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STUDI DI TEOLOGIA

Rivista teologica semestrale edita a cura dello ISTITUTO DI FORMAZIONE EVANGELICA E DOCUMENTAZIONE

Annoll No l r Semestre 19901

Direttore responsabile Prof. Pietro Bolognesi

Amministrazione I.F.E.D. C.P. 756 I-35100 Padova

Abbonamento annuo L.16.000- Sostenitore L. 25.000- Estero L. 2 0.000. I versamenti vanno effettuati sul CC P N• 1086 7356 intestato a Ifed, Padova. Gli abbonamenti non disdetti entro il3 1 dicembre si intendono tacitamente rinnovati. La rivista esce a febbraio e a ottobre. Spedizione in abbonamento postale, Gruppo IV j70% - semestrale. Per corri·spondenza con l a redazione: Sdt, Via J. della Quercia 81, 35 134 Padova.

SOMMARIO

Introduzione

AR TICOLI • Le basi bibliche della missione cristiana

Robert D. Recker ............................................ . pag.

* La nascita e lo sviluppo delle missioni evangeliche Jacques Blandenier .......................................... . pag.

• La dimensione comunitaria del servizio missionario Daniel Herm ............................................... . pag.

• La relazione tra chiesa e missione, contorni del problema Pau! Finch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.

• Riflessioni a margine di Francoforte e Wheaton Gioele Corradini ............................................ . pag.

DOCUMENTAZIONE • Dichiarazione di Francoforte: 1970 ............................. . pag.

* Dichiarazione di Wheaton: 1983 ............................... . pag.

• il Manifesto di Manila: 1989 .................................. . pag.

RASSEGNE * La missione in alcune opere recenti

Paul Finch ................................................. . pag.

SEGNALAZIONI BIDLIOGRA F ICH E ........................... . pag.

LISTA D EI LIDRI RIC EVUTI .................................. . pag.

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INTRODUZIONE

La missiologia è generalmente definita come la scienza che studia, registra ed applica il messaggio della fede cristiana in un contesto interculturale in vista della diffusione delle fede stessa. Se da un la­to essa è collegata agli studi biblici e teologici, dall'altro essa si col­lega a discipline quali l ' antropologia, la linguistica, la sociologia, la storia e la comunicazione. Tra tutte queste diverse discipline si suppone comunque un'interazione dinamica.

A ben guardare si può dire che s 'assiste oggi ad una nuova esplo­sione del lavoro missionario. I paesi che un tempo erano conside­rati luoghi di missione, sono a loro volta diventati delle basi per l ' invio di missionari. Ciò comporta vantaggi non indifferenti. In genere questi missionari sono più vicini alla cultura ed alla lingua delle persone che cercano di raggiungere, il costo economico risul­ta enormemente ridotto, i problemi organizzativi appaiono facil­mente superabili, il ritorno al primo compito del lavoro missiona­rio: evangelizzazione e fondazione di chiese, appare recuperato ed il bilancio risulta generalmente assai positivo.

Ma la missione rimane un 'esigenza per ogni chiesa. Essa non è una postilla all 'ecclesiologia, ma una parte integrante d'essa. Ogni chiesa allora, ma anche ogni generazione, deve far fronte alle di­verse questioni legate alla missione. Il qualunquismo dell 'azione non può rimediare alla mediocrità del pensiero. Se non si vogliono fare passi falsi e agire con criteri sani, bisogna interrogarsi sulle va­rie questioni. Col passare del tempo infatti , se esse non sono chia­rite, diventano una minaccia non indifferente per chi manda, per l 'inviato e per chi riceve. Non si tratta di fare per fare, ma di capi­re per essere e agire. Molto sinteticamente le questioni più ricor­renti sono riconducibili ai temi che seguono.

L'identità della chiesa e la sua missione. n mandato del Risor­to di andare per tutto il mondo dev 'essere considerato qualcosa di

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unico, o deve anche contemplare l'importanza del primo mandato di rendere soggetta la terra (Gn 1,28)? Si tratta solo d'evangelizza­re o di essere testimoni nel senso più largo del termine? La chiesa deve cioè limitarsi ad essere una scialuppa di salvataggio per qual­che anima, o deve piuttosto essere tempio ed edificio della nuova umanità di Dio? La sua identità è più correttamente espressa da una lampada nascosta o dalla luce del mondo e dal sale della terra?

Il Vangelo e le altre religioni. Cosa rappresentano le altre reli­gioni rispetto·alla buona notizia del Vangelo? In un libro assai im­portante sul contenuto dell'evangelizzazione è scritto: "Gli enti missionari sono esitanti quando devono rispondere alla domanda 'cos'è l'Evangelo?"' (W. Chantry, Vangelo oggi. Vero o falsifica­to?, Finale Ligure 1 977, p. 10). La questione non è piccola. Che fa­re delle ideologie che s'incontrano? Qual è il loro rapporto con lla creazione di Dio? I loro eventuali "valori" devono essere integrati nella vita della chiesa o devono essere respinti in blocco? Centra­re tutto sulla chiesa e sul suo messaggio sarebbe troppo limitativo per scoprire nuovi orizzonti?

La salvezza ed i non cristiani. Cosa si deve pensare di coloro che non hanno udito il messaggio dell'Evangelo? E' possibile che essi siano comunque salvati attraverso la conoscenza che hanno, o ogni tipo di pietà è inutile senza la conoscenza di Gesù Cristo? La rivelazione generale, quella cioè cui tutti gli uomini hanno acces­so, consente la conoscenza di Dio e quindi la salvezza, o serve so­lo a far conoscere la potenza di Dio e a rendere inescusabili coloro che non vi si affidano in maniera totale?

Il cristianesimo e la cultura. Se Dio è il Dio di tutta la realtà, qual è il valore da riservare alle varie culture? Se Dio è sovrano su tutta la storia degli uomini, che fare degli elementi culturali che il cristianesimo incontra nella sua attività di testimonianza? Bisogna adattare il cristianesimo a tali valori o bisogna respingere ogni ele­mento che dia anche solo l'impressione di mescolanza? Che fare

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inoltre del bagaglio culturale di chi è mandato? E' da considerare un elemento che favorisce o che limita una vera integrazione con l'ambiente in cui l'inviato viene a trovarsi?

La relazione tra chiesa e missione. C'è un ruolo della chiesa nel riconoscere, preparare, mandare e sostenere delle persone perché vadano in altre culture per condurre gli uomini "all'ubbidienza del­la fede", o tale ruolo dev'essere lasciato alle varie organizzazioni missionarie? L'attività missionaria dev'essere concepita in termini individualistici come al suo sorgere in tempi recenti, o dev'espri­mere l 'impegno della chiesa? Quale dev'essere la relazione tra la chiesa e le varie agenzie missionarie? Sono veramente utili tali or­ganizzazioni? Quale dev'essere il contenuto da attribuire al termi­ne comunione in questo caso?

La relazione tra missionari e credenti locali. Qual è il tipo di rapporto che si deve instaurare tra missionari e credenti locali? Sembra che se a livello d'istituzioni si possano trovare delle intese ragionevoli, non sempre esse sono realizzabili a livello locale. Tal­volta sembra permanere una sorta di tensione. C'è chi suggerisce che per capire i rapporti tra chiesa e missione e favorire i rapporti a livello personale potrebbe essere utile che le persone del paese leggessero le lettere circolari che i missionari mandano ai paesi d'o­rigine. Il missionario fa infatti in genere un'opera di mediazione che potrebbe risultare utile comprendere. Ma dove viene archivia­to questo materiale? E poi quali sono le informazioni che i singoli credenti riescono a ricevere?

La formazione dei candidati e la situazione degli inviati. I pro­grammi di formazione generalmente praticati sono adeguati per chi dovrà lavorare in contesti socio-culturali diversi, o si deve pensare a qualcosa di specifico? L'inviato deve gestire le sue attività secon­do i propri convincimenti, o deve rendere conto anche a chi serve? La sua vocazione deve esprimersi sulla base di un rapporto tutto verticale tra lui ed il Signore, o deve anche stabilire un'autentica

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connessione di tipo "orizzontale" tra lui e gli altri? Come gestire i viaggi nei paesi d'origine?

Come si può facilmente evincere, le questioni sono numerose e complesse. Sarebbe veramente presuntuoso pensare di risolverle tutte in breve spazio. Per poter raggiungere convinzioni sufficien­temente solide sarebbe necessario un lavoro non indifferente. D'al­tro lato tra evangelici, protestanti e cattolici, le prospettive non so­no sempre coincidenti neppure sulle questioni missiologiche. Lo­sanna, Ginevra e Roma non si collocano sullo stesso piano teolo­gico. L'universalismo, il proselitismo, la conversione, ecc. costitui­scono elementi di un confronto assai ampio.

Ma la questione della missiologia esiste anche nel nostro pae­se. Anche se le chiese non sono generalmente nate come realtà im­portate dall 'estero, molto presto sono giunti dei missionari da altri paesi. Ultimamente si nota un certo interesse verso la questione. Dopo aver accolto missionari senza troppi interrogativi, alcune chiese si interrogano più in profondità circa le loro responsabilità. I credenti italiani non si fanno più solo fotografare, ma fanno do­mande circa la natura delle missioni e delle chiese d'origine, e sui particolari doni spirituali che il missionario ritiene di avere. l

D'altro lato, i congressi missionari internazionali ed i relativi stimoli, la partenza di persone per la missione, la nascita del gior­nale Missione, hanno contribuito a fare riflettere sulla materia. An­che per questo Studi di teologia ha creduto di dover partecipare a tale presa di coscienza. Senza entrare troppo nei dettagli e pur con­sapevoli dei propri limiti, si è voluto contribuire alla riflessione nel­la speranza che ciò possa servire ad una sana crescita e ad un ade­guato impegno per la gloria di Dio.

PB.

ABBONAMENTI 1990 Gli abbonati che non avessero già provveduto al versamento relativo sono gentilmen­te pregati di provvedere. Un grazie caloroso a tutti coloro che hanno già provveduto, in particolare a chi ha inviato un abbonamento sostenitore.

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LE BASI BIBLICHE DELLA MISSIONE

Robert D. Reckero

La storia biblica ha inizio nel giardino d'Eden e si conclude con la visione di un'umanità rinnovata nella nuova Gerusalemme di Dio. Questa storia descrive il rapporto del popolo e dei popoli con il cen­tro, il Figlio mandato da Dio. E cioè il vero Israelita, il Figliuolo dell 'uomo ripieno della gloria che regna vittorioso.

L'uomo creato e posto sulla terra da Dio è esortato dal Signore a riempire la terra, ad assoggettarla e a dominare ogni cosa viven­te. Dopo il diluvio il Signore disse: "Io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente d'ogni specie" (Gn 9, 1 5) . Anche la promessa di Dio ad Abrahamo conteneva prospettive mondiali. "Io farò di te una grande nazione e ti benedirò . . . e tutte le nazioni della terra saranno benedette in te" (Gn 1 2,2-3).

Gesù ricordò al primo nucleo della chiesa, parlando delle cose stabilite da Dio, che "nel suo nome si sarebbe predicato ravvedi­mento e remissione dei peccati a tutte le genti, cominciando da Ge­rusalemme" (Le 24,47). Rammentò loro che essi sarebbero stati i suoi testimoni ufficiali: "Voi siete testimoni di queste cose" (Le 24,48).

Giovanni ebbe la visione della città escatologica di Dio con le porte aperte al mondo intero per accogliere in essa la gloria e l 'o­nore delle nazioni che cammineranno alla sua luce, e la cui sorgen­te sarà l 'Agnello di Dio (Ap 2 1 ,24-26; cfis 60, 1 1 ) .

L'inizio dell'universo e la visione universalistica della fine del­la storia formano la parentesi divina della Scrittura. Il cuore di que-

'L'A., d'origine statunitense, è stato missionario per diversi anni in Nigeria. Dal 1 969 è pro­fessore aggiunto di missiologia al Calvin Theological Seminary negli Usa. ll presente articolo è trat­to da un'opera pubblicata a cura di Harvie M. Con n, Reaching the Unreached, Phillipsburg 1 984.

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sta parentesi è la storia del nostro Signore Gesù Cristo, una storia che deve essere raccontata alle nazioni.

L'apostolo Paolo, scrivendo l 'Epistola ai Romani, descrive que­sta parentesi evangelica con le parole: "Per mezzo del quale noi ab­biamo ricevuto grazia ed apostolato per trarre all 'ubbidienza della fede tutti i Gentili, per amor del suo nome" (Rm 1 ,5). E alla fine dell 'Epistola riafferma lo stesso concetto: " ... conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto occulto fin dai tempi remoti , ma è ora manifestato, e, mediante le Scritture profetiche, secondo l 'ordine dell 'eterno Iddio, è fatto conoscere a tutte le nazioni per addurle all'ubbidienza della fede" (Rm 16,25-26).

L'Epistola ai Romani rivela che Paolo era alle prese con l 'irri­solta problematica dell'antico patto, la dicotomia tra Israele e i Go­yim (nazioni). Tale epistola in particolar modo mette in evidenza il tentativo di Paolo di affrontare questo mistero dell'opera di Dio nella storia della salvezza; ci sono però molti altri brani significa­tivi in altre sue epistole. Questo fu un problema teologico con cui dovettero confrontarsi anche altri cristiani della chiesa primitiva. La conclusione di Paolo fu che "non v'è distinzione fra Giudeo e Greco; perché lo stesso Signore è Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano" (Rm 1 0, 12) . .

Israele e le nazioni Qual era il significato del cosiddetto "particolarismo" di Dio verso Israele? Si trattava di un semplice approccio metodologico da par­te di Dio verso le nazioni, o di una scelta radicale di Dio per Israe1 le e perciò contraria al mondo Gentile? Non si può negare il fatto che in gran parte dell 'Antico Testamento il modo Gentile è descrit­to come una tentazione ed una minaccia per lsraele1• J ahvé è pre­sentato come il vivente in seno ad Israele, mentre le nazioni gentili sono viste senza Dio e senza speranza (Ef 2, 12). L'unica speranza

1 J.H. Bavinck, An lntroduclion lo lhe Scie ne e ofMissions, Philadelphia 1960, p. 1 1.

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per tali nazioni era la possibilità di andare ad Israele e accostarsi così a Dio che viveva in mezzo ad Israele (ls 55,5; 56,3-8 ; 60, 1-5; Rt l, 1 6). A quel tempo chi voleva conoscere la parola e la volontà di Dio, doveva rapportarsi ad Israele e far così pace con il Dio d'I­sraele. Israele in un certo senso era una pietra di paragone tra le na­zioni (Gn 1 2,3), e doveva diventare strumento di benedizione o di maledizione. ·

Ciò che Dio fece in mezzo e attraverso Israele non fu fatto di nascosto. Israele viveva, per così dire, nell 'anfiteatro delle nazio­ni2. La sua vita comunitaria doveva fungere da modello per le na­zioni, e mostrare la presenza di benedizioni quando venivano man­tenuti gli impegni. La legge del Dio vivente doveva essere vissuta concretamente nella vita comunitaria d'ogni giorno. Israele dove­va mostrare ospitalità verso i forestieri e gli stranieri, governando con la stessa legge sia coloro che appartenevano al popolo che gli stranieri (Es 1 2,48-49; 20, 10; Num 9, 14; 1 5 ,30; l Re 8,41-43). Israele doveva avere verso l 'ospite straniero un atteggiamento d 'a­more, tale comandamento aveva la sua origine nella natura stessa di Dio (Dt 1 0, 1 8- 19; Lv 19,34). Israele veniva esortato a ricordar­si della sua storia di pellegrinaggi (Gn 15, 1 3; 1 8 , 1-8,24; Es 23 ,9). Lo straniero non doveva essere trascurato o dimenticato.

Il patto di Dio con Abrahamo accennava al ruolo che Israele do­veva svolgere nei confronti dei Gentili, un ruolo che Dio compen­diò nell'espressione: "in te saranno benedette tutte le famiglie del­la terra". Zaccaria evidenziò poi ad Israele quale fosse il risultato storico del suo operato. Per le altre nazioni si trattò di maledizione piuttosto che di benedizione (Zc 8, 13). Prima di questo giudizio gli Israeliti erano stati richiamati ad osservare il comandamento di Dio "non opprimete né la vedova né l 'orfano, né lo straniero né il po­vero" (Zc 7, 10). Il libro di Giona, quando è visto alla luce del pen­siero di Dio per Ninive, appare come una critica nei confronti del-

2/d., pp. 14-15.

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la mancanza d'amore di Israele verso i popoli vicini: "E io non avrei pietà di Ninive, la grande città?" (cf anche Ez 36,22-23,36).

In parte questo ruolo risaliva al patto sinaitico. Dio ordinò a Mo­sè di riferire ad Israele queste parole: "Ora dunque, se ubbidite dav­vero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia mi sarete un re­gno di sacerdoti e una nazione santa" (Es 19,5-6) .

Qui Israele è chiaramente posto in mezzo ai popoli della terra, una terra che Dio dichiara essere sua. Il suo ruolo, in questo scena­rio, è di essere un 'ubbidiente comunità di sacerdoti ordinati da Dio, una nazione consacrata al suo servizio. Tutta la terra è descritta co­me il tempio nel quale gli Israeliti, sacerdoti di Dio, servono (cf Ab 2,20). Molto più tardi Pietro, scrivendo agli "esuli della dispersib­ne", commenta questo testo. Egli li esorta ad adempiere al ruolo di un "sacerdozio santo", proclamando le meravigliose opere di Dio che li ha liberati da un mondo di tenebre, astenendosi dalle passio­ni della carne, e mantenendo "una buona condotta tra i pagani" , af­finché essi possano "vedere le vostre buone opere e glorificare Dio nel giorno che egli li visiterà" (l Pt 2,5,9-1 2) .

La preghiera di Salomone per la dedicazione del tempio mostra che questa non era una semplice speculazione teoretica. In essa è raffigurato lo straniero che va al tempio per pregare il Signore aven­do udito parlare delle grandi opere di Dio in un paese lontano. Sa­lomone implorava Dio di ascoltare la preghiera di quello straniero "affinché tutti i popoli della terra possano conoscere il tuo nome e temerti, come fa il tuo popolo Israele . . . " (l Re 8 ,4 1 -43). Spesso la forma liturgica richiamava Israele alla consapevolezza della sovra­nità universale di Jahvé e dell 'importanza che egli aveva per le al­tre nazioni (cf Sal 46,10; 47 ; 67; 95- 100). La fede d'Israele sem­brava gridare ad un universale riconoscimento e ad una sottomis­sione di tutta la terra ali 'Iddio vivente (Sal 72, 19 ; 67 ,2).

Il profeta Isaia previde un giorno in cui Israele avrebbe svolto la funzione di mediatore fra le nazioni. Sarebbe stato il pacificato­re tra i suoi nemici storici e avrebbe condiviso con loro le benedi­zioni derivanti dal patto. E svolgendo un ruolo di servo, Israele sa-

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rebbe diventato una "benedizione in mezzo alla terra" (ls 19,23-24).

Bisogna sottolineare che Israele doveva svolgere il proprio ruo­lo missionario nell 'Antico Testamento secondo il modello centri­peto (Mie 4, 1 -2; Is 2,2-3 ; Zc 8 ,20-23; Is 45, 14- 17 ; 60,3). Ci sono stati tuttavia accenni di un moto centrifugo di Israele verso altre na­zioni. Questo movimento non consisteva semplicemente nel far co- ·

noscere cosa Dio aveva fatto in Israele e attraverso di esso, ma piut­tosto in una cosciente proclamazione del Signore delle nazioni (ls 42, 1 -4; 10- 13 ; 45,6; 2 1 -23; 49,6; 5 1 ,4-5; 52, 1 0, 1 5; 54,3; 56,7; 59, 19 ; 60,9; 6 1 ,6, 1 1 ; 66, 19; Ab 2, 14) .

J.H. Bavinck ha giustamente osservato che l'oggetto di queste gloriose profezie era la venuta del Messia promesso da Dio. Egli sarebbe stato il centro della preannunciata restaurazione d'Israele; e solo in tal modo le nazioni della terra sarebbero state benedette3• Benché gran parte del movimento centripeto sia visto come un mo­to spontaneo, non deve essere rninimizzata la notevole influenza della vita comunitaria d'Israele sulle nazioni. Israele era posto nel­l ' anfiteatro del mondo dove Dio aveva riunito tutte le nazioni da­vanti a sè per un giudizio cosmico (Is 43,8- 1 3) , ed era stato chia­mato ad essere il testimone ufficiale di Jahvé. Esso era posto come testimone della verità, del fatto che Dio aveva salvato e che non c'era altro Dio e Salvatore al di fuori di lui: "voi siete miei testimo­ni" (ls 43, 10, 1 2; 44,8) . I ruoli del Servo individuale di Jahvé e del servo comunitario, Israele, non sono nettamente distinti nei canti del Servo. All' interno del racconto, sembra anzi esserci una inter­dipendenza tra le due figure. Possiamo comunque affermare che il Servo è lo strumento scelto da Dio per illuminare i Gentili. L'ini­zio di quest'opera si ebbe quando la Galilea delle nazioni vide una gran luce (ls 9 , 1 -2; Mt 4, 1 2- 1 7) . Subito dopo, nel racconto, Gesù chiamò i suoi discepoli�affinché lo seguissero, dicendo: "Vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19) . E nel sermone sul monte egli desi-

3 Id., p. 20.

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gnò i suoi seguaci come "il sale della terra" e "la luce del mondo" (Mt 5, 1 3- 14) .

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Non è quindi strano che Luca nella conclusione del suo Vange­lo e all ' inizio del libro degli Atti rilevi che Cristo, esprimendosi se­condo il linguaggio d'Isaia, affermò che i suoi seguaci dovevano ora svolgere l 'antico ruolo d ' Israele tra le nazioni. "Mi sarete testi­moni in Gerusalemme, in tutta la Giudea, in Samaria, e fino aqe estremità della terra" (At 1 ,8) . E' degna di nota la prospettiva in cui deve essere svolta questa attività: ancora una volta è la terra intera a fare da anfiteatro alla testimonianza.

Sia Isaia che Luca sottolineano che la guida dello Spirito San­to è ciò che qualifica i rappresentanti del Cristo nella testimonian­za (ls 44, 1 -5; At 1 ,8 ; 2, 1 -4,32-33; cf anche Ez 36,23-27; Gl 2, 19-29). L'incarico di redimere il mondo nel nome del Dio Salvatore d' Israele sarà svolto per mezzo dello Spirito onnipotente di questo Dio. Una nuova capacità di testimoniare caratterizzerà perciò il po­polo di Dio. Un nuovo coraggio ed una tenace intrapprendenza mar­cherà il gruppo apostolico (At 2,29; 4 , 1 3,29,3 1 ; 28,3 1 ) . Il nuovo Israele di Dio non sarà né timido, né schivo (2 Tm 1 ,7) . Anche nel passato coloro che appartenevano al popolo di Dio "per fede con­quistarono regni, proclamarono la giustizia, videro realizzare le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuo­co, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, diven­nero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri . . . altri furono torturati perché non accettarono la loro liberazione . . . (di loro il mon­do non era degno)" (Eb 1 1 ,33-38) . Quanto più il coraggio dovreb­be caratterizzarli in futuro! Agli Ebrei cristiani viene ricordato d'es­sere grati "per aver ricevuto un regno che non sarà smosso" (Eb 12,28) e d 'offrire a quel Dio sovrano un culto accettevo1e, "con ri­verenza e timore! poiché il nostro Dio è anche un fuoco consuman­te" (Eb 1 2,28-29). La benedizione finale dell 'autore è una preghie­ra a Dio affinché egli possa fornirli "di ogni cosa buona per fare la sua volontà, e possa Egli operare in noi ciò che è gradito a Lui, per mezzo di Gesù Cristo . . . " (Eb 1 3,2 1 ) .

Ma prima d'esaminare il materiale neotestamentario, dobbiamd>

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dare un altro rapido sguardo al ruolo delle nazioni nell 'Antico Te­stamento. Ricordiamo prima di tutto l 'unità di tutta la razza urna-· na di fronte a Dio. "Da un solo uomo egli ha tratto tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo de­terminato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazio­ne, affinché cerchino Dio semmai giungano a trovarlo, come a ta­stoni, benché egli non sia lungi da ciascuno di noi" (At 17 ,26-27). Paolo nel suo discorso nell 'Areopago afferma l 'unità di tutta la raz­za umana in quanto "Dio, il quale ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, è il Signore del cielo e della terra" (A t 17 ,24). Qu·esto è il punto che inizia tutta la rivelazione biblica. La storia di tutto il genere umano ha inizio ed origine proprio dalla mano di Dio il Creatore, l 'unico che ha posto l 'uomo sulla terra.

Paolo dichiara che tutti i popoli sono governati e provvisti del necessario da questo unico Dio. Egli è in un certo senso "vicino" a loro affinché possano cercarlo e trovarlo. Anche il racconto della creazione della Genesi mostra qualcosa di questa vicinanza di Dio alla sua creatura, l 'uomo. Gli uomini sono fatti a sua immagine e sono i suoi agenti in terra e perciò responsabili ·nei suoi confronti. Molto materiale della Genesi sottolinea questa verità, cioè che Dio chiama tutti i popoli a rendergli conto. C'è una solidarietà tra gli uomini nel modo in cui vengono trattati da Dio. Così tutti in Ada­mo hanno peccato, sono giudicati da Dio ed in Adamo sono cac­ciati dal giardino di Eden. Inoltre il diluvio è una espressione del giudizio universale di Dio, poiché ogni carne aveva corrotto la sua via sulla terra (Gn 6, 1 2) .

L'elenco delle nazioni in Genesi 10 sottolinea l 'unità di tutti i figli degli uomini, mette anche in evidenza la loro dispersione geo­grafica. Il genere umano è raffigurato prospero ed in continua cre­scita nel suo habitat procurato da Dio. E n eli ' incidente della torre di Babele viene dato uno specifico riconoscimento all 'unità della Parola di Dio, "Ecco, essi sono un solo popolo, ed hanno tutti un medesimo linguaggio" (Gn 1 1 ,6) . Verkuyl vede Babele come "un

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tentativo collettivo d'organizzare il mondo senza Dio"4• Si trattava d'una forma di auto-deificazione dell' uomo, un rifiuto della sovra­nità e del controllo provvidenziale di Dio. Perciò la dispersione dei popoli ad opera di Dio fu un 'espressione del suo giudizio sulla lo­ro peccaminosa arroganz<:).. Essi furono dispersi al fine di compie­re il loro ruolo sulla terra.

Abrahamo, colui che fu scelto per essere il padre di Israele, di­venne il simbolo della fede e della fedeltà. Egli manifestò un vero amore nei confronti dei suoi vicini e mostrò di essere una bene<lli­zione per i re ed i popoli tra i quali egli visse. E quando Dio onni-

. potente apparve di nuovo ad Abramo gli cambiò il nome in Abra­hamo e gli assicurò che sarebbe divenuto "il padre di molte nazio­ni" (Gn 17 ,4-6). Come segno e suggello di questo patto, tutti i ma­schi al suo seguito furono circoncisi, compresi gli stranieri (Gn 17 ,27). Essi furono posti nel campo dove opera la grazia di Dio.

L'episodio di Lot a Sodoma mostra l 'altra faccia della meda­glia. Lo stretto rapporto, privo di discernimento, con uomini per­versi, causerà il giudizio di Dio, l ' angoscia e la rovina. Abrahamo e la sua progenie, cioè coloro che rappresentano Dio in terra, de­vono mantenere le loro caratteristiche distintive per poter essere una fonte di benedizione per i popoli della terra. Il sale non può di­ventare insipido.

L'identità di popolo di Dio sulla terra richiedeva che si mante­nesse una certa distanza dagli altri popoli, che sembrava, tuttavia, variare secondo le circostanze storiche. I figli di Giacobbe sembra che vivessero a più stretto contatto con i popoli circostanti di quan­to non potè fare Israele al ritorno dal suo esilio. Quando cerchiamo nella Bibbia ciò che determina la misura della distanza, ci viene ri­cordata la risposta che Abrahamo diede ad Abimelec re di Gherar: "certo non c'è timor di Dio in questo luogo" (Gn 20, 1 1 ) . Ciò indi­cherebbe che la qualità delle nostre relazioni deve essere misurata in base al livello d'empietà dei popoli intorno a noi. Lot era colpe-

4J. Verkuyl, Break Down the Wal/s: A Christian Cry far Racial lustice, Grand Rapids 1973, p. 37.

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vole in quanto sembrava avesse perso la sua sensibilità di fronte al­la profondità del male che lo circondava. Il suo barometro spìritua­le venne meno completamente.

Paolo dice qualcosa di simile in l Corinzi 5,9- 1 3 quando riget­ta espressamente l ' idea che il credente debba ritirarsi dal mondo. Egli rifiuta piuttosto i rapporti con persone immorali, specialmen­te con coloro che si dicono credenti. Le immoralità di cui egli par­la sono la rapina, l 'oltraggio, l 'ubriachezza, l 'avidità e l ' idolatria. L'incompatibilità dell' idolatria con l 'identità di popolo di Dio fu tenuta sempre in molta considerazione nell'antico patto. Nulla do­veva oscurare lo splendore e la testimonianza presenti nell'esorta­zione "voi lavorerete e servirete solo il Signore vostro Dio" . Nien­te doveva compromettere il diritto di signoria del nostro Dio e Cri­sto.

Paolo, nel contesto del matrimonio, parla del "consenso" della moglie non credente a vivere con il marito cristiano. Se consideria­mo questo come un microcosmo delle relazioni umane, esso ci ri­vela che le nostre abituali relazioni con la società pagana che ci cir­conda sono parzialmente determinate dalla tolleranza o dalla man­canza di tolleranza che essa ha nei confronti dei credenti. Questi ultimi sono esortati ad amare e a pregare anche per i loro nemici, ma a volte sono costretti a fuggire per proteggere le loro proprie vi­te. Inoltre, in linea di principio, il nostro amore per Cristo deve su­perare il nostro timore (l Gv 4, 1 8). Siamo esortati a guardare non solo ai nostri interessi, ma anche a quelli degli altri e a quelli di Ge­sù Cristo (Fil 2,4,2 1 ) . Questo è avere la mente di Cristo.

Gli esempi biblici confermano che il livello di tolleranza dei non credenti verso il popolo di Dio era un fattore determinante per la posizione dei credenti. Ricordiamo il soggiorno di Israele in Egit­to, il rapporto tra Giuseppe e Faraone, il mandato affidato ad Israe­le in esilio di cercare il bene del paese e la situazione di Daniele e · dei suoi compagni nei confronti dei governatori della Mesopota­mia. Più tardi i cristiani adattarono la loro posizione alla nuova si­tuazione creatasi con l'editto di Costantino e poi con la pax britan­nica. !sacco dovette cambiare la sua posizione quando i Filistei gli

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Il

i l'

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fecero delle pressioni: "Vattene via dal nostro cospetto, tu sei di­ventato troppo potente ai nostri occhi" (Gn 26, 1 6) . Ma per la prov­videnza di Dio i Filistei furono obbligati a rivedere il loro rappor­to nei confronti di !sacco facendo un patto, perché Iddio era con lui (Gn 26,28-29). Molto più tardi nella storia, i missionari si confron­tarono con questa realtà quando fu loro detto di comportarsi come "ospiti" nel paese dove vivevano. La sovranità di Dio quindi limi­ta e tiene a freno l 'autonomia delle nazioni che cercano di vivere senza di lui. Essa influenza e regola l 'atteggiamento che le nazio­ni manifestano verso il popolo di Dio. Neppure le nazioni che per­severano nella loro empietà sono in grado di prevalere su Dio e di negare il diritto del popolo di Dio ad esistere ed a perseguire il suo mandato sulla terra. Tutta la terra appartiene a Dio (Es 19,6) .

Israele capì che la natura del suo Dio implicava un rapporto re­gale di questo Dio con tutta la terra. Perciò il Salmista poteva, nel centro religioso d'Israele, dichiarare e celebrare con queste parole:

Cantate ali 'Eterno, abitanti di tutta la terra . . . annunziate di giorno in giorno la sua ·salvezza! Raccontate la sua gloria tra le nazioni, e le sue meraviglie tra tutti i popoli. . . . Dite tra le nazioni: "l 'Eterno regna" . . . . Egli giudicherà i popoli con giustizia. (S l 96)

I cieli annunziano la sua giustizia, e tutti i popoli vedono la sua gloria. Tutti quelli che adorano le immagini sono confusi . . . (Sl 97,6-7)

L'Eterno ha fatto conoscere la sua salvezza, ha manifestato la sua giustizia nel cospetto delle nazioni .

. . . tutte le estremità della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio. (Sl 98,2-3)

Si potrebbe dire che questa è la celebrazione prolettica di una realtà escatologica. Ma va anche detto che questa professione di fe­de teologica trascendeva sempre più la dicotomia religiosa esisten-

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te tra Israele e le altre nazioni. Quando l 'israelita si inchinava in adorazione davanti a Dio era obbligato ad affermare che le virtù di questo Dio salvifico dovevano essere riconosciute e promulgate in mezzo a tutte le nazioni della terra. Il dialogo tra Israele e il suo Dio era significativo per tutti i popoli di tutto il mondo.

Così, anche la visione escatologica di profeti come Isaia com­portava, non solo un movimento centripeto di molti popoli al mon­te dell 'Eterno per essere istruiti nelle sue vie, sottomettendosi ai suoi giudizi e proclamando pace tra le nazioni (Is 2,2-4), ma anche che i giudizi di Dio, le sue leggi e la sua salvezza si sarebbero mos­se da Jahvè ai popoli per illuminarli. Le isole sono descritte come in attesa di vedere agire il braccio potente dell 'Eterno (ls 5 1 ,4-5) . I l movimento centripeto (ls 49,22-23) è descritto come il risultato della conoscenza e della convinzione da parte di tutti gli uomini che Jahvè è il Salvatore ed il Redentore d'Israele (ls 49,26). Viene inoltre sottolineato che tutto il mondo vedrà l 'opera salvifica di Dio (Is 52, l 0). Attraverso la manifestazione del Servo dell 'Eterno, il giusto, sarà destata l 'ammirazione delle nazioni ed i re resteranno ammutoliti perché convinti (ls 52, 1 5).

Viene usata anche l ' immagine di Israele che entra in possesso del paese. La sua tenda deve profeticamente essere allargata per far sì che la sua progenie possa prendere possesso delle nazioni e ripa­polare città desolate ed abbandonate (ls 54,2-3) . Ancora una volta la validità teologica di questa visione piena di speranza va ricerca­ta nella natura dell 'Unico Santo d'Israele, l 'Iddio di tutta la terra (ls 54,5). Questa visione del futuro è certa quanto la promessa di Dio della pace del patto. I vecchi confini entro cui era conoscit.!ta la Parola di Dio saranno superati e altre nazioni saranno annesse ad Israele per opera e volontà di Jahvè (ls 55,5).

Ma la visione finale dell 'antico patto è una visione liturgica in cui viene dichiarato che la casa di Dio sarà chiamata "casa di pre­ghiera per tutte le nazioni" (ls 56,7). Ed in un mondo dove non c'è altro dio, la proclamazione è chiara: "Volgetevi a me e siate salva­ti voi tutte le estremità della terra! Poiché io sono Dio e non ve n 'è alcun altro" (ls 45,22). Come è vero che Dio vive e parla, la sicu-

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ra aspettativa è così espressa: "Ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua mi presterà giuramento" (ls 54,23). Questa gran­de visione assume dimensioni ancora più ampie nella visione Hel­la creazione divina di nuovi cieli e nuova terra (ls 65, 17).

I popoli e la venuta del Regno Come si può subito comprendere, la visione veterotestamentaria di una nuova situazione che supererà la dicotomia tra Israele e le al­tre nazioni era una visione regale: la visione della venuta vittorio­sa del Regno di Dio. Perciò la buona notizia che Cristo portò fu definita "il Vangelo del Regno". La venuta del Cristo in Israele fu l 'evento-annuncio, certo e provocatorio, che annunciava: "Ravve­detevi perché il Regno dei cieli è vicino" (Mt 4,17) . Nell'incontro con il centurione di Capernaum Cristo, dopo aver udito la sua di­chiarazione di fede, evocò la visione centripeta dell'antico patto con le parole: "Io vi dico che molti verranno da levante e da ponen­te e sederanno a tavola con Abrahamo, !sacco e Giacobbe, nel re­gno dei'cieli" (Mt 8 , 1 1 ). Questa moltitudine non viene aggiunta a Gerusalemme, centro e simbolo d'Israele, ma ai padri di Israele, padri della fede e dell'obbedienza. La dicotomia è superata nell 'u­nione con i patriarchi storici, e quindi con il Dio d 'Israele. Ancora più sorprendentemente, il giudizio cade anche su coloro che erano soggetti al re d'Israele. Ma in netto contrasto con la fede dei Gen­tili e la loro inclusione nel patto, essi saranno ripudiati ed esclusi dalla comunione perché indegni dei loro privilegi.

Gesù chiamò a sé i dodici apostoli e diede loro una missione da compiere. In una prima fase il mandato era limitato alle "pecore perdute della casa d 'Israele" (Mt 1 0,6). Anche gli apostoli furono esortati a proclamare il messaggio messianico: "il Regno dei cieli è vicino". In virtù della presenza del Signore, la loro missione erf da lui qualificata ed autorizzata. "Chi riceve voi riceve me, e chi rice­ve me riceve colui che mi ha mandato" (Mt 1 0,40).

Anche la storia della salvezza operata dal Servo dell'Eterno è affrettata dalla provvidenziale mano dell'Eterno. Così l 'insistente donna cananea che Gesù incontra nella zona tra Tiro e Sidone, nel-

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le sue richieste evoca la misericordia che sarà sparsa oltre gli sto­rici confini della casa d'Israele (Mt 1 5,2 1 -28). E in un momento successivo del suo ministerio, Gesù presenta ad Israele la terribile prospettiva del giudizio e della sua rimozione. " Il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato ad un popolo che ne faccia dei frutti" (Mt 2 1 ,43).

Come un microcosmo del popolo, i capi religiosi d'Israele fu­rono processati dal loro Messia su due punti e condannati. "Voi ser­rate il regno dei cieli dinanzi alla gente; poiché né vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano d'entrare" (Mt 23 , 1 3- 14) . In un doloroso lamento messianico per Gerusalemme, il nostro Signore profetizzò: "E questo vangelo del regno sarà predicato per tutto il mondo, onde ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine" (M t 24, 14 ). Questo stesso Messia viene presentato come il supremo giudice delle nazioni (Mt 25,32). E il criterio del giudizio sarà costituito dal modo in cui i figli degli uomini nel corso della propria esistenza avranno reagito al Messia di Dio, cioè in manie­ra positiva o negativa.

Secondo la prospettiva di Matteo, alla fine il Re di Israele pro­messo annuncia la costituzione del suo regno universale, dirigen­do i suoi seguaci ad evangelizzare le nazioni nel suo nome e per la sua autorità, facendo discepoli e battezzando persone di ogni na­zione (Mt 28, 19) . In tale servizio, la presenza del Signore è sicura in quanto egli esercita in e attraverso i suoi messaggeri la sua indi­scussa autorità.

Questa visione regale del Messia è già presente nel Salmo 2,8 dove le nazioni della terra sono date a lui in eredità. Egli spezza le estremità della terra come vasi d' argilla e le governa con uno scet­tro. Anche la visione di Giovanni riguardo l'opera del Messia pre­senta questa immagine regale. "Per questo è stato manifestato il Fi­glio di Dio: per distruggere le opere del diavolo" (l Gv 3,8) . Nel ministerio di Gesù è manifesto uno scontro tra regni; Cristo è im­pegnato in una storica e forte denuncia delle false pretese regali del principe delle tenebre (Gv 12,3 1 -32; 14,30-3 1 ; 1 6,8- 1 1 ). Cristo ri­conobbe questa realtà e cominciò a cacciare i demoni come mani-

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festazione della presenza dello spirito e come evidenza del diritto di Dio a regnare (Mt 1 2,25-28). L'attività apostolica di Cristo fu la prova che il Messia aveva legato l 'uomo forte così da potergli de­predare la casa (Mt 1 2,29).

In armonia con l 'uso veterotestamentario del giogo come sim­bolo di sottomissione all'autorità di un re (Lv 26, 1 3 ; Ez 30, 1 8; 34,27; l Re 1 2,4-9- 14; Is 3 ,4; 14,25; Ger 27,8- 1 2; 28,2; 30,8), e in contrasto con la natura oppressiva di molti gioghi regali descritti nell'Antico Testamento, l ' invito di Cristo a coloro che sono stan­chi ed aggravati di andare a lui, di prendere il suo giogo e di impa­rare da lui, era ed è molto attraente. Il giogo regale di Cristo è rac­comandabile, perché tutte le -cose sono state affidate dal Padre a questo principe regale. Il principe stesso è mansueto ed umile, il suo giogo o autorità è dolce ed il suo carico è leggero. In altre pa­role è promesso il riposo a coloro che sono invitati (Mt 1 1 ,27-30). Qui l 'atteggiamento del re è quello di chi invita le persone ad as­soggettarsi alla sua sovranità con la garanzia del riposo e non del­l ' oppressione.

Il tono del mandato di Matteo 28 è più aggressivo se si consi­derano le giuste pretese di questo legittimo rappresentante e vice­ré di Jahvè. Anche Paolo, esaminando il corso della storia della sal­vezza, riprese gli accenti del Salmo 2 e sottolineò che il Messia avrebbe esercitato la propria autorità per sottomettere tutte le na­zioni della terra e per annientare tutte le forze o i domini che gli si oppongono, fino a che tutti i suoi nemici si siano arresi alla sua au­torità e siano ridotti ad essere lo sgabello dei suoi piedi ( l Cor

. 1 5 ,24-28) . Poi il Figlio rimetterà ogni cosa nelle mani del Padre af­finché Dio sia tutto in tutti .

In tutti questi elementi è presente una spinta all 'universalizza­zione degli scopi del regno di questo principe messianico che sa­rebbe venuto da Giuda. La visione di Isaia circa la venuta del Mes­sia sulle cui spalle sarebbe poggiato il regno (ls 9,6), la crescita di questo regno ed una pace senza fine, parrebbe essere l ' attualizza­zione dell 'intima essenza del patto abramico. L'approccio con cui Dio stabilisce un patto con gli uomini rivela un orizzonte sempre

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più vasto. Le pretese regali del principe divino non tollerano limi­ti, siano essi geografici o di potenza. Egli si rivela sempre più co­me il Re dei re e il Signore dei signori (Ap 19, 1 6).

Non sorprende il fatto che l 'apostolo Paolo abbia capito e fatto propria la dinamica insita nel patto interpretandolo come la pro­messa fatta ad Abrahamo ed alla sua progenie di essere "eredità del mondo" (Rm 4, 1 3) . Israele quindi, nella persona di Cristo come progenie di Abrahamo, prende possesso nel nome del Signore del ·

mondo intero. Come il mondo era considerato il campo in cui Jah­vé esercitava il suo giudizio contro coloro che erano ribelli alla sua autorità, così ora il mondo diviene il campo sul quale il principe messianico procede come conquistatore (Ap 6,2; 19, 1 1 - 1 6) . Il ri­sultato di ciò è così brevemente descritto : "Il regno del mondo è venuto ad essere del Signor nostro e del suo Cristo; ed egli regne­rà nei secoli dei secoli" (Ap 1 1 , 1 5) .

Il libro dell 'Apocalisse, con un susseguirsi d'immagini, percor­re la storia della salvezza dalla prima venuta di Cristo alla sua se- ·

conda venuta. Tutte le cose vengono considerate dalla prospettiva del Cristo che governa in mezzo ai sette candelabri e che giudica in mezzo al corso tumultuoso della storia dell 'umanità. Esso de­scrive il potente angelo con in mano il rotolo del vangelo, un pie­de poggiato sul mare e l 'altro sulla terra, simboleggiando così la

· portata universale del diritto e dell 'opera di Gesù Cristo (A p l O, 1 -1 1 ) . Ed anche nel cantico di.Mosè evocato davanti al trono di Dio, troviamo le parole "tutte le nazioni verranno ed adoreranno nel tuo cospetto" (Ap 15 ,4) .

L'apostolo Giovanni nei suoi scritti è affascinato dalla verità del valore universale della venuta di Cristo. Il Messia è mandato per il grande amore di Dio verso il mondo (Gv 3 , 16) e perciò lo si può considerare come mandato "per essere il Salvatore del mondo" ( l Gv 4, 14). Nessun confine nazionale o etnico può delimitare questa visione. Questo Messia non può essere limitato da barriere etniche.

Anche Pietro, nell 'esortare i credenti ad essere pronti a rende­re ragione della speranza che era in loro (l Pt 3 , 1 5) , aveva presen­te la regale odissea del Cristo. Il Gesù a cui fa riferimento "è anda-

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to in cielo ed è alla destra di Dio dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti" ( l Pt 3,22) . I cristiani devono ricordare questa verità in mezzo ad un mondo che si oppone al progresso dell ' evan­gelo di Cristo. E ciò fa parte di quell 'attività interiore del credente che cerca di riconoscere e confessare Cristo come Signore (l Pt 3 , 15) . In questo contesto, Pietro si serve delle promesse dell'anti­co patto per esortare i credenti a non rendere male per male, ma a rispondere al male ed alle ingiurie benedicendo. A questo scopo erano stati chiamati affinché ereditassero le benedizioni (l Pt 3,9). In questo modo i figli e le figlie di Abrahamo si riveleranno anco­ra una benedizione per tutta la terra.

L'universalismo paolino Nellè epistole pastorali di Paolo, la dimensione universale del Van­gelo e del diritto di Cristo, assume un posto di primo piano. L'in­tercessione deve essere fatta per tutti gli uomini. Dio il nostro Salvatore desidera che tutti gli uomini siano salvati e giungano al­la conoscenza della verità (l Tm 2,4) . C'è un solo mediatore tra Dio e gli uomini "che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti" (l Tm 2,6). n mistero della pietà viene manifestato nella vi­ta terrena di Gesù "il quale è stato elevato in gloria", "predicato fra le nazioni" e "creduto nel mondo" (l Tm 3 , 16) . Tale attività mis­sionaria deve essere praticata dai seguaci di Cristo ponendo la lo­ro speranza nel Dio vivente, "il quale è il Salvatore di tutti gli uomini, principalmente di quelli che credono" ( l Tm 4, 1 0) . E co­me Cristo diede una bella testimonianza di fede davanti a Ponzio Pilato, così anche i suoi seguaci devono testimoniare conducendo una vita devota e irreprensibile fino all 'apparizione di Colui che è "l 'unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori" ( l Tm 6, 1 5).

Anche le esortazioni di Paolo a Tito poggiano sul solido fonda­mento che "la grazia salvifica di Dio è apparsa a tutti gli uomini" (Tt 2, 1 1 ) . Come credenti siamo sfidati a mostrare mansuetudine verso tutti gli uomini, perché è stato Dio a cercarci; non l 'abbiamo trovato noi per mezzo delle nostre buone opere. Al contrario è sta­to Dio a salvarci con la manifestazione della sua benignità e del suo

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amore per l 'uomo (Tt 3,4). Per questo i credenti devono manifesta­re rispetto e compiere buone opere così che in ogni cosa onorino l 'insegnamento di Dio, nostro Salvatore (Tt 2 , 10) .

Giacomo, il servo di Dio, era convinto che "uno solo è i l legi­slatore e il giudice, Colui che può salvare e perdere" (Gc 4, 1 2). Giu­da, trattando dei falsi dottori, affermava che Gesù Cristo è "il no­stro unico Padrone e Signore" (Gd 4), e attribuiva al "Dio unico no­stro Salvatore tutta la gloria" (Gd 25). In sostanza questi testimoni neotestamentari hanno raccolto il cuore del messaggio evangelico del profeta Isaia e l 'hanno applicato ai più vasti orizzonti del loro tempo. E quel messaggio è tuttora fondamentale:

Io, io sono l 'Eterno e fuori di me non v'è salvatore. Io ho annunziato, salvato, predetto, e non è stato un dio straniero che fosse tra voi; e voi me ne siete testimoni, dice l'Eterno: Io sono Dio! (Is 43, 1 1 - 12)

Così parla l 'Eterno, re d'Israele e suo redentore, l 'Eterno degli eserciti: Io sono il primo e sono l 'ultimo, fuori di me non v'è Dio (Is 44,6)

Io sono l'Eterno, e non ve n'è alcun altro, fuori di me non v'è altro Dio . . . Io ti ho cinto . . . perché dal levante a l ponente si riconosca che non v'è altro Dio all 'infuori di me. Io sono l'Eterno e non ve n'è alcun altro (Is 45 ,5-6)

Questi Sabei dalla grande statura si prostreranno davanti a te . . . dicendo: 'Certo, Iddio è in te e non ve n'è alcun altro, non v'è altro Dio' (Is 45, 14)

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Si può dunque vedere come le direttrici dei due testamenti con­vergano sulla questione della particolare natura di questo unico Dio e Salvatore che ha creato, redento, rigenera e restaura il suo mon­do. Quelli che si schierano dalla sua parte non possono che grida­re, come suoi rappresentanti, fino agli estremi angoli della terra: "Nel nome di Cristo siate riconciliati con Dio" (2 Cor 5,20). Il Dio vivente in cui noi crediamo merita che il mondo si prostri ai suoi piedi, sottomettendosi nuovamente a lui.

Così il Cristo che afferma di essere la luce del mondo chiama i suoi discepoli al suo servizio e dichiara sovranamente che anche loro sono la luce del mondo e il sale della terra. I suoi seguaci, al­l 'interno di questa identità definita da Cristo, non hanno altra scel­ta che essere testimoni del ministerio di Cristo, della sua morte, re­surrezione, ascensione e insediamento alla destra di Dio. Essi testi­moniano che Cristo ora chiama tutti i popoli della terra a ravveder­si ed a credere in lui e che un giorno ritornerà a giudicare i vivi e i morti, che compariranno tutti davanti a lui (At 17 ,30-3 1 ; 10,36).

Inoltre la chiesa è il tempio dello Spirito (l Cor 3, 1 6) , quello Spirito che comandò all 'assemblea di Antiochia "mettetemi da par­te Barnaba e Saul per l 'opera alla quale li ho chiamati" (At 1 3,2). Lo stesso Spirito consolatore mandato da Cristo che "convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio" (Gv 1 6,8).

E' stato così dimostrato con ricchezza di materiale scritturale che la dinamica interna alla Scrittura, sia nell 'Antico che nel Nuo­vo Testamento, s 'estende fino alle estremità della terra e rivendica un diritto su tutti i popoli. Il mandato finale del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo mette quindi a fuoco in modo semplice e conciso il messaggio e il movimento dell 'intera Scrittura.

Sebbene ci siano testi isolati che si riferiscono a popoli specifi­ci, la base scritturale più importante su cui si fonda questa dinami­ca centrifuga è l 'accento posto sulla natura di Dio stesso uno e tri­no. E' a causa della sua natura di unico e solo Dio, che egli può avanzare dei diritti sull ' intera terra e non potrebbe fare diversamen­te. Questo è senza dubbio il cuore del messaggio evangelico di Isa-

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ia. Ed è anche il centro della esaltante visione vittoriosa del salmi­sta nel tempio. Giona, d'altra parte, dovette imparare che è nella natura dell'Eterno avere compassione d'ogni creatura.

Il Cristo di Dio rivela in maniera inconfondibile non solo di es­sere il salvatore d'Israele, ma che in modo meraviglioso è anche il salvatore del mondo. Egli è l 'unico che mostra misericordia verso il debole, l ' umile e l 'emarginato. Egli è l 'unico ad assicurare che la gloriosa, immanente e considerevole presenza di Dio riempia la terra. Ed è Lui che conduce nazione dopo nazione, popolo dopo po­polo, persona dopo persona, a capitolare davanti alle pretese del Dio vivente la cui misericordia è sufficiente per tutti.

Lo Spirito Santo, mandato dal Padre e dal Figlio, applica ai pec­catori, in ogni luogo, i meriti dell 'opera di espiazione e riconcilia­zione compiuta da Gesù Cristo. Egli non può essere limitato, poi­ché il campo delle sue attività è il mondo intero. Lo Spirito dà i do­ni e la vita a chiunque egli vuole. Questo Signore non ha riguardi personali (A t 10,34; Rm 2, 1 1 ; Ef 6,9). Inoltre il mondo è anche l 'o­biettivo dello Spirito. Sarà quindi lui che, in quanto suo sovrano, darà attuazione al piano divino convincendo il mondo di peccato, giustizia e giudizio.

La chiesa di Cristo, che è la forma neotestamentaria del popo­lo di Dio, rappresenta questo Dio (2 Cor 5, 1 8-20) ed è mandato da questo Cristo (Gv 20,2 1 ) . Come autorevoli rappresentanti del Cri­sto che rivendica tutti i popoli come suo regno (M t l 0,40; Sl 2,8-9; Ap 5,6- 10) siamo equipaggiati dello Spirito che dimora in noi per essere suoi messaggeri (Gv 20,22; 14, 1 6- 1 8 ; 16,7- 1 6) . La chie­sa quindi, allineata con questo Dio e ripiena della potenza del suo Spirito, è nella sua intima essenza missionaria. Vivendo alla pre­senza di questo Dio, essa deve riflettere la vera natura di Colui che ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio per salvarlo. La chiesa è dunque posta irrevocabilmente nel mondo, con Cristo co­me modello, con una preghiera d 'intercessione nel cuore e la sfida del Vangelo sulle labbra: "O mondo, perché vuoi morire? Sii ricon­ciliato con Dio ! " .

Non c ' è alcuna limitazione biblica a questo compito rappresen-

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tativo della chiesa. Questa, come rappresentante del Dio che salva, deve essere disposta a sedersi anche coi peccatori ed esporre le pro­prie ragioni. Deve far sì che le pretese del Re raggiungano tutti i li­velli della vita. Questo Signore non può essere circoscritto o pro­vincializzato; egli è il Signore di tutto sia in senso estensivo che i�­tensivo. "Venga il tuo regno! " è quindi il motto di questa comum­tà redenta. Quando l 'amore di Dio è entrato in una comunità, ine­vitabilmente segue il ricordo di Gesù, e così quelli che ne sono in­fluenzati "hanno riguardo non solo alle cose proprie, ma anche a quelle degli altri" (Fil 2,4). Amare il prossimo come se stessi è l ' a­dempimento della legge di questo Re che si è umiliato per amore degli altri (Fil 2,7) .

Nessun popolo, o parte di esso, può essere ignorato, trascurato o cancellato. Certamente nessuno è degno di ricevere l ' attenzione e il messaggio salvifico di questo Dio. Ma quando si parla del\'�­vangelo della grazia, la questione è un'altra. E cioè che questo D10 è degno dell 'onore di tutti i popoli e che conoscerlo per quello che è produce vita, salute e salvezza. Egli è l ' unica risposta al proble­ma dei popoli della terra, così inclini all 'autodistruzione. Egli può portarli fuori dal fratricidio, dalla meschinità, frustrazione e gelo­sia per condurli nella gloriosa unità dell' umanità redenta. Ed è in questa comunità rinnovata ed allargata che la ric�hezza della lor? propria identità etnica può fiorire, giungere alla p1enezza e contn­buire alla ricchezza dell 'intero mosaico.

Perché come chiesa siamo stati così lenti a rispondere alla di­namica e al mandato del regno di Gesù Cristo? Il motivo è che la chiesa si è preoccupata troppo della propria vita, delle sue attività interne, della sua liturgia, della propria organizzazione e del pro­prio nutrimento. Essa è stata attenta a proteggere la su� vita dif�n­dendo apologeticamente le sue peculiarità da altri setton della chie­sa di Cristo.

La chiesa è stata incline a dimenticare che v'è più benedizione nel dare che nel ricevere. Perché nel perdere la propria vita, la ri­troverà; nel dare riceverà e nel condividere la manna del vangelo non si guasterà, ma sarà conservata per le generazioni a venire. La

Studi di teologia II (1990) 7-27 27

chiesa ha dimenticato che un afflusso di nuovi credenti non costi­tuirà una minaccia, ma le darà piuttosto nuovo vigore.

La chiesa si è giustamente concentrata sulle formulazioni cri­stologiche più corrette, ma è tentata di sottovalutare la sfida a sta­re con Cristo fuori del campo per conoscere Lui nella sua passio­ne, nelle sue sofferenze, nella sua morte e nella potenza della sua resurrezione (Fil 3 , 10). Poiché guardando il volto del nostro glo­rioso Signore noi siamo trasformati nella sua gloria (2 Cor 3 , 1 8 ; 4,6). Sottomettendoci al suo governo noi siamo modellati attraver- . so quel potere che è capace di riportare ogni cosa sotto il suo con­trollo ed i nostri poveri corpi diventano come il suo corpo glorio­so, strumenti idonei nella mani dello Spirito, in armonia con Dio e la sua volontà (Fil 3,2 1 ; Ef 1 , 19-20; Rm 12, 1 -2; 6,4, 13 ,22; 7,4,22; 8, 1 1 - 17).

La visione escatologica della Scrittura ha qualcosa da dire alla chiesa anche riguardo al suo pellegrinaggio sulla terra. Nella reden­ta città di Dio e nel contesto del particolare simbolismo israelita del vecchio patto, c'è una gran moltitudine vestita di candide vesti da­vanti al trono di Dio. Questa innumerevole folla acclamante inclu­de gente "di ogni nazione, tribù, popolo e lingua" che stanno in pie­di davanti ali' Agnello (A p 7 ,9). La città redenta è presentata come un'opera della potente mano di Dio, essa viene giù dal cielo e fi­nalmente risolve tutte le dicotomie della terra. Babilonia è rove­sciata e le foglie dell 'albero della vita servono per la guarigione delle nazioni (Ap 22,2).

Noi siamo dunque chiamati ad andare senza timidezza, con vi­gore e coraggio, perché questo Dio non è solo il Dio dei Giudei, è

· anche il Dio dei Gentili. Vi è infatti un solo Dio (Rm 3,29).

Isole, fate silenzio davanti a me ! Riprendano nuove forze i popoli. (ls 4 1 , l ) Cantate all'Eterno un cantico nuovo; cantate all'Eterno, abitanti di tutta la terra! (Sl 96, 1 )

(Trad. C . Borrelli)

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Swdi di teologia II ( 1990) 28-38

LA NASCITA E LO SVILUPPO DELLE MIS­SIONI EVANGELICHE

Jacques Blandeni�ro

Mentre ci stiamo avvicinando alla fine del secondo millennio del­l 'era cristiana, constatiamo che l 'Evangelo è diffuso su tutta la su­perficie del la terra e che l a chiesa è d iventata una realtà multirazziale. In certe regioni però, soprattutto nelle zone che si trovano sotto l ' influenza dell 'islam e del buddismo, la presenza cri­stiana è una debolissima diaspora, e altrove ancora, migl iaia di et­nie non hanno mai udito la buona novella nella loro lingua - senza parlare poi delle immense concentrazioni umane delle megalopoli del terzo mondo. Guardiamoci da ogni trionfalismo: il compito è lungi dal l 'essere completato; bisogna raddoppiare gli sforzi soprat­tutto quando si pensa all 'esplosione demografica delle nazioni po­co evangelizzate. Sono i cristiani del mondo intero che devono mobilitarsi per questo compito.

La diffusione universale del Vangelo è comunque una realtà ed un fenomeno recente, unico nella storia del cristianesimo ed anche nella storia delle religioni in generale. Se si raffronta questo fatto alla situazione così come si presentava alla fine del 1 8° secolo, il cambiamento appare radicale. Esso è dovuto ad un rinnovamento della visione missionaria della chiesa che non ha paralleli se non nello slancio missionario dei primi tre secoli .

L'espansione missionaria di questi ultimi 200 anni è proprio

•L' A. è incaricato di storia delle missioni alla Faculté Libre de rhéologie di Vaux-sur-Seine presso Parigi e nel medesimo tempo svolge un ministero di coordinamento e formazione tra le chie­se evangeliche dei fratelli in Svizzera. E' pure direttore del periodico delle assemblee Semai/les et Moissons. n presente articolo è stato tratto da Fac-réjlexion con permesso. Altri due articoli dtUo stesso A. erano stati pubblicati su Sdt nel passato.

J.Blandenier, La nascila e lo sviluppo delle missioni 29

delle chiese occidentali di razza bianca. Perché, a parte qualche ec­cezione (la chiesa dell ' India del Sud, quelle dell 'Egitto e d 'Etiopia - per non parlare della cristianizzazione superficiale dell'America latina fatta dai "conquistadores") , il cristianesimo era diventato quasi esclusivamente europeo già da diversi secoli. Ciò non costi­tuiva una realtà in altri periodi della storia della chiesa, ma se lo sviluppare questo tema ci allontanerebbe dal nostro soggetto, scar­tarlo completamente falserebbe la nosn·a prospettiva e ci rendereb­be colpevoli di uno spiacevole etnocentrismo occidentale!

Nel primo millennio: evangelizzazione su tre continenti Gli Atti degli apostoli mostrano come l 'Evangelo, a partire da Ge­rusalemme, sia giunto fino in Europa ed il racconto termina a Ro­ma, capitale dell ' Impero. Ma Luca, primo storico della chiesa, non ha mai preteso di essere esaustivo - se avesse voluto esserlo, il suo libro sarebbe stato monumentale, oppure si sarebbe ridotto ad un 'a­rida enumerazione. L'asse missionario che egli ha scelto conduce verso l 'Europa per evidenti ragioni (lui stesso è europeo, testimo­ne privilegiato delle missioni dell 'apostolo Paolo, scelto da Dio per scrivere pagine fondamentali della rivelazione neotestamentaria).

Altre direttrici, a partire da Gerusalemme, hanno condotto mol­to presto i messaggeri del Vangelo verso il sud: l 'Egitto, poi l 'Afri­ca del nord, l 'Arabia, poi le Indie; e, a partire da Antiochia, verso i regni d'Oriente (Odessa, Armenia, i Persiani, i Parti, l' Adiabene).

Fu così che nel 4 o secolo, vi sono numerose chiese in Mesopo­tamia ed oltre. Si tratta di chiese nestoriane1 , perciò separate da Ro­ma. Nei secoli che seguono, esse avranno un'intensa attività mis­sionaria in tutta l 'Asia. Fra il T ed il 9° secolo, esse fondano in Ci­na monasteri e numerose chiese, che sparirono in seguito. Ali 'in i-

1 I nestoriani erano coloro che seguivano N es torio nella loro cristologia. Egli fu condannato per eresia nel 43 1 perché divideva le due nature di Cristo. Anche se l'errore non era trascurabile e non ebbe gravi conseguenze presso i ncstoriani, si deve riconoscere la lodevole intenzione che l ' i ­spirava e cioè quella d' evitare la confus.ione tra l ' umano ed i .l divino.

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zio dell ' 1 1 • secolo, esse raggiungono diversi gruppi mongoli e la grande tribù dei Keraiti diviene cristiana poco dopo l 'anno 1 000. Si sa che il nipote del terribile Gengis Khan, Kublai Khan, che re­gnò a Khanbaluk (Pechino) dal 1 266 al 1 294 sul più grande impe­ro che la terra abbia conosciuto, aveva una madre keraita cristiana. Lui stesso era molto attratto dal cristianesimo e, tramite gli espld­ratori veneziani Polo, chiese al papa d'inviargli cento missionari, esprimendo il desiderio di essere lui stesso battezzato.

Al suo apogeo, verso il 1 350, la chiesa nestoriana contava cir­ca 1 5 milioni di membri, un effettivo probabilmente superiore a quello della chiesa d 'Occidente alla stessa epoca! Ma essa declinò rapidamente, specialmente a seguito dei massacri perpetrati dal conquistatore mussulmano Tamerlano che realizzò in gran parte il suo progetto di eliminare il cristianesimo dall 'Asia.

Cristianità in difficoltà Da allora, a partire da1 15 • secolo, una cristianità in difficoltà si ve­de confinata all 'Europa2• Bastione del cristianesimo dell 'antichità - l 'Africa del nord è caduta già da tempo - i Turchi, dopo aver con­quistato l 'Asia minore (altro bastione cristiano dell 'antichità! ) s 'impadroniscono di Costantinopoli nel 1453, poi di tutto i l sud-est dell 'Europa (essi sono alle porte di Vienna nel 1 52 1 ) ; i Mongoli mussulmani vengono cacciati dalla Russia solo nel 1480 da Ivan III, e gli Arabi, dal sud della Spagna soltanto alla fine del l Y seco­lo (lasciarono Granada nel 1492).

L'Europa assediata, ma in pieno fermento culturale grazie ai movimenti del Rinascimento, trova uno sbocco oltre oceano con le grandi scoperte. Immediatamente si volle evangelizzare questi nuo­vi territori, ma sappiamo con quale brutalità il cristianesimo accom­pagnò questa colonizzazione.

2secondo le statistiche di David Barrett, i bianchi che erano minoranza nella chiesa fino al 900 almeno, e poco più qel 60% nel 1300, erano il 90,6% nel I 500.

J.Blandenier, La nascita e lo sviluppo delle missioni 3 1

I Riformatori, che sono al corrente della scoperta di queste ter­re popolate di pagani, e sanno che gli Ordini religiosi cattolici si adoperano per impiantarvi la Chiesa romana, non hanno, per quel che li riguarda, alcuna visione missionaria. Non è il caso di spiega­re qui le ragioni di questa carenza.

Precursori incompresi Nel corso del l T secolo, i protestanti rimangono chiusi a qualsia­si visione missionaria. Alcuni precursori isolati rimangono l 'ecce­zione. Tuttavia, un teologo riformato, l 'olandese G. Voetius ( 1589- 1676), getta le basi di una missione protestante3• Uno dei suoi compatrioti e discepolo, Justus Hemius ( 1 587- 1652), può es­sere considerato come il primo missionario protestante. Mandato a Giava come cappellano dalla Società commerciale unita delle In­die Orientali, s 'impegnò presso gli indigeni, imparò la loro lingua, tradusse dei testi biblici in giavanese (prima traduzione protestan­te delle Scritture in lingua non europea, nel 1629) e fondò una chie­sa.

Fra alcuni altri, impressionanti per la loro consacrazione, la lo­ro audacia . . . e la loro sollecitudine, noi citeremo i pionieri per ec­cellenza: John Eliot ( 1604- 1690). Puritano britannico, nel 163 1 raggiunse i Padri pellegrini del Mayflower nel Massachusettes (Usa). Grazie ad un instancabile lavoro presso gli Indiani Mohica­ni, ne condusse diverse migliaia ad una vera conversione e fondò dei villaggi di "Praying Indians" (Indiani che pregano) organizza­ti secondo un modello che s ' ispirava all 'antico Israele. Anche se il suo lavoro venne annientato dalle guerre degli Indiani, l 'influenza di questo vero precursore delle missioni evangeliche fu considere­vole. Per mezzo delle sue lettere, fece scoprire agli Inglesi che la grazia poteva operare nel cuore degli Indiani di cui si pensava che

3 Cf. Jacques Blocher "Un missiologue méconnu: Gisbertius Voetius" Perspectives Missio­naires (1 986) N12, pp. !Jl-25.

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l fossero definitivamente rigettati da Dio, degenerati, più vicini al-l 'animale che all ' uomo.

Per il 1 T secolo ricordiamo ancora un tedesco della nobiltà, Er­nest von Weltz, i l cui fallimento è significativo del clima dell 'epo­ca. Più di un secolo prima di Carey egli ebbe la visione di fond�� una società missionaria. Moltiplicò le pratiche presso le autonta della Chiesa luterana e della Dieta imperiale, ma non raccolse che beffe e critiche. Teologi distinti scrissero opuscoli per denunciare la sua follia: andare ad evangelizzare i pagani, voleva dire gettare le perle ai porci ! Infine, stanco di essere trattato come uno squili­brato e disperando di poter avere qualche eco, von Weltz vendette tutte le sue terre e partì solo alla volta del Suriname (Guian� o�an­dese) nel 1 666, dove pare sia morto martire poco dopo esservi gmn­to.

Il risveglio della coscienza missionaria Fu nel corso del 1 8 ° secolo che la coscienza missionaria appare pro­gressivamente presso i protestanti. Essa è un . frutto diret�o del ri­sveglio pietista e del movimento moravo m

. Germa�Ia, e del

risveglio wesleyano in Inghilterra. Questo movime�:o nmane .tut­tavia limitato e minoritario. Non emana dalle autonta delle chiese stabilite, ma da gruppi di convertiti appartenenti a diverse deno.mi­nazioni. Alla fine del secolo, condurrà alla creazione delle pnme società missionarie che spiegheranno la loro azione decisiva nel 1 9° e nel 20° secolo.

Si deve al pietismo la conversione del re di J?�imru:ca, Fede­rico IV, che divenne un sostegno efficace della miSSI�ne, m .Groen­landia (con l 'ammiraglio norvegese Hans Egede) e m India.ddv� la Danimarca aveva una base commerciale a Tranquebar. Diversi missionari vi lavorarono fin dal 1 705. Il più notevole fra di loro fu Christian Schwartz ( 1726- 1798), che lasciò la base commerciale danese per impiantarsi nel cuore della popolazione induista del r�­gno di Tanjore. Vi compì un'opera straordinaria .

. "�chwa:tz ha ,di­

mostrato che un _missionario pur accontentandosi di predicare l E­vangelo in vista di una salvezza individuale, in maniera pietista,

J.l3landenier, La nascita e lo sviluppo delle mi.wioni 33

può avere un ' incredibile influenza sociale, economica, politica, su tutto un popolo" (Jacques Blocher) .

Quando Schwartz si spense in India nel 1798, William Carey si trovava da poco tempo nel nord del medesimo paese. Prima di evo­care questa figura di punta delle missioni evangeliche, bisogna so­prattutto menzionare il lavoro considerevole dei missionari mora­vi. Toccato dalla testimonianza di uno schiavo nero e dagli Esqui­mesi convertiti per mezzo di Egede, il conte Nicolò di Zinzendorf divenne un fervente promotore della causa missionaria in seno al movimento di cui era l 'anima. Nelle Antille danesi (dal 1732), in Groenlandia ( 1733), in Africa del sud ( 1 739), poi nelle foreste del­l' Amazzonia e fra gli Indiani dell 'America del nord, i Mora vi la­vorarono con uno zelo instancabile, abbandonati a loro stessi, espo­sti ali ' ostilità dei coloni e alle malattie tropicali. I loro sacrifici non portarono immediatamente tutti i frutti auspicati.

A questi primi inviati mancavano l 'esperienza, una strategia missionaria coordinata, un sostegno efficace delle retrovie, e, so­prattutto, una formazione sufficiente. Ma i Moravi dimostrarono che la missione non riguardava solo qualche originale solitario e nemmeno certi gruppi specializzati. Presso di loro, era la comuni­tà dei Fratelli nel suo insieme che ne era responsabile. La pratica discutibile del tirare a sorte gli i nviati esprimeva in qualche modo questa realtà: qualsiasi membro della comunità poteva essere desi­gnato dalla sorte per una partenza in missione - ciascuno doveva ess��e pronto ad accettarla !

Una svolta decisiva Con William Carey ( 176 1 - 1 834), non siamo più nell 'era dei pre­cursori, ma dei fondatori. Quest ' umile calzolaio di un piccolo vil­laggio del centro dell 'Inghilterra segnerà profondamente la storia della chiesa. Sarebbe spettato a lui il compito di "convertire" i cri­stiani alla causa del! ' evangelizzazione dei pagani.

Appassionatamente aperto sul mondo (egli divorava i racconti dell'esploratore çook, tappezzava la sua bottega di carte geografi­che e raccoglieva tutte le informazioni possibili sui popoli che vi-

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vevano nei paesi d 'oltre mare), era soprattutto ossessionato per la sorte dei pagani che morivano senza Dio e senza speranza. Dopo essere stato consacrato pastore battista nel 1787 , si adoperò per con­vincere i suoi colleghi della necessità di evangelizzare tutte le na­zioni - cosa che gli valse la celebre paternale del presidente del Con­siglio pastorale: "Si sieda, giovanotto. Quando piacerà aDio di con­vertire i pagani, lo farà senza il vostro aiuto e senza il mio" .

Per la sua tenacia e per la forza comunicativa delle sue convin­zioni, finì tuttavia per guadagnare l 'adesione di un piccolo nutne­ro di colleghi e fu con loro che egli creò, nel l 'ottobre 1 792, la So­cietà Battista Missionaria - molto fragile, è vero, e che disponeva di mezzi finanziari irrisori. Ma otto mesi più tardi, Carey è sulla na­ve che lo conduce a Calcutta, con sua moglie, i loro tre figli ed un compagno, il dott. Thomas. Essi dovettero sbarcare clandestina­mente, a motivo dell 'opposizione della Compagnia delle Indie che considerava i missionari come degli indesiderabili .

Non è qui il caso di tracciare la carriera di W. Carey, che diven­ne stampatore, traduttore della Bibbia, professore di sanscrito al­l 'Università, orientalista di fama, fondatore di più di 150 scuole e collegi, di società agricole e di una cassa di risparmio . . .

Rispetto ai suoi predecessori, Carey visse certamente in un pe­riodo più favorevole allo schiudersi di una coscienza missionaria evangelica, dato che la chiesa del suo paese era stata fertilizzata dal potente risveglio wesleyano. Ma si deve attribuire il successo d�l suo lavoro soprattutto alla sua radiosa spiritualità, capace di trasci­nare altri nella sua scia, alla sua vita di preghiera ed alla sua con­sacraziOne.

Come ha sottolineato A. Grandjean\ risveglio spirituale ed in­teresse missionario �anno di pari passo, reagiscono costantemente l 'uno all 'altro. E ' indispensabile una sana teologia e, contempora­neamente, la presa di coscienza dell 'esistenza di popoli non evan­gelizzati. Ma senza cuori profondamente convertiti dall 'amore di

4A. Grandjean, La Mission Romande, Lausanne, Bride! 1917 .

J.Blandenier, La nascita e lo sviluppo delle missioni 35

Dio, _senza _una partecipazione alle compassioni del Signore per quelli �he s1 perdono, la missione rimane un 'impresa periferica ed aleatona, o a volte un aspetto della presa di potere da parte della ci- . vilizzazione occidentale su popoli considerati "selvaggi" . Questo, forse, è il primo insegnamento che ci viene dalla vita di Carey e di tanti altri che l 'hanno seguito, in particolare di Hudson Taylor. E' nell 'ubbidienza risultante da una comunione personale con un Si­gnore vivente che bisogna cercare l ' impulso che ha dato nascita al­le missioni evangeliche. Ci vuole una presa di coscienza, tramite la propria esperienza, della perdizione dell 'uomo senza l 'opera espia­toria di Gesù Cristo, perché sgorghi la volontà di portare, verso e contro tutti, il messaggio della salvezza a quelli che ne sono privi. Ma, per contro, è anche vero che l ' interesse missionario stimola la fede, la preghiera e lo zelo per la conversione di altri !

Le prime società missionarie

Una breve rievocazione degli inizi della missione in Africa è l 'il­lustrazione di questa verità. Dalla nascita della Società Battista Mis­sionaria, le notizie del lavoro di Carey e dei suoi compagni nel �engal� toccarono profondamente la coscienza del popolo di Dio m Inghilterra. In quella che venne allora chiamata una seconda Pen­tecoste - un incontro che riuniva a Londra diverse centinaia di pa­stori di diverse denominazioni - si gettarono le basi della London M_ission�ry Society, alla fine di tre giorni di dibattiti e soprattutto d� preghiera. Questo avveniva nel 1 795. Molto presto, questa so­c�età recl�tò trenta missionari. Altre seguirono alcuni anni più tar­di . S pecialmente nel 1 799 la Church Missionary Society, raggruppante l ' ala evangelica della Chiesa anglicana, poi in diver­se località d 'Europa, le Società Missionarie dei Paesi Bassi, di Ba­silea, di Parigi, e tante altre, wesleyane, presbiteriane, battiste,

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luterane - o interdenominazionali, persino internazionali5• Parecchie fra di loro si impegnarono in un'avventura incredibi­

le lungo le coste occidentali del l 'Africa. E' opportuno ricordare qui che uno dei frutti dei risvegli religiosi del 1 8° secolo fu la creazio­ne delle diverse società filantropiche, che ebbero come uno dei pri­mi obiettivi l 'abolizione della schiavitù. Difatti, dal 1722, questa istituzione non ebbe più diritto di cittadinanza in Inghilterra e 1 5000 Africani vennero liberati. Quelli che si preoccuparono del loro rein­serimento pensarono di rinviarli in Africa, e fu così che 350 negri, nel 1 787, si imbarcarono per la Sierra Leone dove fu fondato l ' in­sediamento di Freetown, che conobbe degli inizi estremamente dif­ficili. All' inizio del 19° secolo, gli Americani tentarono un ' impte­sa simile in Liberia ( 1 8 17) .

Il prezzo da pagare Fin dalla loro fondazione, la London Missionary Society ed altre società missionarie si sentirono responsabili della vita spirituale di questi insediamenti, e soprattutto scorsero la possibilità di farne una base di partenza per raggiungere le popolazioni atoctone pagane. Ma il costo di queste imprese fu inimmaginabile, ed è a questo che ci siano riferiti più sopra dicendo che senza un cuore ardente per le compassioni di Cristo, non c 'è missione. I pericoli legati al clima erano tali che, fra il 1 8 1 5 e il 1 860 (quando fecero la loro compar­sa le cure al chinino), la speranza di vivere (statisticamente) per un missionario che partiva per la missione, variava fra due anni e mez­zo e tre anni. La Church Missionary Society da sola, fra il 1 8 1 5 e il 1 840 perse in Sierra Leone 1 29 missionari6•

I risultati di questi sacrifici furono estremamente magri per di­versi anni. Ma la cosa più impressionante sta nel constatare che

5Cf. il capitolo 2 dello stimolante libro di André Roux, Missions des Eglises, Mission de /' E­

glise, Paris, Cerf 1 984. Per una presentazione più completa, cf Jean Faure, Histoire des missions et

églises fHOies/an/es e n Afrique occidentale des origines à 1 984, Yaouundé, CLE 1 978.

6Cf. Louis Jouben "'Un com ba t pour un m onde nouveau·· Journal des Missions Evangé/iques

(1 975) NI0-12, pp. 1 1 -21 .

J.Blandenier, La nascita e lo sviluppo delle mio.,· ioni 37

questi rischi, !ungi dallo scoraggiare le società missionarie ed i lo­ro inviati, li indussero a raddoppiare gli sforzi. Durante la prima metà del 19° secolo, si assiste - secondo l 'espressione di L. Joubert - ad un flusso umano verso la costa occidentale de I l ' Africa. "L'A­frica è una fortezza", diceva uno di questi missionari ; "perché essa venga espugnata, bisogna che il fossato sia colmo dei corpi dei mis­sionari che si saranno donati perché l 'Evangelo sia annunciato là".

Questi primi insediamenti raggiunsero soprattutto le regioni co­stiere. Ci vorrebbe un altro articolo per descrivere come i Livin­gstone o Coillard in Africa, e i Asia, uomini come Adoniram Jud­son (Birmania) o Hudson Taylor (fondatore nel 1 864 della Missio­ne ali 'interno della Cina) e molti altri meno conosciuti, riuscirono a mobilitare i cristiani occidentali , proseguirono il compito, lascia­rono le coste e penetrarono ali 'interno di territori mai raggiunti in precedenza.

Missionari dal mondo per il mondo intero La storia continua. Alla fine del secolo scorso, quello che è stato chiamato il secondo risveglio americano, ha registrato la nascita di diverse società missionarie, per la maggior parte internazionali ed interecclesiastiche, con un orientamento evangelico chiaramente dichiarato. Fra di esse l 'Alleanza Cristiana e Missionaria ( 1 897), la Missione all' interno dell'Africa, la Missione Unita del Sudan, la Missione all' interno del Sudan. Per evitare di cadere nel tranello di una piatto elenco, fastidioso per il lettore anche se edificante, ci asterremo dal proseguire questa enumerazione.

La nostra conclusione sarà prima di tutto un sentimento di rico­�oscenza n�l _rensare ad una così grande lucidità presso dei pionie­n che lo spmto del loro tempo non spingeva in alcun modo verso simili pericolose avventure, e per la perseverante ubbidienza ad una visione che essi sapevano provenire da Dio. Ed anche per tanti sa­crifici, non riconosciuti dai loro contemporanei e sovente senza al­cun risultato visibile durante la loro vita.

Dio ha onor(tto questo lavoro, malgrado le sue lacune ed i suoi difetti che avremmo, forse, dovuto ugualmente sottolineare; stia-

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11 l . • l

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mo attenti a non idealizzare queste grandi figure di pionieri ! Oggi, mentre in Occidente la chiesa sembra tragicamente dimi­

nuire, essa cresce in modo impressionante in altre regioni del mon­do. Le chiese nate dalla missione si sono assunte le loro responsa­bilità, e non soltanto evangelizzano i loro propri concittadini, ma a loro volta mandano missionari all 'estero (è difficile dare delle ci­fre precise, ma oggi si parla di 1 00.000 missionari protestanti nel mondo, di cui da 1 5.000 a 1 8 .000 proverrebbero da Paesi del terzo mondo mentre 1 5 anni fa non erano probabilmente più di 3000!) .

Dall ' inizio di questo decennio, i cristiani bianchi sono di nuo­vo minoritari nella chiesa. Ma tutti insieme, e senza distinzione di colore, da ogni luogo e verso ogni luogo, noi siamo chiamati a pro­seguire il compito fino al ritorno del Signore.

(Trad. S. Negri)

"MISSIONE" �� trimes�ale per promuovere una riflessione evangelica sulle missioni con articoli, no �zie e corrispondenze. Per informazioni ed abbonamenti : "Missione'', Via A. De G aspe p 4; 42100 Reggio El!lilia.

. !.

Studi di teologia II ( 1990) 39-46

LA DIMENSIONE COMUNITARIA DEL SERVIZIO MIS SIONARIO

D ani el H e nn o

Vocazione e guida personale - visione comunitaria? Contrariamente a quanto si trova nel Vecchio Testamento, nel Nuo­vo Testamento non vi è alcuna chiamata diretta ad eccezione di quelle dei dodici discepoli e dell 'apostolo Paolo (cf. Mt 4, 19) . In seguito, la vocazione è un 'esperienza che si realizza non solo sul piano individuale, ma anche nell'ambito della chiesa. Si concretiz­za quando lo Spirito Santo parla tramite uomini e questi ultimì con- · fermano la chiamata personale, come ad esempio fece Barnaba nel caso di Saulo (At 1 1 ,25), Paolo nel caso di Sila (At 15 ,40) e, nel caso di Timoteo, come fecero Paolo e la Chiesa (At 16,3). Questi collaboratori avevano dato prova del loro impegno nel servizio al­la chiesa locale secondo i loro doni e la loro vocazione, ed ora, tra­mite la chiamata dei "missionari", diventano loro collaboratori in una "missione esterna" .

Quelli che in tal modo vengono mandati (cf. At. 13 , 1 -3) non ri­cevono indicazioni per il loro ministerio da parte della loro chiesa d 'origine, ma rimangono in stretta comunione con esse e vi torna­no per rendere testimonianza del loro lavoro (At. 14,26-28). Non costituiscono un ' istituzione speciale, ma non si trovano neppure soli con le direttive divine per svolgere il proprio rninisterio. Sono piuttosto inseriti in una comunità di collaboratori, in vista di un "mi­nisterio di gruppo" (At 1 6,6- 1 0) .

• L • A. è stato missionario in Pakistan per dieci anni e ora è direttore della Scuola biblica e missionaria delle "Assemblee dei fratelli" tedesche a Wiedenest nella Germania Federale. L'artico­lo costituisce il testo della relazione presentata alla prima "Consultazione europea degli anziani del­le assemblee dei fratelli" a Saint-Légier (Svizzera) nel 1 985, pubblicata qui col gentile consenso dell'A.

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40 D.Herrn, La dimensione comunitaria del servizio miss.

Questa comunanza di servizio è la forma normale della missio­ne secondo il NT. E ' così che Gesù manda i suoi discepoli, a due a due (Mc 6,7). Barnaba, Paolo e Giovanni-Marco costituirono essi pure una comunanza di servizio (A t 13 , 1 -3) come anche Paolo con Sila e Timoteo (At 1 6) . E ' solo in casi eccezionali che incontriamo messaggeri del Vangelo soli, ad esempio Filippo (At 8) e Paolo ad Atene. Ma proprio in quest' ultimo caso, egli "aspettava i suoi com­pagni" (At 17 , 1 5 - 16) .

In una simile comunanza di servizio, i missionari non fanno sol­tanto l 'esperienza dell 'aiuto, della complementarietà e della mutua correzione, essi sperimentano pure la guida comune (A t 1 6, 10). Persino un uomo come l 'apostolo Paolo non fa una decisione soli­taria, nonostante le istruzioni particolari ricevute da Dio. Il "noi" del v. lO sottolinea chiaramente la natura collegiale della decisione.

Dobbiamo ora chiederci fino a che punto noi conosciamo que­sto tipo di comunanza di servizio. Sin dalla partenza di Anthony Norris Groves per Bagdad nel 1 829, i missionari delle "assemblee dei fratelli " , quasi senza eccezioni, sono partiti soli, e nei paesi do­ve sono andati, non hanno lavorato molto in vere comunità di ser­vizio. Vi è veramente un fondamento neo-testamentario a quest9 modo così individualistico di lasciarsi guidare e lavorare? A que­sto proposito si cita spesso Galati l , 1 6 per mostrare che Paolo "non si è consigliato con carne e sangue" . Ci si dimentica però che in quel caso non si trattava di una guida per il ministerio o il lavoro missionario, ma di una particolare guida divina per un ritiro in Ara­bia. La chiamata al servizio aveva già avuto luogo prima che giun­gesse a Damasco (At 9, 1 - 1 8) e la guida concreta per il compito suo gli era stata trasmessa da Barnaba (At 1 1 ,25-26) .

La preparazione per questo ministerio tramite lo Spirito Santo e tramite alcuni uomini (Ef 4, 1 1 , 1 2) si è realizzata in modi diversi. Apollo, ad esempio, è istruito da Aquila e Priscilla, mentre Sila e Timoteo sembrano aver ricevuto una eccellente preparazione nella propria chiesa locale. Paolo aveva una "cultura" teologica impres­sionante, ma dovette poi fare un periodo di ritiro per ripensare e "digerire" tutto sotto la guida dello Spirito Santo. Nelle sue diretti-

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ve a Timoteo secondo II Timoteo 2,2, l' apostolo Paolo parla di un ministerio particolare d'insegnamento per uomini "capaci d ' inse­gnare anche ad altri" . Purtroppo, non conosco praticamente nessu­na chiesa in cui si proponga una simile preparazione specifica. Dob­biamo di conseguenza chiederci come e dove potrebbe realizzarsi un 'adeguata formazione, in particolare quando si pensa alle esigen­ze sempre maggiori richieste sul campo missionario.

Tale compito potrebbe certamente essere svolto da corsi bibli­ci per corrispondenza o serali , come pure nelle scuole bibliche. Un a tappa successiva nella preparazione potrebbe prendere la forma di una comunità di vita e di insegnamento, come l 'hanno vissuta ad esempio Sila e Timoteo con Paolo, o Giovanni-Marco con Barna­ba. Una simile comunità può offrire la possibilità di collegare l ' i­struzione personale con la dimostrazione pratica, tramite l 'eserci­zio quotidiano del ministerio. Conosciamo questo nelle nostre as­semblee e sul campo missionario. Così la chiamata, l 'invio, la pre­parazione e la ricerca della guida divina non sono esperienze pura­mente individuali nel NT, ma l 'occasione di una ricerca comune della volontà di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo e nella pre­ghiera, per arrivare ad una visione e a decisioni comuni nella chie­sa e nella comunità di servizio.

Fede individuale - o responsabilità comune? Ciò non vale solo per la vocazione e la direzione divina, ma anche per la responsabilità per il servizio ed i problemi finanziari. Ci si deve chiedere se le chiese del NT poggiassero solo sulla loro re­sponsabilità e decisioni individuali. Poiché la guida divina è un 'e­sperienza vissuta insieme, gli apostoli ed i loro collaboratori si informavano gli uni gli altri dei metodi e dei loro punti di forza nel ministerio, si completavano e si correggevano a vicenda (l Cor 3,6). E in tutto questo, rimanevano abbastanza disponibili ad accettare che anche i piani elaborati in comune potessero essere fermati da Dio (At 16,9- 10) . Galati 2,7 e I Corinzi 3,6 sembrano persino trac­ciare una certa ripartizione del lavoro in base ai doni e ai compiti affidati. Altri testi fanno indirettamente risaltare l 'importanza del-

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la comunità di servizio anche in questioni finanziarie. A questo pro­posito, nel NT, possiamo rilevare i seguenti fatti in relazione al mi­nisterio dell'apostolo Paolo:

l ) l 'apostolo ringrazia per i doni ricevuti dalle chiese \Fil 1_,5 .e

4, 10), ma senza per questo sentirsi dipendente da esse per 1 sum bi­sogni materiali né per il suo stile di vita (Fil 4, 1 1 ); . 2) allo stesso tempo parla della responsabilità delle chiese nel confronti dei fratelli impegnati nel servizio del Vangelo (l Cor 9,5-12; I Tm 5 , 1 8 cf. anche Mt 1 0, 1 0 e Le 10,7);

3) colpisce la constatazione che in nessun posto, l ' apostolo so�­tolinea la sua "posizione di fede personale" in questi campi speCI­fici. Al contrario, dimostra che nelle situazioni di emergenza, sov­viene ai suoi bisogni e a quelli dei suoi collaboratori con il lavoro delle proprie mani (At 20,33-35);

4) l ' apostolo Paolo insegna molto chiaramente il principio se­condo il quale nel corpo di Cristo, un livellamento o un'eguaglian­za dovrebbero attuarsi anche per chiese geograficamente lontane le une dalle altre (Il Cor 8 , 1 3- 1 5). Ciò non dovrebbe esistere forse in misura ancora più grande, nel quadro di comunità di servizio mis­sionario, laddove fratelli e sorelle vivono vicinissimi gli uni agli al­tri e sono insieme impegnati nel servizio? E' vero che questa " ugua­glianza" è una pietra d 'inciampo per la carne, ma essa è attestata nel NT (At 2,42-47 ; 4,32-35).

Possiamo dunque constatare, quanto al sostegno finanziario dei "missionari" , che il NT non accentua la responsabilità individuale nella fede ("affidarsi solo a Dio"), ma piuttosto la responsabilità delle comunità e la possibilità di una "spartizione ugualitaria" (' 'au­sgleic"). Allo stesso tempo, l ' apostolo Paolo dimostra una grande elasticità riguardo tutte queste questioni nella propria vita e nel pro­prio ministerio.

Come mai, nonostante, questa evidenza neotestamentaria, si è giunti nelle assemblee, ad un'accettazione quasi esclusiva della re­sponsabilità personale del missionario e della sua "dipendenza uni­ca da Dio per mezzo della fede" in tutti i problemi finanziari? Non è forse più giusto chiedere ai fratelli e sorelle in missione di dare

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apertamente alle loro chiese di origine informazioni (ad esempio sul costo della vita locale, o su sforzi o progetti speciali, o ancora su bisogni particolarmente urgenti delle chiese indigene) per porre in seguito insieme fiducia in Dio, pregare ed aspettare il Suo aiu­to? La parola di Gesù in Matteo 6,33 così spesso citata è valida so­lo per i missionari e servitori a tempo pieno? Non è forse piuttosto rivolta a tutti i discepoli, cioè a tutti i figli di Dio e di conseguenza alle chiese dalle quali provengono i missionari?

Ciò non significa che il missionario abbia ormai la sicurezza dello "stipendio fisso", ma che questi problemi non sono relegati · in una sfera esclusivamente individuale, ma sono invece affrontati in modo comunitario, in un clima permeato dalla fede e dalla pre­ghiera. Ben inteso, rimane ad ognuno una larga possibilità di chie­dere a Dio doni particolari per bisogni particolari e poter così spe­rimentare l 'aiuto e la guida finanziaria del Signore. Mi pare impor­tante sottolineare quanto discreto fosse Paolo nelle questioni finan­ziarie. Quando chiede doni ed aiuti, è sempre per altre chiese o al­tre persone e non per se stesso. Anche se le questioni finanziarie non sono l 'aspetto essenziale per il lavoro missionario, sono state le occasioni per molti figli di Dio e per molti fra noi, di fare l 'espe­rienza della meravigliosa fedeltà di Dio.

D 'altra parte, hanno anche portato a molta falsa indipendenza, incomprensioni, mancanza di cooperazione, e ciò ha causato dan­ni all 'opera del Signore. Questa mancanza di cooperazione si fa spesso sentire anche in altri campi nel quadro delle "assemblee dei fratelli" . Dicendo così, penso in particolare a questioni di pianifi­cazione, di collaborazione in certe opere e in quel che chiamiamo "strategia missionaria". L'apostolo Paolo aveva senz'altro una "strategia" data dallo Spirito Santo a lui ed ai suoi collaboratori. Puntava ed esempio a fondare chiese prima di tutto nei grandi cen­tri urbani e sceglieva di conseguenza il collocamento dei suoi col­laboratori. Pianificava con anticipo il suo ministerio. Ad esempio, progettando di andare in Spagna, scriveva alla chiesa di Roma in prospettiva di questo viaggio ecc . . . Questo tipo di collaborazione e di "strategia" è necessaria oggi più che mai, di fronte ali 'immensi-

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tà dei compiti e delle aperture, ma anche dei limiti materiali e per­sonali. Ciò permetterà pure di concentrarsi su obiettivi corrispon­denti alla situazione e di realizzare progetti che sarebbero assolu­tamente impossibili per un individuo isolato.

A questo punto vorrei attirare l 'attenzione su altri due campi del servizio missionario che dovrebbero occuparci. E ' il ministerio di quelli che chiamiamo "i fabbricanti di tende", cioè coloro che eser­citano deliberatamente la loro professione in un "paese di missio­ne", provvedendo da soli ai propri bisogni finanziari con le loro at­tività professionali e cercando di essere efficaci testimoni di Gesù Cristo nel proprio posto di lavoro e fuori. In particolare nei paesi chiusi al Vangelo o che vietano l ' ingresso ai missionari, questi fra­telli e sorelle sono spesso gli unici testimoni del Vangelo. In altri paesi possono portare un contributo essenziale alla vita di una chie­sa con il loro impegno al di fuori delle attività professionali.

Il secondo campo è quello dell ' impegno a breve termine in al­tri paesi, specialmente per i giovani. Questo movimento in seno al­le giovani generazioni ha trovato in parte il modo di esprimersi con organizzazioni quali Operazione Mobilitazione, Gioventù in mis­sione, ecc . . . Altri hanno preso impegni per periodi più brevi (da l a 3 anni) in missioni già esistenti. Ci si può chiedere in che misura un tale tipo di servizio trova il suo modello nel NT e quindi come devono reagire le chiese se i giovani della loro assemblea aspirano a questo tipo di servizio.

Missione individuale - o collaborazione? (Partnershaft) Nelle nostre riflessioni, arriviamo ora a quello che è lo scopo spe­cifico per cui ogni missionario lavora e per cui ogni comunità man­da. Il ministerio ha portato alla fondazione di una comunità che crescendo, si avvicina alla propria indipendenza. Quali saranno le relazioni del missionario con questa comunità, e che tipo di rappor­to si svilupperà con le comunità del paese d'origine del missiona­rio? Il libro degli Atti ci mostra che a quell 'epoca di missione pionieristica mondiale, le chiese nascevano molto rapidamente e che, allo stesso modo, diventavano indipendenti molto rapidamen-

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te (es. At 13 e 14, I Tess l e 2) . Quali fondatori di chiese, gli apo­stoli proseguivano il loro cammino senza tuttavia interrompere le relazioni con quelle comunità: continuavano a consigliarle, ad aiu­tarle, a fornire loro appoggio. Per le chiese, non era un segno di di­pendenza nei confronti di una persona, ma un 'espressione della mutua corresponsabilità nel corpo di Cristo.

Nell'ottica di questa responsabilità, il missionario (apostolo) vegliava affinché si stabilissero dei legami fra la chiesa dalla qua­le egli stesso proveniva e le nuove chiese. Tale comunione si svi­luppava molto rapidamente, e non era necessariamente legata alla persona dell'apostolo. Si concretizzava non solo nell ' invio di salu­ti, ma anche in servizi reciproci ed in aiuti finanziari (Rm 1 6, 1 - 1 6; I Cor 1 6, 1 -9; Col 4,7- 1 8 ; I Tess 1 , 8). Simili legami esistono nelle regioni dove noi abbiamo delle responsabilità? Si sono estesi e con­solidati fra le diverse chiese? Troppo spesso i fratelli dell 'Asia, del­I ' Africa o dell 'America Latina hanno lamentato il fatto che, parti­to il missionario, la comunione con la sua chiesa d 'origine non si è mantenuta e che allo stesso tempo, è cessato l 'aiuto finanziario. Possiamo facilmente immaginare ciò che questo può significare per alcuni ministeri, come per alcune "opere" fondate dai missionari e · di cui i fratelli indigeni devono poi sopportare tutto il peso.

Ma non si tratta solo e nemmeno prima di tutto, di problemi fi­nanziari. Si tratta dello sviluppo di una comunione di vita e di ser­vizio all ' interno del "corpo di Cristo" . Ciò implica legami stretti con le chiese al di là delle nostre frontiere. E le informazioni su queste chiese, le relazioni con esse, non devono dipendere esclusi­vamente dal missionario. E' ovvio che le chiese del NT non erano costituite in associazioni e che non conoscevano neppure una dire­zione ed un'amministrazione centralizzata, ma qui non si tratta di questo. Esse si conoscevano fra di loro, avevano mutui legami e potevano aiutarsi ad agire insieme. Quali informazioni possiedono i nostri fratelli e sorelle a proposito delle "assemblee dei fratelli" nei vari paesi? Non corriamo forse il rischio di trascurare la comu­nione e la cooperazione dando un ' importanza troppo unilaterale al­la nozione di "autonomia della chiesa locale" che certo ha le sue

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origini nel NT? E' veramente la volontà di Dio che in alcuni paesi la chiesa sia

nell 'impossibilità di compiere alcuni lavori per mancanza di ope­rai e di fondi, mentre questi mezzi sarebbero disponibili in un 'al­tro p_aese ma non sono messi a disposizione per mancanza di infor­maziOne? La condivisione secondo II Corinzi 8 , 14- 1 5 non sarebbe un principio biblico importante da applicare in un simile caso? Sempre a proposito delle chiese dei nostri paesi, non sarebbe utile che quelle che sostengono dei missionari in un certo paese si cono­scessero e scambiassero informazioni sul loro lavoro, si consult­assero ed anche, se necessario, intraprendessero azioni comuni?

Ciò corrisponde sicuramente meglio all 'immagine del Corpo che non l 'indipendenza purtroppo spesso praticata. Poiché il "Cor­po di Cristo" non si concretizza solo a livello della chiesa locale ma nella chiesa di Cristo progettata come un tutto, e particolarmen� te ed essenzialmente nelle comunità in cui la dottrina e la pratica sono simili. Desidero concludere riassumendo nel modo seguente. Generalmente nella dottrina e nella storia del movimento dei fra­telli, ci si è sempre trovati, nei tre campi esaminati, confrontati al problema dello Spirito Santo, dell'ordine, e all'occorrenza delle s:r�ttur�. Dovr_emmo allora vegliare accuratamente per non lasciar­CI nnchmdere m una specie di "o . . . o . . " . Per compiere la Sua opera nel mondo, lo Spirito Santo ha creato e continuamente crea un'or­dine. e dell� strutture.· Ma queste strutture sono sempre risultate (e spenamo s1a sempre così oggi) stranamente malleabili ed adattabi­li. Dicendo questo, sappiamo pure che l 'ordine e le strutture pos­sono anche essere usate in modo rigido e diventare un 'ostacolo al-l ' azione dello Spirito Santo. 1

Ecco perché sarà sempre d'importanza decisiva che le chiese nel paese mandante e le comunità di servizio sui campi missionari trovino dei modi di lavorare che corrispondano a quelle del NT e non facciano ostacolo all 'azione dello Spirito Santo. Allo stesso tempo è necessario che venga espresso l 'ordine, la comunione e l ' armoniosa efficacia del corpo di Cristo.

(Trad. B . Secondi)

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LA RELAZIONE TRA CHIESA E MISSIONE, CONTORNI DEL PROBLEMA

Paul Fincho

Sin dai primi giorni del risveglio del movimento missionario, quan­do uomini della statura di Carey, Hudson e Martyn perseguivano a tutti i costi la loro visione di portare il vangelo in tutto il mondo, missioni e chiese si sono contese la paternità dell 'opera. Spinti da un'irresistibile energia, i primi grandi eroi dell' impegno missiona­rio costituirono una forte provocazione per la coscienza addormen­tata della chiesa e fin dall ' inizio esistette una certa tensione tra coloro che diventavano punti di riferimento delle missioni e la chie­sa che lentamente si svegliava.

Negli ultimi anni questa tensione non si è attenuata, ma è anda-ta aumentando come lo dimostra il gran numero di discussioni, ar­ticoli, libri e convegni che hanno centrato la loro attenzione su ta­le problematica. A Green Lake (Usa), nel 197 1 , c 'è stato un conve­gno (preceduto da quelli di Whitby 1947, Willingeno 1952, Whea­ton 1 966) che proponeva di studiare proprio i rapporti tra le mis- · sioni americane e le chiese indigene. Harvie Conn, professore di missiologia al Westminster Theological Seminary, dedica a questo tema una sezione del suo libro Theological Perspectives on Church

Growth. Secondo Conn, questo convegno ha fallito il suo obiettivo so-

prattutto perché i veri problemi sono stati affrontati da un punto di vista esclusivamente empirico e non da quello teologico. Conn os­serva che tutte le 1 6 sfere di tensioni individuate a proposito dei rapporti tra missioni e chiesa "avevano dimensioni teologiche che

'D Dr. Finch è anziano di una Chiesa cristiana evangelica a Padova e direttore dell'IFED. Ha compiuto studi teologici a Denver (Usa) e filosofici all' Università di Firenze.

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48 Paul Finch, La relazione Ira chiesa e missione

però non furono affrontate" (p. 107) . Egli conclude affermandd che Il conve.gno dimostrò nuovamente che "l 'attivismo delle missioni evangeliche americane continua a presentare il quadro di una chie­sa. senza t�o�ogia e di una missione senza teologia. La teologia bi­bhca costltmsce solo la fonte per la meditazione personale ma non per le azioni concrete" (p. 107). '

. Ta!e c�tica non deriva dal fatto che egli sia professore in un se­mmano nformato e che quindi debba difendere il ruolo della teo­logia, ma piuttosto dalla convinzione che "se la teoria delle missio­n� evangeliche continua a svilupparsi ad un livello puramente fun­ziOnale, senza la guida della teologia biblica, le sfere di tensione n�:m por:anno essere precisate e affrontate" (p. 108). La preoccupa­ziOne di Co?n è �h� le questioni di fondo e cioè i presupposti, non vengano evidenziati. Le domande di fondo sono tre .

. 1: Q�al è il fondamento biblico che giustifica l 'esistenza delle �Is.�IO�I sep��te . .

dalla chiesa in?�ge?a? Le c��egorie di "modali­tles . e sodah.ues sono strumenti md1spensab1h per regolare i rap­porti della chiesa con la missione? (Di "modalities" e "sodalities" si parlerà dopo).

2. Che cosa s ' intende con il termine "missione"? Un impegno c�e ha come oggetto soltanto il mondo, oppure anche la chiesa? VIe� e cont.ef!Iplato soltanto l 'obiettivo d eli ' evangelizzazione, o an­che il serviziO nella chiesa nascente?

3: Qual è poi il rapporto che il missionario deve instaurare con l� .ch1e�a na�c�nte? Come dovrebbero essere esercitati e disciplina­ti I suoi dom m quella parte del corpo di Cristo dove è chiamato a servire?" (p. l 08).

La risposta più soddisfacente a questi tre interrogativi è stata formulata dopo l 'epoca del pietismo dai grandi pionieri che vanno da Venn a Roland Allen. Essa è tuttora insegnata con la formula de�le tre "auto" : chiesa-autosufficiente + chiesa-autogovernante + chiesa autOsufficiente finanziariamente. Ciò significa che la chie­sa nasce�te. d!ve�ta finanziariamente autosufficiente, è governata da propn mimstn ed è in grado di testimoniare. Secondo questa for­mula, quando una chiesa indigena raggiunge tali livelli di maturi-

Studi di teologia Il (1 990) 47-54 49

tà, non ha più bisogno del contributo del missionario che viene la­sciato libero di proseguire altrove la sua opera d'evangelizzazione.

ll problema, rileva Conn, è che una tale ottica è lacunosa in quanto si basa su una definizione limitata e parziale di "che-cosa­è-una-chiesa" e presuppone che il missionario abbia esclusivamen­te lo scopo di evangelizzare e non possa avere altri doni per svol­gere altri servizi. Il passaggio da una chiesa-missionaria ad una chiesa-indigena non è mai considerato facile ed il modo proposto da Allen per effettuarlo non sfugge ad eventuali accuse di colonia­lismo da parte delle missioni, nè si sottrae al rischio della "sindro­me-della-chiesa" (il termine è di Wagny.raella Church Growth School) che vede la chiesa esclusivamente preoccupata del proprio sviluppo e della propria maturazione. Inoltre, come nota Conn. ci sono casi in cui la chiesa nascente, avendo preso le redini del pro­prio destino, definisce e delimita le azioni della missione stessa. La conclusione di un convegno tenuto a Gerusalemme nel 1 928 è si­gnificativo a questo riguardo: " . . . questo significa che col trasferi­mento alla chiesa delle responsabilità fin qui adempiute da parte delle missioni e la disponibilità da parte delle stesse a funzionare soltanto attraverso la chiesa, quest'ultima viene riconosciuta come il centro d'ogni responsabilità. Ciò significa che il singolo missio­nario fungerà da ministro della chiesa e non più da rappresentate della missione che rimane fuori dal controllo della chiesa" (p. 1 1 1 ) . ·

La scuola californiana che analizza attentamente le chiese che sono in forte crescita (Church Growth School) non cerca di risol­vere le tensioni tra le missioni e le chiese, sostiene piuttosto che le strutture sono secondarie e che le varie difficoltà verranno risolte lavorando insieme. Winter, un noto esponente della scuola, è con­vinto che questo tipo di problema sarà superato sul piano operati­vo e propone perciò una struttura teorica alla quale ha dato i nomi di "modalities" e "sodalities". Le "modalities" corrisponderebbero ad una struttura verticale, cioè alla chiesa stessa dove ognuno è chiamato ad essere in rapporto con Dio, mentre i "sodalities" sa­rebbero strutture come le confraternite che mantengono e favori­scono i rapporti umani. Il fatto che la chìesa abbia quasi sempre

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j 50 Paul Finch, La relazione tra chiesa e missione

concentrato il suo interesse su se stessa è i l motivo che ha spinto la Church Growth School ad evidenziare come un grave pericolo la "sindrome-della-chiesa". Ma come nella storia è piaciuto a Dio ser­virsi di strumenti orizzontali per l 'espansione della chiesa (orga­nizzazioni parallele alla chiesa che ne esprimono la visione evan­gelistica come le missioni), così, osservano gli esponenti della scuola, i " sodalities" sono parte importante e complementare de�la struttura verticale. Winter dice che "alla chiesa occorrono le rms­sioni perché alle 'modalities' occorrono i 'sodalities ' " (p. 1 1 5).

Una posizione contraria a quella di Winter è sostenuta da C�­stas che viene citato con approvazione da Conn. Costas, nel suo h­bro The Church and its Mission: a Shattering Critique from the Third World (Wheaton, Tyndale House 197 4, p . 17 1 ), formula tre osservazioni critiche. La posizione della scuola californiana: a) è contraria al carattere storico universale della chiesa, b) fa di .un par­ticolare storico una generalizzazione universale, c) fa del fallimen­to della chiesa nella sua missione un principio determinante. Conn esige che si pensi e si lavori teologicamente, mentre la Church Growth School, dominata com'è da numeri, statistiche, dal come le chiese crescono e si moltiplicano, pensa pragmaticamente. Win­ter vede a portata di mano un modo per risolvere il problema della tensione tra la chiesa e le missioni, ma Conn insieme a Costas os­serva che non si tiene in debito conto l ' insegnamento biblico sulla chiesa che viene sorvolato nel grande entusiasmo per la nuova av­ventura delle missioni. Per Conn il fatto, molto evidente nella sto­ria, che la chiesa sia cresciuta attraverso organizzazioni parallele non giustifica che queste siano il modo voluto da Dio. Egli sostie­ne che forse è stato proprio il non aver tenuto in debito conto la chiesa ad aver favorito tante tensioni. Il principio che convalida le missioni non può essere nè la sonnolenza, nè il suo fallimento per quel che riguarda la sua responsabilità missionaria. Dio aveva af­fidato la missione dell ' évangelizzazione del mondo alla chiesa per cui il delegarne ad altri la responsabilità non può essere fatto sen­za andare incontro a serie conseguenze.

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Conn non h a u n modello da proporre, n è n e trova uno sufficien­temente radicale in Bavinck che pure manifesta un pensiero bibli­co assai solido. Bavinck si serve di termini come "chiese madri" e "chiese figlie", ma Conn si chiede se ciò non mantenga la divisio­ne precedente di "chiesa vecchia originale" e "chiesa nascente in­digena". Si chiede anzi se non peggiori la situazione perché men­tre il linguaggio precedente riconosceva un ordine temporale, il ter­mine nuovo crea un legame di dipendenza ancora più forte. Conn · affronta il problema della " terra di nessuno", quella contesa da due parti, senza imporre la sua posizione di teologo in quanto tale. Egli ammira Bavinck, ma ritiene anche che i suoi ragionamenti "sono difettosi in quanto presuppongono l 'esistenza culturale della mis­sione come d'una entità separata e come un principio teologico. Egli viene quindi alle Scrittura con questo presupposto come mo­dello operativo e come un dato già acquisito" (p. 1 19).

La critica di Conn è che "manca la riflessione sullo scopo del­la chiesa come popolo costituito da Dio in questo mondo usato da Dio per parlare ad un mondo che vuole redimere" (p. l l9). Tale mancanza lascia irrisolti tanti problemi nati tra le chiese nascenti e le missioni. I limiti operativi delle missioni a fondare chiese per­mangono e le chiese nascenti a loro volta non fanno altrò che per­petuare le mancate riflessioni, perché mantengono strutture inade­guate e riproducono le tensioni non risolte. Egli stesso non possie­de una formulazione teologica già confezionata, ma in lui arde il fervore di chi crede che la chiesa non sia un posto dove vengono fatte certe cose, ma "un'entità chiamata ad esistere per uno scopo preciso" (p. l 19) . La chìesa in quanto tale non è "missione", ma cer­tamente ne ha una! "Diciamo che la direzione della chiesa è sem­pre rivolta verso l 'esterno come reti gettate nel mare, come semi dispersi nei campi, come il lievito nascosto nella farina, come la lu­ce nelle tenebre, come seme di senape che diventa posto di riposo per gli uccelli " (p. 1 20). C'è un lavoro da fare a livello di ragiona­mento biblico e di formulazione teologica, una rivoluzione di ciò che solitamente si pensa sia la chiesa. Solo in questo modo saran­no superati i termini tradizionali e si potrà andare al di là di concet-

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52 Paul Finch, La relazione tra chiesa e missiorze

ti quali quelli di "modalities" e sodalities" . "Siamo chiamati ad esa­minare la legittimità di termini come "separati ma uguali" (usati per indicare una tregua provvisoria tra missione e chiesa), e di qualsia­si altra formulazione di una struttura che limiti la piena espressio­ne dell 'unità nella comunione e nel servizio che è la piena espres­sione del popolo di Dio" (p. 1 2 1 ) .

I problemi e le tensioni tra le missioni e le chiese tendono ad accentuarsi quando si comincia a parlare di ordine e di disciplina. Il missionario impegnato in compiti d'evangelizzazione non incon­tra normalmente delle tensioni impegnato com'è a portare le per­sone a Cristo. Il problema sorge quando si convertono delle perso­ne e si comincia a pensare alla formazione di una chiesa. Da quel momento nasce tutta una serie di domande. Quale tipo di chiesa stabilire? A quale modello ispirarsi per il suo governo? Sarà una chiesa modellata secondo il paese di provenienza o esperienza del missionario? Sarà una chiesa conforme ai criteri stabiliti dalla stes­sa missione? Come sarà chiamata? Avrà per modello una chiesa già esistente nel paese? Chi deciderà la struttura della chiesa? Il mis­sionario, la missione o i membri della chiesa? Come si farà a di­ventare membri? Ci sarà una costituzione? Quali rapporti avrà que­sta chiesa con le altre? E con quella di provenienza del missiona­rio? E con la missione? Chi deciderà quando sarà autonoma? Co­sa succederà quando il missionario tornerà al proprio paese per un periodo di riposo? Chi deciderà del tipo e del numero degli incon­tri?

Anche un elenco parziale può far capire quanti problemi nasco­no o possono nascere. Ci sono così tante componenti da far rabbri­vidire il politico più esperto. Paese d'origine del missionario+le sue esperienze di chiesa+l'insegnamento ricevuto+la cultura del nuo­vo paese+ le eventuali chiese già esistenti+le esigenze della missio­ne, ecc. L'insistente osservazione di Conn è che senza un gran la­voro a livello teologico è facile che ci siano problemi a livello strut­turale.

Per Conn la risposta a questi problemi non viene tanto dall ' a­ver rovesciato gli elementi nel calderone, ma da una ridefinizione

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di che cosa sia la chiesa. Rifacendosi ad Edmund Clowney, Conn sostiene la necessità di strutturare la chiesa in base alle Scritture. "Non possiamo limitare l 'autorità di Cristo al contenuto del vange­lo attraverso il quale il suo popolo sarà salvato e riservare a noi di decidere la forma secondo cui dovrebbe vivere tale popolo .. .la man­canza di un manuale di disciplina non significa che nel NT noit ci sia un ordine che struttura la chiesa" (p. 1 16).

Dovremmo capire che non si può pensare alla chiesa come una chiesa là ed una qua, quella vecchia da cui proviene il missionario e quella nuova che cerca di stabilire. La chiesa è l 'opera di Dio nel­la storia e come "al Sinai costituì un popolo per essere un regno di sacerdoti davanti alle nazioni, così ora costituisce un nuovo popo­lo (A t 2,9- 1 1 ) da mandare ai quattro angoli della terra. Il vecchio confine · tra Israele e Samaria è tolto dalla ricezione dello Spirito Santo e dalla parola dello Spirito (At 8, 14- 1 5). Un Pietro scettico viene convinto da tre visioni e dalla manifestazione del dono dello Spirito ad un soldato romano, e torna alla chiesa di Gerusalemme con un messaggio: 'Noi non possiamo più chiamare straniero ciò che Dio chiama suo, non possiamo più chiamare Gerusalemme la mia casa nella comunione mondiale dello Spirito' (At 10, 1 1 ) . Un unico corpo nello Spirito, con una missione, ora marcia verso le estremità del mondo. La vita dello Spirito è la vita in comunione e questa è molto di più che 'uguaglianza nel ministero"' (p. 1 2 1 ).

Per Conn, lo scopo primario della chiesa non è n è verso il mon­do, nè verso la chiesa come corpo di Cristo, ma vero Dio stesso in una vera adorazione. E per adorazione egli non intende soltanto un modo di cantare o di celebrare un culto, ma qualcosa con un ben più ampio contenuto. "L'adorazione stessa diventa testimonianza, un meccanismo immesso da Dio per combattere la sindrome della chiesa. Il dono dello Spirito alla Pentecoste da' alla chiesa lingue nuove per glorificare Dio davanti alle nazioni per tutte le sue ope­re meravigliose (At 2, 1 1 ) . . . ll concetto che Paolo ha di missione è adorazione a Dio, il frutto di lode offerto a Lui dalle labbra dei Gen­tili (Rm 1 5,9- 1 1 ), un tributo portato a Dio dai Gentili" (p. 1 22).

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54 Paul Finch, La relazione Ira chiesa e missione

Una chiesa "Dio-orientata" non avrà difficoltà ad individuare l� P�?rità. La chiesa non sarà bloccata nell ' impasse causato dalla difficile scelta tra un ministero verso se stessa, o da uno verso il �?ndo; non sarà prigioniera di una tensione tra la propria persona­hta � qu�lla del missionario e della sua missione. La pienezza del­la vita vissuta concretamente in adorazione e servizio a Dio, si e_sprimerà in tutte le fasi della sua vita. Capirà che i doni che lo Spi­

z:to S�nto le ha dato hanno uno scopo preciso. Il servizio del mis­Sionano stesso non sarà concepito in termini precisati da un ma­nuale, o dalla necessità di andarsene al momento che la chiesa si definisce autonoma. Egli stesso è dato a lei ed occuperà insieme agli altri membri un ruolo vitale determinato non tanto dalla sua n�zionalità, nè dalla lunghezza del tempo in cui è stato in un deter­mmato posto. La chiesa davanti al vero Signore, il suo vero Crea­tor.e, si capirà amministratrice dei doni di Dio per cui impegnerà, guiderà, tutelerà tutti i doni ricevuti da Dio_ Strutture che defini­scono ruoli e differenziazioni, devono sottostare ad un nuovo esa­me della Parola di Dio.

In questa ottica c'è un radicale spostamento dell'epicentro dei presupposti. Il ragionamento dei princìpi guida non comincia dai problemi da affrontare, nè dalle soluzioni pratiche sperimentate. L: epicentro dell 'attenzione passa dai metodi ai princìpi, dalla tec­�I�a �Ila Bibbi�. Le missioni non saranno automaticamente "sodr­htles della chiesa, ma saranno da essa definite ed istituite. Chiesa mandante e chiesa nascente saranno ambedue sotto una nuova so­vranità. "Il correttivo ad un paternalismo del missionario sta nel ri­conoscere il patemalismo di Dio nel suo figlio Gesù Cristo . . . L' au­torit� del past�re dell 'evangelista, anziano e diacono, indigeno o s!I'am�ro, p�oviene dalla grazia data, dal trono della grazia. Il mis­Sionano ed Il servitore indigeno sono ambedue amministratori non signori coloniali o capi burocratici" (p. 1 26). '

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RIFLESSIONI A MARGINE

Gioele Corradini o

La dichiarazione di Francoforte del 1 970 e quella di Wheaton del 1983 che vengono riprodotte in altra parte della rivista, non sono facili da accostare. Certamente hanno in comune il soggetto, e cioè la missione, ma la prospettiva da cui la considerano non coincide perfettamente. Entrambe si richiamano al "grande mandato", ma lo mtendono, e soprattutto lo traducono, in elementi che sembrano differire tra loro. Dietro al fascino biblico del numero sette che le a':"'icina, ci sono elementi con contenuti e preoccupazioni ben di­stinte.

Sembrano d 'accordo sul "ruolo e la natura" della missione ma - . ' Imboccano poi strade autonome nelle proposte concrete. Unanimi nella preoccupazione per il presente elaborano però differenti "ri­cette" per il futuro. Mentre l 'una sembra privilegiare i principi, l 'al­tra s 'avventura più speditamente sulle proposte. Infine, diversi so­no i movimenti, diversi sono pure i tempi e diversi ancora gli uo­mini che le hanno redatte_ All ' intorno dunque della stessa cornice e pur accomunate dai medesimi richiami biblici, ciascuna dichia­razione sviluppa elementi propri non sempre convergenti anche . se neppure del tutto inconciliabili. Nonostante i rischi della sintesi po­trà essere utile accostare questi elementi al fine di rendere più ric­ca e completa la riflessione.

FRANCOFORTE

Datata del 1970, questa dichiarazione esprime bene, già nel suo ti­tolo, la viva preoccupazione di diversi teologi evangelici tedeschi

"L'A. è anziano nella Chiesa cristiana evangelica di S. Lazzaro di Savena presso Bologna.

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di fronte alle nuove concezioni sulla missione espresse dal Consi­glio Ecumenico delle Chiese. Il Consiglio, influenzato da teologie e filosofie a carattere umanista, si vede costretto ad una riconside­razione globale di tutta la problematica missionaria con particola­re riferimento alle implicazioni sociali e culturali.

Difronte ad un tale slittamento, questi teologi sentono la respon­sabilità profetica del richiamo al ruolo ed allo specifico mandato missionario così come essi lo comprendono sul solo fondamento della Scrittura. La durezza dello stile che potrà talvolta apparire ec­cessiva, andrà dunque inquadrata in questo contesto di risposta e reazione.

A ben vedere, la dichiarazione di Francoforte è grosso modo strutturata sul modello di una confessione di fede. Questo non va­le solo per la forma (testo biblico, dichiariamo . . . ci opponiamo.i.), ma anche e soprattutto per i l suo contenuto. Infatti osservando be­ne i "sette elementi fondamentali della missione" si potranno scor­gere altrettanti "loci" teologici : l 'Evangelo, Dio, Gesù Cristo, la sal­vezza, la chiesa, il peccato, il ritorno di Cristo. Questo è già di per sè assai significativo e potrà aiutare a comprendere meglio il sen­so della dichiarazione. Essa avrà carattere più dogmatico che prag­matico volendo richiamare a dei princìpi orientativi piuttosto che indirizzare verso scelte metodologiche. Tuttavia, per quanto si sfor­zi di essere dichiarativa e propositiva, la dichiarazione è piuttosto sottolineata e marcata dai suoi "ci opponiamo" . E questa è prob­abilmente la vera chiave di lettura, l 'elemento che esprime meglio le intenzioni dei redattori di Francoforte.

No al 'Vangelo sociale' Il primo no riguarda il "Vangelo sociale" e l ' analisi socio-politica che ne fornisce la struttura e le giustificazioni. L'Evangelo è già normativo e completo in sè. Il suo annuncio è sufficiente e a se stan­te. Occorre dunque nuovamente resistere alla tentazione d'integrar­lo o completarlo con elementi estranei alla Rivelazione. In fondo questa dichiarazione denuncia ancora l 'antico e ricorrente tentati­vo di cercare una problematica simbiosi tra la Scrittura ed alcuni

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elementi delle maggiori filosofie correnti. Dall' indubbio fascino di una tale sintesi, si è orientati verso l 'out-out del costante richiamo al "Sola Scriptura" .

No all 'umanesimo Se il vero scopo della missione è la sola gloria · di Dio, essa deve avere obiettivi e priorità teocentriche. Si tratta dunque di un indi­rizzo definito che toglie primati ed importanze a tutte quelle moti­vazioni più o meno antropocentriche forse più affascinanti ed · accettabili. E di nuovo viene proposta una radicale scelta di cam­po tra il continuo oscillare del " solo hominis gloria" dell'umanesi­mo di ogni tempo ed il "solo Deo gloria" della Riforma.

No ad un Cristo filosofo Un Gesù cioè che di volta in volta potrebbe rivestire gli insospet­tabili panni di qualcuno dei vari rabbi che hanno percorso e conti­nuano a percorrere la ricorrente scena della storia. La dichiarazione reagisce schiettamente a questa rinnovata tentazione additando il "solus Christus" come unico. Egli rimane l ' insostituibile che non può essere sincretizzato nella collezione dei maestri del tempo, per­ché egli è l ' "io sono". La sua persona, la sua natura ed il suo mes­saggio trascendono ogni possibile riduzione umanizzante ed ogni tentativo di scoprire altre vie per arrivare al Padre.

No ali 'universalismo Così come accadeva ieri, ancor oggi s 'assiste al tentativo di ripro­porre al mondo un Vangelo edulcorato, privo cioè di quegli elemen­ti di scandalo che ne costituiscono una costante pietra d'inciampo. Un messaggio che annunci la condanna e la perdizione di coloro che non credono trova orecchie sorde negli uomini così propensi a credere che in fondo la bontà di Dio potrà trionfare sulle esigenze della sua giustizia. Il "sola gratia" sembra ricordare la dichiarazio­ne, non va affatto in una simile direzione.

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No alla fusione chiesa/società La sottolineatura della radicale diversità tra la chiesa di Gesù Cri­sto ed il mondo, è quanto mai attuale ed appropriata. Evidentemen­te non è bastato il grave fraintendimento del "corpus christianorum" medioevale in cui ci si era erroneamente illusi di poter identificare la chiesa con la società. L'essere sale della terra e luce del mondo comporta una radicale differenza qualitativa che deve essere rico­nosciuta e difesa.

No al sincretismo Non ci sono diverse vie, ma una sola. Così come una "sola fides" e non diverse fedi. L'unicità e la peculiarità del messaggio cristia­no, proclamato secondo i criteri della Parola di Dio costituisce an­cora un elemento di scandalo che pure va mantenuto e difeso. Per quanto irritante e "arrogante" ciò possa essere considerato dagli uo­mini.

No all 'utopia della nuova società La rivelazione biblica non sembra accreditare la tesi ottimista di un generale progresso verso una società pacifica e giusta. Al contrario i cristiani debbono annunciare un cammino opposto che porterà il mondo verso un 'inevitabile catastrofe provocata da Satana l 'usur­patore che tenta con ogni mezzo di contrastare la vittoria di CriSfo. Anche qui il messaggio dell 'Evangelo si discosta in modo radica­le dalle varie filosofie ottimiste sul futuro dell 'uomo. Tacere su que­sto futuro sarebbe tradire l ' integrità del messaggio evangelico. Nei suoi "no" la dichiarazione di Francoforte intende evitare anche que­sto possibile tradimento.

Osservazioni conclusive Una dichiarazione impostata sui "no" esprime ovviamente alcuni limiti. Negli aspetti propositivi e pragmatici, per esempio, dove mancano purtroppo elementi che permettano di tradurre ì vari "ci opponiamo" in un progetto di reale e concreta attuazione. Tuttavia

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questi "no" invitano a riflessione. Forse si tratta proprio di un ri­chiamo contro la tentazione di slittamenti laterali o di fughe in avan­ti. Un a voce che richiama al passato, voce che ha sempre più scarsa udienza in un mondo più affascinato dal nuovo anziché dall'auten­tico.

Ma si tratta anche di una dichiarazione che lascia uno spazio davvero troppo esiguo all 'elemento diakonia. La predicazione del­l 'Evangelo per quanto fondamentale e prioritaria è davvero l 'uni­co servizio che la chiesa è chiamata a compiere in favore dell'uma­nità. Viene da chiedersi se il ministero di Gesù Cristo che "salva e guarisce" sia stato compreso nella sua armoniosa ottica globale di salvezza completa per l 'uomo intero e sia stato correttamente inte­so e mantenuto. Una concezione come quella espressa nella dichia­razione di Francoforte non può efficacemente evitare il pericolo di cadere nell'antica dicotomia materiale/spirituale. Errore questo sempre carico di gravi pericoli e foriero di aberranti reazioni . Un maggior equilibrio sarebbe stato forse auspicabile. Magari una ri­flessione più coraggiosa su questo aspetto avrebbe potuto favorire ·

oltre al pentimento altrui, anche una propria autocritica unita ad un proprio pentimento. E questo avrebbe certamente migliorato la cre­dibilità e l 'efficacia della dichiarazione proprio nei confronti di quanti, a questo invito al pentimento, sarebbero tentati a non voler prestare ascolto.

WHEATON

Leggendo le due dichiarazioni in rapida successione, s'avverte be­ne che tredici anni non sono trascorsi invano. Diversi elementi so­no cambiati, un tratto di cammino è stato percorso, alcuni ostacoli sembrano superati, nuovi problemi sono affrontati con rinnovato spirito costruttivo ed indispensabile dose di realismo. Ma cambia­mento non significa necessariamente opposizione. E tra le due di­chiarazioni si deve intendere un proseguimento, un 'avanzata, pur con le necessarie correzioni che la navigazione comporta, piutto­sto che un cambiamento di rotta.

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Lo stile è certamente mutato, ma se la dichiarazione di Whea­ton abbandona in modo abbastanza netto il taglio dogmatico di Francoforte, ne conserva tuttavia inalterati i principi ispiratori. I va­ri "no" con tutto il loro nitido richiamo al passato sono stemperati in un discorso assai più propositivo che cerca di tradurli realistica­mente in proposte concrete. E pur tuttavia, viene costantemente evi­tato il rischio di tradirli. E, finalmente è superato il grande scoglio Evangelo/azione sociale che costituisce il grosso limite di Franco­forte. Ma anche qui con il preciso intento di conservare priorità e "distinguo" per non incorrere in possibili cadute nei limiti opposti. Dunque elementi di continuità e progressione, resi possibili da al­cuni fattori che sicuramente ·hanno influenzato, se non proprio de­terminato, la dichiarazione di Wheaton.

Il primo fattore da tenere presente è il Congresso internaziona­le di Losanna per l' evangelizzazione del mondo ( 1974). Con la sua dichiarazione, Losanna rappresenta la cerniera e forse anche la chiave di lettura che consente di capire meglio il cammino percor­so dalle chiese evangeliche in questi ultimi anni. Le differenzy di stile, di contenuto e di prospettive fra le due dichiarazioni, sono in­fatti inevitabilmente mediate e provocate proprio da Losanna che rinuncia alla sola impostazione in difesa del passato per avventu­rarsi verso una nuova comprensione del mandato missionario. Es­sa ha inoltre il coraggio di una onesta confessione di peccato e d ' in­dicare in modo quasi profetico nuovi orizzonti e nuovi cammini.

II secondo fattore è costituito dali ' abba.ndono della polemica con il Consiglio Ecumenico. La caduta di tono e d'importanza di questa polemica denota un passaggio significativo. Dall'elemento "distinguo" e "dissenso" si passa ali ' elemento "dichiarativo" e "pro­positivo" che presuppone la scelta di un impegno diretto e respon­sabile con tutti i rischi e le conseguenze relative. E questo dimostra la presa di coscienza delle proprie responsabilità e del proprio ruo­lo che non può più limitarsi al solo mondo delle dichiarazioni, ma deve spingersi alla concreta attuazione dei propri proponimenti.

II terzo fattore è l' ingresso delle chiese del terzo mondo. Una tale presenza, già significativa· a Losanna, si avverte ancora mag-

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giormente nella dichiarazione di Wheaton ed induce a riflessione. Le chiese del mondo occidentale si avviano a perdere la loro stori­ca leadership con tutte le relative conseguenze. E le chiese del ter­zo mondo stanno finalmente crescendo con identità loro propria provocando un rapido cambiamento di tutta l 'immagine del mon­do evangelico. Ma da queste chiese viene anche un fermo invito al­le chiese occidentali perché esse cambino il loro stile di vita e rive­dano i loro modelli di comportamento. Una critica ed un invito sa­lutari per le chiese occidentali che, forse inconsapevolmente, stan­no facendo di Laodicea il loro modello di chiesa preferito.

Rispetto a Francoforte a Wheaton l 'obiettivo è dunque stato spostato più avanti. Superato infatti il grosso ostacolo evange­lo/azione sociale, grazie anche alla coraggiosa dichiarazione di Lo- · sanna, occorre andare oltre ed affrontare l ' importante problema po­sto dal controverso rapporto chiese/società missionarie. Si tratta cioè di ridefinire la natura, il ruolo ed i limiti delle società missio­narie le quali pur agendo inizialmente per conto delle chiese nel la­voro pioneristico della missione, sono poi di fatto divenute realtà autonome dalle chiese e, non di rado, addirittura opposte ad esse. Ristabilire fra loro un corretto rapporto è dunque quanto si propo­ne la dichiarazione di Wheaton.

La vocazione della chiesa alla missione Nell 'identificare la missione della chiesa come continuazione e prolungamento di quella di Gesù Cristo ( 1 , 1 ) , la dichiarazione for­nisce il modello ed il proprio presupposto di partenza. Diventa per­ciò particolarmente significativa la scelta del testo di Luca 4, 1 8-20 al posto del testo assai più classico di Matteo 28, 1 8-20. Poiché dun­que la missione di Cristo è salvezza che trasforma non solo l 'uomo intero (anima e corpo), ma anche le sue relazioni familiari e socia­li (2,3) , la vocazione della chiesa non potrà limitarsi ad un sempli­ce annuncio disincarnato ma dovrà svolgere un indispensabile ruolo di servizio in mezzo alla gente. Evangelizzazione e diakonia, pur nei loro ruoli distinti, saranno perciò ministeri strettamente col­legati ed entrambi necessari perché la buona notizia sia manifesta-

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ta nella pienezza di tutti i suoi aspetti. In questo contesto la dichiarazione "apre" alle società missio­

narie ( 1 ,4 e 2,8 in particolare) cominciando ad identificarne per sommi capì il compito (lavoro pìonerìstìco nei paesi lontani), ma anche i limiti (è la chiesa a dover indicare luoghi ed obiettivi). 1

Relazione chiesa - società missionarie Dovrebbe essere questo, almeno negli intenti della dichiarazione, il punto di maggior interesse. Infatti viene definita in questa sezio­ne la natura della chiesa, quella delle società missionarie e le loro reciproche relazioni.

Le affermazioni iniziali infatti (3, 1 ;3 ,2) sembrano ricche di in­teressanti prospettive in particolare quando si afferma che la chie­sa è il "corpo totale" di tutti i credenti. Un 'espressione dalla quale ci sembra di capire che, in questo contesto, la chiesa è la sola pos­sibile realtà conosciuta e consentita dal Nuovo Testamento. Difat­ti, prosegue la dichiarazione, le società missionarie sono semplice­mente un "braccio" della chiesa (3,2). Ovvero semplici strumenti e strutture che, all 'interno del "corpo chiesa", sono utili per lo svol­gimento di determinati incarichi. Mai esse potranno sostituirsi alla chiesa o comunque vivere in modo indipendente da essa. Una tale possibilità e tentazione viene infatti esplicitamente condannata (3,4).

Eppure queste dichiarazioni, apparentemente così chiare e de­finitive, non sembrano produrre le conseguenze sperate. Infatti, quasi a compensare un eccessivo sbilanciamento a favore della cen­tralità della chiesa, si afferma subito dopo che in fondo le società missionarie sono anche "compagne" che lavorano "a fianco" della chiesa nell'opera di Dio, (3, 3 ). E su questo repentino passaggio, pri­vo peraltro di ogni supporto esplicativo, si fonderà tutto il succes­sivo lavoro della dichiarazione. Per questo nuovo "status" delle so­cietà missionarie viste come compagne dì viaggio della Chiesa oc­correrà veramente tutta una "nuova ecclesiologia" che ne fornisaa la necessaria giustificazione, ma intanto il problema del rapporto chiesa-missioni, non essendo risolto sul piano degli elementi bibli-

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ci ( ' 'sola ecclesia" ! ) rimarrà forzatamente aperto alle varie soluzio­ni dì tipo dialettico e pragmatico con tutti i loro limiti e le relative contraddizioni.

E una palese contraddizione emerge subito quando, dopo aver ricordato la dipendenza delle società missionarie nei confronti del­le chiese (3,9), si legge che in fondo queste società potranno lavo­rare in una determinata zona anche contro il parere della chiesa lo­cale i vi esistente! (3, 1 1 ) . Poco importa se accanto vi è l 'invito a cer­care intese preventive e tentativi di collaborazione quando poi, in mancanza di alternative si lascia alla società missionaria la libertà di agire "motu proprio"!

Dunque, dalle dichiarazioni iniziali, che restano però prive di una autentica applicazione, l 'interesse sì sposta piuttosto sulle so­cietà missionarie e sui vari elementi che permettano loro un suffi­ciente grado di "funzionamento" :internazionalizzazione (3,6), coo­perazione (3,7), allontanamento dalla cultura occidentale (3,8). La chiesa, in definitiva, viene rimossa dal centro della dichiarazione ed appare piuttosto come una di quelle figure onorifiche così utili al successo della rappresentazione in virtù del loro carisma, ma co­sì prive di autorità nelle decisioni essenziali prese dietro il sipario.

I destinatari della missione Su questo soggetto la dichiarazione sembra muoversi con una �er­ta difficoltà lasciando presumere un lavoro a più mani che rendo­no tutto il paragrafo frammentare e poco lineare. Tuttavia il senso emerge in modo sufficientemente chiaro: maggiore rispetto per le diverse culture con cui entra in contatto il lavoro pionieristico del­la missione nelle varie latitudini del mondo. E chiara appare anche la motivazione: una reazione più che giustificata per l 'azione a vol­te cosciente, più spesso involontaria, con cui viene fatta "passare" insieme all 'annuncio dell 'Evangelo una certa cultura occidentale. Capiamo bene questa reazione, ma dobbiamo anche essere coscien­ti dei limiti che essa comporta. Il rischio è dì cadere, ali ' opposto, in un Evangelo aculturale, neutro, che finisca poi per "subire" la cultura ambiente. Così, per un possibile e malinteso senso del ri-

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spetto e del valore di ogni cult�ra, pos�iam? s�ivol_are in un pe�­

coloso sincretismo che sempre, m quesu casi, giace m aggu�to. Ri� pensando ai momenti più significativi della storia della Chiesa, CI rendiamo piuttosto conto del valore dell 'Evangelo nella sua capa­cità di rinnovare e riorientare tutta una cultura con le benefiche con­seguenze che questo ha comportato. Certame�te il pr?blema è più ampio e deborda assai i limiti di una dichiaraziOne cm, �omunque, va il merito della proposizione a beneficio di una maggiOre ed au­spicabile riflessione.

Risorse e preparazione Due interessanti paragrafi sono dedicati alle risor�e. necess�� per il lavoro pionieristico e la preparazione degli uormm alla rmss10ne. Accanto ad elementi propositi vi d'indubbia utilità, emergono �cu­ne critiche reali e giustificate dali 'attuale divario di riso:se .dispo­nibili fra le varie zone del mondo. E' dunque un fermo mvito alle chiese più ricche affinché essa tengano in debito conto �a loro re­sponsabilità di amministrare le abbondanti risorse che �Io mette a loro disposizione. Ma anche un richiamo, altrettanto valido, �le va­rie agenzie missionarie perché rivedano le loro. metodologte nel�a ricerca di risorse ed il loro dannoso, a volte persmo esasperato, spi­rito di competizione.

Eppure, nonostante la complessiva utilità di t�tta que�ta s�m­ma di indicazioni, resta, ancora inappagato, un antico dubbio. SI ha cioè, l ' impressione che le chiese rappresentino semplicemente un grande serbatoio cui le varie agenzie missionarie sarebbero auto­rizzate ad attingere tutte quelle risorse necessarie a far "funziona­re" il proprio ingranaggio. Ma se in fondo, t�tto q��sto è anche comprensibile, lo è assai meno una strana parucol�t.a.

Da un lato cioè, le chiese sono espressamente nchlamate.ad as­sumersi le responsabilità di offrire tutte le risorse ne.c��sme, fD.a dall'altro nulla è detto sulle loro altrettante responsabihta nel ven­ficarne il corretto impiego. Quasi che le chiese debbano firmare cambiali in bianco di cui altri potranno disporre in modo auto��­mo. Ma una saggia amministrazione (perché tale è la responsabili-

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tà delle chiese) presuppone non solo una corretta erogazione delle risorse ma anche un altrettanto efficace controllo. Che le missioni non se ne rendano pienamente conto può anche essere giustificato, ma che le chiese facciano altrettanto sembra colpa assai più grave.

Conclusioni La diversità delle motivazioni in gioco e la varietà degli elementi rappresentati, non poteva certamente garantire buona omogeneità alla dichiarazione. Tuttavia occorre apprezzare lo sforzo di recipro­ca comprensione che, pur rappresentando ne anche il limite, ha per­messo una dichiarazione abbastanza equilibrata e sufficentemente propositiva. Eppure, come già abbiamo evidenziato, il problema del rapporto chiese/missioni non sembra adeguatamente affronta­to e quindi risolto.

La centralità della chiesa, dichiarata a più riprese, è sovente smentita dalle priorità accordate alle preoccupazioni emergenti del­le società missionarie. Non sempre i ruoli sono chiaramente defi­niti e in questa situazione è piuttosto la missione ad imporre la prio­rità dei propri. Nonostante l 'enfasi di determinate affermazioni,, la realtà sembra indicare una chiesa al servizio delle missioni piutto­sto che il contrario.

E tuttavia, questo quadro della realtà potrebbe costituire un ef­ficace richiamo proprio alle chiese che di questa situazione sono forse le maggiori responsabili. Perché nel passato, anziché assu­mersi le responsabilità di loro spettanza, hanno preferito delegare ad altri il lavoro pionieristico dell 'evangelizzazione con le conse­guenze che oggi tutti conosciamo. E dunque la dichiarazione di Wheaton potrebbe rappresentare un invito a riconsiderare il pro­prio ruolo e le proprie colpe. E questo, insieme agli elementi criti­ci nei confronti della chiese e delle missioni occidentali, potrebbe costituire l_a vera peculiarità della dichiarazione.

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DICHIARAZIONE DI FRANCOFORTE: 1 970°

"Guai a me se non evangelizzo! " (l Cor 9, 16)

La chiesa di Cristo ha il sacro privilegio e un irrevocabile obbligo di partecipare alla missione del Dio uno e trino. Tale missione de­ve estendersi a tutto il mondo. Coll 'espandersi della chiesa, il nv­me di Dio sarà glorificato fra tutte le genti, l 'umanità sarà salvata dalla sua ira a venire e sarà guidata ad una novità di vita, la signo­ria del suo figliuolo Gesù Cristo sarà stabilita nell'attesa della sua seconda venUta.

In questo modo il cristianesimo ha sempre inteso il grande man­dato di Cristo benché, dobbiamo confessarlo, non sempre con lo stesso grado di fedeltà e di chiarezza. Il riconoscimento del compi­to e dell 'assoluto obbligo missionario della chiesa condusse al ten­tativo delle chiese protestanti tedesche di assumere direttamente la responsabilità delle missioni. I l Consiglio ecumenico delle chiese fece lo stesso e nel 1961 costituì la Commissione e Dipartimento della Missione e dell'evangelizzazione mondiale ("Commission and Division ofWorld Mission and Evangelism"). Scopo di questo organismo, secondo la sua stessa costituzione, è �i assicurare "l� proclamazione dell 'Evangelo di Cristo al mondo mtero, affi?ch.e tutti gli uomini credano in Lui e siano salvati" . E ' nostro convmci­mento che questa definizione rifletta la basilare preoccupazione

'Questa dichiarazione sull� crisi della missione cristiana è stata approvata dal "Convegno teo­

logico" tenutosi a Francoforte i1 4 marzo 1 970. Anche se sono passati già diversi anni, vale forse. la

pena rileggere questo documento fin qui mai tradotto in italiano. In vista dell'incontro �ra stato chte­

sto al Prof. Peter Beyerhaus di preparare un documento di discussione che divenne pm la base della

dichiarazione qui riportata. l! Prof. Beyerhaus è direttore dell'Istituto delle missioni dell'Universttà

di Tubinga nella Germania federale. Tra i firmatari del documento c'erano anche altn professon: W.

BO!d, H. Engelland, H. Frey, J. Heubach, A. Kimme, W. Kiinneth, O. Miche!, W. Mundle, H. Ror­

bach, G. Stiihlin, G. Vicedom, U. Wickert, J.W. Winterhager.

Dichiarazione di Francoforte : 1970 67

apostolica del Nuovo Testamento e riconduca alla comprensione del concetto di missione com'era concepito dai padri del movimen­to missionario evangelico.

Oggi però, le organizzazioni missionarie cristiane sono scosse da una grave crisi. L'opposizione esterna e l ' indebolimento della forza spirituale delle nostre chiese e società missionarie non ne so­no le sole cause. Ancor più pericoloso è il cambiamento d ' indiriz­zo dei loro compiti principali attraverso una insidiosa falsificazio­ne della loro ragion d'essere e dei loro scopi.

Profondamente preoccupati per questo decadimento interiore, ci sentiamo chiamati a dichiarare quanto segue:

Ci indirizziamo a tutti quei credenti che, per fede nella salvez­za in Gesù Cristo, sanno di essere responsabili della continuazione della sua opera di salvezza fra i popoli non cristiani.

Ci indirizziamo, inoltre, a coloro che guidano chiese e congre­gazioni e che sono coscienti della dimensione universale del loro mandato spirituale.

Ci indirizziamo, infine, a tutte le società missionarie ed alle lo­ro ramificazioni che, in armonia con la loro tradizione spirituale, sono particolarmente chiamate a promuovere i veri scopi dell 'atti­vità missionaria.

Con sincerità ed urgenza vi chiediamo di esaminare le seguen­ti tesi sulla base del loro fondamento biblico e verificare l 'accura­tezza di questa analisi dell 'attuale situazione riguardo agli erroij ed ai modi d'agire che sono in evidente aumento nelle chiese, nelle missioni e nel movimento ecumenico. Nel caso che concordiate, vi chiediamo di volerlo dichiarare con la vostra firma ed unirvi a noi nella vostra sfera d'influenza, pentiti e decisi ad applicare questi princìpi.

SETTE ELEMENTI FONDAMENTALI DELLA MISSIONE

l. "Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dun­que e fa te diventare miei discepoli gli uomini di tutte le nazio­ni, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito

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Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell 'età presente. " (M t 28 , 1 8-20)

Riconosciamo e dichiariamo: La missione cristiana scopre il suo fondamento, gli scopi, i com­

piti ed il contenuto del suo messaggio esclusivamente nel manda­to del Signor Gesù Cristo risorto e nella sua azione salvifica secon­do quanto testimoniato dagli apostoli e dal cristianesimo primitivo del Nuovo Testamento. La missione è radicata nella natura ste�sa del Vangelo.

Ci opponiamo perciò alla· tendenza attuale di definire la natura ed il compito della missione per mezzo d eli ' analisi politico-socia­le del nostro tempo e delle richieste del mondo non cristiano. Se­condo la testimonianza apostolica, il Vangelo è normativo e dato una volta per tutte. Neghiamo la tesi secondo cui il messaggio del Vangelo sarebbe già presente nelle persone prima che queste siano confrontate con esso. L'incontro sembrerebbe aggiungere solo nuo­vi aspetti all' applicazione del Vangelo. Ma l 'abbandono della Bib­bia come punto di riferimento primario, porta alla deformazione del concetto di missione e ad una confusione del suo compito con un'idea generalizzata di responsabilità verso il mondo.

2. "Così mi magnificherò e mi santificherò e mi farò conosce­re agli occhi di molte nazioni ed esse sapranno che io sono l 'E­terno. " (Ez 38 ,23) "Perciò, o Eterno, ti loderò fra le nazioni e salmeggerò al tuo nome." (Sal 1 8 ,49; Rm 1 5,9)

Riconosciamo e dichiariamo: n primo e supremo scopo della missione è la glorificazione del

nome dell 'unico Dio in tutto il mondo e la proclamazione della si­gnoria di Gesù Cristo suo Figliuolo.

Ci opponiamo perciò ali ' affermazione che la missione oggi non deve più essere tanto preoccupata di far conoscere Dio, quanto ma-

i'

Dichiarazione di Francoforte: 1970 69

nifestare un nuovo uomo ed estendere questa nuova umanità in tut­ti i campi sociali. L'umanizzazione non è lo scopo primario della missione. Essa è piuttosto una conseguenza della nostra nuova na­scita per mezzo dell' azione rédentrice di Dio in Cristo dentro di noi, oppure è un risultato indiretto della proclamazione del Vange- ·

lo che compie un'azione lievitatrice nel corso della storia del mon­do. Un'espansione dell 'interesse missionario rivolto solo verso l 'uomo e la sua società conduce all ' ateismo.

3. "E in nessun altro è la salvezza,-poiché non v'è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini per il quale ab­biano ad essere salvati. " (At 4, 1 2)

Riconosciamo e dichiariamo: La base, il contenuto e l 'autorità della nostra missione è Gesù

Cristo nostro Salvatore, vero Dio e vero uomo, come ce lo presen­ta la Bibbia nel suo mistero personale e nella sua azione redentri­ce. Scopo di questa nostra missione è di far conoscere a tutte le gen­ti, di qualunque condizione, il dono della sua salvezza.

Invitiamo dunque solennemente tutti i non cristiani, che appar­tengono a Dio sulla base della creazione, a credere in lui e ad esse­re battezzati nel suo nome, perché in lui solo c 'è la salvezza eterna loro promessa.

Ci opponiamo perciò al falso insegnamento (circolato nel mo­vimento ecumenico dalla terza Assemblea generale del Cee svolta­si a Nuova Delhi) che Cristo è così evidente in modo anonimo nel­le religioni del mondo, nei cambiamenti della storia e nelle rivolu­zioni, che l ' uomo può incentrarlo e trovare salvezza in lui senza il diretto annuncio del Vangelo.

Rigettiamo anche come non biblica la riduzione della persona e dell 'opera di Gesù Cristo alla sua umanità ed al suo esempio eti­co. Una simile idea abbandona la peculiarità di Cristo e del Vange- . lo in favore di un principio filantropico che si può anche trovare in altre religioni e ideologia.

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l .

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4. "Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. " (Gv 3 , 16) "Vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dlo. " (2 Cor 5,20)

Riconosciamo e dichiariamo: La missione è la testimonianza e la presentazione della salvez­

za eterna annunciata nel nome di Gesù Cristo dalla sua chiesa e da messaggeri pienamente autorizzati, per mezzo della predicazione, dei sacramenti e del servizio. Questa salvezza è dovuta al sacrifi­�io di Gesù Cristo sulla croce, compiuto una volta per sempre e per 11 genere umano.

Gli individui fanno propria questa salvezza mediante la procla­mazione che chiama ad una decisione, e per il battesimo che pone il credente nel servizio dell' amore. Come il credere porta, per il pentimento ed il battesimo, alla vita eterna, così l 'incredulità con­duce alla dannazione a caUsa della reiezione dell 'offerta della sal­vezza.

Ci opponiamo perciò ali 'idea universalistica che nella crocifis­sione e resurrezione di Gesù Cristo tutti gli uomini di tutti i tempi sono già nati di nuovo ed hanno già la pace con lui, indipendente­mente dalla loro conoscenza storica dell 'opera di salvezza di Dio e del credere in essa. Attraverso un tale equivoco il mandato d'e­vangelizzare perde la sua piena e autorevole potenza, come pure la sua urgenza. Per quel che riguarda il loro destino eterno, i non con­vertiti sono così cullati in un fatale senso di sicurezza.

5. "Ma voi siete una generazione eletta, un real sacerdozio, una gente santa, un popolo che Dio s 'è acquistato, affinché procla­miate le virtù di Colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla �ua meravigliosa luce." ( l Pt 2,9) "Non vi conformate a questo secolo. " (Rm 1 2,2)

Riconosciamo e dichiariamo:

,,

Dichiarazione di Francoforte: 1970 7 1

Il compito primario e visibile della missione è quello di radu­nare la comunità salvata e messianica d'in fra tutte le genti. L'an­nunzio missionario dovrebbe portare in ogni dove all 'istituzione della chiesa di Gesù Cristo che mostra una nuova realtà come sale e luce nel suo ambiente sociale. ,

Per mezzo del Vangelo e dei sacramenti, lo Spirito Santo dà ai membri della comunità una vita nuova ed eterna, una comunione spirituale gli uni con gli altri e con Dio che è presente e reale fra loro. Il compito della comunità, con la sua testimonianza, è d'av­viare i perduti - specialmente quelli che vivono fuori della comu­nità - ad un'adesione al corpo di Cristo. La chiesa presenta l 'Evan­gelo in modo convincente solo in quanto essa è questo tipo di co­munione.

Ci opponiamo perciò al punto di vista secondo cui la chiesa, co­munità di Cristo, è semplicemente una parte del mondo. Il contra­sto fra la chiesa ed il mondo non è semplicemente una distinzione in funzione della salvezza e della sua conoscenza, ma una differen­za di natura essenziale. Neghiamo che la chiesa non abbia altro van­taggio sul mondo che la sua conoscenza della pretesa salvezza ge­nerale di tutti gli uomini.

Ci opponiamo inoltre all ' interpretazione unilaterale della sal­vezza che mette in rilievo solo il mondo presente. Secondo questa teoria, chiesa e mondo condivideranno una riconciliazione futura del genere umano solo sul piano sociale. Ciò condurrebbe ali ' au­todistruzione della chiesa.

6. "Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo. " (Ef 2 , 12)

Riconosciamo e dichiariamo: L'offerta della salvezza in Cristo è, senza eccezione, diretta a

tutti gli uomini che non sono ancora legati a lui da una fede coscien­te. Gli aderenti alle religioni non cristiane ed alle ideologie umane

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possono ricevere questa salvezza solo partecipandovi in fede. De­vono prima liberarsi dai loro precedenti legami e dalle loro false speranze per poter essere ammessi per la fede ed il battesimo a far parte del corpo di Cristo. Anche Israele troverà la salvezza rivol­gendosi a Gesù Cristo.

Respingiamo perciò il falso insegnamento che anche le religio­ni non cristiane e le ideologie del mondo costituiscano delle vie di salvezza simili al credere in Cristo.

Rifiutiamo l 'idea che una "presenza cristiana" fra gli aderenti alle religioni del mondo ed il dialogare con loro alla pari, siano so­stituti della proclamazione del Vangelo che ha lo scopo di portarli alla conversione. Tali dialoghi servono semplicemente a stabilire buoni punti di contatto per ulteriori comunicazioni missionarie.

Rifiutiamo anche la pretesa delle religioni non cristiane di di­ventare sostituti della chiesa di Gesù Cristo, prendendone a presti­to idèe, speranze, processi sociali cristiani - separandoli dalla loro particolare relazione con la persona di Gesù. In realtà quest'idea sincretistica è anticristiana.

7. "E questo evangelo del Regno sarà predicato per tutto il mon­do, onde ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora ver­rà la fine. " (Mt 24, 14)

Riconosciamo e dichiariamo: La missione cristiana nel mondo è la decisiva e continua opera

salvatrice di Dio fra gli uomini nello spazio di tempo fra la resut­rezione e la seconda venuta di Gesù Cristo. Per mezzo della pro­clamazione del Vangelo, nuove nazioni e popoli saranno progres­sivamente chiamati a decidersi per o contro Cristo.

Quando tutti i popoli avranno udito testimoniare di lui e gli avranno risposto, il conflitto tra la chiesa di Gesù Cristo ed il mon­do, guidato dall 'anticristo, raggiungerà il suo apice. Allora Cristo stesso ritornerà e irromperà nel tempo, disarmando il potere demo­niaco di Satana e stabilendo il suo regno messianico, visibile ed il­limitato.

Dichiarazione di Francoforte: 1970 73

Rifiutiamo la teoria secondo cui l 'attesa escatologica del Nuo­vo Testamento sia stata falsata dal ritardo del ritorno di Cristo e vi si debba rinunciare. Nello stesso tempo rifiutiamo l 'entusiastica ed utopistica ideologia che sia sotto l ' influenza del Vangelo che attra­verso l 'opera anonima di Cristo nella storia, l 'umanità sarebbe già in movimento verso un periodo di pace e di giustizia generali ed alla fine, prima del ritorno di Cristo, si troverà unita sotto di lui in una grande comunità mondiale.

Rifiutiamo l ' identificazione della salvezza messianica col pro­gresso, lo sviluppo ed i cambiamenti sociali. La fatale conseguen­za di questa identificazione è che gli sforzi per contribuire allo svi­luppo dei popoli ed il coinvolgimento rivoluzionario nei luoghi di tensione della società, sono viste come forme contemporanee del­la missione cristiana. Una tale identificazione consegnerebbe la chiesa ai movimenti utopistici dei nostri tempi e la porterebbe a condividere il loro destino anticristiano.

Affermiamo tuttavia che tutte le chiese cristiane devono risolu­tamente difendere la giustizia e la pace e affermiamo che l' assisten­za ai paesi in "via di sviluppo" è un'opportuna realizzazione della legge divina che chiede clemenza e giustizia, e del comandamento di Gesù: "ama il prossimo tuo" .

In questo vediamo un importante complemento ed una verifica della missione. Affermiamo inoltre che, nella vita sociale, i frutti della conversione sono segni premonitori della pace messianica che sta per venire.

Ribadiamo comunque il fatto che, a differenza della eternamen­te valida riconciliazione con Dio per la fede nel Vangelo, tutte le nostre conquiste sociali ed i parziali successi politici sono limitati dall 'escatologico "non ancora" del Regno che viene e dal non an­cora annientato potere del peccato, della morte e del diavolo che è ancora il "principe di questo mondo" . Questo stabilisce la priorità del nostro servizio missionario e ci fa tendere ali ' aspettazione di Colui che promette: "ecco, io faccio nuove tutte le cose" (A p 2 1 ,5).

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DICHIARAZIONE DI WHEATON: 1 98 3 °

l. L A VOCAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA

1 . 1 II piano di salvezza di Dio per l 'umanità ha avuto la. sua rea­lizzazione nell' incarnazione nella morte e nella resurrez10ne del

' . . Signore Gesù Cristo. Nella sua qualità di com�nità del Cnsto nsor: to la chiesa ha ricevuto un mandato ben prec1so al quale non puo so

,ttrarsi: proclamare la salvezza dal peccato, dalla morte, �all 'op­

pre.ssione e dalla schiavitù. Anch 'essa, sull� orme. del suo �1g�o�e,

deve evangelizzare i poveri, proclamare la hberaz10ne. per l PD:gio­nieri, il recupero della vista per i ciechi e rimettere in hbertà gh op-pressi (Le 4, 1 8-20). . ,

1 .2 Il mandato del Figlio è consistito nell'esegmre la :olonta del Padre. Identico è il mandato della chiesa, resa capace di adem­pierlo per mezzo dell 'opera dello Spirito Santo. Un 'azion� missio­naria sia a livello locale che mondiale, non è qualcosa d1 facolta­tivo. Una chiesa che se ne disinte;es.si è un� c.hiesa. d� cui C�s�p è assente. Scopo fondamentale dell az10ne miss10nana e la glonflca-zione della trinità.

1 .3 La chiesa può svolgere il suo mandato missionari� s�lo per­ché Cristo l ' ha comprata col suo sangue. Diventando suoi discepo­li, siamo chiamati a seguirlo ovunque ci guidi ed a mostrare col no­stro servizio che egli regna sulle nostre vite per il bene del mondo.

1 .4 E ' il Signore che ha reso e rende la chiesa capace di svolge­re il suo mandato missionario. Il contributo delle società missiona­rie all 'espansione della chiesa nel mondo ha dato grandi risultati. In essi riconosciamo l 'opera di Dio. Il bisogno dell ' umani�à � tu�­tavia immenso. Dobbiamo confessare che ad esso ha contnbmto Il

on documento qui riportato è stato redatto in occasione della conferenza internazionale su

"La natura e la missione della Chiesa" che ha avuto luogo a Wheaton (Usa) nel 1 983 . Essa fu orga­

nizzata dall'Alleanza Evangelica Mondiale e vide la partecipazione di 1 40 delegati in rappresentan­

za di diverse miLioni, delle chiese del Terw Mondo, di istituti e facoltà teolog1che.

Dichiarazione di Wheaton: 1983 75

nostro stesso peccato e dobbiamo intercedere perché Dio sostenga la sua chiesa nella prosecuzione del compito affidatole.

2. LA MISSIONE DEL SIGNORE GESU' CRISTO

2. 1 L'umanità, creata a somiglianza di Dio, si è volontariamen­te allontanata da lui col peccato originale. Eloquenti testimonianze dell 'alienazione dell 'uomo dal Creatore, sono il suo stato di con­fusione interiore, i suoi contrasti ed i suoi abusi sulla natura. Non è assolutamente nelle facoltà dell 'uomo ripristinare la comunione con il Creatore, nè dar vita ad un'autentica comunione con i sùoi simili. Tutte le religioni e tutti i tentativi umanistici di realizzare la verità, la giustizia e l 'amore sono nondimeno eloquenti testimo­nianze di quanto ciò costituisca il bisogno più profondo dell'uomo. Dio ha pienamente provveduto a soddisfarlo.

La venuta del Salvatore che avrebbe sofferto per i peccati del­l 'umanità e sarebbe risorto per darle la vittoria sulla morte fu divi­namente rivelata, per mezzo dello Spirito Santo, ai profeti d'Israe­le.

2.2 Nella pienezza dei tempi, Gesù di Nazaret, adempì tali pro­fezie. Con la sua morte sostitutiva e con la sua resurrezione, egli aprì l ' unica via per la salvezza. Ora egli siede in cielo alla destra del Padre. Il suo insegnamento e quello dei suoi primi discepoli è molto chiaro: non esistono altre vie. Senza la fede in Lui, l 'uomo non può essere che alienato, perduto e sottoposto al giusto giudi­zio di Dio per i suoi peccati.

2.3 La vita ed il ministero sulla terra del Signore mettono in evi­denza che il suo messaggio di salvezza abbraccia tutti i settori del­la realtà umana e si estende alla natura. L'uomo viene trasformato nel corpo, nella mente, nello spirito, nei suoi rapporti con la comu­nità. Sulla terra creata viene totalmente annullato il dominio del male.

I vangeli mettono continuamente in evidenza l 'autorità del Si­gnore- sulle condizioni fisiche e spirituali dell 'uomo, sulle sue rela­zioni familiari e sociali, sulle sue tradizioni religiose, sulle struttu-

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re politiche, economiche e sociali ed infine su tutta la terra. 2.4 La chiesa deve far conoscere il suo Maestro in tutta la sua

verità, proclamare la sua compassione, presentarlo come l 'unica via verso la salvezza. Essa adempie a questo suo compito spintavi e resane capace dall 'amore del Salvatore, dalla verità della sua Pa­rola, dal potere dello Spirito Santo. Come Gesù, anche la chiesa de­ve vestirsi d'umiltà e porsi al servizio del mondo.

2.5 Il ministero di Gesù si è svolto in una grande varietà di mo­di ed ha riguardato l 'uomo nella sua interezza: è quindi erratQ in­trodurre nella sua azione o in quella della chiesa una dicotomia fra materiale e spirituale. Per ragioni di equilibrio e per stabilire le giu­ste priorità può tutt;;via essere opportuno distinguere fra evangeliz­zazione ed azione sociale.

2.6 Nel servizio della chiesa, evangelizzazione ed azione socia­le devono generalmente.procedere affiancate come è accaduto con Gesù. In particolari circostanze, tuttavia, in vista di particolari 1bi­sogni od esigenze, o per la presenza di restrizioni, è possibile che uno soltanto di questi compiti, per un certo periodo, venga portato avanti . Pur non riflettendo nella sua interezza il messaggi.o della salvezza, ùn ministerio di questo tipo è valido.

2.7 La priorità spetta all'evangelizzazione. Nel suo ambito rien­trano la proclamazione di Gesù Cristo nonché la fondazione ed il consolidamento delle chiese. Infatti essa riguarda la condizione eterna delle persone cui si rivolge. Inoltre, presupposto per ,un ' a­zione sociale, è la presenza di cristiani che camminino sulla via del discepolato. Ciò è pure il frutto dell 'evangelizzazione.

2.8 La chiesa non deve mai dimenticare che il suo Signore è ric­co di compassione per chi non ha mai udito il Vangelo della salvez­za. Ci sono ancora molti gruppi di persone che vivono "non aven­do speranza ed essendo senza Dio nel mondo" (Ef 2, 1 2) . I cristia­ni sono chiamati a fare discepoli in tutte le nazioni, senza trascura­re quelle più difficili da raggiungere.

2.9 La chiesa, se ha ben presente quanto grande sia la compas­sione del suo Signore per il bisogno umano in tutte le sue manife­stazioni, non può trascurare di rispondere a tutte le necessità indi-

Dichiarazione di Wheaton: 1983 77

viduali e collettive di carattere economico, sociale, medico, p"oliti­co, educativo.

La chiesa deve insegnare che i cristiani sono tenuti a dimostra­re misericordia e giustizia. I cristiani ricchi semplificheranno il lo­ro tenore di vita, apriranno le loro case, non saranno sordi al grido degli oppressi e dimostreranno giustizia ai poveri. Rientra nei com­piti della chiesa rivolgere, a quanti sono fuori da essa, messaggi profetici che denuncino il male ed incoraggino la giustizia, ed ela­borare adeguate ed efficaci strategie in questo campo.

2. 10 La chiesa ha il dovere di riconoscere i doni specifici dei suoi membri nel campo dell'evangelizzazione e della fondazione · di comunità locali ed in quello dell 'azione sociale. Alcuni dei suoi uomini più adatti a questo compito dovrebbero essere inviati a fon­dare chiese all ' interno di culture diverse. Quando essi manchino, la chiesa può delegare dei gruppi d'azione evangelistica o sociale. Chi lavora in questo campo deve essere sostenuto sia con la pre­ghiera che finanziariamente dalla chiesa. Nel suo programma d'in­segnamento, la chiesa deve tenere presente la necessità di prepara­re la totalità dei suoi membri al servizio specifico che ciascuno di essi è chiamato a svolgere nell 'ambito della missione affidata al corpo di Cristo, proprio come il Signore fece con i dodici .

2. 1 1 In questi anni assistiamo, nei paesi del Terzo Mondo, . ad un incremento demografico vertiginoso. E' vero: negli ultimi de­cenni la chiesa si è molto estesa, ma si sta estendendo anche quel­la parte della popolazione mondiale che ignora tutto sul Signore Gesù. In questa situazione la chiesa è chiamata ad intervenire con profonda compassione evangelizzando e fondando chiese fra i mol­ti gruppi non ancora raggiunti dal messaggio di Cristo.

3. I RAPPORTI CHIESA - MISSIONI

La natura della chiesa 3 . 1 La chiesa è un corpo formato dalla totalità dei credenti del

passato, del presente e del futuro. Inserita nel contesto storico, cre­sce e si sviluppa, tenendo alla sua speranza escatologica: essere pre-

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sentata a Cristo come la sposa pura, santa ed incontaminata. Essa è il corpo di Cristo in cui alla molteplicità delle parti e delle fun­zioni, alla presenza di tradizioni, culture e situazioni sociali assai dissimili, corrispondono una fondamentale unità ed uno scopo uni­co. L'unità della chiesa è basata su quella del Dio Trino e testimo­nia inequivocabilmente che Gesù Cristo è stato mandato dal Padre.

· 3 .2 La chiesa, la comunità dei santi, non si esaurisce quindi nel­la chiesa militante sulla terra, ma comprende anche la chiesa trion­fante nella gloria. Sulla terra essa è chiamata a molti compiti diffe­renti, cui può adempiere soltanto nell ' ambito della cultura in cui si trova ad agire. Deve pertanto assumere forme e strutture che abbia­no un reale impatto sul tempo e sul luogo della sua azione. Nello stabilire la comunità del regno, Gesù non volle distruggere, ma tra­sformare le istituzioni culturali di Israele.

La natura delle missioni cristiane 3.3 Le società missionarie non s' identificano con la chiesa, s?­

no piuttosto le sue braccia poste al servizio di Dio per l 'adempi­mento di determinati compiti. Esse hanno una funzione specifica cui deve corrispondere una specifica struttura. La loro esistenza non è contraria all ' insegnamento biblico, poiché gli scopi di Dio si rag­giungono con mezzi fra cui rientrano anche strutture adeguate. Per far penetrare il Vangelo al di tà di barriere culturali e geografiche sono state istituite, durante tutta la storia della chiesa, strutture spe­ciali con compiti missionari. Olesiologia dovrebbe riaffermare la necessità della presenza di società missionarie e della loro collabo­razione con la chiesa per il raggiungimento degli scopi di Dio.

3 .4 Le società missionarie devono soprattutto guardarsi da due rischi: sostituirsi alla chiesa, o usurpare il ruolo delle comunità che inviano e ricevono. Nè devono concepirsi in termini statici, negan­do la necessità di un loro continuo rinnovamento ed adeguamento, ciò in risposta all 'azione dello Spirito nel mondo ed in conformità alla Parola di Dio.

Non c'è nessun motivo per sostenere la necessità di strutture missionarie uniformi a livello mondiale. Le missioni sorte più re-

Dichiarazione di Wheaton: 1 983 79

centemente devono essere libere di strutturarsi in maniera adegua­ta al vino nuovo che sono chiamate a contenere, tenendo conto dei bisogni e delle culture locali. Anche quelle di più antica fondazio­ne trarrebbero vantaggio da una disponibilità al rinnovamento.

Nuovi modelli d'azione missionaria 3.5 L'azione dello Spirito di Dio nel mondo ha introdotto nel

regno grandi moltitudini di credenti. Sono così sorte nuove chiese da cui migliaia di missionari hanno raggiunto il Terzo Mondo. Ora quello stesso Spirito ci sfida a riconsiderare non solo le strutture missionarie, ma anche le forme dell 'impegno. Quale impatto ha quest' ultimo sulle culture cui si rivolge? E' una domanda di gran peso, soprattutto per le chiese di più recente formazione.

3.6 Alcune missioni operanti nel mondo occidentale hanno op­tato per l ' intemazionalizzazione delle loro strutture e per il reclu­tamento di missionari di nazionalità diverse. E' un fatto positivo. Un altro motivo di gioia è il continuo aumento delle missioni atti­ve nel Terzo Mondo. Sono allo studio modalità per allacciare rap­porti di reciproco aiuto fra questi due tipi di società missionarie, impegnate in settori diversi nell 'ottica dello stesso mandato.

3.7 Alcune forme di collaborazione sono già in atto con vantag­gi reciproci. Si auspicano una maggior diffusione di notizie in me­rito e l ' allargamento degli esperimenti di questi tipo (nel campo della formazione missionaria, nonché per quanto riguarda l 'asse­gnazione del personale, la suddivisione dei mezzi, la comunicazio-

· --ne delle esperienze e delle informazioni) . Le missioni giovani de­vono essere lasciate libere di imparare dai loro sbagli. Molti dei problemi che esse devono affrontare sono tuttavia già stati affron­tati da missioni di più antica fondazione, della cui esperienza de­vono essere edotte per aver la possibilità di avvalersene.

3 .8 L'espansione a livello mondiale di alcune ricche società missionarie occidentali ha causato non poche preoccupazioni negli ambienti cristiani del Terzo Mondo. Esse hanno infatti assorbito nelle loro strutture i migliori leaders locali bloccando lo sviluppo delle comunità indigene. Inoltre la soluzione che presentano ai pro-

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blemi umani prescinde completamente dai reali bisogni delle po­polazioni locali, basata com'è su una teologia di pura matrice oc­cidentale. Si aggiunga a ciò la tendenza a screditare la testimonian­za della chiesa locale. I responsabili di tali organizzazioni devono prendere atto delle preoccupazioni dei loro fratelli e delle loro so­relle in Cristo e mettere in discussione i loro modelli di comporta­mento.

Rapporti fra chiese e società missionarie 3.9 I frutti dell' attività missionaria non sono lasciati al caso. Es­

si costituiscono lo sviluppo logico e necessario dell 'opera svolta da Dio nel mondo attraverso i discepoli di Cristo. Le due realtà: vino nuovo ed otri nuovi - impeto dello Spirito e strutture atte a ricever­lo - non sono separabili. Le missioni sono tenute ad ascoltare la vo­ce della chiesa che le manda e di quella che le riceve. Quest 'ultima verrà coinvolta nelle decisioni sulle caratteristiche che dovrà assu­mere la missione locale, sulle qualità richieste per i missionari e parteciperà alla loro preparazione trimsculturale.

3 . 10 Un 'utile analogia si può trarre dal ministero dell 'apostolo Paolo. Non appena arrivava in una nuova città, Paolo entrava in contatto con la sinagoga locale, il luogo di culto del popolo di Dio. Solo dopo il rifiuto del suo messaggio e la sua stessa espulsione, egli si rivolgeva direttamente ai Gentili cui era stato specificata­mente mandato. Continuò tuttavia ad addolorarsi per l ' ostinatezza dei Giudei e ad incoraggiarli ad accettare Cristo.

3 . 1 1 Ci sembra che il comportamento di Paolo fornisca chiare direttive sui rapporti da instaurare fra società missionarie e chiese locali nei paesi di missione. Invece di ignorare la presenza di tali chiese, che costituiscono il popolo di Dio in un dato luogo, le mis­sioni dovrebbero fare il possibile, con perseveranza e pazienza, per convincerle a lasciar cadere ogni diffidenza nei loro confronti. Le strutture e le modalità d'azione di una nuova missione dovrebbéro venire stabilite di comune accordo. La soluzione ideale dovrebbe prevedere che personale e risorse venissero messi a disposizione da entrambe le parti. Solo di fronte ad un'opposizione ostinata da par-

Dichiarazione di Wheaton: 1983 8 1

te della chiesa locale, l a missione potrebbe sentirsi libera d'impe­gnarsi in un 'azione indipendente, pur continuando a cercare con sincerità delle possibilità di collaborazione.

4. LA MISSIONE DELLA CHIESA E' RIVOLTA A TUTTI I POPOLI

4. 1 Ma a chi è rivolta l 'azione missionaria? Dopo la creazione, Dio benedisse Adamo ed Eva ed ordinò loro di crescere e di mol­tiplicarsi (Gn 1 ,28). Genesi 10 mette in evidenza come l 'umanità, una in Adamo, si sia differenziata in una ricca varietà di nazioni. Tale varietà entro l 'unità non verrà meno neanche con la nuova creazione, quàndo una gran folla "di tutte le nazioni (ethnos), tribù (phule), popoli (laos) e lingue (glossa) " adorerà l 'Agnello (A p 7,9). Si tratta di una varietà che in sè è buona e voluta da Dio. Tuttavia il peccato ha gravemente inquinato i rapporti fra i vari gruppi (op­pressione, razzismo, guerre) . Ma Gesù Cristo, " la nostra pace" (Ef 2, 14) abbatte le mura di separazione fra i vari gruppi senza pregiu­dicare la loro identità culturale. D Vangelo è quindi anche una via che supera l 'imperialismo culturale, politico ed economico.

4.2 Un buon esempio di comunità alquanto composita e con dei conduttori di diversa provenienza etnica; animata dal desiderio di testimoniare al di là delle barriere culturali, ci viene fornito dalla chiesa di Antiochia. Dio se ne servì per abbattere le mura di sepa­razione e diffondere il Vangelo di Cristo.

4.3 La proclamazione del Vangelo a tutti i popoli della terra è stata nei propositi di Dio fin dali ' inizio della storia della redenzio­ne. "In te saranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12,3) dice la promessa fatta ad Abrahamo. Il tema, ripreso e sviluppato in tutto l ' AT, ha il suo culmine nei conti del Servo dell 'Eterno d 'I­saia: "Voglio far di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra" (Is 49,6). Gesù iniziò la sua predicazione rivelando che il regno era vicino ed invitando uomi­ni e donne, ebrei, samaritani e gentili ad entrarvi. Prima dell 'ascen­sione conferì agli undici il grande mandato, ripetuto in ognuno dei

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quattro vangeli in una forma o in un 'altra, di far discepoli fra tutti i popoli. All' inizio del suo secondo libro, Luca riprende il tema del­la testimonianza "fino all 'estremità della terra", anticipando così il motivo fondamentale degli Atti ed il programma della chiesa nel corso di tutta la storia.

4.4 Anche Paolo mette in evidenza che lo scopo della rivelazio­ne consiste nel rendere possibile a "tutte le nazioni" di credere in Dio ubbidendogli (Rm 1 6,26).

4.5 Pur costituendo ai nostri giorni un insieme con caratteristi­che di globalità, il mondo presenta notevolissime differenziazioni locali di cui le missioni cristiane devono necessariamente tenere conto. Esse possono essere,· per esempio, di carattere etnolinguisti­co, sociale, religioso, geografico, politico, culturale ed economico.

4.6 Il tentativo di giungere ad un'identificazione dei vari grup­pi etnici è stato assai utile alla chiesa. Infatti si è scoperto quanti di essi non siano ancora stati raggiunti dal Vangelo e d ' altra parte si sono messe a punto tattiche più precise per affrontare situazioni tanto differenziate. Occorre saper venire incontro sia ai bisogni de­gli abitanti delle fiorenti metropoli dei paesi ricchi, sia a quelli del-la popolazione analfabeta dei paesi del Terzo Mondo. l

4.7 La chiesa deve presentare il messaggio della salvezza in Cri­sto in modo da render lo comprensibile e da metteme in rilievo l ' im­portanza per "tutte le nazioni della terra". La constatazione di que­sta necessità non deve perpetuare lo spirito di casta o il razzismo, ma piuttosto promuovere riflessioni sulla ricca molteplicità delle culture umane.

4.8 Il condividere informazioni su metodi già sperimentati per una testimonianza efficace fra gruppi etnici diversi, sarà di grande aiuto alla chiesa a livello mondiale. Non è tuttavia possibile deli­neare una strategia rigida o una forma di testimonianza applicabi­le a tutte le situazioni. Occorre conoscere i problemi e le necessità dei settori cui ci si rivolge. La preghiera e lo studio della Bibbia aiuteranno a presentare Gesù Cristo e a mettere in rilievo tutta l 'im­portanza della sua opera in maniera spesso unica ed adeguata ad ogni ascoltatore.

Dichiarazione di Wheaton: 1983 83

S. UN COMPITO DELLA CHIESA: PROVVEDERE ALLE RISORSE PER LE MISSIONI DEL TERZO MONDO

5. 1 Dio ci ha dato nella sua Parola una guida adeguata sull 'uso delle risorse presenti nel mondo che egli ha creato. L' umanità non ne ha tenuto conto ed oggi deve affrontare crisi ricorrenti legate al­l' esaurimento delle risorse naturali.

5 .2 Le parole del Signore risorto devono essere ben presenti a chi si è posto al suo servizio: "Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque . . . " E' lui che fornisce alla sua chiesa tutte le risorse necessarie allo svolgimento del mandato. Queste non appartengono alla chiesa, ma a Colui che l 'ha acquistata col suo sangue. A noi la responsabilità di usar le secondo le sue direttive. E' necessario tenere ben presenti questi punti per non lasciarsi guida­re nelle scelte da priorità, pressioni ed ideologie extrabibliche.

5.3 Lo studio degli Atti degli apostoli mette inequivocabilmen­te in evidenza l ' importanza prioritaria delle risorse di carattere spi­rituale. Lo Spirito Santo "la risorsa assolutamente indispensabile alla chiesa " (Dr. Philip Teng) sprona i cristiani a testimoniare del loro Signore e dà loro le capacità necessarie.

La chiesa primitiva era perseverante "nell ' attendere all ' inse­gnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere" (At 2,42) . Guardando indietro alla storia della chiesa non si può fai-e a meno di notare che solo in presenza di una forte carica di energia spirituale, frutto di movimenti di rin­novamento basati su una rinnovata comprensione della Bibbia, si sono avuti forti impulsi all ' attività missionaria.

5 .4 Il fatto che il Signore Gesù abbia preparato i dodici per il suo servizio mette in evidenza che Dio affida ai membri del corpo di Cristo la responsabilità di essere suoi testimoni. Le nostre paro­le e le nostre azioni devono testimoniare di Cristo al mondo per cui egli morì, nella speranza che altri si volgano a seguir lo.

·

5 .4 La maggior parte di tali testimoni, nei paesi del Terzo Mon­do, viene fornita dai nuovi convertiti delle chiese locali, piene di energia spirituale. Vi sono ad ogni modo determinate categorie di

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persone che hanno particolari opportunità in questo campo (cristia­ni che si trasferiscono per ragioni di lavoro, cristiani impegnati " in un volontariato a termine e non soltanto cristiani impegnati a tem­po pieno nell 'attività missionaria) . E' estremamente importante che la chiesa riconosca l 'utilità di queste presenze sul posto per la te­stimonianza di Cristo.

5 .6 A livello mondiale la chiesa dispone di enormi risorse finan­ziarie, la cui distribuzione, però, non è certo uniforme. Chiese ric­che nel mondo occidentale e chiese povere nel Terzo Mondo; chie­se povere nei ghetti urbani e chiese ricche nei quartieri alti nelle metropoli dei paesi industrializzati; cristiani poveri e loro fratelli ricchi seduti a pochi metri di distanza nella stessa assemblea, ma anche missioni e missionari poveri accanto ad altri forniti di larghe disponibilità finanziarie. Spesso un ben costruito programma pub­blicitario ha maggiori effetti, per quanto riguarda la raccolta di fon­di, di un servizio missionario di effettivo valore. I cristiani sono di­sorientati di fronte alla grande quantità di richieste di sovvenzioni. E ' necessario che tutta la chiesa, a livello mondiale, rimetta in di­scussione gli aspetti etici del problema.

5 .7 La parabola dei talenti (Mt 25) riconosce che le risorse, nel nostro mondo, sono distribuite in maniera disuguale, ma invita la chiesa a dispensare fedelmente quelle che sono state affidate con tanta generosità. Inoltre, tenendo presenti l ' umiltà e la povertà vo­lontarie del Signore, i suoi seguaci sono chiamati ad un uso respon­sabile delle loro risorse. In 2 Corinzi 8,8- 1 5 l 'apostolo Paolo esor­ta chi ha dei beni a condividerli con chi non ne ha. In un mondo gravato da tanti terribili bisogni, sia spirituali che materiali, la chie­sa deve stabilire chiaramente le sue priorità e riconoscere la neces­sità del suo contributo finanziario.

5 .8 li recente sorgere di nuove missioni ad opera delle chiese del Terzo Mondo costituisce una sfida per la chiesa mondiale, pro­prio per quanto riguarda i finanziamenti. Spesso queste misfioni non hanno il permesso d'esportare valuta e non possono quindi in­viare collaboratori all 'estero. E ' necessario elaborare modelli di cooperazione in base ai quali i fondi necessari vengano messi a di-

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sposizione dalle chiese di altri paesi. 5 .9 Ringraziamo Dio per i recenti progressi scientifici che so­

no stati di grande aiuto all'umanità, soprattutto nel campo della me­dicina e delle comunicazioni. La chiesa deve interrogarsi critica­mente e stabilire direttive etiche sulle possibilità di impiego dei nuovi mezzi nel servizio di Cristo. La radio, per esempio, offre già buone possibilità per la presentazione del Vangelo in luoghi dove � diffi

_cile mantenere una presenza cristiana. Purtroppo l 'evange­

lizzaziOne attraverso i mass-media presenta un grande limite: la mancanza del contatto personale.

5 . 10 La chiesa ha oggi a disposizione vaste informazioni sul­l ' attività missionaria. E' necessario un coordinamento degli sforzi, ad evitare inutili duplicati e conseguenti competizioni. E' eviden­te, del resto, che situazioni politiche o differenze linguistiche e cul­turali possono rendere difficili gli scambi di missionari fra alcuni paesi e facilitarli invece fra altri. L'ultima parola in questo carnpo non deve tuttavia dipendere da considerazioni pragmatiche, ma dal­l 'etica del regno di Dio. Tutte le informazioni disponibili sulle ca­ratteristiche politiche, culturali e linguistiche devono essere rese accessibili alle chiese a livello mondiale, per consentire loro di pro­grammare e coordinare le loro attività missionarie.

5 . 1 1 La parabola dei talenti invita gli uomini, le chiese, le mis­sioni, ad un uso responsabile delle loro risorse. Le missioni che ri­f�utano la cooperazione e mantengono un atteggiamento competi­tivo non seguono questo invito.

6. UN COMPITO DELLA CHIESA: PREPARARE I MIS­SIONARI PER IL TERZO MONDO

6. 1 Dio insegna al suo popolo come vivere nel mondo che è suo. Gesù era chiamato Maestro e preparò i suoi discepoli a cammina­re sulle sue orme. Egli ha dato alla sua chiesa dei "dottori" (Ef 4, I l ) per preparar la al suo servizio. Chi è impegnato in quest'opera de­ve attenersi all 'esempio dato da Gesù con il suo insegnamento ai dodici.

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6.2 Nell ' insegnamento del Signore era fondamentale il suo rap­porto personale con ognuno dei discepoli. In un primo tempo essi imparavano dal suo esempio e dalle sue parole. In seguito il Mae­stro li_ metteva gradualmente ali ' opera, prima al suo fianco, poi af­fidando ad ognuno una parte del suo ministerio. Era un vero q pro­prio apprendistato. Quando infine lo Spirito Santo discese su loro, essi furono inviati col suo potere fino all 'estremità della terra per preparare a loro volta altri discepoli.

6.3 · Questo lavoro di formazione deve avvenire in stretto rap­porto con le chiese locali. Il suo fine è il raggiungimento, da parte del credente, di una condizione di maturità e della capacità di pre­parare a sua volta altri discepoli maturi. Chi è impegnato nella mis­sione deve possedere i requisiti che sono già stati dell 'apostolo Pao­lo.

6.4 Come Paolo desiderava conoscere "la potenza della sua re­surrezione e la comunione delle sue sofferenze" (Fil 3 , 10), il mis­sionario deve conoscere la potenza di Dio per scacciare il dominio di Satana.

Il missionario deve avere un pensiero saldamente fondato sul­la Bibbia ed essere in grado di trasmetterlo. Paolo incaricò infatti Timoteo di trasmettere quanto conosceva delle Scritture ad uomi­ni degni del ministerio.

. Il grande desiderio di Paolo era di presentare ogni uomo matu­ro in Cristo. n raggiungimento di tale maturità esige anche una pre­parazione atta a formare un carattere tenace, perseverante e ricco di dedizione a Cristo sia nei periodo di gioia che in quelli di prova. Paolo volle tener conto del contesto culturale dei suoi ascoltatori. Ad Atene citò poeti greci. n missionario lo deve imitare, se vuole che la sua presentazione del Vangelo venga recepita come un mes­saggio importante. Egli deve ad ogni modo evitare qualsiasi forma di sincretismo.

Paolo raccolse attorno a sè dei collaboratori. Il missionario de­ve acquisire la mentalità del servitore ed imparare a lavorare lin un gruppo, spesso formato da persone di assai varia provenienza so­cio-culturale.

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Paolo era in grado di mantenersi. In alcuni casi la preparazione al lavoro missionario dovrà includere una preparazione professio­nale .

6.5 Le iniziative per la preparazione dei missionari del Terzo Mondo chiamati a testimoniare in ambienti culturali diversi da quello d'origine dovrebbero essere sviluppate e potenziate. Sareb­be utile l ' istituzione di un 'organizzazione internazionale per lo scambio di esperienze e di modelli . Non solo i missionari "a tem­po pieno", ma tutti i membri del corpo di Cristo dovrebbero esse­re preparati al lavoro missionario. Molti di essi hanno grandi op­portunità di testimoniare di Cristo nell 'ambiente di lavoro, in loca­lità in cui mancano chiese cristiane. Occorre prevedere forme d' in­segnamento meno istituzionali, con un orientamento più pratico che accademico e meno costose. Le strutture attuali, di livello univer­sitario, sono sempre utili per la preparazione di pastori e di teolo­gi. Negli ultimo anni sono stati compiuti grandi progressi nei me­todi di preparazione transculturale e di sensibilìzzazione alle cul­ture diverse dei futuri missionari.

7. IL COMPITO MISSIONARIO

7 . l Il mandato della chiesa non è esaurito. L'incremento demo­grafico del Terzo Mondo e le gravi incertezze sul suo futuro eco­nomico la sfidano a rispondere con la stessa compassione con cui Cristo rispondeva ai bisogni delle folle.

7.2 Dio interviene nella storia. L'enorme sviluppo delle chiese del Terzo Mondo, il rinnovamento in atto in tante chiese occiden­tali, il ripensamento teologico di questi anni, dimostrano che Egli non abbandona la sua chiesa, ma se ne vuole servire.

7 .3 E' troppo poco per la chiesa venire incontro agli enormi bi­sogni umani. Essa deve in primo luogo proclamare la gloria del Dio vivente, spinta dall 'amore per Lui ed obbedendo agli ordini del Si­gnore Gesù. Ma non può farlo senza rimettere ordine nelle relazio­ni al suo interno. Non siamo chiamati a servire da soli, con spirito di indipendenza e di competizione, ma a ricercare nuove forme di

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collaborazione. Dobbiamo anche stabilire chiare priorità. Gli sfor­zi e le risorse devono essere concentrati soprattutto nell 'evangeliz­zazione di quei popoli che non hanno ancora avuto nessuna poksi­bilità di udire il Vangelo e di rispondervi.

7 .4 La luce è venuta nel mondo. Molte persone hanno creduto, ma ancor maggiore è il numero di quelle che vivono nelle tenebre della separazione da Dio e che hanno bisogno d'udire per credere. Dio ha promesso che chi crede in Gesù Cristo non morirà, ma avrà la vita eterna. "Come crederanno in Colui del quale non hanno udi­to parlare? E come udiranno se non v'è chi predichi? E come pre­dicheranno se non sono mandati? Siccome è scritto: quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano buone novelle ! " (Rm 10, 1 4-1 5) .

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ABBONAMENTi 1990 Ordinario :i. 1 6.000 - Sostenitore f. 25.000 - Estero f. 2n.ooo

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IL MANIFESTO DI MANILA: 1 989°

Chiamare tutta la chiesa a portare tutto il vange­lo a tutto il mondo

INTRODUZIONE

Nel luglio 197 4 si svolse a Losanna il congresso internazionale sul­l ' evangelizzazione del mondo che pubblicò il Patto di Losanna. Nel luglio 1989 più di 3000 persone, provenienti da circa 170 paesi, si sono incontrate a Manila per lo stesso scopo ed hanno pubblicato il Manifesto di Manila. Noi siamo riconoscenti per il benvenuto che abbiamo ricevuto dai nostri fratelli e sorelle delle Filippine.

Durante i 1 5 anni trascorsi fra i due congressi si sono svolte del­le piccole consultazioni su soggetti come: Vangelo e cultura, evan­gelizzazione e responsabilità sociale, uno stile di vita semplice, lo Spirito Santo e la conversione. Questi incontri con le loro relazioni hanno aiutato a sviluppare il pensiero del movimento di Losanna.

Un "manifesto" può essere considerato come una dichiarazio­ne pubblica di convinzioni, intenzioni e motivi. Il Manifesto di Ma­nila contiene i temi dei due congressi, Proclamare Cristo finché Egli viene e Chiamare tutta la chiesa a portare tutto il Vangelo a tutto il . mondo. La prima parte di questo manifesto è composto da una se­rie di ventuno affermazioni. La seconda parte elabora quest'ultime in dodici sezioni che, con il Patto di Losanna, sono raccomandate alle chiese per uno studio ed un impegno pratico.

'il Manifesto di Manila, pubblicato qui per la prima volta in italiano, è stato redatto in occa­sione del Congresso mondiale sull'evangelizzazione tenutosi appunto a Manila (Filippine) ne! luglio 1989. Tale Congresso faceva seguito a quello di Losanna del 1 974 che aveva redatto a suo tempo il "Patto di Losanna" (cfr Studi di teologia, 1 989, pp. 69-79).

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VENTUNO AFFERMAZIONI

l . Affermiamo la nostra adesione al Patto di Losanna come ba­se della nostra cooperazione al Movimento di Losanna.

2. Affermiamo che nelle Scritture dell'AT e del NT, Dio ci ha dato una rivelazione autorevole del suo carattere, della sua volon­tà, del significato dei suoi atti di redenzione e del suo mandato mis­sionario.

3. Affermiamo che l 'Evangelo è il messaggio immutabile di Dio per il nostro mondo e ci impegnamo a difenderlo, proclamar lo e vi­vedo.

4. Affermiamo che gli esseri umani, sebbene creati ad immagi­ne di Dio, sono peccatori colpevoli e perduti senza Cristo, e che questa verità è il necessario presupposto del l 'Evangelo.

5. Affermiamo che il Gesù della storia ed il Cristo della gloha sonò la stessa persona e che questo Gesù Cristo è assolutamente unico perché Egli solo è Dio incarnato, colui che ha portato i no­stri peccati; il vincitore sulla morte ed il giudice che viene.

6. Affermiamo che sulla croce Gesù Cristo si sostituì a noi per portare i nostri peccati e morire al nostro posto; e che solo per que­sta ragione Dio perdona gratuitamente quelli che sono portati al ravvedimento ed alla fede.

7. Affermiamo che altre religioni ed ideologie non sono sentie­ri alternativi a Dio e che la spiritualità umana, se non è redenta per mezzo di Cristo, non porta a Dio ma al giudizio, perché Cristo è la sola via.

8. Ci impegnamo a dimostrare l 'amore di Dio in modo visibile prendendoci cura di coloro che sono privati di giustizia, di dignità,

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di cibo e di u n ricovero.

9. Affermiamo che la proclamazione del Regno di Dio, regno di giustizia e di pace, richiede la denuncia di ogni ingiustizia ed op­pressione, sia personale che strutturale. Noi non ci sottrarremo da questa testimonianza profetica.

10 . Affermiamo che la testimonianza che lo Spirito Santo ren­de di Cristo è indispensabile per evangelizzare e che senza la sua opera divina non è possibile nè la nuova nascita, nè la nuova vita.

1 1 . Affermiamo che la battaglia spirituale richiede armi spiri­tuali, quindi dobbiamo sia predicare la Parola nella potenza dello ·

Spirito, sia pregare costantemente affinché possiamo essere vitto­riosi in Cristo sui principati e sulle potenze del male.

1 2. Affermiamo che Dio ha affidato alla chiesa nel suo insieme e ad ogni suo membro il compito di far conoscere Cristo a tutto il mondo. Noi desideriamo vedere ogni credente mobilitarsi e prepa­rarsi per questo compito.

13 . Affermiamo che noi che dichiariamo di essere membri del corpo di Cristo dobbiamo superare nella nostra comunione le bar­riere di razza, sesso e classe.

14. Affermiamo che i doni dello Spirito sono distribuiti a tutto il popolo di Dio, uomini e donne, e che la loro partecipazione nel­l 'evangelizzazione deve essere accolta per il bene comune.

15 . Affermiamo che noi che proclamiamo l 'Evangelo, dobbia­mo dimostrarlo con una vita di santità ed amore, diversamente la nostra testimonianza perde la sua credibilità.

16. Affermiamo che ogni chiesa cristiana deve rivolgersi verso l 'esterno al contesto sociale in cui vive, con una testimonian-

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za evangelistica ed un servizio compassionevole.

17 . Affermiamo l 'urgente bisogno per le chiese, le opere mis­sionarie e le altre organizzazioni cristiane, di cooperare nell ' evan­gelizzazione e nell 'azione sociale rifiutando le competizioni ed evi-tando le duplicazioni. 1

1 8. Affermiamo il nostro dovere di studiare la società in cui vi­viamo al fine di capirne le strutture, i valori e i bisogni, per poter ' quindi sviluppare un'appropriata strategia missionaria.

19 . Affermiamo che l 'evangelizzazione del mondo è urgente e che è possibile raggiungere quelle persone a cui il Vangelo non è stato ancora annunciato. Pertanto, durante quest'ultima decade del ventesimo secolo, c 'impegnarne a dare noi stessi a questi compiti con rinnovata determinazione.

20. Affermiamo la nostra solidarietà con quelli che soffrono a causa dell'Evangelo e vogliamo prepararci ad affrontare la stes­sa eventualità. Lavoreremo anche perché ci sia libertà politica e re­ligiosa ovunque.

· 2 1 . Affermiamo che Dio sta chiamando tutta la chiesa a porta­re tutto il Vangelo a tutto il mondo. Quindi ci impegnarne a procla­marlo fedelmente con urgenza e sacrificio finché Egli viene.

A. TUTTO IL VANGELO

Il Vangelo è la buona novella della salvezza di Dio dalle potenze del male, l 'instaurazione del suo Regno eterno e la sua ·vittoria fi­nale su ogni cosa che sfida il suo proposito. Nel suo amore Dio de­cise di attuare questo prima che il mondo avesse inizio e mandò ad effetto il suo piano di liberazione dal peccato, dalla morte e dal giu­dizio, attraverso la morte del nostro Signore Gesù Cristo. Cristo è colui che ci ha resi liberi e ci ha uniti nella comunione dei suoi re-

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denti.

l. La nostra condizione umana Noi siamo chiamati a predicare tutto il Vangelo e cioè l 'Evangelo biblico nella sua pienezza. Per fare questo dobbiamo capire perché gli esseri umani ne hanno bisogno.

Gli uomini e le donne hanno un valore ed una dignità intrinse­ca perché furono creati ad immagine di Dio per conoscerlo, amar­lo e servirlo. Ma per mezzo del peccato ogni parte della loro �ma­nità è stata distorta. Gli esseri umani sono diventati egocentrici, egoisti e ribelli, non amano Dio né il loro prossimo come dovreb­bero. Di conseguenza si sono alienati sia dal loro Creatore che dal resto della sua creazione. Questa è la causa basilare del dolore, del disorientamento e della solitudine di cui molta gente soffre oggi . Il peccato si manifesta frequentemente anche con un comportamen­to antisociale, con un violento sfruttamento degli altri e con l ' esau­rimento delle risorse della terra in cui Dio ha posto l 'uomo e la don­na come amministratori. L'umanità è colpevole, senza scusanti e sulla strada larga che porta alla distruzione.

Sebbene l 'immagine di Dio negli esseri umani sia stata corrot­ta, essi sono ancora capaci di mantenere rapporti affettuosi, di com­piere azioni nobili e della buona arte. Ma anche l ' impresa umana più bella è fatalmente macchiata e non può rendere nessuno adatto ad entrare nella presenza di Dio. Anche se uomini e donne restano esseri spirituali, le loro pratiche religiose e le loro tecniche di au­tocontrollo possono al massimo alleviare dei bisogni, ma non pos­sono rivelare le solenni realtà del peccato, della colpa e del giudi- . zio. Né la religione, né la giustizia umana, né i programmi socio­politici possono salvare le persone. Ogni tipo di auto-salvezza è im­possibile. Lasciati a se stessi gli esseri umani sono perduti per sem­pre.

Quindi noi ripudiamo i falsi vangeli che negano il peccato del­l 'uomo, il giudizio divino, la deità e l 'incarnazione di Gesù Cristo, la necessità della croce e della risurrezione. Rigettiamo anche i mezzi vangeli che minimizzano il peccato e confondono la grazia

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di Dio con gli sforzi umani. Confessiamo che noi stessi siamo qual­che volta superfiCiali riguardo ai contenuti dell'Evangelo. Ma ora, nella nostra evangelizzazione ci impegneremo a ricordare la dia­gnosi radicale di Dio e il suo altrettanto radicale rimedio.

2. La Buona Novella per oggi Noi gioiamo del fatto che l 'Iddio vivente non ci ha abbandonati nella nostra perdizione e disperazione. Nel suo amore Egli venne sino a noi in Cristo Gesù per salvarci e ricrearci. Pertanto la Buo­na Novella pone in evidenza la storicità della persona di Gesù che venne per proclamare il Regno di Dio e vivere una vita di umile servizio; egli morì per noi diventando peccato e maledizione al no­stro posto, e Dio mostrò la sua approvazione risuscitandolo dai morti. A quelli che si ravvedono e credono in Cristo, Dio concede una parte nella nuova creazione. Egli ci dà una nuova vita che in­clude il perdono dei nostri peccati e la potente presenza trasforma­trice del suo Spirito. Egli ci accoglie nella sua nuova comunità costituita da persone di ogni razza, nazione e cultura e ci promette che un giorno entreremo nel stio nuovo mondo in cui il male sarà abolito, la natura sarà redenta e dove Dio regnerà per sempre.

Questa Buona Novella deve essere proclamata con francheba ovunque sia possibile, in chiesa e nei luoghi pubblici, all 'aperto, attraverso la radio e ta televisione. Noi siamo in obbligo di farla co­noscere perché essa è la potenza di Dio per la salvezza. Nella no­stra predicazione noi dobbiamo dichiarare fedelmente la verità che Dio ha rivelato nella Bibbia e far sì che essa sia collegata con il no­stro proprio contesto. .. Affermiamo anche che l 'apologetica, cioè " la difesa e la con­

ferma dell 'Evangelo'' (Fil 1 ,7), è parte integrante della compren­sione biblica della missione ed essenziale per una testimonianza ef­ficace nel mondo moderno. Paolo "ragionò" con persone che non conoscevano la Scrittura con lo scopo di "persuaderli" alla verità dell 'Evangelo. Così dobbiamo fare anche noi . Infatti, tutti i creden­ti dovrebbero essere pronti a dare ragione della speranza che è in loro ( l Pt 3 ; 1 5) .

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Siamo stati nuovamente posti di fronte all 'Evangelo come la Buona Novella per i poveri così come viene sottolineato da Luca (Le 4, 1 8; 6,20; 7,22) e ci siamo chiesti cosa significhi questo per la maggioranza della popolazione mondiale che è indigente, soffe­rente o oppressa. Ci è stato ricordato che la legge, i profeti,i libri sapienziali, l ' insegnamento ed il ministerio di Gesù sottolineano l 'interesse di Dio per i bisognosi ed il nostro conseguente dovere di difenderli e curarli. La Scrittura si rivolge anche a coloro che so­no spiritualmente poveri che guardano solo a Dio per ottenere mi­sericordia. Il Vangelo come Buona Novella si rivolge ad entrambi.! poveri spirituali, in qualunque situazione economica si trovino, de­vono umiliarsi davanti a Dio per ricevere attraverso la fede il dono gratuito della salvezza. Non c'è nessuna altra via per entrare nel Regno di Dio. I bisognosi ed i deboli trovano inoltre una nuova di­gnità come figli di Dio e l 'amore di fratelli e sorelle che lotteranno con loro per la loro liberazione da tutto ciò che li umilia o li oppri­me.

Ci pentiamo di aver trascurato alcune verità della Parola di Dio e ci proponiamo sia di proclamarle che di difenderle. Ci pentiamo anche di essere stati indifferenti alla condizione dei poveri e di aver mostrato preferenza per i ricchi. Ci proponiamo di seguire Gesù predicando la Buona Novella a tutte le genti sia in parole che in opere.

3. L'unicità di Gesù Cristo Noi siamo chiamati a proclamare Cristo in un mondo sempre più pluralista dove si assiste alla rinascita di vecchie credenze e ad un aumento di nuove. Anche nel primo secolo c'erano "molti dii e mol­ti signori" ( l Cor 8,5). Ma gli apostoli affermarono con franchez­za l 'unicità, l ' indispensabilità e la centralità di Cristo. Noi dobbiamo fare lo stesso.

Poiché gli uomini e le donne sono stati fatti ad immagine di Dio e vedono nella creazione traccie del suo Creatore, le religioni che sono sorte possono contenere talvolta degli elementi di verità e bel­lezza. Tuttavia non sono dei vangeli alternativi. Poiché gli esseri

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umani sono peccatori e "il mondo intero è sotto il controllo del ma­ligno" ( l Gv 5, 19), anche le persone religiose hanno bisogno del­la redenzione di Cristo. Noi quindi non possiamo affermare che la salvezza può essere trovata al di fuori di Cristo o di una chiara ac­cettazione della sua opera attraverso la fede.

Talvolta si è ritenuto che in virtù del patto di Dio con Abramo, il popolo Ebreo non avesse bisogno di riconoscere Gesù come suo Messia. Noi affermiamo che questo popolo ha bisogno del Messia come qualunque altro. Sarebbe una forma di antisemitismo, come anche una disobbedienza a Cristo, allontanarsi dal modello del N. T. di portare il Vangelo " . . ai Giudei prima". Quindi noi rigettiamo la tesi secondo cui gli Ebrei, avendo il loro proprio patto, non hanno ,pisogno della fede in Gesù. ·

Quello che ci unisce sono le nostre comuni convinzioni su Cri­sto Gesù. Confessiamo Gesù Cristo come l 'eterno Figlio di Dio che divenne pienamente uomo pur rimanendo pienamente Dio; che fu il nostro sostituto sulla croce portando i nostri peccati e morendo al nostro posto scambiando la sua giustizia con la nostra ingiusti­zia; che risuscitò vittorioso con un corpo trasformato e che ritorne­rà in gloria per giudicare il mondo. Lui solo è il Figlio incarnato, il Salvatore, il Signore ed il Giudice, e lui solo, con il Padre e lo Spi­rito, è degno dell'adorazione, della fede e dell 'ubbidienza di tutte le genti. C'è un �o lo Vangelo perché c 'è un solo Cristo, il quale, a motivo della sua morte e risurrezione, è Egli stesso l 'unica via di salvezza. Per questo motivo rigettiamo sia ogni relativismo che considera tutte le religioni e le forme di spiritualità come approcci ugualmente validi per andare a Dio, sia il sincretismo che cerca di mescolare la fede in Cristo con altre fedi.

Inoltre, è nostro desiderio che tutti possano riconoscere Gesù poiché è per questo rriotivo che Dio lo ha esaltato nei luoghi altis­simi. Obbligati dali ' amore di Cristo, noi dobbiamo obbedire al grande mandato di Cristo ed amare le pecore perse. Siamo però spe­cialmente motivati dalla "gelosia" per il suo santo nome, e bramia­mo vedere Cristo ricevere l 'onore e la gloria che gli sono dovute. Nel passato siamo stati qualche volta colpevoli di aver adottato ver-

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so credenti di altre fedi degli atteggiamenti di ignoranza, arrogan­za, mancanza di rispetto ed anche ostilità. Ci pentiamo di questo. Nonostante ciò siamo determinati a portare una testimonianza po­sitiva e senza compromessi dell 'unicità della vita, morte e risurre- . zione del nostro Signore in tutti gli aspetti della nostra opera di evangelizzazione incluso il dialogo interconfessionale.

4. Il Vangelo e la responsabilità sociale Il Vangelo autentico deve diventare visibile nelle vite trasformate di uomini e donne. Mentre proclamiamo l 'amore di Dio dobbia­mo essere coinvolti in un servizio di amore, e mentre predichiamo il Regno di Dio dobbiamo adempiere le sue esigenze di giustizia e pace.

L'evangelizzazione è una cosa primaria perché la nostra prima preoccupazione è che tutte le genti possano avere l 'opportunità di accettare Gesù Cristo come Signore e Salvatore. Ma Gesù non so­lo proclamò il Regno di Dio, Egli palesò anche la sua venuta attra­verso opere potenti e misericordiose. Similmente noi siamo chia­mati oggi ad unire alle parole i fatti . Con uno spirito di umiltà dob­biamo predicare ed insegnare, curare gli ammalati , nutrire gli affa­mati, aiutare i prigionieri, i meno privilegiati e handicappati,. e li­berare gli oppressi. Mentre riconosciamo la diversità di doni 'spiri­tuali, di chiamata e di situazioni, affermiamo anche che la Buona Novella e le buone opere sono inseparabili.

La proclamazione del Regno di Dio richiede anche necessaria­mente la denuncia profetica di tutto ciò che è incompatibile con es­so. Fra i mali che noi deploriamo c'è la violenza nei suoi diversi aspetti : la violenza istituzionale, la corruzione politica, tutte le for­me di sfruttamento delle persone e del territorio, l 'indebolimento dell ' istituto familiare, la richiesta di aborto, il traffico della droga e l 'abuso dei diritti umani. Nel nostro interesse per i poveri siamo preoccupati dal peso dei debiti in due terzi del mondo ed anche of­fesi dalle condizioni inumane in cui vivono milioni di persone che come noi sono ad immagine di Dio.

Il nostro continuo impegno sociale non confonde il Regno di

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l Dio con la società cristianizzata. Piuttosto esso è il riconoscimen-to che il Vangelb biblico ha inevitabilmente delle implicazioni so­ciali. La vera missione dovrebbe sempre incarnarsi. E ' necessario entrare con umiltà nel mondo di altri popoli, identificarsi con le lo­ro realtà sociali, con i loro dolori e sofferenze, e con le loro lotte per la giustizia contro gli oppressori. Questo non potrà realizzarsi senza dei sacrifici personali.

Noi ci pentiamo perché la ristrettezza della nostra visione ci ha spesso impedito di proclamare la signoria di Gesù Cristo su ogni

· sfera della vita umana pubblica e privata, locale e mondiale. Ci im­pegnarne ad obbedire al suo mandato di "cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33).

B. TUTTA LA CHIESA

Tutto il Vangelo deve essere proclamato da tutta la chiesa per­ché tutto il popolo di Dio è chiamato a condividere il compito del­l 'evangelizzazione. Ma, senza lo Spirito di Dio, tutti gli sforzi sa­ranno infruttuosi.

, S. Dio l'evangelista La Scrittura dichiara che Dio stesso è il principale evangelista. Poi­ché lo Spirito di Dio è uno Spirito di verità, amore, santità e poten­za, l 'evangelizzazione è impossibile senza di esso. E' Lui che unge il messaggero, conferma la Parola, prepara gli ascoltatori, convin­ce il peccatore, illumina i ciechi,ci rende capaci di ravvederei e di credere, ci unisce al corpo di Cristo, ci assicura che siru:po figli di Dio, ci porta ad assumere un carattere e un servizio uguale a quel­lo di Cristo e ci manda per essere testimoni di Cristo. In tutto que­sto il principale compito dello Spirito Santo è di glorificare Gesù Cristo mostrandocelo e formandolo in noi.

Ogni evangelizzazione comporta una battaglia spirituale con i principati e le potenze del male, in cui solo le armi spirituali pos­sono prevalere, speCialmente la Parola e lo Spirito accompagnati dalla preghiera. Esortiamo quindi ogni credente ad essere diligen-

Studi di teologia II ( 1990) 89-1 1 1 99

te nelle sue preghiere sia per un rinnovamento della chiesa che per l 'evangelizzazione del mondo.

Ogni vera conversione implica uno scontro di poteri in cui vie­ne dimostrata la suprema autorità di Gesù. Non c'è miracolo più grande di quello in cui il credente è liberato dalla schiavitù di Sa­tana e del peccato, della paura e della vanità, delle tenebre e della morte.

Sebbene i miracoli di Gesù furono speciali, infatti erano segni della sua messianicità e anticipazioni del suo Regno perfetto quan­do tutto il creato gli sarà soggetto, noi oggi non abbiamo nessuna libertà di porre dei limiti alla potenza di Dio. Rigettiamo sia lo w�t­ticismo che nega i miracoli sia la presunzione che li pretende. Ri­gettiamo inoltre quella paura che si sottrae al pieno controllo dello Spirito, come anche quel senso di trionfalismo estraneo alla debo­lezza che è la sola condizione in cui la potenza di Cristo si dimo­stra perfetta.

Ci pentiamo di tutti quei tentativi in cui abbiamo creduto di po­ter evangelizzare con le nostre sole forze o di poter imporre condi­zioni allo Spirito Santo. Ci impegnarne nel futuro a non "rattrista­re" o " spegnere" lo Spirito, ma piuttosto a cercare di spandere la Buona Novella "con potenza, con lo Spirito Santo e con gran pie­nezza di convinzione" ( ! Tess 1 ,5) .

6. I testimoni umani . Dio l 'evangelista dà al suo popolo il privilegio di essere suoi "col­laboratori" (2 Cor 6, 1 ). Sebbene noi non possiamo testimoniare senza di Lui, Egli normalmente sceglie di testimoniare attraverso di noi. Dio chiama solo alcuni ad essere evangelisti, missionari o pastori, ma chiama tutta la chiesa ed ogni membro di essa ad esse­re suoi testimoni.

Il compito privilegiato dei pastori ed insegnanti è di guidare il popolo (laos) di Dio alla maturità (Col l ,28) ed equipaggiarlo per il ministerio (Ef 4, 1 1 -1 2) . I pastori non devono monopolizzare i mi­nisteri ma piuttosto moltiplicarli incoraggiando altri all 'uso dei lo­ro doni ed ammaestrando i discepoli a fare altri discepoli. Il domi-

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100 Il Manifesto di Mani/a: 1989

nio del clero sui laici è stato un grande male nella storia della chie­sa. Esso ruba ai laici ed al clero quei ruoli che Dio intendeva dare loro, causa il collasso per il clero, indebolisce la chiesa ed ostaco­la l 'espansione dell 'Evangelo. Ma più di tutto questo , esso è fon­damentalmente non biblico. Noi quindi che per secoli abbiamo in­sistito sul "sacerdozio di tutti i credenti" dobbiamo anche adesso

' insistere sul ministerio di tutti i credenti. Con gratitudine riconosciamo che i bambini ed i giovani arric­

chiscono l 'adorazione della chiesa e ci incoraggiano attraverso il loro entusiasmo e la loro fede. E ' necessario ammaestrarli e disce­polarli nell'evangelizzazione, affinché possano testimoniare di Cri­sto alla loro generazione. ·

Dio ha creato sia gli uomini che le donne a sua immagine (Gen 1 ,26-27) e in Cristo li accetta entrambi senza differenze (Gal 3,28), ed ha sparso il suo Spirito su ogni carne, sui figlioli e sulle figlio­le (A t 2, 17 - 1 8) . Inoltre, poiché lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni alle donne come agli uomini, bisogna che esse abbiano1 delle opportunità per esercitare i loro doni. Ricordiamo con gioia la lo­ro valida testimonianza nella storia delle missioni e siamo convin­ti che Dio ancora oggi chiama le donne ad avere simili ruoli. Seb­bene nOn siamo pienamente d'accordo sul tipo di guida che devo­no avere, concordiamo però sulla loro partecipazione nell ' evange­lizzazione del mondo che Dio ha affidato a uomini e donne. Quin­di entrambi devono ricevere un' adeguata preparazione.

La testimonianza dei laici, siano essi uomini o donne, si svolge non solo attraverso la chiesa locale (cf sez.8), ma anche attraverso rapporti di amicizia, in casa e al posto di lavoro. Anche i senza ca­

l sa ed i disoccupati possono essere dei validi testimoni. La nostra prima responsabilità è di testimoniare a coloro che so­

no già nostri amici, parenti, vicini e colleghi. L'evangelizzazione in casa dovrebbe essere una cosa naturale sia per le coppie che per i singoli. Una famiglia cristiana non solo dovrebbe vivere secondo le esigenze di Dio in campi come quello del matrimonio, del sesso e della famiglia e creare un'oasi di amore e pace per le persone fe­rite, ma mettere anche in condizione i vicini, che abitualmente non

Studi di teologia II (1990) 89- 1 1 1 101

entrerepbero in chiesa, di sentirsi a loro agio in una casa anche quando si parla dell'Evangelo.

Un altro luogo per la testimonianza è il posto di lavoro perché è qui che molti credenti passano la maggior parte della loro gior­nata e perché il lavoro è una chiamata divina. Essi possono essere una buona testimonianza per Cristo attraverso le parole della loro bocca, con un operato coerente, onesto e attento, attraverso la loro sete di giustizia sul posto di lavoro e specialmente se dalla qualità del loro lavoro quotidiano traspare che questo è fatto per la gloria di Dio.

Confessiamo di aver sbagliato quando abbiamo scoraggiato il servizio dei laici, specialmente delle donne e dei giovani. Ci impe- · gnamo nel futuro a incoraggiare tutti i credenti a prendere giusta­mente e naturalmente il loro posto come Suoi testimoni.Poiché la vera evangelizzazione deve partire da un cuore traboccante di m;no­re per Cristo, essa è un compito che riguarda tutto il popolo di Dio senza eccezioni.

7. L'integrità dei testimoni Niente porta più credibilità all 'Evangelo che una vita trasformata, e niente lo discredita tanto quanto una vita incoerente. Noi ·siamo tenuti a comportarci in maniera degna dell'Evangelo di Cristo, "adornandolo" e valorizzando la sua bellezza attraverso vite sante. Il mondo ci guarda, e cerca giustamente degli elementi per prova­re le affermazioni che i discepoli di Cristo fanno intorno a Lui. Una chiara prova sarà la nostra integrità.

Il nostro annuncio che Cristo morì per condurci a Dio fa appel­lo a persone che sono spiritualmente assetate, ma esse non ci cre­deranno se noi per primi non daremo una chiara dimostrazione di aver conosciuto l 'Iddio vivente o se la nostra adorazione manche­rà di realtà e di concretezza.

n nostro messaggio che Cristo riconcilia persone separate suo­nerà vero solo se si vedrà che ci amiamo e ci perdoniamo a vicen­da, che serviamo gli altri con umiltà, che ci adoperiamo con una reale passione e con sacrificio per le persone bisognose che sono

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al di fuori della comunità. La sfid� che rivolgiamo agli altri di rinnegare sè stessi, prende­

re la propna croce e segJJire Cristo, sarà credibile solo se noi sare­mo chiaramente morti ad. ambizioni egoiste, alla disonestà e alla cupidigia, vivendo una vita semplice con allegrezza e genero�ità.

Deploriamo i fallimenti di un Cristianesimo incoerente che ve­di�mo si� nei. �redenti c.he nelle chiese: l 'avidità materiale, l ' orgo­glio e la nvahta professionale, la competizione nel servizio cristia­no, le gelosie delle guide più giovani, il paternalismo missionario, la . �an�anza di una mutua responsabilità, la perdita di standards cnsnam nel campo sessuale, e la discriminazione razziale, sociale e sessuale. Tutto questo è mondanità che consente alla cultura do­�inan�e �i sovvertire la chiesa non permettendo invece a quest'ul­tima di sfidare e cambiare la cultura. Ci vergognamo profondamen­te delle volte in cui, sia come individui che come chiesa, abbiamo proclamato Cristo con le parole e lo abbiamo rinnegato con i fatti. L' incoerenza priva la nostra testimonianza di credibilità. Ricono­s�ia�o 9-uin�� le nostre continue lotte e fallimenti. Ma, per la gra­zia di D10, CI Impegneremo per la nostra integrità e per quella del­la chiesa.

8. La chiesa locale Ogni chiesa cristiana è un 'espressione locale del corpo di Cristo ed ha le stesse responsabilità. Essa è un "sacerdozio santo" che offre a Dio dei sacrifici spirituali di adorazione, ed una "nazione santa" che testimoniando proclama all'esterno le sue virtù ( l Pt 2,5-9). La chies� quindi è una comunità che adora e testimonia, riunita e spar­sa, chiamata e mandata. L'adorazione e la testimonianza sono in­separabili .

. Credia�o che la chiesa locale ha la responsabilità primaria di diffondere Il Vangelo. La Scrittura ci mostra ciò nella progressio­ne tra le espressioni il "nostro Evangelo che venne a voi" e poi "da voi h� echeggiato" ( l Tess 1 ,5-8) . In questo modo, l 'Evangelo drea la �hiesa che a sua volta propaga l 'Evangelo, il quale crea ancora chiese. Tutto questo in una continua reazione a catena. Inoltre quel-

l . !

Studi di teologia II ( 1990) 89-1 1 1 103

-. .. .

lo che la Scrittura insegna la strategia conferma. Ogni chiesa loca­le deve evangelizzare la zona in cui è situata ed ha le risorse per farlo.

Allo scopo di sviluppare strategie missionarie appropriate, rac­comandiamo ogni chiesa di avere studi regolari non solo per i pro­pri membri di chiesa, ma anche per le persone del luogo secondo le loro peculiarità. I membri della chiesa potrebbero decidere di or­ganizzare delle visite nella propria area per fare entrare Cristo in quei particolari luoghi dove le persone si radunano; organizzare una serie di incontri evangelistici, seminari o concerti; lavorare con i poveri per trasformare un 'area depressa o stabilire una nuova chie­sa in un quartiere o paese vicino. Nello stesso tempo essi non de­vono dimenticare l 'impegno primario cui sono chiamati. Una chie­sa che invia missionari non deve trascurare la sua zona ed una chie­sa che evangelizza il suo vicinato non deve ignorare il resto del mondo.

In questo senso ogni chiesa o denominazione, dove è possibi­le, dovrebbe lavorare con altri, cercando di cambiare ogni spirito di competizione in uno di cooperazione. Le chiese dovrebbero an­che lavorare con organizzazioni paraecclesiali, specialmente nel- . l 'evangelizzazione, nel discepolato e nei servizi comunitari . perché tali organizzazioni fanno parte del corpo di Cristo e dispongono di persone esperte e competenti di cui la chiesa può grandemente be­neficiare.

Dio ha voluto che la chiesa fosse un segno del suo Regno cioè un ' indicazione di come può essere una comunità umana quando es­sa si sottopone al suo governo di giustizia e pace. Il Vangelo per es­sere proclamato in modo efficace deve essere pienamente vissuto · sia dai singoli individui che dalle chiese. E' attraverso il nostro amo­re gli uni per gli altri che oggi l ' invisibile Dio rivela se stesso ( l Gv 4 , 12), specialmente quando l a nostra comunione è espressa in piccoli gruppi e quando essa supera le barriere di razza, rango, ses­so ed età che invece dividono altre comunità.

Siamo profondamente rammaricati che molte delle nostre chie­se sono chiuse in loro stesse, organizzate più per sopravvivere che

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per essere missionarie, o preoccupate solo delle attività di routine a spese della testimonianza. Noi ci sforzeremo a riorientare le no­stre chiese perché possano impegnarsi in una continua testimonian­za, affinché il Signore aggiunga ogni giorno ad esse quelli che so­no sulla via della salvezza (At 2,47) .

9. Cooperazione nell 'evangelizzazione ·

Nel N.T. l 'evangelizzazione e l 'unità sono strettamente connesse. Gesù pregò che l 'unità del suo popolo potesse riflettere la sua uni­tà con il Padre, affinché il mondo potesse credere in Lui (Gv 17,20-2 1 ) . Paolo esortò i Filippesi a "combattere insieme con un medesimo animo per la fed€ nell 'Evangelo" (Fil 1 ,27) . In contra­sto con questa visione biblica, noi ci vergognamo dei sospetti e del­le rivalità, del dogmatismo su cose non essenziali, dello spirito di contesa e di dominio che distrugge la nostra testimonianza. Affer­miamo che la cooperazione nell 'evangelizzazione è indispensabi­le. Primo perché essa è nella volontà di Dio, poi perché il Vangelo della riconciliazione è screditato dalla nostra disunione ed infine perché, se vogliamo che l 'impegno dell 'evangelizzazione del mon­do possa essere adempiuto, dobbiamo essere insieme impegnati in esso.

"Cooperazione" significa trovare l 'unità nella diversità. Essa implica che persone di diversi temperamenti, doni, chiamate e cul­tura, di diverse chiese nazionali e missioni, di diverse età e se�so lavorino insieme.

Ci siamo impegnati a dimenticare una volta e per sempre la sem­plicistica distinzione (minaccia questa del passato coloniale) fra il mondo ricco che manda ed i restanti due terzi che ricevono.

Uno dei grandi avvenimenti del nostro tempo è l ' intemaziona­lizzazione delle missioni. Infatti non solo una larga maggioranza di tutti i cristiani evangelici non è occidentale, ma ben presto il nu­mero dei missionari del Terzo Mondo supererà quello dell ' occiden­te. Crediamo che gruppi di missionari formati da persone di diver­sa provenienza, ma uniti dalla stessa convinzione, costituiscono un'enorme testimonianza della grazia di Dio.

Studi di teologia II ( 1990) 89-1 1 1 105

Il nostro riferimento a "tutta la chiesa" non pretende di afferma­re che la chiesa universale e la comunità evangelica sono sinoni­me. Riconosciamo che ci sono molte chiese che non fanno parte del movimento evangelico. Le posizioni degli evangelici nei con­fronti della chiesa Cattolica Romana e di quella Ortodossa differi­scono ampiamente. Alcuni evangelici pregano, discutono, studia­no la Scrittura e lavorano con queste chiese. Altri si oppongono for­temente ad ogni forma di dialogo o cooperazione con esse. Tutii gli evangelici sono consapevoli che rimangono comunque serie diffe­renze teologiche. Ma dove è possibile e purché la verità biblica non sia compromessa, la cooperazione può attuarsi in campi come la traduzione della Bibbia, lo studio su temi di etica e di teologia con­temporanea, il lavoro sociale e l 'azione politica. Desideriamo co­munque essere chiari sul fatto che l 'evangelizzazione comune ri­chiede un comune impegno all 'Evangelo biblico.

Alcuni di noi sono membri di chiese che appartengono al Con­cilio Ecumenico delle Chiese (Cee) e credono che una positiva ma critica partecipazione al lavoro del Concilio è un nostro dovere cri­stiano. Altri fra di noi non hanno nessun legame con il Cee. Ma tut­ti noi incoraggiamo il Cee ad adottare una comprensione dell ' evan­gelizzazione che abbia una coerenza biblica.

Confessiamo la nostra parte di responsabilità nella frammenta­rietà del corpo di Cristo e riteniamo che essa sia il maggior ostaco­lo nell 'evangelizzazione del mondo. Ci impegnamo quindi ad an­dare avanti nel cercare quell' unità nella verità per la quale Cristo pregò. Noi siamo persuasi che la strada giusta per una stretta coo­perazione con tutti quelli che condividono questa nostra preoccu­pazione passi attraverso un dialogo paziente e sincero basato sulla Bibbia. A questo fine noi ci impegnamo con gioia.

C. TUTTO IL MONDO

Tutto il Vangelo è stato affidato a tutta la chiesa affinché esso possa essere fatto conoscere a tutto il mondo. In questo senso è ne­cessario capire il mondo a cui siamo stati mandati.

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10. n mondo moderno L'evangelizzazione avviene in un preciso contesto non nel vuoto. L'equilibrio fra il Vangelo ed il contesto deve essere mantenuto con cura. E ' necessario capire il contesto per poterei indirizzare ad es­so, ma ciò non deve portarci a distorcere il Vangelo. . Per questo motivo noi ci siamo preoccupati di studiare gli ef­fetti della "modernità". Essa è una cultura emergente nel mondo provocata dall 'industrializzazione con la sua tecnologia e dall 'ur­banizzazione con il suo ordine economico. Questi fattori messi in­sieme creano un modello che condiziona in modo significativo la nostra visione del mondo. Inoltre, il secolarismo ha distrutto la fe­de rendendo insignificante -ogni idea di Dio e del sovrannaturale; l 'urbanizzazione ha disumanizzato la vita di molti ed i mass media hanno contribuito alla svalutazione del concetto di verità ed Juto­rità, sostituendo alla parola l 'immagine. Queste conseguenze della modernità pervertono il messaggio che molti predicano e insidia­no la motivazione missionaria.

Nel 1 900 solo il 9% della popolazione mondiale viveva nelle città;nel 2000 tale percentuale supererà il 50%. Questo spostamen­to mondiale verso le città è stato definito "la più grande emigrazio­ne della storia umana", esso costituisce una delle maggiori sfide al­la missione cristiana. Da un lato la popolazione nelle città è estre­mamente cosmopolita: le varie nazioni diventano vicine di casa. Siamo in grado di creare chiese internazionali in cui il Vangelo ren­da visibile l ' abolizione di ogni barriera etnica? D'altro lato molti abitanti delle città ricettivi al Vangelo sono poveri emigranti. E ' possibile convincere i l popolo di Dio a stabilirsi in queste zone ur­bane dove ci sono comunità povere per servire queste persone e partecipare alla trasformazione della città?

La modernizzazione ha portato non solo dei progressi ma an­che dei pericoli. Creando legami commerciali e di comunicazione attorno al globo, essa ha portato aperture per il Vangelo senza pre­cedenti. Ha attraversato vecchie frontiere ed è penetrata in società chiuse sia tradizionali che totalitarie. I mass media cristiani hanno avuto una parte rilevante nel seminare il Vangelo e nel preparare il

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terreno. Entro l 'anno 2000, le maggiori trasmissioni radiofoniche missionarie si impegneranno a trasmettere il Vangelo in tutte le maggiori lingue.

Confessiamo di non esserci impegnati come avremmo dovuto per capire il fenomeno della modernizzazione. Abbiamo usato i suoi metodi e le sue tecniche in un modo non critico, esponendoci quindi alla mondanità. Ci impegnamo nel futuro ad affrontare se­riamente queste sfide ed opportunità, a resistere alle pressioni di se- · colarizzazione della modernità, ad applicare la signoria di Cristo a tutta la cultura moderna, e quindi ad impegnarci senza mondanità come suoi testimoni nel mondo moderno.

11. La sfida del 2000 ed oltre La popolazione mondiale si avvia verso i sei miliardi. Un terzo di essa ha confessato Cristo solo nominalmente, dei rimanenti quat­tro miliardi solo una metà ha sentito parlare di Lui . Alla luce di que­sti dati, possiamo valutare il nostro impegno evangelistico considerando quattro categorie di persone: la prima, composta da persone consacrate, è una potenziale forza lavoro missionaria. In questo secolo questa categoria di credenti è passata dai circa 40 mi­lioni del 1 900 ai circa 500 milioni di oggi e rispetto ad altri gruppi essa sta crescendo in modo più rapido.

La seconda è composta da persone non impegnate che hanno fatto professione di fede (sono state battezzate, frequentano occa­sionalmente le riunioni e dichiarano di essere cristiane), ma non hanno alcuna nozione di un personale impegno per Cristo. Queste persone si possono trovare in ogni chiesa in qualunque parte del mondo ed hanno un urgente bisogno di essere rievangelizzate.

La terza categoria è composta da persone non evangelizzate. Queste sono persone che pur avendo una minima conoscenza del­l 'Evangelo non hanno avuto una valida opportunità per dare una reale risposta. Probabilmente è gente che può essere raggiunta dai credenti, solo se quest'ultimi si muovessero per andare nelle stra­de o nei paesi vicini a visitarli.

La quarta, infine, è composta da persone non ancora raggiun�.

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te. Esistono oggi due miliardi di persone che non hanno mai senti­to parlare di Gesù come Salvatore e non hanno tra loro credent!i in­digeni. Ci sono infatti circa 2000 popoli o nazionalità che non han­no ancora una chiesa indigena. Troviamo di grande aiuto conside­rare questi popoli suddivisi in "gruppi" più piccoli e con caratteri­stiche comuni (es. cultura, lingua, luogo, occupazione). I messag­geri più efficaci per raggiunger li saranno quei credenti che già ap­partengono alla stessa cultura e conoscono la loro lingua. Altrimen­ti sarà necessario che missionari di diversa cultura lascino il loro paese e la loro cultura per identificarsi con le persone che deside­rano portare a Cristo.

All'interno di questi 2000 popoli più grandi ci sono oggi circa 1 2000 di questi gruppi non ancora raggiunti, il nostro compito quin­di non è impossibile. Ma al presente solo il 7% di tutti i missiona­ri sono impegnati verso questi gruppi, mentre il rimanente 93% sta lavorando nell 'altra metà del mondo già evangelizzata. Per riaggiu­stare questo squilibrio è necessaria una strategia di reimpiego del personale missionario.

Un fattore preoccupante che caratterizza tutte le categorie so­pra citate è l 'inaccessibilità. Molti paesi non concedono permessi ai missionari intesi in senso classico, cioè che non hanno altri tito­li o contributi da offrire. Tuttavia questi paesi non sono del tutto inaccessibili. Le nostre preghiere possono penetrare ogni cortina, porta e barriera. Anche la radio, la televisione, audio e video cas­sette, films e letteratura cristiani possono raggiungere ciò che sa­rebbe altrimenti irraggiungibile. Questa possibilità è anche alla por­tata dei cosiddetti "fabbricanti di tende" che come Paolo, lavoran­do si guadagnano da vivere. Essi viaggiano per motivi di lavoro (es. uo�n.i � 'affari, docenti uni�er�itari, tecnici specializzati e� in­segnanti d1 hngue) e possono qumd1 usare ogni opportunità per par­lare di Cristo. Non sono costretti ad entrare in un paese con falsi pretesti e testimoniano ovunque si trovano, poiché testimoniare è una componente essenziale della vita cristiana.

Ci vergognamo profondamente perché sono passati circa due millenni dalla morte e risurrezione di Cristo e due terzi della popo-

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!azione mondiale non lo hanno ancora riconosciuto. D'altro lato siamo stupiti dell 'evidente presenza della potenza di Dio anche nei posti più insperati del nostro globo.

Per molti oggi l 'anno 2000 è diventato un appuntamento im­portante. Vogliamo impegnarci ad evangelizzare il mondo durante l 'ultima decade di questo millennio? Questa data non ha niente di magico, ma non dovremmo fare del nostro meglio per raggiunge­re questo traguardo? Cristo ci ha comandato di portare il Vangelo a tutti i popoli. Questo compito è urgente. Noi abbiamo deciso di ubbidirgli con gioia e speranza.

12. Situazioni difficili Gesù disse chiaramente ai suoi seguaci di aspettarsi delle opposi­zioni. "Se essi hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi" (Gv 1 5,20). Inoltre disse che dovevano gioire nelle persecuzioni (Mt 5 , 12) e ricordò loro che il non portare frutto era una condizio­ne di morte (Gv 1 2,24).

Queste predizioni che riguardano la sofferenza del cristiano so­no allo stesso tempo inevitabili e feconde. Si sono rivelate vere in ogni epoca inclusa la nostra. Ci sono state molte migliaia di marti­ri, e oggi la situazione non è molto diversa. Speriamo ardentemen­te che la glasnost e laperestroika possano portare in Unione Sovie­tica e nei paesi dell 'Est una completa libertà religiosa e che i pae­si islamici e induisti diventino più aperti al Vangelo. Deploriamo la recente brutale soppressione del movimento democratico cinese e preghiamo che essa non porti ulteriori sofferenze per i credenti. Comunque in generale ci sembra che le antiche religioni stiano di­ventando meno tolleranti, gli esiliati meno accolti ed il mondo me­no favorevole all 'Evangelo.

In questa situazione desideriamo dire tre cose ai governi che stanno riconsiderando il loro atteggiamento verso i cristiani.

In primo luogo, i cristiani sono cittadini leali che cercano il be­ne della loro nazione. Essi pregano per i loro governanti e pagano le tasse. Naturalmente coloro che hanno confessato Gesù come Si­gnore non possono considerare le altre autorità allo stesso livello,

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e se è imposto loro di farlo, o di fare qualunque cosa che Dio vie­ta, essi devono disobbedire. Ma sono cittadini coscienziosi che con­tribuiscono al benessere attraverso la stabilità matrimoniale e quel­la delle loro case con l 'onestà negli affari, con un lavoro diligente e con attività di volontariato verso gli handicappati ed i bisognosi. I governi giusti non hanno niente da temere dai cristiani.

In secondo luogo, i cristiani rinunciano a metodi di evangeliz­zazione indegni. Anche se la natura della nostra fede richiede il con­dividere il Vangelo con altri, noi svolgiamo questo compito in mo­do aperto ed onesto, lasciando colui che ascolta, interamente libe­ro di decidere per conto suo. Desideriamo essere rispettosi verso coloro che hanno una fede diversa dalla nostra e rigettiamo quindi . ogni approccio che cerca di forzare la loro conversione.

In terzo luogo, i cristiani desiderano ardentemente la libertà re­ligiosa per tutti, non solo per loro stessi. Nei paesi in prevalenza cristiani, i credenti sono in prima linea nel sostenere coloro che chiedono la libertà per le minoranze religiose. Nei paesi prevalen­temente. non cristiani, essi chiedono, non solo per loro ma anche per gli altri,la libertà di "professare, praticare e divulgare" la pro­pria fede, così come è affermato nella Dichiarazione universale dei diritti dell' uomo. Questa libertà potrebbe e dovrebbe essere un di­ritto garantito reciprocamente.

Ci rammarichiamocprofondamente di ogni riprovevole testimo­nianza di cui i seguaci di Cristo si sono resi colpevoli. Ci impegna­ma in ogni cosa a non offendere nessuno affinché il nome di Cri­sto non venga disonorato. Comunque non possiamo evitare lo scan­dalo della croce. Per amore di Cristo crocifisso, noi preghiamo che, per mezzo della sua grazia, possiamo essere pronti a soffrire ed an­che a morire. Il martirio è una forma di testimonianza che Cristo ha promesso di onorare in modo speciale.

CONCLUSIONE: PROCLAMARE CRISTO FINCHE' EGLI VENGA

"Proclamare Cristo finché Egli venga". Questo è stato il tema di

Studi di teologia TI ( 1990) 89-1 1 1 1 1 1

Losanna IL Naturalmente noi crediamo che Cristo è già venuto, Egli venne quando Augusto era imperatore di Roma. Ma un gior­no, come sappiamo dalle sue promesse, Egli verrà di nuovo con un inimmaginabile splendore, per la piena manifestazione del suo }.�.e­gno. Ci è stato comandato di vegliare ed essere pronti. Nel frattem­po, l ' intervallo di tempo fra le due sue venute dev 'essere colmato con l ' impegno missionario cristiano. Ci è stato detto di andare con l 'Evangelo fino ai confini della terra, con la promessa che la fine dell 'età presente verrà solo quando avremo adempiuto a questo compito. I due confini quindi (quello della terra e del tempo) coin­cideranno. Fino ad allora Egli si è impegnato ad essere con noi. ·

La missione cristiana è quindi un impegno urgente. Non sap­piamo quanto tempo abbiamo ancora, certamente non abbiamo tempo da perdere. Per andare avanti più speditamente con le nostre responsabilità, sono necessari alcuni presupposti, specialmente l 'u­nità (dobbiamo evangelizzare insieme) ed il sacrificio (dobbiamo calcolare ed accettare il costo). A Losanna il nostro Patto fu "di pre­gare, progettare e lavorare insieme per l 'evangelizzazione del mon­do intero". Il nostro Manifesto a Manila è quello di chiamare tutta la chiesa a portare tutto il Vangelo a tutto il mondo, proclamando Cristo finché egli venga, con tutta l 'urgenza, l 'unità e il sacrificio necessari.

(Trad. N. Ciniello)

GIORNATE TEOLOGICHE 1990 � "giornate teologiche" organizzate da Ifed avrarmo luogo a Padova il 28-29 settembre

ul tema "Lineamenti per una psicologia biblica". Per informazioni: IFED; C.P. 756; 35 100 PADOVA

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LA MISSIONE

IN ALCUNE OPERE RECENTI

Paul Fipch

Nessuno dei libri in esame1 è stato scritto con intenti letterari e sti­listici. Ne.w Frontiers in Mission è per esempio la raccolta delle re­lazioni presentate al CoJ?.gresso di Wheaton del 1 983 la cui dichiarazione è presentata in altra parte della rivista. Come tale ha un contenuto assai vario in quanto il Congresso ci furono interven­ti eterogenei. Anche Reaching the Unreached è un insieme di rela­zioni presentate ad un convegno tenuto al Westrninster Seminary nella primavera del 1983. Mentre il Congresso di Wheaton affron­tava la vecchia questione dei rapporti tra chiese indigene e missio­ni e quella più recente della collaborazione tra le missioni occidentali ed i missionari provenienti dal Terzo Mondo, quello di Westminster si concentrava soprattutto sulla necessità, per le mis­sioni, di specializzarsi per raggiungere "popoli nascosti" (un nuo­vo termine coniato ed usato soprattutto dal Center for Wordl Mission, Usa). Sent Free è una presentazione del concetto di mis­sione da un punto di vista teologico, ma nel suo contenuto segue le argomentazioni di diversi Congressi : Bangkok ( 1973), Lausanne ( 1974), Nairobi ( 1 975), Melbourne ( 1980), Edinburgo ( 1980), Wheaton ( 1983), Sinodo di Roma ( 1 974). Più che un testo con un

1Harvie M. Conn (ed.), Reaching the Unreached. The Old-New Challenge, Phillipsburg, Presb. and Ref. Pubi. Co. 1984, pp. 1 78;

E. Castro, Seni Free. Mission and Unity in the Perspective of the Kingdom, Grand Rapids, Eerdmans 1985, pp. 102;

C. René Padilla, ML!-sion between the Times, Grand Rapids, Eerdmans 1985, pp. 199; Patrick Sookhdeo (ed.), New Frontiers in MLI-sion, Exeter, Patemoster/Grand Rapids, Baker

Book 1987, pp. 190.

P.Finch, La miSsione in alcune opere recenti 1 1 3

preciso orientamento teologico, si �ratta .dunqu� d� un testo "con­gressuologico". Anche il volume d1 Pad1lla, Mlsswn betwee� the ·

Times è un insieme di nove relazioni che l 'A. ha presentato a diver­so congressi missionari, ma mentre i testi sopra c�tati tendono �d essere dei commenti sulle missioni, quello d1 Pad1lla fa trasparrre convinzioni personali molto precise. Egli ne parl� con dista�co, ma anche con passione, come pure da una compassiOne che s1 fonda su precise convinzioni teologiche. . . . Il volume che presenta più chiaramente i problerm od1em1 d�l­le missioni è senz'altro New Frontiers in Mission. Diverse relaziO­ni descrivono le difficoltà dei rapporti fra missioni e chiese indige­ne, delle chiese indigene tra loro, delle missioni tra loro, della t�n­denza delle missioni a comportarsi come grandi industrie espansio-nistiche, il problema del personale, ecc. . . . . Uno dei grandi problemi affrontati è quello de1 rmss10nan pr?� venienti dai paesi del Terzo Mondo. Fino a qualche anno fa tuttl l missionari provenivano dai paesi occidentali, mentre ora c_' è la t��­denza a partecipare ali' opera missionaria da parte par�e del p�es1 m via di sviluppo. A questo punto nascono dei problemi. Quest� pae� si devono fondare le loro proprie missioni, o si devono servrre d1 quelle già esistenti? Un missionario proveniente da un pa�se del Terzo Mondo può far parte di una missione del mondo occid�nta­le? Come deve avvenire ·il suo finanziamento? Il mondo occiden­tale deve sostenere economicamente i missionari del Terzo Mondo che vanno dove non possono andare gli occidentali? Gli interroga� tivi sono numerosi, come pure i problemi. Il volume presenta gli interventi del Congresso di Wheaton. I problemi sul tappeto sono però forse eccessivamente numerosi per permettere di delineare un filo biblico conduttore.

Reaching the Unreached, che presenta gli interver:ti del <;on­vegno di Westminster, tende a concentrarsi sul tema de1 popoli na­scosti. Le due lunghe relazioni di Winters, direttore del Cen�er for World Evangelism, presentano molto chiarament� la nuova Im�o­stazione che si sta affermando nel mondo evangelico. Essa fa com­cidere la terza epoca della storia delle missioni col presente.

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Secondo Winters, nelle due prime epoche che videro il sorgere e lo svilupparsi cJtlle missioni, i missionari partivano dalle coste per poi spingersi, nella seconda generazione, verso l ' interno dei continenti. La sfida odierna, secondo Winters, consiste nel raggiun­gere tutti i popoli. Non bisogna più pensare in termini geografici, ma in termini etnologici. Un popolo può occupare più paesi o può avere delle caratteristiche che non sono attribuibili a tutti gli abi­tanti del paese in cui è insediato. In poche parole, il missionario del futuro non dovrà prepararsi per andare in Turchia, ma fra i Kazakhs, che sebbene si trovino in Turchia ( 1 0 milioni), sono anche presen­ti a Monaco di Baviera ( 10 mila).

Questa nuova prospettiva porta con sè tutta una nuova serie di problemi, soprattutto quello dell 'identificazione dei vari gruppi et­nici e delle relative statistiche. Con quali criteri può essere defini­to un popolo? Solo in base alla lingua o tenendo anche conto del luogo d' insediamento, delle usanze, dei riferimenti religiosi? E poi quali sono i presupposti per affermare che questo popolo non è più nascosto? Forse quando viene raggiunto da un missionario, da due, o quando ha una chiesa missionaria, o solo quando la chiesa è au­tosufficiente? Qual è il criterio più adeguato?

Comunque sia, il numero dei popoli che devono venire raggiun­ti dal Vangelo è grande ed il Congresso di Westminster si è soffer­mato sulle modalità con cui le missioni devono prepararsi per ve­nire incontro a ciò. Devono modernizzarsi le missioni, i seminari e le stesse chiese che mandano i missionari devono rivedere i loro scopi. Le relazioni che fanno seguito a quelle di Winters discutono proprio tali problemi. Come per New Frontiers in Mission, anche in Reaching the Unreached gli autori ragionano in termini pratici. Il testo di Castro, invece, presenta una tesi (la sua tesi di laurea) , secondo cui la missione della chiesa è la missione del regno di Dio. L'evangelico conservatore si può riconoscere in diverse parti del libro. Per esempio: "Mentre la Bibbia si concentra sulla storia dei rapporti fra Dio ed Israele e sulla formazione della chiesa, indica pure la profonda preoccupazione di Dio per le nazioni" (p.54) e " . . . nelle lettere agli Efesini ed ai Colossesi il corpo del quale Cri-

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P.Finch, La missione in alcune opere recenti 1 1 5

sto è il capo occupa un suo posto nel glorioso piano di Dio ed as­sume il prezioso ruolo di servo a beneficio di tutto il creato" (p. 69). In altre parti invece si trovano affermazioni che lasciano assai per­plessi. Per esempio: "La croce fu la conseguenza della lotta socia­le e politica nella quale Gesù si trovò coinvolto" (p. 60) e "Qual è il posto delle altre religioni nel regno di Dio?" (p. 2 1 ) .

Il filo conduttore di Castro può essere riassunto in una delle sue frasi: " la giustizia sociale non è evangelizzazione, ma essa fa par­te del nostro mandato" . La sua impostazione generale mette in evi­denza il concetto secondo cui l ' instaurazione della giustizia socia­le è un segno del regno di Dio. E ' proprio questa la volontà che tra­spare da tutte le conferenze ed i congressi del Cee: Bangkok, dove la salvezza è vista nella lotta per la giustizia economica e la digni­tà della persona; Nairobi, assai simile; Melbourne, che concentra l 'attenzione sui poveri. Questi rappresentano i congressi più con­geniali all'impostazione di Castro, mentre egli stenta a ridurre ad una dimensione puramente sociale i congressi evangelici come Lo� sanna e Wheaton.

Un raffronto con il libro di Padilla mette in rilievo la presenza di una certa ambiguità nel pensiero di Castro. Egli appare di volta in volta modernista-liberale-umanista e evangelico-conservatore. Padilla, invece, tratta in modo radicalmente unitario e rigoroso i medesimi temi. Questo vigoroso profeta-teologo sudamericano se da un lato non risparmia critiche alle missioni ed al loro processo riduttivo del messaggio del Vangelo, dall 'altro è loro riconoscente perché sono state il mezzo per la sua conversione. Nota pure come al suo continente non sia stato concesso il privilegio di una propria riflessione teologica. Si è insistito in modo martellante sull 'evan­gelizzazione in vista della conversione del più alto numero di per­sone nel più breve tempo possibile, ma l 'A. si chiede se sia proprio questa la predicazione del regno di Dio. Per l 'A. il regno di Dio de­ve entrare a far parte di tutti gli aspetti della realtà e criticare le strut­ture stesse della società. "Contestualizzare il Vangelo significa tra­durlo in modo che la signoria di Gesù Cristo non resti un principio astratto e una semplice dottrina, ma sia il fattore determinante del-

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1 16 Studi di teologia II (1990) 1 12- 1 16

la vita in tutte le sue dimensioni ed il criterio irrinunciabile. in base al quale giudicare tutti i valori culturali che fonhano la sostanza della nostra vita" (p.93) .

Il dispiacere di Padilla è che il regno di Dio non sia attecchito nel Sudamerica: un velo di zucchero evangelistico è stato sparso sulla sua superficie, ma il Vangelo non è diventato parte costituti­va delle popolazioni. Gli dispiace che l 'America Latina non abbia una propria teologia e, citando Bonino, afferma: "nè la chiesa cat­tolico-romana, n è il protestantesimo hanno messo radici tali da pro­durre nella realtà dell'America Latina un pensiero creativo. In al­tre parole, le chiese occupano un posto periferico nella storia dei nostri popoli" (p. 1 02).

Ogni relazione di questo bel libro è ricca di ragionamenti teo­logici che esigono un'applicazione pratica. La convinzione di Fa­dilla è che "là dove la chiesa fallisce come profeta, fallisce anche come evangelista" (p.3 1 ). Egli sollecita perciò la chiesa ad un im­pegno totale per una presentazione globale di un Vangelo reale. Emilio Castro acconsentirebbe probabilmente a questa tesi, ma la passione, la visione, la volontà e la fertile teologia sono di Padilla.

Termino con due citazioni commoventi. "Forse il nostro tener­ci ancorati ai movimenti del Risveglio costituisce l 'ostacolo mag­giore all 'adempimento della missione della chiesa in questo perio­do critico della storia. In ultima analisi dobbiamo chiederci quale sia il Vangelo che stiamo predicando e se la nostra predicazione sia nutrita dallo studio approfondito della Parola di Dio e da una rifles­sione seria sul suo significato nella nostra situazione concreta" (p. lO l ) . "Senza teologia, senza un punto di riferimento a partire dal quale valutare le ideologie, la chiesa viene assorbita dal mon­do . . . pensare teologicamente non è però un esercizio intellettuale, ma piuhosto la scoperta della volontà di Dio riguardo al modo di mettere in pratica la verità" (pp. l 04-7).

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Segnalazioni bibliografiche

Giinter Stemberger, Il Talmud. Intro­duzione, testi, commenti, Bologna, Dehoniane 1989, pp. 453.

Chi studia la Bibbia senza disdegna­re l 'uso d'altri libri utili alla sua com­pren sione, si sarà imbattuto, i n qualche occasione, i n riferimenti al Talmud. Tuttavia, proprio perché in italiano non· è stato quasi tradotto nul­la, avrà avuto qualche difficoltà a far­si un'idea dell' utilità o meno di quel testo. Ora invece, nella fioritura degli studi giudaici che si sta registrando an­che in Italia, s�mbra possa diventare accessibile il relativo materiale.

Stem bergeroffre un'introduzione al Talmud (ossia, "dottrina") che orienta sul quadro storico (rabbi, scuole, tradi­zione orale), e sul materiale (Mishnah, Tosefta, Talmud palestinese e babilo­nese). Quindi propone una raccolta di testi di diverso genere letterario per far cogliere quanto sia ampio e diverso il materiale del Talmud, e termina quin­di con una storia della sua diffusione nel tempo.

Per quanto il testo non costituisca che una minima parte dell ' immenso materiale rabbinico, pure può dare un ' idea di esso. L'utilità di tale mate­riale per l ' interpretazione della Bibbia non è subito evidente, ma una certa fa­miliarità con esso potrà forse far me- · glio comprendere la mentalità di un ambiente che faceva da sfondo a tanti

episodi ·biblici. Quindi un'opera utile · che potrà servire ad allargare le infor­mazioni per una migliore comprensio­ne del testo biblico.

Gianni Emetti

A. Maillot, Gros plan sur l'Ancien Te­stament, Aubonne, du Moulin 1987, pp. 106 . .

Carl-A. Keller, Tu m'as fait prÒphète. Le ministère prophétique dans l' AT, Aubonne, du Moulin 1989, pp. 95.

Segnaliamo questi due piccoli volu­metti che in termini molto semplici af­fron tano a l c u n i t e m i d e l l ' AT. Semplice, però, come purtroppo av­viene in certe pubblicazioni, non. si­gnifica superficiale. Sia Maillot che Keller sono due studiosi con alle spal­le pubblicazioni scientifiche di note­vole impegno. Ma qui hanno voluto offrire materiale di natura più divulga­tiva per un pubblico più ampio.

L'opera di Maillot fornisce degli elementi di teologia dell' AT. Lo spa­zio, il tempo, il culto, l ' uomo, Dio, la legge, i profeti, la sapienza. In poche pagine un "distillato" di una materia assai vasta. Keller tratta invece del mi­nisterio profetico dell 'A T. Anche se non si tratta di cose particolarmente nuove, riflettono la maturità degli au­tori e una buona capacità di comunica­re. Due operette che potranno dunque servire a chi desidera in poco tempo,

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ma seriamente, avere un'infarinatura teologica di questi temi.

Gianni Emetti

A. Maillot, Qohélet, ou Ecclésiaste. ou la contestation, Paris, Les Bergers et les mages 1987, pp. 194.

R.N. Whybray, Ecclesiastes (NCBC), London, Marshall Morgan & Scott; Grand Rapids, Eerdmans 1989, pp. 179.

Il "predicatore" continua a stimola­re e a provocare altri predicatori. Ed è bene che sia cosl, perché libri come l 'Ecclesiaste non saranno mai esauriti nella loro potenzialità. Questi due commentari sono assai simili e forse vale la pena segnalarli contempora­neamente.

Maillot aveva pubblicato nel 1971 un commentario dell'Ecclesiaste che aveva riscosso un certo successo esau­rendosi in breve tempo. L'A. offre ora una seconda edizione completamente rifatta che cerca di tenere conto delle ·varie opere che nel frattempo sono uscite.

Si potrebbe dire che Maillot è total­mete a suo agio con lo stile dell'Eccle­siaste. Non è solo un buon conoscitore della lingua ebraica, ma anche un ese­geta dei libri sapienziali. Ha inoltre a sua disposizione la ricchezza della lin­gua francese che gli permette espres­sioni particolarmente indovinate. Il

· suo commentario è dunque un po' co­me del vetriolo. Nel Qohélet egli non vede un pessimista rassegnato, ma un uomo con una fede da sollevare la tra­dizione più avvilente.

Oltre alla bella traduzione, l ' A. of-

Segna/azioni bibliografiche

fre un piano del libro assai simile ad una parafrasi che come tale è molto utile. Le note sono buone (anche se meno ampie di quelle di Lys, 1917) e in genere giustificano le scelte fa tre. In definitiva un commentario che non sembra essere "vapore che s 'evapora".

Il commentario di Whybray contie­ne una linga introuduzione (pp.1-3 1), quindi un'esposizione del testo. Se­condo l ' A. si tratta di un libro redatto in periodo ellenistico, e cioè molti se­coli dopo Salomone, che comunque ri­mane nella scia della tradizione sapienziale veterotestamentaria.

A parte questo, il commento è abba­stanza convenzionale e rappresenta bene la scuola anglosassone con parti­colare rispetto per Loader ( 1986), Crenshaw ( 1987) e Ogden ( 1987). Ma chi potrà mai esaurire la ricchezza del­la Parola di Dio? Ben vengano altri commentari per farcene cogliere qual­che ulteriore elemento.

Gianni Emetti

Wilhelm Egger, M etodolo gia del N uo­vo Testamento. Introduzione allo studio scientifico del Nuovo Testa­mento, Bologna, Dehoniane 1989, pp. 264.

Come traspare dal titolo, si tratta di un ' iniziazione alla problematica ese­getica. In particolare, si cerca d'espor­re u n a metodo l o g i a per l ' interpretazione dei testi del NT! Stu­dio dei singoli termini, del loro conte­nuto, della loro eventuale evoluzione semantica, poi indicazioni di critica te­stuale, letteraria, delle tradizioni, del-

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le redazioni, di ermeneutica. Partico­lare attenzione viene rivolta alle anali­si linguistica e strutturalistica del testo cercando di collegarle ai metodi più tradizionali del lavoro critico.

Il presupposto, purtroppo, rimane l ' idea della "complessa elaborazione subita dai testi biblici attraverso la tra­dizione e la redazione" . Viene total­mente ignorata la problematica della conformità del metodo all' oggetto da esaminare, come pure la pretesa cen­trale del testo biblico che si presenta come Parola di Dio. Ora l 'avvicinarsi ad un testo senza rispettarne le carat­teristiche con le quali esso si presenta è, a nostro modo di vedere, un punto di partenza fortemente limitativo del­la scientificità che si vuole promuove­re.

L'opera, accanto alla collaudata M et odolo gia di Zimmerman, può allo­ra offrire qualche spunto d' interesse, ma deve essere integrata in un conte­sto teologico più adeguato. Utili risul­tano comunque, oltre ai vari indici ed alla bibliografia, gli esercizi suggeriti.

Emmanuele Beriti

Tradition and I nterpretation in the N. T. Essays in Honor of E.E. Ellis, (edd.) G.F. Hawthorne-0. Betz, Grand Rapids, Eerdmans; Tiibin­gen, J.C.B. Mohr (Paul S iebeck) 1987, pp. 369.

Si tratta di una raccolta di scritti in omaggio all'esegeta Earle Ellis per il suo sessantesimo compleanno. La pro­venienza dei contributi può dare l' idea dell' influenza esercitata da questo stu­dioso: statunitensi e canadesi (8), bri-

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tannici (7), tedeschi (4), belga (1) , svizzeri (2), coreani (l) , norvegesi (1) , svedesi ( 1).

Nella prima parte del l ibro C.K. Barrett analizza la relazione tra pro­clamazione del vangelo e risposta del­la fede; . D.Daube, l 'esempio ed il precetto ne li ' insegnamento; R .N. Lon­genecker, la relazione tra AT e NT so­p rattu tto ne i p r i m i sec o l i ; /.H. Marshall riesamina l ' ipotesi secondo cui l'apocalittica sarebbe la madre del­la teologia; C.F.D. Moule, Gesù, il giu­dai s m o e Pao l o ; Strecker tratta dell'amore di Dio e dell'uomo nel NT. Nella seconda sezione F.F. Bruce sul­l 'uso d eli' AT da parte di Paolo; P. Bor­gen cerca di chiarire il rapporto tra Giovanni ed i sinottici per mezzo di Paolo; D.R. Catchpole, la legge ed i profeti in Q; J.A. Fitzmyer l' espressio­ne Hosanna; G.F. Hawthorne il ruolo dei profeti nel!' elaborazione dei van­geli; S. Kim si interroga sul ruolo di Zaccaria nella coscienza messianica di Cristo; U.Luz i miracoli in Mt 8-9; D.M. Smith analizza la canonicità di Giovanni e le sue conseguenze; G .N. Stanton, origine e scopo del sermone del monte. Nella terza parte O.Betz lo sfondo veterotestamentario del mes� saggio della croce in l Cor 1 -2; J. Dunn la giustizia della legge/della fe­de in Rom 10, 1 - 10; J. Dupont il titolo cristologico "Il Signore di tutti" ; L. Hartman l ' insegnamento di Col 3,6-4 , 1 ; M. Hengel la polemica antipaoli­na secondo Giacomo; R.P. Martin gli oppositori di Paolo in 2 Cor; WA . Me­eks una ricerca sociologica su Rom 14,1 - 15 ; P. Richardson le tradizioni dei vangeli in 2 Cor; W Rordorf un

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confronto tra gli Atti di Paolo e le Pa­storali; P. Stuhlmacher il significato di l Cor 2,6- 1 1 . Come si può vedere si tratta di un libro ricco di materiale con ottimi indici.

Emmanuele Be riti

G. Bedouelle - B. Roussel (sous dir.), Le temps des Réformes et la Bible, Paris, Beauchesne 1 989, pp. 8 1 1 .

L'opera fa parte d i una collana che cerca d ' illustrare l ' uso della Bibbia nel corso del tempo. La collana prevede otto volumi con il concorso di nume­rosi studiosi, .per la maggior parte di lingua francese. Questo che segnalia­mo costituisce il quinto volume della serie e copre il periodo che va dal XV sec (1530 ca.) al XVI sec. In definiti­va si tratta di un tempo in cui si conso­lidò una grande obiettivo: fare in modo che tutti potessero leggere la Bibbia.

Il libro documenta questo sogno e l 'influenza che la Bibbia ebbe poi a li­vello culturale, sociale, ecc. Si tratta dunque di un volume assai specialisti­co, ma che offre una buona documen­taz i o n e s u l periodo i n e s a m e . L'ampiezza dell 'indagine h a fatto sì che su temi specifici si potessero intro­durre alcune dimenticanze. S u L utero, per esempio, gli Autori non sembrano al corrente, nè per il contenuto, nè per la bibliografia, dei lavori di M. Reu ( 1944); R.D. Preus (1969, 1979); J.W. Montgomery ( 1 974); J .H. Gestner (1978); .R. Lovelace ( 1980); su Calvi­no, dei lavori di K. Kantzer ( 1957); J. Murray ( 1960); J.I. Packer ( 1974). E' un peccato per una simile opera, ma è uno dei facili pericoli in cui possono

Segna/azioni bibliografiche

incorrere i lavori di natura enciclope­dica. Per il resto il libro offre utili in­formazioni.

Paolo Guccini

Robert V. Schnucker (ed.), Calvinia­na : Jdeas and lnfluence of fohn Calvi n, Kirksville, Sixteenth Centu­ry Essays an d Studies 1 988, pp. 288.

Il libro si propone di controbilancia­re il grande interesse che ha circonda­to L u tero i n occasione del s u o cinquecentesimo anniversario. Dopo ed accanto a Lutero si è trovato Calvi­no che ha lavorato per il consolida­mento della Riforma. Trattandosi di un'opera collettiva non è facile sinte­tizzare il tutto. B asterà forse elencare i vari contributi.

Una prima sezione è dedicata alle idee di Calvino. Sul rapporto legge e Vangelo, J. Hesselink; sul terzo uso della legge, M.S. Johnson; sull'q>rdine politico, WF. Graham; sul metodo teo­logico, R.C. Gramble; sulla compren­sione delle filosofia aristotelica, C.B. Kaiser; sull'umanità di Cristo,D. Fox­grover; sulla disciplina nella chiesa, J. W Baker; sul matrimonio, C.-D. Bal­dwin. Una seconda sezione è invece dedicata alla sua influenza attraverso altri, P.Du Mulin, B.C. Amstrong; W. Whittingham, D.G. Danner; puritane­simo, D.K. McKim; J. Knox,/. Hazlett; M. Simons, T. George; scuola di Bran­deburgo, B. Nischau; Calvinò-Loyola, C.J. Baisdell. Un indice delle citazio­ni bibliche, degli argomenti e degli au­tori , completa in modo egregio i l volume destinato non solo agli esperti di Calvino, ma anche a coloro che non

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si sentono troppo orgogliosi da trascu­rare il contributo del passato.

Paolo Guccini

John N.D. Kelly, / simboli di fede del­la chiesa antica. Nascita, evoluzio­n e , u s o del c r ed o , N ap o l i , Dehoniane 1987, pp. 467.

L'opera di Kelly rimane, a distanza di 40 anni dalla prima edizione ingle­se (1950), un classico che non si può ignorare. L'originale conta tre edizio­ni e numerose ristampe e si è afferma­to come un testo molto solido. Le Dehoniane hanno dunque ben fatto a rendere disponibile tale opera in lin­gua italiana.

Si tratta di uno studio sulle prime confessioni di fede della chiesa primi­tiva. Da quelle contenute nel NT, al rapporto tra confessione e battesimo, alle formule del II secolo, all' Antico Credo Romano, al Credo di Nicea, ai Credo sinodali, al Credo di Costanti­nopoli, al Credo Apostolico. Non si tratta solo di un'analisi linguistica e storica, ma anche contenutistica. Essa permette di cogliere come attraverso i vari simboli, la chiesa primitiva ritro­vasse la propria unità contro le eresie incombenti.

In tempi di pluralismo e relativismo, il rinvio ad una "regola di fede" suona assai strano. L' idea di confessione evoca ciò che divide piuttosto che ciò che unisce, ma anche oggi a distanza di diversi anni non possiamo che ri­scrivere quanto scritto nella vecchia serie di Sdt ("Confessare la fede" N4, p. 121). "Le obiezioni che contrappon­gono la vita alla formulazione della

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stessa, l 'autenticità alla dottrina, l a li­bertà alla fede, sono alimentate da di­coto m ie che la B ibbia ig nora e implicitamente condanna . . . Solo la si­gnoria del Dio della Bibbia permette e garantisce nello stesso tempo la diver­sità e l ' unità del reale. Solo l'ubbidien­za incondizionata all'unico Signore libera dalle deviazioni simmetriche: il culto della ragione e il culto dell' irra­zionalismo . . . Anche oggi la chiesa, do­po aver ascoltato e continuando ad ascoltare la Parola, è chiamata a con­fessare e a trasmettere la verità che ha conosciuto e creduto". Il credente è qualcuno che crede qualcosa e lo di­chiara in comunione con altri.

L'edizione italiana contiene una sti­molante introduzione alla problemati­ca a cura di Luigi Longobardo che comprende pure un tentativo di "con­

fessio fide i" di Bruno Forte. Si tratta di un tentativo interessante s� cui si do­vrebbero comunque fare diverse pre­c isazioni impossibili nello spazio d ' una recensione. La bibliografia, pur­troppo, riproduce quella inglese senza cercare d ' integrarla e senza neppure aggiornarla. Peccato! Ottima, per con­tro, l' idea di riportare in appendice tut­ti i simboli di fede presenti nel volume per permettere una lettura d'insieme degli stessi .

Pietro Bolognesi

J .l. Packer, Laid-Back Religion? A pe­netrating look at Christianity today, Leicester, Inter-Varsity Press 1989, pp. 1 58.

Ancora un libro fondamentale di un Autore che ama confrontarsi con temi

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basilari della fede e della vita cristiana (si ricorda Conoscere Dio?). Il Packer teologo (che brutto termine per qual­cuno! ) si ripropone di riesaminare qui aspetti essenziali del vivere cristiano. Aspetti sui quali , a volte, i cristiani si mostrano incerti e disorientati. La vita cristiana, come suggerisce il titolo e la copertina del libro, è spesso concepita e vissuta, più come una rilassante va­canza in riva al mare, che come impe­gno serio e cos'tante contro comportamenti e pensieri non sotto­messi a Cristo il S ignore.

Nel primo capitolo dal titolo al­quanto ironico: "Attenzione, teologo a lavoro ! " l'A. fa delle premesse impor­tanti che vogliono aiutare il lettore a comprendere i presupposti della sua ri­flessione teologica. Si tratta d'illustra­re il compito ed i criteri (almeno sette per l'A.) propri alla teologia. Gli spun­ti offerti sono estremamente numero­si. Ne sottolineamo uno "Lo scopo proprio della teologia è di equipaggia­re i discepoli di Gesù Cristo per l 'ub­bidienza." (p. l l ).

Seguono poi nove capitoli tutti inte­si a fare luce su aspetti, affatto margi­nali, della vita del credente. Nel cap. 2 dal titolo "Il piano di Dio" vengono sottolineate delle verità che, a giudizio del presente recensore, il mondo evan­gelico fondamentalista italiano do­vrebbe prendere i n seria considerazione. Si afferma per esem­pio la necessità di capire Ja natura e gli scopi della Scrittura se la si vuole leg­gere e meditare con profitto: l 'unicità dell'A. richiede una unità di pensiero che va ricercato non senza l 'uso del­l 'intelletto che la Bibbia intende risve-

Segna/azioni bibliografiche

gliare e non mortificare. Parlando di quando e come il Signore può dirsi ve­ramente glorificato nei credenti, Pac­ker definisce la natura della vera pietà come: " la qualità di vita che esiste in coloro che cercano di glorificare Dio." (p. 3 1).

Sì, a ragione, molta enfasi è posta sulla realtà presente della sovranit4 re­gale di Dio e sulla verità che lo scbpo ultimo d'ogni proponimento e azione di v in a è quello di glorificare se stesso! Tale affermazione, può apparire im­morale e persino oltraggiosa nei con­fronti di Dio, ma può sussistere solo laddove si legge la Bibbia in chiave antropocentrica. Essa potrà infastidire solo chi fa dell 'uomo e del suo benes­sere personale (sia pure spiritual�) il fi­ne ultimo dell'agire di Dio sia nella creazione che nella redenzione e nella provvidenza.

Questo libro, a dire il vero, merita più un'attenta lettura con il proposito di esporre all'amorevole critica del­l' A. i propri pensieri e le proprie azio­ni , piuttosto che una segnalazione bibliografica. Mi auguro che molti vorranno beneficiare degli stimoli sa­lutari che questo libro da' e che molto presto possa essere tradotto nella no­stra lingua. Segnalo in particolare il contenuto dei capitoli sulla gioia della vita cristiana (6), il ruolo della Scrittu­ra nella santificazione (7), e sulla na­tura e gli scopi di una autentica riforma della chiesa ( 10). Buona lettura!

Matteo Clemente

J. Stott, Le chrétien et les défis de la vie moderne (Coli. Alliance), Paris, Sator 1987, pp. 270.

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Il cristiano di fronte alle sfide del mondo moderno. Come primo titolo della collezione Alliance le edizioni Sator non potevano probabilmente compiere scelta più felice. Il titolo simboleggia bene lo scopo stesso del­la collana: fedeltà alla Scrittura come fondamento per una risposta cristiana alle domande che ci pone la realtà at­tuale. E Stott, una delle voci più ascol­tate del mondo evangel ico contemporaneo, accetta d i buon grado questa sfida e cerca di tracciare un cammino autenticamente biblico che eviti quel rischio, così tipico di una parte del mondo evangelico, di aggira­re o addirittura di ignorare gli ostacoli che il mondo moderno mette continua­mente davanti a noi.

Dunque i grandi temi sociali : la mi­naccia nucleare, i problèmi dello svi­luppo, le disuguaglianze Nord-Sud, i diritti dell'uomo. Temi dibattuti e di grande attualità ai quali il credente può e deve poter offrire un proprio contri­buto biblico. Il libro è sostanzialmen­te diviso in due parti. Nella prima, l 'A. indica i presupposti che permettono agli evangelici di affrontare, come ta­li, i grandi temi del dibattito contem­poraneo. Può il cristiano impegnarsi socialmente e politicamente? Perché, dopo il grande impulso verso l'impe­gno sociale del secolo scorso, gli evan­gelici si sono ritirati dalla scena? E' possibile trasferire il pensiero cristia­no nel mondo attuale? E in questo ca­

. so è anche lecito imporlo? A questi, come ad altri interrogativi, Stott ri­sponde esponendo in modo chiaro e concreto, i principi biblici che, a suo

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modo di vedere, consentono di dare precise risposte a questo tipo di do­mande. Nella seconda parte, l 'A passa ·

in rassegna i vari temi soCiali dimo­strando che, una solida impostazione biblica unita alla serietà d'una ricerca documentata, può produrre interessan­ti argomentazioni che sfociano in con­clusioni veramente apprezzabili.

Ovviamente il retroscena inglese, così ricco di tradizione evangelica fa­vorisce questo tipo di riflessione e ri­sponde anche ad esigenze locali d'attualità. In ogni caso, poiché Stott non pretende di offrire ricette infalli­bili e conclusioni valide per tutti , è au­spicabile che, un'attenta lettura di questo libro offra almeno spunti di ri­flessione a quanti stanno riscoprendo oggi le loro responsabilità di credenti nella società contemporanea.

Gioele Corradini

A. Olivieri, Il mondo non è più per me, Castrovillari (Cs), Teda Edizioni 1989, pp. 1 7 1 .

Le ricerche di carattere antropologi­co sul fatto religioso non sono nume­rose e abbastanza spesso si soffermano su fenomeni assai distanti dall 'espe­rienza quotidiana. Quella che invece ci troviamo a segnalare, è l ' indagine re­lativa ad una comunità italiana pente­costale. Di una realtà quindi che, in parte, può rappresentare situazioni as- · sai frequenti in ambienti evangelici conservatori.

L'autrice del nostro testo si è im­mersa, dal dicembre 1984 all 'aprile 1 986, nella vita di una comunità roma­na "Vangelo vivente" per analizzare

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tale fenomeno da un punto di vista an­tropologico. L'A. ha scelto questa do­po aver visitato diverse comunità pentecostali romane. Da quelle più strutturate a quelle composte da mani­poli di credenti entusiasti, ma alla fine la sua indagine ha potuto concentrarsi sulla comunità "Vangelo vivente" .

Oltre alle "adunanze" l'Olivieri par­tecipava alle conversazioni che segui­v a n o per s c a m b i d i s a l u ti e d informazioni, o semplicemente face­zie, e dopo due mesi in cui ha tessuto diversi rapporti personali, ha comin­ciato a raccogliere interviste. In parti­colare diciotto storie di persone cui fa riferimento nelle diverse sezioni del li­bro.

L' introduzione descrive le vicende che l 'hanno condotta a quella partico­lare comunità. Il primo capitolo de­scrive le origini e la diffusione del movimento pentecostale. Dal Metodi­smo fino alle espressioni d'una reli­giosità intensamente esperienziale. E ' quindi l a volta della nascita e della sto­ria della comunità in esame. Una_qua­ran t i n a d i m e m b r i , n o n tutti ugualmente impegnati, con una parte­cipazione infrasettimanale del 20%, un consiglio di chiesa formato da cin­que membri, un pastore senza una pre­parazione formale, un locale con un arredamentq semplice in un'area de­pressa della periferia, ecc. Nel terzo capitolo viene delineato il fenomeno della conversione da un punto di vista psicologico e socio logico. E' quindi la volta della conversione in ambito p�n­tecostale. Il quinto capitolo affronta il tema della socializzazione e cioè di quel particolare processo che porta i

Segna/azioni bibliografiche

"novelli" ad essere sempre più inseriti nel gruppo. Gli ultimi capitoli .trattano del battesimo, dell'attesa, della glos­solalia, del battesimo dello Spirito e del ruolo della testimonianza.

Come si può immaginare si tratta di un'analisi interessante sotto diversi profili. Simili indagini possono svol­gere, a nostro modo di vedere, un ruo­lo positivo anche per chi ne è stato oggetto. Ben vengano dunque se per­mettono di precisare meglio certi feno­meni. Ciò che comunque disturba è la velata illusione, propria a questi stu-

. diosi, di considerarsi in qualche modo veramente rigorosi o comunque estra­nei a particolari presupposti. Si capi­sce in effetti che per la Olivieri risulta problematica la Weltauschuung anni­comprensiva ed esclusiva del movi­m en to pentecostale. I l c hè sembrerebbe suggerire che, in quanto antropologa, ella sia estranea a presup­posti tali da condizionare in modo glo­bale la sua comprensione della realtà. Questo, come si potrà facilmente ri­scontrare, non corrisponde al vero. Il postulato del pentecostalismo viene identificato con "l'accesso indiyidua­le alla fonte spirituale dell'autorità" (45), ma l'aver individuato un simile postulato che cosa significa? Vorrebbe dire che vi possano essere postulati più adeguati? A noi pare che l'associazio­ne degli altri a partiColari presupposti, siano essi veri o presunti, perde in gran parte il suo senso se non si precisano anche quelli che sono i presupposti ri­tenuti validi in assoluto. L'assenza di una misura dichiarata rischia di falsa­re o distorcere un pò tutto. La Oli v ieri ha il merito di non trovare pienamen-

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te soddisfacenti le teorie psicologiche e sociologiche circa la conversione e di non fornire una conclusione al suo lavoro, ciò permetterà, si spera, di pro­lungare la riflessione sui vari elemen­ti forniti dal libro.

Pietro Bolognesi

Andrea Mannucci, Educazione e scuo­la protestante, Firenze, L. Manzuo­li 1989, pp. 237.

Il libro di Mannucci presenta molte notizie e materiale inedito sull'educa­zione protestante in Italia a cavallo tra 1'800 ed il 900. La grande quantità dei dati raccolti rende il libro ricco e inte­ressante, mentre illustrazioni, foto, statistiche in abbondanza lo completa­no. Quest' opera contribuisce a far co­noscere un soggetto fin qui molto trascurato dagli storici e lascia intrave­dere che moltissimo c'è ancora da stu­diare e da scrivere per colmare la lacuna.

Ci si può "immergere" in molti det­taglj gustosi. Si può anche cercare di cogliere, tra le righe, la concezione pe­dagogica dell'A. In quest' ultimo caso ci si scontrerà, io credo, con due pro­blemi irrisolti nel pensiero di Mannuc­ci. L'uno riguarda la relazione della pedagogia (cristiana) con la Scrittura. L'altro è ii problema di valutare la "di­rezione" della teoria educativa: stabi­lire cos' é cristiano e cosa non lo é in pedagogia, attraverso un criterio vali­do. Per il primo problema: come può una pedagogia che si definisce prote­stante, tenere conto della Parola scrit­ta di Dio? .Nella "premessa" , citando E.Puzzanghera, l ' A. sembra far emer-

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gere le convinzioni che seguono. l . La Bibbia può ispirare una teologia prote­stante, ma non una pedagogia in senso scientifico. 2 . Le grandi dottrine teolo­giche (giustificazione, elezione ecc.) non possono a loro volta fornire alla pedagogia elementi sufficienti per il suo sviluppo. 3. Non esiste dunque una pedagogia protestante derivata dalla Bibbia e dalla teologia, nè è mai esisti­ta. 4. Esiste però una teologia prote-­stante caratterizzata da una "rottura con le forme tradizionali d' insegna­mento e di educazione che espresse il cattolicesimo medioevale e controri­formatario, e perciò basata sulla liber­tà e sul rispetto della personalità del fanciullo", sulla democraticità, sulla dignità di qualsiasi lavoro umano, sul­l' esigenza di istrtÙre le donne, su un at­tivismo che ha come presupposto l 'interesse e il libero fare del fanciul­lo" (p. 1-2).

A parte il sapore un po' arbitrario delle affermazioni citate, rimane ieri­solto il problema della relazione tra Bibbia e pedagogia. E ' vero che la Scrittura non contiene tutte le risposte per elaborare una teoria educativa. E' anche vero che la teologia non offre con le sue dottrine classiche un para­digma sufficiente per lo sviluppo del-la pedagogia. ,

Quest' ultima è infatti una scienza che deve studiare la struttura dell ' edu­cazione e non la Bibbia (che è il cam­po d ' indagine della teologia) . E tuttavia la pedagogia dev'essere orien­tata dalla Scrittura e può ricevere aiu­to da altre discipline scientifiche, compresa la teologia. Le prospettive bibliche e i testi rilevanti per l 'educa-

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zione possono essere convogliati ver­so una pedagogia cristiana, sia attra­verso una comprensione " ingenua" del testo biblico, sia attraverso il processo esegetico/ermeneutico(cioè teologi­co). Altre discipline possono contri­buire ancora all'elaborazione di una pedagogia evangelica così concepita. In questo modo la Scrittura riceve il ruolo che le compete nella ricerca scientifica e diventa "luce" sul sentie­ro dell 'educazione. La pedagogia non risulta allora priva di fondamento bi­blico, nè viene sradicata dalla sua-nor­male coesione con le altre discipline scientifiche. La convinzione che la Bibbia possa penetrare una teologia cristiana ma non altre scienze, è il ri­sultato di un modo di pensare legato al motivo di fondo "natura-grazia", nella sua versione antitetica (cf. Barth).

All'A. nsulta anche difficile trova­re una Norma alla quale fare riferi­mento per valutare il contenuto della teoria educativa. Oltre ad indicare i criteri già citati di "democraticità" , "ri­spetto del fanciullo" ecc., l 'A. è affa­scinato dall'idea che la pedagogia evangelica abbia anticipato molti dei problemi e delle soluzioni della peda­gogia (umanista) più moderna. Questa scoperta, che rimane un tema essen­ziale del libro intero, sembra poter ba­stare da sola, agli occhi dell'A., per dimostrare la validità del pensiero pe­dagogico evangelico. Però questo cri­terio di "modernità" non offre alcuna possibilità di distinguere, nella teoria educativa, la direzione apostata da quella cristiana.

L'A. sembra troppo incline a "bat­tezzare" come cristiano tutto ciò che

Segna/azioni bibliografiche

risulta progressista secondo l 'ottica umanista moderna. Ma non vengono offerti criteri di valutazione nè vengo­no messi in luce i motivi che avrebbe­ro spinto gli educatori evangelici a fare le scelte pedagogiche che fecero. E ' sufficiente vedere che quelle scelte so­no le stesse che più tardi fece la peda­gogia italiana più progressi sta! Il fatto che Froebel e Pestalozzi siano stati tra gli ispiratori riconosciuti del pensiero educativo evangelico, non sembra creare alcun problema all'A., il quale probabilmente pensa soprattutto alla loro familiarità con gli ambienti del protestantesimo e con idee che si rifan­no in qualche modo al cristianesimo . . Ma ci si dovrebbe almeno chiedttre in quale misura sia stata benefica (o me­no) sulla scuola protestante, l'influen­za dei due principali esponenti della pedagogia del Romanticismo.

Soltanto due parole ancora sull'im­pegno degli educatori evangelici di ie­ri per una scuola cristiana. La scuola protestante sentiva di poter offrire qualcosa di più, rispetto a quella tradi­zionale: l 'istruzione sul vangelo (p. 17). Sentiva di poter offrire q11alcosa di meglio: i metodi e gli strumenti di­dattici (p. es. pp.9 1 -93). Si cercava ar­dentem ente di e l iminare ogni compromesso con le credenze religio­se cattoliche (p. 1 1 0- 1 1 1). Eppure, an­che così modificato, l 'insegnamento stesso rimaneva, nel complesso, lo stesso della scuola laica e cattolica. Non era presente cioè l'idea di antite­si nel contenuto stesso dell ' educazio­ne. Quest'ultima sembrava rimanere un'area "naturale", in comune tra tut­ti. Le scuole evangeliche si sentivano

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"in collaborazione" con le altre scuole e impegnate sullo stesso terreno (e questo è giusto). Si sentivano anche in "competizione" ma mai in" antitesi" per quanto riguarda il contenuto del­l 'insegnamento (p.237).

Fu anche per questo (p.28), che quando lo stato italiano, in età giolit­tiana, fu finalmente in grado di offrire l 'educazione elementare a tutti, le scuole evangeliche sentirono di avere

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in qualche modo concluso la loro mis­sione e chiusero i battenti. Da allora si è sentito parlare solo di scuole bibliche e di facoltà di teologia, e anche questo non è un caso. Oggi viviamo dunque con una grande lacuna. E' però di vita­le importanza riprendere su basi nuo­ve e p i ù sol ide i l di scorso sull'educazione cristiana.

Renato Co/etto

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Lista dei libri ricevuti

J.B. Adamson, James. The Man and His Message, Grand Rapids, EerdJTians 1989, pp. 553 .

J.D. Allan (Comm. by), The Evangelicals: An !llustrated History, Exeter, Pater­noster; Grand Rapids, Baker 1 989, pp. 1 54.

G. Be4ouelle - B . Roussel (sous dir.), Le temps des Réformes et la Bible, Paris, Beauchesne 1 989, pp. 8 1 1 .

W. Egger, Metodologia del Nuovo Testamento. Introduzione allo studio scienti­fico del NT, Bologna, Dehoniane 1 989, pp. 264.

John.M. Frame, Medicai Ethics. Principles, Persons and Problems, Phillipsburg, N.J., Presb. and Ref. Pubi. 1 988, pp. 1 32.

E. Jiingel, Theological Essays, Edinburgh, T. & T. Clark 1 989, pp, 1989, pp. 235. John N.D. Kelly, I simboli di fede della chiesa antica. Nascita, evoluzione, uso

del credo, Napoli, Dehoniane 1987, pp. 467. · G. Moore, Believing in God. A Philosophical Essays, Edinburgh, T. & T. Clark

1 988, pp. 289. R.A. Muller, Christ and the Decree, Grand Rapids, Baker 1986, pp. 240. R.V. Schnucker (ed), Calviniana. Ideas and Influence of J. Calvin, Ann Arbor,

Mi., 1988, pp. 288. G. Stemberger, Il Talmud. Introduzione, testi, commenti, Bologna, Dehoniane

1989, pp. 453. Ch. Strain (ed), Prophetic visions and economics relativities, Grand Rapids, Eer­

dmans 1989, pp. 257.

Studi di teologia è pubblicato dali ' Istituto di formazione evangelica e docu­mentazione (IFED) con sede in Padova. Lo scopo dell'Ifed è di promuovere e svolgere attività che contribuiscano a formare e ad orientare una coscienza spe­cificatarnente evangelica in tutte le sfere de il' esistenza umana. In obbedienza al mandato divino, esso crede che ogni indagine debba essere orientata dal timore di Dio in accordo con l 'autorità sovrana della Sua Parola e alla sola gloria di Dio

Oltre alla pubblicazione della rivista, l ' Istituto gestisce una biblioteca teolo­gica, offre la consulenza di suoi membri qualificati e organizza conferenze e giornate di studio.

Direttore responsabile: P. Bolognesi

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