Estate 2015 - Approfondimento 02 - Fotografia

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1 Ma che titolo è? - vi starete chie- dendo. Come si fa a scrivere con la luce? Beh, sicuramente l’avete fatto almeno una volta, se avete scattato una fotografia. La parola fotografia”, infatti, deriva dalla lingua greca e significa proprio “scrivere con la luce”. Quando fotografiamo non facciamo altro che questo: usiamo la luce per scrivere, non sulla carta ma sulle pellicole (nelle vecchie macchine fotografiche) oppure sui sensori (nelle fotocamere digitali di oggi). Ma facciamo un passo indietro nel tempo. Vi ricordate, su PLaNCK! numero 1, l’esperimento della ca- mera oscura? Scopriamo assieme la sua storia! DOSSIER SCRIVERE con la LUCE K C P N L a ! 15 57 6 7 19

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Ma che titolo è? - vi starete chie-dendo. Come si fa a scrivere con la luce? Beh, sicuramente l’avete fatto almeno una volta, se avete scattato una fotografia. La parola “fotografia”, infatti, deriva dalla lingua greca e significa proprio “scrivere con la luce”. Quando fotografiamo non facciamo altro che questo: usiamo la luce per scrivere, non sulla carta ma sulle pellicole (nelle vecchie macchine fotografiche) oppure sui sensori (nelle fotocamere digitali di oggi).Ma facciamo un passo indietro nel tempo. Vi ricordate, su PLaNCK! numero 1, l’esperimento della ca-mera oscura? Scopriamo assieme la sua storia!

DOSSIER

SCRIVEREcon la

LUCE

KCP NLa !15

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Iniziamo dal nome, “camera oscura”. Potrà sembrarti che non c’entri niente con la fotogra-fia, ma prova a pensare: hai mai sentito dire “fotocamera” per indicare una macchinetta fotografica? E come si dice “macchinetta fo-tografica” in inglese? Proprio “camera”! Questi termini derivano proprio dall’antenato di que-sti strumenti, la camera oscura appunto.

L’esempio più semplice di camera oscura è una scatola chiusa con un foro che lascia passare la luce, come nell’esperimento di PLaNCK!/1. La luce che entra dal foro viaggia in linea retta, formando dei raggi. Se questi raggi incontrano un oggetto nel loro cammino, formeranno sulla parete opposta un’immagine dell’oggetto, capovolta.

Un’immagine capovolta è tutto quello che si può ottenere con una semplice scatola bu-cata, ma le proprietà della luce non finiscono qui. Ad esempio, si possono aggiungere delle lenti: così si riesce a raddrizzare l’immagine, ingrandirla o rimpicciolirla.

Questa invenzione divenne subito molto po-polare, soprattutto tra gli artisti. Potevano infatti usare questo metodo per proiettare l’immagine di un paesaggio su una parete, e così dipingerlo fedelmente. Tra gli artisti che fecero così ci fu anche il grande Leonardo da Vinci!

Cameree raggi di luce

Leonardo

Da Vinci

Questo disegno ti mostra come funziona

una camera oscura

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Tutto questo era molto interessante, ma c’era un problema: l’immagine rimaneva proiettata solo finché la luce passava attraverso il foro, e poi naturalmente scompariva. Bisognava trovare il modo di fissare l’immagine senza bisogno di pitturarla.

Fu così che negli anni Trenta dell’800 i francesi Louis-Jacques-Mandé Daguerre e Joseph Nicéphore Niépce inventano i dagher-rotipi. Attraverso un complesso lavoro con sostanze chimiche particolari, era possibile fissare l’immagine su una lastra d’argento. I dagherrotipi erano però immagini singole, di cui non si potevano fare copie.

Il problema venne risolto dall’inglese William Fox Henry Talbot. Il suo metodo prevedeva due passaggi. Nel primo, l’ombra dell’im-magine (il “negativo”) veniva fissata su un supporto molto sottile. Da quel supporto poi si potevano ottenere molte immagini “in positivo”, cioè con le stesse luci e ombre dell’oggetto da fotografare, tramite un pro-cesso chiamato “sviluppo”.

Questa tecnica, con materiali più moderni, era usata fino a 15-20 anni fa e alcuni foto-grafi professionisti la usano ancora oggi: se chiedi alla mamma o al papà sicuramente ti mostreranno le pellicole, che erano i “nega-tivi” delle loro foto!

Un metodo...impressionante!

Qui a fianco puoi vedere il banco-ne di una camera oscura dove, at-traverso una serie di progedimenti chimici, le imma-gini in negativo vengono impresse sulla carta foto-grafica.

Immagine tratta da Wikipedia

Lo sapevate che...Per molti anni le foto sono state in bianco e nero: per l’arrivo dei colori bisogna aspettare la seconda metà del Novecento, anche se i fotografi professionisti potevano usare le pel-licole a colori già dagli anni Trenta.

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Ti aspettiamo

a settembre

su PLaNCK!

Nell’immagine qui sopra puoi vedere alcune schede di me-moria. Alcune contengono 64 megabyte (MB), altre 512 megabyte e altre ancora hanno molto più spazio, 16 gigabyte (GB)!Ma cosa vogliono dire queste parole e che cos’è la “memo-ria”? Scoprirlo è facile, basta leggere il prossimo numero di PLaNCK! in uscita a set-tembre 2015 e tutto dedicato all’INFORMATICA!

E oggi? La tecnologia si è evoluta molto ra-pidamente, e oggi non si usano più pellicole e sostanze chimiche: nelle fotocamere digitali le pellicole sono sostituite dai sensori, che funzionano sempre grazie alla proprietà della luce ma in modo completamente diverso. I sensori riconoscono le informazioni sulla luce che arriva (intensità, colore, etc.) e le

registrano nella scheda di memoria della fo-tocamera. In questo modo le informazioni, e quindi l’immagine, possono essere trasferite sul computer, inviate via mail, condivise, pro-prio come qualsiasi altro file. E naturalmente, come i file, possono essere stampate: così possiamo ottenere le nostre foto sulla carta, proprio come quelle dei nostri nonni.

Questionedi MEMORIA!