ESTERI REPORTAGE Guatemala patria incerta · 2012. 1. 7. · Il tesoro delle civiltà precolombiane...

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| 22 dicembre 2010 | | 28 | | 22 dicembre 2010 | 29 Guatemala patria incerta Il passato da terra di conquista, l’isolamento degli indigeni, il boom delle sette evangeliche. Viaggio nel regno degli antichi maya. Che oggi rischia di diventare il primo paese dell’America Latina dove i cattolici sono una minoranza I DANNI COLLATERALI DELLA GUERRA FREDDA Un paese subordinato agli Stati Uniti dagli anni Quaranta La Guerra fredda aveva questa strana disparità: contrappo- sizione non violenta in prossimità di Mosca e Washington, indiscriminata brutalità lontano dal Cremlino e dalla Casa Bianca. Ecco allora la Corea, il Vietnam, l’Afghanistan. Per il Centroamerica, il tragico palcoscenico della Guerra fredda ha chiamata alla ribalta anche il Guatemala. L’Onu ha classifica- to come genocidio la persecuzione degli indigeni durante la guerra civile degli anni Sessanta e Settanta, dove il supporto alla dittatura militare da parte degli Stati Uniti era cosa nota e il bilancio finale fu di oltre 200 mila vittime. Oggi addirittu- ra si scopre che gli amici di ieri forse non sono mai stati tali fino in fondo. Ai primi di ottobre di quest’anno Hillary Clinton ha dovuto telefonare, seguita da Obama, al presidente gua- temalteco Álvaro Colom per scusarsi. Di cosa? Dagli archivi della “dirty war”, il cui quartier generale americano si tro- vava nientemeno che all’interno del palazzo presidenziale di Guatemala City, è emerso che scienziati statunitensi sul finire degli anni Quaranta infettarono, con il consenso delle autorità locali, 700 pazienti disabili mentali, carcerati e prostitute con il virus di malattie veneree per testarne la resistenza alla penicillina. Comportamenti «non etici», «esperimenti odiosi» li ha definiti il segretario di Stato americano. Accolte le scuse, Colom ha comunque minacciato azioni legali, anche se per intraprenderle dovrà fare i conti con la realtà. Ovvero un paese economicamente debole e subordinato agli Stati Uniti. A sinistra, una donna maya e Guatemala City. Sopra, indigeni maya in navigazione sul Rio Dulce. A destra, una chiesa di Antigua Guatemala distrutta dal terremoto del 1773. di Alessandro Turci, foto di Federica Miglio ESTERI REPORTAGE

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Guatemala patria incertaIl passato da terra di conquista, l’isolamento degli indigeni, il boom delle sette evangeliche.Viaggio nel regno degli antichi maya. Che oggi rischia di diventare il primo paese dell’America Latina dove i cattolici sono una minoranza

I DANNI COLLATERALI DELLA GUERRA FREDDA Un paese subordinato agli Stati Uniti dagli anni Quaranta La Guerra fredda aveva questa strana disparità: contrappo-sizione non violenta in prossimità di Mosca e Washington, indiscriminata brutalità lontano dal Cremlino e dalla Casa Bianca. Ecco allora la Corea, il Vietnam, l’Afghanistan. Per il Centroamerica, il tragico palcoscenico della Guerra fredda ha chiamata alla ribalta anche il Guatemala. L’Onu ha classifica-to come genocidio la persecuzione degli indigeni durante la guerra civile degli anni Sessanta e Settanta, dove il supporto alla dittatura militare da parte degli Stati Uniti era cosa nota e il bilancio finale fu di oltre 200 mila vittime. Oggi addirittu-ra si scopre che gli amici di ieri forse non sono mai stati tali fino in fondo. Ai primi di ottobre di quest’anno Hillary Clinton ha dovuto telefonare, seguita da Obama, al presidente gua-temalteco Álvaro Colom per scusarsi. Di cosa? Dagli archivi della “dirty war”, il cui quartier generale americano si tro-vava nientemeno che all’interno del palazzo presidenziale di Guatemala City, è emerso che scienziati statunitensi sul finire degli anni Quaranta infettarono, con il consenso delle autorità locali, 700 pazienti disabili mentali, carcerati e prostitute con il virus di malattie veneree per testarne la resistenza alla penicillina. Comportamenti «non etici», «esperimenti odiosi» li ha definiti il segretario di Stato americano. Accolte le scuse, Colom ha comunque minacciato azioni legali, anche se per intraprenderle dovrà fare i conti con la realtà. Ovvero un paese economicamente debole e subordinato agli Stati Uniti. A sinistra, una donna maya e Guatemala City. Sopra, indigeni maya in navigazione sul Rio Dulce. A destra, una chiesa di Antigua Guatemala distrutta dal terremoto del 1773.

di Alessandro Turci, foto di Federica Miglio

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ESTERI REPORTAGE

LA PRIMA CAPITALE SPAGNOLA Tra secolarismo e nuove fedi emergentiPer oltre duecento anni la città di Antigua è stata la capitale del governatorato spagnolo, che all’epoca si estendeva su tutto l’attuale Centroamerica. Qui sorsero gli esempi più suggestivi e fastosi del Barocco ispano-americano, fino a quando nel 1773 una serie di terremoti distrusse la città. A quel punto la corona di Spagna decise di costruire la capita-le in un luogo più sicuro, l’odierna Guatemala City. Antigua Guatemala sorge ai piedi dell’im-ponente Volcan de Agua e oggi è un centro turistico di strepitosa forza evocativa, dove la moltitudine di chiese racconta architetto-nicamente un capitolo della colonizzazione spagnola. Ancor più emblematico se si pensa che a causa della secolarizzazione e della crescita esponenziale delle sette evangeliche (i cui fedeli superano ormai la soglia del 40 per cento della popolazione), il Guatemala rischia di diventare il primo paese di tutta l’America Latina dove i cattolici saranno minoranza religiosa. Il fenomeno è impressionante se si pensa che solo alla metà degli anni Settanta la nazione era interamente cattolica. Sotto e a destra immagini di Antigua.

L’AUTOEMARGINAZIONE DEI MAYA Le tribù gelose delle proprie tradizioniA differenza dei maya dello Yucatan messicano, più permeabili a uno stile di vita moderno, quelli degli altopiani guatemaltechi sono rimasti fedeli alla loro cultura. Divisi in tribù, vivono emargi-nati dalla società civile. Ieri le dittature militari cercarono di sterminarli, oggi vengono discrimi-nati. Il culmine si ebbe negli anni Ottanta, con la campagna chiamata “terra bruciata” che rase al suolo oltre 400 villaggi indigeni. Lo sfruttamen-to minerario del territorio, e il crescente alleva-mento di bestiame, sono fattori che descrivono benissimo lo stile di vita di queste popolazioni contadine, la cui vita gravita da sempre attorno alla coltura del mais. Spesso le terre vengono espropriate per incentivare altre colture. A sinistra e poi in senso antiorario, una chiesa cattolica a San Pedro sul lago Atitla, oggettisti-ca sacra, e popolazione indigena.

TIKAL E CHICHICASTENANGO Il tesoro delle civiltà precolombiane Per trovare qualcosa che non sia stata travolta dalla tra-gedia della guerra civile e della repressione, bisogna andare nelle città di Tikal e Chichicastenango. La prima rappresenta il tesoro archeologico del Guatemala, la più vasta città maya giunta fino ai giorni nostri. Immersa nella foresta pluviale, Tikal è un’area che deve dare ancora molte risposte agli stu-diosi. A Chichicastenango la cultura maya dei Quiché vive, se non totalmente integrata alla società, almeno in un regime di tolleranza. Il famoso mercato della città è un variopinto compendio di atavici saperi artigianali. La folla si raduna qui ogni domenica per assistere al sincretismo dei riti religiosi che prima si svolgono per le strette strade del centro e poi terminano ai piedi della chiesa cattolica di Santo Tomás. Dal basso in senso orario, popolazione maya dei Quiché durante riti religiosi e al mercato, il tempio maya a Tikal.

UN PEZZO D’AFRICA AI CARAIBI L’enclave garifuna di LivingstonSulla foce del Rio Dulce troviamo Livingston, un agglomerato di case colorate con tetti di lamie-ra e paglia, affacciata sul mare dei Caraibi. È un’enclave garifuna: popolazione di origine afri-cana o amerinda che nei secoli ha patito emar-ginazione ed esodi forzati lungo tutta l’America Centrale. La musica, il sincretismo religioso, la cucina, la parlata creola e l’abbigliamento fanno dubitare chi sbarca qui che davvero si trovi in Guatemala. Sotto e a destra immagini di Livingston e popolazione di etnia garifuna.