Estratto dal libro...hanno intessuto per insegnarti a cadere dentro di loro. «La verità può...
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Estratto dal libro
Tu non sei Dio
di Andrea Colamedici e Maura Gancitano
in uscita a Maggio 2016
www.tlon.it - [email protected]
INTRODUZIONE
La Spiritualità è un cammino il cui punto di partenza è
ovunque e il cui arrivo è in nessun luogo. Non si
smette mai di iniziare un lavoro su di sé, né è possibile
terminarlo.
Come ogni buon cammino è pieno zeppo di trappole:
baratri dietro ai cespugli, bivi pericolosi, briganti senza
scrupoli, animali velenosi. E, proprio come in ogni
buon cammino, è importante cadere in tutte le
trappole: in fondo, la strada è la trama che le trappole
hanno intessuto per insegnarti a cadere dentro di loro.
«La verità può essere detta solo sotto forma di bugia»,
ha scritto il simpaticissimo filosofo armeno G. I.
Gurdjieff. Allo stesso modo, «gli insegnamenti più
importanti possono essere impartiti solo sotto forma
di trappole», ti dico io.
Esaminiamo insieme le 7 trappole più diffuse tra le
strade della Spiritualità.
PRIMA TRAPPOLA
LA GUARIGIONE
La prima trappola del cammino spirituale è senza
dubbio la guarigione. Spesso ci s’inoltra nel bosco
dello Spirito perché spinti da un grande dolore: la
morte di una persona cara, la malattia, una
separazione. Non trovando risposte e soluzioni altrove
si cercano appigli nel trascendente, nel metafisico, nel
favoloso mondo interiore.
Si studiano e approfondiscono tecniche più o meno
interessanti e trasformative, tutti presi dal guarire, dal
recuperare la salute, l’amore e similari.
Guarire è però una trappola, e inconsapevoli
bracconieri sono tutti quei guaritori, curanderi e
similari che pongono nella guarigione il fine del lavoro
su di sé.
Se, cioè, è piuttosto diffusa l’idea che la malattia sia il
modo attraverso cui il corpo richieda attenzione,
finisce spesso in secondo piano il fatto che lo scopo
della malattia non consiste nel restaurare uno stato di
salute precedente, in accordo con la radice germanica
VAR, coprire, proteggere, da cui proviene il termine
guarire.
Piuttosto, la malattia richiede il trasformare, ossia
l’andare aldilà della forma attuale delle cose (trans-
formare, appunto). Cadere nella trappola della
guarigione come ritocco, aggiustamento è però un
errore necessario. Senza passare da questa
comprensione erronea non si potrebbe cogliere il
valore della trasformazione: è solo passando dal
bisogno di conformismo, dall’ansia di recuperare una
vecchia forma, che è possibile scoprire la possibilità di
crearne una nuova.
Quando intervistai uno dei più grandi “guaritori”
contemporanei mi disse:
«Non m’impiccio più delle malattie delle persone,
delle piccole cose che vorrebbero cambiare nella loro
vita. M’impiccio del fatto che se ne occupino, della
loro vita».
Per un pensiero ordinario, guarire è e resterà sempre
l’essenziale. Per un pensiero esoterico, invece, guarire
sarà soltanto una gradita conseguenza secondaria.
SECONDA TRAPPOLA
LA RICERCA
Come diceva quel guaritore, le persone non si
occupano della propria vita. «La vita è quella cosa che
accade mentre sei intento a fare altri progetti», cantava
mutuando i Sufi l’ottimista John Lennon in Beautiful
Boy. Ottimista perché, a quel che mi risulta, la vita è
quella cosa che accade mentre non fai nient’altro.
Sarebbe bello che ci fossero dei progetti a riempire
l’esistenza delle persone, ma non mi pare che accada.
Al massimo, si copia un progetto che qualcuno ha
copiato a qualcun altro, che a sua volta aveva copiato
da un terzo (e via dicendo), senza poi portarlo davvero
da nessuna parte.
Nella “spiritualità” si manifesta la stessa dinamica: si
comincia pieni d’entusiasmo, passando da un corso di
formazione sui Fiori di Bach a un seminario sulla
lettura dell’Aura e, a un certo punto, se non si vuole
rimanere spettatori per tutta la vita, ci si trova di
fronte a un bivio: diventare ricercatori o scopritori.
Solitamente si sceglie la prima opzione, cominciando a
girare in tondo su quanto è già stato conosciuto (dal
latino circare, andare intorno) tentando, al massimo, di
allargare i confini di quel che si sapeva già. È una bella
definizione della pigrizia, d’altronde, la cui origine
dalla radice indo-europea pac, che indica qualcosa di
solido, statico e denso, è in linea con l’idea del
muoversi attorno alle cose. In entrambi i casi, difatti,
non si fa altro che sancire il già conosciuto,
rafforzandolo ed espandendolo, senza mai trovarsi
realmente aldilà del conosciuto (e, quindi, di se stessi).
Io mi muovo da dentro il limite, e lo spingo più in là.
Così il conosciuto si espande, ma io non compio mai
esperienza del vero sconosciuto, non lo scopro mai.
Non sono io che esco dai limiti e porto il conosciuto
verso di me, come accadrebbe invece nello scoprire.
È solo una questione di pigrizia, sai?
TERZA TRAPPOLA
LA MORTE
Rimbaud ha scritto: «Che zitella divento, se mi manca
il coraggio di amare la morte!», e don Juan concordava
con lui quando consigliava a Castaneda di tenere
sempre alla propria sinistra la morte come eterna
compagna. In accordo con quelli lì era anche Philip K.
Dick quando scriveva «È sorprendente: il potere della
morte umana di far rinsavire. Ha più peso di ogni
parola, di ogni argomento: è la forza ultima. Si
impossessa della tua attenzione e del tuo tempo. E ti
lascia cambiato». Ecco: il fine dichiarato o occulto del
cammino spirituale dei ricercatori contemporanei è, al
contrario, aggirare la morte, in pieno accordo con il
ben più ordinario consumismo della società di massa
contemporanea, dai ritocchi estetici dei cadaveri alle
creme antiage.
Tutta la formazione esperienziale attorno al morire
che ha caratterizzato le società preindustriali – i riti di
passaggio, i misteri di morte e rinascita, le cartografie
escatologiche del post-mortem – non è oggi utilizzata
per sposare la morte, ma per capire come divorziarci.
Sposare la morte e contemporaneamente firmare un
contratto prematrimoniale per la separazione dei beni:
ecco quel che facciamo, così grottesco e tremendo.
Tutta l’attenzione dei ricercatori dell’Occidente è
proiettata dopo la morte e non nella morte. Negare la
morte puntando dritti ai Paradisi, ai mondi che
verranno e all’idea che la morte non è la fine di tutto, e
quindi non è niente è come pretendere di scagliare una
freccia senza aver teso l’arco, o saltare oltre un
ostacolo senza aver preso prima la rincorsa.
In altre parole, se la società Occidentale rifiuta in toto
la morte, la spiritualità Occidentale la prende in
considerazione solo per comodità e non per necessità.
«Non è che ho paura di morire», ha detto Woody
Allen. «È che non vorrei essere lì quando succede».
L’ossessione dell’aldilà è un modo per sfuggire alla
morte, per non essere davvero lì quando succederà.
Eppure, è necessario affrontare quell’ossessione, cadere
in quella trappola per potervi trovare nel fondo gli
strumenti per uscirne e risalire: è troppo grande
l’orrore della situazione, per dirla ancora con
Gurdjieff, per affrontarlo tutto in una volta.
QUARTA TRAPPOLA
LA CRESCITA PERSONALE
A questo punto avrai capito che la spiritualità
contemporanea è il tentativo di conquista del mondo
invisibile messo in atto dal mondo visibile, in chiara
rottura con svariate tradizioni spirituali della storia.
Ricordi l’omino che spingeva il limite del proprio
mondo nella seconda trappola? Quello che espandeva i
limiti e conquistava pezzi d’invisibile. Ecco:
l’impossessarsi (dal greco potis-sidere, sedersi sopra)
dell’invisibile è necessario alla conferma costante del
proprio benessere. Il rifiuto dell’ombra, delle tenebre,
delle notti oscure, è il frutto del bisogno dell’uomo
contemporaneo di stare bene.
Perché?
Perché la spiritualità contemporanea è una via che
promette il successo, il superamento di tutti i
problemi, la crescita interiore. Una via che permette di
confermarsi a livelli sempre più alti.
Scriveva James Hillman ne Il codice dell’anima:
«Finchè la cultura non riconoscerà che crescere è
discendere, tutti i suoi membri si troveranno ad
annaspare alla cieca per dare un senso agli
obnubilamenti e alle disperazioni di cui l’anima ha
bisogno per penetrare nello spessore della vita».
La crescita, nel percorso immaginario dell’uomo
comune, viene automaticamente associata alla scalata
verso l’alto.
A partire dalle antiche tradizioni essoteriche cristiane,
ebraiche, greche, che ponevano nella scala verso il cielo
un simbolo molto potente di progresso spirituale, ciò
che unisce viene posto in alto e ciò che divide (e che di
conseguenza appartiene ad un livello inferiore) si trova
in basso. Dal basso vengono estratti il carbone, il ferro,
il rame, il petrolio, ossia le materie prime del
sottosuolo che subiscono un aumento del loro valore
economico semplicemente attraverso il cambio di
luogo: dal basso, la miniera, all’alto, la raffineria.
Così si sale nella scala sociale, si giunge ai piani più alti
degli ascensori, quelli piu costosi. Si tratta di un luogo
comune che la natura stessa smentisce da sempre,
insieme al piano esoterico delle tradizioni di cui sopra.
Quantomeno contemporanea all’elevazione è la
discesa: la pianta eleva sì i propri rami verso l’alto,
verso la luce, ma spinge allo stesso tempo le proprie
radici nella terra, verso la linfa, sempre più in basso
nell’oscurità. L’ultima conquista evolutiva dell’uomo è
consistita nel riuscire a stare con i piedi per
terra. L’anima si ritrova oberata da manie di grandezza
e scalate verso il successo, che cozzano contro la sua
naturale tendenza: scendere nel mondo. L’ossessione
della crescita personale, dell’essere più motivati, più
illuminati, più svegli è il sintomo del grande
fraintendimento: l’idea di evoluzione. Bisognerebbe
cominciare a ragionare su una decrescita interiore, su
un cambio di paradigma che inverta la tendenza del
panorama spirituale a crescere, consumare e produrre,
e stimoli invece a un’ecologia personale.
QUINTA TRAPPOLA
IL RISVEGLIO
Il risveglio è una scusa messa in campo per costringere
le persone a darsi da fare. Te lo dico subito, tanto
siamo già al quinto punto: o hai capito o non hai
capito. Porre nel futuro il risveglio è un’idea necessaria
per mettersi in azione ora. È la lepre meccanica che si
fa rincorrere dai levrieri al cinodromo. E, anche in
questo caso, è una trappola necessaria: siamo troppo
stupidi per compiere un lavoro senza prospettiva di
compenso, com’è invece in verità.
Sicché i grandi maestri della storia, senza neanche
mettersi d’accordo, sono giunti tutti alla stessa
conclusione: «inventiamoci un premio finale,
altrimenti questi qui non si smuoveranno mai! Nel
frattempo, anno dopo anno, capiranno l’inganno, e
prima o poi ne rideranno».
Vedi, il fatto è che non possiamo svegliarci
semplicemente perché non stiamo dormendo:
piuttosto, siamo sognati. Mi piace pensare che tutti
quelli che l’hanno capito abbiano deciso di tacere per
non rovinare il gioco degli altri, evitando così di
svelare l’assassino del romanzo che stiamo vivendo. Mi
auguro, quindi, che tu non creda a quello che ti ho
appena detto.
SESTA TRAPPOLA
LA FELICITÀ
Affine alle trappole della crescita personale e del
risveglio è l’idea della felicità. Paul Valéry sosteneva
che «Con il mito volgare della felicità, si può fare degli
uomini press’a poco ciò che si vuole, e tutto quello che
si vuole delle donne». Va detto che l’idea attuale della
felicità è ben rappresentata nella Bhagavadgita come
Rajas: «La felicità che nasce dall’unione dei sensi con
la materia è chiamata rajasica. In principio sembra
nettare, ma alla fine è come veleno» (Il Beato, XVIII:
37-38), e che esistono felicità ben più interessanti
dell’edonismo, ma comunque parziali.
La felicità è un’idea ponte, ossia un’impalcatura di cui
bisogna disfarsi una volta costruita la struttura. Stupidi
come siamo, abbiamo bisogno d’indicazioni stradali
dal nome altisonante (“felicità”, “successo”,
“risveglio”, “bellezza”) per giungere – forse – nella
terra della semplice “verità”. E – trappola – solo chi
non si pone più il problema della felicità può essere
felice. La grande utilità della letteratura nel campo del
Self-help consiste nello spingere al massimo i limiti
dell’essere umano, rendendolo talmente tanto
caricaturale da costringerlo ad accorgersi della propria
ridicolaggine e, forse, cominciare finalmente a capire.
Vale la pena osservare come andrà a finire: sarà un
bello spettacolo.
SETTIMA TRAPPOLA
LA SPIRITUALITÀ
Alla fine del viaggio nelle trappole non ti sembrerà
uno stupido gioco di parole affermare che la più
grande trappola della spiritualità è la spiritualità.
Bada bene: non sto sconsigliando di intraprendere un
cammino interiore; al contrario, ne sostengo la
necessità. Non sto neanche puntando il dito sui falsi
guru, sui pericoli delle scuole esoteriche, sul lessico
ridicolo e consolatorio della spiritualità per negati,
sulle tecniche olistiche che spaziano dal ridicolo al
pericoloso, sul grande business che sta portando le
grandi aziende a investire su pubblicità sempre più
legate al mondo della spiritualità perché tira. Tutte
queste sono trappole chiare, banali, su cui campeggia
un grande cartello con su scritto “Trappola!”. Se ci
caschi non hai scuse: te la sei cercata.
Piuttosto, la spiritualità è una trappola perché
funziona esattamente come un koan, un’affermazione
paradossale, oscura e assurda che stimola
costantemente a fare come l’omino della seconda e
quarta trappola: uscir fuori dal conosciuto per
esplorare l’ignoto.
Nell’aforisma 324 de La Gaia Scienza, ad esempio,
Nietzsche scriveva così: «La vita potrebbe essere un
esperimento di chi è volto alla conoscenza – e non un
dovere, non una fatalità, non una frode. […] “La vita
come mezzo della conoscenza” – con questo principio
nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma
perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere».
La spiritualità è un insieme di sfide che qualcosa ha
posto di fronte a qualcuno per offrirgli la possibilità di
vivere e ridere gioiosamente dei propri desideri e della
propria condizione.
Una spiritualità che non sia paradossale, spietata e
contraddittoria non potrà mai svolgere la propria
funzione detonante. La spiritualità deve contraddirsi
perché contraddizione è il modo con cui un piano di
realtà chiama il piano che lo supera.
Alla luce di tutto questo fai attenzione: se non ti senti
in trappola, sei in trappola.
Forse che mi contraddico?
Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico,
(sono vasto, contengo moltitudini).
Walt Whitman