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elena chiesa Dott.ssa Elena Chiesa via Pietro Bembo 11 20161 Milano [email protected] 348 2307 247 Nata ad Abbiategrasso (MI) il 3 agosto 1965 C.F. CHSLNE65M43A010H Perito del Collegio Lombardo Periti Esperti Consulenti Iscrizione 5599 Settore XVII Belle Arti e Antiquariato . Cerchia di Camillo Procaccini (Parma, 1561- Milano, 1629) San Giorgio uccide il drago Fine del XVI- Inizi del XVII secolo Olio su tavola, cm 48x31,5 circa Foglio 1 di 4

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Dott.ssa Elena Chiesavia Pietro Bembo 1120161 [email protected] 2307 247

Nata ad Abbiategrasso (MI)il 3 agosto 1965C.F. CHSLNE65M43A010H

Perito del Collegio Lombardo Periti Esperti ConsulentiIscrizione 5599Settore XVIIBelle Arti e Antiquariato

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Cerchia di Camillo Procaccini (Parma, 1561- Milano, 1629)San Giorgio uccide il dragoFine del XVI- Inizi del XVII secoloOlio su tavola, cm 48x31,5 circa

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Il dipinto interpreta l’attimo decisivo della lotta di San Giorgio e il drago, secondo la celebre leggenda, nata nella cristianità delle origini e diffusa attraverso i secoli. Il Santo cavaliere irrompe dal folto del bosco, la lancia puntata, in sella al destriero, che, assecondando l’impeto dello scontro, si impenna, sovrastando il drago, mostro composito, dalle minacciose fauci spalancate.

La leggenda sulla vita di San Giorgio, santo martire degli albori della cristianità, descrive il nobile cavaliere errante di fede cristiana originario della Cappadocia, che giunto in Cirenaica, presso il regno di Silene infestato dalla presenza di un drago, la cui minaccia viene limitata da sacrifici umani, uccide il mostro, salvando la vita alla figlia del re. Come ricompensa non chiede beni terreni, ma la conversione al cristia-nesimo della popolazione.

Il culto di San Giorgio conosce vasta diffusione, grazie alla portata simbolica, ed esemplare, della vittoria del Bene contro il Male, modellata sulla lotta dell’arcangelo Michele descritta nell’Apocalisse, anche in terra ambrosiana, ove, significativamen-te, a Milano, viene eretta l’antica basilica dedicata al Santo, nei pressi del palazzo imperiale ove Costantino, nel 313, concede la libertà religiosa ai romani, legittiman-do la fede cristiana.

La narrazione della vita di San Giorgio, che la chiesa riconosce con fondamento sto-rico solo rispetto alla sua morte per martirio in Palestina, conosce una vasta fortuna iconografica, emblematica dell’evangelizzazione dei popoli pagani alle origini del cristianesimo e, per estensione, nei diversi periodi storici, divenendo figura esempla-re per la condotta del fedele e del trionfo della chiesa nella lotta del Bene sul Male.

L’opera, una tavola di piccolo formato, destinata alla devozione privata, trova nel San Giorgio e il drago dipinta da Camillo Procaccini (Parma, 1561- Milano, 1629) per la chiesa di San Martino a Lesa, sulle sponde del lago Maggiore, intorno al 1595, commissionata dalla famiglia Visconti, l’antecedente iconografico più diretto. Il di-pinto di grande formato, voluto dai primi committenti del pittore emiliano in Lom-bardia, risponde alle esigenze di culto espresse dalla chiesa cattolica in un periodo di rinnovato impegno verso l’ortodossia della fede, a pochi decenni dalla conclusione del Concilio di Trento e dall’episcopato nella diocesi lombarda di Carlo Borromeo.

I riferimenti alla pala di Lesa, nel nostro dipinto, ascritti alla composizione, alla dinamica dell’azione e al debito stilistico verso il Manierismo rielaborato dal Mae-stro emiliano (nel dipinto con particolare riferimento a Parmigianino, cui si deve la postura del cavallo, esemplato sulla Conversione di San Paolo, del 1527, di Vienna), si accompagnano elementi stilistici e di contenuto originali.

Il dipinto esclude dalla rappresentazione la presenza della Principessa, ricorrente nell’iconografia dedicata alla leggenda di San Giorgio, e ripresa da C. Procaccini, per concentrarsi sulla lotta, in primo piano, tra il Santo cavaliere e il drago, descri-vendo a destra un brano di dolce paesaggio collinare in lontananza, di gusto natura-listico, verso il quale siamo condotti dalla quinta arborea alle spalle di San Giorgio. La scelta pare, a parere della scrivente, porre l’accento sul contenuto di fede, rispet-to all’elemento favolistico-narrativo, secondo gli intendimenti controriformistici, in terra lombarda, codificati e promossi dall’intransigente personalità di San Carlo Borromeo, arcivescovo della diocesi di Milano dal 1565 al 1584, le cui Instructiones trovano imprescindibile eco nella pittura del sin nel XVII secolo.

La tavola in esame media tra istanze manieristiche, in seno alle quali crediamo ma-turi la personalità dell’Autore, e il nuovo impegno verso la chiarezza dei contenuti e del sostrato emotivo, capaci di coinvolgere il riguardante ai fini di suscitare l’adesio-ne e l’imitazione morale dell’esempio.

Il Maestro descrive San Giorgio in lieve torsione, secondo una tavolozza preziosa, che accosta il giallo intenso della tunica, finemente descritta, al colore purpureo del

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mantello profilato in oro, che l’impeto dell’azione lascia alle spalle del cavaliere; così i calzari violacei, l’elmo piumato, i finimenti del cavallo in acceso rosso ar-ricchiti di bordure dorate ci rimandano alle raffinatezze della cultura manieristica. Sotto il profilo della tecnica pittorica si sottolinea la gestione di un ductus minuzioso, calligrafico nel definire le lumeggiature dei protagonisti e gli ornamenti, che lasciano ipotizzare una formazione dell’Autore che includa l’ambito miniaturistico, qui ap-plicata ad una piccola tavola destinata alla committenza privata di gusto aggiornato.

L’azione del Santo cavaliere mantiene una grazia composta nel dirigere la lancia verso le fauci del drago, descritto, secondo una tradizione che ha origine nella clas-sicità e percorre il Medioevo sino alle date della modernità, come mostro dal corpo serpentino alato con mammelle, zampe artigliate, la testa da mammifero crestata e la lingua biforcuta, accentuando l’aspetto simbolico emblematico del Male, al quale si contrappone la classicità di San Giorgio, incarnazione del Bene.

Il contenuto devozionale della rappresentazione, accogliendo i precetti controrifor-mistici, è quindi condotto a grande evidenza, e gestito nel richiamo alla classicità, che a Milano nel secondo Cinquecento, si confronta con la lezione di Pellegrino Tibaldi, portatrice dei valori romani in senso michelangiolesco, verso la quale rinve-niamo, nel dipinto in esame, eco nella possanza di San Giorgio e del suo destriero.

Alla lotta del Bene contro il Male condotta da San Giorgio è solidale la postura im-pennata del cavallo, tradizionalmente bianco, qui dal vello maculato dagli accenti naturalistici. A colpire è lo sguardo umanizzato del destriero rivolto al riguardante, quasi un invito a rendersi emotivamente partecipi della scena.

L’elemento iconografico, rinvenibile nella già citata pala di Lesa di C. Procaccini, che, nel 1600 circa, si misura nuovamente con il tema, ma con tono più austero, per la chiesa milanese del Santo Sepolcro, e nel dipinto del tutto simile conservato alla milanese Pinacoteca Ambrosiana, trova antecedente in Milano nel San Paolo Con-verso di Alessandro Bonvicino (detto Moretto da Brescia, Brescia, 1498-1554), ese-guita nel 1539-40, conservata nella Chiesa di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso. In anni pressocchè coevi al dipinto in esame il dato iconografico ricompare nel Sant’Ambrogio che scaccia gli Ariani, del 1590 circa, di Giovanni Ambrogio Figino (Milano, 1557-1608), conosciuto in due esemplari, l’uno conservato nella Chiesa di Sant’Eustorgio, l’altro eseguito per la Cappella del Tribunale di Provvi-sione di Palazzo Guiriconsulti, oggi nella Civica raccolta del Castello Sforzesco. L’opera di G. A. Figino rappresenta il Padre della Chiesa e della religiosità milanese a cavallo, vestito delle insegne che contraddistinguono la propria investitura, colto simbolicamente come un antico condottiero, nell’impeto della lotta all’arianesimo, interpretato in chiave di continuità con il rinnovato impegno nella religiosità lombar-da della diocesi meneghina, raccolta dal Cardinal Federico Borromeo. Lo sguardo del destriero nel dipinto del Figino mitiga la severità del volto di Sant’Ambrogio, pur partecipando alla monumentalità e al pathos dell’azione, intessendo un rapporto di coinvolgimento con il riguardante, chiamato ad aderire al contenuto del dipinto sul filo dell’emotività, come i precetti inerenti le arti di Carlo Borromeo raccomandano.

Nel nostro dipinto le lezioni iconografiche citate sono interpretate secondo il registro della dolcezza, a sottolineare l’intento devozionale, che veicola con tono ‘colloquia-le’ l’insegnamento di fede. L’Autore compie un’operazione di recupero della tradi-zione iconografica arcaica, tratta dai bestiari medievali, per rappresentare il Male, ai fini d’accentuare il portato simbolico, cui si contrappone la monumentalità composta del Santo cavaliere, stemperando la drammaticità dell’azione nella serenità del dato paesaggistico.

La fortuna delle raffigurazioni dedicate a San Giorgio, cui si affianca San Michele, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, in chiave emblematica, è testi-moniata, ascrivendo i rilievi all’opera di C. Procaccini, dalla presenza di opere di piccolo formato riferite dagli storici al Maestro e alla sua bottega, tra cui citiamo

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il piccolo rame conservato a Roma, presso la Galleria d’Arte Antica di Palazzo Barberini, che recupera i valori giovanili dell’opera dell’Artista. Come assodato dalla critica, C. Procaccini e la sua bottega a Milano, e in Lombardia, detengono ruolo centrale nell’interpretazione pittorica delle esigenze di culto secondo stilemi aggiornati, affiancando alle commissioni ufficiali dipinti di piccolo formato, destinati alla committenza privata.

L’Autore del dipinto in esame, pur non puntualizzando l’identità, mostra di conoscere e partecipare dell’invenzione di C. Procaccini, avanzando elementi originali, in anni coevi, che ci conducono, come osservato, al confronto con gli esempi pittorici e la cultura artistica della Milano al volgere del XVI secolo, realizzando un’opera di delicato equilibrio, tra cultura tardo-manierista e intento devozionale improntato ai valori contro-riformistici, che conduce, in consonanza al contesto, alla rinnovata propo-sizione della classicità.

Bibliografia

N. W. Neilson, Camillo Procaccini: paintings and drawings, New York 1979

G. Briganti (a cura di), La pittura in Italia. Il Cinquecento, Electa, Milano 1992, voll. I e II

F. Caroli (a cura di), Il Cinquecento lombardo: da Leonardo a Caravaggio, Skira, Milano 2000

P. Biscottini (a cura di), Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola, Museo Diocesano di Milano, Milano 2005

F. M. Ferro, M. Dell’Omo (a cura di), Camillo Procaccini (1561-1629). Le sperimentazioni giovanili tra Emilia, Lombardia e Canton Ticino, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2007

F. Gonzales, C. Ranghino, Il Seicento nel novarese, Italgrafica, Novara 2008

Milano, 26 agosto 2021

Elena Chiesa

Professionista ai sensi della legge 4/2013

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