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Nella stessa collana:

Storie di lupi famosi, di Ernest Thompson Seton

E Dio aveva un cane, di Stanley Coren

La coltivazione naturale della cannabis, di J. C. Stitch, Ed Rosenthal

Suoni bestiali, di Danilo Russo

Lo zen e l’arte di allevare galline, di Clea Danaan

Libereso, il giardiniere di Calvino, di Libereso Guglielmi

La vita segreta dei pipistrelli, di Danilo Russo

L’enigma delle pecore blu, di Sandro Lovari

Piante e fiori del terrazzo, di Ippolito Pizzetti

Piante medicinali nostre amiche, di Marina Giammetti Mamani

Dottor Miele, di Eva Crane

Doctor Dog, di Guy Quéinnec Guy, Gérard Gilbert

101 cavalli d’autore, a cura di Alessandro Paronuzzi

Guida alle malattie delle piante e del bosco, di G. Hartmann, F. Nien-

haus, H. Butin

Vegetale sarai tu!, di Mirella Delfini e Eliana Ferioli

Orto facile per tutti, di Giancarlo Bertinazzi

Il giardino naturale, di William Robinson

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a cura di Alessandro Paronuzzi

Elogio

del gatto d’autore

Ritratti di felicità felina

TARKA

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Elogio del gatto d’autorea cura di Alessandro Paronuzzicon la collaborazione di Emanuela Luisari

Prima edizione: giugno 2017

Tutti i diritti sono riservati

© 2017 Tarka edizioni srlPiazza Dante 2 - Mulazzo (MS)www.tarka.it

ISBN: 978-88-99898-69-4Impaginazione ed editing: Monica Sala

Finito di stampare nel mese di giugno 2017presso Mediagraf SpA - Noventa Padovana (PD)

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Indice

Mondo Gatto di Alessandro Paronuzzi 1Aforismi felini di Jules Renard 5Albert di Irène Némirovsky 7Alfred di James Herriot 10Avana di Luca Canali 13Church di Stephen King 16Cicino, Checca e Geppetta di Margherita Hack 19Concerto notturno di Gulielmus Baldwin 22Constitution di Muriel Barbery 25Darwin di William Jordan 27Davanti al fuoco di Georges Simenon 29Dewey di Vicki Myron 31Don Pierrot di Théophile Gautier 34L’egoista sornione di Esopo 36Eterni rivali di Stanley Coren 37Felina di Charles Baudelaire 39Femminilità di Guy de Maupassant 41Filippo di Mario Soldati 43Gatti a scuola degli scolari della quinta “Sergio Laghi” di Trieste 46Un gattino sotto la pioggia di Ernest Hemingway 50Il gatto a sette vite di Giorgio Scerbanenco 52Un gatto che passa tra i libri di Guillaume Apollinaire 54Gatto di grondaia di Jack London 55

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VI

Gatto e topo in società di Jacob e Wilhelm Grimm 57Gatto mammone di Giovanni Arpino 60Giangi di Giovanni Guareschi 62Giò di Helen Brown 64Grigio di Lev N. Tolstoj 67Introvabile di George Orwell 69Irusan di William Butler Yeats 70L’istorigatto di Napoli di Ferdinando Galiani 73Jones di Alan Dean Foster 75Jůra di Karel Čapek 77Kaiser di Gabriel García Márquez 79Kitty di Ernest Thompson Seton 83Koko e Yum-Yum di Lilian Jackson Brown 86Libera scelta d’amicizia di Padre Nazareno Fabbretti 89Lily di Jun’ichirō Tanizachi 92Lolotte di Paul Léautaud 95Martino di Fulvio Tomizza 98Miciamore di Gina Lagorio 101Micio di Peter Mayle 104Mix di Luis Sepúlveda 106Mkgnao di James Joyce 109Moffi di Anna Frank 112Murr di Ernst Theodor A. Hoffmann 114Musci di Robert Walser 117Nerino di Qiu Xiaolong 120Norton di Peter Gethers 122Obeso di Émile Zola 125Ollala di Bertrand Visage 127Osiris di Julio Cortázar 129Otto gatti di Bruce Marshall 131

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VII

Padroncina di Giorgio Celli 133Parola di gatto di Carlo Collodi 135Paura di Nicholas Dodman 138Pluto di Edgar A. Poe 141Prunelles di Alberto Bevilacqua 141Puccio di Manlio Cecovini 143Qui, gatto di Truman Capote 148Richard Parker di Yann Martel 151Ruski di William S. Burroughs 154La saggezza del Tao di Henry Beard 156Solo di Rudyard J. Kipling 158Squisitamente gattesco di Giovanni Rajberti 161Straniero di Pietro Citati 163Stregatto di Lewis Carroll 166Terrore felino di Konrad Lorenz 168Tiger di Carlo Castellaneta 170Tittums di Jerome K. Jerome 172Tom Quarz di Mark Twain 176Ultimo sogno di Italo Svevo 179Yogurt di Philippe Delerm 181

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Mondo Gattodi Alessandro Paronuzzi

Abbecedario felino

Appostarsi, balzare, cacciare,dormire, evacuare, fare le fusa.

Graffiare, inventare giochi.Lappare, miagolare, nascondersi.

Oziare prendendo qualche mosca.

Rubare e squagliarsela.Toelettarsi (molto, molto importante!).

Usmare e vagabondare zampettando.

“L’iniezione non presenta alcun problema, con Alfred furibon-do ma impotente dentro il lenzuolo”: così racconta in questa antologia James Herriot, il famoso veterinario inglese. Da colle-ga mi viene da aggiungere che qualsiasi veterinario può confer-mare come in realtà sia sempre preferibile avere come paziente da curare un cane, piuttosto che un gatto, soprattutto quando l’animale ha deciso di non essere collaborativo. Non potrò mai dimenticare quella volta in cui, laureato da pochi anni e pieno di giovanile entusiasmo, ero stato chiamato a visitare un gatto a domicilio. Appena accolto nell’ampio salone, avevo fatto in tempo a vedere saettare su una parete il presunto malato, che

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poi percorreva quasi completamente l’intero soffitto, sfidando e vincendo la forza di gravità, per precipitare a terra solo a pochi centimetri dalla parete opposta e nascondersi terrorizzato sotto una poltrona, soffiandomi contro come un indemoniato. Quel gatto, mi rassegnai a non visitarlo: “Mi sembra che non stia molto male”, credo di aver detto, “più che di un veterinario, qui c’è bisogno di un esorcista”.In realtà il gatto affascina e conquista da sempre, proprio in virtù del suo mistero e della sua assoluta indipendenza.Una mattina mi sono trovato a fermare l’automobile in mez-zo alla strada mentre dovevo raggiungere il mio abituale posto di lavoro, il canile di Trieste. Mi ero fermato perché davanti a me c’erano altri due veicoli, fermi pure loro senza un’apparente motivazione. Dopo qualche minuto di attesa mi sono deciso a scendere, per cercare di capire quale fosse la causa di quella ino-pinata sosta. Ebbene, davanti alla prima vettura, nel bel mezzo della carreggiata, c’erano due gatti di strada (quelli che la legge nazionale, piuttosto felicemente, definisce come “gatti che vi-vono in libertà”) che senza ritegno alcuno stavano copulando. Il primo conducente, vedendomi sorridere allargò le braccia dal volante, ricambiando il mio con un altro sorriso di rassegna-zione: non c’era altro da fare che aspettare pazientemente la fine dello spettacolo. Del resto, non mi risulta che esista per il mondo felino e più in generale per quello animale, il reato tipicamente umano di “atti osceni in luogo pubblico”.In base alla mia esperienza mi sento di affermare anche che gli amanti dei gatti generalmente (tutte le generalizzazioni sono peraltro facilmente suscettibili di obiezioni) sono più amanti della lettura di quelli che prediligono i cani. È un dato di fatto che ho potuto rilevare in tanti anni di attività andando nelle

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case dei clienti, e puntualmente gettando un’occhiata alle loro librerie (dimmi quali libri leggi e ti dirò chi sei).Il gatto ha praticamente da sempre catturato l’attenzione degli scrittori e dei poeti, e qui mi sento di evitare di fare una lunga lista di nomi che sicuramente il lettore che si è imbattuto in questa antologia già conosce.Da sempre mi diverto a collezionare aforismi, versi e brani di autori che con la loro particolare sensibilità hanno saputo ri-trarre gli inesauribili aspetti che il mondo felino continua a donarci. È una ricerca che non ha mai fine e che continua a offrirmi momenti di autentico piacere.Il mio augurio è che lo stesso piacere possa essere condiviso dal lettore di questo libro.

Alberto Maso Gilli (1840-1894), Cats (1876).

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Aforismi felinidi Jules Renard

30 settembre 1893Ho visto un gatto che con un salto attraversava la strada. Dico che era un gatto, ma non ne sono sicuro, tanto quella appari-zione mi è sembrata sporca e cenciosa.

16 giugno 1896Un gatto che non ha ancora potuto abituarsi alla propria coda. Appena la vede, le si precipita addosso e gira vorticosamente come un piccolo sole grigio.

11 febbraio 1899Il gatto è la vita dei mobili.

7 ottobre 1903Un gatto nero in cima a un ramo, al chiaro di luna.

28 gennaio 1905Il gatto dorme abbottonatissimo nella sua pelle.

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13 febbraio 1905L’ombra di un gatto sembra una tigre.

3 settembre 1905Il disprezzo che ha un gattino per un vitello che lo insegue in un prato.

26 gennaio 1906Un gatto che dorme venti ore su ventiquattro è forse ancora la cosa che è meglio riuscita a Dio.

18 maggio 1906Faccio una vita di gatto che dorme. Ogni tanto un balzo, una unghiata, uno stiramento che sembra debba preludere ad un’a-zione, e poi tutto rientra nel suo pelo e si riaddormenta.

4 agosto 1907Il gatto sta di guardia e dorme sotto una vite. Lassù c’è un nido, e dentro il nido ci sono tre piccoli che, se non staranno un po’ più tranquilli, finiranno per cascare. Il gatto aspetta.

16 febbraio 1910Sognatore come un gatto che guarda sul soffitto i raggi lumino-si di una lampada.

da Diario traduzione di Orio VerganiEdizioni Domus, 1945

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Albert di Irène Némirovsky

Poco dopo Emmanuel si svegliò e si mise a strillare. Le finestre erano aperte, e così pure le imposte. La luna illuminava i tetti del villaggio, le tegole scintillavano come scaglie di pesce. Il giardino era profumato, tranquillo, e quella luce argentea sem-brava muoversi come un’acqua trasparente, fluttuare e ricadere dolcemente sugli alberi da frutto.Sollevando con il muso le frange della poltrona, Albert guar-dava quello spettacolo con aria grave, stupita e sognante. Era un gatto molto giovane, vissuto sempre in città, dove le notti di giugno si avvertono solo da lontano, e solo a volte se ne può respirare una folata tiepida e inebriante. Ma lì il profumo gli saliva fino ai baffi, lo avvolgeva, lo afferrava, lo penetrava, lo stordiva. Con gli occhi socchiusi, si sentiva investire da ondate di odori fortissimi e delicati, quello degli ultimi lillà con il loro leggero sentore di decomposizione, quello della linfa che scorre negli alberi e quello della terra tenebrosa e fresca, quello degli animali – uccelli, talpe, topi, quante prede! –, odore muschia-to di peli, di pelle, odore di sangue… Sbadigliò di bramosia, saltò sul davanzale della finestra e passeggiò lentamente lungo la grondaia. Era lì che, due giorni prima, una mano robusta

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e decisa lo aveva afferrato e lo aveva ributtato sul letto di una Jacqueline in lacrime. Ma ora non si sarebbe lasciato prendere. Misurò con lo sguardo la distanza fra grondaia e suolo: era un gioco, per lui, superare quello spazio, ma volle darsi importanza esagerando la difficoltà di quel salto. Fece oscillare il treno po-steriore con aria feroce da vincitore, spazzò la grondaia con la lunga coda nera e, con le orecchie appiattite all’indietro, si slan-ciò e si ritrovò sulla terra smossa di recente. Esitò un attimo, poi affondò il muso nel terreno; adesso era al centro, nel cuore, nel grembo stesso della notte. Era nella terra che bisognava sen-tirla: i profumi erano tutti lì, fra le radici e i sassi, non ancora evaporati, non ancora svaniti nel cielo o diluiti nell’odore degli umani. Erano eloquenti, segreti e caldi. Erano vivi. Da ciascuno di essi fuoriusciva una piccola vita nascosta, felice, commestibi-le… Maggiolini, topi campagnoli, grilli e la piccola ranocchia dalla voce piena di lacrime cristalline… Le lunghe orecchie del gatto, piccoli coni rosa dai peli d’argento, appuntiti e delica-tamente arrotolati all’interno come un fiore di convolvolo, si drizzarono: Albert ascoltava i rumori lievi delle tenebre, così sommessi, così misteriosi e, solo per lui, così chiari – fruscio dei fuscelli di paglia nei nidi in cui l’uccello veglia i suoi piccoli, frullare di piume, minuscoli colpi di becco sulla corteccia di un albero, fremito d’ali e di elitre, zampe di topo che grattano piano la terra e perfino l’impercettibile esplodere dei semi che germogliano. Occhi d’oro saettavano nell’oscurità, i passeri ad-dormentati sotto le foglie, il grosso merlo nero, la cinciallegra, la femmina dell’usignolo; il maschio era ben sveglio, lui, canta-va e le rispondeva dalla foresta e dal fiume.Ma si potevano cogliere altri suoni: una detonazione che a in-tervalli regolari saliva, sbocciava come un fiore e moriva, e ogni

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volta tutti i vetri del villaggio tremavano, le imposte sbattevano e venivano subito richiuse nell’oscurità, e parole angosciate vo-lavano nell’aria da una finestra all’altra. Sulle prime il gatto sob-balzava a ogni colpo, la coda ritta: riflessi cangianti correvano sulla sua pelliccia, la tensione gli irrigidiva i baffi. Poi si abituò a quel fragore che si avvicinava sempre più e che lui probabil-mente scambiava per un tuono. Fece qualche capriola in mezzo alle aiuole, sfogliò con le unghie una rosa: era sbocciata comple-tamente, le sarebbe bastato un soffio per disfarsi e morire; i suoi petali bianchi si sarebbero sparpagliati a terra in una pioggia languida e profumata. All’improvviso il gatto si arrampicò fin sulla cima di un albero lacerandone la corteccia con le zampe; il suo balzo era rapido quanto quello di uno scoiattolo. Alcuni uccelli spaventati volarono via. All’estremità di un ramo Albert eseguì una danza selvaggia, guerriera, insolente e ardita, sfidan-do il cielo e la terra, gli animali e la luna. A tratti apriva la bocca stretta e profonda facendone uscire un miagolio stridulo, un richiamo acuto e provocante rivolto a tutti i gatti del vicinato.

da Suite francesetraduzione di Laura Frausin GuarinoAdelphi, 2005

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Alfreddi James Herriot

Il mio paziente di quella prima visita era solo un gattino un po’ cresciuto, una piccola massa terrorizzata bianca e nera raggomi-tolata in un angolo.“È uno dei gatti esterni” tuonò la signora Bond.“Dei gatti esterni?”“Sì. Tutti quelli che lei vede qui sono i gatti interni. Gli altri sono quelli proprio selvatici che rifiutano semplicemente di en-trare in casa. Naturalmente io li nutro ma dentro vengono solo quando sono malati.”“Capisco.”“Ho fatto una fatica terribile per acchiappare questo. Sono pre-occupata per i suoi occhi… Mi pareva che ci fosse una pellicola che gli cresceva sopra e spero che lei possa far qualcosa per lui. A proposito, si chiama Alfred.”“Alfred? Ah, sì, bene.” Tesi cautamente la mano verso la bestiola e fui accolto da una serie di artigli frementi e da una quantità di sputi a bocca aperta. Il gatto era intrappolato nel suo angolo altrimenti sarebbe scappato con la rapidità di un lampo.

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Visitarlo sarebbe stato un problema. Mi volsi alla signora Bond: “Potrebbe darmi un lenzuolo? Un vecchio telo da stiro andreb-be bene. Dovrò avvolgercelo”.“Avvolgercelo?” La signora Bond pareva molto dubbiosa, ma scomparve in un’altra stanza e ritornò con un malandato len-zuolo di cotone che pareva quello che ci voleva.Sgombrai il tavolo togliendo una stupefacente varietà di piatti per i gatti, di libri sui gatti, di medicine per i gatti, e vi stesi il lenzuolo, poi mi avvicinai di nuovo al paziente. Non si può aver fretta in una situazione come quella e mi ci vollero forse cin-que minuti di lusinghieri “Psss… psss”, mentre mi avvicinavo sempre più con la mano. Quando arrivai al punto di potergli accarezzare il musetto, rapidamente lo afferrai dalla collotto-la e finalmente portai Alfred, che protestava energicamente e scalciava in tutte le direzioni, sopra il tavolo. Qui sempre te-nendolo saldamente dalla collottola, lo deposi sul lenzuolo e cominciai ad avvolgerlo.C’è una cosa che bisogna fare molto spesso con i felini turbo-lenti e, anche se sono io a dirlo, sono piuttosto bravo in questa operazione. L’idea è di fare un rotolo bello stretto e ordinato, lasciando scoperta la parte del gatto che interessa: può essere una zampa ferita, forse la coda e nel nostro caso, naturalmen-te, la testa. Credo che quello fu l’inizio della fede cieca della signora Bond in me, cioè il momento in cui mi vide avvolgere rapidamente il gatto finché tutto quello che si poté vedere di lui fu una piccola testa bianca e nera che sporgeva da un solido bozzolo di cotone. Lui e io eravamo di fronte, più o meno occhi negli occhi, e Alfred non poteva farci nulla.Come dicevo; sono piuttosto fiero di questa piccola destrezza e anche oggi si sa che i miei colleghi veterinari fanno quest’os-

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servazione: “Il vecchio Herriot magari da molti punti di vista è limitato ma perdio un gatto lo sa avvolgere”.Come poi risultò, non c’era nessuna pellicola che cresceva sugli occhi di Alfred. Non c’è mai.“Ha una paralisi della terza palpebra, signora Bond Gli animali hanno questa membrana che passa sull’occhio per proteggerlo. In questo caso non è tornata indietro, probabilmente perché il gatto è in cattive condizioni di salute – magari ha un po’ di influenza del gatto o qualche altra cosa che lo ha indebolito. Gli farò un’iniezione di vitamine e le lascerò una polverina da met-tere in quello che mangia, se riesce a tenerlo in casa per qualche giorno. Credo che tra un paio di settimane starà benone.”L’iniezione non presentava alcun problema, con Alfred furi-bondo ma impotente dentro il lenzuolo e io avevo terminato la mia prima visita dalla signora Bond.

da Beato fra le bestietraduzione di Gioia Zanino AngiolilloRizzoli, 1977

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Avanadi Luca Canali

Ho sempre sospettato che le donne siano più dure e pragmati-che degli uomini. Oggi ne ho avute due prove incontestabili. Poco fa, passando davanti al bar, ho scorto due piccoli gatti, di non più di qualche mese, uno rosso, pronto a difendersi e a fuggire, l’altro bianco e nero, trasognato, fiducioso nelle carez-ze d’un bambino sfuggito al controllo della madre scesa dalla macchina per acquistare del latte. Uno degli avventori del bar guarda sorridente la scena. Di ritorno, la madre si accorge delle carezze al gatto e urla: “Massimiliano, sudicione, lasciala quel-la bestia, che schifo!”. Il bambino mortificato lascia il gattino, corre verso la madre che lo spinge brusca nell’abitacolo della superutilitaria tutta lustra.Non intervengo perché non ci sono, per ora, animali da pro-teggere, semmai soltanto bambini dall’ottuso igienismo di certe madri.E stamane ero andato ad acquistare qualcosa al supermarket. Una gatta avana, adulta, mansueta, con un bel cinturino intor-no al collo, regolarmente abbandonata dai suoi padroni in ferie, attraversa placida la strada. Passa un’auto di gran moda. Si fer-ma. Ne scende un giovane uomo baffuto. La esamina. Gli pia-

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ce, la solleva da terra con garbo, accenna a introdurla nell’auto. Si accorge che lo guardo – con simpatia –, teme una qualche mia censura, si giustifica ad alta voce: “Nella casa che abbiamo in campagna c’è qualche topo. Così li mangia”. Sorrido. Una voce di donna – la intravedo, una signora truccata, d’aspetto fatuo – dall’interno: “Sei pazzo, mica qui vicino a noi”. L’uomo si rassegna, fa per chiuderla nel bagagliaio. Intervengo: “Nel ba-gagliaio no, a meno che non abbia aperture e non sia attrezzato per portare animali”.L’uomo resta interdetto. Fa per rimettere la gatta, docile ma sconcertata, in mezzo alla strada.“Dia a me. Sono solo. Invecchio. Mi farà compagnia.” L’uomo ha un sorriso imbarazzato, forse anche umiliato. Mentre l’auto riparte, la donna si volge a guardarmi, con fredda irrisione. La gatta è davvero con me.

da Il lato visibile delle coseStudio Tesi, 1995

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Édouard Manet (1832-1883), Deuxième frontispice inédit (1862).

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Churchdi Stephen King

“E i gatti?” interruppe Ellie, guardando di nuovo Church.“Be’, i gatti vivono suppergiù quanto i cani”, disse Louis. “Per la maggior parte, almeno.” Era una bugia, e lui lo sapeva. I gatti vivevano una vita violenta e spesso morivano di morte violenta. Ecco là Church che sonnecchiava al sole (o fingeva), Church che dormiva placidamente ogni notte sul letto di Ellie, Church che da micetto era a volte così carino, tutto aggrovigliato in un gomitolo di spago. Eppure Louis lo aveva visto far la posta a un uccellino con l’ala rotta, gli occhi verdi luccicanti di curiosità e – sì, Louis era pronto a giurarlo – di gioia crudele. Raramen-te uccideva, quando faceva la posta a qualcosa, ma c’era stata una notevole eccezione: un grosso topo, probabilmente cattu-rato nel vicolo tra la casa dove abitavano loro e quella accanto. A quello Church aveva realmente fatto la festa. Era stato uno spettacolo talmente sanguinario e orribile che Rachel, in attesa di Gage e già al sesto mese di gravidanza, aveva dovuto correre in bagno per vomitare. Vita violenta, morte violenta. A volte un cane li acchiappava e li dilaniava, invece di limitarsi a dar loro la caccia come i cani maldestri e un po’ gonzi dei cartoni animati, oppure venivano uccisi da un altro gatto, o da una macchina di

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passaggio. I gatti erano i gangster del mondo animale, vivevano come fuorilegge e spesso come tali morivano. Molti di loro non invecchiavano accanto al fuoco.Ma quelle erano cose che conveniva forse non dire a una figlioletta di cinque anni, che per la prima volta stava esaminando i fatti della morte.“Insomma”, riprese, “ora Church ha soltanto tre anni e tu ne hai cinque. Potrebbe essere ancora vivo quando ne avrai quindi-ci e farai già la seconda liceo. C’è tanto tempo, in ogni modo.”“A me non sembra lungo”, disse Ellie, e ora la voce le tremava. “Non sembra lungo affatto.”Louis smise di fingersi tutto intento al suo lavoro e le fece segno di avvicinarsi. Venne a sederglisi in grembo e ancora una volta egli rimase colpito dalla sua bellezza, messa ora in risalto dallo sconvolgimento emotivo. Era scura di pelle, quasi levantina. Tony Benton, uno dei medici che erano stati suoi colleghi a Chicago, la chiamava la principessa indiana.“Tesoro”, le disse, “se dipendesse da me, farei in modo che Church arrivasse almeno a cento anni. Ma non le ho fatte io, le regole.”“Chi le fa?” domandò lei, e poi, con infinito disprezzo: “Dio, scommetto”.Louis soffocò la voglia di ridere. Il momento era troppo serio.“Dio o qualcuno”, disse. “Gli orologi si scaricano: è tutto quello che so. Non ci sono garanzie, piccola.”“Non voglio che Church finisca come tutti quegli animali mor-ti!” proruppe lei, improvvisamente furiosa e in lacrime. “Non voglio che Church sia morto, no e no! È il mio gatto! Non è il gatto di Dio! Dio si tenga il suo, di gatto! Si tenga tutti i gatti che vuole e li faccia morire tutti! Church è mio!”

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Arrivarono passi dalla cucina e Rachel mise dentro la testa, spa-ventata. Ellie ora piangeva contro il petto di Louis. L’orrore era stato articolato; era venuto a galla; la sua faccia era stata trac-ciata ed era possibile contemplarla. Ora, se non c’era modo di cambiarlo, era almeno possibile piangerci su.“Ellie”, disse lui, cullandola. “Ascolta, Ellie, Church non è mor-to; è là sul davanzale, che dorme.”“Ma potrebbe”, singhiozzò lei. “Potrebbe morire, in qualsiasi momento.”

da Pet Sematarytraduzione di Hilia BrinisSperling & Kupfer, 1989

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Cicino, Checca e Geppettadi Margherita Hack

Quante volte osservando i loro comportamenti, le loro gelo-sie, riconoscevo le mie stesse reazioni istintive, testimoni della stretta parentela fra uomini e animali, e soprattutto la nostra comune appartenenza all’universo dei mammiferi.Fra i tanti gatti che ho avuto, alcuni hanno lasciato in me un ricordo indelebile per la loro personalità, la loro intelligenza fuori del comune. Il mio primo grande amore a quattro zampe è stato un gattone soriano che ha studiato con me sulle mie gi-nocchia da quando facevo la seconda media fino al terzo anno di università. Era figlio di Cirilla, a sua volta figlia di una gat-tina raccolta per strada, che avevo chiamato Ciompa, perché a scuola stavamo studiando la rivolta dei ciompi.La più straordinaria impresa di Cicino fu il furto di un’intera forma di pecorino dalla casa del “federale”, una villetta a schiera separata dalla nostra da altre due villette. Era tempo di guerra, il formaggio, come la pasta, il riso, il pane, lo zucchero, il burro, insomma quasi tutto, era a tessera e quella forma di pecorino era una ricchezza certamente ottenuta al mercato nero. Resta un mistero come Cicino abbia potuto afferrare in bocca quella forma più grossa di lui e saltare ben cinque muretti diversi dei

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vari giardini fino a depositarla nel nostro. Purtroppo la vici-na di casa aveva dato l’allarme e mi toccò a rendere la forma al proprietario. Per consolare Cicino che seguitava a annusare disperatamente la terra dove l’aveva deposta, gli detti tutta la mia razione del formaggio “Roma” come si chiamava l’unico formaggio di guerra disponibile.Una notte del febbraio ’43 Cicino non tornò più dalle sue scor-ribande notturne; lo chiamai per ore e ore, giorni e giorni. Era il periodo degli amori e i gatti perdono ogni prudenza. Temo che sia finito in pentola; la carne era una rarità e la gente aveva fame. L’ho pianto e rimpianto per molti mesi.Un’altra amica indimenticabile è stata la Checca: una gattina nera di pochi mesi che incontrai a Trieste, in via Montecucco, una stradina che corre lungo il muro del giardino dell’Osserva-torio. Sentivo un miagolio disperato. Corsi fuori a vedere e lei mi corse incontro come se fossi stata la sua mamma gatta. Da allora mi seguiva dappertutto come un cane, giocava e faceva a nascondino con me. È morta a 18 anni, era ridotta pelle e ossa, si è spenta con un flebile “mao”.

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Infine devo ricordare Geppetta, una soriana che avrà avuto meno di un anno quando scelse di venire a dormire nella ve-randa in giardino della nostra attuale casa di Roiano e che in molti casi ha mostrato un’intelligenza fuori del comune. Presto divenne stabilmente frequentatrice di tutte le stanze della casa, anche se aveva mantenuto tutta la sua libertà, passeggiando per tutte le strade adiacenti. Sapevo quali erano i suoi luoghi prefe-riti e quando uscivo con il cane la chiamavo e lei arrivava inva-riabilmente, e faceva la passeggiata con noi. Se ci si allontanava troppo dal suo territorio lanciava un miagolio disperato e poi mi aspettava nascosta sotto qualche macchina in sosta, fino al mio ritorno. Aveva un modo di camminare straordinariamente elegante, sembrava un’indossatrice.

dalla Prefazione a Il gattile e dintorni di Giorgio CocianiGraphart, 2007

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Concerto notturnodi Gulielmus Baldwin

Prima che fossi da molto tempo sprofondato in questa con-templazione, i gatti, i cui urli della notte precedente erano stati lo spunto di tutto quello che vi ho raccontato, erano di nuovo radunati sul tetto ricoperto di piombo di cui vi ho par-lato, dove stavano dritti i quarti dei morti, e allo stesso modo della notte prima, uno cantava in un certo tono, un altro in un altro, servizio simile a quello che la cappella del mio Signo-re cantò su un palco dinanzi al Re. Non osservavano accordi musicali, né diatessaron, né diapente, né diapason, eppure mi sembra di mentire, ma un gatto, gemendo come fa un orso quando gli vengono sciolti contro i cani, cantava a voce alta una nota così bassa che, in confronto a un altro gatto che, gridando come un bambino piccolo strillava un suono acuto e stridulo, lo si sarebbe ben potuto considerare un doppio dia-pason. Di conseguenza, con l’intento di poter capire meglio la ragione della loro assemblea e di capirli un po’ attraverso i loro gesti, andai pian piano in una camera che ha una finestra che dà sullo stesso tetto e rimanendo nascosto nell’oscurità os-servai attraverso il graticcio, come meglio potevo, tutti i loro gesti e il loro modo di comportarsi.

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E vi assicuro che vedere quale contegno, quali gesti di saluto, sì e quale ordine ci fosse tra di loro meritava l’osservazione. Perché un gatto, molto grosso, con il pelo grigio, una barbet-ta ispida e due occhi grandi che splendevano e scintillavano come due stelle, se ne stava seduto nel mezzo e ne aveva ac-canto un altro per parte. E davanti a lui ce n’erano altri tre, di cui uno miagolava di continuo, salvo quando il gatto gros-so gemeva. E ogni volta, dopo che il gatto grosso aveva così fatto, il gatto che miagolava ricominciava, prima allungando il collo e poi, per così dire, facendo una riverenza a quelli seduti. E spesso, nel bel mezzo del miagolio di questo gatto, tutti gli altri si mettevano all’improvviso a gridare ognuno nel suo tono e immediatamente dopo si zittivano di nuovo, come se stessero ridendo di qualcosa che avevano sentito affermare dall’altro gatto. E in questo modo li osservai dalle dieci fino a mezzanotte, ora in cui, non saprei dire se fosse un recipiente nella cucina sottostante o un’asse nella tipografia poco distan-te, ma qualcosa cadde facendo un tale rumore che tutti i gatti balzarono sulla casa ed io temendo, per paura che qualcuno si fosse alzato per vedere che cos’era caduto, di essere accusato di averlo fatto cadere se mi si trovava lì, corsi velocemente in ca-mera mia e, trovandovi la lampada ancora accesa, mi misi sul letto e considerai il comportamento di quei gatti, ponderando da diritto e da rovescio su che cosa se ne poteva congetturare al fine di sapere che cosa volessero dire.E immediatamente giudicai che il gatto grigio seduto nel mez-zo fosse il capo e che se ne stesse seduto in mezzo agli altri in qualità di giudice e che il gatto che miagolava continuamente gli rendesse nota qualche questione o gli facesse il resoconto di qualcosa. In tal modo venni subito preso da un tale desiderio

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di sapere cosa avesse detto che non riuscii a dormire tutta la notte, ma rimasi sdraiato ad escogitare un modo per imparare a capirli.

da Attenti al gattotraduzione di S. MelaniFelinamente, 1992

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