Enzo Bassotto - L'Officina degli Angeli

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L’OFFICINA DEGLI ANGELI Enzo e Raffaello Bassotto

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Enzo e Raffaello Bassotto - Libro fotografico sulla fonderia di campane Cavadini di Verona

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L’OFFICINADEGLI ANGELI

Enzo e Raffaello Bassotto

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Riedizione in forma elettronica e reimpaginazione, con l’aggiunta di alcune fotografie inedite, dell’analogo volume cartaceo “L’Officina degli Angeli” di Enzo e Raffaello Bassotto,

con testi di Arrigo Rudi e Livio Dimitriu edito e stampato nel dicembre 1995 dalle

Grafiche Aurora di Verona

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L’OFFICINA DEGLI ANGELI

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L’OFFICINADEGLI ANGELI

Enzo e Raffaello Bassotto

Enbass Photobooks

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Sono andato maturando negli anni, seguendo con attenzione il lavoro dei fratelli Bassotto, fotografi, attraverso i libri che via via venivano pubblicando (libri belli, anzi bellissimi per qualità di immagine e veste editoriale) la convinzione di una certa loro inclinazione ad un sentimento di malinconia o di tristezza percepibile dalle scelte tematiche, dal taglio e dalla luce. È un connotato che in qualche modo unifica ogni soggetto: persone o situazioni, luoghi, architetture e paesaggi. Volti di vecchi, interni di povere famiglie, fabbriche, luoghi del lavoro abbandonati, periferie, oggetti morti, tutti testimoni del tempo che inesorabilmente passa, muta e cancella. Nulla è più triste di ciò che ha perduto ogni ruolo: fissato per sempre nell’immagine fotografica che ci coinvolge comunicandoci una indefinibile inquietudine. E però dalle immagini dei Bassotto è assente la crudeltà (che spesso troviamo in altri fotografi) a cui facilmente potrebbero inclinare i temi, temi che sono restituiti invece con un sentimento di partecipazione (quasi tenerezza) e di passione civile. Quella passione civile che fa del documento fotografico un mezzo per tramandare, per conservare conoscenza e coscienza di tradizioni, di modi del lavoro, di mondi ormai alla soglia della sopravvivenza. Domani sarà la ruspa, il macero e la morte. La fotografia allora è anche stimolo alla presa di coscienza di ciò che è stato, di ciò che aveva senso e valore e che proprio per questo va testimoniato e, perché no, anche materialmente conservato. Quante volte il lavoro di fotografi è stato lavoro di ricerca e di documentazione, primo avvio per il recupero di patrimoni a rischio, suonando come un’accusa, un dito puntato contro la nostra trascuratezza e dimenticanza. Spesso purtroppo a testimonianza dell’irrimediabilmente perduto ci resta solo il documento fotografico: di qui l’inquietudine cui sopra accennavo ed il rimpianto di non avere potuto, di non avere fatto… Veniamo ora a dire di quest’ultima fatica dei Bassotto: altre volte “luoghi” della città e del territorio, questa volta un “luogo” particolare, eccezionale per storia e singolarità.Sono stato introdotto un paio d’anni fa da Massimo Granuzzo, appassionato conoscitore e studioso di campane e campanari (e concertista di campane egli stesso), nel mondo particolarissimo della fusione di campane. Per verità un primo incontro, però alquanto marginale e non più di tanto coinvolgen-te, c’era stato qualche lustro prima in occasione di una mostra dedicata proprio ai fonditori di campane, promossa dal Comune di Verona nel 1979, mostra curata ed ordinata dal prof. Lanfranco Franzoni al museo di Castelvecchio. La mostra traeva spunto dalla presenza da due secoli in Verona della fonderia di campane Cavadini, fonderia che alcuni anni prima (1974) aveva cessato l’attività. Un sabato mattina Granuzzo mi diede appuntamento in Veronetta, via xx Settembre 69, dove mi attendeva il proprietario sig. Luigi Cavadini per essermi da guida. Il luogo è appartato dalla strada, ora silenzioso dopo la chiusura, un luogo probabilmente simile a tanti altri luoghi della città di un tempo in cui lavoro e residenza erano strettamente interconnessi

UN LUOGO E UN POSSIBILE DESTINO Arrigo Rudi (1995)

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in una trama vitale, luoghi oggi tutti cancellati da un processo di trasformazione urbana, di omologazione della città antica a sola funzione residenziale-commerciale. Passato il cancello, percorso lo stretto cortile e varcata la porta è stato subito incanto: una successione di spazi ordinati a seconda del ruolo in cui banchi, attrezzi ed oggetti sembra-vano in attesa di un lavoro che di lì a poco potesse riprendere (come l’ordine di un laboratorio il sabato per la ripresa del lunedì successivo). La mia guida evocava per me con semplicità, chiarezza e precisione, aprendo registri in cui era stato documentato minuziosamente ogni lavoro, mostrando disegni e strumenti, indicando attrezzi e modelli, la storia della fonderia e il processo delle lavorazioni, le distinte e complesse e lunghe operazioni che presiedono alla realizzazione delle campane. Prendevo via via coscienza delle grandi difficoltà del lavoro, della maestria e della sensibilità, dell’ordine e della sequenza di gesti necessari, ma anche della passione del fare e della trepidazione che doveva accompagnare l’attesa quasi miracolosa di un esito che esigeva di essere perfetto per corrispondere al suo destino di campana cioè di un oggetto destinato a produrre suono, ma non un suono qualsivoglia, bensì un suono programmato. Conoscendo, per antica frequentazione di scultori, le fonderie d’arte ne sapevo le abilissime tecniche, ma anche i possibili margini di intervento a posteriori a suturare e a correggere imperfezioni di fusione, mi apparve vieppiù chiara la visita e dalle informazioni che mi venivano fornite la diversa e più alta peculiarità dell’arte del fonditore di campane, un’arte che non può avere alea alcuna. Campane, forme note, campane di chiese e campane di torri, strumenti che hanno scandito da tempo immemore, lungo i secoli, la vita di comunità, regolato col loro suono dall’alba al tramonto il lavoro umano, chiamato a raccolta per cerimonie religiose, feste e riunioni civili. “Sacri Bronzi”: Rengo, Marangona, Campane Magne, Campane Mezzane, Squille… in luoghi come questo venivano ideate, progettate e fuse nel metallo e qui partivano per raggiungere il loro destino di messaggeri. Questa antica Fonderia Veronese di Campane testimoniano per noi oggi i fratelli Bassotto, con splendide immagini a colori che evocano con intensità la vita e il lavoro che vi si svolgeva. Il colore restituisce attraverso una sapiente invenzione (il cromatismo di una “buona” fotografia è sempre invenzione) il tono generale del luogo e l’atmosfera sospesa che in questi spazi si respira. Ma da queste immagini ci viene ancora un sommesso messaggio, tuttavia non secon-dario, ci viene suggerita una domanda: si può lasciare morire una tale testimonianza di una tradizione di lavoro, straordinaria per rarità ed importanza, pervenutaci intatta per la passione e la cura del proprietario, oggi divenutone attento custode, o non sia invece possibile trovare sensibile convergenza di forze pubbliche e private per fare si che questo luogo attraverso gesti sapienti e pazienti, non necessariamente molto onerosi, riviva, così da donare alla città un nuovo piccolo straordinario museo per qualità e senso. È questa la nostra speranza…

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Scrivere di fotografia può avere un significato molto particolare in questa fase della storia della rappresentazione. La fotografia è stata definita come l’arte di disegnare/scrivere con la luce.L’ambiguità connaturata nel concetto di disegnare/scrivere è caratteristica dell’opera di Enzo e Raffaello Bassotto. Si è indotti a chiedersi continuamente dove finisce il disegno e dove inizia il racconto. Come per gli ideogrammi cinesi, queste fotografie svuotate della dimensione sonora trasmettono la rappresentazione del soggetto, ma in virtù dell’inquadratura del sogget-to stesso, della scelta dell’ora del giorno e della luce che ne deriva, diventano pura astrazione. Enzo e Raffaello Bassotto sono forse perfettamente consci del silenzio del mezzo fotografico inteso nell’accezione più letterale. È per questa ragione che l’opera L’Officina degli Angeli è incentrata sul tema di una fabbrica di campane. È la presenza di questa assenza di suono del soggetto fotografico che completa la nozione di perfetto ideogramma cinese, inteso non solo passivamente come nella parola francese le mot, ma anche attivamente come parole. Sotto molti aspetti, queste fotografie parlano nel senso più alto del termine. In queste immagini, sembra di guardare fuori dalla grotta di Platone nel chiaroscuro di un interno di fabbrica. È una nuova grotta, che produce gli angeli e le loro melodie. Da Pindaro a Sant’Agostino e finanche al Cimitero Marino di Paul Valèry, il fruscio delle orme leggere delle colombe bianche danza sul tetto della mia anima. La silenziosa melodia degli angeli vibra nel-la luce, nel metallo, nella polvere, nel colore. E nel sottofondo, parafrasando Anatole France, risuona la voce dei bambini che riflette la voce di Dio e si ripercuote sulla rétina. Dentro la cornice di queste due grotte che si guardano, due camere oscure che dialo-gano, la serie di queste immagini diventa la metafora dell’ambiguità della posizione del piano fotografico, la poietica della prospettiva costruttivista della Rivoluzione Russa. Come nei più compiuti disegni di Malevic, lo spazio si dissolve davanti e dietro al piano fotografico. In mez-zo, sulla soglia arappresentativa tra la realtà e il mondo onirico, si situa l’obiettivo fotografico, l’approssimazione relativamente neutra del medio grandangolo. La stratificazione, l’estrema trasparenza delle profondità sovrapposte della descrizione del soggetto, dalla luce in primo piano, al tema narrativo, alla trama di fondo, tutto ciò evoca la prospettiva. È un vero peccato che negli ambienti architettonici, così retoricamente impegnati in mo-dalità descrittive, si sia dimenticato che la prospettiva fu sviluppata dal Brunelleschi applicando al piano verticale le tecniche cartografiche arabe per meglio rendere la curvatura della Terra sul piano bidimensionale. La curvatura del normale obiettivo fotografico produce in effetti una descrizione della realtà tradotta in piano e stratificata in modo tale da poter essere facilmente digerita dall’occhio della mente. La fotografia registra e riorganizza il mondo per poter navigare con agio e, in ultima analisi, facilitare il consumo. Essa decodifica un mondo in cui la distorsione è la regola. È l’emblema estremo dell’Enigma. Se Marcel Proust cita la fotografia in oltre duecentoquaranta brani scelti del suo A la Recherche du Temps Perdu, il suo interesse è principalmente di carattere cubista. Innanzitut-to, l’immagine in se stessa non è importante, ciò che conta è la sovrapposizione delle immagini. In secondo luogo, la descrizione dell’immagine non è sufficiente. È la fotografia di una descrizione di una scena reale ciò che più conta.

DISEGNARE CON LA LUCE Livio Dimitriu (1995)

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È questa realtà di Secondo grado che la fotografia può ritrarre. Le immagini fotografiche di Enzo e Raffaello Bassotto non descrivono la realtà. Descrivono gli oggetti e gli ambienti che a loro volta sono immagini di una realtà che è altrove e remota. Questi sogni “al quadrato” diventano più veri della realtà stessa. È questa la forza dell’astrazione. È evidente in queste fotografie la connessione tra l’architettura, la pittura cubista e la natura della fotografia. Il soggetto è fisso. Le ombre del soggetto si muovono. L’apparecchio fotografico può muoversi. In uno dei passaggi di questa equazione, il Nudo che Scende le Scale e il Nudo che Scende la Scala a Chiocciola di Delaunay diventano essenziali per decodificare la fotografia, insieme al parco proto-cubista di Buttes-Chaumont e alla successiva Torre Eiffel. Quest’ultima, argomento preferito dei cubisti francesi, altro non è che la versione sche-letrica del cono di zucchero, infinitamente più complicato, che si trova nel Buttes-Chamont.Il soggetto-Parigi è fisso. La rétina dello spettatore fotografa la città da angoli prospettici sempre diversi mano a mano che si sale o si scende. L’apparecchio fotografico che immortala lo spettatore nell’atto di osservare non è altro che un testimone di questa decomposizione del panorama cittadino.

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Giovanni Cavadini, nel giardino della sua fonderia, VeronaEnzo e Raffaello Bassotto - ed 2354 / 1995

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Enzo e Raffaello Bassotto nel febbraio 2008 mentre controllano la stampa di uno dei loro libri.

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Copyright © 2015

per l’edizione – Enbass Photobooksper le fotografie – Enzo e Raffaello Bassottoper i testi – Arrigo Rudi e Livio Dimitriu

•Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in qualsiasi forma, sia meccanica che elettronica

o altro, senza il permesso scritto degli autori

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Finito di impaginare il 13 dicembre 2015giorno di Santa Lucia

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