Estratto da “Lettera a Claudia”

17

Click here to load reader

description

chi è Maria Valtorta

Transcript of Estratto da “Lettera a Claudia”

Page 1: Estratto da “Lettera a Claudia”

25

CAPITOLO QUARTO

Maria Valtorta

È venuto il momento di parlarne. Non con te, que­sta volta, ma con quelli che poco sanno e non hanno compreso. Immagino di averli davanti a me. Mi sono cari, alcuni per parentela, altri per amicizia. Rivol­go a loro una domanda: “Che concetto avete di Maria Valtorta?”. Li vedo leggermente imbarazzati. Rie­scono a dire: “È una santa donna, che ha avuto delle visioni e ha scritto…” e non sanno cosa aggiungere, ma certamente pensano ad opere pietistiche. Qual­cuno si spinge a completare la risposta con maggiore cognizione. Sanno che un parere ingeneroso su Ma­ria Valtorta equivale ad avere disistima di me. Mi vogliono bene e non vorrebbero dispiacermi. A que­sto punto prendo io la parola e lo faccio partendo da lontano.

Parte prima.Come sapete, cari miei, esiste un Vangelo scritto.

Lo hanno scritto in quattro. Ognuno dei quattro au­tori, detti Evangelisti, scrisse un Vangelo per conto proprio, tanto che i quattro Vangeli sono detti: se­condo Matteo, secondo Marco, secondo Luca, secon­do Giovanni.

Quando uno, parlando, dice “secondo me”, signi­

Page 2: Estratto da “Lettera a Claudia”

26

fica che egli vuole esprimere un’opinione persona­le, che potrebbe essere diversa dalle opinioni sullo stesso argomento che sente dire da altri. I quattro Evangelisti ebbero in comune lo stesso intento, che era quello di riferire alcuni fatti della vita terrena di Gesù, di cui tutti e quattro furono contemporanei. Eppure i loro testi devono distinguersi l’uno dall’al­tro se la liturgia, nel proclamarli, fa precedere il nome dell’autore da quella preposizione che significa “stando a quanto egli scrive”.

Una prima diversità, riconosciuta da tutti, sta nelle fonti cui attinsero. Due di loro, Matteo e Gio­vanni, erano stati discepoli di Gesù, che li aveva fatti suoi apostoli; perciò erano stati testimoni diretti dei fatti che essi raccontavano, o almeno di gran parte di quei fatti. Gli altri due, Marco e Luca, riferivano quello che avevano sentito raccontare dalla Madre di Gesù o dagli Apostoli, soprattutto da Pietro che ne era il capo. La diversità delle fonti non produce, nei Vangeli, delle verità contrastanti di uno stesso fatto, ma di uno stesso fatto può presentare delle differenze nei dettagli, nel senso che alcuni aspetti particolari di quel fatto sono propri di una fonte e non di un’altra.

Una seconda diversità, azzardata da me, poteva derivare anch’essa da un intento che era comune ai quattro Evangelisti, cioè l’intento di dover scrivere per istruire e ammaestrare le comunità cristiane che si stavano formando. Sappiamo che tutti e quattro avevano la conoscenza oggettiva di Gesù, di quello che Egli aveva detto e fatto, ma io non escluderei che fosse soggettiva, cioè personale e in qualche misu­

Page 3: Estratto da “Lettera a Claudia”

27

ra diversificata, la conoscenza che ciascuno di loro aveva delle capacità culturali e soprattutto delle ne­cessità spirituali dei fratelli che dovevano crescere nella fede e fortificarsi in essa. La premura di dover essere al servizio di esigenze reali può averli guidati nella scelta dei fatti della vita di Gesù e nel modo di esporli, tanto che qualche Evangelista ha seguito un criterio tematico anziché quello della successione cronologica dei fatti che è propria delle biografie.

Perfino i primi tre, che vengono detti “sinottici” perché narrano quasi le stesse cose, tanto che i loro testi possono essere in gran parte sistemati su tre colonne parallele, si distinguono tra loro per alcune difformità non trascurabili e in apparenza inconci­liabili, che procurano del lavoro agli esegeti. Questo può dipendere, secondo me, non solo dalle differen­ti fonti d’informazione, ma anche da un personale modo di porsi dinanzi ai destinatari della Buona Novella.

Potrei fare degli esempi, ma prevale (anche per brevità) la mia presunzione di paragonare me a loro. In questo capitolo ho abbandonato momentaneamen­te la forma epistolare per una lezione di cui Claudia non ha bisogno, ma che è diretta a “quelli che poco sanno e non hanno compreso” soprattutto in merito alla Valtorta, e la sto svolgendo, la mia lezioncina, con argomenti adatti a loro, in una forma nuova ri­spetto ad altre da me usate in trattazioni analoghe. Se io sono capace di tanta attenzione verso chi deve ascoltarmi, figuriamoci come lo erano i quattro santi Evangelisti nella loro ben più alta missione.

L’evangelista Giovanni si distingue nettamente

Page 4: Estratto da “Lettera a Claudia”

28

dai primi tre. Riferisce su episodi e fatti che non si apprendono dai “sinottici” e vede tutto in una di­mensione più spirituale. Dichiara che la sua fonte è se stesso, anche se si nomina in terza persona, ma senza nascondere di essere stato il discepolo più amato da Gesù e quindi di poterne essere il testi­mone più accreditato. La sua posizione di privile­gio può fargli affermare che non è possibile scrivere tutto ciò che Gesù fece, perché il mondo non baste­rebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere. Intanto il mondo si è riempito di libri che sono stati scritti allo scopo di studiare, centellinare, meditare le poche pagine dei quattro Vangeli, con la sorpresa di poterne ricavare interpretazioni e insegnamenti a non finire.

Si ritiene che Giovanni abbia scritto il suo Van­gelo in tarda età. Non si sa come e quando sia morto, mentre sappiamo che fine fecero gli altri apostoli, tutti martirizzati. Egli narra, nella parte finale del suo Vangelo, che Gesù predisse a Pietro in che modo sarebbe morto, e Pietro, volgendosi a guardare Gio­vanni, chiese: “Signore, e di lui che ne sarà?”. Ecco la risposta di Gesù: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?”. Tanto che – aggiunge testualmente Giovanni parlando di se stesso – si dif­fuse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sa­rebbe morto.

Questi aspetti della sua esistenza, uniti alla singolarità del suo Vangelo, tutto nuovo rispetto a quello dei sinottici, mi fanno pensare che Giovan­ni, a differenza dei tre Evangelisti che lo avevano preceduto, non si limitasse a guardare alle comunità

Page 5: Estratto da “Lettera a Claudia”

29

cristiane in formazione, ma spingesse il suo sguardo alle generazioni future, da evangelizzare ripresen­tando il Vangelo sempre come Novità, fino al ritorno ultimo di Gesù, che appunto aveva precisato: “finché io venga”. L’immortalità era profetizzata non per la persona di Giovanni, ma per un Vangelo di cui Gio­vanni rappresenta il “segno”.

Gesù eleggerà Maria Valtorta a “piccolo Giovan­ni”.

Parte seconda.Come sapete, miei cari, è esistita Maria Valtorta.

Non siete mai stati interessati a lei, non mi avete mai fatto domande specifiche su di lei, ma sapete che c’è stata e che vive nelle sue opere, di cui io sono l’e­ditore (ma soprattutto il curatore, se non lo sapete) da oltre mezzo secolo. Suppongo, anzi ne sono quasi certo, che voi mettiate la Valtorta sullo stesso piano delle veggenti o visionarie (ma anche uomini), a volte sempliciotte e illetterate, che si mostrano in atteg­giamenti estatici o si fanno fotografare con vistose piaghe sul corpo, quasi per farsi propaganda. Se così pensate, siete completamente fuori pista, rischian­do di andare a sbattere contro un muro d’ignoranza valtortiana se il vostro pensiero preme sull’accele­ratore.

Di Maria Valtorta si potrebbe redigere una sche­da personale di questo tipo: figlia unica di un mili­tare di carriera e di una insegnante di francese, di gradevole aspetto, di natura passionale, intelligente, di carattere forte, aperta agli affetti ed a sani inte­ressi culturali, con una formazione maturata in un

Page 6: Estratto da “Lettera a Claudia”

30

collegio prestigioso, dotata di notevoli capacità let­terarie, d’ingegno versatile, non disdegnava le legit­time e lecite aspirazioni della vita. Fu innamorata, avrebbe voluto sposarsi e avere figli, ma senza mai dissociarsi dalla dimensione spirituale dell’esisten­za, cui rimase sensibile nonostante certe contrarietà ambientali.

Della sua vita, narrata con spietata sincerità nell’Autobiografia, che prosegue a mo’ di diario nel­le lettere e in altri scritti suoi, mi è sufficiente, ora, porre alla vostra attenzione un solo episodio, che ri­tengo il più cruciale.

Era una bambina di quattro anni e mezzo e fre­quentava l’asilo delle Orsoline a Milano. Nella cap­pella si venerava la statua di un Cristo deposto dal­la croce, raffigurato con un verismo impressionante, tanto che le bambine ne erano spaventate. Lei, inve­ce, ne tremava di compassione e avrebbe voluto che l’urna, che lo custodiva sotto l’altare, fosse aperta per poterlo carezzare e mettergli nella mano il bel confettone che la nonna le dava nell’accompagnarla all’asilo ogni mattina. Avrebbe voluto ringraziare Gesù e compensarlo, perché aveva capito che egli si era fatto ridurre in quello stato per amore di tutti noi. Non è cosa da nulla per una bambina, ma non lo sarebbe anche per un adulto, riuscire a vedere il dolore associato con l’amore. Lei stessa scriverà: “… ho sempre avuto l’ansia di consolarlo facendomi simile a Lui nel dolore volontariamente patito per amore”.

Quel “sempre” non sta a significare che da quel momento lei si donò tutta a Dio. Nient’affatto! Lei

Page 7: Estratto da “Lettera a Claudia”

31

visse la sua vita nella pienezza di una vicenda umana che sperimenta gli amori terreni. “Amare – scriverà nell’Autobiografia – era per me condizione inderoga­bile per poter vivere”. Significa, quel “sempre”, che l’intuizione avuta in età precoce non si cancellò mai dal suo animo. Solo quando ebbe sperimentato con sofferenza “la caducità delle affezioni umane” (sto usando le sue parole), solo allora lei fece cambiare direzione alla sua sete di amare e trovò la vera gioia. L’ansia di farsi simile a Lui, rimasta potenzialmente in lei, si attivò quando fu lei a volerlo. Da passionale, quale era per natura, divenne appassionata per libe­ra scelta d’amore, realizzando il dolore volontaria-mente patito per amore.

Maria Valtorta non si rassegnò ad accettare e a sopportare il dolore come sanno fare i buoni cristia­ni, ma abbracciò il dolore amandolo, come si ama una persona da cui non ci si può staccare, o un ideale cui non si può rinunciare. Chiedeva di poter soffrire, e offriva ogni genere di sofferenza, fisica, morale e spirituale, come doveroso contributo all’opera della redenzione. L’accettazione del suo soffrire da parte del Signore la faceva gioire spiritualmente. Se non soffriva si riteneva punita, all’incirca come ci sen­tiamo mortificati noi se un nostro dono viene rifiuta­to o almeno ci è sembrato non gradito.

La sua offerta per amore fu totale e totalizzante. Dette tutto senza ricevere nulla che fosse apprezza­bile umanamente. Volle rimanere nascosta e scono­sciuta in vita quando le sue sole doti naturali avreb­bero potuto farla emergere nel mondo. Mi viene da pensare ai santi più noti, da Francesco d’Assisi a Pio

Page 8: Estratto da “Lettera a Claudia”

32

da Pietrelcina (peraltro cari entrambi alla Valtorta) e vedo che tutti sono stati in qualche modo penitenti per amore, ma non vedo nessuno che sia stato privato in vita di un minimo di riconoscimento o di fama gratificante, insieme con inevitabili incomprensioni e persecuzioni. Maria Valtorta mi sembra unica.

Gesù la elesse a “piccolo Giovanni”. Amata e amante come il discepolo prediletto, affidò a lei, per noi, il “segno” del Vangelo eterno, che è Gesù stesso.

Parte terza.Mi accorgo che sto facendo entrare in gioco la

fede, ma so che la fede non può e non deve essere im­posta. Io rispetto il non credente e mi attengo alla ragionevolezza, che ora esige una domanda: si può credere che l’Opera scritta da Maria Valtorta le è stata rivelata? Si presenta un problema: chi non può credere alla rivelazione non riesce a dare una spie­gazione plausibile al complesso fenomeno che l’Ope­ra rappresenta. Allora cercherò di spiegarvi in breve che cosa è l’Opera di Maria Valtorta semplicemente fidandomi di quello che lei attesta, cioè di averla ri­cevuta.

Maria Valtorta, dal suo letto d’inferma (da dieci anni giaceva paralizzata dalla cintola in giù) assi­ste da spettatrice alla rappresentazione della vita terrena di Gesù. La grande storia inizia con la na­scita e l’infanzia della Madre sua e prosegue con la nascita e l’infanzia di Lui; prende maggiore consi­stenza con la vita pubblica di Gesù, che inizia all’età di trent’anni circa e termina, dopo tre anni, con la sua passione, morte e resurrezione; si conclude con

Page 9: Estratto da “Lettera a Claudia”

33

i successivi eventi riguardanti ancora la Madre e i primordi della Chiesa nascente.

Intorno ai due Protagonisti ruotano innumerevo­li personaggi, a cominciare dagli apostoli e dai di­scepoli. Di essi si può ricomporre la vicenda umana ricollegandone le tappe dai vari punti della vasta Opera. Sono biografie che, nel bene o nel male, ri­sentono della grande biografia di Gesù e di Maria sua madre.

Lei, la Valtorta, vede e scrive tutto di suo pugno con penna stilografica sul quaderno poggiato alle ginocchia inarcate. È bravissima nel descrivere, è davvero una scrittrice nata, ma le parole dei dialoghi e dei discorsi le trascrive come le sente dire. È una storia lunga, che impegna la scrittrice inferma per la durata di quattro anni. Scrivendo di getto, senza rileggere e senza fare correzioni, lei riempie innu­merevoli pagine di molti quaderni, che nella stampa formeranno una serie di volumi per complessive cin­quemila pagine.

Maria Valtorta si sente immessa nella scena, pre­sente ad ogni azione. Avverte odori e rumori, caldo e freddo, si volge a seguire il gesto di un personaggio, è come guidata a fissare un particolare e soprattutto prende parte agli stati d’animo, alle gioie e ai dolori, agli entusiasmi e alle amarezze. Lei non deve pensa­re ad imbastire una trama, a preparare uno schema, a comporre un capitolo, come fanno gli scrittori spe­cialmente di romanzi storici. Lei riceve passivamen­te pur partecipando attivamente. Osserva, forse solo interiormente, e scrive. Di suo, come ripeto, impegna la innata capacità di scrittrice, con uno stile perso­

Page 10: Estratto da “Lettera a Claudia”

34

nale che risente di toscanismi e con una ricchezza di vocabolario non priva di qualche elegante arcaismo.

Ora voi non vogliate dire: “Beata lei!”, dimenti­cando quello che vi ho detto nella parte seconda. Lei ha potuto “vedere” (perché tutti noi potessimo go­derne e beneficiarne) dopo avere offerto totalmente se stessa e continuando ad offrirsi nella sofferenza più completa. Gesù le aveva detto: “Ricordati che non sarai grande per le contemplazioni e le rivela­zioni, ma per il tuo sacrificio. Le prime te le concede Iddio non per tuo merito ma per sua infinita bontà. Il secondo è fiore del tuo spirito ed è quello che ha merito agli occhi miei”.

La sua Opera, monumentale per mole, è straordi­naria per il valore del suo contenuto, anche conside­rando la modalità della sua stesura: scritta di getto, in condizioni disagiate, senza una cultura adeguata, senza consultare testi e senza alcun bisogno di una revisione per aggiustamenti e correzioni. Per giun­ta, non sempre la stesura procedeva secondo l’ordine narrativo. A volte, per contingenti esigenze spiritua­li, Maria Valtorta doveva scrivere qualche episodio fuori dalla trama e in seguito Gesù le indicava dove andava inserito. Nonostante ciò e malgrado l’assolu­ta mancanza di schemi preparatori, scritti o menta­li (lei dichiarava di non sapere cosa avrebbe scritto giorno dopo giorno), l’Opera ha la struttura perfet­tamente organica di una lunga e complessa storia che inizia, si sviluppa e termina, nella successione cronologica dei fatti, senza discordanze di qualsiasi tipo, specialmente nella caratterizzazione dei nume­rosi personaggi.

Page 11: Estratto da “Lettera a Claudia”

35

Il primo giudizio, se permettete, dobbiamo riser­varlo alla Chiesa, trattandosi di un’Opera che rical­ca, ampliandola e sviluppandola, la trattazione dei Vangeli. L’Autorità Ecclesiastica, come è noto, non è mai benevola verso le rivelazioni, che guarda con sospetto invitando i fedeli alla prudenza. Verso l’O­pera della Valtorta, poi, è stata di una severità ec­cessiva. Tuttavia non ha potuto mai trovare in essa qualcosa che fosse contro la fede e la morale, le due materie di sua competenza. Lo dimostrano tre docu­menti ufficiali, che io ho pubblicato e analizzato in un opuscolo. Se vi interessa, ve lo darò.

Lasciatemi aggiungere, per inciso, che alcuni religiosi ed ecclesiastici, non investiti dell’Autori­tà istituita ma ugualmente autorevoli per scienza e santità riconosciute, hanno scritto fiumi di parole sulla ricchezza del contributo che l’Opera valtor­tiana apporta alla fede della Chiesa, attestando che nessun altro scritto ha dato finora, in perfetta coe­renza con il dettame dei quattro Vangeli, una cono­scenza tanto completa e tanto viva di Gesù e della Madre sua.

Non mi spingo oltre sull’aspetto religioso, che po­trebbe interessarvi di più in futuro. Mi presto, per ora, a farvi considerare l’Opera della Valtorta alla stregua di un romanzo storico, che è un genere lette­rario praticato da grandi autori.

Un buon romanzo storico fa rivivere l’anima di un’epoca nello scenario di un ambiente che la ri­specchia e con personaggi vissuti in essa realmen­te o verosimilmente. La storia che in tal modo viene raccontata è frutto della cultura dell’autore del ro­

Page 12: Estratto da “Lettera a Claudia”

36

manzo, della sua capacità di filtrare il racconto at­traverso approfondite ricerche storiche e di esporlo con una personale sensibilità.

Maria Valtorta, ormai lo avrete capito, non era nelle predisposizioni culturali, oltre che nelle condi­zioni fisiche (non poteva andare in archivi e biblio­teche a consultare testi), di un autore che voglia ri­costruire un periodo storico popolato di personaggi. Quindi si potrebbe concludere che il suo romanzo, per quanto avvincente, sia falsamente storico, cioè frutto di fervida fantasia. Bene! È provato con meto­do scientifico che l’Opera di Maria Valtorta è Storia viva.

Già dal suo primo apparire, sessant’anni fa, l’O­pera, non ancora pubblicata ma fatta conoscere in copie dattiloscritte, ebbe degli attestati di grande rilievo. Devo per forza citarne qualcuno, scegliendo da discipline diverse.

Vittorio Tredici, mineralogista di grande espe­rienza, specializzato nello studio dei fosfati in Trans­giordania, dove aveva compiuto frequenti viaggi, era rimasto colpito dalla “conoscenza perfetta che la scrittrice aveva della Palestina e dei Luoghi dove si è svolta la Predicazione di Nostro Signor Gesù Cristo. Conoscenza – egli prosegue – che in taluni passi su­pera la normale cognizione geografica o panoramica per diventare addirittura topografica e più ancora geologica e mineralogica. Sotto questo profilo… non esistono… pubblicazioni tanto dettagliate da rende­re possibile neppure ad uno scienziato, che non sia stato di proposito in sito, di poter immaginare e de­scrivere interi percorsi con tale perfezione da far ri­

Page 13: Estratto da “Lettera a Claudia”

37

manere perplessi coloro i quali hanno avuto invece questa possibilità”. E cita degli esempi a convalida delle sue affermazioni.

Nicola Pende, medico di fama mondiale, ritenu­to un caposcuola nel campo della endocrinologia e patologia costituzionale, definì l’Opera della Val­torta “un vero capolavoro”, che in modo speciale fa conoscere e illumina l’umanità di Gesù. E aggiunse: “… quella che in me medico ha suscitato la più gran­de ammirazione e la meraviglia per la perizia con cui la Valtorta descrive una fenomenologia che solo pochi medici consumati saprebbero esporre, è la sce­na dell’agonia di Gesù sulla croce”. Riferisce le fasi dell’agonia come è descritta e conclude: “La pietà e la commozione più grande invade il lettore cristiano alla lettura di questa pagina stupenda, di stile vera­mente medico, del manoscritto di Maria Valtorta”.

Maurizio Raffa, monsignore eclettico, che del­la sua abitazione romana aveva fatto un cenacolo di noti cultori dei vari rami del sapere, che si con­frontavano con l’obiettivo di convergere verso l’u­nità delle scienze, scrisse di aver trovato nell’Opera “ricchezze incomparabili” e concluse il suo attestato in questo modo: “Volendo esprimere un giudizio sul valore intrinseco ed estetico, osservo che, per scri­vere uno solo fra i molti volumi componenti l’Opera, occorrerebbe un Autore (che oggi non esiste) che fos­se insieme grande poeta, valente biblista, profondo teologo, esperto in archeologia e topografia, e cono­scitore profondo della psicologia umana”.

Qualcuno potrebbe non accontentarsi delle espressioni di ammirazione per la bravura di Ma­

Page 14: Estratto da “Lettera a Claudia”

38

ria Valtorta. Non potremmo dargli torto. Quando restiamo affascinati dalla padronanza che una per­sona mostra di avere nel campo dello scibile umano, dovremmo anche accertarci se quello che dice ha un fondamento di verità nelle varie scienze.

Mi viene da sorridere perché – scusate la digres­sione – ripenso a quello che mi disse un prete di cam­pagna. Egli aveva invitato nella sua parrocchia un dotto predicatore e notò che gli umili contadini lo ascoltavano a bocca aperta. Sentì poi commentare: “Come parla bene! Non si è capito niente”.

Tornando seriamente alla Valtorta, ritengo prov­videnziale che un lettore francese della sua Opera, infastidito dalle descrizioni che a volte abbondano di dettagli, con spirito di scetticismo abbia deciso di passarle al vaglio di accurate ricerche. È un inge­gnere in pensione, che coltiva interessi culturali di vasta portata. Cominciò a raccogliere dati di ogni genere e li confrontava con trattati e documenti del­la stessa materia, passando di meraviglia in meravi­glia. Si è tanto appassionato a quel lavoro da averne fatto quasi lo scopo della sua vita. Ha dichiarato di aver “repertoriato” ben diecimila dettagli. Intanto ha pubblicato un primo volume delle sue scoperte, che s’intitola L’Enigma Valtorta. Claudia lo ha tra­dotto dal francese: è stata la sua ultima fatica.

I “dettagli” da lui raccolti vanno dal nome di una città o di un borgo all’iscrizione su un cippo miliare, dal modo di usare un arnese alla foggia di un abito, da un dato climatico ad una fase lunare, dalla lun­ghezza di un percorso alla sosta presso una sorgente, dalla natura del suolo alla diramazione delle stra­

Page 15: Estratto da “Lettera a Claudia”

39

de, da un panorama a un ponte romano, dal nome di un milite ad un modo di imprecare, dai gesti rituali all’animazione in un mercato, dalla coltivazione di un campo al nome di una pianta o di un fiore, dalla datazione di un avvenimento storico ad un aspetto caratteriale del popolo ebraico, dalla differente pro­nuncia di una parola tra ebrei di regioni diverse ai motti di spirito di romani goderecci, e altro ancora.

Le fonti consultate sono: trattati scientifici delle diverse discipline, scritti dei primi secoli sia cristia­ni che giudei o romani, diari di antichi pellegrini, relazioni di scavi archeologici anche recenti, testi di esegesi biblica eccetera. L’autore francese delle ricerche, che egli documenta puntualmente, ha di­chiarato che la veridicità dei dettagli sfiora la per­centuale del cento per cento.

Tra gli studiosi che prima di lui si erano occupati della Valtorta emerge la figura del biblista Gabrie­le M. Allegra, che la Chiesa ha proclamato Beato. Era un francescano italiano che andò missionario in Cina, dove si dette da fare con pari fervore come apostolo e come studioso, fino ad aver tradotto l’in­tera Bibbia in lingua cinese. Egli ha scritto molto sull’Opera valtortiana: in lettere, in pagine di diario e in un breve ma esauriente saggio. Voglio farvi no­tare solo una sua osservazione da esperto linguista: “… questa donna del secolo ventesimo, che, confina­ta sul letto di dolore, è divenuta la fortunata contem­poranea e seguace di Cristo, … quando gli Apostoli e Gesù pregavano in ebraico o aramaico li sente par­lare in italiano, ma in un italiano aramaizzante. […] Nei dialoghi e nei discorsi che formano l’ossatura

Page 16: Estratto da “Lettera a Claudia”

40

dell’opera, … si sente una traduzione ottima di una parlata aramaica, o ebraica, in un italiano vigoroso, polimorfo, robusto”.

L’ambiente storico, dunque, di questo straordina­rio “romanzo storico” è veritiero perfino nella pro­prietà di un linguaggio che riesce a riflettere lingue diverse. Lo ha risuscitato una scrittrice dotata, che è stata eletta ad essere “contemporanea” e “segua­ce” del Protagonista. Vi lascio pertanto immaginare quale perfetta e viva conoscenza ella ci ha trasmesso della “storicità” di Gesù Cristo, dei suoi discorsi che sono soltanto abbozzati dagli Evangelisti, delle sue dispute con i giudei, dei suoi dialoghi con romani e pagani, dei suoi incontri con peccatori e peccatrici, della sua pedagogia nel formare gli apostoli, di ogni suo gesto di vita quotidiana, del suo modo di pregare, del completo svolgimento di episodi che sono appena accennati nel Vangelo canonico e dei tanti miracoli, armonizzando la natura umana con la natura divina di Lui e caratterizzando con introspezione psicolo­gica i tanti personaggi che si pongono sul suo cam­mino di Evangelizzatore, per non parlare del tragico realismo del dramma finale della passione e morte.

Non è da meno la figura storica di Maria, la Ma­dre. L’insigne mariologo Roschini ha scritto, rife­rendosi all’Opera valtortiana: “È da mezzo secolo che mi occupo di Mariologia: studiando, insegnan­do, predicando e scrivendo. … Nessun altro scritto mariano, e neppure la somma degli scritti mariani da me letti e studiati, era stato in grado di darmi, del Capolavoro di Dio [la Vergine Maria], un’idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e così

Page 17: Estratto da “Lettera a Claudia”

41

affascinante: semplice insieme e sublime”.Concludo. L’Opera che vi ho illustrato non ha

uguali nella letteratura mondiale di ogni tempo. Maria Valtorta l’ha scritta, con il sacrificio di se stessa, perché anche voi poteste fare la conoscenza storica di Gesù, Vangelo per l’eternità. Claudia mi raccomanda di dirvelo.