Enzo Noè Girardi Il soggettivismo...

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2 VOLUME Scaffale della critica 1 Ugo Foscolo G. Il Neoclassicismo e il Romanticismo N ell’interpretazione di Enzo Noè Girardi, la presenza dell’io nell’opera d’arte è una novità portata da Foscolo nella letteratura italiana; io che viene inteso non solo, come nel caso di Alfieri, in quanto contenuto, ma soprattutto in quanto fatto d’arte, cioè che determina la stessa struttura forma- le delle opere foscoliane. Il soggettivismo foscoliano, però, presente nell’Ortis e in alcuni sonetti, ostacola la piena riuscita dell’opera del poeta: al contrario, la sua totale assenza – come nelle Odi e nelle Gra- zie – ne provoca addirittura il fallimento artistico. Le opere migliori sono quelle in cui Foscolo tiene a bada il proprio io, il quale è indirettamente posto al centro dell’opera attraverso l’utilizzo di grandi miti o di grandi figure esemplari, come avviene in alcuni sonetti e, soprattutto, nei Sepolcri. Punti chiave: La presenza dell’io foscoliano La struttura spazio-temporale dei Sepolcri Le immagini e gli episodi poetici come argomento essenziale del carme Ecco dunque la poesia foscoliana, simile agli «orti de’ suburbani avelli» cari alle «britan- ne vergini», farsi, con i Sepolcri, per così dire, periferica rispetto ai valori della vita e alla realtà presente; e non più solo nel senso in cui sono periferiche, rispetto al mondo citta- dino e alle vicende politiche contemporanee, la figura e la vicenda di Jacopo; ma anche in un senso formale o strutturale. Così, mentre nell’Ortis il rilievo del protagonista è tale da costituire il centro al quale traggon d’ogni parte i pesi, qui invece il movimento è dal centro al cerchio, rivelandosi l’io foscoliano non più tanto nella sua propria, scoperta figura, pur chiaramente posta fin dal principio a fondamento di tutto, del negare (… Ove più il sole per me alla terra non fecondi… qual fia ristoro, ecc.?), come dell’affermare (… A noi morte apparecchi riposato albergo, ecc.); ma soprattutto (altro aspetto di «verecondia») nella varia e pur concordemente signi- ficativa qualità dei suoi simboli poetici, tutti improntati a quella “pietas” di se stesso e d’altrui dalla quale il carme trae la sua ragion d’essere, e il poeta la sua nuova possibilità di esprimersi. In altri termini, il Foscolo è sì, idealmente, sempre al centro; ma, in concreto, appare poco, o piuttosto lo si vede rappresentato da figure di poeti e di vati solitari, rifiutati, voci che gridano nel deserto, lontani dalla vita e dal presente. Eccolo in Alfieri, che «errava muto ove Arno è più deserto», cui «nullo vivente aspetto… molcea la cura», e con sul volto «il pallor della morte e la speranza». Eccolo in Omero che abbraccia l’urne e le in- terroga, cieco e mendico; e nella inascoltata profetessa Cassandra che «guidava i nepoti, e l’amoroso / apprendeva lamento ai giovinetti», soli in grado di sperimentare un giorno la verità della profezia; e nella stessa musa Talia, vagante alla ricerca del suo Parini fuori dalle mura di una città, che, dentro, accoglie e mantiene «evirati cantori». 5 10 15 20 25 Enzo Noè Girardi Il soggettivismo foscoliano Opera: Saggio sul Foscolo G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A.

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2VOLUME

Scaffale della critica

1

Ugo FoscoloG. Il Neoclassicismo e il Romanticismo

Nell’interpretazione di Enzo Noè Girardi, la presenza dell’io nell’opera d’arte è una novità

portata da Foscolo nella letteratura italiana; io che viene inteso non solo, come nel caso di Alfieri, in quanto contenuto, ma soprattutto in quanto fatto d’arte, cioè che determina la stessa struttura forma-le delle opere foscoliane. Il soggettivismo foscoliano, però, presente nell’Ortis e in alcuni sonetti, ostacola

la piena riuscita dell’opera del poeta: al contrario, la sua totale assenza – come nelle Odi e nelle Gra-zie – ne provoca addirittura il fallimento artistico. Le opere migliori sono quelle in cui Foscolo tiene a bada il proprio io, il quale è indirettamente posto al centro dell’opera attraverso l’utilizzo di grandi miti o di grandi figure esemplari, come avviene in alcuni sonetti e, soprattutto, nei Sepolcri.

Punti chiave: La presenza dell’io foscoliano La struttura spazio-temporale dei Sepolcri Le immagini e gli episodi poetici come argomento essenziale del carme

Ecco dunque la poesia foscoliana, simile agli «orti de’ suburbani avelli» cari alle «britan-ne vergini», farsi, con i Sepolcri, per così dire, periferica rispetto ai valori della vita e alla realtà presente; e non più solo nel senso in cui sono periferiche, rispetto al mondo citta-dino e alle vicende politiche contemporanee, la figura e la vicenda di Jacopo; ma anche in un senso formale o strutturale. Così, mentre nell’Ortis il rilievo del protagonista è tale da costituire il centro al quale traggon d’ogni parte i pesi, qui invece il movimento è dal centro al cerchio, rivelandosi l’io foscoliano non più tanto nella sua propria, scoperta figura, pur chiaramente posta fin dal principio a fondamento di tutto, del negare

(… Ove più il soleper me alla terra non fecondi…qual fia ristoro, ecc.?),

come dell’affermare

(… A noi morte apparecchi riposato albergo, ecc.);

ma soprattutto (altro aspetto di «verecondia») nella varia e pur concordemente signi-ficativa qualità dei suoi simboli poetici, tutti improntati a quella “pietas” di se stesso e d’altrui dalla quale il carme trae la sua ragion d’essere, e il poeta la sua nuova possibilità di esprimersi.In altri termini, il Foscolo è sì, idealmente, sempre al centro; ma, in concreto, appare poco, o piuttosto lo si vede rappresentato da figure di poeti e di vati solitari, rifiutati, voci che gridano nel deserto, lontani dalla vita e dal presente. Eccolo in Alfieri, che «errava muto ove Arno è più deserto», cui «nullo vivente aspetto… molcea la cura», e con sul volto «il pallor della morte e la speranza». Eccolo in Omero che abbraccia l’urne e le in-terroga, cieco e mendico; e nella inascoltata profetessa Cassandra che «guidava i nepoti, e l’amoroso / apprendeva lamento ai giovinetti», soli in grado di sperimentare un giorno la verità della profezia; e nella stessa musa Talia, vagante alla ricerca del suo Parini fuori dalle mura di una città, che, dentro, accoglie e mantiene «evirati cantori».

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Enzo Noè Girardi

Il soggettivismo foscolianoOpera: Saggio sul Foscolo

G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Mottaletteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A.

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E ancora egli si raggiunge e si raffigura nei minori simboli mitologici e naturalistici della morte e della pietà, a lor volta periferici, secondari, rispetto a quella periferia della vita che è la morte stessa: l’«arbore amica», il tiglio «fremente», i «rai di che son pie le stelle / alle obliate sepolture», il «perenne verde», il canto delle Parche, ecc., seguendo tuttavia vittoriosamente quella tendenza alla riduzione in cose del pensiero poetico, per cui il simbolo viene ad identificarsi, pericolosamente, in determinati oggetti simbolici, che già era comparsa nell’Ortis (si ricordino: il «ritratto», il «boschetto dei pini», la «campana dei morti», l’«astro di Venere») e che nelle Grazie si rivelerà inequivocabilmente come un dato negativo.Ma anche la struttura generale del carme, considerata in senso lineare, non fa che di-segnare un movimento d’evasione centrifuga in senso sia temporale, sia spaziale. Si va infatti dal presente del poeta e dell’amico Pindemonte, della «nuova legge», della situa-zione milanese e degli inglesi contemporanei, al passato dei grandi di Firenze e d’Italia; e ancora, movendo contr’al corso del cielo, al passato sempre più remoto e alle terre sempre più lontane dei viaggi giovanili del Pindemonte «oltre l’isole egee», e di Marato-na e dell’antica Troia, che a sua volta fa come da piedistallo a un futuro che sempre più s’infutura nel tempo e nello spazio, da «Oh se mai d’Argo / ove al Tidide e di Laerte al figlio / pascerete i cavalli…» a « Un dì vedrete / mendico un cieco errar…», a «E tu onore di pianti, Ettore, avrai…», fino agli estremi confini del mondo: «…per quante / abbraccia terre il gran padre Oceano», e fino al termine dei tempi: «…e finché il sole / risplenderà su le sciagure umane».È come se il carme, costretto dapprima a muoversi entro i limiti del presente come in una condizione impoetica e contraddittoria, guadagnasse a poco a poco, e non senza un vigoroso strappo («Ah sì, da quella / religiosa pace un Nume parla: / e nutria contro a’ Persi in Maratona ecc.»), i luoghi e i tempi ideali, e con essi la condizione più favorevole a un canto libero e pieno. Talché, se nella prima parte la poesia è raggiunta, malgrado la sostanziale impoeticità dell’argomentazione di base, in virtù degli elementi seconda-ri – attributivi, perifrastici, digressivi – che abbondantemente fioriscono, per così dire, l’argomentazione stessa sì da nasconderla in parte e da correggerne gli effetti essendone alla lor volta corretti, nella seconda parte invece, e cioè a partire dalla ipotiposi1 d’Alfieri, la simbologia poetica viene a far tutt’uno col concetto logico del discorso, ovvero le im-magini e gli episodi poetici non appaiono più ricavati quasi a fatica in virtù di perifrasi e di digressioni dalla argomentazione di fondo, ma costituiscono essi stessi l’argomento essenziale, sviluppato sulla spinta di un’alta e sciolta eloquenza, quale s’addice al nume che parla dalla religiosa pace di Santa Croce, alla morente Elettra, alla profetessa Cassan-dra, allo stesso poeta in quanto evocatore d’eroi, fino all’annuncio conclusivo:

Il sacro vate, placando quelle afflitte alme col canto,

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Enzo Noè Girardi, nato nel 1921, ha insegnato letteratura italiana, storia della critica e teoria della letteratura all’uni-versità Cattolica di Milano, della quale è professore emerito. La sua ricchissima produzione critica spazia da Dante ai con-temporanei; tra i suoi lavori più significativi vanno ricordati l’edizione critica delle Rime di Michelangelo (1967), i saggi danteschi (raccolti in Studi su Dante, 1980, e in Nuovi studi

su Dante, 1987), foscoliani (Saggio sul Foscolo, 1978) e man-zoniani (Struttura e personaggi dei Promessi sposi, 1994).Esperto filologo, ha sempre cercato di inserire le sue lettu-re critiche in un coerente quadro di teoria della letteratura, argomento al quale ha dedicato numerosi saggi pubblicati soprattutto sulle pagine di “Testo”, la rivista da lui fondata nel 1980.

L’AUTORE ENZO NOÈ GIRARDI

1. ipotiposi: figura retorica che consiste nel descrivere una cosa con tanta ric-

chezza di dettagli, vivacità e immediatez-za da farla sembrare davanti gli occhi.

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i prenci argivi eternerà per quante abbraccia terre il gran padre Oceàno. E tu onore di pianti, Ettore, avrai…

Canto libero e pieno, s’è detto. Ma il vantaggio rappresentato da questa recuperata pie-nezza in confronto col travaglioso argomentare dei primi duecento versi, non è poi scon-tato da quel tanto di imitativo, di ricostruito che è proprio di questi cento versi, almeno relativamente ai precedenti?Come i tre primi tempi della mirabile sinfonia – il grave dei vv. 1-50, l’andante di 51-150, e l’allegro eroico di 151-225 – sono tutti costruiti nel travaglio della contraddizione, nello sforzo di un’ardua, precaria, ombrata bellezza, così le rievocazioni di Maratona, di Elettra, di Cassandra, e questo finale sono, sì, solenne e grande poesia; ma solo perché suonano inequivocabilmente come canti di morti e di morte, e solo perché fan parte di un finale e sono, sotto tutti gli aspetti e intrinsecamente, conclusivi. Antica, omerica su-blimità; ma durasse solo un tratto di più, non si sentisse che è precaria, che finisce, e che s’addice solo ad un mondo di ombre mute, e subito ti scadrebbe sul piano di quell’alto artigianato, di quella squisita archeologia poetica dove stanno, appunto, le Grazie.

E. N. Girardi, Saggio sul Foscolo, Spes, Milazzo 1978.

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