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Elisabetta Motta, la poesia e il mistero Di Carmela Tandurella 27 Gennaio 2017 Un libro-intervista a dodici poeti. Con illustrazioni di Luciano Ragozzino. Sa avvicinare alla poesia e al suo mistero anche il (/index.php) Dal 2008 rivista non pro¨t di cultura, ambiente e politica. Senza pubblicità.

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ElisabettaMotta, la poesia

e il misteroDi Carmela TandurellaC 27 Gennaio 2017

Un libro-intervista a dodici poeti. Conillustrazioni di Luciano Ragozzino. Sa

avvicinare alla poesia e al suo mistero anche il

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(/index.php)

Dal 2008 rivista non pro¨t di cultura, ambiente e politica. Senzapubblicità.

Unlettore più provato da tanta pretenziosa

oscurità in cui spesso si avvolge la produzionepoetica contemporanea.

libro che promette molto emolto mantiene, questo diElisabetta Motta intitolato “La

poesia e il mistero. Dodici dialoghi conillustrazioni di Luciano Ragozzino”, ed editoda La Vita Felice:  perché con profondità ecompetenza, ma anche con la semplicità e laleggerezza di chi parla di cose familiari eamate,  sa avvicinare alla poesia e al suomistero anche il lettore più provato da tantapretenziosa oscurità in cui spesso si avvolge laproduzione poetica contemporanea. L’autrice hapresentato questo suo libro lo scorso ottobre,nell’ambito del Salotto Letterario della ReginaMargherita, ma 韺�n da allora era attesa ad unappuntamento con Seregno, la città in cui ènata e in cui vive, e in cui l’ho potuta ascoltarela scorsa settimana nell’ambito di una bellaserata organizzata da due associazioni locali(Seregn de La Memoria e L'Umana Avventura):un appuntamento con una città legata anche adalcuni dei poeti intervistati e attraverso essi aduna parte dei contenuti del libro stesso.

“La poesia e il mistero” è tante cose insieme:un’antologia di testi poetici, sette per ciascunodegli Autori, un distillato della loro produzione; una lunga meditazione, svolta attraverso ildialogo con interlocutori capaci di fornire unatestimonianza signi韺�cativa, sul tema dellarelazione tra poesia e mistero; un racconto diincontri umani e personali;  una raccolta diillustrazioni, di immagini originali  checostituiscono una sorta di sintesi o dicommento ai testi e alla testimonianza diciascuno dei dodici poeti scelti liberamentedall’Autrice.  È il resoconto di un’avventura, diun lungo percorso di approfondimento e discoperta dei tanti aspetti davvero inattesi e

Quell’atteggiamento “vagamente

sacerdotale” che

certi

poeti “inalberano

come un

vessillo”,

avvolgendosi

in

“immagini

enigmatiche” e “simboli

indecifrabili”

di韞�erenti che agli occhi di poeti e di intellettualidi diverso orientamento ideale assume ilrapporto col sacro e col mistero.

Elisabetta Motta, insegnante, critica letteraria evicepresidente della Casa della Poesia di Monzae Brianza,  si occupa da tempo di questo tema,come testimoniano le sue pubblicazioniprecedenti, ma in questa nuova opera ha volutoe saputo evitare che la sua divenisse una ricercadi stampo quasi confessionale, sulle tracce diuna sorta di natura religiosa della ispirazionepoetica. Molti fra i poeti intervistati dichiaranouna distanza dalla religiosità convenzionale,dalla fede cattolica imparata nell’infanzia, unaestraneità rispetto alla fede intensamentevissuta e condivisa invece da altri.

Non solo: dichiarato è anche dapiù d’uno fra loro il fastidioper quell’atteggiamento“vagamente sacerdotale” checerti poeti “inalberano comeun vessillo”, avvolgendosi in“immagini enigmatiche” e“simboli indecifrabili” (FabioPusterla). Mistero è qui, un po’per tutti i poeti ascoltati,  unadimensione della realtà,quando ad essa si rivolga unosguardo attento e partecipe:non solo al cielo stellato e alcosmo, ai grandi temi dellavita e della morte o allainquietante presenza del male,ma anche ad ogni umile aspetto della vitaquotidiana. Citando Pessoa, Elisabetta ricordache “Il mistero non è mai così trasparentecome nella contemplazione delle piccole cose”.Così due piccoli ragni sospesi nel vuotorimandano il poeta Giorgio Orelli  al“trasparente mistero” in cui si sentivaimmerso, dove in “un battito d’ali,  una韺�oritura fuori stagione… non gli era di韉�cile

cogliere i segni di una misteriosa tessitura delmondo”. E sono sempre quei due piccoli ragni arappresentare forse un’idea del testo poeticocome tessitura, 韺�lo lanciato tra il detto e il nondetto:  “frontiera capitale” per chi scrive, diceOrelli nell’intervista, “quella che separa il dettodal non detto”. E non solo per la scrittura,forse, ma per ogni forma di comunicazione.Dire troppo o troppo poco, dilemma cruciale chela poesia risolve con la densità della sua parola,col suo potere che è di per sé intriso di mistero. È, la poesia, un mondo parallelo di  “parolearmonizzate”, nel quale si ri韺�ette il misteroche è nel cuore delle cose:  dove c’è un silenziocolmo di attesa/ una parola trattenuta comequando/si vede una donna e si resta a guardare/ ilsuo mistero. Così ne parla Alberto Nessi, unaltro, con Pusterla, Orelli, De Marchi, dei poetisvizzeri in lingua italiana intervistati daElisabetta Motta.

 

 

È in questione, in questo confronto serrato eincalzante coi poeti che l’autrice ha scelto diincontrare, innanzitutto il compito dellascrittura, sebbene tale questione, come ognialtro tema importante legato ad essa, nonemerga in modo sistematico dai dialoghi: comegiustamente ha osservato nel corso della serataseregnese Corrado Bagnoli, Elisabetta Motta

La

merci¨cazione

non è

solo

attorno

a noi, è

in noi.

Pure,

ogni

tanto,

sentiamo

che non

siamo

solo una

merce, o

dei

consumatori

di

merce.

non usa griglie precostituite, si lascia condurredall’ascolto, va incontro al nuovo che ogniincontro promette. “Compito della scrittura èquello di «scavare» nel reale alla ricerca di unsenso, farsi strumento di «resistenza»”….”creare palizzate, argini, terrapieni contro lamerci韺�cazione che tutto travolge”. Questa è lade韺�nizione che ne dà Fabio Pusterla, e cheemerge dalla sua risposta alla domanda su cosasia per lui il sacro:

“La merci韺�cazione non è soloattorno a noi, è in noi. Pure,ogni tanto, sentiamo che nonsiamo solo una merce, o deiconsumatori di merce.Intuiamo che per sentirci viviabbiamo bisogno di unaprofondità, di una radice; è lì,per me, lo spazio del sacro.” Ecita poi ampiamente un’altrasua intervista, in cui ricordavaThe cave of the lost dream diWerner Herzog, undocumentario che celebrava ilmodo in cui gli artistipreistorici delle incisionirupestri nell’Ardèche avevanosaputo sottrarre quelle 韺�guredi animali alla prigionia deltempo, creando qualcosa di“lancinante e meraviglioso”.Lo fa per riportare  appunto alsenso del sacro la radice diogni arte degna di questonome: “Un sacro laico,svincolato da qualsivogliameta韺�sica o ideologia

religiosa: una caverna che rappresentasse ilpunto più profondo e più inviolabile di noi e delnostro passato e della nostra speranza difuturo, una cosa che non possa mai esserevenduta o comprata.” La parola poetica ha la

capacità di rimetterci in contatto con questaprofondità che è in noi e che  ci permette dirivolgere alla realtà uno sguardo pieno diinteresse e di stupore.

Così possiamo talvolta contemplare qualcosa di“una bellezza che fa male”, perché “ogni voltati sfugge e ti cattura, ti chiama e vola via”,come i due laghetti alpini di cui parla Pusterlain una sua prosa, due occhi che ti guardano eproducono in te “la nostalgia di ciò che nonsei”. Il rapporto tra lo sguardo e la parolapoetica è un altro dei temi che emergono neidialoghi, richiamando anche il rapporto tra lapoesia e le arti visive, spesso evocato siadall’intervistatrice che dai poeti. Questo tema èemerso in particolare nell’intervista a CorradoBagnoli, che è stato, insieme a Pietro DeMarchi e Giancarlo Pontiggia, presenteall’incontro col pubblico di Seregno: non a caso,dal momento che si tratta di tre poeti di origineseregnese. L’occasione da cui  è scaturitol’interesse di Elisabetta Motta per la poesia diBagnoli è stata una mostra, svoltasi presso il locale circolo culturale San Giuseppe,  delpittore Pierantonio Verga, con la scoperta dellegame tra l’opera di questo pittore e quella delpoeta, nonché di  entrambe col tema delmistero.

Le case che campeggiano nei quadri di Vergasullo sfondo di cieli notturni, La casa dell’angelo,La casa povera, La casa del poeta, appaiono aElisabetta non solo come “luoghi umili e silentidi accoglienza e protezione, ma anche al tempostesso punti d’incontro tra 韺�nito e in韺�nito”; o,come  dice Bagnoli, “una sorta di correlativooggettivo” della sua idea di poesia.  Che è quelladi una parola che indica, fa vedere: “quandoqualcuno mi chiede da dove viene la miascrittura, un po’ provocatoriamente ma inmodo veritiero, dico che sono stati i pittori ainsegnarmi a scrivere.” Non a caso, Bagnoli hadiretto con Piero Marelli e lo stesso Pierantonio

Verga la collana di libri d’artista Fiori diTorchio edita dal Circolo Culturale Seregn de laMemoria e giunta al LXVII numero; dopo lascomparsa di Verga, continua a farlo insieme adAlessandro Savelli, trovando ogni volta inattesecorrispondenze tra voci poetiche e immaginigra韺�che. Il suo poemetto Casa di vetro“racconta” l’arte di Verga, e ricordal’insegnamento del suo maestro Lucio Fontanache invitava i suoi allievi  a non preoccuparsidel quadro, ma del mondo, di quella relazionecol reale da cui sola può nascere l’arte. Se lapittura ha in comune con la poesia questaorigine dallo sguardo, inteso anche ampiamentecome visione, anche la loro crisi nel mondocontemporaneo ha un’origine comunenell’assenza di “uno sguardo che getti lucesulle cose”, che si assuma la responsabilità didiscriminare.

L’idea di mistero espressa da Bagnoli ha a chefare col rapporto tra 韺�nito e in韺�nito sia neitermini “razionali” della poesia leopardiana chein quelli religiosi della incarnazione, rivissutaperò nel miracolo molto umano della attesa diun 韺�glio. Anzi, di quella 韺�glia che oggi a suavolta sta per diventare madre. Perché talora ilmistero si presenta anche sotto forma di sottilicoincidenze , di richiami reciproci esovrapposizioni di eventi e di momenti chesembrano suggerire un sovrappiù di senso: èstato il comune interesse per la poesia diGiorgio Orelli a far incontrare ad ElisabettaMotta il poeta Pietro De Marchi  quandoentrambi ignoravano la comune origineseregnese. Anche questi 韺�li sottili che a volteintrecciano le nostre vite a quelle degli altrisembrano segnalare la presenza di unadimensione di mistero ed è in questi terminiche De Marchi dice di voler declinare il tema inoccasione di questo suo ritorno nella città  disua madre, dove è nato e dove hanno vissuto evivono ancora i suoi parenti, presenze

signi韺�cative nella vita cittadina: soprattutto ilnonno materno, musicista e compositore,autore ed esecutore di musica sacra comeorganista e maestro di cappella nella Basilica.

Fonte di ispirazione per la poesia di De Marchi èla memoria delle persone e dei luoghi, depositodi tutto ciò che può essere considerato sacro:perché sacro, dice, per lui è sempre stato unaggettivo, associato a cose molto concrete e nonsempre di natura nobile ed elevata, ma semprecolme di senso. Il compito della scrittura è perlui quello di custodire, preservare ciò cheappartiene alla memoria, attraverso il misterodella parola e della diversità delle lingue allaquale la sua appartenenza alla cultura svizzeralo  rende inevitabilmente attento. Già con lacitazione di una frase di Elias Canetti in ex ergo,Elisabetta Motta aveva segnalato come “il fattopiù misterioso dell’umanità” l’esistenza dilingue diverse, insieme alla natura stessa dellinguaggio. E tuttavia, Pietro de Marchiconsidera ancor più grande, ed emozionante perlui, il mistero delle note, al quale ha intitolatouna sua poesia, quel linguaggio della musicache le grandi mani del nonno suscitavano dallatastiera  e che non ha bisogno di traduzione.  

 

 

Della forza con cui il paesaggio vissutonell’infanzia si imprime in noi, divenendo ilprimo veicolo del senso del sacro e del mistero, parla Giancarlo Pontiggia, ricordandol’emozione con cui, inoltrandosi tra i campi digranturco che si stendevano vasti in quella cheera molti anni fa la periferia del paese, scoprival’enigma della pioggia e del sereno e siimmergeva nella contemplazione del cielostellato: “il bimbo che contempla quei «carrilucenti»,  quelle geometrie di nomi e dinumeri, perdendosi nell’in韺�nità di un cielod’estate, già avverte tutta la tensionedrammatica di quello sguardo. Non c’è nientedi più intenso di un cielo stellato, in cui tutto è韺�sico e simbolico insieme, in cui la bellezzagenera all’istante pensieri fatali e brucianti”.

Misteriosa, a quel tempo, la campagnalombarda, dice il poeta ricordando la suainfanzia. Capace di rivelare l’in韺�nito quasiquanto il cielo e il mare della Grecia con la loro“inaudita potenza”, quel paesaggio puro,essenziale, dove tutto “è divino, esatto eppureestatico”. Tornare a una dimensione originaria,ancestrale, all’infanzia, alla Grecia coi suoipoeti “sovrastati dal senso del mistero, arresialla potenza di un destino insondabile, eppuregrandiosi nella loro volontà di perseguire ilvero, di dar conto delle contraddizioni delreale”: questo, per Pontiggia, l’antidoto all’aridità dell’intellettualismo e della ricerca adogni costo del nuovo.

La critica, la resistenza agli aspetti deterioridella modernità, il bisogno di contribuire asalvare il cuore della nostra umanitàaccomunano molti passaggi di questi dialoghi.Vi si a韞�rontano temi di altissimo peso e valore,vi si discute non solo di letteratura, arte,religione, ma anche di sapienza e ricerca dellaverità. Ho segnalato solo la metà dei poetiintervistati da Elisabetta, scegliendoli anch’ioliberamente tra quelli che hanno avuto in memaggiore risonanza: meritevoli tutti diattenzione i rimanenti, portatori di altre visionidella poesia e del mistero. Da Giampiero Neriche si confronta con il lato oscuro della nostraumanità, evocando Giuda,  a Davide Ferrari chea韉�da alla poesia, il compito, per lui comuneanche alla scienza, di avvicinarsi alla meravigliadel reale avventurandosi nei misteri dellamateria. E poi l’ispirazione più apertamentereligiosa di Donatella Bisutti e la “fame“ di vitadel “lupo” Davide Rondoni, la “perpetua cacciaspirituale” di Massimo Morasso o di nuovo ilpaesaggio, la terra coi suoi elementi,  laSardegna coi suoi spazi colmi  di silenzio edensi di mistero da cui proviene AntonellaAnedda. Ho cercato, temo senza riuscirci, didare un’idea della grande ricchezza del testo,