EMILIA GIULIANIEmilia Giuliani (1813-1850) era figlia di Mauro, straordinario talento chitarristico,...

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E MILIA GIULIANI Opera omnia per chitarra F EDERICA ARTUSO

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EMILIA GIULIANIOpera omniaper chitarra

FEDERICA ARTUSO

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℗ 2020Tactus s.a.s. di Gian Enzo Rossi & C.

www.tactus.it

In copertina / Cover:Franz Nadorp (1794-1876) Ritratto di Emilia Giuliani, Roma, 1839.

MuseumWasserburg,Anholt (de)

Sound engineer: Matteo Costa, Andrea DandoloEditing: Federica Artuso · Mastering: Andrea Dandolo

English translation: Giulia GalvanL’editore è a disposizione degli aventi diritto

Alla memoria di Angela e Rosa / To the memory of Angela and Rosa

Un sentito ringraziamento a / Many thanks toAndrea Bissoli, Marco Riboni, Enrico Pravato, Carlo Valle, Gianna Valle, Stefano Valle,

Michele Brugnaro, Stefano Bissoli, Stefano Lorenzetti,Stefano Trevisan, Laura Bortignon.

TACTUSTermine latino con il quale, in epoca rinascimentale, si indicava quella che oggi è detta «battuta».

The Renaissance Latin term for what is now called a measure.

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Emilia Giuliani, una vita da romanzo

Napoli eVienna: l’opera e la sinfonia, il teatro e il concerto da camera.Vivere fra queste duecapitali era una grande opportunità per un musicista del primo Ottocento; anzi, una doppiaopportunità, che predisponeva alla conoscenza delle due realtà musicali più importanti ecomplementari di quel tempo.

Quanto all’essere figlio d’arte, in qualunque epoca è un indubbio, impagabile vantaggio:un misto di genetica e quotidiana frequentazione, tale da trasformare fin da subito lo studiodella musica in un fatto intimo e ineludibile.

Questo progetto nasce dalla collaborazione con Nicoletta Confalone, che generosamente havoluto rendermi partecipe delle sue ricerche su Emilia Giuliani a partire dalla correzionedelle bozze degli opera omnia da lei curati per dga Editions di Robert Coldwell (Texas,2013).This project is the result of my cooperation with Nicoletta Confalone, who generously invited me toparticipate in her research on Emilia Giuliani, starting from the editing of the opera omnia shecurated for DGA Edition by Robert Coldwell (Texas, 2013).

Federica Artuso

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Emilia Giuliani (1813-1850) era figlia di Mauro, straordinario talento chitarristico,talmente carismatico da conquistare laVienna caput musicae. Grazie a lui, la chitarra dallapiccola voce risuonava nelle più importanti Konzerthallen, addirittura come solista conl’orchestra, e le sue composizioni venivano messe in programma al fianco dei capolavoribeethoveniani.

Dunque, Emilia era figlia d’arte, e visse fra Napoli eVienna la miglior parte della suabreve ma intensa parabola artistica ed umana. Eppure Emilia non fu una vincente: la vitaama la contraddizione, e anche le migliori premesse possono portare a catastroficheconclusioni. Fu il suo caso. Fin da subito. Era figlia illegittima.Mauro aveva due famiglie: luisi era trasferito aVienna,mentre il padre, la madre, la moglie e i tre figlioli stavano aTrieste.A quel tempo, una distanza pesante, così per Mauro, uomo affascinante e intraprendente, funaturale trovare una simil-moglie viennese. Lei era Maria AnnaWiesenberger, detta Nina,una ragazza di buona famiglia, che dovette sopportare anche denunce penali e leconseguenti indagini della occhiuta polizia asburgica per la sua “relazione intima” con unuomo sposato. Ebbero quattro figlie, le prime due registrate all’anagrafe con un cognomedi fantasia,Wilmuth, proprio per non svergognare Nina, e fingere che non fosse la loromadre. Emilia era appunto la terza, venuta al mondo il 23 Aprile 1813 dopo la morteprecoce della secondogenita. Come negare ormai l’esistenza di una famiglia Giulianiviennese? Con un’ulteriore e compiacente acrobazia documentale: la neonata venneregistrata come figlia di una vedova di nome Maria Anna Giuliany e di padre ignoto. Unapietosa nebbia burocratica proteggeva i reali genitori della piccola Emilia, ma il cognomeera conquistato, e l’onorabilità borghese, forse, era salva. Era l’anno di Lipsia, eventocruciale per i destini di Napoleone e dell’Europa tutta, eVienna esultava con il Beethovenpatriottico della Vittoria diWellington. Ma la personale vittoria di Mauro e Nina sarebbe statabreve: appena quattro anni dopo, Nina morì a seguito della nascita di una nuova bambina,che le sopravvisse per qualche settimana; e le disgrazie per Emilia e la sorella maggiore

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Maria non finirono certo qui, perché nell’autunno del 1819 Mauro lasciòVienna in manieratanto precipitosa quanto misteriosa e irrevocabile. Le due bambine rimasero sole in baliadei tutori, anche se periodicamente soggiornavano a Palermo, come testimoniano diversiPassprotokoll, emessi per autorizzare i loro trasferimenti. A Palermo infatti risiedeva la ziaEmanuela con il marito Gaetano Lucci, valente violoncellista in servizio all’orchestra delTeatro Carolino. Grazie a loro, Emilia e Maria potevano avere la confortevole illusione diappartenere ad una famiglia, e siccome Gaetano Lucci era stato a suo tempo il primomaestro di musica di Mauro, viene il sospetto che sia stato il responsabile anche dellaformazione musicale di Emilia, che peraltro fu poi seguita anche da suo padre, quandofinalmente quel che restava della famiglia Giuliani si riunì all’ombra del Vesuvio. Mauro,infatti, nel 1823 approdò a Napoli per assistere il padre morente, maldisposto verso unacittà che sentiva estranea, quasi inconsapevolmente avvertendo che la capitale borbonica glisarebbe stata fatale, poco meno di sei anni dopo, a soli 48 anni non ancora compiuti. E aNapoli arrivarono anche i Lucci, a seguito del nuovo incarico di Gaetano nell’orchestra delTeatro San Carlo, e, da Vienna, Maria ed Emilia, che così smisero finalmente il loroperiglioso pendolare.

Ma anche questa volta la serenità fu assai precaria. Certo, a Napoli Emilia assaporò lagioia di un luminoso debutto, la sera del 6 Febbraio 1828 al prestigiosoTeatro Nuovo; al suofianco c’era Mauro, che, proprio per esaltare il duo con la precoce e brillante figliola, avevaripreso a scrivere per due chitarre, con gli importanti esiti delle Variazioni concertanti op.130e delle Tre polonesi concertanti op.137. Ma al contempo arrivò per Emilia anche la dura provadell’assistenza al padre malato: il confronto grafologico ci svela che era lei a scrivere lelettere per gli editori, che lui caparbiamente le dettava, per ribadire con orgoglio unaprimazia che la malattia e la lontananza da Vienna rendevano via via più fioca; Mauro silimitava a firmarle. Emilia stava al suo capezzale, ma tanta affettuosa dedizione non bastò.Rimase orfana del padre a soli 16 anni.

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Peraltro, non si diede per vinta. I giornali puntualmente recensivano le sue esibizioni,soprattutto negli intermedi teatrali, nient’altro che gli intervalli fra un atto e l’altro deglispettacoli operistici o di prosa. Brevi momenti, che rendono ancora più impressionante lasua capacità di attrarre l’attenzione di un pubblico per sua natura distratto e ciarliero:andare a teatro era prima di tutto un’attività socializzante, in cui l’emozione dell’ascoltoscattava a tratti, potente ma non necessaria, all’apparire di una voce virtuosa. EppureEmilia, che non cantava né suonava uno strumento “cantante”, riusciva a farsi ascoltare conammirazione.Un carisma non da poco, che lei seppe conciliare anche con i tradizionali ruolidi moglie e di madre. Erano tempi avari di diritti per quelle donne che non si sentivanoconcluse nell’essere fattrici e insieme gestrici della vita casalinga. Ruoli femminili perdefinizione, impegnativi ma stretti, perché escludenti qualunque diritto e qualunque ruoloin quel mondo che stava già appena oltre la porta di casa. E l’attività concertistica era benoltre l’uscio, un’autentica trasgressione.

«La musica forse diventerà la sua professione, mentre per te può e deve essere solo unornamento.» A sentenziare così, in una lettera del 1820, è Abraham Mendelssohn, il padredel grande Felix Mendelssohn Bartholdy. L’ammonizione è destinata ad una fanciulla nonmeno ricca di talento, a cui fu preclusa, proprio in quanto donna, tanto una carriera diconcertista quanto la pubblicazione delle sue composizioni: è Fanny Mendelssohn, figlia diAbraham e sorella amatissima di Felix. Il loro padre era un banchiere coltissimo ericchissimo, che, oltretutto, dentro le lussuose mura di casa aveva dato le stesse opportunitàdi studio sia a Felix che a Fanny; e se un illuminato si esprimeva in questi termini,figuriamoci quale poteva essere la mentalità corrente per chi non aveva la fortuna di nascerein un ambiente così favorevole al cimento artistico.

La famiglia di Emilia, come abbiamo visto, era molto più sgangherata, e forse per questaragione lei volle sposarsi con la stessa pervicacia con cui voleva esibirsi in pubblico comechitarrista: ecco a ventun anni le nozze con il musicista Luigi Guglielmi, sedicente

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discendente della famosa schiatta degli operisti Guglielmi, ed effettivamente citato comenipote dei ben più famosi PietroAlessandro e Pietro Carlo; eppure il ramo generato da suopadre Gaetano sembra estraneo al fronzuto albero genealogico dei citati omonimicompositori, per cui sorge il dubbio che la sua prepotente aspirazione ad affermarsi comeoperista lo abbia portato a millantare una parentela inesistente. Un’aspirazione destinata arimanere di fatto irrealizzata, eppure mai doma, che spinse Luigi a lasciare Napoli per cercarfortuna altrove, seguito da Emilia e dai figlioli, che aumentavano ad ogni trasloco, fino araggiungere il ragguardevole numero di quattro. La prima meta fu Roma, poi Firenze, poiil gran salto a Vienna, e poi, infine, Pest. In tutte queste prestigiose piazze Luigi venneapprezzato come cantante, e, ancor più, come maestro di canto. Ma il suo tenace tendereverso gli allori operistici rovinò clamorosamente proprio nel momento decisivo: diventatoil Gesangmeister del Teatro Nazionale di Pest, dove si era trasferito nel 1845 al seguito delConte ungherese Johann Náko, ricevette finalmente l’incarico di mettere in scena una suaopera: Buda liberata. Ma, nonostante i giornali avessero fatto molta pubblicità a questodebutto, Buda liberata si rivelò un fiasco clamoroso.Ormai al ramingo Luigi in cerca di glorianon restava che seguire il Conte Náko in una nuova avventura: l’allestimento di un piccoloteatro nel castello del suo paese natale, Nagykomlós, oggi Comloşu Mare, un villaggio a 250Km da Buda e Pest. Il Conte Náko si dimostrò un antesignano di Ludwig di Baviera,desideroso di avere le star dell’opera pronte a cantare nel suo piccolo scrigno, dopo averassoldato tutto il paesello nella realizzazione degli allestimenti teatrali. Durò molto poco lasua virtuosa utopia: il vento rivoluzionario del 1848 travolse tutto e tutti. Luigi tentò dirientrare a Milano, con l’intento di proporre ad editori e impresari le sue cinque opere, fracui appunto Buda liberata, ma l’astro di GiuseppeVerdi brillava già alto, e non era possibileuscire dall’ombra al cospetto di un tale genio.Emilia rimase a Pest, dove la morte la raggiunse presto, troppo presto, il 25 Novembre1850, a causa di una “febbre putrida”.Aveva 37 anni.

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Fine della storia. Eppure, in questo suo seguire un marito che inseguiva una chimera,Emilia raggiunse dei risultati sicuramente piccini al cospetto della grande storia, ma grandiper una donna, che in quanto donna era priva di diritti civili, politici e del dirittometagiuridico di esprimere il proprio talento d’artista. Grazie ad una notevole capacità diadattamento, non passò mai inosservata nelle tante tappe del suo purtroppo breveperegrinare: a Roma nel 1838 fu ammessa come membro della prestigiosa AccademiaFilarmonica Romana.A Firenze il 25 Giugno 1839 divise un concerto con Franz Liszt, a cuifu addirittura paragonata dai critici viennesi, che esclamarono con ammirazione «Ogni ditoun Liszt!».AVienna l’8 Dicembre 1840 si esibì al Musikverein come solista con l’orchestra,come già era avvenuto in Italia, forse suonando una composizione propria, a tutt’oggisconosciuta. E, soprattutto, Emilia riuscì a pubblicare con i più importanti editori deltempo: Sono dieci i suoi numeri d’opera nel catalogo di Giovanni Ricordi fra il 1834 e il1837, di cui quattro temi con variazioni e sei pot-pourri di ispirazione operistica, mentre aVienna Artaria diede alle stampe la sua opera più matura, i Sei Preludi op. 46.I sei pot-pourri hanno il titolo di Belliniane, con un evidente richiamo alle sei Rossiniane,l’ultimo successo nella carriera di compositore di Mauro Giuliani. È chiaro l’intentodell’imprenditore Ricordi di rinnovare con le Belliniane il grande successo commercialedelle Rossiniane, geniali atti d’opera in miniatura, costruiti sulle irresistibili arie di Rossinigrazie alle doti evocative della chitarra, che, come scrisse Berlioz, «è una piccola orchestra».

Emilia dunque si fa epigono del padre, inserendo nelle sue composizioni addiritturaqualche citazione testuale tratta dalle Rossiniane, ma il suo compito è più arduo rispetto aquello che impegnò Mauro: l’uso delle voci nuovo e ironico con cui Rossini aveva sconvoltoe conquistato le scene era molto diverso dalle «melodie lunghe lunghe lunghe» cosìcaratteristiche della scrittura belliniana, e poco adatte ad uno strumento come la chitarra,che non ha né fiato né arco per sostenere il suono. Emilia si trova al cospetto di uncostruttore di grandi archi melodici, studiati allo scopo di insufflare nelle parole la massima

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espressività; niente a che fare con il trattamento rossiniano delle voci, smaniose dimovimento al punto da straniarsi dal testo, per trovare significato, o assenza di significato,soltanto in se stesse.

Però Emilia è un epigono che sa innovare; così, fra i suoi arpeggi nervosi e inquieti, comesoltanto una donna sa esserlo, nella Belliniana n. 1 ecco una novità strumentale: la melodiache si fa tremolo. Veloci note ripetute, nient’altro che un’illusione di durata tramitel’iterazione della brevità.Dev’essere stata questa una delle magie con cui Emilia conquistavail pubblico, insieme ai Flageolette o flaggioletti o Doppelflageolettöne, nomi vezzosi e complicatiper indicare gli armonici ottavati, di cui le cronache la dichiarano l’inventrice; una bufala innome del marketing, perché già altri ben prima di lei li avevano usati e descritti nei lorotrattati, fra cui proprio Mauro nelle Variazioni op.6 del 1807. Evidentemente la sottileseduzione di questo effetto esaltava la grazia femminile della virtuosa, ma quel che è buffoè la totale assenza di armonici ottavati nelle sue opere date alle stampe. Forse ne eranostraboccanti i 35 numeri d’opera perduti e mai pubblicati, rimasti chissà dove, magari inqualche cassapanca del distrutto castello del Conte Náko? O, più probabilmente, si trattavadi coups de théâtre, nati dall’improvvisazione estemporanea di ulteriori variazioni rispetto aquelle fissate nelle partiture? Mistero. Così come risulta fascinosamente misteriosol’accorgersi che il Preludio op.46 n.5 (1841), con la naturalezza strumentale di cui Emilia eracapace, tenta un’irresistibile discesa delle settime diminuite, chitarristica fino al midollo,che anticipa sottovoce un famosissimo passaggio dell’Etude n. 1 di Heitor Villa-Lobos(1928).

Emilia, dunque, merita di essere ascoltata, al di là delle rivendicazioni di genere, perchéè una musicista sensibile alle sollecitazioni immaginative che la chitarra offre. Perché è unavoce del suo tempo, che, a tratti, sa andare oltre. Perché i suoi grandi occhi neri ci guardano,severi e malinconici, dall’unico ritratto noto, e sembrano rassegnati all’invincibile caducità

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delle cose. Non abbiamo formule magiche per smentire quello sguardo, ma dare suono allesue pagine, dopo tanto silenzio, è una piccola rivincita sul suo destino crudele.

Nicoletta Confalone

Il paradosso di Emilia

Gesta mirabolanti ed esecuzioni ai limiti dell’acrobatico: così vengono descritte le esibizionidi Emilia Giuliani nelle cronache dell’epoca. Pare che il suo intento sia sfidare lo strumentoche imbraccia: ‘Very challenging!’ si direbbe oggi. E il pubblico, pronto a meravigliarsidavanti alle prodezze esibite da chi sta sul palco, applaude con entusiasmo. La bravura delvirtuoso, però, sta anche nel celare agli spettatori lo sforzo necessario a compiere volteggie funambolismi.Quella di Emilia in particolare è una sfida nella sfida perché chi suona la suamusica, oltre a dimostrare grande destrezza nell’esecuzione, deve anche lasciarsi vinceredalla raffinatezza di una musicalità dall’impronta vocale. D’altra parte il tratto checontraddistingue questa chitarrista è la sua passione per l’opera, soprattutto per quella diBellini: non a caso la maggior parte delle sue composizioni sono variazioni o fantasie su ariedel maestro catanese.

Nel repertorio per chitarra può accadere che la musica scritta da compositori che nonsuonano lo strumento necessiti della revisione di chi invece ne conosce la tecnica: puòinfatti succedere che non tutti i passaggi siano efficaci nella resa sulle sei corde.All’opposto,essere chitarrista-compositore, può comportare il rischio di scrivere sì musica adatta alle seicorde, ma di restarne allo stesso tempo imbrigliati: vantare una scrittura strumentalmenteefficace e svelare fascinose sonorità può comportare il rischio di accontentarsi di un

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bell’effetto strumentale. La musica invece ha dentro di sé la necessità di trascendere lostrumento, pur passandoci attraverso.

É proprio questo il paradosso di Emilia: trascendere la chitarra, pur scrivendoperfettamente per la chitarra. È come dimenticarsi che si sta ascoltando appunto unachitarra, pur continuando a sentire arpeggi in tutte le combinazioni. Emilia riesce in questaimpresa paradossale perché non si limita ad una pallida imitazione della voce. La chitarrainfatti è strumento dal registro compresso e dal suono flebile, caratteristiche che, separagonate alla maestosità del melodramma, riducono ogni intento mimetico a puravelleità. Proprio per questo Emilia rinuncia saggiamente al tentativo di dimostrare ciò chela chitarra non potrà mai essere e lo fa andando oltre la prima necessaria ma epidermicaoperazione di trascrizione. Le sue parafrasi musicali potrebbero ad un primo sguardo essereannoverate tra quegli adattamenti ottocenteschi che testimoniano quanto fosse diffusa tragli amatori la moda di ricreare in salotto la magia dell’opera lirica. In quel periodo ladiffusione di queste trascrizioni era un vero termometro per misurare la popolarità delcompositore: suonare le hit del momento in versione semplificata rappresentava per ilpubblico l’equivalente di ciò che per noi significa ascoltare musica su Spotify. Leggendo glispartiti di Emilia però si nota che il livello di destrezza richiesto per eseguirli li annovera trail repertorio da concerto ed è difficile che i dilettanti li usassero per allietare le proprieserate, a meno che non selezionassero soltanto i temi tecnicamente più semplici. L’amoredi Emilia per la musica di Bellini quindi non è riducibile esclusivamente a questioni dimercato perché i suoi arrangiamenti sono musica d’arte e non semplice intrattenimento.Sono sapientemente scritti per la chitarra, ma allo stesso tempo la trascendono, in quantoanelano a ricreare le qualità più profonde e probabilmente meno operistiche della vocalitàbelliniana: il suono legato, il lungo respiro, lo slancio melodico e contemporaneamentel’ineffabile leggerezza. A dire la verità anche il senso del teatro con i suoi colpi di scena èpresente, ma nella chitarra è riprodotto secondo un’idea di essenzialità. Rispetto alla

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sensazione che vive lo spettatore davanti alle scene quasi esasperate di un vero allestimentooperistico, la parafrasi chitarristica appare come uno spettacolo di mimo: il gesto stilizzatoe muto dell’attore ridisegna, lirico ed evocativo, la traccia essenziale dell’originale. Lachitarrista insomma non si limita a cucire tra loro le arie del momento in gradevoli pot-pourri, ma di Bellini intuisce il più intimo pensiero musicale, che sia di origine vocale oorchestrale, che si tratti di un’aria nota o di un semplice accompagnamento strumentale.Nelle opere del catanese infatti anche gli interventi orchestrali emanano un’energiabrulicante e sotterranea, che si manifesta in un fraseggio dal gesto esteso, in questo sensoanch’esso di ispirazione vocale.

In realtà l’idea di riprodurre con il suono della chitarra una situazione che in origine eraorchestrale non è così innovativa: quante volte abbiamo sentito pronunciare la frase «lachitarra è una piccola orchestra»? Compare nei trattati di Aguado e Berlioz ed è stataripetuta in più occasioni da Segovia nelle sue interviste.Tentiamo però un esperimento: nelcaso di queste parafrasi d’opera proviamo a focalizzarci su un diverso aspetto della relazionetra chitarra e orchestra: invece di racchiudere un’intera compagine in una chitarra come segli strumenti diventassero dei vezzosi ninnoli privi di ogni vitalità, osserviamo l’orchestraattraverso la chitarra. Addentrandoci in questa diversa dimensione, scopriamo che ognielemento acquista nelle sei corde un valore autentico a patto che venga ricreata la stessaenergia musicale del gesto originario.

Gli unici brani di Emilia non ispirati al repertorio operistico sono i Preludi op.46, ultimasua opera nota in ordine di pubblicazione. In questi brani la compositrice raggiunge,rispetto alle prime Belliniane, una maggiore maturità nella consapevolezza formale. Inoltre,considerando l’epoca in cui sono stati composti, la loro scrittura risulta coraggiosa edesplorativa sia per il linguaggio armonico dall’afflato romantico sia in termini di puratecnica chitarristica, dove l’arpeggio è declinato nelle forme più varie. Alcuni preludicontengono addirittura suggestioni novecentesche, come la ricerca di una spazialità

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attraverso combinazioni di arpeggio che sfruttano in un ordine particolare corde tastate elibere o l’utilizzo di una posizione fissa che si sposta sulla tastiera in corrispondenza delleprogressioni armoniche. In questo suo sguardo verso il futuro però non mancal’osservazione della musica dei contemporanei e dei predecessori: il preludio sulle ottaverimanda ad uno stile virtuosistico di stampo paganiniano e in alcuni brani l’impiegofrequente dell’arpeggio sull’accordo di 7a e di 9a diminuite svela reminiscenze barocche.Ma tali suggestioni non ci fanno dimenticare quanto sia vitale in tutta la sua produzione latraccia della formazione con il padre Mauro, che fu suo maestro.

Purtroppo il desidero di conoscere come Emilia sia arrivata a sviluppare il proprio stilepiù maturo non può essere per ora esaudito a causa di un vuoto che riguarda l’opera 10 eche comprende le opere dalla 12 alla 45, il cui destino ci è ignoto. Speriamo che lecomposizioni mancanti siano presto ritrovate e che questa incisione si riveli soltanto unaselezione dell’intero corpus.

In conclusione, un accenno allo strumento suonato nella registrazione, che è statorealizzato nel 1830 circa da René Lacote, uno dei liutai più apprezzati dai chitarristi del suotempo. La chitarra è stata scelta, oltre che per le sue qualità acustiche, anche in quantomorfologicamente simile a quella imbracciata da Emilia Giuliani nell’unico ritratto che ci èrimasto di lei, al quale si è voluta dedicare la copertina di questo booklet. Il progettodiscografico rappresenta la prima incisione integrale ad oggi conosciuta di Emilia Giulianirealizzata su uno strumento d’epoca.

FedericaArtuso

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Emilia Giuliani, a life as a novel

Naples andVienna: opera and symphony, theatre and chamber music. Living between thesetwo capitals was a great opportunity for an early Nineteenth century musician; indeed, adouble opportunity, which prompted the ideal setting for the encounter of the two mostimportant and complementary musical realities of that time.

Being a child of art, in any age is an undoubted, priceless advantage: a mixture of geneticsand daily acquaintance, such as to transform from the beginning the study of music into anintimate and inescapable fact.

Emilia Giuliani (1813-1850) was the daughter of Mauro, an extraordinary guitar talent,so charismatic to conquerVienna caput musicae.Thanks to him, the small voice of the guitarresonated in the most important Konzerthallen, even as a soloist with an orchestra, and hiscompositions were performed alongside Beethoven’s masterpieces. Thus, Emilia was adaughter of art, and lived the best part of her short but intense artistic and human parabolabetween Naples andVienna.Yet Emilia was not a winner: life loves contradiction, and eventhe best premises can lead to catastrophic conclusions.That was her case. Right from thestart. She was an illegitimate daughter. Mauro had two families: he had moved toVienna,while his father, mother, wife and three children lived inTrieste. At that time, that was aremarkable distance, so for Mauro, a charming and enterprising man, it was only natural tofind aViennese pseudo-wife. She was MariaAnnaWiesenberger, known as Nina, a girl froma good family, who also had to endure criminal charges and the consequent investigations ofthe Habsburg police for her “intimate relationship” with a married man.They had fourdaughters, the first two noted at the Registry office with an invented surname,Wilmuth,not to shame Nina, and to pretend she wasn’t their mother. Emilia was precisely the third,who was born on April 23rd 1813 after the premature death of the second daughter. Howcan we deny the existence of aViennese Giuliani family now?With a further and complacent

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acrobatics juggling through documents: the child was registered as the daughter of a widownamed MariaAnna Giuliany and of an unknown father.A pitiful bureaucratic haze protectedthe real parents of little Emilia, but the surname was conquered, and bourgeois honour,perhaps, was saved. It was the year of Leipzig, a crucial event for the destinies of Napoleonand Europe as a whole, andVienna rejoiced with the patriotic Beethoven of the Wellington’sVictory. But Mauro and Nina’s personal victory would have been short: only four years later,Nina died after the birth of her fourth daughter, who in turn was only bound to survive fora few weeks; and the misfortunes for Emilia and her older sister Maria certainly did not endthere, because in the autumn of 1819 Mauro left Vienna in a manner as hasty as it wasmysterious and irrevocable.

The two girls were left alone at the mercy of their guardians, even if they wouldperiodically stay in Palermo, as testified by several Passprotokoll, issued to authorize theirtransfers. In Palermo, in fact, their aunt Emanuela lived with her husband Gaetano Lucci, atalented cellist working for the orchestra of theTeatro Carolino.Thanks to them, Emilia andMaria could feel the comfortable illusion of belonging to a family. Above all, a musicalfamily: in fact, Gaetano Lucci himself had been Mauro’s first music teacher, and so, there isa suspicion that he was the one responsible for Emilia’s musical training. She later alsostudied with her father, when what remained of the Giuliani family was finally reunitedunder theVesuvius. In 1823, Mauro landed in Naples to assist his dying father; he was ill-disposed towards a city that he felt estranged, almost unconsciously anticipating that theBourbon capital would be fatal to him, just under six years later, only 48 years old.TheLuccis also arrived in Naples, following Gaetano’s new position at theTeatro San Carlo’sorchestra, and the two little Viennese sisters, Maria and Emilia, joined them soon, thusfinally interrupting their perilous commute.

But also this time serenity was very precarious. Of course, in Naples Emilia soon tastedthe joy of a bright debut, on the evening of February 6th, 1828 at the prestigious Teatro

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Nuovo; at her side there was Mauro, who, just to exalt the duo with his precocious andbrilliant daughter, had started writing again for two guitars, with the important results ofVariazioni concertanti op. 130 and Tre polonesi concertanti op. 137. But at the same time Emiliawas also confronted with the hard test of caring for her sick father: the graphologicalcomparison reveals that she was the writer of the letters for the publishers, which hestubbornly dictated to her, in order to proudly reiterate a primacy that was gradually fadingout with the illness and the distance fromVienna;Mauro just signed them. Emilia was at hisbedside, but such affectionate dedication was not enough. She was orphaned of her father atonly 16 years of age.

However, she didn’t give up. The newspapers regularly reviewed her performances,especially in the intermedi teatrali, nothing more than the intervals between one act andanother of operatic or prose performances. Brief moments, which highlighted her ability toattract the attention of an audience by its nature distracted and chatty: going to the theaterwas first of all a socializing activity, in which the emotion of listening was triggered now andthen, powerful but not necessary, at the appearance of a virtuous voice.Yet Emilia, whoneither sang nor played a “singing” instrument, managed to make herself heard withadmiration. A not insignificant charisma, which she was able to reconcile with thetraditional roles of wife and mother.Those times were stingy of rights for the women whodid not feel like ending up being both broodmares and managers of the household. Femaleroles by definition, demanding but tight, because they excluded women from any rights andany role in that world that was already just beyond their home door.And the concert activitywas well beyond the door, a real transgression.

“Music may become his profession, whereas for you it can and must be only anornament.” This is what Abraham Mendelssohn, the father of the great Felix MendelssohnBartholdy, said in a letter in 1820.The admonition is addressed to a young girl no less richin talent, a girl who was precluded, as a woman, from both a concert career and the

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publication of her compositions: Fanny Mendelssohn, Abraham’s daughter and Felix’sbeloved sister.Their father was an extremely cultured and wealthy banker, who, moreover,within the luxurious walls of his house, had given the same opportunities for study to bothFelix and Fanny; but if an enlightened person expressed himself in these terms, one canimagine what could be the current mentality for those who were not fortunate enough tobe born in an environment so favourable to artistic endeavour.

Emilia’s family, as we’ve seen, was much more unhinged, and perhaps for this reason shewanted to marry with the same pervasiveness with which she wanted to perform in publicas a guitarist: so she married in Naples at the age of twenty-one with a Neapolitan musician,Luigi Guglielmi, a self-styled descendant of the famous lineage of the Guglielmi operists,and actually mentioned as nephew of the much more famous Pietro Alessandro and PietroCarlo; and yet the branch generated by his father Gaetano seems estranged from the leafyfamily tree of the homonymous composers, so I have the doubt that his overbearingaspiration to establish himself as an opera performer might have led him to boast of a kinshipthat in reality there was not, or at least was not so close.This aspiration was bound to remainde facto unfulfilled, yet never tame, which drove Luigi to leave Naples to seek his fortuneelsewhere, followed by Emilia and their children, whose number increased at each newmove, until they reached the remarkable number of four.The first destination was Rome,then, briefly, Florence, then the big leap toVienna, and finally, Pest. In all these prestigiousplaces Luigi was appreciated as a singer, and even more so, as a singing master, but histenacious tendency towards the operatic laurels ruined him resoundingly at a decisivemoment: Luigi became the Gesangmeister of the National Theatre of Pest, where he hadmoved in 1845 following a Hungarian nobleman, Count Johann Náko, and there he wasfinally commissioned to stage one of his operas: Buda liberata. But although the Hungariannewspapers had given a lot of publicity to this debut, Buda liberata turned out to be a majorfiasco.

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By now, in search of glory, Luigi had no choice but to follow Count Náko on a newadventure: the setting up of a small theatre in a castle in his homeland; it was in a smallvillage 250 km from Buda and Pest, called Nagykomlós, currently Comloşu Mare. CountNáko proved to be a forerunner of Ludwig of Bavaria, eager to have the stars of the operaready to sing in his small property, after having hired the whole village for the setting up ofthe theatre productions. His virtuous utopia didn’t last long: the revolutionary wind of1848 swept everything and everyone away. Luigi tried to return to Milan,with the intentionof proposing his five operas to publishers and impresarios, including Buda liberata, butGiuseppeVerdi’s star was already shining high, and there was no other option than remainin the shadow of such a genius.

Emilia stayed in Pest, where death reached her too soon, too early, on November 25,1850, due to a “putrid fever”. She was 37 years old. End of story.Yet, in her following ahusband who was chasing a chimera, Emilia achieved results that were certainly small in theface of the great history, but great for a woman, who, as a woman, was deprived of civil andpolitical rights and the meta-legal right to express her talent as an artist. Thanks to aremarkable ability to adapt, she never went unnoticed during the many stages of herunfortunately brief wanderings: in Rome in 1838 she was admitted as a member of theprestigious Accademia Filarmonica Romana. In Florence on June 25, 1839 she shared aconcert with Franz Liszt, to whom she was even compared by theViennese critics; admiredin the face of her transcendental virtuosity, they exclaimed “Every finger a Liszt!” InViennaon 8 December 1840 she performed at the Musikverein as a soloist with the orchestra, ashad already happened in Italy, perhaps playing her own composition, which is still unknowntoday.And, above all, she managed to publish her compositions for solo guitar with the mostimportant publishers of the time: Giovanni Ricordi inserted ten of them in the cataloguebetween 1834 and 1837, including four themes with variations and six operatic-inspiredpotpourris, while inVienna Artaria printed her most mature work, the Sei Preludi op. 46.

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The six potpourris are entitled Belliniane, with a clear reference to the six Rossiniane, thelast success in Mauro Giuliani’s career as a composer.The entrepreneur Ricordi had theclear intention to renew, with the Belliniane, the great commercial success of the Rossiniane,brilliant miniature opera acts, built on Rossini’s irresistible arias, thanks to the evocativequalities of the guitar, which, as Berlioz wrote, “is a small orchestra”.

Emilia therefore became the epigone of her father, inserting in her compositions alsosome textual quotations taken from Rossiniane, but her task was more difficult than Mauro’s:the use of the new and ironic voices with which Rossini had upset and conquered the sceneswas very different from the “long long long melodies” that were so characteristic of Bellini’swriting, and much less suitable for an instrument like the guitar, which has neither breathnor bow to sustain the sound. Emilia found herself in the presence of a builder of generousmelodic trajectories, studied with the aim of blowing the maximum expressiveness into thewords; nothing to do with Rossini’s treatment of voices, eager for movement to the pointof alienating them from the text, to find meaning, or absence of meaning, only in those.

But Emilia was an epigone who knew how to innovate; so, among her nervous andrestless arpeggios, as only a woman can be, in Belliniana n. 1 an instrumental novelty wasinvented: the melody that becomes tremolo, nothing but an illusion of duration through theiteration of the brevity of the fast repeated notes.This must have been one of the spells withwhich Emilia conquered the theatrical audiences, together with Flageolette or flaggioletti orDoppelflageolettöne, names that were both fanciful and complicated to indicate the octaveharmonics, of which the chronicles declare her to be the inventor; a hoax in the name ofmarketing, because others had already used them and described them in their treatises onguitar technique well before her, including Mauro himself in 1807 in Variazioni op. 6.Evidently the subtle seduction of this effect exalted the female grace of the virtuoso, butwhat is funny is the total absence of octave harmonics in her printed works. Perhaps the 35lost and never published scores were overflowing with them, left who knows where,

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perhaps in some chest of the destroyed castle of Count Náko? Or, more likely, were theysome kind of coups de théâtre, arising out of extemporaneous improvisation of furthervariations from those fixed in the scores? Mystery. Just as it is fascinatingly mysterious torealize that Prelude op.46 n.5 (1841), with the instrumental naturalness of which Emilia wascapable, attempted an irresistible descent of the diminished sevenths, guitaristic to the core,which anticipated a very famous passage from Etude n. 1 by HeitorVilla-Lobos (1928).

Emilia, therefore, deserves to be listened to, beyond any gender-related claims, becauseshe was a musician that was sensitive to the imaginative solicitations offered by a guitar.Because she is a voice of her time, which, now and then, knows how to go beyond that.Because her big black eyes look at us, severe and melancholic, from her only knownportrait, and seem resigned to the invincible transience of things.We have no magicformulas to disprove that look, but giving sound to her music, after so much silence, we cantake a small revenge on her cruel destiny.

Nicoletta Confalone

Emilia’s paradox

Amazing deeds and performances on the verge of acrobatics: this is how Emilia Giuliani’sexecutions are described in the chronicles of the time. She seems to intend to challenge theguitar she is holding and the audience, ready to marvel at the feats shown by the performeron the stage, enthusiastically applauds. But the skills of a virtuoso also lies in being able toconceal from the viewers the effort necessary to perform whirls and funambolic gestures.And Emilia’s, in particular, is a challenge in the challenge: in addition to demonstrating

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great dexterity in performing, those who play her music must also indulge in the daintinessof a musicality with a vocal imprint.The distinguishing feature of this musician, however, isher boundless passion for Italian opera and especially Bellini’s: it is no coincidence that mostof her compositions are variations or fantasias on arias wrote by the Sicilian master.

In the guitar repertoire the music written by composers who do not play the instrumentmight need the supervision of those who do know the relevant technique: in fact not all thepassages may work on the six strings. On the other hand, being a guitarist-composer mayinvolve the risk of writing music that is indeed suitable for the six strings, but at the sametime of remaining entangled in it: boasting instrumentally effective writing and revealingenthralling sounds may entail the risk of being satisfied with just a beautiful instrumentaleffect. Instead, music needs to transcend the instrument, while passing through it.And thisis precisely Emilia’s paradox: transcending the guitar, while composing perfectly for theguitar. It’s like forgetting that you are listening to a guitar, while continuing to heararpeggios in all combinations. Emilia succeeds in this paradoxical endeavor because inelaborating the thematic material from which she draws, she is not limited to a faintimitation of the voice.The guitar is in fact an instrument with a compressed register and afragile sound, and these characteristics, if compared to the majesty of melodrama,make anymimetic intent just vain and mere ambition. For this reason Emilia wisely renounces toprove what the guitar can never be and does so by going beyond the first necessary, but“epidermal” transcription operation. At first glance her musical paraphrases could becounted among those nineteenth-century adaptations which testify how widespread thefashion of recreating the magic of opera in the living room was.At that time, the spread ofthese transcriptions was a real gauge for measuring the composer’s popularity; playing thehits of the moment in home meetings in a simplified version was for the audience of thetime like listening to music on Spotify to us. If one reads the scores written by Emilia,however, will notice that the level of technical dexterity required to perform them includes

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them among a concert repertoire, and amateurs can hardly use them to brighten theirevenings, unless they have only selected the easiest arias. So Emilia’s love for Bellini’s musiccannot be reduced exclusively to a matter of money. Her arrangements are music for art,and not just entertainment, expertly written for the guitar, but at the same timetranscending it, as they yearn to recreate the deeper and probably less operatic features ofBellini’s vocality: the legato, the long breath, the melodic impulsion and at the same timethe ineffable lightness.To tell the truth, there is also a sense of theater, but in the guitar thisis reproduced according to an idea of essentiality. Compared to the sensation that theaudience has in front of a real opera stage, the guitar paraphrase will look like a mime artistshow: the stylized and silent gesture of the actor redesigns, in a lyrical and evocative way,the sketch of the original shape. In short, the guitarist does not just gather together the ariasof the moment into pleasant potpourris, but she senses the most intimate Bellini’s musicalthought, whether vocal or orchestral, whether it is a famous aria or a simple instrumentalaccompaniment. In the works of the Sicilian composer, in fact, even in the momentsreserved to the orchestra convey a swarming and deep energy, which manifests itself in theextended gesture of a phrasing , in this sense also inspired by a vocal imprint.

In fact, the idea is not so innovative: how many times have we heard the sentence: “theguitar is a small orchestra”?We find it written in the treatises by Aguado and Berlioz andrepeated on several interviews by Segovia. But let’s try an experiment: in the case of theseopera paraphrases, let’s turn our point of view upside down and, instead of enclosing anentire orchestra into a guitar as if the instruments were becoming charming puppets devoidof any vitality, let’s observe the orchestra through the guitar. As we delve deeper into thisother dimension, we’ll discover that each element acquires an authentic value in the sixstrings, provided that the same musical energy of the original gesture is recreated.

The only pieces by Emilia which are not inspired by the opera repertoire are the 6Preludes op.46, her last known work in order of publication. In these pieces, the composer

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manages to achieve a greater maturity in her afflatus than was the case in the firstBellinianas. Considering the era in which they were composed, their writing is courageousand exploratory both for the harmonic language with a romantic touch and in terms of pureguitar technique, where the arpeggio is declined into the most varied combinations. SomePreludes even contain twentieth-century fascinations, such as the search for spatialitythrough the use of arpeggios that combine in a particular order open strings and frettednotes, or the use of a fixed position that moves on the keyboard following the harmonicprogressions. In her look towards the future, however, there is no lack of knowledge of themusic composed by contemporaries and predecessors: the use of octaves refers to avirtuosistic Paganini style and in some passages the frequent use of the arpeggios on thediminished 7th and 9th chords will reveal baroque reminiscences. But these fascinations willnot make us forget the fundamental role played by the trace of the guitar training with herfather Mauro, who was his teacher, throughout Emilia’s production.

Unfortunately, the desire to get to know how Emilia came to develop her mature stylecannot be fulfilled for the moment, due to a void in the opus 10 and between works 12 and45,whose fate is unknown to us.We hope that the missing compositions will soon be found,and that this cd will only prove to be a selection of the entire corpus.

In conclusion, mention should be made of the instrument played in the recording, whichwas handcrafted in 1830 by René Lacote, one of the luthiers who was most appreciated byguitarists of his time.The guitar was chosen not only for its acoustic qualities, but alsobecause its morphology is similar to the one embraced by Emilia Giuliani in her onlyportrait, and visibile on the cover of this booklet. The project represents the first recordingof the opera omnia known to date by Emilia Giuliani using an eighteenth-century instrument.

FedericaArtuso

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DDD

TC 810790℗ 2020

Made in Italy

FEDERICA ARTUSOwww.artusofederica.com