E.R.Martini - A.Torti - Fare lavoro di comunità (riassunto)
-
Upload
deborah-russo -
Category
Documents
-
view
485 -
download
1
description
Transcript of E.R.Martini - A.Torti - Fare lavoro di comunità (riassunto)
FARE LAVORO DI COMUNITA' : E. R. Martini, A. Torti
Introduzione.
Quando si parla di comunità ci riferiamo ad un modello ideale, alla rappresentazione di un mondo in cui ci
piacerebbe vivere, ma sicuramente, come dice Bauman, non è una realtà molto disponibile nel mondo in cui
viviamo, sempre più globalizzato, privatizzato e individualizzato, in cui sono scomparsi la maggior parte dei
solidi punti di riferimento di un ambiente stabile, sicuro e affidabile.
In Italia questa tendenza si è manifestata maggiormente nei grandi contesti metropolitani, piuttosto che nei
centri minori o rurali.
Di fronte allo sgretolamento dei rapporti sociali, all'individualismo, ai conflitti urbani, alla solitudine, ai
problemi che affliggono le società urbane,c'è bisogno di comunità: ne hanno bisogno gli uomini alla ricerca
di relazioni e partecipazione, ne hanno bisogno le istituzioni e i servizi.
Cosa si intende per comunità
Per comunità si intende un insieme di soggetti che condividono aspetti significativi della propria esistenza,
tra i quali si sviluppa appartenenza e interdipendenza e si instaura un legame affettivo e di fiducia.
Un significato particolare del termine comunità rimanda alla dimensione locale, intesa come dimensione
territoriale, come spazio privilegiato per la partecipazione sociale.
Infatti, di fronte ai processi di globalizzazione che contribuiscono ad alimentare il senso di impotenza degli
individui e ad accrescere alienazione e solitudine, la dimensione locale diviene fondamentale per ritrovare la
speranza di migliorare la qualità della vita dei singoli e della collettività e di accrescere le proprie
competenze e il proprio potere come risorse da spendere attivamente all’interno della società.
Il termine di comunità implica due concetti:
essere comunità: un insieme di persone sono una comunità per il fatto che condividono determinati aspetti
della propria vita, che le fa essere interdipendenti
sentirsi comunità: le persone che vivono una situazione di condivisione e di interdipendenza, si sentono
comunità, in quanto hanno sviluppato tra loro relazioni fiduciarie e legami sociali.
Il senso di comunità è l’insieme dei sentimenti, convinzioni e percezioni che mantengono il legame affettivo
e permettono alle persone di sentirsi parte di un tutto e di avere la convinzione di essere importanti gli uni
per gli altri.
Il lavoro di comunità è una pratica di lavoro sociale, che prevede l’impiego di modelli, metodologie e
tecniche particolari atte a sviluppare risorse ed energie da impiegare per le risoluzione dei problemi, a
organizzare la partecipazione e il coinvolgimento dei membri di una comunità, tenendo sempre conto, di un
sistema di valori che deve guidare nella valutazione e nella scelta dell’agire professionale.
Il lavoro di comunità si concretizza nelle seguenti attività:
- facilitazione di processi di responsabilizzazione collettiva e partecipazione degli attori;
- attivazione e sostegno a processi di collaborazione tra gli attori;
- sviluppo di relazioni che rafforzino la fiducia,il senso di appartenenza e il senso di comunità;
- sviluppo di competenze da parte dei membri della comunità.
Cap. 1: globalizzazione e comunità
Il termine globalizzazione descrive diversi processi in atto nell’attuale panorama mondiale, con una
diminuzione del controllo sulla nostra vita, un aumento delle difficoltà a responsabilizzarci nei confronti dei
problemi che ci troviamo ad affrontare e dei cambiamenti che vorremmo attuare.
Risulta, però, evidente, che la globalizzazione ha generato spinte a favore delle autonomie locali; per cui tra
la dimensione locale e la dimensione globale si intrecciano legami complessi ed hanno entrambe un loro
ruolo:
- la dimensione locale può permettere all’individuo di ritrovare la percezione, individuale e collettiva, di
poter influenzare le proprie condizioni di vita; la comunità assume il ruolo di spazio privilegiato in cui
diventa possibile dare forma alla partecipazione dei cittadini e assumersi responsabilità di fronte ai
cambiamenti desiderati.
- la dimensione globale può permettere all’individuo di sentirsi appartenente ad una comunità universale, di
sentirsi come abitante del pianeta e quindi in grado di condividere tutti insieme le stesse risorse del pianeta.
Tra i numerosi temi emergenti nella società odierna che interessano anche il lavoro di comunità troviamo la
povertà e l’esclusione sociale, la sicurezza urbana e l’immigrazione, spesso interconnessi e influenzati dai
processi di globalizzazione.
Esclusione sociale e povertà
La società moderna, caratterizzata dalla crisi del welfare, dalla precarietà dei rapporti di lavoro, dal rischio di
instabilità e mobilità sociale, ha aumentato i rischi di povertà ed esclusione.
Le persone povere non sono più solamente quelle relegate in situazioni di disagio,emarginate ed escluse
socialmente,ma anche quelle che si trovano in situazioni di vita normali: l’esclusione sociale è uno stato di
povertà nel quale l’individuo non può accedere alle condizioni di vita che gli permettono sia di soddisfare i
bisogni essenziali, sia di partecipare allo sviluppo della società nella quale vive.
“Escludere” significa allontanare dall’attenzione, dalla visibilità problemi altrimenti non gestibili. Questo
produce effetti pericolosi, in quanto, oltre a creare problemi di giustizia sociale e di rispetto dei diritto dei
cittadini, accresce la conflittualità e la tensione sociale, che incide negativamente sul senso di sicurezza e
sulla qualità della vita e della convivenza della comunità.
La lotta all’esclusione sociale deve essere condotta attraverso la partecipazione e l’organizzazione degli
esclusi, lo sviluppo della capacità degli individui, cioè il potenziamento delle loro libertà: ciò significa
progettare e attuare strategie di intervento orientate a sostenere, promuovere e sviluppare le capacità di
esercitare i propri diritti e a garantire un’uguaglianza di beni primari o di risorse fondamentali.
La sicurezza urbana
L’elevato senso di insicurezza vissuto dai cittadini della società moderna è causa di diminuzione dei legami
sociali e del senso di comunità: più le persone si sentono insicure nel loro ambiente di vita, più tendono a
isolarsi, a difendersi, a “barricarsi”; dato che il mondo non è più sicuro, ci si barrica nella propria fortezza,
convinti che solo lì si possa stare tranquilli; non conviene fidarsi nemmeno degli altri e di conseguenza
ciascuno si ritrova sempre più solo e non si creano legami e relazioni.
Per promuovere la sicurezza è necessario promuovere ambienti di vita più accoglienti, contesti capaci di
combattere l’esclusione sociale e di mediare i conflitti, favorendo e migliorando la qualità della convivenza e
del vivere urbano.
Ciò comporta considerare la sicurezza, oltre che come diritto fondamentale, come bene collettivo, che
richiede l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini e la loro partecipazione consapevole, capace di
aprire le persone al dialogo e al confronto e di rafforzare le relazioni sociali.
L’immigrazione
Stiamo diventando una società multietnica e questo si riflette anche nelle comunità locali, dove il tema delle
pluralità delle culture e dell’unità della comunità è di primaria importanza, sia negli aspetti negativi che in
quelli positivi.
Infatti le radici etniche dei gruppi migranti favoriscono la coesione interna ai diversi gruppi e, quindi, il
senso di comunità; possono, però, creare problemi di rapporti tra i gruppi e , quindi, di integrazione sociale.
La conoscenza e la comprensione delle differenze etniche, linguistiche, religiose presenti nella comunità
locale può facilitare lo sviluppo di un senso di comunità che includa tutti, favorendo la relazione tra i gruppi
e riducendo il bisogno di chiusure difensive.
La sfida per chi fa lavoro di comunità, oggi, è valorizzare le caratteristiche distintive dei gruppi etnici e
quindi le differenze, evitando l’isolamento e le separazioni e sostenendo la collaborazione e la cooperazione.
Chi fa lavoro di comunità dovrebbe riconoscere e capire che le persone appartengono a gruppi diversi, che i
gruppi etnici possono portare esperienze e modi diversi di guardare ai problemi e alle soluzioni, che la
cooperazione tra i diversi gruppi può offrire le basi per un’azione collettiva orientata al futuro.
Riferimenti normativi che sostengono il lavoro di comunità.
Il quadro legislativo odierno, sia a livello internazionale che nazionale o regionale, fa appello a richiami volti
alla promozione di percorsi partecipativi e collaborativi che vedono coinvolte le risorse delle comunità
nell’affrontare la complessità crescente dei problemi attuali.
Per quanto riguarda il livello nazionale del quadro normativo attuale importante è :
1) la Legge n°328/2000 ( legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali), che si basa su una concezione di protezione sociale attiva. I punti chiave delle legge:
- ottica promozionale: tra le finalità si propone la promozione di interventi per garantire la qualità della vita, i
diritti di cittadinanza, le pari opportunità, la non discriminazione, tutte finalità che sono presenti nei lavori di
comunità;
- il principio di sussidiarietà: stato, regioni,province e comuni devono favorire l’autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale;
- progettazione partecipata: la programmazione degli interventi e delle risorse del sistema è ispirata ai
principi della cooperazione tra i diversi livelli istituzionali;
- valutazione partecipata: le istituzioni devono garantire ai cittadini i diritti di partecipare al controllo della
qualità dei servizi; aumento della partecipazione e della responsabilizzazione della comunità, attraverso la
valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari e la promozione della solidarietà sociale.
2) Nuovo articolo 118 della costituzione, che riconosce, per la prima volta, ai cittadini il compito di
contribuire alla costruzione della “cosa pubblica”, attraverso l’utilizzo di poteri e responsabilità proprie e
dirette. Questo nuovo articolo modifica il tradizionale rapporto esistente tra amministrazione e cittadini, che
ruotava intorno alla contrapposizione tra soggetti attivi e soggetti passivi della potestà amministrativa: “ i
cittadini che autonomamente si attivano nell’interesse generale, vanno posti su un piano paritario con
l’amministrazione stessa”.
L’art. 118 introduce il principio della sussidiarietà circolare, in base a cui società e stato collaborano per
conseguire l’interesse generale, mentre ai cittadini è attribuito un potere sussidiario,un’opportunità di
collaborazione che permette di risolvere i problemi che riguardano la collettività.
Cap.2 : Concetti chiave del lavoro di comunità
La partecipazione rappresenta la strategia portante del lavoro di comunità ed è possibile solo se si assume il
“modello della competenza”, che mette in risalto le capacità, le risorse di cui dispone la comunità e che
possono essere impiegate per la soluzione dei problemi sociali e per la soddisfazione dei bisogni dei cittadini,
che sono protagonisti e attori dell’intervento che viene affrontato.
Riconoscere e valorizzare le competenze dei cittadini e della comunità nel suo insieme è condizione
fondamentale per la partecipazione.
Il concetto di partecipazione è legato al senso di responsabilità o senso di proprietà e, quindi, al radicamento:
fare qualcosa per cercare di risolvere il problema, cioè “partecipare”, significa sentire il problema come
proprio e, quindi, cercare strategie per la sua soluzione e per il bene comune.
Oggi, spesso, si sente dire, anche tra gli amministratori e gli operatori sociali, che la gente non partecipa, non
ha voglia di partecipare; ognuno preferisce stare chiuso in casa a pensare al “proprio orticello”, a “farsi gli
affari suoi”.
Di fronte a queste affermazioni, si evita di impegnarsi in processi di attivazione della partecipazione della
comunità: siccome la gente non partecipa, è inutile cercare di praticare la partecipazione, senza nemmeno
domandarsi quali sono le cause e quali percorsi attivare per favorire il senso di partecipazione e
responsabilità ai problemi della comunità.
La partecipazione, anziché un punto di partenza scontato, dovrebbe essere considerata un obiettivo da
raggiungere, nel quale è necessario investire risorse, tempo e competenze: ciascuno desidera vedere la
propria responsabilità riconosciuta e associata a quella collettiva; questo comporta che le persone,se messe
nelle condizioni favorevoli, desiderano partecipare, diventano più attive e capaci di prendere decisioni su
atteggiamenti e comportamenti che possono migliorare la qualità della vita della propria comunità.
La partecipazione richiama il tema del potere, inteso come possibilità di influenzare le condizioni della
propria vita: la percezione di avere potere o poterlo acquisire influisce sulla motivazione alla partecipazione.
Lo sviluppo della comunità: indica sia un processo di cambiamento sia i risultati di tale processo, che vuol
produrre un miglioramento della qualità della vita dei soggetti che vivono nella comunità e quindi accrescere
la capacità di quei soggetti di risolvere i loro problemi e soddisfare i propri bisogni.
La qualità della vita dei membri di una comunità dipende da due fattori:
- fattori che riguardano loro come soggetti
- fattori che riguardano le condizioni nelle quali vivono, cioè l’ambiente
Un progetto di sviluppo di comunità ha un duplice obiettivo: sviluppare il sentimento di comunità e sostenere
la comunità come soggetto. Ciò significa che il focus della strategia è posto sulla comunità, mentre
l’individuo rimane sullo sfondo.
Lo sviluppo di comunità può essere inteso come una particolare strategia di cambiamento. Si possono
raggruppare gli interventi tesi a migliorare la qualità della vita di una comunità in tre strategie di
cambiamento:
- strategie di cambiamento focalizzate sulle condizioni nelle quali vivono gli individui in una determinata
comunità, attraverso interventi ideati, progettati e realizzati da altri soggetti: provvedimenti legislativi, opere
di urbanizzazione, interventi economici, creazione di servizi;
- strategie di cambiamento focalizzate sui soggetti, attraverso attività di formazione ed educazione che
forniscono alle persone le abilità necessarie per vivere in determinate condizioni, per colmare la distanza tra
richieste ambientali e abilità delle persone.( es: interventi sugli immigrati per acquisire le abilità linguistiche
necessarie per vivere nel contesto che li ospita; corsi per genitori, azioni di sostegno per persone con
difficoltà, corsi di inserimento lavorativo….);
- strategie di cambiamento basate sullo sviluppo di comunità, che hanno come obiettivo di permettere ai
soggetti interessati di acquisire competenze e potere per cambiare le condizioni nelle quali vivono. Con il
processo di sviluppo di comunità si vuole accrescere il senso di responsabilità, potere, competenze e senso di
comunità affinché i soggetti definiti siano in grado di risolvere i problemi che hanno.
Affinché i soggetti possano cambiare le condizioni, cioè risolvere i problemi, occorre che si sentano
responsabili e quindi motivati ( senso di responsabilità sociale), abbiano un effettivo potere da spendere,
possiedano le competenze e si sentano comunità.
Lo sviluppo di comunità, quindi, avviene attraverso un processo di:
- coinvolgimento degli attori sociali: gli attori diventano attivi;
- partecipazione: gli attori acquisiscono un potere e decidono,
- connessione: gli attori si mettono in rete.
Nel lavoro di comunità è contenuta l’idea di essere umano, inteso come soggetto che desidera assumersi la
propria responsabilità e vederla unita a quella dei suoi simili per produrre cambiamenti. Questa idea
presuppone l’idea di individuo che non è “ripiegato su se stesso”, immerso nei propri interessi particolari, ma
un individuo artefice del proprio destino, che riconosce il legame con il sistema sociale in cui vive, aperto
alle relazioni interpersonali e sociali.
Oggi si parla di comunità non solo come luogo in cui è possibile costruire processi di comunicazione e
coesione, ma come orientamento di valore e guida all’azione, il valore della socialità tra gli uomini, l’idea
che ogni persona ha delle risorse da mettere in comune e può dare il proprio contributo attivo per sviluppare
relazioni sociali positive. Per evitare il rischio della chiusura, dell’isolamento è fondamentale che le relazioni
interne alla comunità non rispondano solo ad un bisogno personale e di autoaffermazione, ma occorre che
siano pervase da una motivazione etica, che orienti l’azione verso processi concreti di crescita umana e
sociale, di benessere personale e comunitario.
La comunità è considerata un soggetto che agisce per modificarsi e modificare le condizioni in cui è inserita;
è’ un soggetto che possiede un sapere e un saper fare, che possono essere usati per risolvere i problemi del
vivere quotidiano; è un soggetto che apprende, che può migliorare le proprie competenze, le proprie
conoscenze e il proprio bagaglio strumentale; è un soggetto di storia, in quanto ha un passato che ne
definisce l’identità e la cultura; ma anche un futuro, che agisce sulla sua vita; è un soggetto di poteri,
soggetto politico in quanto partecipa,attraverso le istituzioni, alle scelte che influiscono sulla sua vita.
Cap. 3 I processi principali del lavoro di comunità
I principali processi del lavoro di comunità sono:
1) partecipazione
2) collaborazione
3) leadership
1) nel lavoro di comunità la partecipazione è intesa come il processo attraverso il quale i cittadini possono
contribuire alle decisioni su questioni che riguardano la comunità e, di conseguenza, la loro vita. Partecipare
significa “ prendere parte”, “poter contare”, cioè poter esercitare un’influenza sui fattori che condizionano la
propria vita, collaborare con le istituzioni alla ricerca di soluzioni utili ai problemi della collettività. Vi sono
diverse modalità in cui si esprime la partecipazione:
- la modalità rivendicativa, che si mette in atto per rivendicare il rispetto di un proprio diritto o per impedire
azioni che potrebbero danneggiare i propri diritti. E’ in genere attivata dai leader della comunità e non
presuppone la responsabilità dei cittadini coinvolti nel processo partecipativo, si basa su una fondamentale
esigenza di difesa della propria identità, dei propri interessi, del proprio gruppo;
- l’organizzazione della domanda, che prevede che le istituzioni costruiscano uno spazio in cui i cittadini
possano riporre le loro esigenze, i loro desideri, i loro problemi: ha una valenza consultiva e mantiene la
separazione netta tra chi fa richieste e chi si attiva per fornire risposte;
- la modalità collaborativa/ negoziale, che prevede una condivisione di responsabilità tra cittadini e
istituzioni e significa anche impegno per costruire e concorrere alla ricerca e all’attuazione delle soluzioni ai
problemi.
La partecipazione produce effetti sugli individui, in quanto partecipare rinforza l’autostima e il senso di
competenza personale, diminuisce il senso di impotenza, molto forte nelle situazioni di esclusione sociale e
di solitudine, aumenta il senso di responsabilità e un maggior controllo:
- sulla propria vita: la maggiore consapevolezza dei problemi non elimina il disagio, ma favorisce la capacità
di gestirlo da protagonisti e non da vittime impotenti, che subiscono passivamente il corso degli eventi.
- sulle relazioni sociali e sul senso di comunità: per partecipare le persone devono uscire di casa, conoscersi,
incontrarsi, comunicare con gli altri, socializzare, pensare insieme le strategie per affrontare i problemi e
realizzare progetti con gli altri.
Questo permette di ampliare i punti di vista, di disporre di più energie, risorse da mettere in campo per
risolvere i problemi. di creare ponti e nuovi legami tra le reti sociali attorno alle persone e ai gruppi esistenti.
Attraverso la partecipazione si rinforza, quindi, il senso di comunità attraverso la ricerca di un obiettivo
comune.
Rischi della partecipazione:
- rischio per gli individui: se la partecipazione promuove e rinforza le relazioni sociali, significa che accentua
anche il controllo sociale, che finisce con il limitare la libertà individuale. Inoltre portare i fatti propri in
pubblico per coloro che tengono alla privacy può essere un motivo di rifiuto delle relazioni e della
partecipazione.
- rischio per le istituzioni: maggiore partecipazione significa maggiore complessità e più domande da
soddisfare: di conseguenza se da una parte la partecipazione permette di contare su soggetti sociali più
responsabili e capaci di trovare risposte ai problemi della collettività, dall’altra impone alle istituzioni di
diminuire la rigidità burocratica e istituzionale e trovare altre modalità di rapporto con i cittadini.
- rischio per tutti: esiste un rapporto stretto tra partecipazione e conflitto: la partecipazione può far aumentare
i conflitti, può inibire la voglia di partecipare, ma, nello stesso tempo, il conflitto può attivare la
partecipazione, in quanto il conflitto accende gli animi, permette di venire allo scoperto e di confrontarsi e,
quindi, anche la voglia di partecipare.
Promuovere la partecipazione
Per la grande sfiducia nei confronti delle istituzioni, oggi, si dice, che la gente non ha più voglia di
partecipare: preferisce la delega, la passività, il disimpegno.
La partecipazione dei cittadini non si attiva su problemi che stanno a cuore alle istituzione, ma su quelli che
stanno a cuore a loro: creare occasioni che permettano alle persone di parlarsi,in modo che scoprano di avere
problemi e interessi comuni è il primo passo per avviare un percorso partecipativo, la condizione per avviare
il processo partecipativo.
I fattori di motivazione alla partecipazione possono essere:
- i problemi devono essere specifici e soprattutto sentiti da parte di coloro che devono partecipare;
- essere insieme ad altri che hanno e che sentono lo stesso problema;
- avere la percezione delle proprie capacità: per partecipare occorre sentirsi capaci;
- avere un reale potere da spendere, cioè poter influire realmente sui processi di cambiamento, avere la
possibilità di influire direttamente sulle scelte che riguardano la vita della collettività.
La presenza di gruppi organizzati è fondamentale per il processo di partecipazione: i gruppi, organizzati
intorno a diversi interessi, svolgono un’importante funzione di mediazione tra l’individuo e il sistema sociale
al quale appartiene. Sono gli attori principali del processo di partecipazione.
Questi gruppi prendono nomi diversi: comitato, associazione o semplicemente gruppo e tra loro si possono
creare delle intese, che prendono la forma delle rete o della coalizione.
Uno strumento oggi in uso è il forum, inteso come luogo in cui diversi soggetti interessati alla vita della
comunità si confrontano, sulla base della propria esperienza e propongono orientamenti alle istituzioni.
E’ il luogo in cui è possibile cercare mediazioni tra le diverse esigenze presenti sul territorio; è il luogo in cui
si esprime l’orientamento collettivo della comunità in cui si realizza l’intervento istituzionale.
2) La collaborazione è un processo spontaneo attivato all’interno di una comunità per creare intese , per
raggiungere obiettivi,che devono servire meglio la comunità.
Collaborare significa progettare, valutate, decidere, risolvere problemi, realizzare iniziative, coordinarsi
nell’impiego di risorse.
La collaborazione è un tema che riguarda tutti i soggetti,che possono essere diversi: comunità, attori della
società civile, servizi pubblici, operatori dei servizi, istituzioni.
I modi attraverso cui viene realizzata la collaborazione sono numerosi e possono andare bene se permettono
di raggiungere i risultati desiderati e la soddisfazione dei soggetti coinvolti.
La scelta della forma da dare alla collaborazione dipende da due aspetti: gli obiettivi per i quali si collabora,
le caratteristiche dei soggetti coinvolti e i loro desideri.
A queste forme vengono dati diversi nomi: rete, forum, conferenze, coordinamento, coalizione.
La rete indica legami poco strutturati tra gruppi e organizzazioni dello stesso tipo e diverse che condividono
l’impegno rispetto ad un particolare problema della comunità.
Le reti sono decentralizzate e i membri agiscono in modo autonomo; non esiste una struttura di leadership e
nessuno rappresenta gli altri.
La coalizione è un’alleanza formale tra organizzazioni che hanno deciso di collaborare su un obiettivo
comune; possiede un’organizzazione interna funzionale a prendere decisioni e gestire la leadership.
Le coalizioni possono formarsi per affrontare un problema specifico e avere una durata limitata nel tempo
oppure possono stabilire una collaborazione più duratura su questioni più generali.
Oltre alle motivazioni, per collaborare servono abilità sociali e competenze relazionali, tra le quali la capacità
di ascolto, di mediazione, di mettersi nei panni degli altri.
Per mantenere processi di collaborazione nel tempo, è necessario che ogni attore inserito nel processo di
collaborazione abbia interesse sia per l’obiettivo per il quale collabora sia per le relazioni con gli altri attori
coinvolti nel processo.
Un aspetto legato alla collaborazione, che rappresenta uno degli ostacoli più importanti, è il conflitto: nella
collaborazione non può esserci spazio per il conflitto; però il conflitto, che nasce dalla diversità, può
permettere di andare in fondo alle questioni e può servire a mantenere alto il livello di motivazione.
Quando, però, la conflittualità supera certi limiti, il conflitto diventa distruttivo e la necessità di adottare
strategie difensive impedisce la collaborazione.
3) la partecipazione e la collaborazione sono processi sociali che richiedono un orientamento, cioè una
leadership. La leadership può essere considerata sia come relazione di interdipendenza tra una persona e la
collettività sia come processo sociale che comprende una serie di funzioni, che riguardano l’azione collettiva
e la direzione della stessa.
Costruire un orientamento collettivo è diverso da avere un leader da seguire: leader è colui che interpreta le
preoccupazioni e la cultura della comunità e che dà garanzia ai membri del gruppo; ciò che lo rende
importante è l’autorevolezza, l’attribuzione di autorità da parte della gente.
Non si può negare l’esistenza e l’importanza dei leader locali, dei gruppo, delle associazioni: i leader locali ci
sono e sono importanti nel processo di orientamento collettivo; ma i processi di partecipazione e di
collaborazione non richiedono la presenza di un capo, ma di un facilitatore, che sappia sostenere il processo
di orientamento. Compito dell’operatore di comunità non è quello di assumere la guida del processo, ma di
fare in modo che possa formarsi un orientamento e che la direzione sia chiara e condivisa.
Gruppo guida = è un gruppo particolare, sia per la composizione sia per i compiti, formato da persone che
provengono da realtà diverse del territorio, alle quali sono vincolate affettivamente, idealmente,
politicamente e nelle quali svolgono una funzione di leadership.
E’ in genere un piccolo gruppo, che ha il compito di guida e di orientamento alle esigenze e opportunità del
territorio; la sua funzione è quella di pensare e favorire una progettazione integrata per facilitare lo scambio
tra i soggetti del territorio.
Il gruppo guida rappresenta un spazio di interazione sociale tra soggetti appartenenti a realtà diverse e
motivati al bene comune, è il simbolo della comunità e un esempio per la collaborazione.
Il gruppo guida non è un insieme di estranei, ma un insieme di persone che si trovano insieme per fare
attività, persone competenti, capaci di muoversi e di dare fiducia nell’incertezza, senza avere la pretesa di
verità: il gruppo guida ha la funzione di contribuire all’orientamento collettivo.
Nel gruppo guida non c’è spazio per le relazioni di potere: nessuno ha più potere di un altro nel gruppo; le
relazioni sono paritarie e collaborative e l’autorità è reciproca.
Il gruppo guida rappresenta anche un percorso di crescita delle persone e di integrazione dei punti di vista, un
“osservatorio della realtà locale” , un punto di coordinamento della rete e una forma di mediazione tra
istituzioni e tra istituzioni e cittadini.
Cap.4: soggetti e contesti del lavoro di comunità
Il lavoro di comunità ha come caratteristica l’interdisciplinarità, cioè richiede l’esigenza di integrare
competenze e saperi diversi, per cui avremo tanti operatori di comunità, che si possono suddividere in tre
categorie:
- animatori di comunità
- professionisti di diverse discipline
- cittadini attivi
L’animatore di comunità è un esperto che ha il compito di attivare, sostenere, guidare i processi di comunità,
è l’operatore incaricato in modo specifico di attivare e sostenere processi di partecipazione; la sua funzione è
di sostegno e non di controllo.
Le attività realizzate dall’animatore di comunità sono: presenza nella comunità, contatti con i residenti e cura
delle relazioni, riunioni di progettazione partecipata, di problem solving collaborativo, di valutazione
partecipativa, ricerca azione partecipata informazione e comunicazione assistenza tecnica e consulenza.
L’animatore di comunità , per svolgere il suo compito,deve avere un mandato chiaro ed esplicito dalle
istituzioni e deve essere riconosciuto autorevole dai membri della comunità: istituzioni e comunità devono
fidarsi di lui e riconoscere l’utilità del suo lavoro nella tutela dei propri interessi.
Esistono professionisti che, con le proprie competenze disciplinari, adottano prassi riconducibili al lavoro di
comunità: assistenti sociali, psicologi, pedagogisti, sociologi, medici…: il lavoro di comunità è un lavoro che
non si può realizzare da soli, ma richiede la presenza integrata e coordinata di più persone, spesso
appartenenti ad ambiti disciplinari diversi. Si tratta, quindi, di un lavoro d’equipe interdisciplinare, nel quale
si sommano differenze personali e diversità professionali, che si confronta e interagisce con la comunità in
cui opera.
Sempre più spesso, i professionisti dei servizi territoriali si trovano a collaborare, a discutere insieme a non-
professionisti, che vogliono dire la loro, che vogliono che le loro esigenze siano tenute in considerazione: si
tratta di cittadini che da utenti diventano risorse e contribuiscono, attraverso la partecipazione, la
collaborazione e l’impegno a soddisfare bisogni della comunità.
Cittadini attivi:
Per cittadinanza attiva si intende la capacità dei cittadini di organizzarsi in modi diversi, di mobilitare risorse
umane, tecniche e finanziarie, di agire per tutelare diritti, esercitando poteri e responsabilità volti alla cura e
allo sviluppo dei beni comuni.
La cittadinanza attiva è resa possibile dalla presenza di associazioni, strutture sociali il cui scopo è la
cooperazione, la collaborazione, la solidarietà e l’impegno sociale. Sono molti i cittadini che si impegnano in
prima persona in attività che vanno oltre gli interessi personali e della propria famiglia, che , attraverso
l’esempio e l’azione, promuovono la partecipazione e la collaborazione, alimentano la fiducia relazionale e
diffondono il senso civico: l’impegno civico, inteso come riconoscimento e perseguimento del bene pubblico
a scapito di obiettivi personali e privati, come senso di responsabilità sociale, è ciò che caratterizza i cittadini
attivi.
Nel fare lavoro di comunità ci si trova a collaborare con numerosi soggetti: dai singoli individui, che
ricoprono ruoli nella comunità, ad amministratori locali, a membri di organizzazioni, di associazioni a
operatori di servizi; a gruppi di varia natura ( equipe di lavoro, gruppi di formazione, comitati di cittadini,
commissioni), con i quali l’operatore di comunità può essere chiamato a svolgere numerosi compiti:
condurre, coordinare, gestire, consultare, sostenere, organizzare.
I principali contesti di impiego del lavoro di comunità:
la comunità territoriale, è un ambito privilegiato per la partecipazione sociale e quindi per l’attuazione di
strategie che si basano sull’impegno dei cittadini; le politiche sociali, sono ambiti nel quale il lavoro di
comunità ha trovato le sue applicazioni attraverso l’attivazione e l’impiego delle reti sociali, il volontariato, il
mutuo aiuto; le organizzazioni di lavoro: in questo contesto coincide con la promozione e lo sviluppo del
senso di comunità e la cura delle comunità esistenti.
I luoghi di lavoro, oltre che luoghi di produzione di beni e servizi, sono anche luoghi di vita: in essi le
persone passano un parte significativa del loro tempo, convivono e vivono mentre svolgono compiti; progetti
di sviluppo locale e riqualificazione urbana, nel lavoro nelle e con le periferie, in progetti negli insediamenti
di edilizia sociale: sono sempre più frequenti le iniziative tese a ricostruire legami sociali, relazioni di fiducia
a livello locale e a sostenere percorsi di responsabilizzazione dei cittadini residenti rispetto alla qualità della
vita del proprio territorio.
E’ diffusa la consapevolezza che non può esistere un miglioramento delle condizioni di vita di un quartiere
senza il coinvolgimento, la partecipazione e l’assunzione di responsabilità da parte di chi lo vive.
Nel lavoro di comunità si possono incontrare problemi ricorrenti, molti dei quali possono essere ricondotti
alla dimensione della qualità della convivenza, intendendo per convivenza le relazioni che le persone sono
obbligate a intrattenere per il fatto di vivere nello stesso territorio. Tra questi i fattori di stress e di disagio
possono essere dovuti agli aspetti urbanistici, alla disoccupazione, all’esclusione sociale, ai conflitti sociali,
ai problemi di sicurezza, ecc….
Anche gli spazi comuni spesso sono un problema: non sempre la vicinanza spaziale è anche vicinanza
affettiva; spesso tra persone che vivono vicine è difficile l’integrazione, le relazioni sociali, per cui le persone
si isolano , si rinchiudono in sé, facendo aumentare il senso di insicurezza; inoltre più bassa è la capacità
delle persone di partecipare, più diffuso è il senso di impotenza e di alienazione. Se potessero scegliere,
alcune persone non abiterebbero mai nel posto dove abitano, che sentono come una “convivenza forzata”, un
specie di condanna: questo porta nelle persone una mancanza di impegno verso l’ambiente in cui vivono, un
dis-investimento che riduce le energie che dovrebbero migliorare la vita della comunità. Lo sviluppo di
comunità si propone di affrontare i problemi della convivenza urbana attraverso il coinvolgimento e
l’assunzione di responsabilità da parte della comunità, attivando e sostenendo una forma di partecipazione
dei cittadini per migliorare le proprie condizioni di vita.
Migliorare la qualità della convivenza attraverso lo sviluppo di comunità significa facilitare e aiutare i
residenti nell’inventare nuovi modi di vivere insieme, che garantiscono il benessere della comunità e degli
individui.
Responsabilizzarsi e impegnarsi attivamente per migliorare il proprio ambiente spezza il circolo vizioso
dell’impotenza, per creare occasioni che consentono la partecipazione, le relazioni interpersonali, la
collaborazione e che stimolano la nascita dell’impegno civico.
Il profilo dell’operatore di comunità:
Il lavoro di comunità è un lavoro che richiede un’alta motivazione: chi fa questo lavoro è chiamato a
trasmettere energia, vitalità, entusiasmo. E’ difficile farlo se non si ama il proprio lavoro e se non si mette
passione in quello che si fa.
L’operatore deve conoscere sé stesso, le proprie potenzialità, i propri limiti; deve avere competenze
relazionali e comunicative: capacità di ascolto, saper mediare i conflitti,...; deve avere competenze
organizzative, cioè deve saper organizzare le informazioni, le risorse, i percorsi di coordinamento…; deve
avere competenze metodologiche.
Oltre a queste competenze, chi fa lavoro di comunità deve essere in grado di maneggiare strumenti come la
ricerca azione partecipata, la progettazione partecipata, l’attivazione e la facilitazione delle reti, la
conduzione delle riunioni di gruppo, la mediazione dei conflitti.
Cap.5 : la ricerca azione partecipata
La ricerca azione partecipata, per le sue caratteristiche e per i suoi obiettivi, è impiegata in diverse pratiche
sociali poiché finalizzata al cambiamento, soprattutto nell’ambito del lavoro di comunità, di cui costituisce
uno strumento essenziale.
Si parla si ricerca azione partecipata quando si vuole sottolineare l’aspetto partecipativo. Obiettivi e funzioni
della ricerca azione partecipata sono:
- la conoscenza :si scoprono cose nuove e questo fa sì che le persone imparino a sentirsi attori creativi del
mondo;
- l’apprendimento : i soggetti imparano, mettono a confronto le loro conoscenze, mettendo in comune i
propri punti di vista, attraverso l’uso di strumenti sia tradizionali che innovativi (come interviste individuali e
di gruppo, questionari, laboratori di comunità)
- il cambiamento : si modificano delle situazioni, in quanto le persone hanno un comune desiderio di
migliorare le condizioni nelle quali vivono.
Questi tre aspetti sono interdipendenti: i soggetti che apprendono solo coloro che sono coinvolti come attori
della ricerca e quindi del cambiamento, cioè singoli, individui, gruppi, la comunità stessa. Fondamentali per
comprendere la ricerca azione partecipata sono i seguenti aspetti:
- da chi è stata concepita
- chi prende le decisioni
- chi impara nel processo
- come è distribuito il potere tra i vari attori
- chi ha deciso l’oggetto della ricerca
- chi ne tra e beneficio
- chi utilizza i risultati
- chi esercita il controllo sul processo
Il modello della ricerca azione partecipata può essere impiegato per conoscere la comunità anche da parte
degli stessi abitanti, perché non sempre vivere in comunità vuole dire essere consapevoli di ciò che essa è
effettivamente.
Per intraprendere un’azione di cambiamento, per scoprire le risorse e trovare strategie di problem solving
può essere indispensabile la definizione di profili di comunità ( es. territoriale, demografico, occupazionale,
istituzionale, psico -sociale) che rappresentano un modo di organizzare l’osservazione della comunità.
Un modello particolare di ricerca azione partecipata è quello che viene denominato ricognizione sociale, cioè
un’azione di conoscenza non approfondita di un territorio, dei suoi problemi, delle sue risorse, che si ottiene
osservando la realtà da diverse angolature, che corrispondono ai diversi punti di vista degli attori sociali
presenti sullo stesso territorio.
In termini più tecnici, la ricognizione sociale rappresenta una modalità di ricerca azione partecipata in cui il
soggetto è l’oggetto della ricerca dove conoscenza e coinvolgimento si intrecciano.
E’ uno strumento di facile impiego anche da persone non dotate di un’elevata professionalità specifica; si
dimostra efficace soprattutto nella fase di promozione e attivazione di un progetto e permette di raccogliere
in modo rapido delle informazioni che possono essere utilizzate immediatamente dai diversi attori sociali che
si vogliono coinvolgere.
La ricognizione sociale si propone il duplice obiettivo:
1) di coinvolgere gli attori sociali e di raccogliere informazioni;
2) di rendere possibile la presa di coscienza, il senso di proprietà rispetto ai problemi e alle soluzioni.
Nel processo di ricognizione sociale non è possibile separare la conoscenza dall’azione: mentre si conosce,
cioè si raccolgono le informazioni, si agisce, cioè si coinvolgono i diversi attori della comunità per
individuare progetti utili a risolvere problemi e migliorare le proprie condizioni di vita. Il processo di
ricognizione sociale si suddivide in diverse fasi:
- domanda iniziale: il processo ha inizio con una domanda da parte di un attore di una comunità, parte, cioè,
dall’esistenza di un soggetto di una comunità, che vede un problema e vuole fare qualcosa per risolverlo,
attraverso il coinvolgimento di altri soggetti dello stesso territorio;
- la conoscenza preliminare della comunità, attraverso la raccolta di informazioni relative alle caratteristiche
della comunità e in particolare alle risorse di cui dispone;
- identificare gli attori sociali da coinvolgere nel processo di ricognizione: poiché non è possibile includere
tutti nel processo e poiché una grande quantità di informazioni non è disponibile immediatamente, occorre
un primo contatto con la gente le luogo, che può essere possibile attraverso interviste a persone che
conoscono la comunità. Esistono diverse modalità per identificare gli attori sociali:
1 costruire un sociogramma, ponendo al centro dello spazio una popolazione target e collocando nello spazio
circostante i soggetti che interagiscono con questa popolazione;
2 costruire un sociogramma, ma al centro dello spazio mettere il problema specifico e nello spazio
circostante i soggetti coinvolti dal problema stesso;
3 definire una delimitata unità geografica locale rilevante per un servizio, un quartiere, una zona e in
quest’area identificare gli attori sociali significativi.
- Il reclutamento dei leader/ rappresentanti: si tratta di identificare le persone significative delle diverse realtà
“mappate”, contattarle telefonicamente per fissare un incontro individuale per una prima intervista, mirata a
presentare il progetto, raccogliere le prime informazioni e verificare la disponibilità dell’interessato a
collaborare;
- la riunione iniziale e il contratto: nella riunione iniziale, di solito aperta dalla persona che ha preso
l’iniziativa di attivare il processo, viene presentato il processo di ricognizione sociale e viene descritto
l’impegno richiesto; è importante precisare in modo specifico l’impegno richiesto ai convocati e non
limitarsi a generiche richieste di disponibilità a collaborare. Durante la riunione, i presenti possono valutare e
scegliere se aderire o meno alla proposta e alla fine devono decidere pubblicamente se prendere parte o meno
al processo di ricognizione: l’impegno diventa una specie di contratto tra le persone presenti. Infine con i
rappresentanti disponibili si prendono accordi per la realizzazione di un’intervista di gruppo;
- l’intervista di gruppo: è la tecnica usata per raccogliere le informazioni; viene realizzata nella sede del
gruppo da uno o due intervistatori (uno stimolatore/ facilitatore, l’altro memorizzatore) richiede
generalmente due ore, la presenza va da un minimo di 5 ad un massimo di 15 e vien condotta con la tecnica
del gruppo focus.
Generalmente l’intervista viene effettuata con un gruppo reale, omogeneo per interesse o valori, e formato da
persone di una stessa organizzazione o che comunque hanno un motivo di ritrovarsi per fare qualcosa
insieme.
L’intervista di gruppo è lo strumento essenziale sia per la raccolta di informazioni sia per il coinvolgimento e
va condotta tenendo conto delle caratteristiche dell’organizzazione a cui appartengono le persone e delle
difficoltà che il leader può incontrare nel coinvolgerle.
Il successo del processo dipende anche da come funzionano le riunioni nelle quali si realizzano le interviste.
La riunione consiste in una discussione pianificata per sviluppare il senso di responsabilità e di proprietà dei
problemi e per raccogliere il massimo delle informazioni dalle persone su problemi o fatti specifici e sulle
forze e risorse di cui dispone la comunità.
Nella conduzione è utile porre attenzione nel distinguere i problemi espressi in termini generali, da quelli che
si riferiscono a fatti concreti: più un problema è specifico, accade in un luogo specifico, con conseguenze per
persone precise, maggiore è l’utilità della ricognizione.
Durante l’intervista i partecipanti si rispondono reciprocamente, fanno commenti e discutono, ma rimangono
focalizzati sull’argomento: è compito dell’intervistatore mantenere il gruppo sul tema.
Per la realizzazione delle interviste di gruppo si può ricorrere a operatori professionisti oppure a volontari
opportunamente addestrati ( occorrono circa venti ore di formazione) che possono essere reclutati nella
comunità.
Il reclutamento e la formazione dei volontari rappresentano aspetti molto importanti perché questa attività
comporta uscire sul territorio e ricercare delle persone che si assumano responsabilità e che, in quanto
membri della comunità, rappresentano un esempio di attivazione e coinvolgimento.
Inoltre la formazione favorisce l’interazione tra persone e lo sviluppo di relazioni di gruppo.
- Elaborazione dei dati: i dati raccolti con le diverse interviste vengono organizzati e elaborati in modo da
facilitare la lettura e l’analisi da parte di tutti i membri del gruppo, che devono avere la possibilità di
interpretarli;
- Restituzione dei dati: i dati, raccolti in un opuscolo, vengono restituiti a ciascun gruppo in un’apposita
riunione dagli stessi ricercatori che hanno svolto l’intervista.
In questa seconda riunione le persone cominciano ad interrogarsi sul significato dei dati raccolti, a vederli in
relazione a quelli degli altri gruppi.
- Assemblea finale: con questa assemblea si conclude la ricognizione sociale: se c’è l’interesse da parte dei
presenti l’incontro si conclude con la formazione di un gruppo guida, che può assumersi il compito di
intraprendere azioni per risolvere alcuni problemi importanti e iniziare un’attività di progettazione e
collaborazione.
Limiti della ricognizione sociale:
Con questo modello non è possibile condurre una ricerca in profondità; permette di raccogliere le percezioni
e le rappresentazioni che i vari attori sociali hanno rispetto ai problemi e non consente la raccolta dei dati
“oggettivi”; per cui è necessario integrare i dati raccolti con altri provenienti da fonti qualificate: i dati
raccolti non indicano quali sono realmente i problemi importanti, ma evidenziano i problemi che i gruppi
coinvolti ritengono importanti o prioritari.
Inoltre i dati raccolti non si prestano a un trattamento statistico ed una loro generalizzazione, ma sono utili al
coinvolgimento delle persone.
Essendo uno strumento utili ad avviare processi di coinvolgimento e collaborazione tra i diversi attori di un
territorio, la ricognizione sociale mette in relazione interessi, valori, bisogni diversi, a volte contrapposti: di
conseguenza possono emergere conflitti.
Il ruolo del ricercatore:
Per condurre un progetto di ricognizione sociale, accanto alla figura del coordinatore, che si fa carico degli
aspetti generali e svolge una funzione di addestramento e supervisione, occorre prevedere l’impiego di
intervistatori, il cui compito essenziale è l’intervista di gruppo che devono condurre con competenza e
autorevolezza; ma soprattutto il loro compito è quello di tessere delle relazioni, di essere animatore di
comunità.
Cap. 6: La progettazione partecipata
L’obiettivo dei progetti di sviluppo di comunità è attivare e sostenere processi partecipativi e di
collaborazione. La progettazione del processo partecipativo si struttura in fasi distinte:
- insediamento nella comunità e ricognizione : in questa fase vengono realizzate attività finalizzate alla
creazione delle base per i futuri rapporti con i diversi attori.
Gli operatori hanno il compito di costruirsi credibilità e legittimità sia presso i cittadini sia presso le
istituzioni con cui si trovano a collaborare.
L’equipe di operatori, di solito, si insedia nella comunità in cui entra a lavorare e perciò è necessario
individuare una sede abitabile, visibile e accessibile dai cittadini.
E’ fondamentale prevedere attività volte alla conoscenza della comunità dei suoi profili, delle sue risorse, dei
suoi problemi. La durata di questa fase, solitamente, non supera i 3- 4 mesi;
- attivazione: in questa fase si tratta di avviare con la comunità un’attività di valutazione della priorità dei
problemi emersi, in modo da ottenere il mandato sui problemi da affrontare per primi nell’attività di
progettazione partecipata. Dal progettare insieme si dovrà passare all’agire insieme, ciascuno con compiti e
ruoli definiti ed arrivare ad attività di valutazione partecipata per verificarne l’andamento. Attraverso queste
attività, i cittadini o i gruppi coinvolti sono messi in condizione di collaborare, assumere informazioni e
anche di verificare individualmente quello che stanno facendo.
- consolidamento: in questa fase si dovranno fornire occasioni di rinforzo al processo collaborativo,
attraverso strategie per il suo mantenimento nel tempo e per garantirne il consolidamento. Una volta
d’accordo sull’importanza e sulla necessità della partecipazione nella progettazione, resta da capire come,
con quali modelli e con quali strumenti, affrontare la progettazione partecipata sia nelle comunità locali sia
nei diversi settori.
Tra i numerosi approcci e metodologie impiegati nella progettazione partecipata ricordiamo:
-la pianificazione strategica: un processo partecipativo e collaborativo per permettere ai diversi stakeholders
di lavorare insieme, attraverso una vision condivisa, che è il primo criterio di orientamento, in quanto indica
una direzione a cui tendere. Si tratta di una vision costruita attraverso un processo partecipativo di ricerca e
di confronto/ scambio tra i membri di una comunità.
Condividere la vision è condizione essenziale per collaborare consapevolmente e responsabilmente; infatti
condividere la vision vuole dire non solo essere liberi di esprimere i propri sogni, ma anche imparare ad
ascoltare e saper ascoltare i sogni degli altri.
La visione può essere costruita in positivo o in negativo: la domanda “che cosa si vuole” è diversa da quella
“che cosa si vuole evitare”. Di solito le visioni negative sono più comuni delle positive: i membri di una
comunità uniscono i loro sforzi soprattutto quando si sentono minacciati.
Nella pianificazione strategica si tiene conto di due fondamentali fonti di energia che motivano le comunità
al cambiamento: il timore, che è alla base delle visioni negative, e l’aspirazione, alla base delle visioni
positive. Il timore può produrre cambiamenti straordinari in brevi periodi; l’aspirazione rimane come
un motivo continuo di crescita e apprendimento.
La pianificazione strategica è:
- è un processo di costruzione di una vision condivisa
- è partecipativa e democratica: permette agli attori della comunità di prendere parte alle scelte e agli
orientamenti che riguardano la comunità stessa
- è orientata al compito: quindi deve rispondere a esigenze organizzative, di rispetto dei tempi, di impiego
delle risorse e di competenze adeguate
- è collaborativa: permette e richiede agli attori della comunità di collaborare tra loro
- è olistica: per l’interdipendenza degli attori, sono necessarie strategie complesse per affrontare problemi
complessi, intrecciare le competenze di diverse istituzioni e settori, utilizzare approcci multi e
interdisciplinari, culturali, settoriali;
- è verificabile: i cittadini vogliono progetti che producano i risultati che promettono.
La progettazione partecipata è un percorso segnato da tappe contraddistinte da compiti e risultati specifici da
raggiungere:
- analisi preliminare (inizio del processo): la prima cosa che serve è un gruppo per iniziare a muovere il
processo;
- comprendere la comunità ( imparare uno dall’altro): ogni partecipante contribuisce con il proprio punto di
vista , le proprie conoscenze e risorse. Con la partecipazione degli attori coinvolti si realizza l’analisi SWOT:
valutare le forze, identificare le debolezze, fare un inventario delle opportunità, identificare le minacce;
- immaginare il futuro ( creare una visione comunitaria): l’intera comunità si impegna per definire la
direzione da prendere e come realizzarla;
- entrare nel vivo del lavoro ( il piano strategico): sviluppare le strategie essenziali per raggiungere la vision;
identificare programmi e progetti, che costituiscono il piano strategico; valutare i risultati;
- cooperare ( costruire una struttura di gestione): creare una struttura organizzativa, alla quale dovrà essere
affidata la gestione del progetto e la definizione dei meccanismi decisionali;
- realizzazione del piano
Alcuni degli strumenti che permettono il coinvolgimento di molte persone nella progettazione partecipata
sono:
1 future search
2 search conference
3 european awareness scenario workshop
1) Il future search è un laboratorio di apprendimento che permette alla comunità di assumere informazioni da
più punti di vista e creare, così, una visione di insieme condivisa. L’obiettivo di questo strumento è quello di
mettere ciascuno in condizione di assumersi maggiori responsabilità rispetto a sé stesso o al sistema, sia esso
un’organizzazione o una comunità.
E' utile agli operatori perché permette di costruire una visione condivisa del futuro della propria comunità; di
scoprire l’esistenza di esigenze e intenti comuni, di attivare visioni condivise che già esistono. In questo
strumento di progettazione le differenze sono inevitabili, vengono date per scontate e con esse si impara a
convivere, rinforzando l’apprendimento cooperativo.
Dal punto di vista tecnico, è un incontro che coinvolge 60-70 persone e si estende su 4 mezze giornate
distribuite in 3 giorni consecutivi ( pomeriggio del primo giorno; giorno intero del secondo, mattino del terzo
giorno).
Le persone coinvolte hanno cinque compiti da svolgere:
- rivisitare il passato;
- esplorare il presente
- creare scenari futuri
- identificare un terreno comune
- fare piani di azione
2 La Community search conference è una tecnica di pianificazione strategica che permette di identificare
azioni specifiche per produrre cambiamenti nel medio e lungo periodo.
Si tratta di un processo partecipativo strutturato nel quale gruppi di individui attivi analizzano il contesto in
cui sono inseriti, per definire una strategia per raggiungere il risultato che vogliono ottenere. In una
community S.C. una comunità progetta il suo futuro e si assume la responsabilità di farlo accadere, la
comunità può essere locale, oppure una comunità di interessi, o un’azienda.
La community s.c. è un incontro che dura 2 giorni e mezzo, attentamente progettato e pianificato, nel quale
un numero variabile di cittadini diventano una comunità che apprende e progetta; insieme creano una
visione, elaborano strategie e piani di azione.
Le persone sono coinvolte in un processo di ricerca azione partecipata, che permette di vedere la
progettazione come un percorso attraverso il quale si apprende e si cambia mentre si progetta il
cambiamento. Le persone imparano analizzando il proprio ambiente, apprendono il funzionamento dei
sistemi e imparano a progettare sistemi migliori e sostenibili.
Un’adeguata preparazione di una conferenza richiede mesi di preparazione e un impegno serio e costante di
un “gruppo-guida”. Nella fase di preparazione vengono raccolti tutti i punti di vista per definire il focus della
conferenza. Una volta deciso che la conferenza si può fare, occorre definire i risultati e individuare il tema
centrale per la conferenza; successivamente si affronteranno gli aspetti organizzativi e logistici.
La scelta dei partecipanti deve avvenire con il coinvolgimento del gruppo guida in modo che sia la comunità
stessa a decidere chi coinvolgere.
La Conference ha una struttura a imbuto e a imbuto rovesciato: si parte dal generale per andare verso il
particolare e poi si inverte la direzione.
Nella prima parte della conferenza si analizza ciò che avviene nell’ambiente globale e in quello più prossimo
alla comunità; poi ci si occupa del passato della comunità, della sua storia; infine si realizza una valutazione
del presente.
Nella seconda parte, basandosi sulle informazioni raccolte e condivise, i partecipanti elaborano una visione
condivisa del loro futuro: questo permette di aiutare la comunità a identificare dove intende investire le
proprie energie. Nell’ultima parte della conferenza, i partecipanti traducono la visione in obiettivi
raggiungibili, anticipando possibili difficoltà e cercando modi per superarle. Infine si elabora il piano di
azione.
3 European Awarennes scenario workshop è uno strumento adottato dalla comunità europea per stimolare la
partecipazione sociale nella soluzione dei problemi della città, un modello di progettazione partecipata
impiegato in vari contesti per promuovere e permettere il coinvolgimento e la partecipazione dei diversi
attori sociali alla definizione di scelte locali che interessano la qualità della vita.
Si tratta di un incontro che può avere la durata variabile da uno a due giorni, nel quale sono coinvolte dal 24
a 28 persone, selezionate tra cittadini, esperti di tecnologia, amministratori pubblici e rappresentanti del
settore privato.
I temi da affrontare devono essere sempre quattro, in relazione tra loro e definiti prima dell’inizio dei lavori.
Nella prima parte si costruisce una visione del futuro, per immaginare come risolvere i problemi in relazione
ai temi in discussione. Nel fare questo devono tenere presenti quattro scenari, che vengono proposti e che
prospettano quattro soluzioni alternative.
Le visioni elaborate da ciascun gruppo vengono discusse e si sceglie, attraverso una votazione, la visione
comune. Nella seconda parte i quattro gruppi formati, hanno il compito di proporre idee su come realizzare la
visione comune: le idee più votate saranno alla base del piano di azione.
Cap.7: la valutazione partecipata
Nei progetti di comunità, la valutazione è un’attività che si intreccia con due aspetti fondamentali del lavoro
di comunità:
- la ricerca azione partecipata, che costituisce il pilastro portante è l’azione principale di molti progetti di
comunità;
- l’assistenza tecnica, che non può prescindere dalla ricerca e dall’impiego di dati per fornire sostegno ai
progetti.
Due aspetti centrali nella valutazione sono:
1) i cambiamenti che intende produrre: gli obiettivi
2) i modi attraverso cui si intende produrre tali cambiamenti: i processi
Valutare significa esprimere giudizi riguardo a un certo aspetto della realtà che diventa l’oggetto della
valutazione; è un’attività tipica degli esseri umani, praticata spontaneamente e con continuità.
Valutare progetti significa pronunciare giudizi su di essi, giudizi basati non solo su intuizioni o impressioni
personali, ma che devono essere sostenuti da informazioni ricercate in modo metodologicamente rigoroso.
Poiché un progetto interessa sempre più soggetti, occorre uno sforzo iniziale per stabilire criteri di
valutazione condivisi, in quanto sono gli attori coinvolti che danno valore al dato e che, quindi, valutano.
La valutazione di questi progetti è quindi una valutazione partecipata, che include un processo di
negoziazione tra i diversi attori portatori di differenti interessi, che si realizza all’interno di uno specifico
contesto culturale.
Il ricorso alla partecipazione nella valutazione è stimolato dal fatto che la realtà sociale è caratterizzata da
complessità, di cui fanno parte gli stakeholders (portatori di interessi) coinvolti nei progetti, ciascuno dei
quali, per interessi ,attese e valori diversi, contribuisce al progetto in modo differente e ne otterrà benefici
diversi.
L’empowering evaluation è il modello di valutazione più appropriato nell’ambito dei progetti di sviluppo di
comunità. Esso consiste nell’uso dei concetti, degli strumenti e dei dati della valutazione, per rinforzare le
competenze e il potere dei soggetti e la loro capacità di autodeterminarsi. Il suo compito è quello di aiutare le
persone a diventare più capaci nelle proprie azioni e nella realizzazione dei propri programmi.
Non può essere un’azione individuale, ma è necessariamente un’attività collaborativa di gruppo ed è un
processo democratico. Gli strumenti che usa sono:
- la formazione: il valutatore insegna alle persone a fare la loro valutazione in modo che diventino
autosufficienti
- la facilitazione: il valutatore facilita il processo di valutazione
- l’advocavy: il valutatore si fa portavoce di gruppi che non hanno parola
Tra i soggetti della valutazione ci sono i cittadini, che possono essere: soggetti, oggetti e utilizzatori della
valutazione. La partecipazione dei cittadini al processo di valutazione è significativa quando possono:
orientare la valutazione e decidere cosa fare della valutazione e in seguito alla valutazione. Il diverso ruolo
dei cittadini dal punto di vista della partecipazione cambia anche il ruolo del valutatore, il cui compito è
quello di mettere i cittadini in grado di valutare e usare correttamente la valutazione.
Il ruolo dei cittadini nel processo di progettazione partecipata dipende dal contesto del progetto, dalle
competenze di cui sono in possesso, dalle loro disponibilità e dalle relazioni esistenti nella comunità.
Il valutatore è esterno o interno al progetto?
Nei progetti di sviluppo di comunità solo chi è “dentro al lavoro” può avere le competenze per poterlo
valutare. L’estraneità al progetto consente di prendere la distanza emotiva dal progetto e mette al riparo da
errori dovuti al coinvolgimento, ma non permette di conoscere persone, aspetti, di cogliere segnali che sono
essenziali nel processo di valutazione e che solo chi conosce il progetto dall’interno può cogliere.
Inoltre il coinvolgimento emotivo, dovuto all’interesse per il progetto, non viene considerato un ostacolo per
la valutazione, ma viene riconosciuto come caratteristica di tutti gli attori coinvolti nel e dal progetto.
Nella valutazione dei programmi sociali si usa il modello che si richiama alle teorie sistemiche e della
complessità, secondo le quali l’atteggiamento più corretto per permettere una valutazione è quello della
descrizione dei fatti e delle loro interrelazioni.
L’oggetto della valutazione, nei progetti di sviluppo di comunità, non ha contorni definiti, presenta molte
sfaccettature e quindi lascia molte incertezze nel momento della scelta degli indicatori.
Gli indicatori sono qualcosa che hanno la funzione di indicare. L’indicatore non è mai rappresentativo, da
solo, di tutto il concetto che indica; per cui gli indicatori sono frutto di un processo di costruzione e non si
trovano già dati a priori. Come si costruiscono gli indicatori?
Una volta stabilito che cosa si vuole valutare, si scompone il concetto che lo esprime (percorso partecipativo)
nelle sue proprietà caratteristiche, cioè nei suoi elementi costitutivi che ne definiscono l’essenza. Si continua
il processo di scomposizione delle proprietà fino a individuare gli indicatori, cioè le proprietà direttamente
osservabili nella realtà. Una volta identificati gli indicatori, si passa alla loro operazionalizzazione (
traduzione operativa in comportamenti osservabili e, quindi, misurabili), si scelgono gli strumenti adeguati
alla loro rilevazione e alla comunità in cui si rilevano e si individuano le fonti da cui trarre le informazioni.
A questo processo di costruzione degli indicatori può prendere parte il valutatore da solo, oppure insieme agli
attori rilevanti per il progetto e per la valutazione dello stesso.
La costruzione di indicatori costituisce un’esperienza formativa, di riflessione, di costruzione di significati
comuni, di scambio e di confronto e rappresenta un’esperienza di partecipazione significativa.
Cap. 8 Dare stabilità alla partecipazione e alla collaborazione
La partecipazione e la collaborazione nella comunità richiedono strutture e organizzazione che durino nel
tempo, che diano continuità ai processi e che realizzino le pratiche che intendono promuovere nella
comunità. Strumenti della collaborazione e della partecipazione sono le reti: i vari attori sociali si rendono
conto che lavorare da soli non permette di risolvere i complessi problemi di oggi e di migliorare la qualità
della vita e la convivenza nelle nostre comunità. Di conseguenza, sempre più stesso si deve lavorare insieme
per dare vita a progetti comuni. Dal punto di vista strutturale, la rete è l’insieme degli attori coinvolti,
interessati da un problema e il sistema delle loro relazioni; dal punto di vista funzionale, è la modalità
attraverso cui gli attori in gioco si scambiano informazioni, si influenzano reciprocamente e collaborano.
Per lavoro di rete si intende lo sforzo compiuto dagli attori per migliorare la capacità di collaborazione e per
il raggiungimento degli obiettivi condivisi. Nelle esperienze di attività delle rete sono frequenti problemi e
rischi: difficoltà di comunicazione, la rigidità delle procedure, la burocratizzazione, l’appiattimento della
professionalità, la cui presenza limita l’efficacia della rete e quindi gli esiti della collaborazione. Una rete
esiste in quanto funziona, è attiva, al punto che il funzionamento è il presupposto per la sua esistenza.
Per migliorare la collaborazione tra gli attori della comunità occorre:
- creare le condizioni che facilitano lo scambio e la comunicazione tra gli attori,
- sviluppare le capacità, le competenze, le sensibilità e la motivazione degli attori a sostenere il lavoro di rete
e la collaborazione.
Possiamo collocare la collaborazione tra gli attori di comunità su un continuum che va da un minimo (
scambio di informazioni) a un massimo ( realizzazione congiunta di progetti). Man mano che si sposta verso
compiti più complessi, aumentano non solo i problemi e le difficoltà, ma aumenta anche l’esigenza di
comunicazione, di organizzazione e di coordinamento.
Si possono distinguere tre diverse forme di organizzazione della collaborazione:
- la rete, livello minimo di strutturazione, attraverso cui diversi soggetti si scambiano informazioni e
agiscono prevalentemente in modo autonomo, senza la presenza di leadership per cui nessuno rappresenta gli
altri;
- il gruppo di coordinamento, forma strutturata di una semplice rete, è un forum che permette di coordinare
informazioni e di coordinare gli approcci rispetto ad una particolare questione;
- la coalizione, livello massimo di strutturazione, consiste in una nuova organizzazione che può avere proprio
personale, propri membri, proprie risorse e un’identità pubblica.
E’ un’organizzazione di gruppi che, pur con interessi diversi, mettono insieme le loro risorse umane e
materiali per ottenere un cambiamento che i singoli membri non potrebbero ottenere da soli.
L’effetto più importante che produce una coalizione è la modificazione delle relazioni di potere all’interno di
una comunità. Una rete per funzionare bene deve disporre di un meccanismo di coordinamento. Lo scopo
finale del coordinamento è quello di ottenere un impatto maggiore delle attività delle organizzazioni
coinvolte, attraverso la pianificazione e l’azione coordinata.
L’ostacolo maggiore alla realizzazione del coordinamento è l’incapacità dei diversi gruppi a superare
l’individualismo, la sfiducia, la competizione. Parlando di coordinamento è importante conoscere a chi
compete il compito del coordinamento quali caratteristiche deve avere.
Nei lavori di welfare locale è l’ente locale che ha la responsabilità e deve farsi carico del coordinamento
mettendo in campo risorse e competenze adeguate allo scopo.
In ogni caso, il soggetto incaricato non deve “essere di parte” e deve essere legittimato in questa funzione dai
membri della rete.
Nelle reti formate da terzi settore e servizio pubblico, è quest’ultimo che si deve assumere la responsabilità
del coordinamento. Possiamo ricondurre le forme di coordinamento a tre strutture:
- gerarchico: tra chi coordina e chi partecipa c’è una relazione gerarchica ; il coordinamento è obbligatorio
per la decisione di un soggetto gerarchicamente superiore;( autorità)
- negoziale: il coordinamento è volontario, ma l’accordo che si stipula prevede regole di comportamenti e
vincoli per chi aderisce; non c’è un soggetto che è in grado di esercitare un potere su tutti gli altri, avendo
ciascuno dei membri un proprio ambito di competenza; ( negoziazione)
- informale basato sull’influenzamento reciproco: il coordinamento è volontario e informale, le
organizzazioni si riuniscono quando lo ritengono opportuno, si informano reciprocamente, ma non ci sono
accordi scritti, non esiste nessuna forma di obbligo formalizzata. ( influenzamento)
Per mantenere il coordinamento e tenere collegate le diverse organizzazioni, si definiscono accordi che,
quando vengono formalizzati, prendono il nome di protocolli di intesa: “patti” che i diversi attori coinvolti
sottoscrivono per collaborare.
Nei protocolli si stabiliscono meccanismi di connessione e di collegamento che possono riguardare vari
livelli:
- livello amministrativo: vi si collocano gli accordi che riguardano le risorse (per risorse si intende tutto ciò
che può essere utilizzato direttamente o indirettamente per arrivare ad ottenere quel cambiamento inteso
come soluzione del problema) finanziarie, umane, la pianificazione e la programmazione, i servizi di
supporto;
- livello operativo: vi si collocano gli accordi che riguardano in modo più diretto l’attività, il servizio e il
modo di lavorare. Includono gli amici, il personale, le informazioni, il materiale, gli accordi.
Ostacoli che si presentano nella realizzazione di un coordinamento:
- paura di perdere l’autonomia organizzativa
- paura da parte degli operatori di perdere la libertà nel loro lavoro
- disaccordi ( punti di vista diversi rispetto ai problemi e alle priorità da affrontare) tra le agenzie che
provvedono alle risorse finanziarie
- aumento del numero e della diversità delle organizzazioni coinvolte
- mancanza di consenso rispetto al territorio
- diverse aspettative a livello statale, regionale, locale rispetto ai problemi da affrontare, ai modi e agli
strumenti;
- costi e benefici del coordinamento non chiari;
- mancanza di risorse
Fattori che facilitano il coordinamento:
- il consenso sul territorio, che si ottiene attraverso un buon livello di comunicazione,
- obiettivi e funzioni simili da parte delle organizzazioni;
- disponibilità di fondi
- interdipendenza tra associazioni e organizzazioni della comunità
- legami informali tra i membri delle diverse organizzazioni
- presenza di utenti comuni
Per avviare e facilitare il coordinamento tra organizzazioni e associazioni, gruppo di una comunità, occorre
affrontare tre aspetti:
- la definizione del problema: il problema deve essere specificato, delimitato e risolvibile. Un problema è
risolvibile se sono disponibili le risorse necessarie e se le organizzazioni della comunità sono in grado di
farsene carico;
- la definizione del livello di coordinamento: occorre identificare l’area geografica o i confini geografici
all’interno dei quali deve avere luogo il coordinamento e coinvolgere le organizzazioni rilevanti;
- la selezione delle organizzazioni chiave da coinvolgere: le organizzazioni chiave sono quelle che
possiedono le risorse necessarie, hanno programmi o esperienze collegate o se hanno operatori con le
competenze necessarie.
Per poter partecipare a un coordinamento, un’organizzazione deve prendere:
- l’impegno rispetto al problema: ogni organizzazione deve sentirsi responsabilizzata e coinvolta rispetto ad
un problema, deve avere chiaro dove si colloca il problema nella lista degli obiettivi di ciascuna
organizzazione coinvolta;
- l’impegno rispetto al coordinamento: la disponibilità e l’impegno di ogni organizzazione a collaborare con
gli altri sul problema identificato è la condizione per dare vita al coordinamento;
- l’accordo rispetto al territorio: per far funzionare il coordinamento, tutte le organizzazioni coinvolte devono
concordare sulla partecipazione di tutte le altre.
I diversi gruppi di una stessa comunità che decidono di lavorare insieme devono considerare diversi aspetti:
- occorre identificare un tema comune e lavorare in direzione di obiettivi condivisi; ogni gruppo deve avere
un ruolo chiaro e differente che rifletta la propria particolare potenzialità;
- l’uguaglianza e la parità di tutti i soggetti coinvolti nella progettazione;
- la conoscenza reciproca tra i membri del gruppo che permette una maggiore apertura al dialogo e alla
fiducia;
- identificare tratti comuni tra i gruppi ( abitudini, credenze, comportamenti);
- identificare le forze e le risorse di ciascun gruppo, in modo da poterli utilizzare e scambiare all’interno del
processo relazionale;
- identificare i conflitti, cercando di trasformarli in capacità e relazioni migliori, in opportunità per
raggiungere obiettivi comuni;
- cercare un contatto frequente e cooperazione tra i gruppi per superare l’iniziale sentimento di diffidenza e
pregiudizi reciproci e sviluppare fiducia;
- cercare un sostegno istituzionale per promuovere e rafforzare le relazioni tra i gruppi.
Cap. 9: Animare gruppi e condurre riunioni
Il gruppo è un soggetto fondamentale nell’approccio di comunità, in quanto:
- è una grande risorsa per il cambiamento, sia individuale che sociale;
- permette di acquisire ed esercitare potere;
- permette agli individui di darsi reciproco sostegno e di rinforzare l’identità;
- è una preziosa palestra per creare, sperimentare e mantenere relazioni;
- è un importante strumento di leadership collettiva.
Il gruppo è il luogo della partecipazione e del cambiamento, dell’incontro, della mediazione e dell'intesa, ma
è anche il luogo dello scontro, dell’incomprensione e della divisione.
Non sempre il tempo speso in attività di gruppo è un tempo qualitativamente ben speso e produttivo, sia
rispetto agli obiettivi del gruppo sia per le esigenze della persona. Saper lavorare in gruppo è fondamentale
per lavorare nella comunità.
All’operatore di comunità è richiesto non solo di saper lavorare in gruppo,ma di saper animare, coordinare e
facilitare i gruppi con cui lavora: coordinare gruppi in modo flessibile e dinamico, senza ricorrere a
procedure rigide che impoveriscano la creatività e la vitalità , non sempre è facile ed è necessario conoscerli
bene, avere molta familiarità con il gruppo e sentirsi a proprio agio.
Per una valutazione del gruppo è utile soffermarsi sull’equilibrio tra dimensione interna e esterna: la
dimensione esterna è quella dell’azione, del compito, dell’obiettivo da raggiungere; la dimensione interna
riguarda l’organizzazione, le procedure, le relazioni tra i membri e la loro soddisfazione.
Quando l’investimento è squilibrato verso una delle due dimensioni, il gruppo va incontro a dei problemi (
demotivazione, insoddisfazione..). La linea di confine tra investimento sull’interno e sull’esterno varia con le
diverse fasi del gruppo nel suo percorso di sviluppo:
- fase dell’isolamento o dell’estraneità;
- fase dell’esplorazione o della socializzazione
- fase della cooperazione
- fase della coesione e dell’azione integrata.
Nelle fasi iniziali, quando si tratta di formare il gruppo, l’investimento è prevalentemente centrato
sull’interno; nelle fasi più mature, si sposta verso obiettivi esterni, quindi verso l’azione.
Le due situazioni che si incontrano più frequentemente nel lavoro di comunità sono:
- gli incontri di discussione
- le riunioni di gruppo
nei quali si possono distinguere tre aspetti distinti, ma tra loro interdipendenti:
- l’area del contenuto, che comprende tutto quello che riguarda il compito, cioè gli obiettivi da raggiungere e
i risultati raggiunti;
- l’area dei processi sociali, che comprende tutti gli aspetti relazionali che chiamiamo interazione di gruppo:
lo sviluppo, l’autostima del gruppo, il clima, la capacità di rischiare, le difese di gruppo, il conformismo,
l’emarginazione, il senso di comunità, la collaborazione, i conflitti, la competizione;
- l’area del metodo, che comprende tutto ciò che riguarda il metodo di lavoro e l’organizzazione del gruppo.
L’incontro di discussione è il livello più semplice del lavoro di gruppo, non c’ è alcuna decisione da
prendere, il risultato è quello di arricchire le conoscenze dei partecipanti su un determinato argomento, per
cui le idee diverse possono coesistere e il compito del facilitatore è quello di facilitare la partecipazione e la
comunicazione.
Le riunioni sono luoghi di decisione, di esercizio del potere e rappresentano un anello centrale della vita
delle organizzazioni e delle comunità. Si possono individuare quattro tipi di riunione:
- informativa, caratterizzata da una comunicazione prevalentemente unidirezionale e viene utilizzata per
diffondere informazioni o per dare indirizzi politici o operativi. Viene richiesto un atteggiamento “ricettivo-
passivo”, nel senso che le persone ascoltano e fanno domande di chiarimento;
- consultiva, in cui ai partecipanti viene chiesto di esprimere opinioni, proposte, informazioni utili per
prendere decisioni e elaborare piani di lavoro. Le persone forniscono il proprio contributo, ma non hanno
responsabilità diretta sulle decisioni ;
- elaborativa, il tipo di riunione più complessa, in quanto prevede progettazione, analisi, verifica ,
elaborazione, soluzione dei problemi e discussione. E’ previsto un massimo di 15 persone come partecipanti.
Si chiede al gruppo di assumersi la responsabilità diretta del lavoro che sta compiendo
- decisoria, che rappresenta il momento formale della decisionalità collettiva. Si chiede al gruppo di
assumersi la responsabilità diretta del lavoro che sta compiendo.
I problemi che si incontrano di frequente nelle riunioni sono:
- problemi legati alla gestione della comunicazione: basso livello di ascolto, comunicazioni poco chiare,
troppe informazioni da gestire
- problemi legati al “come si lavora”: confusione tra cosa si discute e come; manca un filo comune, per cui
ognuno discute contemporaneamente di aspetti diversi; attacchi personali, scorrettezze nel processo
decisionale.
- problemi legati al potere del gruppo e alla gestione dell’autorità: poca chiarezza sui confini di potere del
gruppo;
- lotte di potere e conflitti di leadership: ruoli diversi giocati contemporaneamente senza chiarezza, scarsa
partecipazione;
- atteggiamenti di accondiscendenza: si tende ad accettare tutto ciò che viene dall’autorità senza discussione;
- atteggiamenti di contro-dipendenza: si tende a rifiutare tutto ciò che viene dall’autorità senza discussione.
- Problemi legati agli aspetti logistici e organizzativi: orari di inizio e chiusura non definiti; presenza di
elementi di disturbo durante la riunione, strutture non adeguate per le riunioni
Un metodo per condurre le riunioni: il Metodo Interaction
E’ un metodo elaborato negli stati Uniti e introdotto in Italia intorno agli anni ’80 da Martini e De Pietro;
rappresenta un approccio “olistico” alla riunione, in quanto presta attenzione agli aspetti strutturali, a quelli
operativi e alle dinamiche relazionali presenti nelle riunione. Elementi chiave di questo metodo sono:
- la gestione della riunione con una modalità di lavoro collaborativa per garantire una migliore funzionalità
della riunione, attraverso l’uso di una metodologia adeguata e gestita correttamente;
- l’attenzione e la valorizzazione delle aree della creatività, dell’immaginazione, delle emotività, dei
sentimenti che ciascuna persona e il gruppo nel suo insieme possiedono.
Il metodo utilizza numerosi strumenti per “dare energia” al gruppo e per instaurare un clima che favorisca
l’espansione, intendendo con questo termine il processo di dilatazione delle risorse del gruppo in un
ambiente non minaccioso.
L’alto livello di conflittualità è un fenomeno molto diffuso nelle riunioni. Il metodo Interaction propone di
mantenere il conflitto strettamente sul piano concreto dei contenuti:
- confrontarsi sul concreto significa scomporlo, analizzarlo, valutarlo, elaborarlo;
- creare un distacco dalla situazione che permette di renderla “oggettiva”, prescindendo dalle percezioni o
dalle opinioni personali.
Il nome Interaction, dato a questo metodo di conduzione della riunione, significa relazione, interazione dei
quattro soggetti presenti alla riunione:
- il facilitatore, figura dinamica, che svolge una funzione determinante all’interno del gruppo, ma al tempo
stessa distaccata: ha il compito di facilitare il funzionamento della riunione, senza entrare nel merito dei
contenuti in discussione con proposte, idee o valutazioni, operando sulla gestione delle modalità di lavoro
attraverso le quali il gruppo può perseguire gli obiettivi fissati;
- il memorizzatore: nelle riunioni, essendo numerosa la quantità di informazioni, è necessaria, oltre ad una
memoria a lungo termine, anche una memoria a breve termine, che consente al gruppo di avere sott’occhio in
qualsiasi momento tutti i dati che vengono prodotti nel corso della riunione.
Il metodo Interaction utilizza come strumento la memoria del gruppo, che consente di avere a disposizione
non solo tutti i contenuti prodotti, ma anche i contenuti di momenti precedenti.
Il memorizzatore è colui che costruisce la memoria del gruppo, trascrivendo i contributi di tutti, attenendosi
il più possibile alle parole dette; suo compito è anche organizzare la memoria a breve termine e quella a
lungo termine. Come il facilitatore è una figura neutrale: non contribuisce e non interviene nel merito dei
contenuti.
- il capo ( in gruppi a struttura verticale)o presidente, coordinatore (in gruppi a struttura orizzontale). Il capo
è il partecipante più attivo, è colui che conduce la riunione, che pone domande, che stimola opinioni, che
gestisce il conflitto.
Solitamente convoca la riunione e, quindi, è anche colui che la prepara: preparare una riunione significa
definirne il tipo in riferimento agli obiettivi, chiarire cosa ci si aspetta da essa e come verrà utilizzato il
risultato del lavoro collettivo, calibrare le aspettative on le risorse disponibili.
Il coordinatore è la persona con funzioni di leadership in qualsiasi gruppo di tipo orizzontale. Il ruolo del
coordinatore differisce da quello del capo in quanto nelle strutture orizzontali, le decisioni finali spettano al
gruppo e non alla persona con maggiore autorità. Di solito il coordinatore è anche il conduttore della
riunione, nel senso che interviene attivamente sui contenuti e nello stesso tempo si occupa dei processi
operativi e relazionali. E’ la persona con maggiori competenze e influenza all’interno del gruppo.
- il membro del gruppo, che ha il compito di far presente che il facilitatore e il memorizzatore non rispettano
la posizione di neutralità. La riunione appartiene al gruppo: è il gruppo nel suo insieme che gioca il ruolo di
protagonista e che riempie la riunione di contenuti.
Preparazione della riunione:
Buona parte della funzionalità della riunione dipende da una adeguata preparazione. L’agenda rappresenta il
progetto e il programma della riunione.
Il compito da affidare alla riunione deve essere proporzionato alle risorse, non deve essere troppo banale o
scontato, le persone devono essere informate in anticipo; informare in anticipo significa definire a priori i
limiti del potere del gruppo e non agire sulla base di percezioni soggettive spesso contrastanti tra loro.
Nel caso la riunione sia decisionale è necessario che venga chiarito, in apertura della riunione o anche
nell’agenda, chi prenderà la decisione finale. Se è prevista una decisione consensuale e il consenso non viene
raggiunto dovrà essere precisato in anticipo quale sarà la soluzione a cui si farà ricorso.
Per preparare adeguatamente la riunione è opportuno rispondere alle seguenti domande: quali sono le
persone e /o il gruppo da coinvolgere? qual è l’obiettivo della riunione? di che tipo di riunione si tratta? quali
sono i risultati concreti attesi dalla riunione?
Se è necessario preparare e inviare materiale di consultazione per i partecipanti attraverso quali attività e
tecniche verranno conseguiti i risultati e con che tempi.
Le modalità di decisione
Quando un gruppo deve decidere, generalmente l’attenzione dei membri è centrata sul contenuto della
decisione ( il cosa) e raramente sulle modalità con cui si giunge a decidere ( il come).
Le modalità decisionali prevalenti sono le seguenti:
- decisione direttiva: una persona prende la decisione
- decisione minoritaria: un ristretto numero di persone prende la decisione
- decisione maggioritaria: la maggioranza prende la decisione
- decisione consensuale: tutti sono d’accordo sulla decisione finale, anche se non per tutti è la decisione
migliore. Il consenso si raggiunge quando la comunicazione è stata molto aperta e c’è fiducia reciproca tra i
membri. Una decisione presa con il consenso di tutti garantisce un maggior senso di responsabilità e aumenta
la motivazione a realizzare ciò che si è contribuito a scegliere;
- decisione unanime: per tutti la decisione rappresenta la scelta migliore
Non esiste una modalità decisionale migliore di altre, la scelta di come si decide dipende da molte variabili:
- tempo a disposizione
- competenze necessarie e disponibili
- importanza della questione
- necessità di avere un responsabilità condivisa il più possibile
Ciascun metodo può presentare dei rischi:
- il metodo direttivo può diventare autoritario e disincentivare la partecipazione e il senso del lavoro
collettivo;
- nel metodo minoritario il potere è solo di alcune persone, mentre le altre assistono in silenzio;
- nel metodo maggioritario, se le posizioni della maggioranza vengono definite troppo in anticipo può
succedere che la discussione, il chiarimento e la ricerca di accordo sono percepite come inutili;
- nel metodo consensuale, l’essere tutti d’accordo può diventare l’obiettivo prioritario, spesso a scapito della
qualità della decisione;
- nel metodo unanime ( definito “unanimismo”) tutti dicono sì a una proposta, ma spesso è un sì senza
discussione, senza interesse, molto spesso senza accordo: le persone non sono responsabilizzate, tendono a
dimenticare gli impegni e non dimostrano interesse nei risultati prodotti dalla decisione.
Cap. 10: la soluzione collaborativa dei problemi
Per problema si intende una situazione nella quale un soggetto, individuale o collettivo, trova una mancanza
che è motivo di insoddisfazione e da questo nascono la motivazione e intenzione al cambiare la situazione e
a trasformare la realtà.
Infatti nell’essere umano c’è una naturale tendenza a risolvere i problemi che incontra sul suo cammino; ciò
che è un problema per qualcuno, può non esserlo per un altro e nel riconoscere un problema entrano in gioco
non solo elementi razionali, ma anche irrazionali, quali la cultura, i valori, i sentimenti, i bisogni.
Non esiste un unico modo per spiegare i problemi, né un’unica metodologia di problem solving. Anche nel
lavoro di comunità si devono affrontare e risolvere problemi. L’attività di problem solving collaborativo, di
progettazione partecipata, di valutazione partecipata, è uno strumento fondamentale del lavoro di comunità:
aiutare a risolvere i problemi della comunità non solo dà la misura delle sua competenza e della sua abilità
nel soddisfare i bisogni dei suoi membri, ma promuove lo sviluppo e la crescita della comunità stessa.
Generalmente quando siamo chiamati a risolvere un problema, concentriamo la nostra attenzione al suo
contenuto, “il cosa”; raramente poniamo attenzione “al come” si possa giungere ad una soluzione, alle
modalità , al processo.
Il processo di soluzione dei problemi in situazioni collettive può contare su numerose teorie e tecniche, ma è
estremamente delicato in quanto se, da una parte può contare su molte risorse, dall’altro rischia di diventare
caotico e dispersivo, se non viene condotto correttamente.
Occorrono, quindi, degli accorgimenti: individuare modalità per focalizzare l’attenzione sulla stessa cosa
nello stesso momento; aiutare il gruppo a soffermarsi maggiormente sul problema, controllando la tendenza a
passare subito alla soluzione; aiutare il gruppo a descrivere il problema come qualcosa che si può affrontare e
risolvere; stimolare aspetti del pensiero creativi, emotivi ed affettivi, in quanto il processo di soluzione dei
problemi non si basa solo su funzioni cerebrali di tipo razionale e logico.
Un problema è una situazione che qualcuno vuole cambiare, è affrontabile, risolvibile e descrivibile in
termini di risultati attesi. Risolvere un problema è quindi cambiare una situazione:
____A_____________problem solving __________________B___________
PROBLEMA SOLUZIONE
Le fasi del processo di soluzione collaborativa di un problema
Il problem solving collaborativo si suddivide in 7 fasi:
- percezione del problema
- definizione del problema
- analisi del problema
- produzione di soluzioni alternative
- valutazione
- decisione
- piano d’azione
Il problem solving non è un processo lineare, ma spiraliforme, nel senso che la successione delle varie fasi si
ripete per diversi aspetti in momenti diversi.
Nelle prime tre fasi:percezione, definizione, analisi del problema, la focalizzazione è sul problema e non
sulle possibili soluzioni, che avviene invece nelle fasi successive: produzione di soluzioni alternative,
valutazione, decisione e piano d’azione.
La percezione del problema: la percezione è rappresentata da quella serie di domande, di sensazioni, sintomi
che denunciano la presenza di un problema.
Il momento della percezione è legato con l’ammettere, il riconoscere che il problema esiste e quindi con il
desiderio di affrontarlo piuttosto che negarlo o trattarlo superficialmente.
La definizione del problema: in questa fase si cerca di capire “cosa” sia il problema; si comincia a delineare
un’area entro la quale il problema agisce e nella quale si potrà trovare anche la soluzione. E’ importante nella
definizione porre attenzione a come si descrive il problema.
Per rendere le definizioni più precise, si può utilizzare la tecnica di porre il problema sotto forma di domanda
aperta e poi focalizzare l’attenzione su parole chiavi come “migliorare” o “vita sociale”, cercando di
specificare al massimo cosa si intende con esse.
L’analisi del problema: in questa fase ci si chiede il “perché” una certa situazione sia un problema e come se
lo spiegano i soggetti che lo vivono, da quali fattori sia influenzato.
Il processo di analisi è un processo di comprensione attraverso la scomposizione del problema nelle parti più
elementari. In questa fase si raccolgono e si organizzano le informazioni che devono essere complete e
corrette. E’ il processo di identificazione delle “cause” del problema e delle loro interconnessioni; intendendo
per cause i fattori che possono influenzare il problema.
Un sistema comunemente usato per l’analisi del rapporto cause- effetti è quello denominato “lisca di pesce”,
in virtù delle caratteristiche topografiche che assume.
Prima di cominciare l’analisi del problema, i membri del gruppo devono averlo scelto e definito chiaramente;
deve essere chiaro, cioè, che cosa effettivamente non va, non funziona, non piace e si vuole cambiare, quale
meta ci si prefigge.
Nell’affrontare l’analisi del problema, la prima attività da compiere è l’individuazione di categorie attraverso
cui organizzare e collocare i fattori che influenzano i problemi; occorre, cioè, disporre di aree all’interno
delle quali ricercare le possibili cause.
Es: in una scuola si possono formare i seguenti raggruppamenti: insegnanti, metodi, studenti, materiali
didattici; in un distretto socio-sanitario: gli operatori, i metodi di lavoro, gli utenti, l’ambiente.
La tecnica più impiegata comunemente per identificare le cause di un problema è il brainstorming ( che
significa “ tempesta di cervello”): ogni membro, a turno, suggerisce una possibile causa e indica a quale
categoria vuole riferirla.
E’ una tecnica adatta per sviluppare la creatività del gruppo; le idee ottenute devono essere, poi, valutate
criticamente con lo scopo di individuare le più probabili all’interno di ogni categoria. E’ stata inventata da
Osborn circa 50 anni fa e si basa su due regole fondamentali:
- sospensione di qualsiasi giudizio o discussione durante questa attività;
- produrre di molte idee, per cui anche le soluzioni più strane possono essere “buone”.
Le tecniche che si possono impiegare a tale scopo sono:
- contraddittorio: una persona impiega 30 secondi per parlare a favore di una causa, un’altra persona impiega
30 secondi per parlare contro la stessa; ogni causa viene confrontata con i cambiamenti avvenuti e che
possono avere un qualche
- rapporto con il problema; analisi del “pro” e del “contro” rispetto a ciascuna causa;
- pesatura accoppiata: ogni causa viene confrontata con le altre
- votazione: ogni causa viene messa ai voti
- La produzione di soluzioni alternative: è la fase più creativa dell’intero processo; il momento in cui le
persone , dopo aver esaminato tutti i dati, cominciano a produrre tutte le soluzioni possibili.
La tecnica del brainstorming presenta in questa fase la sua massima utilizzabilità, in quanto con questo
strumento si intende lasciare libera la creatività e produrre il maggior numero di idee possibili su un dato
tema.
- La valutazione delle alternative: una volta disponibili un ampio numero di alternative di soluzione, il
compito del gruppo è quello di valutarle criticamente, per scegliere quella che meglio risponde alle esigenze
del gruppo.
Quando si sceglie, si fa sempre riferimento ad alcuni criteri con i quali raffrontare le alternative per valutarle.
I criteri possono essere:
- vincoli, come nel caso dei criteri primari, che richiedono una risposta: si o no
- segnalatori di percorso, che servono per orientarsi nella scelta, come nel caso dei criteri secondari.
Da considerare nella valutazione delle alternative sono le competenze che una soluzione richiede per essere
efficace e il potere che occorre per la realizzazione della soluzione.
- La decisione: se il processo è stato seguito correttamente, il momento della decisione non dovrebbe
presentare disaccordi, riserve o posizioni diverse. Spesso una soluzione consensuale non significa la miglior
soluzione per tutti; essa deve, però, rappresentare una decisione in cui tutti si possono riconoscere e che tutti
sono pronti a sostenere.
- Il piano di azione: una volta presa la decisione relativa all’azione da intraprendere per affrontare il
problema, occorre definire il piano di azione, necessario per rendere operativa la decisione presa.
Occorre definire con chiarezza la sequenza della azioni da realizzare:
- chi: vanno definiti i diversi ruoli, tra gli attori coinvolti;
- cosa: va definito cosa deve fare ciascun ruolo;
- come: in che modo, con che metodo, strumenti e tecniche va realizzata ciascuna azione;
- quando: va definita la sequenza temporale delle azioni e delle verifiche;
- dove: il luogo in cui le azioni vanno realizzate;
- risorse: con quali risorse si pensa di realizzare l’azione.
Per garantire il successo nell’identificazione del problema sono componenti essenziali:
- l’importanza attribuita al problema, che indica il grado di disagio che il problema provoca alla persona o al
gruppo e il conseguente desiderio di cambiamento. Un problema riconosciuto come importante è in grado di
mobilitare le energie alla ricerca di una soluzione;
- la competenza, intesa come l’insieme delle conoscenze, delle abilità, degli strumenti che sono necessari per
affrontare con successo il problema. La percezione della propria competenza è collegata a due aspetti
fondamentali:
1) la percezione e l’anticipazione del successo, che rappresentano una molla motivazionale molto forte
2) l’autostima personale e di gruppo: il potere , inteso come “possibilità di produrre o impedire cambiamenti”
Per risolvere un problema non basta avere le competenze per risolverlo, ma è necessario che le persone
abbiano il potere per farlo; occorre, cioè, che il problema ricada nell’area nella quale le persone possono
esercitare una reale influenza.
La percezione del proprio potere è correlata con la capacità di avere successo: chi ritiene di avere potere, va
incontro al successo ed è in grado di intraprendere azioni di cambiamento.
Cap. 11: la mediazione dei conflitti nel lavoro di comunità
Nel lavoro di comunità i conflitti sono ricorrenti almeno in due ambiti:
- nei processi di collaborazione tra gli attori sociali
- nelle relazioni di convivenza tra i membri della comunità.
Il problema non è tanto la presenza del conflitto, quasi naturale, quanto il comportamento che si adotta per
gestirlo o per risolverlo: coinvolgere la comunità nell’azione di mediazione del conflitto è, spesso, l’unica
strada percorribile per gestirlo e, in alcuni casi, per trasformarlo in energia per migliorare la qualità della vita.
L’approccio di comunità al conflitto si basa su alcuni principi che diventano criteri-guida:
- la comunità è il contesto del conflitto, ma ne è anche il soggetto, per cui è anche il soggetto della
mediazione;
- nella comunità si possono trovare le competenze necessarie per affrontare situazioni di conflitto;
- molti conflitti non possono essere risolti, ma trasformati; se non è possibile risolvere tutti i conflitti, è
possibile lavorare per limitarne le conseguenze negative, sostenendo comportamenti non violenti e non
distruttivi;
- alcuni conflitti possono essere impiegati come risorsa per il cambiamento e lo sviluppo delle
competenze;
- occorre alimentare la fiducia considerato bene supremo, risorsa preziosa della comunità, che nelle
situazioni di conflitto viene a mancare.
L’approccio di comunità indica una strada precisa di gestione del conflitto: la mediazione e la pratica della
relazione. Per intervenire nel conflitto occorre non averne paura, saperlo leggere e, quindi, comprenderlo.
Ingredienti essenziali per poter parlare di conflitto sono:
- gli attori: i soggetti, almeno due, detti configgenti;
- gli atteggiamenti e i sentimenti che suscita
- le azioni e comportamenti che origina ( difesa, attacco, chiusura o aggressione )
- la materia del contendere: il contenuto del conflitto
- il contesto: il luogo fisico e sociale nel quale si verifica
I conflitti avvengono in luoghi precisi e tra soggetti che sono in relazione: se non c’è relazione non c’è
possibilità di conflitto. Il conflitto è una modalità di comunicazione, è una costruzione sociale, ma è anche
una situazione di crisi e, quindi, ricca di potenzialità di cambiamento, in quanto nessuno ama stare in una
situazione che crea disagio, disorientamento, insicurezza. Per comprendere un conflitto occorre domandarsi:
- in quale contesto si manifesta
- a cosa serve quel conflitto
- quali bisogni, desideri, valori, idee, affetti sono implicati
- quali sentimenti provano i confliggenti e quali sono i loro comportamenti in relazione al conflitto,
- come viene gestito il conflitto, con quale strategia
- quali effetti provoca: positivi-negativi
- quali costi da sostenere: materiali, sociali, psicologi
L’approccio eco-sistemico suggerisce che il conflitto avviene sempre all’interno di un sistema che
comprende le parti del conflitto. Il primo passo per identificare strategie di gestione efficaci è costruire la
mappa degli attori o dei soggetti in gioco e di ciascuno conoscere aspetti quali preoccupazioni, esigenze,
sentimenti prevalenti, comportamenti, responsabilità. La mediazione è una pratica di gestione dei conflitti
che si è diffusa negli ultimi decenni in molti paesi e che può essere definita come un processo informale, ma
strutturato, dove le parti in conflitto si incontrano volontariamente, assistite da una terza parte imparziale per
parlare del conflitto stesso.
La mediazione è un percorso, un cammino che i confliggenti accettano di fare insieme, per motivi diversi,
guidati dal mediatore indicato come il “terzo”, che deve essere neutrale e deve godere della fiducia delle
parti, oltre ad essere autorevole ai loro occhi: l’assenza di potere è, quindi, un elemento costituivo, che
permette al mediatore di sentirsi libero di agire ed essere trasparente nel comunicare.
La mediazione può essere un servizio nuovo, un luogo in cui chi entra in conflitto può trovare ascolto e aiuto,
come è il caso della “Mediazione familiare” erogata presso i centri per le famiglie.
Ma la mediazione può essere anche un progetto di comunità, un modo per coinvolgere cittadini attivi, gruppi
e associazioni a collaborare per migliorare la qualità della vita: è il caso del “Progetto mediazione” del
Centro servizi del volontariato di Modena; oppure il progetto “Roma sicura”, nel quale alla mediazione
sociale viene affidato il compito di promuovere la partecipazione attiva della comunità locale, dei cittadini
che diventano protagonisti di azioni tese a migliorare la qualità della vita e per promuovere sicurezza.
La negoziazione
La negoziazione è un processo di problem solving nel quale due o più soggetti, portatori di interessi in
contrasto, cercano una soluzione accettabile per entrambi, in modo da salvaguardare la relazione e soddisfare
il proprio interesse.
La negoziazione avviene quando un problema coinvolge due o più attori, nessuno dei quali può risolvere il
problema da solo e può imporre all’altro la sua soluzione.
Esistono due forme di negoziazione:
- la negoziazione delle posizioni, che consiste nel prendere e rinunciare a una sequenza di posizioni, fino a
raggiungere un accordo possibile per le parti;
- la negoziazione del merito, che presume che si assumono diverse posizioni per soddisfare bisogni o
interessi sui quali deve centrarsi l’attenzione.
Una buona negoziazione separa la persona dal problema che si deve risolvere, presta attenzione agli interessi,
si basa su un’ampia varietà di alternative.
Per facilitare un processo di negoziazione occorre godere della fiducia delle parti: il processo funziona se la
fiducia che gli attori non sono in grado di accordarsi reciprocamente, viene riconosciuta da entrambi a una
terza persona, che non parteggia, ma è alleato di entrambi e lavora per soddisfare i loro interessi, aiutandoli a
trovare una soluzione che soddisfi le esigenze di entrambi.
Ruolo dell’operatore di comunità nelle situazioni di conflitto
Il compito dell’operatore di comunità è quello di contribuire a rendere i cittadini sempre più competenti e
attivi e non utenti passivi.
Per chi fa lavoro di comunità il conflitto è un momento importante, ma non l’unico aspetto di cui occuparsi,
perché un operatore di comunità guarda alla vita della comunità come a un insieme costituito di tante parti,
che meritano tutte attenzione e cura.
Chi fa lavoro di comunità non interviene nella comunità al momento del conflitto; è presente nella comunità,
costruisce rapporti e cura relazioni; collabora alla ricerca di soluzioni di problemi che non necessariamente
sono definiti come conflitti.
L’intervento nel conflitto è solo un momento del suo lavoro, inserito in un percorso che è quello della
comunità.