Elementi Di Iconologia

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1 Fondamenti e critica delle arti visive a. acc. 2007 - 08 Docente Luisa Bazzanella Modulo 5 “…il testo è una macchina pigra che lascia al lettore una parte del suo lavoro” Umberto Eco, Lector in fabula, 1979 Elementi di iconologia. Erwin Panofsky Biografia e opera di Erwin Panofsky (Hannover, 1892-Princeton, 1968) Uno dei più grandi storici e critici dell’arte dello scorso secolo. Laureato a Friburgo, dal 1921 fu professore di Storia dell’arte ad Amburgo. Fu in stretta collaborazione con i ricercatori dell’Istituto Warburg di Amburgo e particolarmente con il direttore Fritz Saxl, suo accreditato erede. All’avvento del nazismo, nel 1933, si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò a New York e a Princenton nel New Jersey. Profondo studioso dell’arte nordica (La scultura tedesca dal sec.XI al XIII, 1924; La pittura primitiva dei Paesi Bassi, 1953), fu però maggiormente interessato ai problemi di metodologia ed estetica. Nell’ambito della collaborazione con il circolo culturale di Warburg, attraverso gli esiti recepiti della Scuola di Vienna, la formazione filosofica Kantiana e l’amicizia e la condivisione con E.Cassier della sistemazione delle forme simboliche, lo portarono verso un’elaborazione teorica dell’interpretazione dei fatti artistici. Utilizzando lo strumento dell’iconologia, metodo di cui è padre a tutti gli effetti, affermò, superando il formalismo e il metodo storiografico tradizionale, il carattere necessariamente “significativo” delle forme artistiche e il loro legame con tutti i fatti culturali e i contenuti spirituali di un’epoca. Da ricordare, fra i suoi saggi i: Idea.Contributo alla storia dell’estetica, 1924; La prospettive come “forma simbolica”, 1927; Studi di iconologia. I temi umanistici del Rinascimento,1939; Il significato delle arti visive,1956; Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, 1957.Di gran rilievo anche gli studi su Dϋrer (1915,1923), presenti nella vasta monografia del 1943 “La vita e le opere di Albrecht Dϋrer. Ě stato per l’Italia lo studioso dei contenuti, della concretezza, della razionalità, il distruttore dei miti romantici del genio, del capolavoro, dell’ ”arte per l’arte”. Per la prima volta un pubblico interessato, non esclusivamente specialistico, si rendeva conto di quali differenti sfumature si caratterizzi un tema iconografico noto come il “Padre Tempo” o ”Amor cieco” , o a quale quadro comune di riferimento,

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Fondamenti e critica delle arti visive

a. acc. 2007 - 08

Docente Luisa Bazzanella

Modulo 5

“…il testo è una macchina pigra che lascia al lettore una parte del suo lavoro”

Umberto Eco, Lector in fabula, 1979

Elementi di iconologia. Erwin Panofsky

Biografia e opera di Erwin Panofsky (Hannover, 1892-Princeton, 1968)

Uno dei più grandi storici e critici dell’arte dello scorso secolo. Laureato a Friburgo,

dal 1921 fu professore di Storia dell’arte ad Amburgo. Fu in stretta collaborazione

con i ricercatori dell’Istituto Warburg di Amburgo e particolarmente con il direttore

Fritz Saxl, suo accreditato erede.

All’avvento del nazismo, nel 1933, si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò a New

York e a Princenton nel New Jersey.

Profondo studioso dell’arte nordica (La scultura tedesca dal sec.XI al XIII, 1924; La

pittura primitiva dei Paesi Bassi, 1953), fu però maggiormente interessato ai

problemi di metodologia ed estetica.

Nell’ambito della collaborazione con il circolo culturale di Warburg, attraverso gli

esiti recepiti della Scuola di Vienna, la formazione filosofica Kantiana e l’amicizia e

la condivisione con E.Cassier della sistemazione delle forme simboliche, lo

portarono verso un’elaborazione teorica dell’interpretazione dei fatti artistici.

Utilizzando lo strumento dell’iconologia, metodo di cui è padre a tutti gli effetti,

affermò, superando il formalismo e il metodo storiografico tradizionale, il carattere

necessariamente “significativo” delle forme artistiche e il loro legame con tutti i fatti

culturali e i contenuti spirituali di un’epoca.

Da ricordare, fra i suoi saggi i: Idea.Contributo alla storia dell’estetica, 1924; La

prospettive come “forma simbolica”, 1927; Studi di iconologia. I temi umanistici del

Rinascimento,1939; Il significato delle arti visive,1956; Rinascimento e rinascenze

nell’arte occidentale, 1957.Di gran rilievo anche gli studi su Dϋrer (1915,1923),

presenti nella vasta monografia del 1943 “La vita e le opere di Albrecht Dϋrer.

Ě stato per l’Italia lo studioso dei contenuti, della concretezza, della razionalità,

il distruttore dei miti romantici del genio, del capolavoro, dell’ ”arte per l’arte”.

Per la prima volta un pubblico interessato, non esclusivamente specialistico, si

rendeva conto di quali differenti sfumature si caratterizzi un tema iconografico noto

come il “Padre Tempo” o ”Amor cieco” , o a quale quadro comune di riferimento,

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costituito da idee largamente diffuse, possano essere ricondotti anche capolavori

celeberrimi quali Amor sacro e Amor profano di Tiziano, le Tombe Medicee o La

Sepoltura di Giulio II di Michelangelo.

Ě con la lettura di Studies in Iconology che anche molti studiosi di lingua inglese

hanno imparato ad apprezzare il “rinascimento dell’antichità”, attraverso quella sua

straordinaria conoscenza delle letteratura e della mitologia classiche, dei loro modi

di trasmissione nel Medioevo, dei meccanismi descritti in maniera precisa con cui si

manifesta nel Quattrocento italiano,.

L’ ”immagine” dell’Istituto Warburg “come laboratorio specializzato per lo studio

dei più difficili enigmi iconografici e dei più intricati meandri del sapere” (G.Bing in

Fritz Saxl.A Volume of Memory Assays), in contrapposizione all’analisi formale, deve

molto a Panfosky.

L’iconologia era nata in polemica contro il formalismo di Wölfflin, dall’esigenza di

superare la contrapposizione tra storia delle forme artistiche ed iconografia.

Per Panofsky, intorno agli anni Trenta “ il compito più alto dell’interpretazione era…

quello di penetrare nello strato ultimo, essenziale del senso -Wesensinn”;

l’interpretazione di un’opera d’arte “giungerà a cogliere il suo senso vero e proprio

quando riuscirà a cogliere e a rilevare la totalità dei momenti della sua emanazione

(e quindi non solo il momento oggettuale e iconografico, ma anche i fattori

puramente formali della distribuzione delle luci e delle ombre, dell’articolazione

delle superfici, perfino il modo di usare le spatole e il bulino) quali “documenti” del

senso unitario della concezione del mondo contenuta nell’opera”. (Panofsky, La

prospettiva come forma simbolica, p. 228).

Un esempio di analisi iconologica

Panofsky così definisce l’iconografia: ”è quel ramo della storia dell’arte che si

occupa del soggetto o significato delle opere d’arte, in quanto contrapposto alla

forma di esse”. (Panofsky, Studi di iconologia, 1999, p. 3-6).

Pone la distinzione tra soggetto e significato da un lato, forma dall’altro,

proponendo un esempio ispirato alla quotidianità: quando incontriamo una persona

conosciuta che ci saluta togliendosi il cappello, ciò che vediamo dal punto di vista

formale “altro non è se non il mutamento di certi dettagli entro una configurazione

che fa parte di un generale tessuto di colori, linee e volumi, costituente il mio

universo visuale. Quando identifico-e lo faccio automaticamente-tale configurazione

in quanto oggetto(un signore), e il mutare di un dettaglio in quanto evento

(togliersi il cappello), ho già oltrepassato i limiti della percezione puramente formale

e sono penetrato in una sfera di soggetto e significato.

Il significato così percepito…lo denomineremo significato fattuale…lo si coglie

semplicemente identificando certe forme visibili con certi oggetti a me noti in base

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alla mia esperienza…sfumature psicologiche investiranno i gesti del mio conoscente

di un significato ulteriore, che chiameremo espressivo. Esso differisce dal fattuale

nel senso che lo si coglie non per semplice identificazione, ma per “empatia”…tanto

il significato fattuale che quello espressivo potranno classificarsi insieme:

costituiscono la classe dei significati primari o naturali.”

Trasferisce quindi l’analisi dalla vita quotidiana ad un’opera d’arte in cui distingue

nel soggetto o significato di essa tre strati:

1-Soggetto primario o naturale, articolato in fattuale ed espressivo.

Questo lo si coglie identificando le pure forme (vale a dire anche certe

configurazioni di linee, colori o masse raffigurate in bronzo o pietra), come

rappresentazioni di oggetti naturali quali esseri umani, animali, cose, ecc.

“Il mondo delle pure forme così riconosciute come portatrici di significati primari o

naturali potrà denominarsi il mondo dei motivi artistici.”

2-Soggetto secondario o convenzionale

Il critico tedesco facilita molto la comprensione di questo concetto.

Pone l’esempio di una figura maschile con un coltello che rappresenta San

Bartolomeo, di due figure che combattono in una certa maniera raffiguranti il Vizio

e la Virtù, ecc. Propone altri esempi del genere esemplificativi del concetto che

intende chiarire.

3-Significato intrinseco o contenuto

Lo si coglie accertando quei principi interni che evidenziano l’atteggiamento

fondamentale di un’epoca, di una classe, di una convinzione filosofica o religiosa.

Dal punto di vista della composizione questo mutamento significa ad esempio un

mutamento dello schema compositivo, introdurre un tema nuovo ecc.

Panofsky sostiene che ”come l’identificazione corretta dei motivi è il requisito

preliminare di una corretta analisi iconografica nel suo senso più ristretto, l’analisi

corretta delle immagini, delle storie e delle allegorie è il requisito preliminare di una

corretta interpretazione iconografica nel senso più profondo: salvo che si abbia a

che fare con opere d’arte tali, che in esse l’intera sfera del soggetto secondario o

convenzionale sia eliminata, e si punti a una transizione diretta dai motivi al

contenuto, com’è nel caso della pittura paesaggistica, della natura morta e della

pittura di genere europea; vale a dire, nel complesso, quando ci occupiamo di

fenomeni eccezionali, che segnano le fasi tarde, quanto mai sofisticate, di una

lunga evoluzione”.(Panfosky, 1999, p.9)

Panofsky nel quarto capitolo di Studi di iconologia analizza la figura di Cupido con

una ricchezza indescrivibile di fonti e citazioni puntuali seguendo nell’analisi un

percorso sia sincronico che diacronico. Introduce la figura di Cupido dagli esordi, un

fanciullo alato, un personaggio molto familiare in epoca ellenistica e romana,

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armato di arco e frecce, solo molto raramente cieco nelle letteratura classica, ma

mai nell’ arte classica.

La credenza che “l’amante è accecato su quel che ama, e perciò giudica errando del

giusto, del buono e dell’onorevole” (Platone,Leggi,V,731) è espressa con molta

frequenza nelle letteratura classica, che abbonda di locuzioni del tipo “caecus amor,

caeca libido, caeca cupido, caeca amor sui”, ma la cecità caratterizza l’amore come

emozione psicologica di natura egoistica che trova riferimenti nei Carmina di

Catullo.

Dell’Amore raffigurato come personaggio ne da una chiara descrizione, ”quale gli

artisti lo dipingono”, Properzio, che si accorda con quelle di Seneca e Apuleio, in

un’elegia famosa; appare un infante nudo e alato, con arco e frecce o una fiaccola,

o ambedue di cui offre anche una spiegazione allegorica del suo aspetto

caratteristico: le fattezze infantili simboleggiano il comportamento illogico degli

amanti, le ali indicano l’instabilità volubile delle emozioni amorose, le frecce le ferite

incurabili che l’amore infligge all’anima umana, che conferma una elaborazione

moraleggiante dell’immagine di Cupido, nettamente pessimistica da parte della

poesia e della retorica romana.

Non compare il motivo dell’accecamento neppure presso i bizantini o nelle miniature

carolinge, appare invece come la grande forza che governa gli istinti degli dei, degli

uomini e degli animali, spesso con il fratello Iocus (Gioco) coinvolti nella ignominosa

caduta della Lussuria.

Le rappresentazioni medievali di Cupido non derivano da modelli classici,ma sono

ricostruite su fonti letterarie e si conformano, quindi, alle indicazioni fornite dai

testi.

Compaiono due tipi di rappresentazioni.”Nel primo caso,abbiamo una descrizione

interpretativa di Cupido, elaborata e trasmessa nelle litografie moralizzanti; nel

secondo abbiamo invece una glorificazione metafisica dell’Amore, evolutasi nella

poesia idealistica; comunque, gran parte dei dettagli descrittivi sono stati tratti

dalla letteratura classica o dall’erudizione tardoantica e medievale ”(ibid., p.140-

141)

La concezione di “amor sensuale”, espresso in diverse forme - raccolte sotto il

nome di cupiditas (appetitus mali, amor mundi, amor carnalis) in contrasto con la

caritas (appetitus boni, amor Dei, amor spiritualis) si spiritualizzò nel corso del XII

secolo, ”si impregnò di uno spirito di culto per la donna estraneo nella stessa

misura all’Occidente pagano e all’Oriente cristiano”.(ibid., p.141)

Su questa base il XIII secolo riconciliò i due termini cupiditas e caritas,

confrontabile con la riconciliazione tra i principi classici e medievali nella scultura

tardomedievale e nella teologia tomistica. Guido Guinizzelli e gli altri rappresenti del

“Dolce Stil Novo” trasformarono la donna in un angelo, Dante la personifica in

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Beatrice e secondo i commentatori può essere interpretata come la Rivelazione, la

Fede, la Grazia divina, la Teologia scolastica e la Filosofia platonica.

Petrarca riumanizzò e risessualizzò l’oggetto della sua passione, Laura non cessa

mai di essere una donna reale.

Nelle altre fonti gli autori di poesia epica allegorica del tipo Roman de la Rose,

descrivono Cupido non più come un bambino, ma come un bell’adolescente di

aspetto principesco spesso accompagnato da un servo, conserva le ali, ora è

splendidamente vestito con il capo cinto da una corona. Spesso è in trono,

presentato come un signore di un castello, armato di una fiaccola, di arco e frecce

d’oro per suscitare amore e nere o piombo per estinguerlo. Questi motivi per

Panofsky si possono fare risalire fino ad Apuelio.

La bellezza di Amore è sempre comparata a quella degli angeli.

Il passaggio da Cupido vedente a cieco avviene intorno al XIV secolo.

Mentre nell’originale delle opere derivanti dal Roman de la Rose si dà per scontata

la chiara vista di Amore, nei poeti successivi si cambia opinione, si sviluppa una

“mitografia moraleggiante”.

In Thomasin von Zerklaere, autore del poema didattico intitolato Der

Wälsche(intorno al 1215), Amore dice ”Io sono cieco e acceco”.

Le interpretazioni allegoriche di questo nuovo difetto di Amore non sono

lusinghiere. Cupido è nudo e cieco perché priva gli uomini del buon senso, della

saggezza, degli abiti e degli averi.

È definito cieco perché la gente è da lui accecata, discende sul povero, sul ricco, sul

brutto, sul bello…I pittori gli coprono gli occhi con una benda per sottolineare che le

persone innamorate non sanno dove vanno, essendo private del giudizio a causa

della passione.

La cecità di Cupido è associata a qualcosa di negativo, è da notare che non è

sempre così, ad esempio la cecità della Giustizia intende imparzialità. Anche se la

figura della Giustizia bendata è recente, di origine umanistica. Cieche erano la

figura allegorica della Sinagoga (intorno al 1100), e della Notte.

Anche la morte cieca è bendata e compare nelle sculture dei cicli sull’Apocalisse,

sulla facciata ovest di Notre Dame de Paris.

Panofsky nota, appunto, come Cupido Cieco si associa alla Notte, alla Sinagoga,

all’Infedeltà, alla Morte, alla Fortuna e alla Giustizia.

Cupido, la Fortuna e la Morte erano tutti e tre ciechi “non solo come personificazioni

di uno stato mentale ottenebrato, ma anche di una forza attiva che si comportava

come una persona priva di vista: colpivano e fallivano a caso, senza il pur minimo

riguardo per l’età, la posizione sociale e il merito individuale.”(ibid., p.156)

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Nel Trecento e nel Quattrocento italiano che il processo di pseudomorfosi si

completa, Cupido ritorna ad assomigliare a un bambino nudo, simile al puer alatus

classico.

Non fu un processo semplice, dovette districarsi da un’altre versione di Cupido:

alcuni affreschi medievali lo ritraggono come una figura demoniaca, bendata e con

artigli come ad esempio nell’allegoria giottesca della Castità (1320-1325), in San

Francesco ad Assisi.

Nel quattordicesimo secolo Cupido poteva evocare due diversi concetti: la

personificazione dell’Amor Divino o della forma d’amore più elevata, spirituale,

sacra e matrimoniale, sia platonica sia cristiana, in cui non è bendato, o la

personificazione dell’illecita Sensualità, in cui è accecato dalla benda.

Nel quadro di Lucas Cranach il Vecchio, Cupido che si toglie la benda, conservato al

Pennsylvania Museum of Art, ci troviamo davanti ad un’allegoria molto ingegnosa:

un piccolo Cupido si toglie la benda dagli occhi, trasformandosi così nella

personificazione dell’amore veggente. Ai suoi piedi si nota un poderoso volume con

la scritta Platonis opera dal quale sembra elevarsi.

Amor Carnalis, part. di una xilografia tedesca, c.1475

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Cupido a caccia di animali, secolo XV

Cupido presenta i suoi figli al poeta Guillaume de Machaut, secolo XIV

Cupido e l’amante, da Le Roman de la Rose, secolo XIV

Cupido sull’albero, secolo XIV

La Sinagoga e la Chiesa, secolo XII

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Tra psicologia dell’arte e iconologia. Erns H.Gombrich

Biografia e opere. Ernst Hans Gombrich, storico e psicologo dell’arte, figlio di un

valente avvocato e di una pianista che godeva di fama internazionale come

insegnante, è nato a Vienna nel 1909 e morto a Londra nel 2001.

Ha studiato storia dell’arte e archeologia classica all’Università di Vienna. Scelse,

in quest’ateneo, di seguire l’insegnamento di storia dell’arte di Julius von Schlosser,

che si considerava l’erede degli ideali della Scuola degli storici dell’arte di Vienna.

I primi membri di questa scuola si erano interessati alla spiegazione del problema

dell’evoluzione all’interno della storia dell’arte e dei motivi per cui l’arte del passato

avesse assunto proprio quelle forme. Nella loro ricerca questi studiosi erano aperti

alla psicologia. L’insegnante più ammirato da Gombrich era Emanuel Loewy.

Fu introdotto da E. Kris, conservatore presso un museo e psicoanalista praticante,

allo studio della psicanalisi, scienza che contribuì alla teoria estetica, dichiarando

comunicabili solo le idee inconsce che risultano adeguate a strutture formali

preesistenti.

Dopo un periodo difficile a causa della diffusione dell’antisemitismo in Germania,

Gombrich fu assunto al Warburg Istituite di Londra nel 1936. Il Warburg Istitute si

era spostato da Amburgo a Londra poco tempo prima, fornendo rifugio a studiosi

tedeschi interessati alla ricerca sulla sopravvivenza (Nachleben) dell’antichità

classica.

Oltre alle ricerche presso il Warburg Institute, Gombrich teneva delle lezioni al

Courtlauld dove venne invitato, insieme al suo collega Otto Kruz, a preparare per gli

studenti una introduzione alla iconologia, ovvero sul significato da attribuire alle

immagini. L’interesse del Warburg Istituite era la storia della cultura, a differenza

del Courtauld Istituite che si occupava invece della storia dell’arte.

Durante la guerra fu assunto alla BBC come addetto alle intercettazioni radio,

lavoro che fece nascere in lui l’interesse per la percezione. La pubblicazione de La

Storia dell’arte nel 1950 gli valse la nomina di “Slade Professor” di storia dell’arte

all'Oxford University. Consolidata la sua fama come studioso, insegnante e

conferenziere fu eletto, nel 1959, direttore del Warburg Institute e professore di

Storia della tradizione classica all’ University of London, ricoprì questa carica fino al

1976, anno in cui si ritirò dalla professione.

Il critico austriaco si impose come autore stimato della Storia dell’arte, come

studioso poco noto del Rinascimento italiano e come celebre interprete di psicologia

della rappresentazione pittorica.

Avvalendosi di metodi interdisciplinari nello studio della storia dell’arte, Gombrich

ha chiarito soprattutto il reciproco adattamento delle forme espressive alle strutture

percettive, ridefinendo la rappresentazione visiva coma attività culturale radicata

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nei repertori simbolici tramandati e comunque in sistemi di conoscenza irriducibili

alla mimesi naturalistica. Applicava allo studio dell’immagine naturalistica le nuove

scoperte della psicologia della percezione, della linguistica e delle teoria

dell’informazione.

La sua opera è il risultato dell’intreccio di un'intricata serie di problemi. Una sua

osservazione, apparsa in una breve nota biografica chiarisce il pensiero del critico:

”Volevo descrivere ciò che era successo veramente nell’evoluzione dell’arte. A volte

dico che al centro c’è la rappresentazione ,con il simbolismo da una parte e la

decorazione dall’altra.Tutte cose su cui si può riflettere e cercare di scrivere in

termini più generali (Uno schizzo autobiografico,in Argomenti del nostro tempo,

1994, p.16)

L’arte non nasce dalla natura, ma dall’arte stessa e dalla sua conoscenza.

Continuità e mutamento degli stili sono visti da Gombrich, nell’ambito del carattere

istituzionale del linguaggio artistico (da cui l’indagine sugli schermi, stereotipi,

simboli),come aggiustamenti dei linguaggi della tradizione rispondenti alle esigenze

e alle richieste del pubblico e della committenza, come risposta ad attese e

preferenze radicate in determinati comportamenti psicologici e sociali.

In un certo senso, è possibile affermare che La storia dell’arte e Arte e illusione, le

due opere più famose di Gombrich, abbiano stabilito la “griglia interpretativa”di tutti

i lavori successivi.

Il senso di una “catena vivente di tradizioni” e lo sforzo inesauribile di comprendere

i processi della mente umana, sono le costanti della multiforme indagine sull’arte e

sulla cultura operata da Gombrich.

I suoi interessi per l’immagine visiva dai fumetti alla pubblicità, dalle illustrazioni

medievali alle opere d’arte rinascimentali, lo caratterizzano come uno storico

dell’arte unico nel suo genere. In una vecchia recensione, egli faceva notare che ”La

distinzione tra poesia e linguaggio è sempre stata accettata come naturale; quella

tra arte e immagine sta diventando familiare solo gradualmente” ( Reflections on

the History of Ar, 1987).

Gombrich utilizza anche una vasta gamma di materiale psicologico, tuttavia non

può essere incasellato in un teoria specifica. Inoltre, fa riferimento alla teoria della

percezione che Popper chiamò “teoria del faro”(serchlight teory). L’aspettativa, sia

nella vita che nella pittura, è un elemento chiave della nostra esperienza e un

sapere a priori può essere corretto da esperienze successiva (teoria del “fare e

associare”). Di conseguenza la psicologia della percezione può essere collegata alla

”linguistica” dell’immagine:vi sono infatti forti somiglianze tra i modi in cui parole e

immagini suddividono l’esperienza. L’artificio contenuto nelle rappresentazioni

apparentemente naturali di azioni ed espressioni smentiscono l’idea che l’immagine

fornisca una “fetta di vita”.

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Gombrich si è naturalmente occupato degli argomenti cari a Warburg, ma i suoi

risultati sono differenti soprattutto a causa del suo profondo interesse per la

modalità che regola il funzionamento delle immagini, oggi come in passato.

Questo lo porta ad indagare il modo in cui le opere d’arte possano e siano

effettivamente comprese al momento della loro creazione e le convenzioni che

l’artista ha rispettato.

Mentre Warburg s'interessava di cultura popolare e Freud dei meccanismi del

pensiero diurno, Gombrich, lavorando con lo psicanalista Ernst Kriss sulle caricature

e i disegni satirici, si interessava all’immaginario vernacolare.

L’aspetto più rilevante del suo pensiero è, comunque, la devozione mostrata alla

verità e all’integrità morale e intellettuale dei contenuti teorici. Gli avvenimenti del

XX secolo hanno dimostrato che le idee possono tradursi in azioni: un pensiero

superficiale è irresponsabile e uno ipocrita non è accettabile. Le ideologie d’origine

totalitaria, marxismo e nazismo,hanno avuto dei risultati disastrosi nei confronti

dell’umanità.

Tra le opere pubblicate in Italia ricordiamo: Arte e illusione(1965),Freud e la

psicologia dell’arte(1967), Norme e forma(1973), A cavallo di un manico di

scopa(1976), Immagini simboliche(1978), Arte, percezione e realtà(1978), Il senso

dell’ordine(1984), L’immagine e l’occhio (1985), L’eredità di Apelle(1986), Ideali e

idoli(1986), Riflessioni sulla storia dell’arte(1991), Ombre(1996).

Esempi di analisi

Il ruolo dela critica. Nel testo The Heritage of Apelles, 1976 tr. L’eredità di

Apelle.Studi dell’arte del Rinascimento, 1986 il paragrafo intitolato “Il lievito della

critica nell’arte del Rinascimento:tesi e annedoti”, tratta in maniera congiunta gli

interessi rinascimentali verso l’arte e la scienza e studia il ruolo della critica nello

sviluppo dell’arte.

Egli è severo verso un certo tipo di critica che intende ”la valutazione scrupolosa dei

pregi e dei difetti di una determinata opera d’arte…” come c'è stato tramandato

dalle letteratura in materia del Rinascimento.

La cultura degli umanisti fu soprattutto letteraria e retorica, amavano felicitarsi con

se stessi per la fioritura delle arti della loro epoca, e si ispiravano a formule tratte

dagli autori classici. Della tradizione retorica utilizzano termini come decorum, la

questione della convenienza o paragone, riguardante l’emulazione delle arti.

Durante il Rinascimento ferveva il dibattito tra le varie scuole artistiche relativo

all’importanza del disegno e del colore; un antagonismo che prendeva di mira

Michelangelo o Tiziano.

Gli artisti del Rinascimento operavano avvertendo la pressione della critica e

l’evoluzione di alcuni metodi e soluzioni si produceva seguendo certi criteri con cui

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le opere erano giudicate. L’esistenza di tali criteri e la consapevolezza degli

insuccessi e dei successi poteva spiegare lo spirito di sperimentazione ed

un’emulazione che caratterizzava la “rinascita delle arti”.

Gombrich dichiara: “Senza una critica severa non può esistere un simile desiderio di

perfezionare determinate qualità. Scopo di questo studio è riunire alcuni testi al fine

di illustrare e verificare quest'interpretazione. Nessuno di essi è nuovo agli storici

dell’arte, ma esiste pur sempre la possibilità che essi si chiariscano a vicenda e

confermino il ruolo di quello spirito critico che ha ispirato la nuova concezione

dell’arte ….”.

Lo studioso nota che le espressioni di elogio appartengono al Rinascimento, ma

sono presenti anche in altre epoche e utilizzate anche dai poeti, Boccaccio, ad

esempio fa il panegirico di Giotto.

Gombirch scrive che per “aver piena consapevolezza degli obiettivi del

Rinascimento è spesso consigliabile accostarsi a esso dall’esterno “.

Considerazioni su Albrecht Dürer (Norimberga 1471-1528). Pittore e grafico

tedesco, figlio di un orafo compì un breve apprendistato nella bottega paterna, dove

imparò a maneggiare il bulino. Acquistò una solida preparazione come pittore e

grafico lavorando, fra il 1486 e il 1490, nelle bottega dl Michael Wolgemut e

Wilhelm Pleydenwurff, specializzata anche in xilografia.

Un viaggio nell’Alto Reno,in particolare a Basilea (1490-1494), gli permise di

approfondire le proprie cognizione nel campo dell’illustrazione dei libri e un primo

soggiorno a Venezia e nel Nord Italia lo avvicinò all’arte classica e rinascimentale

italiana, soprattutto ad Andrea Mantenga e a Giovanni Bellini.

Dürer cominciò ad acquistare fama con la monumentale serie di 14 xilografie

dell’Apocalisse (1498). La fama delle sue incisioni gli procurò il prestigioso incarico

di dipingere la gran pala con la Madonna del Rosario, per la chiesa di San

Bartolomeo a Praga.

L’incontro con Lucas Van Leyden influì notevolmente con l’opera grafica dell’artista,

mentre i contatti con i pittori fiamminghi stimolarono in lui l’interesse per il ritratto.

La rappresentazione della persona umana e la concezione prospettica dello spazio

erano diventati i due problemi centrali nell’opera di Dürer dopo il suo secondo

soggiorno veneziano. A essi egli dedicò anche rilevanti studi teorici: un trattato di

prospettive e geometria nel 1525, quattro libri sulle proporzioni del corpo umano

nel 1529. Fu sommo maestro del rinascimento tedesco, giunse a una felice fusione

dell’elemento nordico, fatto di penosa serietà, sensibilità finissima, trasognata

fantasia e meticolosa accuratezza, con il grandioso mondo formale, la magnificenza

cromatica e il pathos dei suoi modelli italiani.

“Albrecht Dürer si considerò discepole del Rinascimento italiano e suo missionario.

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Negli abbozzi e nelle formulazioni finali dei suoi libri teorici egli si sforzò

incessantemente di spiegare ai suoi lettori tedeschi in che modo la nuova

concezione dell’arte differisse da quella che essi imparavano nel loro paese…egli

insistette…sull’esistenza di fondamenti razionali in base ai quali era possibile

criticare i metodi tradizionali delle pittura gotica tedesca”. (L’eredità di Apelle.Studi

dell’arte del Rinascimento, “La testimonianza di Dürer”, 1986)

Gombrich cita un passo degli scritti del maestro tedesco: ”Finora, molti ragazzi

dotati venivano messi a bottega da un pittore per imparere l’arte; essi vi erano

tuttavia istruiti senza alcun principio razionale e solo conformemente all’uso

corrente. E così crescevano nell’ ignoranza, come un albero selvatico non potato. Ě

vero che alcuni di loro acquisirono abilità manuale con l’esercizio continuo…ma

senza alcuna meditazione e semplicemente secondo il loro gusto. I pittori

intelligenti e i veri maestri risero della cecità di questo genere ogni volta che videro

opere tanto noncuranti ;e non certo ingiustamente…ma che tali pittori fossero

insoddisfatti dei loro stessi errori si deve soltanto al fatto che essi non hanno mai

imparato l’arte della misura, senza la quale nessuno può diventare un buon

artigiano”.(Gombrich,p156-157).

La testimonianza di Dürer è preziosa per due motivi: conferma che i pittori della

vecchia maniera erano “ciechi” di fronte ai propri ”errori”, e insiste che quelli

educati secondo i nuovi criteri hanno ragione di criticare gli errori dei primi. Il

pittore tedesco parla per esperienza personale; educato alla bottega di Wolgemut,

egli,nota Gombrich, si rese conto che i dipinti di questa scuola erano pieni di difetti.

Una volta che le incisioni del Mantenga gli chiarirono come si configurasse un nudo

correttamente modellato, le incisioni degli xilografi tedeschi gli apparirono antiquate

ed errate. Fu proprio in questi due settori, prospettiva e nudo, che l’artista tedesco

riconobbe la superiorità del Rinascimento.

Un giorno chiese ad un amico umanista di scrivere una prefazione per il suo

Underweisung der Messung(Trattato sulle misure) e gli raccomandò di scrivere “che

io stimo altamente gli Italiani per i loro nudi e soprattutto per la prospettiva”.

Dürer non dubitava che la “misura”, ovvero, matematica potesse servire ad

eliminare gli errori prospettici, ma il problema della rappresentazione del nudo era

più elusivo, la precisione infatti non bastava. Gli italiani sembrava possedettero un

altro segreto la bellezza.

Credeva che il segreto che cercava fosse stato effettivamente conosciuto nel

passato e conservato nei testi antichi. Il declino dell’arte derivava per lui dalle

perdita di questi testi. Scrive: ”Molte centinaia d’anni fa vissero numerosi grandi

maestri menzionati negli scritti di Plinio, come Apelle, Protegene, Fidia…e altri.

Alcuni di essi scrissero libri dotti sulla pittura, ma ahimè sono andati perduti: ci

sono infatti sottratti e siamo privati del loro alto sapere…”.

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Gombrich nota come la critica di Dürer riguardi i fondamentali razionali dell’arte, e

dei mezzi piuttosto che dei fini dell’arte. Fu la perdita di tali fondamenti che portò

l’arte a “estinguersi finché non fu riportata alla vita mezzo secolo fa”. Chi distrusse

quei testi aveva confuso i mezzi con i fini. L’arte è un mezzo che può essere usata

per una buona o un cattiva causa. La bellezza come la prospettiva è un mezzo

dell’arte e avrebbe supplicato i padri della Chiesa in questo modo: ”Oh mie amati

Signori e Padri! Non distruggete miseramente, per timore del male che possono

arrecare ,le nobili invenzioni dell’arte …perché le stesse proporzioni che i pagani

attribuirono ad Apollo, noi potremo usarle per Cristo nostro Signore…come essi

ritennero Venere la più bella fra le donne, così noi potremo castamente usare la

stessa figura per la più pura….la Madre di Dio…”

La bellezza come la prospettiva erano un mezzo per cui esistevano delle regole e

Dürer era consapevole di ignorarne il segreto. Il perfezionamento si poteva ottenere

ascoltando le critiche, i pittori non si dovevano fidare ciecamente del proprio

giudizio in questo campo.

Continua l’artista tedesco:”…Perché io non stimo granché la mia arte; perché

conosco i miei difetti. Chiunque può quindi cercare di correggere i miei difetti

meglio che può… Volesse Dio ch’io potessi contemplare ora le opere e la maestria di

quei grandi artisti futuri che devono ancora nascere, perché credo che questo mi

aiuterebbe a migliorare”.

I maestri gotici erano stati ciechi di fronte ai loro errori, il Rinascimento aveva dato

nuovi strumenti all’artista.

Scrive Gombrich: ”Un’accettazione del concetto rinascimentale dell’arte implicava

un’accettazione della nozione di progresso .La critica implicava pertanto un’idea

della storia, quell’idea che Vasar,i una generazione dopo Dürer, racchiuse nella

prima edizione delle Vite” (Gombrich, p158).

La critica del Gombrich utilizza un linguaggio comprensibile e non eccessivamente

erudito, rendendola facilmente comprensibile. Riporta soventemente brani tratti

dallo stesso Dürer, rendendo così il lettore consapevole del pensiero dell’artista, poi

riporta il suo commento in cui non mancano riferimenti diacronici ad altri artisti e

filosofi, in una visione di insieme in cui si percepisce anche un approccio sociale e

psicologico, snodando così un filo conduttore che parte dall’ antichità.

“I precetti di Leonardo per comporre delle storie” (Norma e forma, 1973).

L’interesse di Gombrich per la figura di Leonardo iniziò quando, da ragazzo, gli fu

chiesto di scrivere un tema sul suo personaggio preferito, da allora Leonardo è

sempre stato per lui fonte inesauribile di interesse e fascino.

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Questo scritto è stato un contributo al congresso su Leonardo da Vinci tenuto a

Tours nel 1952, in cui Gombrich propone l’analisi critica di alcuni disegni fiorentini

di Leonardo evidenziandone la novità dello stile grafico.

L’artista opera “come uno scultore che modella la creta, e non accetta mai di

definire nessuna forma, bensì procede creando e ricreando, a rischio persino di

nascondere l’intenzione originaria”.(Gombrich, p211)

In alcuni disegni come, ad esempio, quello della Sant’Anna, Leonardo non riesce più

a ritrovare il bambino giusto a causa della gran confusione creata dai pentimenti.

Sappiamo che Leonardo era costretto, per chiarire la sua idea, a servirsi di uno stilo

e a ricalcare attraverso la carta fino a raggiungere la linea da lui definitivamente

scelta. Gombrich osserva che non vi sono precedenti di altri artisti che operavano

con un metodo simile.

Leonardo spiega la sua posizione: ”O tu compositore delle istorie non membrifficare

con terminati lineamenti…come a molti e vari pittori intervenire suole li quali

vogliano che ogni minimo segno di carbone sia valido e questi tali ponno bene

acquistare ricchezze ma non laude della sua morte, perché molte sono le volte, che

lo animale figurato non à li moti delle membra apropiate e modo mentale e

havendo lui fatta bella e grata membrifficatione ben finita li parrà cosa ingiuriosa a

trasmutare esse membra più alte o basse o più indietro che innanzi e questi tali non

sonno meritevoli d’alcune laude nella sua sientia” (Leonardo,Trattato della pittura) .

Il criterio a cui si opponeva Leonardo, si può dedurre, era quello della linea sicura e

infallibile che non necessita di ritocchi o ripensamenti. Era l’idea del perfetto artista

consacrato al disegno e un esempio di totale controllo della linea possiamo

ammirarlo in certi disegni medievali come nel Cigno di Villard de Honnecourt o in

Pisanello. Come sosteneva Cennini, il giovane allievo doveva copiare le opere dei

suoi maestri preferiti fino a quando le sapeva eseguire con estrema perfezione

tecnica rivelando, inoltre, quel medesimo interesse per la “pulitezza” che Leonardo

respingeva.

In realtà, durante il Medioevo, il disegno serviva a uno scopo diverso, in un mondo

in cui l’artista seguiva l’influsso delle tradizioni e dei modelli non era richiesta una

particolare capacità inventiva, ”l’attenzione era posto sulla facilità ch’egli dimostra

nel padroneggiare il ‘simile’, la formula, perciò sarà disapprovato il procedere per

tentativi” (Gombrich,p213) .

Gombrich sostiene che non era esatto credere che gli artisti di quel periodo non

avessero dei ripensamenti, ma semplicemente, quando aveva dei dubbi sulle sue

composizioni ricominciava da capo, disegnando l’una accanto all’altra le possibili

alternative.

Gombrich propone due esempi che hanno come tema la Vergine: un disegno della

fine del Trecento sull’Annunciazione che costituisce un buon esempio di come un

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artista si sforzava di trovare la composizione giusta senza far ricorso ad alcun

pentimento e uno Studio per la Vergine col Bambino di Leonardo del 1478

conservato al British Museum di Londra.

Nel secondo bozzetto compare il diverso approccio di Leonardo al disegno con

sovrapposizioni, ripensamenti ecc…

Nella continuazione dei Precetti, Leonardo rivela come volesse giustificare la sua

tendenza rivoluzionaria: ”Hor, non ai tu considerato li poeti de lor versi, alli quali

non dà noia il fare bella lettera né si cura di cancellare alcuni d’essi versi

riffaccendoli migliori, adonque pittore componi grossamente le membra delle tue

figure…” e insiste sulla dignità della pittura elevandola ad arte liberare pari, se non

superiore alla poesia. La pittura come la poesia è un’attività dello spirito e pone

l’accento sulla pulizia e la perfezione dell’esecuzione in un disegno è una cosa

indegna.

In realtà, critica il Gombrich, “L’insistenza sulla invenzione, sulla intellettualità

dell’arte può certamente portare al sovvertimento dei normali criteri di esecuzione

artistica”(Gombrich, p.214), ma non ha intenzione di soffermarsi su quest’aspetto,

evidenziando, invece, la nuove concezione di Leonardo dell’arte.

È interessato alla capacità di inventare e non di eseguire, l’artista deve essere libero

di seguire la sua immaginazione. Questa possibilità gli viene offerta dal bozzetto: ”Il

bozzar delle storie sia pronto, e’ l membrificare no’ sia troppo finito, sta contento

solamente a’siti d’esse membra, i quali poi a’bel’aggio piacendoti potrai finire”.

Ciò che importa e Leonardo è il moto mentale, negli studi per la Battaglia di

Anghiari troviamo questo nuovo metodo completamente sviluppato.

Nel brano finale dei Precetti leonardeschi, si lascia capire che per lui l’abbozzo non

era solo la testimonianza dell’ispirazione, ma potava anche divenire la fonte di

espirazioni successive:”…Io ho già veduto nelli nuvoli e’muri machie,che m’anno

deste a belle invenzioni di varie cose le quali machie anchora che integralmente

fussino in sé private di perfectione di qualonque membro non manchavano di

perfectione nelli loro movimenti o altre actioni”.

Questo brano ha sempre affascinato gli psicologi interessati alla creazione artistica,

sembra che Leonardo fosse un grado di creare in se stesso uno stato di trasognato

rapimento, ”nel quale l’immaginazione prendeva a giocare con scarabocchi e forme

irregolari, e che queste forme a loro volta aiutassero Leonardo ad abbandonarsi a

quella specie di estasi nella quale le sue visioni interiori potevano proiettarsi in

oggetti esterni” (Gombrich, p.216) .

Questo artificio si pone accanto alla sua scoperta dell’ ”indeterminato” e dell’effetto

che esso esercita sulla mente, scoperta che fece di lui l’inventore dello sfumato e

della forma semidefinita.

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Gombrich nota uno completo sovvertimento dei criteri tradizionali della bottega,

l’abbozzo non è più lo schema preparatorio di un’opera particolare, ma è invece

parte di un processo che si evolve nella mente dell’artista.

È stato notato che gli abbozzi per la Sant’Anna sviluppavano motivi della Madonna

del gatto e di altri disegni da lui eseguiti.

L’agnello della sant’Anna,simbolo della Passione di Cristo era stato in precedenza un

gatto e persino un unicorno.Proteso alla ricerca di una nuova soluzione,”Leonardo

ne adattava il nuovo significato alle forme che egli vedeva nei suoi vecchi schizzi

ormai respinti”.

La nostra distinzione tra “arte” e “scienza” sarebbe stata incomprensibile per

Leonardo, essa non poteva porsi come tale in un linguaggio nel quale la medicina o

anche la caccia con il falco erano “arti” mentre la pittura potava essere definita una

“scienza” poiché “…Nel Rinascimento a ogni aumento di quella libertà fantastica che

noi chiamiamo ‘arte’ doveva corrispondere un uguale rafforzamento di quegli studi

che noi ‘chiamiamo’scientifici” (Gombrich, p.219) .

Un volta superato il problema dei modelli e spinto il pittore a prendere visione di un

infinita varietà di gruppi e movimenti, solo la più profonda conoscenza delle forme

naturali poteva metterlo in grado di sviluppare il suo pensiero.

Ernest H.Gombirch ha sempre coltivato un profondo interesse per la metodologia

della storia dell’arte che lo ha portato a indagare le tecniche più attuali della

psicologi sperimentale, della percezione visiva e dell’informazione.

Inoltre, affronta un altro problema della psicologia di fronte ai fatti artistici:la

psicologia freudiana.

Mentre l’immagine stereotipa del pensiero di Freud vuole che l’opera d’arte si

spieghi attraverso il contenuto che il pensiero inconscio determina turbando

l’artista, Gombrich dimostra come Freud giunga a conclusioni del tutto opposte:

solo le idee inconsce che possono essere adeguate alla realtà delle strutture formali

diventano comunicabili. Di qui la possibilità di dare un preciso significato espressivo

allo stile, alla forma, alla struttura.

L’inconscio determina il linguaggio, l’opera d’arte può essere esaminata a tutti i

livelli come un sistema di strutture significanti, in cui la via inconscia ci riporta ai

momenti più vivi dell’epistemologia contemporanea.

Scrive “L’influenza di Sigmud Freud ha pervaso così profondamente l’arte e la critica

d’arte nel secolo XX che di rado ci si rende conto della reticenza e della cautela da

lui adottata in proposito alle sue opere…Nella splendida scelte di lettere pubblicata

nel 1960,l’atteggiamento di Freud nei riguardi delle arti plastiche del passato e del

presente può essere inquadrata nel contesto della sua ricca e sostanziosa cultura

così profondamente radicata nelle tradizioni della Bildung(formazione/educazione)

classica tedesca.In effetti,sino alla fine della sua vita Freud guardò l’arte e la

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letteratura con gli occhi di Goethe e Schopenhauer”.(Gombrich, Freud e la

psicologia dell’arte,p.13).

Considerazioni conclusive e valutazioni personali

Quale è stato il ruolo della critica nella storia dell’arte?

Quale funzione svolge all’interno della didattica e come potrebbe essere

somministrata?