda agricola,

con l’aiuto dei dipendentiaffezionati e del giovane figliodi un cugino scomparso, ilconte Gianni di Parma, il gio-vane prescelto da Girolamocome suo erede. In realtà leeredi dirette per successioneerano delle cugine di Modena,figlie del fratello maggiore disuo padre, il conte Giacomo. Ibeni di questo conte Cantellisarebbero stati divisi tra lacontessa Isabella e sua sorellaadottiva: sarebbe stata propriolei ad ereditare la proprietà neiprimi Anni Cinquanta, dopo lascomparsa del conte; mentresecondo il volere del Cantelli,la proprietà riminese dovevapassare nelle mani del conteGianni, da cui se ne era fattopromettere la continuità.Girolamo fece testamentodavanti al miglior amico, ilconte Francesco Zavagli, ma

non lo firmò: firmarlo per luiequivaleva a firmare la propriacondanna a morte. Zavagli erad’accordo per portare a com-pimento l’atto nel momentoestremo, davanti ad un notaio,ma non fu avvisato in tempodagli ignari servitori del conte,i quali assieme al fido Mario eal fratello Antonio, soccorseroe vegliarono il conte nelle sueultime ore di vita. L’amicoarrivò solo dopo il decesso etutto andò perduto.Questa fu la fine dell’eraCantelli a Covignano, perchégli ultimi eredi, i tre figli dellaCantelli in Guidotti, si disinte-ressarono di questo bene e lovendettero per realizzare capi-tale.Qualcuno pensa che Cantellimorì per la pena di aver vistola sua bella tenuta mutilatadalla furia devastatrice dellaguerra e per la perdita dei “beitempi andati”, qualcun altroche se n’andò distrutto daldolore per la perdita dell’unicadonna che ebbe il coraggiod’amare, anche se in silenzio.Qualsiasi fu il motivo scate-nante, Girolamo ultimo conteCantelli di Covignano, morìper un attacco di trombosi asoli sessantasette anni nel feb-braio del 1951. Chiuse gliocchi nella casa di uno di queicontadini che tanto gli dove-vano, assistito dalle personeche tanto lo avevano amato erispettato, anche se spessoaveva impedito loro di studia-re per paura che abbandonas-sero la terra.Ancora oggi, il bellissimogiardino all’italiana della villaappartenuta ai conti Cantelli,continua a colpire la vista dicoloro che passano per queltratto della Via Castellaccio aCovignano. Forse d’ora in poi,tutti quelli che passeranno dilà, penseranno un po’ al“Signor Conte”, e magarivedranno la figura di un uomoalto e imponente dall’aspettoaristocratico e lo sguardo tri-ste, aggirarsi tra quegli alberi equelle statue che non gliappartengono più.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

STORIA E STORIE

A R I M I N V M25

La Villa Cantelli oggi di proprietà

Patacconi

La Villa Cantelli prima di essere distrutta dalla guerra.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003A R I M I N V M 26

ietro al TempioMalatestiano si trova, ma

ancora per poco, il più anticomonumento della città diAriminum; parliamo del forni-ce sopravvissuto della portagemina Montanara che erarimasto incorporato in unpalazzo in fondo alla viaGaribaldi e ritornato alla lucedopo quasi duemila anni inseguito ai bombardamenti del-l’ultimo conflitto mondiale. Siporrà termine infatti all’attualesistemazione perché è statodato il via ai lavori per il ripo-sizionamento dell’arco vicinoalla sua ubicazione primitiva,una collocazione atta a dare ilgiusto valore a questa testimo-nianza dell’Ariminum Tardo-repubblicana; tale interventoverrà sponsorizzato anche dalRotary Club Rimini nel suoprogramma di service rivoltoalla nostra città. Poiché tantesono state le circostanze in cuisi è scritto di questa porta, rite-niamo che in questa occasionesia sufficiente ricordare sola-mente i momenti salienti dellasua storia. Fino dai primi tempi delladominazione romana Ariminumera cinta sicuramente da muradifensive essendo una coloniastanziata nel cuore di un territo-rio in larga misura ancora ostile.Dopo l’82 a. C. quando …cosìcaduta a tradimento questacittà in potere di Silla fu sog-getta agli effetti funesti dell’iraferoce di lui, e quindi misera-mente saccheggiata e gua-sta…, fu necessario rafforzaree ricostruire le mura e a quelmomento viene ricondotto ilrifacimento dell’ignoto accessoa sud della città con la cosid-detta “porta Meridionale” che ègiunta fino a noi; struttura adue fornici di pietra con archiciascuno con doppio giro dicunei, del diametro di tre metrie mezzo circa e alti quasi sei,

occupava frontalmente unospazio di dodici metri e mezzo.Fra il I e il II secolo d. C. nellaporta gemina, che era rimastainterrata per l’innalzamento delpiano della città, fu necessariorimuovere la volta dell’arco didestra per costruirne una nuovapiù elevata con una sola ghieradi cunei, da utilizzarsi comeporta urbica, mentre l’arco disinistra venne sbarrato. Nel1085 la porta Meridionale, chesi trovava in fondo al cardo

maximus, era già chiamata diSant’Andrea dal nome dellachiesa dei Santi Donato eAndrea edificata nel sec. Vnelle sue vicinanze e demolitapoi nel ‘400. Quando la cittàdivenne Comune e fu iniziatala costruzione di una nuovacinta muraria in laterizio, cheterminata dai Malatesta risultòalla fine più ampia rispettoall’antico tracciato, alcunedelle sue nuove porte urbanepresero il nome di quelle vici-ne di epoca romana; si ebbecosì all’esterno, nel murusnovus civitatis, la porta nuovadi Sant’Andrea. Al di sopra eai lati della porta antica erastato edificato il cosiddetto“Palazzo Antico dei

Malatesti” entro le cantine delquale rimase incorporato ilfornice chiuso. Nel 1796 letruppe francesi calarono inItalia e invasero lo StatoPontificio e anche Rimini chene faceva parte; come conse-guenza l’anno dopo vennerosoppresse molte corporazionireligiose “…e un’altra novitàsi fece a Rimini, e fu di cam-biare il nome alle porte dellaCittà… e con ciò furono tolti ivocaboli dè Santi, coi quali damolti secoli erano conosciu-te…quella di S. Andrea, checonduce ai monti, fu dettaMontanara. Sappiamo che nel1845 il nostro storico LuigiTonini ebbe il permesso di fareuno scavo archeologico nel-l’arco rimasto incorporato nel-l’antico palazzo; la sua rela-zione ha consentito di forniretutte le notizie riguardanti lastruttura completa della porta.Bollettino dei bombardamentidel 27 marzo 1944:Ieri 26…Alle 12,30 diciotto apparecchitipo Liberator hanno sgancia-to bombe dirompenti di grossocalibro…Evidentemente, ilnemico cerca di colpire alcuore quel che era rimastodella vita della Città… I dannisono gravi… colpito l’arcomedievale, ricostruito su basie fianchi romani, di PortaMontanara… Quel fornice,anche se molto danneggiato,era rimasto ancora in piedi,mentre il secondo, liberatodalle macerie dell’edificioentro cui era rimasto nascosto,rivide finalmente la luce. Fupoco dopo il passaggio delfronte che l’arco posto sullavia Garibaldi venne purtroppodemolito completamente perconsentire il transito dei mezzipesanti. Il piano di amplia-mento della viabilità prevede-va lo smontaggio e il trasferi-mento del fornice sopravvis-suto, cosa che avvenne nel1950 portandolo di fianco altempio Malatestiano, vicino airuderi dell’ex PinacotecaCivica. In seguito a una con-troversia fra il Comune di

DENTRO LA STORIA

LA RIMINI CHE NON C’E’ PIÙ

IL RITORNO DI PORTAMONTANARAArnaldo Pedrazzi

D

La Porta Montanara dopo gli effetti

dei bombardamenti alleati

“Sarà riposizionata

all’altezza

della fontanella

della piazzetta

in angolo

con via Contenti”

VernocchiPROFESSIONALITÀ ED ESPERIENZA DAL 1968CONCESSIONARIA FORD

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SETTEMBRE-OTTOBRE 2003 A R I M I N V M31

Rimini e la Curia, per delimi-tare l’area di proprietà comu-nale da quella vescovile vennealzato un muro che passò pro-prio sotto l’arco. Ne seguì cosìnel 1979 un nuovo spostamen-to, che è quello attuale, nell’a-rea del parcheggio dietro alDuomo.Data l’impossibilità dellaapplicazione del principio delripristino filologico per lanuova collocazione in quantoil sedime originario è occupa-

to da un condominio, la portaMontanara, il cui fornice sullavia Garibaldi era situato pocoa monte dell’incrocio con viaBonsi, sarà riposizionataall’altezza della fontanelladella piazzetta in angolo convia Contenti. Come completa-mento virtuale della porta cisarà la costruzione, con ele-menti metallici sottili, dellasagoma dell’altro fornice chesarà posta sulla piazzetta stes-sa; questa nuova struttura con-sentirà di portare in posizioneoriginaria anche alcuni concidi pietre che risultano elemen-

partecipazione ‘partigiana’ alla battaglia di Rimini, al contrariodel ruolo ricoperto nella liberazione di Bologna- che sarebbeinvece bene depurare da invenzioni controproducenti restituen-dola alla realtà dei fatti?” “Credo che tu abbia visto giusto. Anche io ritengo che una visio-ne più veritiera ed onesta della storia restituirebbe più integradignità a chi dignità di combattente meritò. Ma certi atteggia-menti sono duri a morire. Ad ogni buon conto ho inviato una let-tera circolare ai Comuni della ‘Fascia Gotica’ nella quale invi-to gli Amministratori locali a rivendicare la verità del periodopiù tragico della loro storia millenaria rifiutandosi di ricoprireruoli di ‘tappezzeria’ quale quello che gli ‘esperti’ messi in

campo dalla Regione avrebbero destinato a Rimini (che dà ilnome alla battaglia!), ‘rifare la pavimentazione attorno ad uncannone!’. In quest’ottica si inquadra l’abbandono colpevole delCannone d’assalto M42 Ansaldo, dissotterrato in prossimità delDeviatore del Marecchia, che sta finendo di deteriorarsi nell’in-curia e nell’indifferenza generale in un deposito dei VigiliUrbani. So che l’Associazione ARIES sta per promuovere un’ini-ziativa per stimolare il recupero del rarissimo cimelio della bat-taglia, che avverrebbe per di più a spese private. C’è da augu-rarsi che gli Amministratori locali si dimostrino più sensibili allaverità storica -che va difesa anche in vista di un ritorno d’imma-gine ed a beneficio di un turismo storico-culturale del qualeRimini necessita- e che consentano senza ulteriori indugi talerecupero, a beneficio e monito per le generazioni future.

DENTRO LA STORIA

Anni Settanta.La Porta Montanara a cavallo delle proprietà vescovile e comunale.

da pag. 17

LA VERA STORIA DELLA LINEA GOTICA

ti anomali dell’attuale arco,mentre più plausibile risulta laloro appartenenza al forniceabbattuto. La zona fra viaBonsi e via BastioniOccidentali, su cui verrà mar-cato con laterizio l’anticosedime della Porta Nuova diSant’Andrea (quella malate-stiana), sarà pavimentata uti-lizzando l’antico cubetto diselce fluviale e lastrame dipietra grigia arenaria, saràpedonalizzata e farà parte diun arredo urbano che eviden-zierà il segno di un rifacimen-to archeologico mediante unabbassamento del piano stra-dale sotto l’arco di circa 30cm. rispetto alla viabilitàattuale.

“Come completamento

virtuale della porta

ci sarà la costruzione,

con elementi

metallici sottili,

della sagoma

dell’altro fornice

che sarà posta

sulla piazzetta stessa”

La collocazionedi Porta Montanaranel nuovo progettostorico-urbanistico

a recente inaugurazionedella sezione archeologi-

ca nel Museo della Città nonrappresenta soltanto unampliamento delle collezioni:essa viene finalmente a sanarela profonda ferita inferta daibombardamenti della secondaguerra mondiale che, colpendoil Convento di San Francesco,allora sede del Museo, sottras-sero ai riminesi, per circa 60anni, la possibilità di goderedel proprio patrimonio archeo-logico. Una attesa laboriosaspesa, fino agli anni ’80, allaricerca di una sede adeguata e,quindi, dopo l’acquisizione delcomplesso dell’ex Collegio deiGesuiti, già Ospedale civile,mirata alla progettazione di unpercorso per l’ordinamento deimateriali che, sempre piùnumerosi, emergevano dal sot-tosuolo.Paradossalmente la città,

minata dalla guerra, svelava,nella frenetica opera di rico-struzione, i segni di un passatoche nell’età romana aveva lesue testimonianze più eclatan-ti. Scoperte eccezionali aRimini hanno accompagnatola storia degli scavi archeolo-gici, caratterizzati da sempremaggiore scientificità e dallacrescente attenzione alla con-servazione in loco delle strut-ture emerse.

Due delle più sensazionalirealtà nel panorama archeolo-gico riminese sono al centrodell’esposizione del primosegmento della sezionearcheologica, dedicato allaRimini imperiale fra II e III

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

MUSEI

A R I M I N V M

LA NUOVA SEZIONE ARCHEOLOGICA DEL MUSEO DELLA CITTÀ

LA RIMINI IMPERIALE FRA II E III SECOLOAngela Fontemaggi e Orietta Piolanti

32

L

Disco decorativo (oscillum)a forma di scudo (pelta).

Età imperiale. Rimini, Museo della Città.

Mosaico “delle barche”, particolare con ingresso delle navi in porto, dalla domus di palazzo Diotallevi. Rimini.Metà II secolo. Museo della Città.

Erma di Dioniso, marmo, dai saggi in piazza Malatesta. I-II secolo. Museo della Città.

secolo. Nelle nuove sale fannobella mostra di sé i grandiosimosaici della domusdi palazzoDiotallevi, mirabili per le rag-guardevoli dimensioni, la raffi-natezza e l’originalità del dise-gno: essi raccontano diambienti ampi, ornati consobria eleganza e destinati asontuosi banchetti, della fortu-na economica del dominusarricchitosi con l’attività marit-tima, della sua devozione adErcole, il mitico eroe veneratonel territorio fin dalla protosto-

ria; evocano il paziente lavorodi abili maestranze che, a piùmani, operavano sugli immen-si tappeti musivi…Suggestioni d’ambiente sonocreate anche dagli affreschiche ornavano pareti e soffittidelle stanze, producendo effet-ti di dilatazione della superfi-cie attraverso la ripetizione “atappezzeria” dei motivi o diapertura prospettica dello spa-zio attraverso la ripartizione infasce e riquadri entro cui figu-rano paesaggi di genere o ani-mali esotici. Un mondo a colo-ri che ravvivava stanze pavi-mentate per o più in bianco enero, con pochi, severi arredi,debolmente illuminate dallaluce naturale o dal fioco lumedelle lucerne.Ad animare la vita della domussono oggetti ora di prestigio,quali quelli destinati allamensa, all’arredo o all’orna-mento personale, ora umili efunzionali quali gli utensili dacucina, le lucerne, le chiavi e iserragli, gli strumenti del lavo-ro femminile e dello scrivere, idadi e le pedine per i giochi. Dagli angoli del giardino-cor-tile, dall’interno delle sale odall’ombra di un porticato,occhieggiavano, numerose, lestatue di divinità ed atleti, sim-boli di devozione, di ecletti-smo culturale, di manifestazio-ne del lusso e della modaimperante. Accanto alle divini-tà tradizionali, rappresentazio-ne delle forze della natura,come Dioniso e il suo corteg-gio di satiri e ninfe, compari-vano gli dei venutidall’Oriente con il loro baga-glio di speranza nell’aldilà.Tutta la cultura alle soglie delIII secolo subisce l’influenzaorientale: ne è testimone ancheil chirurgo che risiedeva nelladomus scoperta in piazzaFerrari. Da Corinto dovevaprovenire lo stupendo quadret-to in vetro con raffigurazionedi pesci, prezioso arredo deltriclinio; di origini siriache eraDolicheno, il dio evocato dallamano bronzea “portafortuna”,ritrovata nello studio-ambula-

quella delle tonsille, dallaasportazione dei calcoli a quel-la delle emorroidi, dal tagliodelle ossa alla trapanazionecranica, dalla rimozione dellacataratta alle pratiche gineco-logiche…), nonché i mortainel quali il medico pestava gliingredienti per i farmaci, i con-tenitori in argilla e vetro perconservare i medicinali, unoriginale vaso terapeutico con-figurato a piede.Alla ricchezza e all’ecceziona-lità dei materiali delle domusfa da cornice una città chegode di una lunga pace e cheproprio nel II secolo si arric-chisce dell’anfiteatro, il luogodeputato al divertimento deiromani. Una città su cui gravi-ta un territorio fertile e attivo,fiorente di un’economia basatasull’agricoltura, e in particola-re sulla produzione vinicola,sull’industria dei laterizi, suitraffici marittimi. E proprio almare, che segna tutta la storiadi Rimini dall’origine ai nostrigiorni, guarda l’ultima sala delpercorso espositivo: un marepescoso e solcato da convoglicommerciali, come narrano ivivaci quadri musivi, apertoagli scambi mercantili e cultu-rali come documentano leanfore e le ceramiche, relitti diantichi carichi. E ancora almare e al suo rapporto con lacittà, è dedicato il ciclo diincontri Mente locale, l’oramaitradizionale appuntamento cuiinvitano i Musei nella stagioneautunnale.

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MUSEI

A R I M I N V M33

MUSEO DELLA CITTÀVia Luigi Tonini, 1 - 47900 Rimini

Tel. 0541/21482

Orari di apertura:da martedì a sabato:

8,30 - 12,30 / 17,00 - 19,00domenica e festivi:

16,00 - 19,00lunedì non festivi:

chiuso

IngressoIntero: € 4

Ridotto: € 2,5Domenica: Ingresso gratuito

Visite guidate (su prenotazione): € 21

Statuetta di gladiatore, bronzo, da Vergiano.

I-II secolo. Rimini, Museo della Città.

Erma di Priapo, marmo. Inizio I secolo. Rimini, Museo della Città.

torio; la lingua greca era posse-duta dal medico, per lo menoalla pari del latino, come atte-stano le iscrizioni sui vasettidei medicinali e sul piedistallo

di una statua in pietra situatanel cortile. Alla raffinatezza deigusti e alla vivacità culturale, ilchirurgo univa grande profes-sionalità: lo dimostrano i tan-tissimi (più di 150) strumentiadatti ai più svariati interventi(dall’estrazione dentaria a

denominata la “PiccolaPompei Romagnola” l’a-

rea che si estende sulle pendicidella rupe, su cui sorgeVerucchio e che ha restituitofin dal lontano 1895 numerosetombe di epoca villanoviana. Icorredi funerari in esse rinve-nuti: gli ornamenti, le armi, glioggetti rituali e di uso quotidia-no, mentre fanno luce su quellavita nell’oltretomba, così spe-culare rispetto alla vita vissuta,illustrano gli aspetti salientidella civiltà di queste antichepopolazioni pre-romane.E perchè proprio Verucchio èdiventato uno dei poli fonda-mentali per la conoscenza dellacultura villanoviana? Vi sonoluoghi che per la loro configu-razione morfologica, quale lavallata del Marecchia, strettafra la dorsale appenninica ed illitorale adriatico, diventanonaturale via di comunicazionetra l’Italia settentrionale orien-tale e la valle del Tevere el’Etruria. Fu chiamata via del-l’ambra questa zona in cui sisono sviluppati intensi trafficicon l’Europa centro-settentrio-nale e che ha visto fiorire unpolo di civiltà nell’età delferro.Gli studiosi vanno scrivendo lastoria di questo periodo in rela-

zione ai numerosi ritrovamentidelle estese necropoli (almeno4), che rimandano ad insedia-menti abitativi. Già nel secoloscorso si rinvennero nel veruc-chiese numerose tombe, benconservate con urne cinerarie ecorredi funebri, ad opera di stu-diosi quali Edoardo Brizzo eGherardo Ghirardini.Numerosi reperti confluironoin collezioni private e successi-vamente nel museo comunaledi Rimini e nel MuseoPreistorico ed Etnografico diRoma.Gli scavi ripresi dal 1962-63fino al 1988, condotti con crite-ri sempre più scientifici, hannodato vita parallelamente allacostituzione di uno splendidomuseo. Inaugurato nel 1985nei restanti spazi del seicente-

sco complesso degliAgostiniani, fu reimpostato nel1992 secondo metodologieaggiornate e con la collabora-zione degli enti locali prepostie di prestigiose università ita-liane e straniere. La visita almuseo, che inizia al piano terranella sala degli Antenati, èorientata da un grande pannel-lo che colloca i materiali espo-sti in sei fasi cronologiche suc-cessive dal IX al VII sec. a.Cristo. Nelle vetrine, completedi accurate didascalie, si ammi-rano un’incredibile varietà ericchezza di reperti. Al centro è

posizionato quasi sempre l’os-suario in ceramica contornatoda lance, asce, pugnali, coltelli,bardature per carri e cavalli,vasellame con offerte di cibonelle tombe maschili. In quellefemminili abbondano collane,fibule in metallo, oro ed ambra,rocchetti e fusaiole per la tessi-tura.Sono, soprattutto, le due tombeprincipesche, situate al primopiano, a meravigliarci per laricchezza e la bellezza digioielli in ambra e in oro di raf-finata fattura. Per la natura delsuolo si sono straordinariamen-te conservati oggetti in legno,in tessuto e in vimini. Il logodel museo è, infatti, un bellissi-mo trono in legno con decora-zione ad intaglio che campeg-gia al centro di una sala. Qui èpossibile una sosta durante lavisita per vedere un originaleaudiovisivo, a disegni animatiaccompagnati da antichi canti emusiche, che mostra comepoteva svolgersi il complicatorito funebre.Il percorso espositivo si snodain varie sale che vanno dalpiano terra al seminterrato e alprimo piano: sala degli antena-ti, degli armati, del trono, dellatessitrice, dell’arte sacra, delpozzo degli scudi. Altri interes-santi reperti sono custoditi neidepositi. Verranno gradual-mente esposti, secondo un cri-terio di rotazione o in mostretematiche, a mano a mano cheprocede l’opera di restauro ditutto il complesso museale.

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MUSEI

A R I M I N V M

IL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI VERUCCHIO

SIGNIFICATIVE TESTIMONIANZEDELLA CIVILTÀ PRE-ROMANA

Emilia Maria Urbinati

34

È

Il seicentesco complesso degli Agostiniani,

sede del Museo di Verucchio.

Sotto. Particolare del trono con decorazione a intaglio.

Tomba Lippi 89.

Trono della Tomba Lippi 89.

Particolare del trono. Tomba Lippi 89.

facesse questo strambo lavoro,soprattutto con mezzi cosìridotti. Mi rispose: “Perchèamo la vita”. Una rispostaall’apparenza assurda, ma alcontrario razionale, logica.Chi è curioso come Marcoama la vita. E la curiosità chelo spingeva ad indagare irisvolti della nostra società,della gente semplice come deipersonaggi. Una curiositàinguaribile che è patrimoniosolo dei grandi giornalisti. OraMarco non c’è più. Con la suatelecamera si è trasferito neipascoli del cielo dove filmaanime e santi. Ogni tanto, nesiamo certi, punta l’obiettivoverso la sua Rimini. Una zoo-mata e via. Lassù lo hannochiamato troppo presto, trop-po giovane. Ma cosa volete: latelevisione arriva dappertutto,entra nelle case e nellecoscienze, perfino in Paradiso.Marco lo aveva capito meglioe più di altri.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003 A R I M I N V M

ell’orgia mediatico televi-siva dei nostri tempi c’era

chi sapeva usare la telecameracon gentilezza, eleganza e dis-crezione. Era MarcoMagalotti. Con la sua immatu-ra scomparsa, a soli 68 anni, ilvolto di Telerimini ha lasciatoun grande vuoto. Potete essercerti che di lui, oltre i confinidella Romagna, poco si sape-va. Ma per i riminesi Marcoera ormai una certezza. Dasolo, con la sua fedele teleca-mera affrontava la vita di tuttii giorni con lo spirito del cro-nista caparbio ma gentile:entrava nell’attualità, la esplo-rava, la circondava di immagi-ni, ma sempre con eleganza,senza arroganza e senza la ten-tazione - così frequente neinetwork nazionali - d’invaderela privacy, di stupire, scanda-lizzare, mostrare l’inguardabi-le.“In zir par la Rumagna”, il suoprogramma più conosciuto edapprezzato, ha trasferito unostile giornalistico ormai personel tempo: quello dell’inchie-sta. Andava sul posto, s’infor-mava, conosceva, facevainsomma il suo mestiere, conpochi mezzi e tanta volontà.Gli encomi si sono sprecati.Marco se li meritava. Ancheperchè non si è mai montato latesta. Avrebbe potuto tentarealtre strade, altre fortune incampo televisivo. Non l’hamai fatto, perchè era nato conla telecamera in mano, comecerti grandi giornalisti che nonsanno separarsi dalla loro vec-chia macchina da scriveremeccanica per il computer.Una visione del cronista tele-visivo certo romantica, forsenon adatta a fare audience, masicuramente vera, autentica,non soggiogata alle esigenze“di bottega” o ai richiami delle“scuderie”. La televisione èuno strumento superbo, ma

che richiede anche tanta umil-tà, altrimenti da mezzo poten-te qual è finisce per diventareviolento, per entrare nellenostre case senza chiedere ilpermesso. Marco, invece, latelevisione la concepiva comeun servizio all’opinione pub-blica. Ricordo la sua costantepresenza alle Giornate interna-zionali del Centro Pio Manzù:in mezzo alle troupe dei net-work nazionali, da Rai aMediaset, spuntava lui, con ilsuo attrezzo in spalla. Si avvi-cinava ai “grandi della Terra”senza timore. Li riprendeva, lisollecitava al sorriso. Qualchevolta c’era chi chiedeva chi

mai fosse quel telereportersenza aiutanti, da solo. Lofece, una volta, perfino GiulioAndreotti. Ma lui non avevatimore delle personalità, seb-bene si trovasse visibilmentepiù a suo agio in mezzo allagente di Romagna, la suagente, che appellava in dialet-to ma senza compiacimento.Un dialetto utilizzato per inte-grarsi non per marcare unadiversità regionalistica chenon c’è. Per farsi riconosceree riconoscere a sua volta voltie mimiche della nostra terra.Nell’obiettivo filmava ladonna al mercato e la stranierain topless con lo stesso distac-co e la stessa bonomia. Alfondo della sua passione per latelevisione c’era la vita. Unavolta gli chiesi perchè mai

IL PERSONAGGIO

LA SCOMPARSA DI MARCO MAGALOTTI

UNO ZOOM DAL PARADISOGerardo Filiberto Dasi

N “Una volta gli chiesi

perchè mai facesse

questo strambo lavoro,

soprattutto con mezzi

così ridotti.

Mi rispose:

Perchè amo la vita”

Gerardo Filiberto Dasi intervistato e ripreso

con la telecamera da Marco Magalotti

al Grand Hotel durante l’ultima edizione

delle Giornate Internazionalidel Pio Manzù.

Dasi e Magalotti: ultimi accordi

prima della ripresa televisiva.

37

l disegno di legge che pre-vede la chiusura delle

discoteche alle tre del mattinoha fatto imbestialire il popolodella notte. Segnatamente quelsegmento demografico che vadai 18 ai 30 anni. I quali, si sa,vantano la loro metropoli sullariviera adriatica, con la mag-giore condensazione dei localida ballo sulle colline dellaprovincia di Rimini. La repli-ca dei rocchettari alla propostadi legge del ministroGiovanardi va intesa come unbollettino di guerra: “Nessunoriuscirà a toglierci la notte”.

A parlare sono quei frequenta-tori abitudinari dell’oscuritàche respirano a pieni polmoninella placenta delle tenebre.La loro notte parte dalle novedi sera per chiudere i battentisolo quando il sole splendesulla città e sul mare. Riusciràil Parlamento a decurtare lospazio notturno delle discote-che, dei disco-bar, dei pub, egli altri spazi fruibili sullaspiaggia? Incalzano i romanti-ci della luna: “Nessuno riusci-rà a toglierci il divertimentodella notte”. Le cifre, e chinon le conosce?, parlano il lin-guaggio lugubre e terrificantedi una catastrofe in flagranteaccentuazione: nel 2002 sisono contati 909 incidentimortali sulla pelle dei giovaniverso-dalle discoteche. Beh,che significa?, è la rispostapiccata degli spiriti ardimen-tosi. Il destino è una compo-nente della vita giovanile e loprendiamo cinicamente, nudoe crudo, così come ci attendeall’angolo della strada. C’ècome un centro di gravità esi-stenziale a guidare la mentedei protagonisti: “Il bello dellanotte è viverla fino al mattino,se la stronchi a metà non èvera notte… Comunque nonandremo a dormire. Andremo

in spiaggia, ai parchi e per lestrade. La notte per noi rimanetutta da vivere anche senzadiscoteche, dalle nove di seraalle sei del mattino”.

Jeorges Bernanos ha scrittonel celebre romanzo “Diariodi un curato di campagna”,una sentenza lapidaria: “Lanotte appartiene al diavolo.Fate dell’ordine per tutto ilgiorno, ma la notte butta peraria il vostro lavoro”. Che tra-dotta nel contesto discoteca-rio, va interpretata pressappo-co così: la legione dei giovanifatica per cinque giorni della

settimana nella disciplina distudio e lavorativa, poi nellenotti del week-end getta agambe per aria il lavoro, ildovere, il risparmio e l’ordinecostituito. Veniamo a scoprire,dalle parole e dalle immagini,che le ore del silenzio e delriposo si fanno tempo e luogodi prodigalità, sciovinismo etrasgressione. Non è, per caso,che i giovani con la predispo-sizione al disordine, intesocome verticalità della soddi-sfazione voluttuaria, diventa-no emissari della violenza edel disordine estremo verso sée la società? Lungi dal mioragionamento qualsiasi analo-gia tra la notte e il principedelle tenebre , satana appunto,l’antico avversario dell’uomo.

Soltanto il dubbio, o il perico-lo teorico e fattivo, peserebbesulla società peggio di unacondanna senza via di scam-po.Più saggio destreggiarsi conl’accostamento di rassomi-glianza. Questo: se “le brigaterosse” degli anni Settanta “bri-gavano” per sovvertire l’ordi-ne dello Stato, di certo “lefalangi notturne” puntano ascardinare le consuetudinimillenarie della comunitàcivile. Se le regole anticheimponevano di abbassare lepalpebre, anche ai libertini,non oltre la mezzanotte, per la

nuova generazione è robastantia e obsoleta. Talchéappare vieppiù visibile la lineadi demarcazione tra lavoro epassatempo: il dovere si svol-ge nella regola, i piaceri delcorpo fuori e contro la norma-lità. A questo punto la doman-da: le due realtà conflittualipossono convivere nell’identi-co soggetto psicofisico? E’una risposta cruciale dellaquale emergono attualmenterisultati discutibili e negativi.

Il numero di Luglio/Agosto diAriminum apriva le paginedelle notizie e dei commenticon una trattazione storica,sociologica e ideologica diManlio Masini sul Kursaal.Con lo spirito di osservazione

che gli è congenito, il direttoreevidenziava come e perché ilKursaal significasse “Le nottidi Cabiria” per l’aristocrazia ela borghesia cittadina e nazio-nale. Si degustava, in queisaloni nobiliari, il paradisoafrodisiaco di appuntamentiesclusivi e snobismi elitariinaccessibili alla classemedio-bassa della città.Insomma, l’eldorado sulla fal-sariga del contratto lussuriosodi Mefistofele con il dottorFaust. Il circuito ermetico del-l’opulenza che autoescludevail resto del mondo.Bisogna concedere che la filo-sofia politica del sindaco diRimini, Bianchini, nella pri-mavera del 1948 ha precedutodi tre decenni l’abbattimentoideologico delle barriere conl’accesso delle masse giovani-li al divertimento interclassi-sta.Giù il Kursaal, decretava ladottrina marxista, e boccheggiil Teatro nello stato comatoso.Per il futuro conta lo svagopopolare, di massa, senza eti-chette, livree e lustrini. Unmodo nuovo di svagarsi ingrado di assemblare eruditi eilletterati, ricchi e poveri, bor-ghesia e proletariato. Entratein una discoteca e riscontrere-te la miscellanea sociale o, sepreferite, la contaminazione dicenso e di cultura, di musica epromiscuità di gusti. Una fatti-specie di comunione evangeli-ca nel verso ribaltato e profa-no della parola. Che poi laProvincia di Rimini si onori diuna costellazione di discote-che, il fenomeno non è cre-sciuto per caso. Certe trasfor-mazioni epocali portano sem-pre un padre e una madre chele ha pensate, concepite egenerate.

A prescindere dall’esito parla-mentare della proposta dilegge sugli orari delle discote-che e locali similari, penso chesia da approfondire la condi-zione antropologica, ossiaintellettiva, psicologica e

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

OSSERVATORIO

A R I M I N V M

SUGLI ORARI DELLE DISCOTECHE

A CHI LA NOTTE? A NOI!Aldo Magnani

38

I

morale del popolo della notte.Anzitutto l’impatto brusco ebrutale tra il positivo del gior-no (la giornata lavorativa eproduttiva) e il negativo dellanotte (il week-end concepito evissuto come antidoto allafamiglia e al dovere). Comeanche se possono convivere ledue soggettività contrappostenell’unica corporeità. E, infine, in che misura sarà possi-bile riassorbire i traumi deva-stanti dei decibel, l’alcol e ladroga nel progetto di unanecessaria reintegrazionenella normalità coniugale efamiliare.Le inchieste più recenti dannonotizia di tonnellate di drogaintercettate e sequestrate dalleforze dell’ordine, delle qualil’ecstasy e la cocaina sono leregine per lo sballo nei luoghidel divertimento. Non rinun-ciando per alcun motivo allanecessità dell’ottimismo, lavisione profetica di JeorgesBernanos, che il giornocostruisce il dovere e la nottelo distrugge, questo dualismodella condizione giovanile,rimane la palestra nella qualesi giocano le fortune e le dis-grazie del prossimo avvenire.

he cosa vi è di nobile inuna materia che obbedisce

all’esclusione severamentepratica della sfera morale daquella dell’utile, dettata daKeynes? Oggi che viviamo inun mondo condizionato più chemai dalle conseguenze di queldivorzio (per misure semprepiù accelerate) e dove sorgonoinquietudini che rivendicanostrutture morali alla pratica,nonché la ricostruzione dellalegalità dei benefici condivisada tutti i popoli della terra, l’e-conomia non può fare più ameno di affrontare l’uomo.L’economia, che continua aprogredire e a combattere lanatura sul fronte della solamisura del profitto, ha bisognodi essere avviata sul “nobilesentiero” dell’equità, dellasostenibilità, della compatibili-tà con le risorse limitate dellaNatura.Ernst Schumacher (1911-1977)il grande economista-pensatoreche è padre dei padri di tutte lealternative congetturate percreare un commercio mondialepiù giusto, un’economia in sin-tonia e non in conflitto con isistemi naturali e una cittadi-nanza umana più rispettatadalle leggi del profitto, avevavisto l’inaridirsi della visioneoccidentale per la via dell’avi-dità e dell’individualismo.Aveva visto il molosso dilania-to da se stesso. E aveva detto,in sintesi: “Un atteggiamentonei confronti della vita checerca soddisfazione nel conse-guimento individuale della ric-chezza, in breve nel materiali-smo, non è adatto a questomondo, perché non contiene insé il principio del limite, men-tre l’ambiente in cui si collocaè estremamente limitato”.Attingendo alla duplice ereditàdel Cristianesimo e delBuddismo (ma senza esclusio-ne dell’Islamismo) egli ha pro-posto in Piccolo è bellonon

tanto una conversione morali-stica dell’economia, quantoun’apertura dei suoi contenutiai problemi della sopravviven-za e della solidarietà mondiale.Polemizzando coraggiosamen-te con Keynes egli ha sostenu-to che “La drammatica conse-guenza del dare più valore aimezzi che non ai fini, è ladistruzione della libertà e dellacapacità dell’uomo di sceglierei fini che realmente preferisce”.

all’uomo. Ed è stato proprioun’economista comeSchumacher a dichiarare che lanostra età, dopo tutto, “ha biso-gno di una rivalutazione di tuttii valori”, dopo che la moderni-tà ha amplificato il riverberodella loro planetaria svalutazio-ne.La concomitanza di perturbatisegni ecologici e perturbatisegni economici, può forserisarcire la vita dal disinganno

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

PIO MANZÙ

A R I M I N V M

XXIX EDIZIONE DELLE GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDIO

L’ECONOMIA DEL NOBILE SENTIEROTEATRO NOVELLI / GRAND HOTEL DI RIMINI 18-19-20 OTTOBRE 2003

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Presso la Libreria Luisè, Corsod'Augusto, 76 (Antico PalazzoFerrari, ora Carli) e il Museodella Città di Rimini (via Tonini)è possibile prenotare gratuita-mente i numeri in uscita diAriminum e gli arretrati ancoradisponibili

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IL MUSEO DELLA CITTÀ DI RIMINI

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TEATROIpotesi

per la ricostruzione

STORIAIl Capodanno a Rimini

2000 anni fa

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ARTEIl restauro

dopo il “ciclone” Sgarbi

ROTARYLa cultura nelle nebbiedella globalizzazione

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Anno VIII

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che le è stato inflitto troppodeliberatamente. La vitaumana, meno stimata della pro-pria produttività, ha bisogno didarsi un nuovo regolamento: unregolamento che salvi insiemecon la sua salute, la sua libertà.Questi alcuni temi di riflessionedalla XXIX edizione delleGiornate Internazionali di stu-dio del Centro Pio Manzù,L’economia del nobile sentiero.Diritto fraterno, società convi-viale, giusto sostentamento pertutti.

Così apriva la scienza econo-mica a un riesame dei suoi pre-supposti e dunque del rapportodell’economico con tutto il“non economico”, il “nonmonetario (…) tutti i valori chenon siano il miraggio del gua-dagno, l’interesse finanziario,la sete di ricchezza”.Che ne sarà dell’uomo, se lasua libertà di scegliere i finiverrà totalmente fuorviata dalladittatura dei mezzi? Dalla ditta-tura del materialismo? Eppure,l’ultima parola resta sempre

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003A R I M I N V M 40

n raggio di sole si riflette-va sulla targa di metallo

dorato, appoggiata sul primoripiano della libreria. Lei siriscosse e per l’ennesima voltarilesse le parole che vi eranoincise: le sapeva a memoriama le faceva piacere ripassare,verso per verso, le due citazio-ni poetiche riportate. Quellatarga era stato il dono dei suoialunni dell’ultima classe, pocoprima dell’esame di maturità,per salutarla al termine delciclo di studi e anche perchésapevano che lei, subito dopo,avrebbe lasciato la scuola.Non aveva mai amato l’inse-gnamento, perché si sentivapiù portata allo studio, allaricerca. E non riteneva disapere mai abbastanza perpotere insegnare qualcosa aglialtri. Però amava le disciplineche insegnava, e amava quelmondo di giovani che la man-tenevano viva e aggiornata,sempre pronta a misurarsi conloro in un dialogo continuo.Ora le mancavano le risate, ibiglietti passati tra i banchi, ibisbigli sommessi, le scrittesui diari, gli sguardi di intesa,i gesti sospesi a metà nell’in-crociare il suo sguardo, lafinta indifferenza stampata infaccia, mentre rovistavanosotto il banco o sfogliavano iltesto di un’altra materia in cuitemevano di essere interrogati.Ricordava i loro volti, uno peruno. Certo, col tempo avrebbedimenticato i loro nomi o liavrebbe confusi, ma quei visi,quelle espressioni, quegliatteggiamenti, che celavanorealtà diverse e diverse storiepersonali o familiari, non liavrebbe dimenticati. Sara, conlo sguardo mite e quasi spauri-to, era una ragazza dallavolontà di ferro che avevasuperato una lunga vicenda dimalattia e di costrizione in unbusto di gesso. Elisa, apparen-temente così aggressiva, era

fragile e insicura, piena dipaura per la vita. Nicola, die-tro il suo volto impenetrabile ecalmo, nascondeva un rancoreingiusto ma invincibile peruna mamma senza marito. EMarco mascherava la soffe-renza per la separazione deigenitori con un’espressionesempre ribelle, che sembravaprovocare il mondo. Giulia erafuggita di casa due volte, tra-scinata dall’infatuazione perun giovane sbandato. MentreFabio non faceva traspariredal volto la sfiducia in se stes-so e le sue grandi incertezzeesistenziali.Tutti tenevano chiusi in sétimori e problemi, mostrandosolo il loro volto di giovaniansiosi di vita, un volto oraintimorito ora spavaldo, masempre disposto ad aprirsi alloscherzo e alla risata quando lasituazione lo permetteva.Le mancavano le loro battutespiritose e spontanee, e queimomenti rilassati in cui silasciava andare e parlava eridevano insieme, dimentican-do i registri e i programmi. Lemancavano la vita segreta, leconfidenze ignote che si scam-biavano, i commenti salaci ele caricature degli insegnantiche non potevano mostrarle eche lei doveva fingere di igno-rare. Tutto quel mondo di atti-vità frenetiche e sotterraneemimetizzate dietro alle espres-sioni indifferenti, che intuiva eavvertiva quotidianamente esu cui scendeva il sipario deisuoi occhiali che usava più pervelare che per vedere.A volte si era chiesta se questorapporto con loro fosse reale oillusorio. Dopotutto lei usava itesti e il registro, spiegava einterrogava, assegnava voti,promuoveva o respingeva…tutte cose da “prof.”.Ma nel suo contatto quotidia-no con loro spesso dimentica-va di essere ciò che era, come

se registri e programmi fosse-ro qualcosa di marginale, lega-to inevitabilmente al suo com-pito, mentre sentiva che il suointeresse per loro era autenti-co: le piaceva accomunarli alei nelle riflessioni sulla vita,nelle ironie sulle mode e suicomportamenti, nelle emozio-ni e nelle speranze davanti aifatti del mondo. Avrebbe volu-to accostarsi ai loro problemi.E dimenticava cosa fosse una“prof.”.Poi si ricredeva: un’occhiata,un discorso colto a volo, unatteggiamento, e usciva daquel sogno ingenuo per rica-dere nella realtà, rendendosiconto del distacco esistente tralei e loro. Allora capiva diessere un po’ sciocca, capivache sempre e comunque lei eradall’altra parte della barricata.Così col suo registro e con lasua penna, con gli occhialicalati sul naso, con la sua bellamaschera da “prof.” stampatasulla faccia, si rassegnava alsuo destino di “nemica”.Ma si chiedeva quale fosse il“volto” che essi vedevano inlei. Quello di una docentesevera, esigente, a volte ami-chevole e scherzosa, ma infondo un po’ freddina, conquel tono lievemente ironicoche usava abitualmente peralleggerire l’atmosfera ma chein realtà la rendeva distante?Quello di un’estranea che ten-tava di intromettersi nella lorovita e che sapeva solo giudi-carli? O di una matura signoraborghese un po’ sostenuta cheprovava, maldestramente, adaccostarsi al loro mondo gio-vanile senza riuscirci? O anco-ra, quello di un’ “intellettuale”astratta, lontana, che avevauna sua visione improbabiledella realtà? Chissà se intuiva-no, qualche volta, la sua realtàumana non tanto diversa dallaloro nel tenersi chiuse nell’a-nimo esperienze, paure e timi-

dezze.E il timore, a volte, di doveraffrontare i loro sguardi, i lorogiudizi o le loro polemiche.Chissà se immaginavano isuoi sogni inconfessati: quellasua voglia pazza di sentirsiuna farfalla che vola incontroal vento, libera da convenzionie pregiudizi; o di correre perstrade lontane con una vecchiaautomobile malandata caricadi libri sparsi in gran disordi-ne; o il desiderio di chiuderegli occhi e lasciarsi trascinaredalla corrente come una fogliacaduta sull’acqua, di fermarsiad ascoltare il canto degliuccelli nelle mattine di prima-vera, di vivere mille vite, milleemozioni…Autoritratti fantasiosi, vagantiin un suo immaginario privatoche contrastava con quello cheera e con quello che dovevaessere. Sapeva di avere unatteggiamento tranquillo, unpo’ riservato, che potevadiventare socievole e sorriden-te nei momenti di intesa, maspesso poteva apparire distan-te e corrucciato, tanto da ispi-rare una forte soggezione,quando si creavano motivi dicontrasto. Eppure a volte le

POLVERE DI STELLE

VOCI E VOLTI

COMMIATOMaria Antonietta Ricotti Sorrentino

U

Segue a pag. 41

MENZIONE D’ONOREIl racconto di MariaAntonietta Ricotti Sorrentino,Commiato, che proponiamoai lettori nella nota ed apprez-zata rubrica “Polvere di stel-le”, inviato al Concorso lette-rario Inner Wheel 2003“L’anima e il volto. Storie edemozioni”, ha ricevuto dallagiuria la “Menzione d’Onoredel Distretto 209”. “La prosa –è scritto nella motivazione delpremio- valorizza lo studiocaratteriale e psicologico,mentre lo stile appare limpido,arioso, ricco ed informato adun ossequio modernamenteinterpretativo della tradizioneletteraria”. A Nietta i compli-menti da parte di tutti gli amicidi Ariminum.

on ha un passato storicodi cui vantarsi né, tanto

meno, nomi illustri o celebrità,tipo Fellini o Zavoli, che daqui hanno mosso i primi passi.Anzi, un tempo, per essere sin-ceri, quando è nato non tutti isuoi abitanti “rigavano dritto”ma il villaggio INA CASA, adispetto di ogni critica, è anchelui una tesserina del mosaicoriminese e, dopo quasi mezzosecolo di vita, si è conquistatoun posto di tutto rispetto nellastoria della città. Ed alloraecco puntuale, quasi a celebrarle nozze d’oro, il libro diAdriano Cecchini: “Un quar-tiere sul Marecchia” (EdizioniLa Stamperia) che viene aripercorrere le vicende di que-sto villaggio di periferia fattoper dar lavoro e una casa deco-rosa, “nuova di zecca”, contutte le comodità, a chi non sela sarebbe mai potuta permet-tere.Cecchini non è nato all’INACASA ma qui risiede da quasitrent’anni dei quali molti pas-sati come insegnante nella

Scuola ElementareLambruschini il che vuol direaver visto crescere buona partedegli abitanti del villaggio econoscerne le famiglie. Questovillaggio oggi è un quartieregrande, il quartiere numero 4,che si estende fin quasi aCorpolò ma il suo cuore èancora tutto qui alla fine diquella vecchia strada di perife-ria che era via Dario Campana,un tempo via Condotti, e chefiniva perdendosi nei campistretta tra il greto del fiume e lastatale Marecchiese e dove lapovertà era di casa anche segià tra gli anni Venti e Trentaerano state spostate qui alcunestrutture pubbliche importantiquali i Pompieri e i Macellopubblico, tutte intorno a quel-l’antico pozzo romano unicoacquedotto della città per seco-li.Nel libro di Cecchini nulla delquartiere è dimenticato: dallaguerra con le sue distruzioni,alla ricostruzione, dalla ferro-via di Novafeltria, ai deviatoridell’Ausa e del Marecchia,

del cavaliere medievale, nel-l’inseguimento dell’inafferra-bile Angelica, nel perennevagare del pastore che parlacon la luna, nell’ascolto dell’i-narrestabile canto di guerrache vola oltre lo sguardo inap-pagato di Alexandros. Laricerca della verità: ecco quel-lo che aveva sperato di tra-smettere.Ma c’erano stati anchemomenti magici.Quel senso di esaltazione,quasi di ebrezza, nell’attimoin cui si coglieva negli occhidi chi ascoltava con lo sguardoopaco, l’improvviso, inattesobagliore della conoscenza.Capire che ha capito. Ecco l’e-mozione più grande per cuivaleva la pena di insegnare.

Un attimo fuggente, quasiun’impalpabile illusione, peròun attimo di potenza infinita:qualcosa di astratto eppureterribilmente concreto, comeuna scarica elettrica.O quando leggeva poesie eimprovvisamente li sentivacon sé. Allora le parole, isuoni, le immagini prendeva-no vita in lei come in loro, leemozioni vibravano nell’aria elei sentiva di comunicare conle loro anime. Era linguaggioche diventava vita interiore, liavvolgeva, li teneva sospesi. Eviaggiavano insieme nel brevevolo della poesia.Forse in quegli attimi, chissà,loro erano riusciti a vedere ilsuo vero volto.E questo poteva bastarle.

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003 A R I M I N V M41

sembrava di comunicare, distabilire quella linea di contat-to che era così preziosa nelsuo lavoro. Poi quegli attimifelici passavano e si rendevaconto che, parlando di argo-menti scolastici, non tutti l’a-vevano davvero ascoltata, nontutti si sentivano stimolati achiedere, a intervenire, a volersapere, a contraddire. Gli idea-li, i sentimenti, i problemi del-l’uomo e della vita, poichénon riguardavano direttamen-te la loro realtà ma venivanorecepiti attraverso materie distudio, erano echi di unmondo astratto che scivolavagrigio su di loro e si dissolve-

va presto.Invece…. avrebbe volutocomunicare qualcosa di pro-fondo, di eterno; far conoscerela perenne interiorità dell’uo-mo nelle sue mille sfaccettatu-re e nelle sue moltepliciespressioni, l’evolversi dellospirito umano nel tempo enello spazio, eco di una voceantica risuonata attraverso isecoli con diversi accenti,sotto diverse forme e rimbal-zata per diversi sentieri.Tante volte si era chiesta sepoteva davvero presumere diinsegnar loro qualcosa. Maalmeno una cosa sperava diavere comunicato: lo stimoloalla ricerca. Li aveva portaticon sé nell’eterno viaggio diUlisse, nella lunga avventura

LIBRI

“UN QUARTIERE SUL MARECCHIA”DI ADRIANO CECCHINI

UNA BELLA STORIA DI PERIFERIASilvana Giugli

N dalle scuole, al VillaggioAzzurro fatto per le famigliedegli aviatori del 5° Stormo,alla Cella Bilancini, piena di exvoto dei militari delle dueguerre, e dalla parrocchia diSan Raffaele Arcangelo, nonbella ma tanto cara a quel suoultimo parroco, l’indimentica-bile don Sergio, che ne avevafatto un punto di riferimentoinsostituibile a quel Club Zatae relativo bar che pure, peraltro senso ma con fine analo-go, aveva costituito per tantil’altro punto di riferimentoanche se della “concorrenza”.Fino ad arrivare ai nostri giornie alla nuova sede dellaAmministrazione Provincialedi Rimini. C’è tutto nel libro diCecchini: Tutto raccontato conscrupoloso ordine, accattivantesemplicità e alcune belle foto.Tutto costruito attorno ai ricor-di della gente, ormai anziana,che qui, pur parlando differentidialetti, seppe, bene o male,convivere e crescere insieme inmezzo a mille problemi e aitempi che cambiavano.

Il libro, “Un quartiere sulMarecchia”, è dunque un librofatto per non dimenticare. E’una “cartolina ricordo”, chelascia trasparire tutto l’affettopartigiano dell’autore per il suoquartiere del quale dà un’im-magine dorata. E’, comunquesia, un libro dedicato a tutta lagente del villaggio INA CASAe a tutti coloro che qui oggihanno scelto di vivere perchénon vada perduta la memoria e,soprattutto, perché anche lenuove generazioni sappianocapire, amare, conservare evalorizzare quella che oggivuole essere “un’isola di tran-quillità” in questa nostra cittàsempre più grande e troppovariegata.

da pag. 40

COMMIATO

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003A R I M I N V M 42

ualità personali, comecapacità, professionalità,

determinazione, autogestione,spirito di sacrificio ecc., e cir-costanze favorevoli sonoingredienti indispensabili peril successo e se poi si aggiun-ge quel certo qualcosa che fatrovare la persona giusta nelposto giusto al momento giu-sto, in una parola una fortu-naccia sfacciata, ecco chetutto diventa non diciamo faci-lissimo ma possibile, realizza-bile. E’ questo il caso di PierDomenico Mattani, classe1934, tecnico industriale,ingegnere H. C. in Elettronicapresso l’Università americanadi New York, riminese doc,imprenditore e uomo di suc-cesso a 360 gradi. Ed è giusto,per non dire doveroso, che“l’uomo d’oro” in questione,arrivato a questo punto del suocammino, si sia voluto cimen-tare in un’altra impresa noncerto facile: spiegare il perchédel suo successo. Così è natoil libro “Come creare unaazienda di successo”, EdizioniTuttostampa, dove PierDomenico Mattani ripercorrele tappe essenziali della suavita per poi, nella secondaparte del volume, codificare leregole di quello che sono lebasi su cui costruire una vita eun’azienda di successo.Il libro è di facile, facilissimalettura. Gli aneddoti, le curio-sità e i personaggi saturano lepagine dedicate ai ricordi digioventù lasciando intravede-re di Rimini un’immagine“rampante”, quasi cartolinadal sapore di spot pubblicita-rio anni Sessanta. Nullamanca dall’inventiva di moltiriminesi negli anni del dopo-guerra alle iniziative concre-tizzate dalle imprese edili sto-riche della città e i relativi pro-getti della Amministrazione

Comunale. Dai vasetti diyogurt alle concessionaried’auto. Tutto e tutti sono ricor-dati perché tutto ha contribui-to attivamente anche quelcerto “gallismo”, fuori bon-ton, di matrice felliniana, cheha aiutato a caratterizzare, per

non dire formare, i giovaniriminesi negli anni del boomeconomico. E anche al comm.Bartolani, prototipo di uomofaber romagnolo, vulcano diidee, è riservato un significati-vo ricordo.La vita dell’autore passa attra-

verso tutte le vicende dellacittà intrecciandole tra loro ecreando un solo leit-motiv checonduce inevitabilmente alsuccesso dell’uomo/imprendi-tore e della sua città. Però, aldi là di ogni indiscutibilemerito, se l’autore permette,viene da chiedersi: ma allorada dove è nato e quando e per-ché quel termine così negativoche è “riminizzazione” e chetuttora si può ben “leggere”nella città basti guardare soloun po’ più in là del proprionaso?Il libro di Mattani è un’analisia tutto campo della societàattuale e non solo riminese checoglie quello che sono i pro-blemi cruciali e di fondo che sidevono risolvere per arrivareal successo: selezione delleidee, marketing ma anche sup-porto familiare e scuola. E’ unvolume ricco di ottime argo-mentazioni e consigli utili,indubbiamente di stimolo perla curiosità e creatività giova-nile ma, come più volte lostesso autore ripete “oggi lepersone oneste e piene d’uma-nità sono rare” per cui tutto èdiventato molto, ma molto piùdifficile, più complesso, trop-po rapido e, forse, meno grati-ficante. Importante è nonaccontentarsi, non desistere, inaltri termini guardare avantied essere in pace con se stessie, come disse il filosofo che cipiace ricordare: “Ama inrosso, ridi in giallo, pensa inblu”.

LIBRI

“COME CREARE UNAAZIENDA DI SUCCESSO”DI PIER DOMENICO MATTANI

UN UOMO, IL SUO LAVORO, LA SUA CITTÀSilvana Giugli

Q

“IL RACCONTO DI RIMINI”DI GIAMPAOLO PRONI

COME GUIDARELA VACANZA

Emiliana Stella

l racconto di Rimini” èuna guida della città

che Giampaolo Proni hafatto stampare, nel luglio2002, dalle edizioni Itaca.Una pubblicazione origi-nale dove sono consigliatiitinerari da seguire pergodere, oltre al mare, lebellezze dell’entroterra.Storia e geografia si com-pletano nel racconto del-l’autore che precisa i perio-di delle feste e delle tradi-zioni popolari in modo cheil turista possa visitare igraziosi paesetti dei dintor-ni e i turriti, numerosicastelli dove può alloggiareancora qualche compia-cente fantasma. La piada,il vino locale, il mangiare,forse un po’ pesante, magustoso sono i temi che sialternano in queste pagine,con le indicazioni deglialberghi, dei pubs, deilocali notturni. Le cartineessenziali e chiare servono

I“

al visitatore per orizzontar-si con facilità nelle zonedella marina e del centro. Illibretto contiene notizie utiliper avere informazioni divario genere: treni, taxi,emergenze, orari dei luo-ghi di culto.Notevoli le fotografie deifratelli Di Bartolo. La guidaè anche una piacevole let-tura e aiuta a vivere la quo-tidianità riminese nel brevespazio di una vacanza.

rmido della Bartola nonha bisogno di presenta-

zioni, è uno dei più noti edapprezzati pittori riminesi.Uomo di carattere, romagnoloverace come pochi sannoancora essere, quasi d’altritempi, riversa nella sua pittura“pastosa”, a tratti violenta, masempre velata da una contenu-ta e sottile nostalgia, tutto ilsuo ribollente “spirito libero eanticonformista”. Nulla sfug-ge al suo occhio indagatoreper il quale colori, luci ed

ombre non hanno segreti ecosì nascono quelle marine,quelle barche, quegli scorci dicittà, o meglio di borgata, queigruppetti di uomini intenti araccogliere povecacce chesolo lui può catturare conimmagini essenziali, magichee trasformarle in un muto col-loquio con la sua terra.Armido Della Bartola, che benconosce le “insidie” delmondo artistico/culturaleriminese, ambiente non facile,non semplice soprattutto peruomini della sua tempra since-ri e che non scendono a com-promessi, in pratica unambiente non dissimile da

quello nazionale o di qualun-que altro luogo, si è già cimen-tato in imprese letterarie alfine di raccontare, spiegare, lapropria avventura artistica, ipropri sogni, le proprie delu-sioni. Così sono nati due libri,uno in dialetto l’altro in italia-no, che hanno valenza di con-suntivo di una vita ma anche,e forse soprattutto, di collo-quio con se stesso. Ora DellaBartola, dopo la personale

tenutasi lo scorso Dicembrenella Sala degli Archi inPiazza Cavour dal titolo “Maipiù la guerra” si “ripete” edecco il suo terzo libro/catalogopatrocinato dalla FondazioneCassa di Risparmio di Riminipresentato da LucianoChicchi: Armido DellaBartola, stampato daGarattoni. E’ questo un volu-me, quasi quaderno, dovel’autore presenta, con unbreve commento, le opere chehanno costituito l’asse dellamostra. Sono 13 tele cheriprendono i devastanti effettiprodotti dalla guerra sulla cittàdi Rimini. Della Bartola rivivequei lontani giorni terribili

attraverso una sequenza diimmagini/ricordo quelle cheaffiorano alla sua memoriaoggi dopo tanti anni, quandotutta quella tragedia è statametabolizzata e ricoperta daisedimenti di altre tragicheimmagini di altre guerre: leune dopo le altre come in unainfinita torta farcita. DellaBartola non cede al sentimen-talismo ne tanto meno allaretorica scontata ma concentrae ribadisce in quelle 13 tele ilsuo “no” alla guerra e riaffer-ma il suo amore per la vita eper la sua città. Immancabile èil commento storico diAmedeo Montemaggi. Ma nellibro di Della Bartola non c’èsolo questo. Il nostro artista havoluto donarci altre immaginipresentate ad hoc da ManlioMasini ed allora ecco i suoiinconfondibili Poveracciari,le barche, il porto, le reti, laneve che ricopre la marina,insomma quelle immaginimagiche accennate all’inizio eche fanno amare ancor di piùl’opera di Della Bartola. Manon è ancora tutto c’è ancheun Cristo alla colonna, unanatura morta e uno splendidonudo femminile in barca, tutteopere che dimostrano le capa-cità di Della Bartola di portareavanti la sua ricerca artisticasenza perdere quei suoi tratticaratteristici che trovano sìradici profonde nei grandimaestri del post-impressioni-smo, espressionismo e cubi-smo ma che sono senza dub-bio guida per gli artisti didomani.

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LIBRI

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“ARMIDO DELLA BARTOLA”FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RIMINI

LIBERO E ANTICONFORMISTASilvana Giugli

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A

“Uomo di carattere,romagnolo verace

come pochi sanno ancora essere,quasi d’altri tempi,

Della Bartola riversanella sua pittura

“pastosa”, a tratti violenta,

ma sempre velata da una contenuta e sottile nostalgia,

tutto il suo ribollentespiritaccio”

Sopra: Armido Della Bartola,Paesaggio verucchiese,

olio su tela, cm. 70X90, 1960.Sotto: Armido Della Bartola,

Reti in Pialassa (Ravenna), olio su tavola, cm. 50X70, 1970.

l liutaio, ovverosia l’arti-giano fabbricante di stru-

menti a corde, sia a pizzicoche sfregate, deve averecognizioni alquanto estese diacustica e di musica. Devepotere giudicare da sé gli stru-menti che fabbrica e correg-gerne la sonorità se risultadifettosa. L’apprendistato tec-nico propriamente detto durasvariati anni. In Francia alla“corporation des mestresfeseurs d’instruments demusique de Paris” distintasinel XVI secolo, Enrico IVaccordò nel 1599 degli statutispeciali nei quali era stabilitoche «nessuno aveva il dirittodi vendere, né di acquistare,né di tenere bottega di stru-menti senza essere ammessicome maestri nella corpora-zione, dopo sei anni di appren-distato e la produzione di uncapolavoro». Sono esistiti liu-tai in tutti i paesi d’Europa(Inghilterra, Germania,Olanda, Belgio, Spagna,Francia, Paesi scandinavi,Europa centrale e balcanica)ma la più celebre scuola di liu-teria fu quella di Cremona, inItalia, dal XVI al XVIII seco-lo. Essa fornì strumenti a tuttele corti d’Europa, nell’epocain cui la musica era praticataed onorata dai più grandi per-sonaggi. Ci furono scuolefamose anche a Brescia (ante-riore a Cremona), poi aVenezia, Roma, Milano,Napoli e Firenze. In Germaniaa Mittenwald, Fussen,Markneukirchen. In Austria aSalisburgo e Vienna.Alla fine degli anni ’70, aRimini che non vanta certa-mente tradizioni musicali assi-milabili neppure lontanamentea quelle di Salisburgo, un gio-vane di ventuno anni, PioSbrighi, nato a Sant’Angelo di

Gatteo nel 1957, appassionatodi musica, dopo avere fre-quentato per alcuni anni ilConservatorio Rossini diPesaro ed avervi studiato con-trabbasso armonia e composi-zione, decide di dedicarsi pro-fessionalmente alla liuteria.Vinti gli indugi, ingaggia lagrande scommessa ed impian-ta la sua prima bottega da liu-taio. Quella di Sbrighi apparesubito un’idea estremamentecoraggiosa, ma supportata dauna personalità creativa, dauna innata abilità a lavorare illegno –l’altra sua grande pas-sione era e rimane la scultura-, da una grandissima volontà,da una notevolissima attrazio-ne per la musica. Nel suoprimo anno di attività Sbrighicostruisce e porta a compi-mento cinque strumenti: unautentico record se si conside-ra che alla scuola di liuteria diCremona servono alcuni annidi apprendistato prima di met-tere l’allievo nella condizionedi finire il primo strumento.

Poco alla volta la scelta di PioSbrighi si dimostra vincente:continua naturalmente a stu-diare, a documentarsi, a legge-re, diventa esperto conoscitoredei legni, affina le sue capaci-tà manuali e soprattutto pren-de contatto con MarioCapicchioni, liutaio famoso edaffermato il quale accetta diseguirlo nella sua attività e diinsegnargli i fondamenti delmestiere. I termini del rappor-to con Capicchioni risultanopiuttosto particolari: il mae-stro non prende a bottega l’al-lievo, ma lo lascia muovereper conto suo riscontrandone econtrollandone periodicamen-te le fasi della lavorazionedello strumento. E’ una scuolache si rivela estremamenteefficace per il giovane: lomette infatti attraverso sapien-ti ed opportuni consigli e pre-cise ed illuminanti indicazio-ni, nella condizione di produr-

re subito e da solo uno stru-mento. E’ anche un modo perresponsabilizzare in manieradeterminante l’allievo e perrenderlo consapevole delleproprie potenzialità e più sicu-ro di se stesso. Capicchioniper Sbrighi è stato e continuaad essere oggetto di profondaammirazione: la vernice diCapicchioni viene da lui con-siderata con una sorta di vene-razione la migliore delle ver-nici di tutti i tempi della storiadella liuteria. Sbrighi è tuttoraletteralmente incantato dellainimitabile “mano” di Marinoe di Mario Capicchioni capacidi verniciare in modo talmentelieve da fare sembrare il legnodello strumento colorato natu-ralmente. Il primo laboratoriodi Pio Sbrighi nasce aSant’Angelo di Gatteo, ilpaese di origine da cui proven-ne anche l’altro celebre liutaiostorico riminese ArturoFracassi. Successivamente, adistanza di due anni, la bottegasi trasferisce definitivamente aRimini per approdare doposvariati traslochi nell’attualesede di via Piccinino. Dal1978 al 1983 Pio Sbrighi pro-duce e vende a livello locale,ma nel 1984 decide di trasfe-rirsi a lavorare a Zurigo dovesi ferma per un anno e viene acontatto con una realtà di cul-tura musicale completamentediversa da quella italiana. Inquesto modo ricava nuovi sti-moli e al ritorno in Italia pocoalla volta accresce la sua espe-rienza allargando notevolmen-te i confini del suo mercatosenza peraltro mai ricorrere acommercianti. Pio Sbrighi con

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MUSICA

A R I M I N V M

PIO SBRIGHI / LIUTAIO

QUANDO L’ELEMENTO ESTETICOSI CONIUGA CON QUELLO ACUSTICO

Guido Zangheri

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I

Pio Sbrighial tavolodi lavoro

una applicazione quotidiana disei–otto ore produce attual-mente otto strumenti all’annoe vende prevalentemente inIsvizzera, Germania, Spagna,Palma de Majorca. I suoi stru-menti, di ottima fattura, circola-no ora relativamente poco nelriminese ma hanno ottenutograndi apprezzamenti da celebrimusicisti tra i quali SalvatoreAccardo, i componenti delMelos Quartet con in testa ilprimo violino WilhelmMelcher, Ruggiero Ricci, UtoUghi, Frank PeterZimmermann. Paolo Chiavacci,primo violino del quartettoFonè e docente di musica dacamera al Conservatorio “B.Maderna” di Cesena suona suuno “Sbrighi”. Per il Nostro l’o-biettivo di un buon liutaiodev’essere quello di coniugarel’elemento estetico a quelloacustico. Il fabbricante di stru-menti a corde deve essere ingrado di sapere valutare obiet-tivamente il proprio lavoro, diesercitare una costante auto-critica sul suo operato. Proprioattraverso l’atteggiamento diumiltà il liutaio riuscirà a ren-

dersi conto degli eventualidifetti, degli eventuali proble-mi da risolvere e ciò gli torne-rà ancora più utile in sede diriparazione e di restauro. Lascarsa o cattiva sonorità di uno

strumento non dipende dun-que da una mera operazionemeccanica: occorre entrare nel“cuore” del violino facendotesoro di tutta l’esperienzaacquisita, per comprendere

come intervenire. D’altra parteè chiaro che mentre il modelloestetico di uno strumentopossa essere preso ad esempio,non si riuscirà mai ad imitarnela sonorità. E questo rimane ilgrande problema. Ma Sbrighiha carattere, non si perde d’a-nimo e procede per la sua stra-da raccogliendo consensi esoddisfazioni. Tra le cosecuriose che gli sono occorse inventicinque anni di “bottega”annovera quella di un violini-sta pronto a sobbarcarsi unviaggio di oltre 700 chilometriper portargli personalmente aregistrare l’istrumento.Sbrighi ricorda anche comediversi strumentisti trascurinonon solo di sottoporre i propri“attrezzi di lavoro” ai normali“tagliandi” di manutenzione,ma dimentichino soventeaddirittura di cambiare lecorde per alcuni anni, conrisultati invero negativamentesorprendenti. Nei ritagli delsuo tempo libero Pio Sbrighista lavorando in collaborazio-ne con Lorenzo Frignani diModena alla stesura di unlibro sulla figura di MarinoCapicchioni: il volume che èpressoché concluso –mancasoltanto l’impostazione grafi-ca– rappresenta un doverosoomaggio dell’allievo allamemoria del famosissimopadre del suo maestro.

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MUSICA

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BLOC-NOTES di Sandro PiscagliaE’ SCRITTO NELLA BIBBIA

E´ venuto prima il medico generico oppure lo specialista?Contrariamente a quel che sembrerebbe ovvio, è compar-so prima lo specialista che non il generico. Prima il detta-glio, poi la visione dell´uomo per intero. Prima lo speciali-sta anestesista, poi il chirurgo (plastico).E´scritto nella Bibbia: Dio infuse ad Adamo un profondosopore, poi incise e trasse una costola e la modellò.

TAVOLE IN FESTA

Dal 29 novembre al 9 di dicembre si terrà presso la Saladelle Colonne, in piazza Cavour, la seconda edizione di“Tavole in Festa”. La mostra-concorso di tavole apparec-chiate patrocinata del Comune di Rimini e promossa dalLadies’ Circle di Rimini vede la partecipazione di una ven-tina di negozi del riminese e diversi sponsor tra i quali iMusei Comunali e il Liceo Musicale Lettimi. Il ricavato dellamanifestazione sarà devoluto alla UILDM di Rimini (lottaalla distrofia muscolare). Il Ladies’ Circle è un circolo femminile presente a Riminidal 1974, riunisce donne di età compresa tra i 18 e i 45ed è presente in 31 paesi del mondo con circa 20.000socie attive. Il Circolo opera in conformità del motto“Amicizia ed attività sociale” e suoi scopi sono ampliarevalori culturali con conferenze e dibattiti e promuovereattività di beneficenza a livello locale, nazionale e interna-zionale.

n insolito corteo si snodatra le vie del centro,

affollate per il mercato seraledel venerdì, trascinando alle-gramente riminesi e vacanzie-ri a suon di tamburi e percus-sioni. Sono i partecipanti aicorsi estivi della SIEM che siesibiscono nella performancefinale, quest’anno realizzataall’aperto per uscire dal conte-sto scolastico e rendere l’espe-rienza visibile all’esterno.Il pubblico della strada, lette-ralmente colto di sorpresa, èspettatore di un evento davve-ro speciale. La varietà dei tim-bri, l’energia sonora, le formeinconsuete e le decorazionivariopinte di tamburi, jembè,yabarà, dundun, sabar,claves, bongos, concas emaracas affascinano chiunquesi trovi inaspettatamente apassare tra Corso d’Augusto eVia Gambalunga, fino aPiazza Ferrari, la sera del 11luglio.Marco Giovinazzo, il “piffe-raio magico” della situazione,noto percussionista ed espertodi strumenti etnici, guida ilserpentone di musicanti lan-ciando spunti sonori chedanno il via a spettacolaripoliritmie e appassionantistreet samba. Il gruppo (eranoben 100 i partecipanti ai corsiestivi!) si lascia trasportare dairitmi delle percussioni africa-

ne, brasiliane e caraibiche coneffetti stupefacenti.Anche quest’anno, dunque, iCorsi Estivi Internazionali diDidattica della Musica, giuntialla XXXIV edizione, si sonosvolti con successo a Riminidal 7 al 12 luglio, pressol’Istituto Musicale Pareggiato“G.Lettimi”, con cui da anni laSIEM (Società Italiana perl’Educazione Musicale) colla-bora per la promozione dell’e-ducazione musicale di base ela formazione dei docenti dimusica. Insegnanti di discipli-ne musicali e delle areeespressive, operatori musicali,studenti di musica di ogni etàe provenienza si sono datiappuntamento nella nostracittà per frequentare seminariparticolarmente allettanti,condotti da docenti di chiarafama e riconosciuta competen-za: “Didattica del pianoforte”(Annibale Rebaudengo),“Libera la voce!” e “E adessocantiamo…” (MaddalenaKoczka Tibone), “Tramed’Africa - Ritmi e canti afroper la scuola dell’obbligo, enon solo…” (MarcoGiovinazzo), “Didattica… chespettacolo!” (Ciro Paduano),“Danzare gli altri” (LauraCampironi).La formula della vacanza-stu-dio, che offre agli operatoridella didattica musicale la

possibilità di allargare le pro-prie competenze professionalisenza rinunciare alle opportu-nità di un piacevole soggiornoal mare, continua a dimostrar-si vincente. La disponibilitàdel Direttore dell’IstitutoMusicale, M° Guido Zangherie del personale del Lettimi,sempre pronto alla collabora-zione, ancora una volta è statadeterminante ai fini del buonesito dell’iniziativa.Ma torniamo alla nostra sera-ta. L’idea dello spettacolo iti-nerante per le vie del centro ènata nel contesto di “Tramed’Africa”, il corso sulla musi-ca di tradizione africana edafro-americana che ha comefinalità l’utilizzo di materialisonori etnici nell’ambito del-l’educazione musicale e del-l’animazione. Le lezioni sisvolgono collettivamente econsistono nell’esecuzionecon le percussioni e la voce,l’apprendimento per imitazio-ne, l’improvvisazione di grup-po e l’esplorazione di reperto-ri extraeuropei, alla scopertadi identità musicali e possibilicontaminazioni fra culturediverse.Il coinvolgimento degli altricorsisti nell’allestimento dellospettacolo è stato una naturaleconseguenza del clima di con-divisione che ha caratterizzatola settimana musicale rimine-

se; il contributo di ciascuno,unico ed originale, si è rivela-to determinante per il risultatofinale e tutti si sono sentitiprotagonisti in una produzionecollettiva di grande effetto.I corsi della SIEM, come ènoto, non sono finalizzati aduna rappresentazione, ciò cheè importante è infatti il percor-so didattico e l’obiettivo for-mativo alla base delle diverseproposte; ma è anche vero chedopo una full immersion dimusica, danza e attivitàespressive si è in grado di tra-sformare senza sforzo i singo-li elementi didattici in mate-riale da concerto. Ne scaturi-sce un momento di socializza-zione emotivamente moltoforte che diventa spettacolo esi caratterizza per originalità,spontaneità e desiderio di ren-dere gli altri partecipi dellapropria esperienza esaltante.

(* del Direttivo Nazionale della SIEM)

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MUSICA

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34ª EDIZIONE DEI CORSI ESTIVI INTERNAZIONALI DI DIDATTICA DELLA MUSICA

PER LE STRADE A SUON DI TAMBURIMaddalena Patella *

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I partecipanti ai corsi estivi della SIEM

per le strade del centro storico di Rimini

in una “rumorosa” performance

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L’Omega Speedmaster è l’unico orologio abilitato al volo dallaNASA e scelto dall’agenzia spaziale russa per le missioni nellospazio con uomini a bordo. Così è nato un orologio leggendario– l’unico indossato dall’uomo sulla Luna. Oggi la leggenda continua grazie al l ’esclusivo modello Speedmaster BroadArrow, dotato di una ruota a colonne che è il contrassegno diun cronografo autenticamente superiore.

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n semplice proverbio,vera essenza di esperien-

ze e di comportamenti, puòscatenare, a volte, la fantasia diuno scrittore per formalizzareuna storia. Così è successo aFranco Brasini che, prendendospunto dal motto “Il padronesono io, ma chi comanda è miamoglie”, ha stilato in tre attiuna commedia brillante “Chegenerel dla mi moi”. Questa,interpretata e rivisitata col con-senso dell’autore dalla compa-gnia “Jarmidied”, quest’anno èstata rappresentata per 14volte.Le capacità occulte degli inter-preti, sollecitate anche dal regi-sta ed attore Maurizio Antolini,hanno avuto tanto successo dapoter esclamare ad ogni repli-ca: Tot i bel, tot i brot, intornaa nun i ridiva tot!La filodrammatica “Jarmidied”nasce all’ombra del campaniledella Chiesa “Gesù NostraRiconciliazione”, nel 1994(non a caso il nome di battesi-mo è “Jarmidied dla Rico”) equi cresce. Per le prove, suinvito del parroco DonDomenico Valgimigli, il cast

usa il teatro polivalente dellaparrocchia, dove ogni annoAntolini organizza una rasse-gna di commedie dialettali.La compagnia si forma perl’intuizione di alcuni dilettantifra cui lo stesso capocomico,Marina Paganelli, Valeria Parrie Lella Savoretti. Questi dap-prima s’impegnano a ricercarealcuni canovacci d’autore poiad allargare il gruppo conCorrado Albani, RenatoCarichini, Alexia Bianchi,Ettore Lanci, GiovanninoUrbinati, tutti provenienti dadiverse zone di Rimini o daaltre esperienze: di qui l’appel-lativo poi semplificato in“Jarmidied” ovvero “I rimedia-ti”.Oggi, oltre ai fondatori, nell’é-quipe figurano ClaudioFilippini, Franca Deluigi,Roberto Semprini, AdrianoCecchini, Ivan Foschini,Daniele Lucchini, GogliardoRicchi e gli aiuti di scena:Franca Lotti, Luciana Vici,Gilda Filippini, BrunoBaroncini, Cesarina Sarti. E’consuetudine della compagniaportare in scena, ad anni alter-

ni, una commedia ed una farsa.Prima dell’ultima recita, lafilodrammatica “Jarmidied” haportato alla ribalta “La perpe-tua inamureda” (2001-02) diG. Lucchini, “La mosca t’è lat”(2000-01) di G. Spagnoli, “E’parsot de Signor” (1999-00) diG. Spagnoli, “ A gl’ochi a-dPlucon” (1998-99) di P. P.Gabrielli, “Stal mami” (1997-98) di L. Faenza, “Pidriul e i sufiol” (1995-97) di G. Lo Magro(replicata 18 volte e per dueanni consecutivi).Nel 1996, nel Teatro dei Fratidi Bellariva, durante la rappre-sentazione di quest’ultimacommedia avviene un cambiodi scena, obbligatoriamente aluce spenta. All’improvvisometà sipario si sfila dal binarioe nel buio un’attrice, intenta adappendere una piattaia, cadefra uno strepitoso frastuono dicocci. Uno spettatore le grida:Lella, chi ti pensa?L’interessata ribatte: Me a neso, sa tot che da fè ch’a jò!Conuna solenne risata cala la ten-sione e lo spettacolo continua.In questi canovacci affiora unospaccato di vita contadina o

borghigiana, intriso di unavigorosa tradizione popolareed amalgamato da una bonariae sottile ironia. Durante le rap-presentazioni gli attori cercanodi dare colore e calore ai senti-menti ed alle emozioni, chespesso al pubblico si presenta-no come un ventaglio di allu-sioni e di ricordi, fra pieghe diridanciane espressioni locali.Per “Jarmidied” il teatro èun’attività creativa e ricreativa,capace inoltre di arricchire ivalori della persona; non a casoogni anno il gruppo destina ilricavato delle proprie rappre-sentazioni a progetti di benefi-cenza.Per recuperare quei preziosivalori sociali e umani lasciatiin eredità dai nostri avi, la com-pagnia -previo parere favore-vole dei Consigli di Circolo ed’Istituto- si rende disponibilead insegnare il dialetto nellescuole elementari.

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TEATRO DIALETTALE

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COMPAGNIE E PERSONAGGI DELLA RIBALTA RIMINESE

JARMIDIEDAdriano Cecchini

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La compagnia “Jarmidied”nella commedia dialettale “Che generel dla mi moi”

di Franco Brasini. Da sinistraMarina Astolfi (Rusina),

Ivan Foschini (Teobaldo),Maurizio Antolini (Lurenz),Adriano Cecchini (postino),

Valeria Parri (Sunta), Claudio Filippini (Ristin),

Lella Savoretti (Betta), Franca Deluigi (Susan),

Daniele Lucchini (Giovanni).

el corso della sua storia, il Rotary ha adottato vari principifondamentali intesi a guidare i soci nelle loro attività profes-

sionali e in quelle condotte al servizio dell’organizzazione. LoScopo del Rotary, formulato inizialmente nel 1910, offre unadefinizione succinta dello scopo dell’organizzazione e delleresponsabilità individuali dei soci.Lo Scopo del Rotary è di promuovere e diffondere l’ideale delservire, inteso come propulsore di ogni attività, e in particolare dipromuovere e diffondere:Primo. Lo sviluppo di rapporti interpersonali intesi come oppor-tunità di servizio.Secondo. Elevati principi morali nell’attività professionale e neirapporti di lavoro; il riconoscimento dell’importanza e del valoredi tutte le attività utili; il significato dell’occupazione di ognirotariano come opportunità di servire la società.Terzo.L’applicazione dell’ideale del servire alla vita personale,professionale e sociale di ogni rotariano.Quarto. La comprensione, la tolleranza e la pace fra i popolimediante una rete internazionale di professionisti e imprenditoridi entrambi i sessi, uniti dall’ideale del servire.Il principio delle classifiche assicura che l’effettivo di ogni Clubrifletta la realtà economico-professionale della comunità in cui hasede. Il sistema stabilisce che ogni socio sia classificato in base

alla propria occupazione e che il numero dei rappresentanti diogni classifica sia proporzionale al numero complessivo dei soci.Ne risulta una diversità professionale che ravviva l’atmosferasociale del Club e fornisce un serbatoio di competenze professio-nali ricco e variegato. Le quattro Vie d’azione, basate sullo Scopo del Rotary, costitui-scono il fondamento filosofico dell’organizzazione e la base delleattività dei Club:L’Azione internasi concentra sull’affiatamento e sull’adeguatofunzionamento dei Club.L’Azione professionaleincoraggia i rotariani a porre le propriecompetenze professionali al servizio del prossimo e ad osservarei più alti principi morali.L’Azione d’interesse pubblicoriguarda i progetti e le iniziativeche i Club intraprendono per migliorare le condizioni di vitaall’interno delle loro comunità.L’Azione internazionaleriguarda i progetti umanitari condotti intutto il mondo e le iniziative per promuovere la comprensione ela pace tra i popoli.La Prova delle 4 verità, applicata universalmente dai rotariani, èstata creata da Herbert J. Taylor nel 1932 e da allora tradotta inpiù di 100 lingue diverse.

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NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M

PROMUOVERE E DIFFONDERE L’IDEALE DEL SERVIRE

I PRINCIPI GUIDA DEL ROTARY

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N

in dagli albori della storia, l’olivo era coltivato in manie-ra diffusa nei paesi del mediterraneo, come attestano gli

scritti più antichi e le attrezzature per l’estrazione dell’olioritrovate nei siti archeologici. Secondo la mitologia, la crea-zione dell’albero dell’olivo viene attribuita a Minerva (Deadella luce e della sapienza). La storia racconta che il primoalbero sorse nell’acropoli di Atene in seguito ad una sfidatra la Dea e Poseidone. Plinio e Cicerone narrano cheAristeo (figlio di Apollo e della ninfa Cirene), guidato daalcune ninfe, fosse riuscito ad estrarre per primo l’olio dopoaver franto le olive. Da ciò si evince che la storia dell’olivoe dell’olio ha radici antichissime, notevoli fonti storiche nar-rano che questa pianta si diffuse in tutti i paesi sulle spondedel Mediterraneo. Si crede che l’albero sia partito dallaFenicia (Libano-Siria) e da qui diffuso poi in tutti gli altripaesi del Mediterraneo. Da reperti archeologici si appren-de che in Egitto si commerciava in olio già dalla XIXmadinastia (1575-1085 A.C.) e che il ramo di olivo per loroaveva un significato simbolico assai importante, infatti eraauspicio di opulenza e fecondità nella vita ultraterrena.Ancora prima nel 2500 A.C. il codice di Hammurabi rego-lava la produzione e il commercio dell’olio. La sacra Bibbiaattribuisce al ramo di ulivo significato di pace e speranza,

infatti è ciò che porta la colomba a Mosè alla fine del diluviouniversale. Durante l’epoca Imperiale Romana la diffusionedell’olivo era diventata così importante e la produzione di oliocosì abbondante da renderne il prezzo di mercato accettabilee spesso veniva distribuito gratuitamente assieme al pane alleclassi meno abbienti. I “Negotiatores oleari” erano i soli com-mercianti abilitati a trattare “l’oro verde” ed erano riuniti incollegi di importatori. Le contrattazioni delle varie partiteavvenivano nella “Arca Olearia”, una vera e propria borsaspecializzata. Le opere letterarie che trattano di agricoltura daCatone ai Georgici sono prodighe di consigli su come pro-durre l’olio, nulla è lasciato al caso dalle varietà più adattealla potatura, all’epoca e ai sistemi di raccolta fino alle tecni-che di frangitura. La cosa più sorprendente è che molti di que-sti sistemi sono ancora attuali. E’ il caso della raccolta a manodelle olive ancora verdi, secondo Catone e Plinio, solo percitare alcune fonti, era il sistema per ottenere l’olio più pre-giato. Seguiva poi l’olio dal colore più intenso, derivante dalleolive raccolte all’epoca dell’invaiatura. Un gradino più sotto sicollocava l’olio delle olive ben mature raccolte in inverno.Decisamente poco pregiati ma economici erano gli oli delleolive cadute a terra o colpite dai parassiti; in genere eranodestinati alla alimentazione degli schiavi.

VIAGGIO INTORNO ALL’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVAMarco Amati

F

ggi milioni di persone vivono in condizioni di avvilentepovertà. Nei Paesi più poveri, uomini e donne si coprono

letteralmente di stracci perché non hanno indumenti, mentre iloro figli vanno in giro nudi, rivelando sui corpi emaciati i segniinconfondibili della denutrizione. Per quanto impressionante, sitratta di uno spettacolo tutt’altro che raro nel mondo in via di svi-luppo, come parecchi Rotariani ben sanno. In molte nazioni afri-cane come quella da cui provengo, la povertà e la miseria hannoun volto riconoscibile nei suoi tratti più devastanti. Ma la pover-tà e la miseria hanno molte facce. Nei paesi più ricchi, possonoessere dissimulate in maniera tale che sia più facile ignorarle.

Eppure quasi ogni comunità ha persone bisognose. ComeRotariani, abbiamo il dovere di aprire gli occhi e guardarci den-tro, imparare a riconoscere coloro che non hanno casa, assisten-za medica, cibo ed altre cose essenziali che troppo spesso diamoper scontate, e dobbiamo affrontare questi problemi con compas-sione e pragmatismo. Chiedo pertanto a tutti i Rotariani di consi-derare l’alleviazione della povertà la priorità numero uno di que-st’anno”.

A partire già dall’età Villanoviana la presenza dell’olivo nel-l’area riminese può dirsi continuativa. Durante i secoli diRoma se c’era un notevole flusso commerciale di vino verso lacapitale questo non avveniva per l’olio, probabilmente perchéle produzioni erano limitate e quindi destinate al solo merca-to locale. E’ opportuno aggiungere che a rifornire l’Urbe cipensavano le zone di produzione della Magna Grecia. Neisecoli dell’Alto Medioevo e particolarmente nel X secolonumerose fonti archivistiche segnalano la presenza di nume-rosi olivi sparsi, oppure di oliveti veri e propri. Nel TardoMedioevo però questa coltura si diffonde, trova un’eloquentetestimonianza grazie alla diffusione dei mulini da olio, docu-mentati in tutti i nuclei rurali significativi. Essendo mossi datrazione animale e non idraulica come avveniva per quelli dagrano, i mulini da olio trovano collocazione all’interno deicentri abitati: le carte del XV secolo ne indicano l’esistenza neicastelli di Santarcangelo, Longiano, Verucchio, Albereto,Sansavino, Montecolombo, Misano, Montegridolfo,Montefiore ecc. Non mancano neppure delle forme di prote-zionismo a difesa della produzione locale. Significativo è ilfatto che a Cesena durante il periodo della fiera di agosto nel1509 venisse stilata una regola perdurante da tempo: qual-siasi commerciante forestiero non poteva commerciare in olio,vino e sale.Infine un ultimo cenno sulla qualità dell’olio locale. Esistonotestimonianze che ne comprovano la bontà del prodotto. Nel1487 Violante di Montefeltro vedova di Novello Malatesta,

ritiratasi in convento a Ferrara chiede dai suoi possedimentidi Cesena “un poco di olio”. Nel Seicento Raffaele Adimari,descrive la diocesi del riminese : “che sia abbondante di oliodi eccellentissima bontà lo sa il Montefeltro e il resto dellamontagna al disopra di esso ed in particolare lo sa e lo gustala città di Ravenna e altri luoghi di Romagna fino aBologna”.Ma esiste un problema che storicamente si ripropone: duran-te il periodo invernale è possibile che si verifichino dellegelate e questo fatto mette in grave pericolo il patrimonio oli-vicolo locale. Esistono cronache datate all’anno 1802 in cuiviene descritta la situazione delle piante alla fine di un’in-vernata che ha disseccato la maggior parte delle piante diolivo causando danni incalcolabili. Pertanto la situazionedescritta contribuisce a far sì che le produzioni annuali diolio siano estremamente diverse. L’olivo per sua natura èlegato a fasi di alternanza per cui, in condizioni normali,non garantisce una produzione annuale costante, se poi siconsiderano gelate cicliche che a cadenza decennale secca-no buona parte delle piante, si spiega il motivo per il qualein Romagna non si raggiungono mai delle quantità di oliorilevanti. Ci troviamo, infatti, in una fascia climatica limite.

L’olio extravergine di oliva, è il prodotto della sola spremitu-ra meccanica delle olive e ciò rappresenta una notevolegaranzia in fatto di salubrità del prodotto. Inoltre, si deve

SETTEMBRE-OTTOBRE 2003

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M

IL MESSAGGIO DI JONATHAN MAJIYAGBEPRESIDENTE DEL ROTARY INTERNATIONAL

TENDI LA MANO

51

O“

“Quello che mi scandalizza non è che esistano i ricchi e i poveri.

E’ lo spreco!” (Madre Teresa di Calcutta)

Il presidente del Rotary Club Rimini

Bruno Vernocchi e il past-president

Paolo Pasini

Segue a pag. 52

INNER WHEELQuesto il nuovo Consiglio Direttivo dell’Inner Wheel clubRimini & Riviera per l’anno sociale 2003-2004. Presidente:Maria Chiara Pedrazzi; Vice presidente: Andreina Bianchi;Past president: Luisa Barone; Segretaria: Gabriella Bonori;Tesoriera: Barbara Fusco; Delegate al Distretto: MaddalenaPagliacci e Nietta Sorrentino; Consiglieri: Alma Capelli,Vivi Galassi, Luisa Giuliano, Maddalena Pagliacci ePatrizia Sarti.In ambito distrettuale. Vice Governatrice: Maria CristinaPelliccioni; Chairman Servizi Internazionali: FrancaRestani.

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NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M 52

precisare che le temperature di esercizio nel processo di lavorazione vengonoimposte per legge. Infatti il regolamento C.E.1019/2002 stabilisce che, perestrarre a freddo un extravergine, la temperatura della pasta (cioè l’insieme diolive frantumate) non deve essere superiore a 27°C. In tale modo vengonolasciati integri i nutrienti che rendono questo prodotto il più sano dei grassi.Se la temperatura di esercizio gioca un ruolo importante, fondamentale èanche la qualità della materia prima. Infatti, la qualità del prodotto finale èproporzionale alla qualità della materia impiegata. Non va neppure dimenti-cata la professionalità di chi trasforma e il tipo di impianto che si utilizza, poi-ché anche questi sono fattori che concorrono nel creare la differenza tra unbuon olio ed un olio eccellente.I sistemi di estrazione più diffusi sono due:1) Sistema tradizionale (frangitura delle olive ed estrazione del mosto oleosoper pressione).2) Sistema continuo (frangitura delle olive ed estrazione del mosto oleoso percentrifugazione).

AGENDAAGOSTO

07/08 Conviviale con signoreGrand Hotel, h. 20,15 n. 2465.

21/08 Conviviale con signoreaGrand Hotel, h. 20,15 n. 2466.

28/08 CaminettoGrand Hotel, h. 21,15 n. 2467.Assemblea per l’approvazione delbilancio consuntivo e preventivo.

Rotary Club Rimini(Fondato il 29 gennaio 1953)Anno Rotariano 2002/2003

Consiglio Direttivo

Presidente: Bruno VernocchiVicepresidente: Enzo PruccoliPast President: Paolo PasiniSegretario: Paolo SalvettiTesoriere: Duccio Morri

Consiglieri: Renzo Ticchi, Nevio Monaco, Gilberto Sarti e Gianluca Spigolon

Ufficio di Segreteria:Paolo Salvetti: Via Tripoli, 194

47900 RIMINI - Tel. 0541.389168

Ariminum: Via Destra del Porto, 61/B - 47900 RiminiTel. 0541.52374

ROTARY INTERNATIONALDistretto 2070

TOSCANA - EMILIA ROMAGNA - R.S.M.Governatore: Sante Canducci

SETTEMBRE04/09 Conviviale con signore

Grand Hotel, h. 20,15 n. 2468.Marina Zaoli: “La fiaba come strumen-to educativo”. Presentazione del libro“Dalla fiaba al mito, dal rito all’incon-scio”.

11/09 Conviviale con signoreGrand Hotel, h. 20,15 n. 2469.Visita del Governatore Sante Canducci.

18,19,20/09Club Contatto con gli amici di Berlino,Liverpool e Vichy.

18/09 CaminettoGrand Hotel, h. 20,15 n. 2470.Norberto Bonini: “Nuove classificheper ammissione soci”.

26/09Conviviale con signorePark Hotel, h. 20,15 n. 2471.“Comitato Interpaese”. Interclub conRotary della Repubblica di San Marinoe Rotary Rimini Riviera

da pag. 51VIAGGIO INTORNO ALL’OLIO

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