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Affettività e adolescenza: dentro la catastrofe adolescenziale Dott.ssa Maria Rita Mancaniello 1) Adolescenza come “catastrofe”. Un’interpretazione psicopedagogica che offre all’educazione un ruolo di profonda responsabilità Nello studio dello sviluppo adolescenziale vi è una certa concordanza da parte degli studiosi nell’interpretare le trasformazioni che avvengono in questo arco di vita, come inestricabilmente connesse con il cambiamento corporeo conseguente all’affacciarsi della pubertà, in corrispondenza della quale si verifica l’incipit del processo che porterà alla definizione di una nuova identità, di un personale modo di leggere il reale, di un proprio senso della vita. Perché questo avvenga, però, è necessario attraversare una radicale trasformazione del proprio mondo interno e delle modalità relazionali con il mondo esterno, così che la centralità di questo periodo evolutivo si può dire che è assunta dal cambiamento, attorno al quale si “avvita” tutta la problematica adolescenziale. Se provassimo a disegnare il percorso tracciata dal cammino della vita di ognuno di noi, vedremmo come vi sono momenti in cui il sentiero si interrompe, sia arresta bruscamente, si perde nel sottobosco e pur cercando continuamente di trovare una via che si perda nell’orizzonte, immancabilmente incontriamo svolte, interruzioni, strapiombi. Questo è vero per tutto l’arco della nostra esistenza, fatta di un susseguirsi si definizioni e ridefinizioni di sé, ma è durante l’adolescenza che la cesura con il passato, la rottura con lo stesso recentissimo passato, mostra tutta la sua carica dirompente e inarrestabile, nonché anticipatoria di eventi che da questo momento in poi caratterizzeranno l’esistenza. 1 Ciò mette in luce il presupposto proprio della maggior parte dei recenti modelli che interpretano il cambiamento nel ciclo vitale, secondo il quale il fenomeno evolutivo è un fattore che riguarda l’esistere nel suo divenire e il mutamento è un 1 A. Andreoli, E. Borgna, G. Diaconia, Le ragioni dell’adolescenza, Guerini, Milano 1995

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Affettività e adolescenza: dentro la catastrofe adolescenziale

Dott.ssa Maria Rita Mancaniello

1) Adolescenza come “catastrofe”. Un’interpretazione psicopedagogica che offre all’educazione un ruolo di profonda responsabilità

Nello studio dello sviluppo adolescenziale vi è una certa concordanza da parte degli studiosi nell’interpretare le trasformazioni che avvengono in questo arco di vita, come inestricabilmente connesse con il cambiamento corporeo conseguente all’affacciarsi della pubertà, in corrispondenza della quale si verifica l’incipit del processo che porterà alla definizione di una nuova identità, di un personale modo di leggere il reale, di un proprio senso della vita. Perché questo avvenga, però, è necessario attraversare una radicale trasformazione del proprio mondo interno e delle modalità relazionali con il mondo esterno, così che la centralità di questo periodo evolutivo si può dire che è assunta dal cambiamento, attorno al quale si “avvita” tutta la problematica adolescenziale. Se provassimo a disegnare il percorso tracciata dal cammino della vita di ognuno di noi, vedremmo come vi sono momenti in cui il sentiero si interrompe, sia arresta bruscamente, si perde nel sottobosco e pur cercando continuamente di trovare una via che si perda nell’orizzonte, immancabilmente incontriamo svolte, interruzioni, strapiombi. Questo è vero per tutto l’arco della nostra esistenza, fatta di un susseguirsi si definizioni e ridefinizioni di sé, ma è durante l’adolescenza che la cesura con il passato, la rottura con lo stesso recentissimo passato, mostra tutta la sua carica dirompente e inarrestabile, nonché anticipatoria di eventi che da questo momento in poi caratterizzeranno l’esistenza.1

Ciò mette in luce il presupposto proprio della maggior parte dei recenti modelli che interpretano il cambiamento nel ciclo vitale, secondo il quale il fenomeno evolutivo è un fattore che riguarda l’esistere nel suo divenire e il mutamento è un elemento costitutivo della natura umana.2 L’evoluzione del soggetto è stimolata dalla continua necessità di adattarsi ed interagire con l’ambiente, che è, oggi più che mai, in continua trasformazione e ciò comporta che ogni momento evolutivo non può più essere fissato in un fase statica, in uno stadio definito, ma deve essere letto come un momento dinamico, creativo, mutevole. Così anche l’adolescenza può essere considerata non più come una fase transitoria tra l’infanzia e la maturità dell’adulto, ma un periodo della vita in cui si hanno peculiari processi trasformativi che investono il soggetto nella sua globalità. Attraverso il cambiamento del corpo, della mente, delle relazioni, della visione del mondo, l’individuo organizza la propria vita affettiva, forma modelli di pensiero e di azione, che assumono un ruolo preminente rispetto a tutte le altre esperienze. Considerata nel suo aspetto di sistema, l’adolescenza, è caratterizzata da alcune costanti che vengono vissute dal soggetto come altamente problematiche, quali la complessità degli elementi in gioco, la velocità del cambiamento, l’alto tasso di incertezza della soluzione, i quali sono tutti fattori che, sia internamente che esternamente, provocano situazioni di instabilità. 3 Nella prospettiva sistemica, infatti, l’adolescenza si sviluppa attraverso un’evoluzione processuale, che vede il soggetto portatore di varie componenti che coesistono in un sistema di relazione e di scambi, per cui l’adolescenza è fatta di elementi interni costantemente presenti, i quali interagiscono continuamente tra loro, creando un

1 A. Andreoli, E. Borgna, G. Diaconia, Le ragioni dell’adolescenza, Guerini, Milano 1995

2 Per un approfondimento di tale aspetto qui solo accennato: Rutter M, Rutter M., Developing Minds. Challenge and Continuity Across the Life Span, Penguin Group, 1992, trad. it., L’arco della vita. Continuità, discontinuità e crisi dello sviluppo, Giunti, Firenze 1995.3 A. Fabbrini , A. Melucci , L’età dell’oro, op. cit.

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sistema dinamico in cui determinate componenti in alcuni momenti saranno in primo piano, mentre successivamente assumeranno un posto periferico, con una successione priva di una propria regolarità.

Di conseguenza la prospettiva temporale con cui leggere questo processo non può essere altrimenti che sincronica, poiché il significato di ciò che accade può essere ricercato solo nel suo presente, divenendo centrale l’osservazione e la descrizione dell’evento hic et nunc e mettendo al centro dell’analisi i punti di catastrofe che rappresentano il momento di rottura tra il prima e il dopo.

Come è ben visibile nell’esperienza comune, questa svolta, questa frattura, o meglio questa catastrofe, non assume un nuovo connotato e una nuova e chiara definizione in breve tempo, ma viceversa ciò che appare nitidamente sono una infinita serie di contraddizioni, di radicali antinomie che accompagnano passo dopo passo il viaggio esistenziale di ogni soggetto che si trova a vivere questa trasformazione.

Le contraddizioni che caratterizzano questa metamorfosi sono molteplici, a partire dai bisogni emergenti personali in contrapposizione a quello che l’ambiente, e gli adulti che lo rappresentano, esigono e pretendono; passando per la contrapposizione che si ha fra la coscienza dell’immaginario – fatta di impulsi creativi quali i sogni e la fantasia o anche di ideali e speranze – e la coscienza del reale – privilegiata dagli adulti –; senza tralasciare di ricordare la fondamentale contraddizione tra il desiderio di mantenere le prerogative infantili, le cose già realizzate, apprese, vissute e l’irresistibile emergere di pulsioni e desideri di conoscere il nuovo, l’ignoto, l’imponderabile, spingendosi fino al di là “delle colonne d’Ercole”; arrivando a definire la contraddizione per eccellenza che è data dallo scontro (guai non ci fosse) tra l’età adulta che tende strutturalmente a fossilizzare il dato esperienziale nell’alveo della conoscenza già acquisita e l’adolescenza che è dominata da questo slancio innovativo, di scoperta, di novità, che però può essere facilmente imbonito e domato dal perdente confronto razionale con il reale.

Si è parlato di una continua trasformazione per tutto l’arco dell’esistenza e perciò molte di queste antinomie si possono ritrovare, anche se in forme e modalità diverse, in altri momenti della vita, ma mai come nell’adolescenza esse assumono un ruolo così centrale, così pregnante, così totalizzante. Comprendere il senso della svolta, il significato della propria esistenza, il perché non vi è più nessun riferimento precedentemente utilizzato che funzioni, è un percorso altamente difficile da attraversare.

Si comprende bene come a questi momenti di cesura, di rottura, faccia seguito uno stato di crisi, nel quale il soggetto vive una forte sofferenza e si sente sospeso in un vortice di instabilità dal quale non comprende neppure se riuscirà ad uscirci. Ciò che caratterizza lo stato vissuto dall’adolescente è connotato dal malessere, dal disagio, determinati dalla separazione da realtà conosciute, dal dover scegliere e valutare, dalla rottura con il passato: necessità sicuramente funzionali all’evoluzione dell’individuo, ma altrettanto sicuramente difficoltose per le tensioni e il senso di smarrimento vissuti.

Rispetto a tutti i tipi di cambiamento, la catastrofe ha un suo specifico significato evolutivo,4 che, come vedremo in questo capitolo, assume rilevanza soprattutto dalla sensazione di vivere un “evento” ingovernabile, del quale non siamo stati la causa e neppure

4 Dalla teoria generale dei sistemi si sa che tutti i sistemi viventi sono in continuo cambiamento; questo andamento potrebbe essere visualizzato come una traiettoria circolare, che mantiene nel tempo certe caratteristiche strutturali (che ne definiscono l’identità), ma che ogni volta che torna sullo stesso punto di partenza, dà vita ad una trasformazione poiché ha assunto nuovi elementi evolutivi; durante la crisi adolescenziale si dovrebbe verificare un mutamento della rotta circolare, una discontinuità e un salto di livello, che assume forma sì circolare, ma a spirale, in grado di permettere l’evoluzione e la differenziazione degli aspetti corporei, emotivi e cognitivi dell’individuo. Diviene quindi necessario che si verifichi un “salto”, una “crisi”, perché il sistema possa evolvere, poiché se ciò non avviene si hanno “immobilità”, ovvero si ha un cambiamento che torna su se stesso, creando situazioni patologiche più o meno gravi. Cfr. L. Baldascini, Vita da adolescenti. Gli universi relazionali, le appartenenze, le trasformazioni , Franco Angeli, Milano 1993.

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ne abbiamo espresso il desiderio e che è sopraggiunta, sopraffacendo la propria volontà e le proprie capacità – e anche possibilità – di contrastarla. Ad una certa lucidità di quello che sta avvenendo, nel momento critico ciò che manca completamente è la capacità di mettere insieme gli elementi in gioco secondo un ordine conosciuto, poiché l’unica consapevolezza che rimane viva è che la disposizione e le connessioni precedentemente utilizzate non funzionano più e l’esperienza e la sensazione di stallo, di perdita di senso, di incapacità di orientamento divengono fedeli compagni di viaggio.

2). La formazione dell’identità

Il distacco dalla precedente visione di sé, rassicurante e rasserenante, è davvero una fatica titanica. Se, però, lo sforzo di rielaborare e sintetizzare tutte le componenti utili al fine di costruire una propria identità è sopportabile, ciò che rende instabile il sistema-adolescente è il fatto che mentre trova una propria unicità, una propria dimensione relazionale, propri modelli di riferimento, si accorge anche che ciò comporta il definitivo abbandono di “altri” modi dell’essere.

La maturità del pensiero è sicuramente la novità che permette al ragazzo di porre la riflessione sulla propria esistenza, innescando quel processo che gli permette di recuperare il proprio io passato, le esperienze che hanno inciso nella propria crescita, ma soprattutto gli permette di riuscire a sopportare i conflitti, le frustrazioni, le privazioni e i lutti che inevitabilmente si presentano in modo sempre più ricorrente.

La palestra della presa di coscienza di sé avviene attraverso la sperimentazione di situazioni nuove, in cui il soggetto può allenarsi a sostenere successi e insuccessi, superare gli ostacoli, scontrarsi con la realtà e interpretarne i tratti più nascosti, apprendere le proprie abilità e scoprire i propri limiti. Ciò serve anche per riuscire a costruire un proprio percorso esistenziale, a darsi degli obiettivi e a fare delle scelte più consapevoli. Il confronto con gli altri, il superamento di piccole frustrazioni quotidiane, la continua ricerca di senso, vissuta anche attraverso le esperienze di ogni giorno, permette all’adolescente di stabilire i propri obiettivi in modo più realistico. La mancanza di corrispondenza, infatti, tra le aspirazioni che uno si pone e le qualità personali e attitudini, può portare ad un risultato fallimentare delle scelte compiute. Ciò non significa che ognuno non possa aspirare a obiettivi personali molto alti, ma che per costruire il proprio progetto di vita, è necessario imparare a concordare aspirazioni con strumenti e mezzi a disposizione, nella consapevolezza che la “capacità di volere” può anche corrispondere a quella di “potere”, ma non sempre è così immediato.5

3) Stima di sé e mondo interno: come si vede il ragazzo

Sperimentare il raggiungimento degli obiettivi prefissati ha una risonanza anche sulla stima di sé, che per poter dare “frutti più gustosi” ha bisogno di essere una stima positiva, realistica e stabile. Attraverso la visione positiva e la visione realistica, il soggetto, infatti, impara a riconoscere e accettare i lati negativi della propria personalità e del proprio carattere e ad attivare modalità di comportamento che superino tali aspetti negativi. Quando questa elaborazione positiva non avviene e si cerca una compensazione a ciò che “non si è” il rischio è quello di svalutare tutto ciò che non “ci appartiene” e fantasticare qualità o capacità inesistenti e irraggiungibili. Vi è però la possibilità di leggere il proprio potere e il proprio valore in modo inadeguato, esaltandoli acriticamente e mostrando una forte componente narcisistica, oppure, al contrario, senza comprenderli, lasciando spazio ad un senso di inferiorità, che può portare ad una sorta di silenziosa rassegnazione o ad una forma di

5 Cfr. M. Livolsi, Identità e progetto. L’attore sociale nella società contemporanea, La Nuova Italia, Firenze 1987.

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continua protesta verso tutto e tutti, ma anche ad un “crogiolarsi” nella propria posizione vittimistica.6

Rispetto alle altre due caratteristiche, più legate alla rielaborazione dell’esperienza individuale, la stabilità nella stima di sé è data anche dalla percezione di come gli altri ci vedono e ci giudicano. Vi sono adolescenti che mostrano la tendenza – abbastanza tipica, per altro, in questa fase evolutiva – a sopravvalutare il proprio io e a provare sentimenti di potenza, senza assolutamente ascoltare il tentativo di chi li circonda, di evitargli che questo irrealismo e onnipotenza portino a situazioni altamente rischiose; ve ne sono altri invece, che dipendono totalmente dal giudizio esterno, tanto che per percepire il proprio valore hanno bisogno del riconoscimento e della considerazione altrui.

Una delle scoperte più interessanti per l’adolescente è quella del mondo interiore, di uno spazio nel quale nessuno può accedere e dove fermarsi per osservare la bellezza della propria esistenza. Una sorta di ripiegamento su di sé che permette di fantasticare e di “innamorarsi” anche un po’ di se stessi, in questo momento in cui ci si scopre “altro” da tutto e da tutti, Questa concentrazione verso il proprio Io, è una nuova esperienza di narcisismo, distinta dal significato con cui la usava Freud, ma sempre indicativa di almeno tre componenti condivise dai diversi studiosi: la ricerca di una soddisfazione autoerotica, il rifugio nel sentimentalismo e nella fantasticheria, il compiacimento per le proprie doti.7 Tutte e tre questi fattori hanno a che vedere con lo sviluppo della sessualità e sono quindi presenti – in diversi momenti e con diversi pesi – in ogni adolescente, essendo espressioni dello stesso processo di individuazione che stanno vivendo. Le diverse manifestazioni del narcisismo, se da una parte possono avere anche componenti negative, hanno prevalentemente la funzione di dare vita ad un processo creativo che non deve essere fermato, ma anzi sostenuto e guidato. Il problema si pone casomai quando l’adolescente si ripiega su se stesso in maniera assoluta e l’immaginario diventa il rifugio prediletto rispetto al reale, con una concentrazione sul proprio corpo totalizzante. In questa situazione, infatti, la personalità rischia di non transitare in una dimensione eterodiretta e di bloccarsi in una forma di chiusura verso l’esterno.

4) Cambiamento delle emozioni e degli affetti

Anche sul versante emozionale ed affettivo hanno luogo una serie di cambiamenti che dipendono da molteplici cause:- La spinta delle pulsioni in rapporto allo sviluppo ormonale e sessuale.- La capacità da parte dell’io di tollerare gli istinti.- La natura e l’efficacia dei meccanismi di difesa.Si ha nell’adolescenza un secondo processo di individuazione con la formazione del senso del sé stabile. Vi è, quindi, un processo di distacco da parte dell’adolescente che comporta la rinuncia alla dipendenza e l’indebolimento dei legami formatisi nella prima infanzia e rimasti fino alla pubertà. Il processo di formazione dell’individualità dipende dalla recisione dei vari legami di attaccamento dell’infanzia, ma questi legami possono allentarsi solo se vengono rielaborati i conflitti infantili per giungere ad un nuovo e più maturo controllo dei conflitti passati.Si tratta di un processo non disgiunto da ansie ed incertezze che dà luogo ad una serie di condotte regressive fisiologiche, quali:- Stato di fusione emozionale (partecipazione appassionata ed improvvisa a gruppi

religiosi o di altra natura).- Orientamento all’azione più che all’uso del pensiero o del linguaggio verbale.

6 Cfr. A. Palmonari, F. Carugati, Sviluppo dell’identità, in M. W. Battacchi (a cura di), Trattato enciclopedico di psicologia dell’età evolutiva, Piccin Nuova Libraria, Padova 1985, Vol. II.7 Cfr. G. Cruchon, Psychologia paedagogica pueri et adolescentis, Pontificiae Universitatis Gregorianae, Roma, 1961, trad. it., Psicologia pedagogica: dalla nascita alla giovinezza, La scuola, Brescia 1972

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- Attività frenetica con ricerca di sensazioni forti per riempire il vuoto causato dai sentimenti di perdita delle certezze e delle relazioni infantili.

- Idealizzazione di personaggi dello spettacolo o dello sport, con cui identificarsi, ma nell’impossibilita’ di confrontarsi realmente.

- L’instabilità emotiva, esibita nelle relazioni, le contraddizioni tra pensiero e sentimenti ed il passaggio apparentemente illogico tra una reazione e quella opposta

Strettamente connessi a questi atteggiamenti, connotati dall’ambivalenza sono l’anticonformismo e l’atteggiamento ribelle, non scevri da dipendenza e sentimenti di colpa. Il venir meno degli oggetti di identificazione infantile costituisce una vera e propria esperienza di perdita di sé insieme ai propri legami d’amore infantili, sensazioni tali da poter essere assimilabili a quelle provate nel lutto. Con la sensazione di perdita della propria immagine infantile, del proprio ruolo di bambino e del proprio corpo nella sua forma infantile – propri della prima fase dell’adolescenza – prevalgono l’ambivalenza ed i meccanismi di negazione, che lasciano sentimenti di incertezza ed insicurezza ed il bisogno di ricercare rassicurazioni diventa sempre più marcato. Una forma di rassicurazione, più frequentemente attuata dai maschi, viene trovata nell’appartenenza ad una banda/gruppo di coetanei, che permette di esprimere aggressività, socializzare la colpa, difendere la propria incerta identità, svalutando chi sia diverso anche solo per modo di vestire. Per le ragazze, il bisogno di sicurezza viene ricercato nell’“amica del cuore”, attraverso la condivisione dei sentimenti e l’identificazione reciproca. C’e’ in questo periodo un bisogno fortissimo di identificazioni con la ricerca di figure da idealizzare e di cui introiettare aspetti e caratteristiche ideali, che vengono poi velocemente abbandonate e persino criticate. La seconda fase dell’adolescenza e’ caratterizzata da un investimento libidico sui propri pensieri ed emozioni. Proprio per questo l’interesse è maggiormente incentrato sul sé, anche quando si rivolge ad oggetti esterni: Gli innamoramenti o le discussioni sui valori o sui problemi dell’umanità sono mezzi per raggiungere la consapevolezza di sé oltre che passi per realizzare un contatto più profondo con il mondo esterno (l’oggetto amato permette la costruzione di un ideale dell’io, così come il ragionamento su problemi generali permette l’espressione di conflitti interiori).

Il cambiamento di sé in una società in continua trasformazione.

Osservando la quotidianità tutti si accorgono e si domandano perché i gesti di ogni giorno, gli avvenimenti, non sono più raffrontabili con il passato, neppure quello più recente. Ma soprattutto percepiamo spesso la sensazione di essere persone diverse nel momento in cui passiamo da un ambito ad un altro della nostra vita, dal lavoro alla famiglia, alle vacanze, quando si vive momenti di solitudine, arrivando perfino spesso a non saper neppure descrivere in modo chiaro le nostre azioni. Il ritmo accelerato del cambiamento, i diversi ruoli a cui continuamente siamo chiamati, la grande quantità di opportunità a disposizione, la miriade di messaggi a cui prestiamo la nostra attenzione, dilatano la nostra esperienza cognitiva e affettiva, in un tal modo da non esserci nessun paragone possibile da fare con culture del passato. Negli ultimi decenni sono venuti meno i punti di riferimento su cui sia i gruppi che i singoli soggetti fondavano la continuità della propria esistenza. Per ogni persona, ormai, si pone il problema di trovare una risposta alla domanda prima e ultima sul chi siamo, poiché vengono meno i punti sui quali poggiare il proprio percorso di vita e “la ricerca di dimora dell’io diventa così vicenda comune e l’individuo deve costruire e ricostruire la propria casa di fronte al mutamento incalzante degli eventi e delle relazioni. [...] Un mondo che vive la complessità e la differenza, non può sfuggire l’incertezza e chiede agli individui la capacità di mutare forma restando se stessi.”

Il processo di individuazione, allora è una necessità che si ripresenta continuamente nella vita, poiché l’io non poggia più solidamente su una identificazione stabile, ma vive una

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molteplicità di forme, ognuna con un suo significato. Vi è bisogno di una forte interrelazione tra il mondo interno - le dimensioni affettive e sensoriali che permettono di vedere, provare, sentire, comunicare - e il mondo esterno, poiché senza apertura all’altro, senza la volontà di raccogliere le sfide che una società complessa pone ad ogni individuo e alla collettività nel suo insieme, il rischio è quello della chiusura, dell’isolamento, prigionieri di se stessi.

E’ straordinaria la velocità del cambiamento a cui tutta la società è sottoposta.In questa prospettiva, fatta di tante - forse, a volte, sembrano fin troppe - opportunità,

possibilità, alternative che si profilano nel quotidiano, la sfida più impegnativa da affrontare diviene quella di dover scegliere. “di fronte al possibile che seduce e minaccia non ci si può sottrarre al rischio della decisione (di cui la catastrofe è figura e metafora estrema).” La scelta è inevitabile e non affatto semplice, tanto più che ogni volta che sperimentiamo una modalità di azione, ci rendiamo conto che non è possibile trasferire in un’altro campo l’esperienza precedentemente acquisita. In ogni contesto, in ogni relazione ci rendiamo conto dell’impossibilità di utilizzare linguaggi, regole, modi di fare, a noi noti e della necessità di rimodellare ogni volta le nostre modalità di pensiero. Velocità e variabilità sono due caratteristiche dei sistemi complessi che però in questo momento storico hanno raggiunto una frequenza e un’intensità senza precedenti, così che, di fronte alla grande quantità di campi d’azione in cui possiamo misurarci, ci accorgiamo delle insufficienti capacità che abbiamo a disposizione. Un profondo senso di incertezza accompagna le decisioni che quotidianamente devono essere prese e l’analisi delle diverse alternative possibile, tanto che la capacità di scegliere diviene uno dei primari obiettivi da perseguire - non ultimo per il motivo che pur essendo possibile la non scelta, in realtà essa avviene comunque, perché la non scelta, è sempre una scelta.

Ogni esperienza di cambiamento porta con sé una componente positiva, che proietta verso il nuovo e verso l’inesplorato, ma anche una paura di ciò che non conosciamo, che non sappiamo prevedere. Il cambiamento diviene una mèta a cui aspirare, a cui ambire, ma allo stesso tempo è limitato dal timore, dall’incertezza. La scelta che continuamente si pone davanti è quindi fluttuante tra il lancio nell’ignoto e l’ancoraggio alle certezze di ciò che è già conosciuto, ma scegliere tra le infinite possibilità è un compito arduo, soprattutto perché ciò che viene scartato è sempre di più di ciò che viene scelto.

Questa mobilità a cui l’io è sottoposto, porta - quindi - a poggiare la riflessione sugli aspetti dinamici dell’identità e a mettere al centro la varietà dei processi di identificazione. Inoltre la moltiplicazione dell’io pone in rilievo anche una nuova ottica con cui leggere il rapporto tra individuo e società, con un soggetto che viene visto come protagonista del suo agire e non più come soggiogato da entità quali la divinità o la natura o la stessa società, quanto capace di dare significato alla propria azione e di agire in modo autonomo. Dal soggetto metafisicamente concepito si è passati al soggetto-individuo, in un processo dove l’io molteplice trova la propria unità e la propria individualità.

In tale prospettiva assume un ruolo e un significato particolare il tema della responsabilità, nella sua accezione di capacità di rispondere, sia come riconoscimento di se stessi e di ciò che ci sentiamo di essere, sia come riconoscimento dell’altro e del modo di porsi nelle relazioni.

Dal paradosso prima descritto, secondo il quale si ha una apertura del soggetto illimitata, ma allo stesso tempo senza possibilità di uscita (non si può non scegliere) se ne deduce l’importanza che assume il bisogno di unità, di trovare gli elementi di stabilità nel mutamento. Ciò non si trova più nell’identificazione con un unico modello, con l’appartenenza ad un solo gruppo o nel riconoscersi appieno in una cultura, ma vi è bisogno di una capacità di cambiar forma, di potersi ridefinire di fronte al nuovo, di rendere reversibili e rinnovabili scelte e decisioni.

La nostra epoca è caratterizzata da questo dover moltiplicare modi di essere, linguaggi, relazioni. E intrinsecamente chiede una grande umanità, una forte spinta verso l’altro e verso

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la ricerca di correlazione tra le differenze, una carica di umiltà per saper sempre ridimensionare i nostri confini per accogliere e sup-portare chi non è subito in sintonia. Senza questa disponibilità non è possibile cambiare forma, al limite si cambia maschera.

Reti di relazione sempre più complesse, messaggi e informazioni sempre più ampie, rischiano di frantumare l’individuo; vi è la necessità di imparare ad aprire e chiudere il proprio mondo: partecipazione e rinuncia, riposta e silenzio, legami e distacchi, diventano fondamentali per la vitalità del sistema-uomo, che deve trovare un proprio ritmo in questo andamento senza stasi. La capacità di poter vivere discontinuità ed eterogeneità di tempi e spazi, richiede anche una unificazione dell’esperienza, che deve venire da qualità di percezione immediata, intuito, immaginazione, tutti aspetti appartenenti alle culture tradizionali. Le radici nel presente, non possono fare a meno di quelle del passato per non rendere meramente finalistico allo scopo l’agire e l’esperienza. Ma le radici nel presente sono fondamentali per affrontare le trasformazioni e attraversare la metamorfosi che si presentano nell’arco della vita.

La relazione educativa con l’adolescente

I modi di esprimersi degli adolescenti sono molti e molto diversificati tra loro, e non sempre si è preparati a riconoscere le modalità comunicative con cui essi ci interpellano. Sono i loro corpi che ci parlano, è il loro modo esibizionistico ed eccessivo di comportarsi che comunica, non le parole. Il linguaggio delle emozioni non passa attraverso le frasi costruite con forme sintattiche e grammaticali corrette. E’ un modo di comunicare che passa dal rossore del viso, dal movimento fisico spesso ipercinetico, dal corpo martoriato dai piercing metallici, dai capelli rasta, dai pantaloni calati sotto i fianchi e tenuti da catene...Sono modi per differenziarsi da quel mondo degli adulti che non li comprende, sono forme per esprimere una propria nuova identità, sono l’espressione della paura di non essere accettati, sono la dolorosa constatazione che per sentire riconosciuta la propria visibilità sociale devono in qualche modo differenziarsi dal mondo adulto, indaffarato nelle questioni “serie” della finanzia e dell’economia, dei calcoli e dei compiti lavorativi dove non c’è spazio per “le stupidità” degli adolescenti. Proprio nel tentativo di richiamare l’attenzione adulta, i ragazzi spesso compiono azioni dirompenti e eclatanti, atti vandalici e violenti, esprimendo una profonda rabbia che non riescono a canalizzare, se non attraverso l’azione distruttiva. E anche questo è un modo di comunicare: distorto, maldestro, malfatto, deviante, ma sempre un modo dell’adolescente per chiedere con forza di essere considerato e accompagnato nel difficile cammino evolutivo.

Il compito fondamentale delle diverse figure con cui il soggetto si trova a relazionarsi, insegnanti, genitori ed ogni altro educatore o adulto, è allora quello di riuscire ad instaurare una comunicazione educativa che tenga di conto di alcune specifiche attenzioni, come la creazione di un particolare atteggiamento di disponibilità a incontrare l’altro attraverso una situazione costantemente centrata sulla relazione di aiuto e di incoraggiamento e mediante l’attivazione e l’utilizzo di strategie educative più idonee al raggiungimento dei diversi obiettivi formativi e pedagogici. In questa prospettiva vi sono alcune competenze che devono essere acquisite da queste plurime figure che in diverso modo si relazionano con l’adolescente, a partire dalla capacità di saper praticare un ascolto attivo e saper costruire le condizioni per l’instaurarsi di una relazione empatica, nella quale l’adulto sia disposto a mettere anche in discussione se stesso.

Saper praticare un ascolto attivo permette all’adulto di osservare il soggetto-in-crescita in modo approfondito e non solo in particolari situazioni o occasioni, così come costituisce un’efficace modalità di sostegno affettivo, assumendo perfino un valore terapeutico. La realizzazione di questa modalità dipende molto dal tipo di emozione che l’adulto riesce ad attivare nella relazione, perchè è a partire da questa che si può instaurare una effettiva comunicazione e una reale comprensione del soggetto che si ha di fronte. Non è

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assolutamente semplice entrare in una comunicazione di tipo empatico con l’adolescente, soprattutto per tutti quei feed-back di chiusura – difensivi – che spesso l’adolescente attiva nella comunicazione con l’adulto, ma è di fondamentale importanza per comprendere fino in fondo ciò che sta vivendo.

Sapersi “mettere nei panni dell’adolescente”, arrivando a provare le stesse sensazioni e percependo le medesime emozioni – pur rimanendo nella propria dimensione di adulto – ci permette di superare il limite delle parole per arrivare davvero a comprendere il linguaggio emotivo. Dare vita ad un tipo di sentimento “altro”, che ci consenta di condividere le emozioni e i pensieri di un’altra persona, senza però creare confusione tra i reciproci confini degli attori in gioco, ci permette di entrare in sintonia con il nostro interlocutore e di comunicare in modo autentico e libero da condizionamenti e schemi precostituiti. In questo modo si possono capire anche comportamenti apparentemente assurdi e incomprensibili e trovare delle specifiche risposte da offrire a ogni singolo soggetto. Un ambiente educativo in grado di lavorare con simili modalità, agisce su due fronti entrambi fondamentali, poiché da una parte integra e sostiene la fragile e indefinita struttura del sé del ragazzo che sta vivendo la propria metamorfosi identitaria e dall’altra crea un clima di fiducia nel quale sentirsi accolti e compresi. Rispondere al disagio di un adolescente non è semplice, anche perché nell’adulto sono sottilissimi i margini tra la risposta adeguata al momento e la banalizzazione del problema. Ogni azione dell’adolescente, spesso biasimata dal mondo degli adulti, nasce dal bisogno di comunicare un messaggio che trova origine in un mondo interno in pieno caos. Se un genitore, un insegnante, un operatore sociale non si accorge del significato che vi è in ogni agito dell’adolescente, e ridicolizza o beffeggia la modalità comunicativa scelta dal ragazzo, può mortificarlo profondamente, perdendo un’occasione di incontro e di dialogo e privandolo della speranza di essere compreso.

E’ un gioco comunicativo complesso quello dell’adolescente, fatto di sfide e di infantilismi, di atti banali e azioni scomposte, ma è un modo per chiedere all’adulto sia di aiutarlo a comprendere quello che gli sta accadendo, sia di accompagnarlo in quei meandri della vita adulta nei quali non sa ancora come muoversi.

La relazione empatica come relazione educativa

Questa capacità non è di semplice attuazione, dicevamo, anche perché dipende da componenti diverse, sia di tipo personalistico – certi modi di comunicare e di trasmettere emozioni si apprendono nei primi mesi di vita: dal tipo di relazione che si è instaurata tra madre e figlio, dalle emozioni vissute nel rapporto con gli altri adulti significativi, dall’accoglienza del contesto, etc. – che di tipo esperienziale e legate all’apprendimento. Un ascolto attivo trova spesso il suo principale “ostacolo” nella difficoltà che gli adulti-educatori-formatori, ed in modo specifico gli insegnanti, trovano nell’ascoltare i propri ragazzi, concentrati nella ricerca di un modello operativo in grado di spiegare, far comprendere, trasmettere saperi, etc. piuttosto che mettere al centro una riflessione sulla funzione della modalità empatica e sulla propria comunicazione rispetto all’apprendimento. Soprattutto con gli adolescenti, c’è una certa difficoltà – facilmente comprensibile se si pensa alle provocazione, ai silenzi, alle distorsioni comunicative, e tutte le modalità oppositive che essi spesso utilizzano per esprime se stessi – a “impiegare” tempo ed energie per cercare di capire in quale modo ogni singolo allievo apprende, interpreta, recepisce, sintetizza i messaggi e i contenuti comunicati, o in quale situazione emotiva si trova. Quando, però, viene colta dall’educatore la profonda valenza che ha la sua capacità di ascolto, insieme anche a quella – attivata dallo stesso meccanismo – dell’osservazione dell’altro (dei suoi stati d’animo comprensibili dai messaggi non verbali, delle emozioni provate, leggibili dalle reazioni fisiche, etc.), è utile sviluppare questa competenza attraverso una formazione specifica sulle competenze relazionali, in modo da rendere patrimonio degli educatori le capacità empatiche

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che permettono una modalità di ascolto attivo e un potenziale sviluppo di relazioni educative significative e aprono la strada alla possibilità che i ragazzi si sentano veramente accolti e riconosciuti

La figura dell’adulto nella relazione educativa

Alcune trasformazioni sociali in corso hanno inciso in modo significativo anche sul mondo degli adulti, mettendo in crisi il sistema valoriale delle generazioni che oggi si trovano ad avere figli adolescenti. Se questo è un problema che non va sottovalutato – quello della notevole responsabilità che gli adulti hanno nei confronti alla fragilità dei bambini e dei ragazzi di oggi – non possiamo esimerci dall’evidenziare ciò che l’adulto dovrebbe riuscire ad essere per l’adolescente.

Nell’immaginario dell’adolescente esiste un tipo di adulto che esso vorrebbe incontrare. Il bisogno di identificarsi in qualcuno al di fuori dalla famiglia, il desiderio di ritrovare un modello che possa sostituire quelle figure genitoriali un tempo onnipotenti e onniscienti – e adesso, invece, così visibili nei loro limiti umani – è forte e la ricerca di esso spesso avviene nei contesti più disparati. Quello che l’adolescente cerca è un adulto che raduna in sé forza e destrezza, positività e gusto per la vita, coerenza e capacità d’azione. Quell’estremismo verso tutto e tutti tipico dell’adolescente, lo è anche quando osserva l’adulto e lo valuta per comprendere se può fidarsi di lui. E spesso l’adulto viene scelto senza esserne consapevole, senza rendersi conto del peso e del valore che il suo modo di agire, di pensare, di essere esercita sull’adolescente. Un adulto che diventa di volta in volta una guida, uno sostegno, un “traino”, un “pungolo”, un “porto sicuro a cui approdare”. Un valido sostegno per la crescita, è, allora, l’adulto che sa essere ottimista, che offre una sensazione positiva di fronte alla prefigurazione del futuro, che sa valorizzare “del domani” le faticose conquiste effettuate nel passato, dando la forza e la sicurezza per vedere il futuro come il territorio in cui sperimentare la novità che l’adolescente porta intrinsecamente con sé. Un adulto ottimista, ma anche capace di sopportare la frustrazione della realtà, di affrontare con serenità i possibili ostacoli e le inevitabili contrapposizioni che la vita pone davanti ai propri desideri e alle proprie aspettative. Per l’adolescente di oggi, abituato da una realtà pronta ad offrire “tutto e subito”, cresciuto spesso in una situazione soddisfacimento immediato di ogni bisogno, allenato dallo “zapping” e dal “cliccare” ad ottenere in un attimo ciò che cerca, a vedere quiz televisivi che mostrano guadagni immediati senza lavoro, non è assolutamente semplice accettare la fatica e le diverse frustrazioni possibili nel cammino verso l’adultità. Questa mancanza di “allenamento” a costruire passo dopo passo le proprie aspettative, lo porta in molte occasioni ad arrendersi ancora prima di lottare, ad una profonda paura di affrontare la sconfitta, ad accettare la possibilità di sbagliare. L’adulto-educatore deve riuscire a contrapporre a questo atteggiamento, una tenacia nel raggiungere i traguardi prefissi e una solidità nel percorso di costruzione delle azioni e dei comportamenti, in modo da rendere mentalmente possibile la sopportazione di una fatica e la consapevolezza che per ottenere i propri successi sono necessari impegno, perseveranza, resistenza. Accanto a tensione verso il futuro, a questo imparare anche dai propri errori e dalle delusioni che si possono incontrare, è importante che l’adulto sappia essere anche un promotore del cambiamento e della apertura alle nuove soluzioni e alle plurime alternative possibili. Allagare gli orizzonti e ampliare le prospettive, è una esigenza sempre più forte per un uomo che vive in un epoca di grandi sollecitazioni a tutti i livelli, emotivi, affettivi, sensoriali. Rompere gli schemi conosciuti per addentrarsi in meandri nuovi della conoscenza e dell’esperienza, è una esigenza propria dell’adolescente, che propone le tipiche posizioni alternative di chi scopre per la prima volta la sua appartenenza alla vita sociale, con una propria identità e una propria unicità. Questo bisogno di cambiamento, però, deve essere supportato e accompagnato da un adulto capace di accettare le nuove istanze proposte, ma anche in grado di offrire una relazione oggettuale

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solida e costante che rassicuri nelle continue trasformazioni. In questo suo modo di essere diventa anche necessario che sia animato dalla curiosità di capire, di comprendere l’altro, di accogliere il diverso punto di vista, di ripartire dal ragazzo per definire nuove forme di cultura, di linguaggio, di regole.

Si comprendere bene come essere adulti di riferimento per l’adolescente non sia affatto affar semplice, anzi. Tanto più che tutto questo deve essere mosso da una reale volontà di accettazione e di incontro, di disponibilità a cambiare il punto di vista adulto, di rimettere davvero ogni volta in discussione cardini fondamentali per l’esistenza adulta. L’adolescente non sopporta in nessun modo quell’atteggiamento spesso tipico nell’adulto, di “simulata comprensione” e “affabile compiacimento” che però non esprimono una reale e profonda accoglienza dell’altro. Può fare finta di non notare la sfumatura, può mostrare di non far caso, ma in verità si è persa un’occasione di incontro e di riposta fiducia. Gli adolescenti, così come tutte le persone che hanno acuiti i sensi e le percezioni, per ciò che stanno emotivamente vivendo, colgono immediatamente se non c’è sincerità e onestà nell’altro, soprattutto quando adulto. Non è semplice ne immediato entrare in relazione con l’adolescente, molti sono i meccanismi difensivi da lui attivati e molte le oppositività che mostra, come molti sono le resistenze provate dall’adulto a rimettere in discussione la propria posizione e il proprio sistema di riferimento, ma incontrare un adolescente è una delle esperienze più significative che l’adulto possa vivere. La relazione con il bambino, con l’anziano, con il coetaneo sono sempre fonte di altrettanto piacere quando sono improntate all’accoglienza e alla condivisione, ma vivere la relazione di tipo educativo con l’adolescente è una sensazione unica. Non si può “bleffare”, non si può “far finta di”… L’adolescente ti mette a nudo, ti guarda diretto negli occhi quando vuole capire, ti spoglia senza rimorso quando non sente la tua credibilità. Davanti a questa richiesta di senso, di motivazione, di certezza, l’adulto non può svincolarsi, ma riesce a sostenerla solo quando ha realmente raggiunto quell’equilibrio psico-fisico che permette di reggere la messa in dubbio positiva, attiva, sinceramente volta alla revisione e alla verifica di sé. L’adolescente spiazza, provoca, lancia sfide e sollecita continuamente una risposta “vera”. Non si accontenta di un qualsiasi “perché sì”, vuole conoscere la motivazione delle questioni, delle scelte, delle azioni. Vuole sapere perché il mondo degli adulti gli ha fatto credere e gli ha presentato come validi, valori che poi non vengono da loro vissuti, o sono vissuti credendoci poco. L’adolescente è implacabile con l’adulto che ha preso a modello, è intransigente e poco disposto a perdonare l’eventuale errore che esso può compiere; è spietato quando non trova coerenza tra ciò che gli è stato presentato come vero e assoluto da bambino e il modo in cui viene considerato nel mondo adulto. In questa sua ricchezza di emozioni e di sensazioni, di bisogno di punti fermi e paletti saldi, ma anche di flessibilità e comprensione, di elasticità e pazienza nei suoi confronti, c’è un mondo vitale in rivoluzione che quando trova l’adulto a cui affidarsi costruisce un senso profondo e positivo della propria esistenza. L’adolescente quando si affida, è pronto ad immolarsi per l’altro. Sentire di essere un adulto di riferimento, percepirlo e comprenderlo veramente, comporta l’’assunzione di una profonda responsabilità. In questa seconda nascita vissuta dall’adolescente, l’adulto educatore diventa una figura con una funzione pari a quella genitoriale, con i rischi e le potenzialità che questo comporta. Non è un professionista che l’adolescente cerca, ma una persona capace di ascoltarlo con le orecchie, “la mente” e “il cuore”, in grado di accoglierlo e di contenerlo nelle diverse sofferenze, gioie ed esperienze che la vita pone, di riconoscergli l’unicità e la bellezza di cui è portatore.

Possiamo ricordare un valore fondamentale dell’insegnamento, a partire dalle parole del saggio Gibran: “Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che giace mezzo addormentato nell’albore della vostra conoscenza e il maestro[...] non vi invita ad entrare nella casa della sua sapienza, ma vi guida invece sulla soglia della vostra mente, perché la visione di un uomo non presta le sue ali ad un altro uomo. E come ciascuno di voi Dio lo conosce da solo, così ognuno è solo a conoscere Dio e a interpretare la terra”. (K. Gibran)

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Cosa si può fare in classe?

Il Saper essere dell’insegnante:• Non etichetta• Non ha risposte già pronte• Non incentiva obiettivi irraggiungibili• Non “tarpa le ali” ai voli pindarici degli adolescenti: li incanala in potenzialità da

sviluppare• Non inganna• Aiuta il ragazzo a scoprire e misurarsi con i propri limiti e le proprie potenzialità• Mette in luce i fini e gli strumenti e i mezzi per raggiungerli• Tiene fisso lo sguardo sul percorso e sul processo• Ha chiaro il valore della fatica• Ha fiducia nel progetto del ragazzo• E’ pronto a rimettere in discussione se stesso e il proprio punto di vista

Il Saper fare: la cassetta degli attrezziOgnuna delle possibili attività sotto riportate deve essere scelta e condivisa dai ragazzi che

devono sentirsi protagonisti e liberi di poter affrontare certi percorsi di riflessione. Tutte le tematiche devono essere sempre affrontate in un’ottica di dialogo e riflessività critica, evitando di entrare troppo nel profondo. Devono suscitare domande, più che dare risposte. Devono essere motivo di autoanalisi, non di un analisi di gruppo. Ma soprattutto devono rimanere nell’ottica del lavoro educativo che il contesto classe ha come propria potenzialità. Se esce da questo quadro, entrare nei meandri dell’adolescente può essere estremamente rischioso e non di aiuto.

Discussioni su tematiche che interessano direttamente i ragazzi: ad es. Il valore dell’estetica oggi: essere o apparire?; Ha ancora senso parlare di trasgressione?.

Partire da un caso presentato da un quotidiano per affrontare una situazione possibile da vivere anche per loro: le corse con i motorini e la sfida della morte; rapporto di coppia e violenza; dipendenza da persone o da cose.

Utilizzare giochi come “Il gioco della vita” pubblicato da Duccio Demetrio per far parlare di sé i ragazzi.

Utilizzare storie di vita e letture di autobiografie per attraversare i vissuti dell’altro e ripensare anche ai propri percorsi personali.

Visioni di film su amori e rotture di legami per analizzare anche i propri modi di costruire le relazioni e le forme di attaccamento.

Incontri con esperti per affrontare l’argomenti che sentono prioritari nella loro crescita.