Esposto 2006 emissioni bonifica ex area ip
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All’Ill.mo Procuratore della Repubblica della Spezia
ESPOSTO
Dei Sigg. Bragliani Lamberta, Fialdini Gianfranco, Paola Maneschi, Pietrina
Alessandra, Valentini Alberto, Storti Dino, Ferrari Paola, Ramponi Tiziana,
Battistini Ivana, Pinza Mario, Pinza Michela, residenti in La Spezia P.zza Caduti
della Libertà n. 34, dei Sigg. Scippa Carlo, Menotti Francesca, residenti in la
Spezia, Via Veneto n. 258, dei Sigg. Valentini Sergio, Papavero Graziella, residenti
in La Spezia, Via Sardegna 2 A/C, dei Sigg. Locci Chiara, residente in La Spezia,
Via Valdellora n.89, dei Sigg. Da Massa Cristina, Locci Gabriella, Locci Marco,
residenti in La Spezia, Via Aragone n. 49/A e dei Sigg. Marco Grondacci, residente
in La Spezia, Via Piacenza n. e Francesca Beconcini (n. 16/2/62 –SP-), residente in
La Spezia, Via dei Colli 10
@@@@
Nel giugno 2005 il Comitato “la Salamandra per la protezione dell’ambiente a La
Spezia” depositava ricorso amministrativo avverso il progetto di variante del
progetto di bonifica dell’area ex IP. Il Tribunale Amministrativo non accordava la
sospensione del provvedimento impugnato solo per motivi relativi alle condizioni
dell’azione e cioè alla legittimazione ad agire dell’allora neo comitato ricorrente
(doc.1). Il Comitato, difeso dall’odierna esponente, Avv. Francesca Beconcini, ha
recentemente depositato istanza di prelievo per discutere il merito della causa,
ritenendo di aver maturato i requisiti (precisati dalla giurisprudenza del Tar Liguria)
per poter legittimamente adire il Tribunale Amministrativo. Il Comitato ha, inoltre,
consegnato all’europarlamentare verde, Monica Frassoni, documento per formulare
2
interrogazione sulla gestione della bonifica dell’area ex IP per ciò che attiene la
ritenuta violazione di norme di rilevanza europea (doc.2).
Tuttavia, alcuni aderenti al Comitato ritengono necessario depositare il presente
esposto a causa del susseguirsi di disagi e malesseri provocati dall’esalazioni dei
terreni inquinati, vista, altresì, la protervia della P.A. nel permettere la prosecuzione
dei lavori come da progetti approvati, pur nel reiterarsi degli appelli alla prudenza
rivolti dai cittadini e dalle associazioni ambientaliste alle Amministrazioni
competenti (doc. 3, articoli, - doc. 4 comunicati stampa 9/5/2006 e 20/6/2006,
lettera 26 luglio 2006)
Nella seguente esposizione sono stati riprodotti ampi stralci del ricorso
amministrativo per chiarire più efficacemente i termini della vicenda.
Dal 1929 al 1983, a La Spezia, in località Antoniana, area centrale adiacente
all’insediamento urbano, trattasi di superficie triangolare con la base, lato più lungo
che si distende in aderenza ad una via cittadina, mentre il vertice culmina su un
terreno leggermente collinare), insisteva in funzionamento una raffineria di prodotti
petroliferi.
Attualmente, l’area è oggetto di riqualificazione urbanistica e prevede un futuro
utilizzo residenziale, terziario-quaternario, nonché il passaggio della variante S.S.
Aurelia. I sub distretti in corso di bonifica sono: 2,4,5,9 destinati ad uso residenziale
e verde; 3 ad uso commerciale.
L’area I.P. si estendeva per circa 65 ettari, la porzione acquistata dalla soc. Grifil
negli anni ’90 e quindi dalla soc. Helios Property s.r.l. nel 2005, comprende circa 60
ettari. Il problema della bonifica dell’area si presentava immediatamente dopo
l’acquisto di Grifil; tuttavia, sino al 20/04/2005, data delle deliberazione
3
dirigenziale del Comune di La Spezia, avente ad oggetto l’approvazione delle
modifiche presentate da ENI e redatte dalla soc. Foster Wheeler al progetto
definitivo di bonifica approvato nel 2002, il terreno è stato bonificato in minima
parte. (doc.5- cronistoria procedurale), e la realizzazione di misure di sicurezza
(trincee drenanti e pozzi di emungimento), atte ad evitare la percolazione di acque
inquinate sino al mare, recettore finale, è iniziata vent’anni dopo la dismissione
della raffineria.
Dall’anno 2000 (in cui erano approvati il piano di caratterizzazione, il progetto
preliminare e l’esecutivo relativo ad opere generali, piani tutti presentati da Grifil)
al gennaio 2004, il progetto e l’attuazione del piano di bonifica procedevano a
“singhiozzo” a causa del susseguirsi di contenziosi giudiziari, tra il produttore dei
rifiuti - ENI/AGIP- ed il detentore degli stessi- Grifil- volti all’accertamento del
soggetto obbligato a procedere ai lavori di bonifica. Attualmente, pende
procedimento penale per truffa promosso da Grifil contro ENI, per avere detto ente
venduto a Grifil l’area in oggetto con l’assicurazione, suffragata da una nota ASL,
della perfetta compatibilità dei livelli d’inquinamento con la destinazione edilizia
prevista. Sono altresì in corso indagini della Procura della Spezia in relazione alla
mancata bonifica di un’area, adiacente a quella di proprietà Helios, che è stata
considerata per tutti gli effetti di legge come bonificata; altre indagini sono state
aperte dalla Procura di Alessandria – estate 2005- per l’ipotesi delittuosa di traffico
illecito di rifiuti (rifiuti classificati come non pericolosi ed invece pericolosi,
provenienti da diversi siti italiani, tra cui La Spezia, erano depositati in una
discarica di Alessandria). Nel 2000, prima dell’inizio della bonifica erano state
rilasciate dal Comune concessioni edilizie a Grifil (doc.5 bis), annualmente
4
rinnovate, la cui efficacia è subordinata all’avvenuta bonifica dei sub distretti che
dovrebbero ospitare gli insediamenti commerciali e residenziali. Le concessioni
davano atto che nel dicembre 1999 era pervenuta al Comune della Spezia
“comunicazione dell’avvio di procedimento penale per l’ipotesi di disastro
ambientale di cui all’art. 434 C.P. in relazione alla consulenza tecnica d’ufficio
espletata dall’Ing. Boeri ed avente ad oggetto l’accertamento dello stato
d’inquinamento delle aree della ex raffineria I.P.. la predetta comunicazione si
intendeva data anche agli effetti della non utilizzabilità dell’aree interessate, ai fini
edilizi-urbanistici, prima del raggiungimento dei limiti di accettabilità della
relativa contaminazione, come previsto dai commi 6 e seguenti dell’art.17 del
D.L.vo 22/97”. Il rilascio delle concessioni avveniva contro il parere dell’allora
Assessore all’Ambiente, Dr. Marco Grondacci, anch’esso firmatario del presente
esposto, nonché contro i pareri resi da avvocati – consulenti del Comune.
Durante i quattro anni (2000-2004) di progetti e lavori iniziati ed interrotti, il
Comune diffidava Eni e Grifil affinché realizzassero la bonifica e dava avvio,
ripetutamente, al procedimento per l’adozione delle misure sostitutive per il
mancato avvio della bonifica, senza peraltro attuarlo e ciò nonostante la solvibilità
dei soggetti obbligati ed inadempienti. Tale ultima circostanza vale ad escludere
rilevanza anche alla giustificazione meramente pratica, in forza della quale il
Comune rilasciava illegittimamente le summenzionate concessioni edilizie:”…Il
loro ritiro è condizione per l’ulteriore sviluppo delle operazioni di finanziamento
sia delle preventive opere di bonifica sia della successiva realizzazione dei
complessi edilizi previsti” (doc. 5 bis, pag. 3).
5
Come sopra accennato nel 2004 la bonifica era ripresa da Eni, con riserva di rivalsa
nei confronti di Grifil, in attuazione del progetto approvato con determinazione
dirigenziale n.84 del 14/8/2002, “visto l’esito positivo dell’esame del progetto da
parte della Conferenza dei servizi in data 30/7/2002” , senza previo
assoggettamento non solo alla procedura di VIA, ma anche alla procedura di
screening che costituisce comunque, pur forzando le operazioni di smaltimento
previste nel suddetto progetto entro l’elenco delle opere e degli impianti di cui
all’allegato B del D.P.R. 12/4/96, un obbligo procedurale ai sensi dell’art.1, c.6
e 10 dello stesso decreto (vedi oltre punti a, b)
Il principio alla base della tecnica prescelta nel progetto approvato nel 2002,
Landfarming -tecnica “on site”- consiste, quando correttamente applicato,
nell’incentivare i naturali processi di biodegradazione in atto nei terreni,
movimentandoli e fornendo, in condizioni controllate, nutrienti, umidità ed
ossigeno nelle quantità ritenute ottimali per coadiuvare le attività degli organismi
microbici presenti nel terreno.
Il terreno contaminato dovrebbe, inoltre, essere additivato con l’aggiunta di
fertilizzante biocompatibile, per fornire un adeguato supporto nutritivo alla flora
batterica responsabile della biodegradazione dei prodotti idrocarburici contenuti nel
terreno –bioventing-.
Il progetto di bonifica 2002 autorizzava anche lo smaltimento e/o il trattamento
presso impianti esterni dei terreni altamente inquinati e non trattabili con successo
per mezzo della tecnologia indicata. Il terreno inquinato pareva, allora, essere pari a
178.000 metri cubi.
6
Il progetto definitivo del 2002 si atteneva, in parte, al parere dell’Istituto
Superiore della Sanità 23/4/2001 (doc.6), richiesto dal Comune per la bonifica
della porzione ENI dell’area ex IP, le cui operazioni sono state già completate. Il
parere I.S.S. 23/4/2001 riveste grande importanza per la comprensione delle
problematiche di bonifica del sito. Ancorché il documento sottoposto all’attenzione
dell’Istituto Superiore della Sanità avesse ad oggetto l’investigazione solo dell’area
che ospitava “i serbatoi strategici” della raffineria, l’intera area ex I.P. presenta
caratteristiche analoghe d’inquinamento “a macchia di leopardo”. Infatti vi
insistevano una quarantina di serbatoi, impianti per la lavorazione, reti sotterranee
di tubature che collegavano l’imponente complesso.
Riprese le operazione di bonifica nel gennaio 2004, l’ENI era sollecitato dal
Comune affinché accelerasse la realizzazione delle stesse in alcune porzioni
dell’area, quelle cioè interessate dalla variante Aurelia e quelle del sub distretto 3,
oggetto delle summenzionate concessioni edilizie (doc.5, cronistoria procedurale,
pag. 4, -Estratto progetto di variante pag.9). Contestualmente all’incremento delle
escavazioni, ENI anticipava “che sarebbero stati effettuati ulteriori sondaggi di
caratterizzazione per meglio quantificare il terreno inquinato e acquisire elementi
di conoscenza nella zona demaniale precedentemente non indagata”. La precedente
caratterizzazione dell’area, fondata essenzialmente sulla perizia Boeri del 1999 (il
documento era stato redatto sulla base di 89 campionamenti del terreno e non era
rinnovato integralmente a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 471/99) si era
rivelata affatto insufficiente a conseguire gli obbiettivi di cui all’allegato 4 del citato
regolamento ministeriale che precisa minuziosamente la progressione dei livelli
progettuali della bonifica.
7
La progressiva scoperta di ulteriori, notevoli quantità di terreno inquinato portavano
all’approvazione delle prime due modifiche progettuali in data, rispettivamente,
21/4/04 e 14/5/04 (doc. 5- cronistoria procedurale- pag. 4) senza che fosse
modificata sostanzialmente la tecnica prescelta. Dal risultato della rinnovata
caratterizzazione del sito pareva che, allo stato degli scavi e del campionamento, il
terreno presunto inquinato fosse di 248.000 mc e il terreno di scavo fosse pari a
310.000 mc (variante al progetto definitivo di bonifica, pag.62, ). Nella Relazione
Istruttoria n°265, Procedura di Screening(doc.7, pag.2) il quantitativo totale stimato
di terreno eccedente i limiti normativi è pari a circa 496.000 t..
Ebbene, per fronteggiare quest’insospettata estensione dell’inquinamento e poter
disporre delle superfici oggetto delle concessioni edilizie citate erano proposti, nel
maggio 2004, i trattamenti on site di Desorbimento Termico (La tecnologia separa
fisicamente la contaminazione organica dal suolo. Il suolo è riscaldato in una
camera in cui l’umidità e i contaminanti organici vengono vaporizzati. Il vapor
d’acqua e i contaminanti organici sono trasferiti a un sistema di trattamento delle
emissioni gassose. L’obbiettivo della progettazione è quello di far volatilizzare la
contaminazione, senza operare un ossidazione – del terreno- pag.18 documento
verifica-screening) e Soil washing (lavaggio con acqua) + estrazione con solvente.
Nella Conferenza dei Servizi 29/6/04 per esame modifiche progettuali al progetto
di bonifica area Grifil, il dr Biso funzionario comunale dell’uff. ambiente,
condividendo le preoccupazioni dei comitati ambientalisti (doc.8-9), faceva
presente le problematiche relative all’accettabilità sociale degli impianti tecnologici
previsti, specie il desorbitore termico. Invitava, quindi, nell’ambito della
predisposizione delle specifiche progettuali integrative, a valutare la possibilità di
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altri sistemi di trattamento della corrente gassosa, rispetto alla ossidazione, quali per
esempio la condensazione della corrente gassosa ed il trattamento conseguente delle
acque derivanti. In tale sede, data lettura della decisione della Giunta Regionale, che
aveva escluso all’unanimità di assoggettare a procedura di VIA il nuovo progetto
(doc.10), un rappresentante ENI rilevava ”una presunta incongruità di questo
parere rispetto alle norme regionali vigenti sulla VIA”.
Le nuove tecniche proposte da ENI, definite integrative rispetto al landfarming ed
all’asporto in discariche ( estratti del progetto di variante, pag.100), dovrebbero,
invece, smaltire rispettivamente 132.000 mc (pag.118) e 79.000 (pag. 112). Le dette
quantità sono, come già si evince dalla grande incertezza sulla quantità totale di
terreno inquinato, approssimative anche perché, al fine di ottimizzare il risultato
della bonifica le quantità complessivamente trattate con una tecnica o con l’altra
saranno decise in corso d’opera, “ENI fa peraltro presente la propria esigenza di
mantenere una idonea flessibilità nella gestione, essendo necessario, per dare
risposte adeguate, continuare ad utilizzare tutte le previste tecnologie di bonifica
nel modo più efficace” (doc. 11, Conferenza dei Servizi 15/2/2005, pag.2, Variante
al progetto, pag.67, 68). Persino la determinazione dirigenziale n.17 del 20/4/2005,
avente ad oggetto Approvazione modifica progettuale del progetto di bonifica area
ex IP, porzione Grifil presentata da Eni spa e autorizzazione ai relativi lavori (doc.
12), nella parte relativa all’indicazione delle prescrizioni, rinvia ad un ulteriore
“piano dettagliato” la quantificazione delle terre che si intendono avviare ai vari
trattamenti.
- Secondo le dichiarazioni dell’Ing. Cecchella, rappresentante della nuova società
proprietaria Helios s.p.a., rese nel corso della riunione della IV circoscrizione il 7
9
giugno 2006, la quantità di terreno da bonificare pare essere attualmente pari a
900.000 ton.; già nel corso dell’inverno-primavera 2006 il Comune della Spezia
rendeva noto che l’inquinamento dell’ex area I.P. appariva molto più esteso di
quanto fosse stato preventivato (doc. 13) - .
Contestualmente all’esame della variante al progetto, durante la primavera-estate
2004, nel sito inquinato infuriavano, letteralmente, le attività di raccolta, stoccaggio,
trattamento con landfarming, riprese nel gennaio 2004. Le persone residenti nelle
zone adiacenti o prossime all’ambiente di lavoro lamentavano prima verbalmente,
presso l’Arpal e l’Ufficio Ambiente, bruciori alla gola, agli occhi e mal di testa, poi
con lettera raccomandata 14/6/04 richiedevano più incisivamente chiarimenti in
merito alle esalazioni gassose (doc.14). Gli enti e le amministrazioni interrogate
provvedevano tardivamente a predisporre inadeguate misure di sicurezza e di
monitoraggio per verificare l’efficacia dell’azione delle prime, come previsto dal
D.M. 471/1999, alleg.3 – Messa in sicurezza d’emergenza-, alleg.4 –Relazione
tecnica descrittiva punto 5, D.L. 22/1997 art. 2. Non solo, in aperta
contraddizione con quanto espresso nel citato parere I.S.S. 21/4/2001, i detti
enti riferivano che “..Dalle prime risultanze parrebbe desumersi che si tratta per
lo più di idrocarburi di componente alifatica e non aromatica e pertanto con
minor rischio sanitario” (doc.15, 16). L’Istituto Superiore della Sanità aveva
invece ribadito la presenza di idrocarburi policiclici aromatici, Benzene,
Toluene, Etilbenzene e Xileni, ecc, raccomandando misure di cautela idonee al
fine di non permettere la dispersione delle polveri e/o gas in atmosfera-
L'agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) e l'organizzazione
10
mondiale della sanità indicano alcuni idrocarburi policiclici aromatici (IPA)
come cancerogeni -.
L’ufficio ambiente disponeva quindi nuovi accertamenti da parte di Arpal ed il
posizionamento di rilevatori di benzene (ma non di Toluene, Xileni ecc.) e un
campionatore gas massa portatile, messo a disposizione da ENI, in aggiunta alla
centralina collocata nell’ambiente di lavoro. Come potrà accertare questo Ecc.mo
Tribunale, detto apparecchio, insufficiente comunque a monitorare le polveri sottili
su un’area così vasta, e collocato nel giugno 2004 (doc.16), a seguito delle proteste
dei cittadini, è rimasto fuori servizio durante tutta l’estate, mentre avveniva la
movimentazione e lo stoccaggio di circa centomila tonnellate di terreno, in piena
tempesta di polveri e gas (doc.17, dati Arpal); la circostanza era confermata
dall’assessore e dal funzionario Arpal, dr.ssa Colonna, nel corso delle riunioni
presso la sede della IV circoscrizione.
- Le centraline per il monitoraggio hanno continuato a funzionare a fasi alterne,
“casualmente” coincidendo i periodi di maggior movimentazione del terreno con i
fuori servizio delle apparecchiature ( doc. 18, lettera 9/5/06 del Coordinamento dei
comitati per l’area ex IP-).
Invero, le attività di stoccaggio e di bonifica sono state, ad oggi, condotte con
scellerato autoritarismo, in massiccia violazione della normativa comunitaria e
nazionale relativa alla gestione dei rifiuti ed alla VIA. Purtroppo, l’assunto di ENI
e del Comune escludeva “per lo più” la presenza di idrocarburi volatili.
Non essendo il sito, comprensibilmente, interessato da grosse opere di
urbanizzazione ed essendo, invece, chiuso dalla collina nei lati ovest, nord, est, esso
risulta defilato alla vista della grande maggioranza dei residenti in città, benché
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occupi un’area centrale. Infatti il sito inquinato dista, in linea d’aria, un centinaio di
metri da una delle principali vie del centro (Via Veneto) e dall’ospedale. I comitati
ambientalisti, dopo aver espresso in sedi diverse la loro preoccupazione per la
complessiva gestione dei rifiuti pericolosi dell’area ex IP, affiggevano manifestini
in città per sensibilizzare l’opinione pubblica (doc.19) ed infine inviavano al
sindaco, all’assessore all’ambiente ed all’assessore all’urbanistica note inerenti la
variante progettuale datate 14/4/2005(doc.20). Il sindaco replicava con documento
22/4/2005, allegando allo stesso la determinazione dirigenziale n.17 del 20/4/2005
avente ad oggetto l’approvazione della modifica progettuale (doc.12).
Durante il corso dell’ultimo anno, la bonifica è progredita molto poco, sia per
difficoltà oggettive, sia a causa del diffondersi di malori e disturbi accusati dai
cittadini, residenti non solo nelle immediate vicinanze dell’area ex IP, le cui
proteste hanno persuaso il Sindaco a sospendere la bonifica in data 2/2/06 (doc.21 )
purtoppo tale provvedimento, anziché preludere a un ripensamento radicale sulla
modalità attuative dei lavori, ha portato all’introduzione solo di una misura di
mitigazione: un cannone spara acqua e sostanze odorigene per abbattere gli
idrocarburi volatili in fase di scavo, che, come era presumibile, non riesce ad
eliminare gli effetti dannosi provocati dalla liberazione degli idrocarburi volatili. La
nuova società proprietaria dell’area, Helios Property s.r.l., ha peraltro diffidato il
Sindaco affinché si astenga dal pronunciare altre ordinanze di sospensione dei
lavori (così riferito alla Avv. Francesca Beconcini ed al Dr. Marco Grondacci
dall’amministratore delegato di Helios, Dr. Bordigoni).
Dunque, ad oggi, sono state stoccate poco più di 100.000 ton. di terreno, in minima
parte trattate con il landfarming (la tecnologia richiede ampi spazi per collocare le
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vasche ed è sconsigliabile bonificare per tale mezzo il suolo più inquinato, stante la
vicinanza del centro urbano), le operazioni di soilwashing sono iniziate i primi di
maggio u.s., dopo l’ esperienza pilota che ha dato risultati deludenti nella fase
preliminare di vagliatura del terreno (al fine di utilizzare la parte costituita da sassi
che non contengono inquinanti, infatti la separazione delle pietre dalla terra
inquinata riesce con difficoltà a causa della forte adesione dei fanghi (doc. 22).
(In quella sede gli enti preposti alla bonifica dichiaravano di rinunciare all’uso del
desorbitore termico, tuttavia ad oggi –luglio 2006 – tale tecnologia non è stata
espunta dal progetto, così come non ha avuto seguito la costituzione di una
commissione paritetica di controllo, formata con la partecipazione di un esperto di
fiducia delle associazioni ambientaliste; il Dr. Busà, già consulente della
Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui Rifiuti).
Nonostante le difficoltà tecnico-operative, i rischi ed i danni alla salute dei cittadini,
la P.A. ed Helios Proporty s.r.l. intendono terminare la bonifica in due anni e
svincolare quanto prima il subdistretto 3 per procedere immediatamente
all’edificazione di un centro commerciale di 23.000 mq (doc.23). Durante le ultime
settimane gli scavi nel subdistretto 3 (tra i più inquinati, vedi oltre) sono stati
eseguiti soprattutto di notte provocando ancora disagi e malesseri agli odierni
esponenti, residenti in prossimità dell’ospedale. A giudizio degli esponenti, i rischi
sanitari immediati ed i danni già subiti dai cittadini sono essenzialmente
conseguenza dell’omesso esperimento delle procedure amministrative volte ad
accertare preventivamente le conseguenze ambientali e sanitarie dei lavori di
bonifica aventi ad oggetto rifiuti pericolosi (tali per la presenza di sostanze
pericolose in concentrazioni superiori ai limiti normativi- vedi oltre, punto b); detta
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omissione è stata totale per il progetto del 2002, mentre, nel progetto di variante del
2004, è stata effettuata solo la procedura di verifica-screening (relativa alla verifica
sulla necessità della Valutazione d’impatto ambientale, ex art. 10, L.R. 38/98, in
relazione all’uso dei nuovi impianti di trattamento terreni) mediante la
declassificazione dei rifiuti pericolosi dell’area ex IP in rifiuti non pericolosi .
I vizi di legittimità lamentati con il ricorso al T.A.R. (quelli afferenti il progetto del
2002 solo incidentalmente, stante la decadenza dai termini d’impugnazione) e che
possono avere, a giudizio degli esponenti, rilevanza penale ai sensi dell’art. 51 bis
del D.L.vo 22/97 (…) o di altra fattispecie sono i seguenti:
a) Violazione dell’art.32 Cost. e dell’art. 2 del DL.vo 22/97, in relazione alla
violazione delle norme in materia di Valutazione d’impatto ambientale e procedura
di verifica-screening.
(art. 2 del D.L.vo 22/97 ”La gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico
interesse ed è disciplinata dal presente decreto al fine di assicurare un’elevata
protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei
rifiuti pericolosi.I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la
salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare
pregiudizio all’ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
b) senza causare inconvenienti da odori e rumori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base
alla normativa vigente”(I e II comma).
Le attività di stoccaggio, iniziate nel 2004, si fondavano sul primo progetto del
2002 che non è stato sottoposto né alla procedura di VIA, né alla meno analitica
procedura di screening benché si trattasse di gestione di rifiuti pericolosi in area
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urbana anche nelle allora sottovalutate quantità (178.000 m.c.) di terreno inquinato.
La gestione è comprensiva delle attività di raccolta, stoccaggio, trasporto e
smaltimento che, ai sensi del progetto di bonifica del 2002 sarebbe dovuto avvenire
solo con la tecnologia del landfarming, mediante la costituzione di apposite vasche.
I lavori sono stati iniziati ignorando la dispersione d’inquinanti volatili durante la
movimentazione del terreno. Ciò è avvenuto contra legem e nonostante il parere
citato dell’ I.S.S. che ribadiva alla P.A., la necessità di considerare la presenza di
idrocarburi policiclici aromatici, essendo tali sostanze sicuramente rinvenibili in
ragione della pregressa attività che si era svolta sul sito de quo.
In forza dell’art. 2 comma 5° L.R. 38/98 (attuazione della normativa statale e delle
Direttive U.E.) non sono sottoposti alla procedura di VIA i lavori e gli interventi
che non determinano effetti sull’ambiente quali: lett.e, gli ”interventi di bonifica
come definiti dalla normativa sulla gestione dei rifiuti e gli eventuali impianti
utilizzati a tal fine se a carattere temporaneo”. Evidentemente, la ragione che
comporta l’esclusione di determinate opere ed interventi all’assoggettamento alla
procedura di VIA è l’assunto che essi non determinino effetti sull’ambiente. In tal
senso la pronuncia dalla Corte di Giustizia CEE, 11agosto 1995 che non lascia
margini per interpretazioni diverse:”La direttiva n.85/337/CEE trova applicazione
con riferimento a tutte le domande di autorizzazione di progetti di opera pubblica o
privata, presentati alle competenti autorità nazionali dopo il termine di
trasposizione della direttiva anche se all’epoca la direttiva non era stata ancora
effettivamente trasposta nell’ordinamento; gli articoli, 2,3 e 8 della direttiva 85/337
impongono l’obbligo chiaro e preciso alle autorità nazionali di effettuare la
valutazione di impatto ambientale dei progetti di opera pubblica o privata rilevanti
15
per l’ambiente”. Secondo la Corte Costituzionale (17 luglio 1998, n.273), il D.P.R.
12 aprile 1996, che completa l’attuazione della direttiva 85/337, non si configura
come norma di dettaglio e vincolante nei particolari procedurali; le regioni e le
province autonome sono tenute ad attuare gli obbiettivi del decreto nel rispetto delle
previsioni degli Statuti e delle relative norme di attuazione, il che significa:
“proteggere la salute e migliorare la qualità della vita umana, al fine di
contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita..”(art.2 del D.P.R.
12/4/96). “Ai sensi della direttiva 85/337 i progetti di cui all’allegato II devono essere
sottoposti a una valutazione di impatto ambientale quando gli Stati membri
ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano. Tuttavia gli stati membri
sono tenuti ad effettuare una valutazione preventiva al fine di stabilire se i
progetti dell’allegato II debbano formare oggetto o meno di una procedura di
VIA. Peraltro nella versione 97/11 della direttiva 85/337 c’è l’obbligo per gli
stati membri di determinare un esame caso per caso o su soglie e criteri da essi
fissati se i progetti dell’allegato II debbano essere sottoposti a VIA a norma
degli articoli da 5 a 10. Questa procedura è anche detta screening ”
(Commissaria all’Ambiente della UE : 3/12/2001 – risposta a interrogazione di
un parlamentare europeo). Nel caso di specie lo stoccaggio dei terreni inquinati
sarebbe potuto rientrare nella categoria “Deposito di fanghi”-Altri progetti- lett.
d, Allegato II, della direttiva CE 97/11.
“ Uno Stato membro eccederebbe dal margine di valutazione discrezionale di cui
dispone per stabilire quali progetti non possono avere notevoli incidenze
sull’ambiente qualora escludesse in pratica qualsiasi studio per qualsiasi
categoria di progetti, salvo se una valutazione globale consenta di stabilire che una
16
determinata categoria di progetti non è suscettibile di avere incidenze notevoli
sull’ambiente”. Corte di Giustizia con sentenza 24/10/1996 (causa C-72/95) -
Corte di Giustizia 16/9/1999 (causa C435/97 su domanda di decisione pregiudiziale
del T.A.R Bolzano).
“ Una scelta, che esclude in modo generale la presa in considerazione di criteri
e/o soglie relativi alla dimensione e alla natura dei progetti eccede il margine
di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri ai sensi degli artt. 2, n. 1, e
4, n. 2, della direttiva 97/11 “(Corte di Giustizia 1376/2002 causa C-474/99 ).
La violazione delle norme sulla VIA si è ripetuta anche a seguito dell’approvazione
del progetto di variante del 2004, con il quale sono stati introdotte altre due
tecnologie di trattamento dei rifiuti: il desorbitore termico (inceneritore ex D.L.vo
11/5/2005, Attuaz. Direttiva 2000/76/CE in materia d’incenerimento rifiuti) ed il
soilwashing + estrazione con solvente. In questo caso non solo è stata totalmente
dimenticata l’evaporazione degli idrocarburi volatili in fase di movimentazione di
terreni la cui quantità era, allora, quasi triplicata, ma è stata illecitamente eseguita
solo la procedura di screening sull’uso degli impianti.
In particolare, relativamente alla mancato espletamento della procedura di VIA per
l’adozione del desorbitore termico e dell’impianto chimico, il Comitato La
Salamandra ha eccepito innanzi al TAR:
b) la “Violazione dell’art.32 Cost. e dell’art.2 del DL.vo 22/97, in relazione
all’allegato D, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n.22 (elenco dei rifiuti armonizzato al
testo della Decisione 2000/532 CE che si coordina con le Decisioni 2001/118/CE
del 16 gennaio 2001, 2001/119/CE del 22 gennaio 2001, 2001/573/CE del 23
luglio 2001 e con la rettifica pubblicata sulla G.U. CE L 262 del 2/10/2001).
17
Violazione dell’art.6 commi 3 e seguenti della L. 8 luglio 1986 n.349, dell’art.1
del D.P.C.M 10 agosto 1988, n.377, dell’art.2 c.2 in relazione all’allegato 1
lettera i) della L.R. 30 dicembre 1998, n.38, ovvero violazione dell’art. 1
comma 3° in relazione all’allegato A, lettera i) del D.P.R. 12 aprile 1996, come
modificato dal D.P.C.M. 3 settembre 1999, dell’art. 2 c.3 in relazione
all’allegato 2, lettera u della L.R. 38/98. Falsa applicazione di legge. Eccesso di
potere per travisamento dei fatti. Sviamento.
1) Con parere 17/6/04 il Settore VIA della Regione comunicava al Comune che
“ l’installazione degli impianti tecnologici di Soil washing (non è menzionato il
trattamento con solventi) e desorbimento termico non risultano da assoggettare
alla disciplina in oggetto se detti impianti servono per lo sviluppo ed il collaudo di
nuovi metodi e non sono utilizzati per più di due anni”(doc. 24). Ritenuto che i detti
impianti non possono essere sussunti nella fattispecie ora citata, il dirigente del
Settore VIA ometteva, comunque, di aggiungere “forse” prima delle parole:” non
risultano da assoggettare”. Un“lapsus calami” . Infatti gli impianti per lo sviluppo
ed il collaudo di nuovi metodi, non utilizzati per più di due anni, ricadono
nell’elenco di cui all’allegato 3, lett.n, della L.R. 38/98 e non nelle ipotesi
derogatorie alla disciplina di VIA di cui all’art.2 della medesima L.R..
In data 16/9/2004 l’Arpal, dimostrando scarsa conoscenza della materia, richiedeva
all’Ufficio VIA della Regione “la procedibilità dell’istruttoria tecnica in assenza di
avvio della procedura di screening da parte della ditta proponente l’intervento”. Si
rappresentava “per completezza che trattasi di n.2 impianti non sperimentale per
meno di 24 mesi”(doc.25). La Regione replicava precisando la necessità di
18
sottoporre alla procedura di screening l’installazione dei due impianti proposti nella
variante del maggio 2004 (doc.26).
Con deliberazione 17/12/2004 la Giunta Regionale concludeva la procedura di
verifica-screening nel senso di non assoggettare a procedura di valutazione di
impatto ambientale il progetto presentato da Eni (doc. 10). La premessa della P.A. è
che- Le opere previste nel progetto di che trattasi rientrano nell’allegato 3, punto
11b) alinea 4 della citata legge regionale n. 38/1998 e, non ricadendo in aree
naturali protette, sono sottoposte alla procedura di verifica di cui al ridetto art.10-.
L’allegato 3 al punto 11b) alinea 4 prevede:”Impianti di smaltimento rifiuti speciali
non pericolosi con capacità complessiva superiore a 10t/giorno, mediante
operazioni di incenerimento o di trattamento (operazione di cui all’allegato B,
lettere D2 e da D8 a D11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22)”. Con
lettera 14/2/2005 (doc.27), l’Uffico VIA, nella persona della Dr.ssa Minervini
ribadiva la sufficienza della procedura di screening a fronte delle osservazioni
formulate dai comitati ambientalisti.. Di tale parere dell’Ufficio VIA era dato atto
nella Conferenza dei Servizi 7/7/04 (doc.28).
La P.A. e l’Arpal hanno cancellato “con un colpo di spugna” decenni di studi ed
attività del legislatore europeo, nazionale e degli organi giurisprudenziali; in
particolare, è stato completamente obliato l’elenco dei rifiuti pericolosi di cui
all’allegato D del decreto Ronchi come modificato dalle decisioni della
Commissione Europea. I terreni dell’area ex IP sono contaminati da rifiuti
pericolosi, presenti in quantità eccedenti i limiti tabellari, e come tali inclusi
nell’allegato D del decreto Ronchi ed ivi individuati al capitolo 05 -Rifiuti della
raffinazione del petrolio, del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone;-
19
al capitolo 06 con il codice 06 04 05 rifiuti contenenti altri metalli pesanti; al
capitolo 13- Oli esauriti e residui di combustibili liquidi-. In relazione
all’allegato i (alleg. III della Direttiva 91/689/CEE) detti rifiut i presentano le
seguenti caratteristiche di pericolo: Irritante, Nocivo, Tossico, Cancerogeno,
Corrosivo, Teratogeno, Ecotossico .
Il progetto in esame, che prevede l’installazione di un desorbitore termico e di un
impianto chimico per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, rientra nell’elenco delle
operazioni di smaltimento di rifiuti di cui al punto D9 dell’allegato B –Operazioni
di Smaltimento- del sopra menzionato decreto Ronchi:”Trattamento fisico-chimico
non specificato altrove nel presente allegato che dia origine a composti o a miscugli
eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12 (ad es.
evaporazione, essiccazione, calcinazione etc.)”.
Stante l’obbligatorietà dell’assoggettamento del progetto alla VIA per la
pericolosità dei rifiuti, ed in assenza di una legge quadro in materia, il committente
e l’autorità amministrativa avrebbero dovuto attivare il Ministero dell’Ambiente per
verificare la necessità del procedimento della VIA statale ovvero regionale.
Infatti, alla pregressa classificazione dei rifiuti in urbani, speciali e tossico nocivi, si
sostituisce quella in urbani e speciali, che a loro volta si differenziano in pericolosi
e non pericolosi.
Ai sensi dell’art.1, lettera i) del D.P.C.M. 377/1988 sono sottoposti alla procedura
di valutazione di cui all’art.6 della L. 349/86 (VIA statale) gli impianti di
eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento
chimico e stoccaggio a terra; in tal senso l’allegato 1 lett. i) della L.R. 38/1998.
20
Ex art.1 c.3 in relazione all’allegato A, lettera i) del D.P.R. 12 aprile 1996,
riprodotto nell’art. 2 c.3 in relazione all’allegato 2, lettera u, della L.R. 38/98 sono
sottoposti a VIA regionale gli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti
pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B ed all'allegato C, lettere da R1 a
R9 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, ad esclusione degli impianti di
recupero sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31 e 33 del
medesimo decreto legislativo n. 22/1997”.
Il criterio per individuare la competenza in materia di VIA nella fattispecie è offerto
dall’art. 57 c.6 ter del D.L.vo 22/1997:” In attesa dell’adozione della nuova
disciplina organica in materia di valutazione d’impatto ambientale la procedura
dell’art.6 della legge 8 luglio 1986 n.349, continua ad applicarsi ai progetti delle
opere rientranti nella categoria di cui all’art.1 lettera i) del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n.377, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 31 agosto 1988 n.204, relativa ai rifiuti già classificati tossico nocivi”.
Il D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 . -Attuazione delle direttive (CEE) numero
75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei
policlorodifenili e dei policlorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti
tossici e nocivi- includeva all’allegato 1/a n.16 i prodotti a base di catrame derivanti
da procedimenti di raffinazione e residui catramosi derivanti da operazioni di
distillazione; nonché piombo, n.7, ed altri metalli pesanti che sono altresì presenti
nel sito spezzino, in concentrazioni non trascurabili.
b) Per quanto occorrer possa confutare la confusa allusione alla temporaneità degli
impianti, di cui alla relazione del responsabile del procedimento sulla pratica di
“Modifica progettuale Area IP”- Conferenza dei servizi 15/2/2005 :”….Veniva
21
fissato il termine di utilizzo degli impianti inferiore a 24 mesi, per cui la Regione si
esprimeva circa la non necessità della valutazione di impatto ambientale…”si
precisa quanto segue.
I volumi di terreno da trattare e le conseguenti emissioni inquinanti del camino di
6,5 metri, l’adiacenza del sito a zone a forte densità demografica la cui qualità
ambientale è piuttosto deprimente (per lo stato dell’aria si ricorda che La Spezia
ospita una centrale termoelettrica, Relazione Arpal 2003,) rendono, ictu oculi, il
progetto di variante al piano di bonifica dell’area ex IP un’iniziativa molto
pericolosa per la salute.
Per completezza si aggiunge quanto statuito dal T.A.R. Emilia Romagna, nella
decisione n.235 del 27/4/2001, in relazione al concetto di temporaneità degli
impianti ed alle caratteristiche di impianto fisso o di impianto mobile di
smaltimento o di recupero di rifiuti.
“Solo gli impianti mobili infatti, possono beneficiare, in ragione del tenue e
soprattutto provvisorio impatto con l’ambiente circostante il sito d’installazione,
del semplificato e celere regime autorizzatorio previsto dall’art. 28, 7° comma del
D. Lgs. 5/2/1997 n.22, secondo il quale “Gli impianti mobili di smaltimento o di
recupero, ad esclusione della sola riduzione volumetrica, sono autorizzati in via
definitiva dalla regione ove l’interessato ha la sede legale o la società straniera
proprietaria dell’impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle
singole campagne di attività sul territorio nazionale l’interessato, almeno sessanta
giorni prima dell’installazione dell’impianto, deve comunicare alla regione nel cui
territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di
attività…”.
22
Ritiene il Collegio, che nel predisporre tale semplificato regime autorizzatorio, in
una materia di estrema delicatezza quale è in via generale quella ambientale e, più
in particolare, il settore del trattamento dei rifiuti, il legislatore statale abbia inteso
ricondurre ad esso esclusivamente quegli impianti di smaltimento o di recupero di
rifiuti che siano “mobili” in senso funzionale e cioè che non solo siano “facilmente
amovibili” dal sito prescelto ma che si pongano anche in rapporto del tutto precario
e, quindi, ben delimitato temporalmente, con il suddetto luogo e con l’ambiente
circostante.”
Gli impianti previsti dalla variante al progetto di bonifica sono privi di entrambi i
requisiti che contraddistinguono il carattere temporaneo degli stessi non ponendosi
in rapporto precario né con il sito, né con l’ambiente. Non è possibile fissare il
termine di utilizzo del desorbitore termico e dell’impianto chimico per un periodo
determinato poiché, ad oggi, non sono note le quantità di terreno inquinato che
dovrebbero essere avviate al trattamento con l’una o con l’altra tecnica.
Inoltre non possono considerarsi, propriamente, facilmente amovibili, impianti con
un un ingombro di 5000 mq per il soil washing-enisolvex e di 2000 mq per il
desorbitore.
Neppure è ragionevole pensare che emissioni di gas e polveri (“Dal camino del
desorbitore termico si hanno emissioni di benzene, toluene, etilbenzene, cilene, ecc.
nonché di metalli pesanti, PCDD e PCDF” che dovrebbero essere mitigati da un
sistema di abbattimento. doc.-Screening- pag 108, punto A.8), emesse a ciclo
continuo in centro città, per diversi anni, non producano effetti rilevanti sulla
qualità dell’aria, sullo stato di sensibilità attuale dell’ambiente cittadino.
23
Consumata, con spagiria politica, la derubricazione di rifiuti pericolosi in rifiuti non
pericolosi, onde gestire discrezionalmente le ipotesi dell’all.3, L.R. 38/98, non
stupisce, tuttavia, che le attuali condizioni di sensibilità di La Spezia e i conseguenti
probabili impatti sullo stato igienico-sanitario ed ambientale, siano stati
sottovalutati dal proponente e dall’Amministrazione.
I risultati, registrati da Arpal nella Relazione Ambientale 2003 e da Foster
Wheeler, per il periodo gennaio a settembre 2004, mostrano i valori di ciascun
inquinante monitorato (Screening- pag.48 e ss). Tali concentrazioni non sono
assolutamente confortanti come vorrebbero far credere il proponente ed il Comune.
Il D.M. 2/4/2002 n.60, in recepimento delle direttive 1999/30 e 2000/69 CE, pone
valori limite progressivamente più bassi ai principali inquinanti atmosferici,
secondo una percentuale annua costante; per le polveri fini PM10, dal gennaio
2005, la media annuale non deve superare i 40µg/m3 e tale valore limite annuale
sarà progressivamente ridotto sino a raggiungere 20µg/m3 per il 2010; le
concentrazioni misurate da tre postazioni indicano medie pari a 30, 38, 37 µg/m3
che sono molto vicine alla media critica. Considerazioni analoghe valgono per le
concentrazioni misurate di benzene nei siti sensibili (tab. 4.10, pag. 50) il cui limite
annuale pari a 10µg/m3 deve, in forza della normativa citata, essere annualmente
ridotto di 1µg/m3 sino a raggiungere il limite annuale di 5µg/m3; le stesse
deduzioni si applicano anche agli altri inquinanti. Per la qualità dell’aria nell’area
dell’ex raffineria (pag.51) la definizione della stessa è parametrata ai valori di
concentrazione in ambienti di lavoro; il paragrafo termina evidenziando che:”non
esistono nella zona circostante gli impianti di trattamento temporaneo di terreni
contaminati elementi dell’ambiente di elevata sensibilità al deposito di inquinanti
24
pericolosi, quali coltivazioni ed ecosistemi di elevato pregio.” A pochi decine di
metri, ed in alcuni casi a pochi metri, ci sono gli abitanti dell’Antoniana, circa
centotrenta, qualche famiglia ha anche l’orto. Centocinquanta metri più a sud c’è il
centro. Gli spezzini e soprattutto gli abitanti dell’Antoniana dovrebbero continuare
ad assumersi anche il rischio professionale dell’esposizione, e non per otto ore al
giorno, a sostanze tossico-nocive. Non solo, i risultati ottimistici del monitoraggio
delle polveri fini in Antoniana sono assicurati dai fuori servizio “strategici” della
centralina, come detto in narrativa. I “fuori servizio” si sono verificati anche nella
successiva campagna di monitoraggio e sempre contestualmente alle fasi di
maggior attività del cantiere.
L’istruttoria del procedimento di VIA avrebbe consentito ai comitati ambientalisti
di sollecitare il Comune affinché conducesse inchieste pubbliche ex art. art.2 ed
art.9 comma 4°del D.P.R. 12/4/96 e di cui alla L.R. 38/98. La direttiva 2003/35 CE,
il cui termine d’attuazione è fissato al 25 giugno 2005, si fonda sulla considerazione
che “L'effettiva partecipazione del pubblico all'adozione di decisioni consente allo
stesso di esprimere pareri e preoccupazioni che possono assumere rilievo per tali
decisioni e che possono essere presi in considerazione da coloro che sono
responsabili della loro adozione; ciò accresce la responsabilità e la trasparenza del
processo decisionale e favorisce la consapevolezza del pubblico sui problemi
ambientali e il sostegno alle decisioni adottate”. “….Vi è il desiderio di garantire il
diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale,
per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare
la salute e il benessere delle persone”. Lontana da tale sinergico rapporto tra
politica e società è la realtà dell’Amministrazione spezzina, che ben si riassume
25
nella dichiarazione resa, per un “lapsus linguae”, dall’Assessore all’Ambiente
durante la riunione della IV circoscrizione 7/4/2005; l’Assessore ebbe a precisare
che il procedimento di VIA sarebbe stato solo più lungo, ma non avrebbe mutato
nulla nella sostanza delle decisioni prese.
Invero, il procedimento di VIA avrebbe, anche, rafforzato l’obbligo prescritto
dall’art. 5 , comma 3°, lett. c del D.L.vo 5/2/1997 n. 22 che impone di smaltire i
rifiuti utilizzando: ”i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di
protezione dell’ambiente”. Infatti lo studio d’impatto ambientale, che completa la
redazioni dei progetti soggetti a VIA, deve le motivazioni tecniche della scelta
progettuale e delle principali alternative prese in esame, opportunamente descritte,
con particolare riferimento a: 1) le scelte di processo per gli impianti industriali,
per la produzione di energia elettrica e per lo smaltimento di rifiuti contenere in
forza del D.P.C.M. 10/8/1988 n.377, art.4. comma 4°, lett.c: ””; ed ex art.6, all.c
n.1e 2 del D.P.R. 12/4/96, per la VIA regionale, “la descrizione della tecnica
prescelta, con riferimento alle migliori tecniche disponibili a costi non eccessivi, e
delle altre tecniche previste per prevenire le emissioni degli impianti e per ridurre
l'utilizzo delle risorse naturali, confrontando le tecniche prescelte con le migliori
tecniche disponibili; L’ illustrazione delle principali soluzioni alternative possibili,
con indicazione dei motivi principali della scelta compiuta dal committente tenendo
conto dell'impatto sull'ambiente”.
@@@
Il problema dei gravissimi rischi sanitari derivanti dall’uso del desorbitore
termico è ancora attuale perché, nonostante le assicurazioni verbali del
26
Comune e della società proprietaria, non si è provveduto, in sede di autotutela,
a ritirare tale tecnologia dal progetto.
@@@
Di seguito si elencano altre violazioni di legge, rubricate nel ricorso innanzi
all’autorità amministrativa, e che, essendo relative a norme che disciplinano la
pianificazione delle bonifiche, hanno concorso alla produzione di danni e rischi
sanitari.
c) Violazione dell’art.32 Cost., dell’art.2 del D.L.vo 5 febbraio 1997 n.22,
dell’allegato 2 (Procedure di riferimento per l’analisi dei campioni) del D.M.
471/1999, in relazione alla violazione dell’allegato 4 del D.M. 25 ottobre 1999
n.471 avente ad oggetto criteri per la redazione del Piano della
caratterizzazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Sviamento.
Il piano della caratterizzazione ai sensi dell’all. 4 del D.M. 471/1999 “descrive
dettagliatamente il sito e tutte le attività che si sono svolte; individua le correlazioni
tra le attività svolte e tipo, localizzazione ed estensione delle possibili
contaminazioni; descrive le caratteristiche delle componenti ambientali sia
all’interno del sito che nell’area da questo influenzata; descrive le condizioni
necessarie alla protezione ambientale e alla tutela della salute pubblica; presenta
un piano delle indagini per definire tipo, grado ed estensione dell’inquinamento”.
La completezza raggiunta nella descrizione del sito, la precisa conoscenza della
tipologia produttiva, dell’ubicazione degli impianti, di depositi, di infrastrutture
sotterranee (tubature, reti di distribuzione ecc.), delle attività di carico e scarico,
così come la redazione dell’ elenco dei materiali impiegati nelle diverse attività dei
cicli di raffinazione o comunque utilizzate nella gestione degli impianti, sono
27
necessari per formulare ipotesi sulla localizzazione delle possibili perdite,
sversamenti e rotture e per definire, esattamente, la lista delle sostanze da
analizzare. Questi elementi sono indispensabili per orientare la selezione dei punti
di campionamento e di un piano di analisi.
La bonifica del sito è iniziata, invece, sulla base della caratterizzazione “Boeri”del
1999, solo 89 campionamenti del terreno per una superficie così vasta (all.2, D.M.
471/99); la caratterizzazione è stata, poi, integrata a singhiozzo, finché Foster
Wheeler effettuava, altri 277 campionamenti in corso d’opera, nel febbraio 2004,
omettendo, tra l’altro, di effettuare prelievi dei gas interstiziali per individuare,
prima della movimentazione dei terreni, la presenza di aree ad elevata
concentrazione di sostanze volatili. La perizia “Boeri” avrebbe dovuto, invece,
essere utilizzata e recepita nella fase iniziale del piano di caratterizzazione, cioè
nella “Raccolta e sistematizzazione dei dati esistenti” che, con gli elementi sopra
brevemente sintetizzati, consente di elaborare la caratterizzazione e la formulazione
preliminare del modello concettuale del sito e del piano di investigazione iniziale.
“ Questa schematizzazione del sito è la base per la definizione degli obbiettivi di
bonifica, la formulazione del progetto, la valutazione del rischio e la selezione
delle eventuali misure di sicurezza permanente” (all.4 punto I.2, D.M. 471/99).
Con il piano di investigazione iniziale sono definite accuratamente l’estensione e le
caratteristiche dell’inquinamento, la localizzazione dei punti,…la profondità di
perforazioni e prelievi. “La lista delle sostanze da analizzare e la possibile
selezione di sostanze indicatrici dipende dalla completezza raggiunta nella
descrizione delle attività svolte sul sito”. La violazione dei criteri dell’allegato 4 del
D.M. 471/99, il ricorso a un criterio di campionamento solo statistico, benché
28
fossero disponibili informazioni storiche ed impiantistiche per orientare una
caratterizzazione adeguata, la mancata adozione della diligenza richiesta in tali
delicate operazioni, hanno prodotto “a catena” effetti negativi e dannosi nella
gestione della bonifica. In particolare non è stato preso in considerazione che: nelle
aree di carico del greggio erano frequenti cospicui sversamenti per troppo pieno; le
tubare interrate, soggette saltuariamente a rotture, hanno provocato saturazioni del
terreno circostante, stante la comprensibile intempestività degli interventi di
manutenzione; per cinquant’anni le decine di depositi insistenti nell’area sono stati
ciclicamente ripuliti dalle incrostazioni di piombo e dalle morchie con solventi.
Piombo, morchie e solventi erano quindi scaricati all’interno del sito. Ebbene,
queste gravi deficienze nella fase preliminare di elaborazione del progetto hanno
avuto come prima conseguenza la sottovalutazione delle quantità e dell’estensione
dell’inquinamento; come, peraltro, era intuibile i terreni maggiormente inquinati
sono quelli posti a valle del sito. La seconda conseguenza è l’erronea ed incompleta
precisazione degli inquinanti presenti nel terreno. Si è già detto in narrativa dei
gravi disagi provocati a molti cittadini dall’assunto che negava la rilevante presenza
di idrocarburi aromatici e della mancata, tempestiva adozione di adeguate
precauzioni in fase di movimentazione dei terreni. L’installazione del desorbitore
termico rinnova le preoccupazioni del ricorrente e degli altri comitati ambientalisti
non solo per le emissioni di monossido di carbonio, ossidi di zolfo e di azoto,
idrocarburi aromatici, metalli pesanti, ma anche a causa della formazione di
diossine e furani, in concentrazioni eccessive, nella fase di riscaldamento del
terreno all’interno dell’impianto. Foster Wheeler ha svolto n. 12 verifiche analitiche
su campioni prelevati nel terreno “che hanno confermato l’assenza” (screening,
29
pag.90) di composti organoalogenati, da cui si sviluppano diossine. Le esperienze
di trattamento di terreno inquinato da idrocarburi, condotti all’estero, -prosegue il
documento di screening- confermano concentrazioni di PCDD/PCDF inferiori ai
limiti previsti dalla normativa vigente. A seguito delle reiterate proteste dei comitati
ambientalisti, Foster Wheeler, nel febbraio 2005, consegnava un nuovo rapporto
analitico sulla (non) presenza di composti organoalogenati nel terreno. Le indagini
svolte da Foster Wheeler sono affatto inidonee ad escludere il pericolo paventato
per i seguenti motivi: a) Non è stata considerata la storia industriale della raffineria
e quindi possibili sversamenti di sostanze organoalogenate; b) Come in uso in tutte
le raffinerie negli anni passati sicuramente anche nella raffineria IP sono stati usati
PCB (policlorobifenili) come liquido dielettrico nei trasformatori elettrici; le
indagini avrebbero dovuto essere effettuate nei pressi delle aree che ospitavano i
trasformatori; c) analogamente si sarebbe dovuto campionare il terreno limitrofo al
punto in cui insisteva un catalizzatore organoclorurato che ha raffinato, per venti
anni, 800 ton. di benzina al giorno; d) si sarebbe dovuto inoltre accertare se in
passato erano stati usati PCB come olio termico in qualche scambiatore di calore. Si
deve inoltre evidenziare che i composti organoalogenati, se presenti, sono
rinvenibili superficialmente nel terreno, per cui i campioni devono essere prelevati
ad una profondità minima.
Dove sono state condotte le indagini che hanno “confermato” l’assenza di composti
organoalogenati? Evidentemente è impossibile certificare l’assenza di tali sostanze
in concentrazioni non dannose per l’uomo e l’ambiente; appare, quindi, chiaro che
la prevenzione sia il criterio cui attenersi rigorosamente:” Le autorità competenti
adottano…inizitive dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la
30
riduzione dei rifiuti mediante:…d) lo sviluppo di tecniche appropriate per
l’eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti destinati ad essere
recuperati o smaltiti” (art.3, comma 1°, lett.d, del Decreto Ronchi).
@@@
Gli odierni esponenti ritengono altresì molto importante, ai fini del presente atto, la
segnalazione del vizio qui di seguito descritto e rubricato nel ricorso al Tar. In
buona sostanza, si lamenta che l’utilizzo errato dei parametri per l’individuazione
delle quantità di terreno inquinato, nonché l’omessa indicazione dei valori del
cosiddetto “fondo naturale” riducono grandemente l’efficacia della bonifica. Se a
ciò si aggiunge che, in base alle nuove, approssimative, stime il terreno inquinato è
pari a circa 900.000 ton., che la potenzialità massima delle ruspe è di movimentare
terreno per 1000 ton. al dì (provocando peraltro danni molto gravi ai residenti), che
l’area non solo deve essere scavata ma, poi, nuovamente riempita e che nel
frattempo il terreno deve essere trattato, appare utopico poter terminare la bonifica
per il 2008, come dichiarato dalla P.A. in varie occasioni.
d) Violazione dell’art.32 Cost., dell’art.2 del D.L.vo 22/97 in relazione alla
violazione e falsa applicazione dell’art. 17 comma 6° del D.L.vo 22/1997 e degli
artt. 5 e 10, dell’allegato 4 –II (Progetto preliminare, Analisi del rischio
specifica), della tabella 1 del D.M. 471/99 . Eccesso di potere per difetto di
istruttoria, per contraddittorietà manifesta. Sviamento.
L’art.5 del D.M. 471/99, rubricato “Bonifica con misure di sicurezza e ripristino
ambientale” prevede:”Qualora il progetto preliminare di cui all’art.10 dimostri che
i valori di concentrazione limite accettabili di cui all’art.3, comma 1, non possono
essere raggiunti nonostante l’applicazione, secondo i principi della normativa
31
comunitaria, delle migliori tecnologie a costi sopportabili, il Comune….può
autorizzare interventi di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza,
che garantiscano, comunque, la tutela ambientale e sanitaria anche se i valori di
concentrazione residui previsti nel sito risultino superiori a quelli stabiliti
nell’allegato 1. Tali valori di concentrazione residui sono determinati in base ad
una metodologia di analisi del rischio riconosciuta a livello internazionale che
assicuri il soddisfacimento dei requisiti indicati nell’allegato 4.
Il provvedimento che approva il progetto deve stabilire le misure di sicurezza e i
piani di monitoraggio e controllo necessari ad impedire danni derivanti
dall’inquinamento residuo e può fissare limitazioni temporanee o permanenti o
particolari modalità per l’utilizzo dell’area…
Le misure di sicurezza e le limitazioni temporanee o permanenti o le particolari
modalità previste per l’utilizzo dell’area devono risultare dal certificato di
destinazione urbanistica…e dalle norme tecniche di attuazione dello strumento
urbanistico generale del Comune..”.
L’art.10, comma 7° precisa le condizioni per gli interventi di cui al citato art.5.
Come spiegato al punto precedente, il Piano della caratterizzazione, benché
integrato in momenti successivi, è stato elaborato con metodologia approssimativa.
Tale errore iniziale e la fretta di terminare la bonifica hanno, inevitabilmente,
inficiato la precisione e l’attendibilità delle successive fasi progettuali. Difatti,
l’impossibilità di definire nel dettaglio il tipo, l’estensione ed il grado
dell’inquinamento (all.4, II.1) ha portato ad un’elaborazione frettolosa del Progetto
di variante, che è privo dell’esatta definizione e descrizione di tutti gli elementi
richiesti dall’allegato 4, II.
32
Scopo del lavoro, si legge nel progetto del maggio 2004 “è fornire gli elementi
progettuali integrativi al progetto stesso relativamente a: - L’aggiornamento della
caratterizzazione ambientale dell’area effettuata, sulla base dei dati acquisiti in
Febbraio 2004; - Acquisizione di informazioni sullo stato di qualità delle matrici
ambientali dell’Area Demaniale (Sub distretto 2); - L’aggiornamento del modello
concettuale del sito, con aggiornamento delle quantità di terreno da sottoporre a
trattamento e/o smaltimento; - Una revisione ed integrazione delle tecnologie di
trattamento, recupero e smaltimento del terreno contaminato utilizzate; - Il
programma temporale aggiornato di realizzazione degli interventi previsti, che
include le fasi di accelerazione degli scavi nell’ambito del Sub distretto 3 e
dell’area di pertinenza della Variante alla SS1 Aurelia; - La stima aggiornata dei
costi previsti per gli interventi (pag.11-12). Il documento si presenta come una
sintesi incompleta della fase di caratterizzazione e di quella di redazione del
progetto preliminare, come descritti dall’allegato 4, II. La revisione del progetto
precedente è così radicale che il documento di variante avrebbe dovuto definire,
accuratamente, tutti gli elementi che costituiscono il progetto preliminare secondo
la normativa tecnica menzionata: Analisi dei livelli di inquinamento, Eventuali
investigazioni di dettaglio, Analisi delle tecnologie adottabili, Analisi di rischio
specifica, Descrizione delle tecnologie da adottare , Verifica dell’ efficacia degli
interventi proposti, Compatibilita’ ambientale interventi.
La violazione, ora esaminata, riguarda l’omessa redazione dell’Analisi di rischio
specifica di cui all’allegato 4, II.4), che, nell’ultimo comma puntualizza il fine di
questa sezione:”..la stima dettagliata del rischio posto alla salute pubblica e
33
all’ambiente dalle concentrazioni residue in suolo e sottosuolo proposte per gli
interventi di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza…”.
Nel provvedimento di approvazione del progetto di bonifica 14/8/2002, n.84 si
determina che:”Dovranno essere mantenute in esercizio trincee e pozzi durante
tutta la bonifica e comunque fino a quando necessario”.
Il paragrafo 7.9 del Progetto di variante, (doc. pag. 124 e ss,)“ descrive l'intervento
di messa in sicurezza e bonifica delle acque sotterranee, così come previsto dal
Progetto Definitivo di Bonifica approvato e in accordo alle modifiche apportate”.
Le caratteristiche costruttive delle quattro trincee drenanti saranno analoghe a
quelle previste nel Progetto Definivo di Bonifica approvato e la cui lunghezza varia
da m. 52 a 377 e la profondità da 5 a 6 m. Saranno realizzati, altresì, 6 pozzi di
emungimento di acqua di falda laddove l'abbattimento della superficie freatica non
può essere raggiunto con la sola trincea drenante.
Lo stato qualitativo delle acque sotteranee, come rilevato dai piezometri, è
preoccupante (screening, pag.56) e l’inquinamento dei suoli raggiunge i 10-12
metri.
A pagina 21 del progetto di variante leggiamo: “Come definito nel progetto
preliminare di bonifica- il riferimento è probabilmente al progetto preliminare
approvato il 4/8/2000-, il presente progetto ha come obiettivo il conseguimento
dei limiti previsti dalla normativa nazionale, costituita dall'Art. 17 del D. Lgs.
n°22 del 5 febbraio 1997 (Decreto Ronchi) e dal relativo Regolamento Attuativo
DM n° 471 del 25 ottobre 1999. - 3.1 Suoli- Tale Decreto definisce (Art. 4,
comma 1), in relazione alla specifica destinazione d’uso del sito, due livelli di
bonifica, cui corrispondono diversi limiti tabellari per le concentrazioni
34
ammissibili degli inquinanti organici ed inorganici nel terreno, superati i quali si
deve procedere ad un intervento di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale. Per ogni sostanza, tuttavia, i valori da raggiungere con gli interventi
di bonifica e ripristino ambientale sono riferiti ai valori del fondo naturale (Art. 4,
comma 2), nei casi in cui sia dimostrato che nell’intorno non influenzato dalla
contaminazione del sito i valori di concentrazione del fondo naturale per la stessa
sostanza risultano superiori a quelli indicati nell’Allegato 3. Per il sito in esame, i
limiti di riferimento saranno quelli relativi ad un uso industriale e terziario del
terreno per il Sub distretto 3 e quelli relativi ad un utilizzo residenziale e a verde
per gli altri Sub distretti 2, 4, 5 e 9 . Si ritiene, in via preliminare, che i valori del
fondo naturale di alcuni parametri (quali ad esempio piombo e rame) possano
presentare valori superiori ai limiti tabellari previsti per un utilizzo residenziale
dei suoli. Tale ipotesi dovrà essere confermata attraverso approfondimenti
analitici, applicando le procedure previste dall’Allegato 2 del citato decreto.
Qualora gli obiettivi di bonifica non possano essere raggiunti nonostante
l’applicazione, secondo i principi della normativa comunitaria europea, delle
migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, l’autorità competente può
autorizzare progetti di “bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale”
che garantiscano, comunque, la tutela ambientale e sanitaria. In questo caso, i
valori di concentrazione residua ammissibili (obiettivi di bonifica) saranno
determinati in base ad una metodologia di analisi di rischio riconosciuta a livello
internazionale”. La descrizione, sopra riportata, degli obbiettivi del progetto di
variante contiene asserzioni superflue, aleatorie, del tutto prive di riscontri concreti
ed analisi approfondite che costituiscono il fondamento della redazione del
35
progetto preliminare. Infatti è il progetto preliminare che deve dimostrare la
raggiungibilità o la non raggiungibilità, con le migliori tecnologie di bonifica
disponibili, dei valori di concentrazione limite accettabili per l’uso specifico del
sito; è il progetto preliminare che, nel caso di bonifica con misure di sicurezza, deve
proporre i valori di concentrazioni residui per ogni sostanza al termine degli
interventi, valori che devono essere sottoposti a valutazione mediante analisi del
rischio e tali, comunque, da non costituire pericolo per la salute pubblica e le
diverse matrici ambientali, considerate tutte le possibilità di esposizioni attive per il
sito in esame.
Dunque, il progetto di variante ha come obiettivo il conseguimento dei limiti
previsti dalla normativa nazionale “Come definito nel progetto preliminare di
bonifica”; il progetto preliminare di bonifica del 2000 è basato sulla
“Caratterizzazione Boeri” che i fatti hanno confermato essere un documento
completamente inidoneo ad esaurire la prima fase della progettazione della bonifica
e tale da dover essere integrata, come esplicitato negli scopi, sopra citati, del
documento di variante!
L’affermazione:”Si ritiene, in via preliminare, che i valori del fondo naturale di
alcuni parametri (quali ad esempio piombo e rame) possano presentare valori
superiori ai limiti tabellari previsti per un utilizzo residenziale dei suoli” è
formulata, vanamente, per gli effetti di cui all’art.4, comma 2°, del D.M. che
recita:”Per ogni sostanza i valori di concentrazione da raggiungere sono tuttavia
riferiti ai valori del fondo naturale nei casi in cui, applicando le procedure di cui
all’allegato 2, sia dimostrato che all’intorno non influenzato dalla contaminazione
del sito i valori di concentrazione del fondo naturale per la stessa sostanza
36
risultano superiori a quelli indicati nell’allegato 3”;\ allegato che richiama i limiti
tabellari dell’allegato 1. Non si dubita che l’Ecc.mo Tribunale apprezzi la
profonda illiceità, pari alla totale mancanza di buon senso, di questa asserzione
che ha alimentato le preoccupazioni per la gestione della bonifica. Il timore del
comitato ricorrente, peraltro diffusamente condiviso, è che, stante le altissime
concentrazioni di piombo, presenti nel sito e causate sia dalla raffinazione del
petrolio, sia dalla pulizia dei serbatoi che dagli sversamenti, la bonifica in corso
produca risultati modestissimi, in aggiunta ai danni ambientali già cagionati ed
a quelli che saranno causati dalle nuove tecnologie.
- Ad oggi, estate 2006, non sono stati resi noti i valori del fondo naturale-
Da pagina 30 a 34 del progetto di variante sono riepilogati i risultati delle analisi dei
campioni di suolo. Per i sub distretti 2, 9 (destinazione d’uso verde e residenziale) e
per il sub distretto 3 (destinaz. Commerciale) non compare il dato relativo al
piombo, pare che il metallo sia addirittura inferiori ai valori del fondo naturale, il
quale, in forza dell’assunto del proponente, dovrebbe invece presentare valori di
concentrazione superiori al limite accettabile per l’uso residenziale, di cui alleg.1,
Tabella 1 del D.M.471/99 . Per converso, nel sub distretto 4 e 5 (verde e
residenziale) le concentrazioni di piombo sono decisamente elevate. Ciò è
paradossale e contraddittorio con i risultati dello screening, relativi allo stato delle
acque sotterranee e di cui a pag.56 del documento:”I risultati analitici confermano
la presenza di uno stato di contaminazione derivante da idrocarburi di origine
petrolifera e metalli pesanti diffuso soprattutto nei Sub distretti 2,3,4..” e con
quanto considerato nella Conferenza dei servizi 15/2/2005, pag.3, ultima riga, e cioè
37
che nel sub distretto 3 sono più accentuati i fenomeni d’inquinamento e le “aree
calde”.
Non solo, il desorbitore termico e la rimozione con solventi utilizzano tecniche
adatte a volatilizzare e rimuovere solo composti inquinanti organici e non metalli
pesanti (pag. 9 e 32 del Progetto esecutivo, ) che dovrebbero essere trascinati via
dal lavaggio con acqua, soil washing. Secondo le previsioni progettuali, detta
tecnologia sarebbe applicata unicamente ai terreni da avviare al trattamento di
estrazione con solventi.
L’analisi del rischio per valutare le concentrazioni di inquinanti residui sarebbe
stata necessaria anche alla luce dei criteri adottati dal proponente per stimare la
quantità di terreno inquinato:
a) I limiti considerati per classificare un’area come contaminata dipendono dalla
destinazione d’uso prevista per quell’area. Ciò si concretizza nell’assunzione, per
il solo Sub distretto 3, dei limiti fissati dalla normativa per uso
Commerciale/industriale (colonna B, DM 471/99) e - per tutto il resto dell’area -
del limite per uso Residenziale/verde pubblico (colonna A, DM 471/99).
b) I parametri considerati nella valutazione della contaminazione dei terreni
sono: − Idrocarburi totali, intesi come somma di Idrocarburi C<12 e C>12. Le
concentrazioni rilevate sono state confrontate con il valore 1000 mg/kg per il Sub
distretto 3 e con il valore di 60 mg/kg per il resto dell’area. − BTEX − IPA −
Metalli pesanti. Anche in questo caso sono stati assunti i limiti presenti in
normativa in funzione delle diverse destinazioni d’uso previste per i vari sub
distretti. (pag.60-61 variante)
38
Sub b) si osserva: la tabella 1 del D.M. 471/99 per siti ad uso verde-residenziale
fissa le concentrazioni limite degli idrocarburi leggeri e pesanti rispettivamente a 10
e 50 mg/kg, per quelli ad uso commerciale a 250 e 750 mg/kg. Attenendosi al
criterio del proponente dovremmo, paradossalmente, considerare non inquinato un
terreno residenziale che, per esempio, ha una concentrazione di C<12 pari a 30
mg/kg ed una concentrazione di C>12 di 28 mg/kg, perché addizionando tali valori
non è raggiunta la concentrazione di 60 mg/kg. La somma di idrocarburi C<12 e
C>12 deroga a quanto previsto dalla normativa che, non a caso, differenzia le
concentrazioni limite accettabili per le due classi di idrocarburi.
Sub a) Il sub distretto 3, per quanto sopra detto, conterrà concentrazioni di
idrocarburi e di piombo, nella migliore delle ipotesi (manca il valore del fondo
naturale per il piombo), pari a 1000 mg/kg. Non solo il valore degli idrocarburi è,
come detto, erroneamente parametrato, ma neppure sono stati analizzati i rischi di
una migrazione degli inquinanti nei sub distretti adiacenti al n.3, che sono destinati
all’uso verde-residenziale. Ne discende, quasi certamente, l’impossibilità di
mantenere la concentrazione degli inquinanti entro i limiti dettati per la specifica
destinazione d’uso di tali sub distretti.
I risultati dell’analisi di rischio avrebbero comportato limitazioni temporanee o
permanenti all’utilizzo dell’area bonificata, ovvero particolari modalità per
l’utilizzo della stessa, creando “imbarazzo” con i beneficiari delle concessioni
edilizie. Per le dette ragioni si ritiene illegittimo il parere della Conferenza dei
Servizi 15/2/2005 che ritiene svincolabile parte del sub distretto 3, per l’area
definita sub 3/1. Tale illegittimità si riflette sulla certificazione di avvenuta bonifica
da parte della Provincia che attesti la conformità degli interventi di bonifica alla
39
destinazione d’uso prevista, utilizzando i parametri errati che sono stati adottati nel
progetto di variante per la valutazione della contaminazione dei terreni.
@@@
e) Violazione dell’art.32 Cost., dell’art.2 del D.L.vo 22/97 in relazione alla
violazione e falsa applicazione dell’art.5 del D.L.vo 22/97, dell’art.4, comma 4°,
dell’allegato 3 (Criteri generali per gli interventi di messa in sicurezza, bonifica
e ripristino ambientale, per le misure di sicurezza e messa in sicurezza
permanente), dell’allegato 4 (Progetto preliminare II.3- Analisi delle possibili
tecnologie adottabili) del D.M. 471/99. Eccesso di potere per difetto di
istruttoria, per travisamento dei fatti, per mancanza dei presupposti.
Irrazionalità manifesta della motivazione.
Il cardine, su cui s’incentra la normativa introdotta dal decreto Ronchi in attuazione
delle direttive comunitarie, è il concetto di “gestione dei rifiuti”. Il precipuo
obbiettivo della disciplina è regolamentare lo smaltimento ed il recupero degli
stessi, privilegiando, nei limiti del possibile, il recupero.
Nel contempo la normativa sulla “gestione dei rifiuti”, che comprende tutte le
attività dalla raccolta al recupero/smaltimento, fissa, come suggerisce il termine
“gestione”, il principio della necessità di mantenere il controllo sulle sostanze
inquinanti, minimizzandone gli effetti dannosi, dall’inizio alla fine delle operazioni
di gestione. Poiché le leggi della fisica escludono che si possa eliminare una
sostanza, ma solo trasformarla o cambiarle stato, l’intento del legislatore è quello
d’imporre procedimenti che, avvalendosi delle migliori tecnologie disponibili,
mutino le sostanze tossico-nocive in composti bio-compatibili, ovvero riducano la
dannosità e la quantità degli inquinanti grazie al cambiamento dello stato in cui si
40
presentano originariamente; coerentemente, la gestione dei rifiuti prosegue
nell’immobilizzazione dei residui del trattamento, che si presumono estremamente
ridotti. La dispersione nell’ambiente degli inquinanti residui, solidi, liquidi, gassosi
che siano, è un criterio estremo, residuale, quando non è possibile “catturare”,
circoscrivere, i resti inquinanti al termine delle operazioni di smaltimento.
La finalità della legge vuole assicurare che le attività di recupero o smaltimento
siano condotte senza pericolo per la salute dell’uomo e senza pregiudizio per
l’ambiente (art.2 D.L.vo 22/97). Se infatti il comma 2° dell’art. 5 del D.L.vo 22/97
richiede che“ i rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più
possibile ridotti potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, riciclaggio e di
recupero”, il comma 3° del medesimo articolo fissa le condizioni in cui deve
realizzarsi l’ipotesi subordinata dello smaltimento “a perdere” nell’ambiente: “Lo
smaltimento è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti
di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione,
che non comportino costi eccessivi, al fine di b) permettere lo smaltimento dei
rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, al fine di ridurre i movimenti dei
rifiuti stessi; c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto
grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica”. Secondo quanto
previsto dall’allegato 3, lettera d del D.M. 471/99, il trattamento dei rifiuti presso
impianti esterni (off site) può, inoltre, essere complementare al recupero e riutilizzo
del suolo nel sito stesso o in luoghi che presentino caratteristiche ambientali
adeguate. Appare, dunque, chiarito il principio fissato dall’art.4, comma 4° del
D.M. 471/99, che indirizza la scelta delle diverse tecnologie:”Gli interventi di
bonifica e ripristino ambientale di un sito inquinato devono privilegiare il ricorso a
41
tecniche che favoriscano la riduzione della movimentazione, il trattamento nel sito
ed il riutilizzo del suolo, del sottosuolo e dei materiali di riporto sottoposti a
bonifica”. Nella sezione “Bonifica e ripristino ambientale; messa in sicurezza
permanente” dell’allegato 3 del citato decreto ministeriale, si precisa che gli
interventi in situ sono effettuati senza movimentazione o rimozione del suolo
inquinato e pertanto di minimo impatto ambientale; gli interventi on site
presuppongono movimentazione del terreno, finalizzata al trattamento ed al
recupero del suolo bonificato nel sito stesso; i trattamenti off site, come sopra
accennato, implicano movimentazione dei suoli, trasporto ed eventuale recupero.
Nel documento “Tecnologie Innovative e procedure operative per la bonifica di
suoli contaminati” (prodotto al Tar) sono esaminate molte tecniche di bonifica dei
suoli tali da consentire, con la possibilità di ricorso congiunto a diversi trattamenti,
la realizzazione del risanamento ambientale del sito inquinato in modo
assolutamente conforme alla legge.
Le tecniche, adottate per le operazioni di bonifica già effettuate, sono state
applicate malamente e le scelte di quelle previste dal progetto di variante di bonifica
dell’area ex IP, sono illogiche ed irrazionali. Come accennato in narrativa, la
movimentazione del terreno ed il Landfarming (on site) non sono stati preceduti da
trattamenti del terreno atti ad abbattere le concentrazioni di idrocarburi volatili e
non (quali per es. Soil Vapor Exctraction –in situ-, Air Sparging –in situ- ,
Bioventing –in situ-, Biosparing –in situ- ). Illuminanti sono le considerazioni
svolte a pag. 21 (documento che illustra le tecniche di bonifica dei suoli, prodotto al
Tar):”L'inquinamento dei suoli rappresenta uno dei problemi principali che
contribuiscono al degrado ambientale. Gli interventi di risanamento ambientale
42
che si eseguono al giorno d'oggi vengono attuati attraverso molteplici tecnologie.
La più diffusa rimane ancora il conferimento in discarica che, allo stesso modo
dell'incenerimento, è non solo un approccio molto costoso ma comporta anche un
ingente impatto ambientale. Più interessanti sono invece le tecnologie di
risanamento, distinte in fisiche, chimiche e biologiche, le quali prevedono la
rimozione dell'agente inquinante con la conseguente riutilizzazione del suolo. E'
importante la distinzione fra le tecniche di intervento ex situ, in cui il suolo viene
scavato e portato ad un impianto di trattamento, e tecniche on site, in cui
s’interviene direttamente sul posto di origine. Sono particolarmente interessanti
le tecnologie di tipo biologico soprattutto per quel che concerne la modalità in situ
poiché permette di eliminare la sostanza inquinante a costi contenuti. La rimozione
del contaminante tramite una tecnologia di tipo biologico può essere effettuata sia
utilizzando piante (phytoremediation) sia utilizzando microrganismi tra cui funghi e
in prevalenza batteri, autoctoni o alloctoni (bioremediation)”.
Anche l’Avv.Toscano, per Grifil, nelle note allegate al verbale della Conferenza dei
Servizi 15/2/2005, lamenta l’omesso utilizzo di acceleratori dei processi enzimatici
durante il landfarming, nonché, aggiungiamo di ossigeno (biosparing) che
avrebbero accorciato i tempi di esecuzione del ciclo. Evidenzia, sempre
l’avv.Toscano, “che fino ad ora l’attività di bonifica è progredita utilizzando in
modo esclusivo le capacità recettizie delle piazzole di stoccaggio per terreni
inquinati, che sono tuttavia esaurite da tempo. Il materiale accumulato non è stato
portato in discarica come previsto nel progetto originario..”. Inutile è insistere, in
questa sede, sui danni già provocati ai residenti delle zone limitrofe da tale
43
omissione, dai ritardi nel predisporre idonea bagnatura in fase di raccolta e
movimentazione e nel sistemare idonea copertura dei terreni stoccati.
L’impugnazione dei provvedimenti contrastati è tesa ad “evitare ogni rischio
aggiuntivo a quello esistente di inquinamento dell’aria, delle acque sotterranee e
superficiali, del suolo e sottosuolo, nonché ogni inconveniente derivante da
rumori ed odori; evitare i rischi igienico sanitari per la popolazione durante lo
svolgimento degli interventi”(lettere n, o, sezione I, allegato 3 del D.M.471/99),
nella speranza che la bonifica sia proseguita e terminata a norma di legge.
La considerazione espressa nel merito degli aspetti tecnici dalla Conferenza dei
Servizi 15/2/2005, in sede deliberante, dovrebbe, teoricamente, motivare, “reggere”
la legittimità e la coerenza delle scelte della P.A.; invero, leggiamo le seguenti
lapidarie parole: “sussiste l’indirizzo generale, derivante da norme comunitarie,
secondo il quale è prioritario il ricorso di tecniche in situ o comunque che
consentono il recupero del materiale, rispetto alla smaltimento in
discarica”(pag.3). Sennonché, tecniche in situ non sono ancora state adottate, come
lamentato dall’Avv. Toscani, o progettate, e tra quelle che consentono il recupero
del materiale, rientra anche il trattamento off site. Non si vuole, comunque,
significare che le soluzioni tecniche del progetto di bonifica 2002, landfarming ed
asporto in discarica, siano una panacea per l’area ex IP, ma che le tecnologie
introdotte dalla variante sono molto pericolose per l’uomo e l’ambiente, soprattutto
il desorbimento termico. Le due tecniche “integrative”, on site, desorbimento
termico e soilwashing, comportano un’imponente movimentazione di terreno
inquinato (carichi, trasporti, vagliature) in prossimità di non poche abitazioni e
molto vicino al centro città, non solo, il desorbimento termico peggiora, anche
44
nell’ipotesi di perfetto funzionamento dell’impianto, la qualità sia dell’aria che del
suolo, per ricaduta. Il progetto di variante è, con tutta evidenza, assolutamente
confliggente con il criterio informatore della normativa sulla gestione dei rifiuti che
vuole assicurare, prioritariamente, la tutela della salute e dell’ambiente.
Al paragrafo 8 (pag. 74 e seguenti) dello screening sono esaminati le componenti ed
i fattori ambientali interessati dal progetto. Di essi, in parte si è già detto ai punti b,
c e si dirà al successivo punto f; tuttavia, si precisa altresì che nell’identificazione
dei punti di attenzione si è trascurato di approfondire: il punto A.3 –componente
aria- e ciò in considerazione del fatto che La Spezia è sita in una conca, abbracciata
dall’Appennino che impedisce la dispersione degli inquinanti aereformi e delle
polveri. La città è un fiordo del Mediterraneo. Durante il giorno, il vento di mare da
ovest, sud ovest spinge gli inquinanti verso est, nord est; di notte, la brezza di terra
fa compiere loro il tragitto inverso; i punti: C2, C4, C7, C9, C10, C12 –componente
acque superficiali-; E7 –componente suolo-; da G1 a G3 –componente vegetazione
flora- poiché la zona collinare. recettore del lato nord, nord-ovest delle emissioni
del camino, presenta una vegetazione, di macchia e di bosco, tipica della collina e
dell’Appennino Ligure; H1 e H4 –componente fauna- per la ragione precedente.
Individuati i punti di attenzione, lo screening passa alla valutazione degli impatti
attesi (pag.108), di cui si contesta, in toto, l’attendibilità. In sintesi, il documento
considera poco significativo, in assenza di criticità, benchè relativo ad elementi
vulnerabili, l’impatto ambientale del desorbimento termico su vegetazione,
coltivazioni, scuole, nuclei residenziali, e sull’ospedale civico, i cui edifici a monte
distano circa 200 m, in linea d’aria, dal sito che ospiterà i nuovi impianti; le
emissioni del camino conterranno anche diossine, sebbene non sia possibile
45
stabilirne la concentrazione per i motivi esposti sub 4, oltre che metalli pesanti,
monossido di carbonio ecc.. Si puntualizza che la temperatura di esercizio della
prima fase di trattamento dei terreni nel desorbitore è di 150-300°C, ideale per la
formazione di diossine; la fase successiva di trattamento di post-combustione
raggiunge una temperatura di 800-850° C (screening, pag.21), insufficiente per
l’eliminazione di diossine e furani per il cui effettivo smaltimento si richiedono
temperature superiori: 1100-1200°C.. A fronte del rischio ineliminabile di tale
grave pericolo per la salute, il principio, cui attenersi nel modo più rigoroso, è
quello della prevenzione.
Al danno ambientale provocato dalle emissioni del camino, la cui concreta
pericolosità potrà essere quantificata solo successivamente al funzionamento del
desorbitore, si aggiunge l’inidoneità di detto impianto a bonificare terreni inquinati
da metalli pesanti (pag. 9 e 32 del Progetto esecutivo) e l’elevato costo del suo
utilizzo.
E’ mancata, completamente, la dettagliata analisi comparativa delle diverse
tecnologie di bonifica applicabili al sito, in considerazione delle specifiche
caratteristiche dell’area.
“L’analisi delle tecnologie deve essere basata su una esaustiva rassegna delle
soluzioni adottate in casi simili sia a livello nazionale che internazionale per
definire in che modo possano essere rispettati i criteri stabiliti nell’allegato 3.
Questa sezione, non si configura come una rassegna della letteratura nazionale ed
internazionale, ma deve permettere di stabilire l’efficacia delle diverse tecnologie
applicate nelle condizioni specifiche del sito, in particolare termini di
46
caratteristiche ambientali, geologiche, idrogeologiche, urbanistiche e
territtoriali”( allegato 4, sezione II.3)
Ne consegue la violazione di tutte le norme rubricate.
f) Violazione dell’art.32 Cost., dell’art.2 del D.L.vo 22/97 in relazione alla
violazione e falsa applicazione dell’art.28 comma 1° del D.L.vo 22/1997,
dell’allegato 3 lettera m, dell’allegato 4 II.3, penultimo comma del D.M. 471/99,
dell’allegato 1 del D.M. 124/2000. Eccesso di potere per difetto di istruttoria,
dei presupposti. Sviamento.
In forza dell’art.28 del D.L.vo 22/97, l’esercizio delle operazioni di smaltimento e
di recupero dei rifiuti è autorizzato dalla regione competente per territorio…
L’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire
l’attuazione dei principi di cui all’art.2, ed in particolare:
a) i tipi ed i quantitativi dei rifiuti da smaltire o da recuperare;
b) i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito,
alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti, ed
alla conformità dell’impianto al progetto approvato;
c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale;
d) il luogo di smaltimento;
I) Secondo le valutazioni contenute nel progetto di variante “circa 248.000 mc (in
banco) di terreno eccedono i limiti normativi di riferimento. L’attività di
escavazione dei terreni contaminati permetterà di definire con maggiore precisione
il quantitativo dei terreni contaminati da sottoporre a trattamento; qualora
dovesse venire riscontrata una significativa variazione dei quantitativi di terreno
47
da trattare, si procederà in corso d’opera ad una ottimizzazione delle modalità di
conduzione degli interventi proposti in relazione alle nuove esigenze, in modo da
minimizzare un’eventuale variazione dei tempi di bonifica ad oggi
prevedibili”.(pag.68)
Nella relazione istruttoria del documento di screening, allegata alla delibera della
Giunta Regionale, il quantitativo totale è stimato in circa 496.000 tonnellate, nel
documento di screening la quantità totale, da avviare ai diversi trattamenti, è stimata
tra le 350.000 e le 590.000 ton. (pag.24); durante la Conferenza dei Servizi 7/7/04,
prosecuzione della Conferenza 29/6/04 si dava atto dell’autorizzazione all’ulteriore
stoccaggio di 60.000 mc ed era richiesto lo stoccaggio di altri 10.000 mc, approvato
con Determinazione Dirigenziale n.47 del 21/9/2004 (doc.29); durante la
Conferenza 7/7/04, Eni faceva, altresì, presente che “qualora venisse meno
l’esigenza di accelerazione di bonifica nel sub distretto 3, non c’è più l’esigenza
immediata di avere ulteriori 40.000 mc di stoccaggi di terreni inquinati”. La
scrivente non è a conoscenza se poi sia venuta meno l’esigenza di accelerazione di
bonifica nel sub distretto 3.
E’ lecito, altresì, domandarsi dove e come saranno smaltiti i rifiuti dei terreni
inquinati dell’area demaniale e della cui contaminazione si dà atto nella Conferenza
dei Servizi 15/2/2005 (pag.3).
In questa Conferenza era espresso un generico parere favorevole all’autorizzazione
di tutti gli impianti e operazioni di gestione dei rifiuti derivanti dalla bonifica,
effettuate all’interno dell’area e trattamento dei rifiuti nella stessa prodotti, nonché
per le emissioni in atmosfera…
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Neppure il Comune, nella determinazione dirigenziale n.17 del 20/4/2005 che
approva la variante al progetto di bonifica, individua, pur nel difetto di
competenza, le condizioni necessarie all’autorizzazione degli impianti e delle
operazioni di smaltimento e recupero; sub 1) d, il documento ripete lo stesso
laconico ed illegittimo, tanto più in considerazione della pericolosità dei rifiuti
gestiti, assenso espresso nella Conferenza dei Servizi 15/2/2005.
Stravolgendo l’iter procedurale, il Comune, nel capo relativo alle prescrizioni
richiede –punto 2)
i. - “che venga prodotto un piano dettagliato, che definisca le tipologie ed i
quantitativi delle terre che s’intendono avviare ai vari trattamenti sulla base
delle concentrazioni rilevate del parametro idrocarburi C<12, nonché le
relative modalità gestionali;
ii. Dovranno essere previsti e messi in opera opportuni sistemi di contenimento
delle sostanze volatili provenienti dal terreno in trattamento;
iii. Dovrà essere effettuato il monitoraggio dell’area in prossimità dell’area di
trattamento;
iv. Dovranno essere fornite e messe in atto procedure che consentano in caso
di sviluppo di odori di intervenire in modo da eliminare il problema;
v. Dovrà essere fornita con anticipo al Comune l’informazione relativa agli
impianti di Soil washing, Enisolvex e Desorbimento termico che saranno
effettivamente utilizzati per la bonifica, allo scopo di consentire al Comune
verifiche sul loro stato di manutenzione ed efficienza, nonché dovrà essere
fornita informazione sull’idoneità tecnica dei soggetti preposti alla loro
gestione”.
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All’incertezza sul quantitativo di terreno effettivamente inquinato, come esposto
sopra ed al punto d del presente ricorso, si aggiunge, conseguentemente,
l’indeterminatezza delle quantità di terreno da sottoporre ai diversi trattamenti. Tale
illegittima genericità del provvedimento di approvazione del progetto di variante
consegue ai vizi rubricati nei punti 4, 5, 6, di cui sopra, ma è funzionale al rispetto
della tempistica di completamento della bonifica, consentendo un largo margine di
flessibilità nella gestione dei terreni contaminati:
“La bonifica dei suoli sarà pertanto strutturata mediante l'impiego combinato delle
diverse tecnologie, con selezione dei volumi da destinarsi all’una o all’altra, in
funzione delle potenzialità e dimensionamento dei singoli impianti on site”.
(pag.67 progetto variante, a pag. 22-23 screening, si fa riferimento, anche, alla
qualità dei suoli per individuare il trattamento ideale).
Nelle premesse dell’impugnata Determinazione Dirigenziale n.17 del 20/4/2005, si
legge che il Comune era ancora in attesa di conoscere da Eni, dietro richiesta
comunicata con nota n.13441 del 18/2/2005 e seguita da un primo riscontro in data
24/2/2005,“le modalità con cui la stessa intende aderire all’invito contenuto nel
verbale della conferenza di accedere con maggior incisività alla tecnologia di
asporto e smaltimento dei rifiuti maggiormente inquinati, per accelerare le
operazioni di bonifica”.
II) La violazione all’art.28 comma 1° del decreto Ronchi è reiterata dall’errata
individuazione dei requisiti tecnici delle attrezzature che saranno effettivamente
utilizzate.
Non è, infatti, acquisito al procedimento che le caratteristiche tecniche degli
impianti, descritte nei progetti e documenti prodotti da Eni e Foster Wheeler,
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completeranno, realmente, gli impianti che saranno installati nell’area. A questa
lacuna, annoverabile tra le carenze del progetto preliminare, si aggiunge la mancata
previsione di quanto prescritto dall’allegato 4, II, punto 3, penultimo comma, :”La
rassegna delle tecniche di bonifica/messa in sicurezza permanente adottabili nel
caso specifico deve essere corredata da una analisi dei costi degli interventi,
comprensiva dei costi delle misure di sicurezza e dei controlli da adottare durante
gli interventi di bonifica, che permetta di valutare la fattibilità economica dei
diversi interventi”.
Attenendosi allo spirito della legge, l’analisi dei costi ha ad oggetto non solo le
diverse tecnologie adottabili e di cui si è detto al punto precedente; al fine di
garantire l’aggiudicazione dei lavori ad imprese che assicurino le prestazioni
descritte in progetto, sarebbe stata necessaria una preliminare disamina dei costi
preventivati, a parità di specifiche tecniche, per la stessa tecnologia di trattamento
adottabile.
Per l’impianto di soilwashing + estrazione con solvente leggiamo a pag. 27 del
progetto esecutivo che l’impianto sarà realizzato e gestito dalla Società Ecotec di
Roma, che detiene con EniTecnologie il brevetto Enisolvex. Alla data di
approvazione del progetto di variante i lavori non erano stati ancora aggiudicati. Ciò
è comprensibile, a condizione che la successiva scelta dell’appaltatore cada
effettivamente su un’impresa che gestisce impianti rispondenti alle descrizioni di
progetto, evitando di privilegiare il criterio dell’economicità in fase di
aggiudicazione dei lavori.
L’esatta definizione delle prestazioni tecniche-operative è fondamentale non solo
per il pericolo di emissioni dannose dal camino del desorbitore ma anche in
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relazione all’enorme quantità di acqua utilizzata nel processo di soilwashing +
solvente (pag.11 e seguenti dello screening). L’acqua, adeguatamente “chiarificata”
e depurata dai fanghi, sì da “essere idonea alla vita dei pesci ciprinidi, tab.1/B,
D.L.vo 152/99”(pag. 72 dello screening) dovrebbe essere immessa nel già
contaminato torrente Cappelletto e, per ivi, nel sempre più plumbeo mare del Golfo
dei Poeti.
L’allegato 3 del D.M. 471/99 specifica che gli interventi di messa in sicurezza
d’emergenza, bonifica e ripristino ambientale, le misure di sicurezza e gli interventi
di messa in sicurezza permanente devono essere condotti secondo criteri generali ivi
indicati; alla lettera m) leggiamo:”sottoporre le tecnologie proposte a test di
laboratorio o a verifiche con impianti pilota che permettano di valutarne l’efficacia
nelle condizioni geologiche e ambientali del sito”.
Il test pilota non è stato eseguito per l’impianto di desorbimento termico, ma solo
previsto a pag.74 del progetto di variante. Le informazioni integrative presentate da
Foster Wheeler riguardano l’esperienza di utilizzo del desorbitore nell’area dell’ex
raffineria di Rho. Per le ragioni elencate tale documento integrativo è doppiamente
inconferente. Ulteriore motivo di doglianza è la mancanza dell’analisi dei rischi su
detto impianto, non essendo garanzia sufficiente il sistema di blocco in caso di
malfunzionamento; l’analisi dei rischi ha ad oggetto proprio il sistema di blocco ed
è calcolata in base al rateo di guasto dei componenti del sistema di controllo e di
arresto del sistema.
In difetto di un’analitica ed approfondita elaborazione progettuale, la bonifica
dell’area ex IP è, in buona sostanza, affidata alla versatilità operativa degli impianti
ed alla capacità d’improvvisazione del personale addetto. Siamo ben oltre i naturali
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limiti di “flessibilità della gestione” nelle operazioni di trattamento dei terreni
contaminati dell’Antoniana.
III) Quanto alla rubricata violazione delle prescrizioni contenute nell’allegato 1 del
DM 124/2000 –Regolamento recante i valori limite di emissione e le norme
tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti
d’incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi- richiamato dall’art. 28,
comma 1°, lettera f del decreto Ronchi, si evidenzia che la Determinazione
Dirigenziale n.17 del 20/4/05 prescrive sub 2 d) ii:”monitoraggio continuo dei
parametri progettualmente previsti (registrazione in continuo delle emissioni a
camino per i parametri: COT e CO ed analisi semestrale della concentrazione di
Benzene e NOx, pag.116 –Variante-)…e monitoraggio semestrale con rispetto dei
limiti del D.M. 124/2000 per i seguenti parametri: CO; Polveri totali; COT; ossidi
di zolfo e di azoto;metalli pesanti (Cd;Hg;Sb;As;Pb; Cr;Cu;Ni;); IPA e PCDD e
PCDF, questi ultimi due con frequenza annuale: Il previsto tavolo tecnico degli enti
di controllo potrà integrare e modificare questa prescrizione”. In forza del decreto
citato, al n. 2 dell’allegato 1, devono essere misurate e registrate in continuo
nell’effluente gassoso le concentrazioni delle sostanze inquinanti di cui alla lettera
A punti da 1 a 7; per la fattispecie in esame le sostanze sono: Monossido di
carbonio, Polveri totali, Sostanze organiche sotto forma di gas o vapori espresse
come carbonio organico totale, Ossidi di zolfo e di azoto; le concentrazioni di
PCDD e PCDF devono essere misurate almeno semestralmente. Inoltre, per i primi
12 mesi di funzionamento le misurazioni devono essere bimestrali.
Alla lettera F dell’allegato 1 è richiesto che l’evacuazione degli effluenti gassosi sia
effettuata in modo controllato attraverso una ciminiera di altezza adeguata e con
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velocità e contenuto entalpico tale da favorire una buona dispersione degli
inquinanti in maniera tale da salvaguardare la salute umana e l’ambiente. Il
camino del desorbitore termico è alto 6,50 m..
g) Violazione dell’art.2, comma 3° della legge n.447 del 26/10/1995 in relazione
alla violazione della Classificazione Acustica del Territorio Comunale ed alla
falsa applicazione dell’art.2 e 3 del DGR n.2510 del 18/12/1998
Nella valutazione revisionale di impatto acustico, allegato 14 dello screening,
(pag.3 ultime righe), si ritiene che”ai sensi dell’art.2, comma 1 del DGR n.2510 del
18/12/1998, queste attività possano essere considerate come temporanee di
cantiere” pertanto, si prosegue a pag.5, l’art.3, comma 2° del DGR citato prevede
possibilità di deroga ai limiti imposti dalla Classificazione Acustica del Territorio
Comunale. “In questo ambito, il suddetto articolo stabilisce che, limitatamente
all’intervallo orario compreso tra le ore 08:00 e le ore 19:00, il valore di
immissione in facciata agli edifici non deve superare i 70.0 dB (A). Questo assunto
è inaccettabile per le ragioni, esposte al punto 2, lett.b del suesteso ricorso, relative
alla definizione di temporaneità degli impianti, e che sono qui richiamate
interamente.
◊◊◊
Per il rilevante numero di norme violate e per la centralità delle stesse nell’impianto
normativo e strutturale previsto dal decreto 22/97 e dal decreto 471/99, risulta
palese quanto pervicacemente sia stata perseguita una finalità diversa da quella che
informa la disciplina legale. Si può correttamente affermare che l’azione
amministrativa, avente ad oggetto l’area ex I.P., abbia seguito un procedimento
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completamente inverso a quello richiesto dalla logica e dal diritto. Non è
concepibile, giuridicamente, rilasciare concessioni edilizie prima dell’inizio della
bonifica; tali illegittimi provvedimenti sono, oltremodo, sintomatici dello sviamento
dall’interesse pubblico e dalla causa del potere esercitato. Il progetto di variante è
stato elaborato affannosamente e confusamente, soprattutto, per consegnare le aree
a Grifil ed a Sviluppo Immobiliare; se il rapporto giuridico, instaurato tra il Comune
e le predette società, è in sé meritevole di tutela, si rappresenta forviante ed
illegittimo quando assume prevalenza nel confronto con l’interesse pubblico,
connesso alla realizzazione della bonifica. Dopo che l’area ex IP è rimasta
abbandonata a sé stessa per vent’anni, è stato deciso, di fretta e furia, di restituire
alla città una superficie così vasta, centrale ed inquinata. Gli obiettivi di “crescita
economica” della città e della “creazione di posti di lavoro” sono stati perseguiti
con logica da stato di emergenza, mentre la vera emergenza è la crisi ambientale,
purtroppo estesa “globalmente”.
Le concessioni edilizie, benché “condizionate nella loro efficacia alla verifica e
certificazione, da parte della Provincia, dell’avvenuta bonifica attestante anche la
compatibilità degli usi programmati e previsti dei suoli”, sono state rilasciate in
violazione e falsa applicazione dell’art.17 comma 6° e seguenti del D.L.vo 22/1997
e dell’art.5 e 10 del D.M. 471/99 per le ragioni esposte al punto d del presente
ricorso, nonché contravvenendo a quanto previsto dall’art.56 comma 1° della L.R.
21 giugno 1999 n.18 che recita:”Qualora sulla base del progetto di bonifica sia
possibile l’utilizzazione dell’area per lotti successivi e ricorrano particolari
condizioni di interesse pubblico, con riguardo allo sviluppo economico ed
occupazionale della zona interessata, il Comune può, previa certificazione di
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avvenuta bonifica dei singoli lotti da parte della Provincia, e in assenza di
interazione tra gli stessi rilasciare la concessione edilizia ed il certificato di
agibilità e di abitabilità relativo alle opere nei singoli lotti, fermo restando lo
svincolo delle garanzie di cui all’art.17, comma 4 del D.L.vo 22/97, ad avvenuto
completamento dell’intero progetto di bonifica”.
A poco rilevano le premesse contenute nelle concessioni rilasciate, e cioè che il
Piano d’Area e la Convenzione Urbanistica, stipulata tra il Comune della Spezia e
Grifil, prevedano che in ogni sub distretto l’inizio dei lavori relativo alle
concessioni per la realizzazione delle opere edificatorie e di urbanizzazione sia
subordinato alla certificazione della compatibilità dei suoli agli usi programmati. E’
il rilascio della concessione edilizia, infatti, ad essere subordinato alla
certificazione, non l’inizio dei lavori. Del tutto inconferente è la ragione che
sorregge la richiesta di Grifil, accolta dal Comune, a che fossero rilasciate
concessioni edilizie condizionate per “la regolare prosecuzione del finanziamento
in funzione sia delle preventive opere di bonifica e sia delle successive realizzazioni
dei complessi edilizi”.
◊◊◊
Si considera, infine, che l’evento dedotto in condizione, cui è subordinata l’efficacia
delle concessioni edilizie, non solo è futuro ed incerto ma anche impossibile ovvero
illecito. Detta valutazione è compiuta con riferimento alle prevedibili conseguenze,
causate dalla contestata gestione della bonifica, sulla qualità dei terreni. Potrebbe,
pertanto, configurarsi la nullità delle concessioni stesse.
◊◊◊
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Tutto quanto sopra premesso, gli odierni esponenti rivolgono alla S.V. Ill.ma
rispettosa istanza acché, esaminati i fatti suesposti, voglia valutare se ricorrano, nei
comportamenti descritti, ipotesi di reato e, in caso positivo, voglia assumere le
iniziative del caso.
La Spezia,
Bragliani Lamberta
Fialdini Gianfranco
Paola Maneschi
Pietrini Alessandra
Valentini Alberto
Storti Dino
Ferrari Paola
Ramponi Tiziana
Battistini Ivana
Pinza Mario
Pinza Michela
Scippa Carlo
Menotti Francesca
Valentini Sergio
Papavero Graziella
Locci Chiara
Da Massa Cristina
Locci Gabriella
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Locci Marco
Grondacci Marco
Francesca Beconcini