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Elaborazione grafica di M. Ponzio 1

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Elaborazione grafica di M. Ponzio 1

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GESTIONE DI GRUPPI DI ADOLESCENTI IN APPRENDIMENTO

La maggior parte dell’azione didattica dell’insegnante è rivolta a gruppi di studenti; normalmente al gruppo-classe, e anche ad altre aggregazioni di allievi. Ma che cosa è un gruppo? Come agisce e reagisce? Come si forma? Quali sono le dinamiche che muovono i membri di un gruppo? Perché insegnare in una classe risulta piacevole e in un’altra no?

Nella scuola dell’autonomia il docente non risponde solo alla propria disciplina (e quindi solo a se stesso, in perfetta solitudine): tutti i docenti, insieme, sono chiamati alla costruzione dei curricoli (e dei profili formativi) coerenti e integrati. Si opera insieme, secondo la strategia del team teaching, in modo coordinato e cooperativo per progettare e governare didatticamente un intervento, e pervalutarne i risultati.

Nonostante il proliferare di commissioni, comitati, gruppi di studio e di progetto, la diffusione della cultura del lavoro in gruppo dei docenti della secondaria risulta ancora più imposta (e perciò disattesa) che compresa e voluta.

Al team teaching degli insegnanti corrisponde il team learning degli studenti, con caratteristiche peculiari centrate sul gruppo dei pari, sull’aiuto reciproco, sulla conversazione e sulla discussione. In tal senso vanno affermandosi tecniche come il brainstorming (per produrre nuove idee in gruppo) o il cooperative learning (apprendimento cooperativo in piccoli gruppi eterogenei) .

Alcune definizioni di gruppo:

Il gruppo può essere inteso come intersezione tra il personale e il sociale: è “il perno tra l’individuo anonimo e il sociale organizzato” (Amerio); “… è il luogo proprio dell’intersezione tra la persona che può identificarsi e individuarsinelle relazioni con gli altri, e il sociale che assume la configurazione di organizzazione” (Quaglino,1992 ).

Una definizione, più attenta alle caratteristiche individuali e ai vincoli soggettivi risale a Cattel (1951): “Un gruppo è un aggregato di organismi in cui l’esistenza di tutti è utilizzata per la soddisfazione dei bisogni di ognuno”.

Invece, altre definizioni sono più attente alle caratteristiche sociali e ai vincoli del collettivo. Il gruppo è una totalità e si identifica come soggetto sociale organizzato (come l’individuo o l’ambiente), è un’unità in grado di esprimere comportamenti, valori culturali propri, differenti da quelli delle singole persone che ne fanno parte (K. Lewin). O ancora, e in chiave psicanalitica: il gruppo è globalità interdipendente che sviluppa pensiero ed emozioni al di là del singolo membro e, parallelamente, individua nella partecipazione psicologica – oltre che nei contenuti psichici dei singoli – la fonte della costruzione del gruppo stesso (Bion).

Riflessioni: La classe è gruppo in apprendimento; tutte le definizioni di gruppo sono pertinenti (Amerio, Quaglino, Cattel, Lewin e Bion): ma quale si avvicina maggiormente alla nostra idea di classe?

IL GRUPPO

Le tecniche del brainstorming e del cooperative learning sono state prese in esame nel modulo 9 (come lezione in presenza). Accanto al testo di QUAGLINO G.P., CASAGRANDE S., CASTELLANO A., Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cortina, Milano, 1992; si consiglia DOMINUCO G.,

FRIGERIO A. (a cura di), Lavorare in team, Centro Doc. Educativa, 1996; MUCCHIELLI R., La dinamica di gruppo, LDC, Torino, 1980; SUMMA I., ARMONE A., Formarsi per

formare, Editrice T.e.m.i., Bologna, 1997

LE FONTI DEGLI STUDI SUL GRUPPO

La prima metà del ‘900 ha visto nascere e fiorire gli studi sui gruppi. Sono quattro le fonti principali: l’inchiesta di Hawthorne in ambito aziendale, la psicoterapia di gruppo per la salute mentale, la sociometria di Moreno per l’analisi delle relazioni affettive informali e la teoria del campo di Lewin per le dinamiche di gruppo.

L’inchiesta di Hawthorne (1927 – 1932)

Fu uno studio teso a rilevare quanto influiscono le condizioni di lavoro sul rendimento degli operai . Risultati: a) tutto l’ambiente di lavoro (che sino ad allora era ritenuto “oggettivo”, neutro) appariva pregno di significati

psicologici e sociali; b) il gruppo genera al proprio interno una organizzazione informale, che ha lo scopo di mantenere modelli di vita colettiva destinati a proteggere il gruppo stesso dai mutamenti e dalle pressioni esterne.

Riflessioni: Anche nella scuola i fenomeni di gruppo incidono sui processi di insegnamentoe di apprendimento: in che modo? Vanno contrastati o assecondati?

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La psicoterapia di gruppo

La psicanalisi (Freud) era prevalentemente orientata all’individuo, al suo passato (infanzia) e al suo inconscio, ma alcuni medici già all’inizio del ‘900 ricercavano metodi diretti di riadattamento sociale degli ammalati tramite la loro partecipazione in gruppi .

Riflessioni: Senza arrivare a forme di terapia propriamente detta, la classe (come gruppo) può supportare (aiutare) il singolo allievo nell’affrontare difficoltà eproblemi. Quali problemi possono essereaffrontati?

Senz’altro quelli cognitivi (es., difficoltà nello studio, nella comprensione o nell’esposizione); e se questi sono a loro volta causati da problemi relazionali e/o affettivi?

Inizialmente (1927) fu avviato uno studio sperimentale classico (con variazioni di condizioni oggettive) intervistando 20.000 persone della Western Electric. Poi (1931) si passò all’analisi dei fenomeni di gruppo (come le reazioni specifiche, le relazioni informali, la vita collettiva, la struttura interna, ecc.) che si ripercuotevano su: lavoro, rendimento, relazioni gerarchiche e funzionali. L’osservazione sistematica si protrasse per 8 mesi su un gruppo di 14 operai.

1900: R. Vogt, norvegese, colloca i malati gravi in famiglie selezionate (per terapie intra-familiari). 1905: J.H. Pratt, statunitense, organizza “classi” in cliniche “di controllo pensiero” per spiegare agli ammalati la natura delle loro turbe psichiche.

1915:Joergensen, danese, usa come metodo di cura, scene teatrali improvvisate dagli stessi malati mentali. 1920: Green, statunitense, cura la balbuzie nei gruppi.

1934: Slavson crea la psicoterapia dei gruppi di gioco per malati in età prescolare e la psicoterapia di gruppo, con discussioni, per adolescenti e adulti.

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La sociometria di Jacob Moreno

J. Moreno presenta due idee di fondo:

a) La dimensione sociale è l’essenza della personalità: la personalità non è interiorità nascosta e separata, ma un insieme di ruoli sociali, che vengono vissuti e che possono essere continuamente mutare. Su questa base Moreno propone (1928) le tecniche dello psicodramma e del gioco delle parti nell’ambito della psicoterapia di gruppo .

b) Ogni gruppo umano ha una struttura affettiva informale che determina i comportamenti degli individui nel gruppo, gli uni nei confronti degli altri. Su questa base avvia (1932) la sociometria e il test sociometrico che punta all’analisi delle relazioni affettive informali in un gruppo ristretto.

Il test sociometrico si basa sull’analisi delle scelte e/o dei rifiuti che ogni membro del gruppo effettua verso gli altri e riceve dagli altri. Come si applica il test sociometrico in classe? Ogni allievo deve rispondere per iscritto alle domande “con chi vorresti …” e “con chi non vorresti …” indicando i nomi dei compagni che vorrebbe o non vorrebbe con sé nello svolgere determinate “attività-

criterio”. Es.: la domanda“ con chi vorresti studiare matematica” è connessa ad un criterio cognitivo; “con chi vorresti stare nello

scompartimento in treno per la gita a … ” è connessa ad un criterio affettivo; “con chi vorresti giocare a pallavolo (torneo)” è connessa ad un criterio funzionale. Ogni allievo indica fino ad un massimo di 5 scelte e di 5 rifiuti. Alla conclusione si raccolgono tutti i risultati in una tabella a doppia entrata (sociomatrice). Le sommatorie delle scelte e dei rifiuti permettono di individuare le tipologie sociali dei soggetti: i leader (ottengono prime scelte), i popolari (non sempre leader, presentano molte scelte, senza rifiuti), i rifiutati (ottengono molti rifiuti e poche scelte), gli emarginati (né scelti né rifiutati), le coppie (prime scelte reciproche), ecc. La distribuzione delle scelte e dei rifiuti permette di disegnare il sociogramma ossia lo schema delle aggregazioni dei gruppi e sottogruppi all’interno della classe in riferimento al criterio dato.

Moreno, della scuola psicanalitica, già nel 1913 utilizza il piccolo gruppo (in discussione libera) per esperimenti di riadattamento sociale di prostitute. Nel 1916- 17, durante la prima guerra mondiale, studia come, nei campi di concentramento, i gruppi si istituiscono spontaneamente e come evolvono i fenomeni di tensioni collettive. Nel 1918 rappresenta a Vienna saggi di teatro terapeutico. Dal 1925 è negli USA, dove nel 34 e nel 35 incontra Kurt Lewin. Ora risultano più chiare le funzioni terapeutiche (catartiche, liberatorie, per superare una stato di malattia) dello psicodramma (drammatizzazione recitata su copione) e di una sua tecnica (il “gioco delle parti”, con drammatizzazione nella simulazione di un ruolo, senza copione). Dal “gioco delle parti” fu successivamente messa a punto la tecnica del role play a scopo formativo (v. mod. 8), non per il superamento di un’infermità, ma per la costruzione di competenze operative e di “atteggiamenti” mentali. Per l’approfondimento della tecnica del sociodramma si propone in allegato l’articolo di A. De Matteis, Prospettive e potenzialità del sociogramma nel gruppo

classe. La versione originale c/o

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Riflessioni: Ci deve essere coerenza tra il criterio e l’uso dei risultati del test: si applica il criterio cognitivo per formare gruppi a supporto dell’apprendimento; il criterio affettivo per migliorare le motivazioni e le relazioni interpersonali; il criterio funzionale per potenziare la coesione di un gruppo. È sempre opportuno mettere insieme soggetti che si accettano e che si scelgono? Come coinvolgere i rifiutati o gli emarginati? Come coordinare le frequenti scelte separate tra maschi e femmine?

K.Lewin e la teoria del campo

Per Lewin ogni persona (e ogni gruppo) vive una situazione psicologica costituita da eventi interdipendenti (pensieri, azioni, desideri, …); è questo lo spazio vitale di un soggetto ed è rappresentato da tutto ciò che, in un dato momento, è rilevante per l’individuo o per il gruppo. Il gruppo è una totalità che trascende la somma dei fenomeni psicologici dei singoli membri .

I fattori che costituiscono lo spazio vitale sono in continua interazione; non l’ambiente in sé e neppure le singole persone, ma le

interazioni tra le persone e con l’ambiente rappresentano il campo psicologico. Il gruppo è un campo di relazioni. Lewin distingue due sistemi di relazioni: a) relazioni interpersonali tra i singoli membri e b) relazioni sociali tra i membri e il gruppo nella sua complessità.

Il gruppo è un sistema che si evolve e, attraverso fasi di sviluppo, punta ad un adattamento che trasforma le relazioni interpersonali in relazioni sociali (massima maturità interna del gruppo).

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La dinamica di gruppo nella classe

La dinamica di gruppo prende in esame l’influenza reciproca tra membri di un gruppo e ne analizza l’interdipendenza tra le persone. Alla base della dinamica di gruppo matura il processo di socializzazione. Qualunque cambiamento di un membro determina un cambiamento di tutti gli altri membri; ciò determina stati di equilibrio instabile fino al raggiungimento di un comportamento adattivo

equilibratore.

La dinamica di gruppo segna il passaggio dal concetto di personalità a quello di sintalità. In un soggetto-individuo, la personalità è il modo in cui egli interpreta e rende unica ed unitaria la propria esperienza, secondo l’idea di sé; la sintalità è il modo in

cui un gruppo interpreta e rende unica ed unitaria la propria esperienza, secondo la pluralità vissuta. Essendo il gruppo un “organismo vivo” dotato di potenzialità conoscitive ed operative comuni e condivise, la sintalità (o “sintesi delle personalità”) è il processo di costruzione di una “personalità del gruppo”, della sua immagine e della sua identità.

L’insegnante, entrando in aula, percepisce la sintalità della classe: la sintalità è bassa quando il gruppo è estremamente frammentato, con relazioni deboli e inconsistenti; è elevata quando il gruppo è coeso, compatto, solidale. La sintalità della classe può anche essere “contro” l’insegnante: ciò nonostante didatticamente è preferibile un gruppo a forte sintalità (e in opposizione aldocente) ad un gruppo amorfo, disaggregato. Riflessione: l’allievo impara di più in un gruppo a bassa o ad alta sintalità?, in un gruppo solidale o in un gruppo discorde? Come si può stabilire un equilibrio tra esigenze del singolo ed esigenze del gruppo?

L’apprendimento, secondo l’ottica della dinamica di gruppo, è un insieme di processi che comportano un cambiamento: a) nella struttura conoscitiva, b) nella motivazione, c) nell’appartenenza di gruppo. Pertanto, complementare all’apprendimento, l’insegnamento è processo di facilitazione del clima (dinamiche) e dell’atmosfera educativa. Il gruppo in situazione educativa:

1. Garantisce il raggiungimento di un livello di sicurezza personale (Festinger, 1954) 2. Accelera e/o migliora i processi di apprendimento (Lott, 1966; Scilligo, 1973) 3. Aumenta l’efficienza e la funzionalità del lavoro (Spaltro, 1973) 4. Influenza il ritmo dello sviluppo intellettivo (Backman, 1973) 5. Influenza la maturazione affettiva dell’individuo (Lewin, 1946)

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Il gruppo come sistema

Un sistema è un complesso di elementi in interazione. La complessità del sistema è data da: • NUMERO degli elementi • SPECIE (tipologie) degli elementi • RELAZIONI tra elementi

Gli elementi in un gruppo sono, ovviamente, le persone e le RELAZIONI all'interno del gruppo variano a seconda:

• delle CARATTERISTICHE delle persone • dell’AMBIENTE in cui il gruppo opera • delle FINALITÀ per cui il gruppo opera

Il gruppo come sistema sociale è:

APERTO = influenzato e condizionato dall’ambiente (sono particolari i gruppi “chiusi”, i clan o le "bande", presenti anche tra gli adolescenti).

DINAMICO = in evoluzione continua a causa delle interazioni fra gli elementi del gruppo e con l’esterno. PROBABILISTICO = procede in modo euristico, con risultati possibili e/o probabili, ma non certi

Anche gli studi sui gruppi,secondo l’approccio sistemico, derivano dall’intersecazione di molteplici discipline; in particolare dalla cibernetica, dalla teoria dell’informazione, dalla teoria dellacomunicazione, dall'antropologia culturale e dalla prossemica.

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La prossemica

La prossemica è lo studio delle relazioni e delle distanze interpersonali che si stabiliscono tra gli individui, tra loro e gli oggetti che usano e gli spazi in cui agiscono.

L’occupazione degli spazi è correlata: ���� alle DINAMICHE INTERATTIVE (cultura, provenienza, sesso, ruolo, status, …) e

���� alle DINAMICHE PSICOSOCIALI (da cui: posti in aula, a tavola, in pubblico).

Riflessione: Qual è l'occupazione degli spazi in aula? Deve essere libera, guidata o imposta? Come deve essere la disposizione dei banchi per una lezione cattedratica? Per una discussione di gruppo? Per un lavoro a piccoli gruppi?

Per ciò che riguarda la distanza tra le persone, Hall ha individuato 4 categorie:

INTIMA: è una non-distanza, contatto fisico, ruolo determinante del corpo e degli arti, del calore, dell’odore, dello sguardo, della bassa tonalità della voce

PERSONALE: distanza di due braccia (nel darsi la mano), per argomenti personali e professionali; è determinata da status, posizione, ruolo, sguardo, giusta tonalità della voce

SOCIALE: da 1 a 4/5 metri, contatto formalizzato; è determinata da ruolo, posizione, status, asimmetria, contatto oculare, voce poco flessibile

PUBBLICA: oltre i 5 metri; conferenza, tribuna, comizio, spesso intervengono i media.

Riflessione: Le distanze “corrette” per la relazione didattica sono la “personale” e la “sociale”. Eppure possono avverarsi anche le altre due (intima e pubblica): in quali situazioni formative, e con quali problemi

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Tipi di gruppi

Esistono svariate classificazioni dei gruppi data l’eterogeneità dei criteri adottati: a seconda della costruzione del gruppo (come nasce), della sua costituzione (da chi è composto), delle sue funzioni (per fare che cosa), dei rapporti che detiene conl'organizzazione (in che modo opera), o del campo di applicazione (dove opera).

Un'utile classificazione è quella legata allo scopo e all'impiego del gruppo . Ecco alcuni tipi di gruppi. Tutti, ad eccezione dell'ultimo (gruppi terapeutici), possono essere gruppi scolastici.

I GRUPPI DI DISCUSSIONE. Lo scopo dei partecipanti è identico, spesso sono differenti le motivazioni e le opinioni, talora contrastanti. I partecipanti discutono lo stesso argomento pur partendo da punti di vista e da convinzioni differenti. Cfr. i focus

group e i gruppi di brain- storming.

I GRUPPI DI ATTIVITÀ. Vivere insieme un’esperienza, un’attività facilita la maturazione sociale, il senso di appartenenza, e lacoesione di un gruppo. Impegnarsi congiuntamente consente il costituirsi di una mentalità di gruppo. Appartengono a questo tipo i gruppi di gioco, che facilitano lo sviluppo della socialità e la capacità di collaborare.

I GRUPPI DI LAVORO. In senso lato tutti i gruppi tendenti ad uno scopo sono gruppi di lavoro. Più specificatamente essi sono

finalizzati ed operano concretamente per il raggiungimento di un obiettivo produttivo, condiviso e verso cui tutto il gruppo tende. Sviluppano in modo spiccato il senso di appartenenza e lo spirito di gruppo. Cfr. i gruppi di progetto, o i gruppi nei laboratori.

DI APPRENDIMENTO. Hanno lo scopo di progredire nell’apprendimento, utilizzando le competenze e le risorse di tutti a favore dei singoli membri del gruppo. Cfr. i gruppi nel cooperative learning.

I GRUPPI DI ORIENTAMENTO. Hanno lo scopo di indirizzare le scelte dei partecipanti, i quali prendono coscienza delle proprie capacità, acquisiscono informazioni a fondamento delle chiarificazioni personali e delle decisioni conseguenti. Cfr. i gruppi di

interesse nelle attività facoltative.

I GRUPPI DI COUNSELING. Hanno lo scopo di aiutare (facilitare, accompagnare, consigliare) nella soluzione di problemi individuali e di gruppo. A differenza dei gruppi terapeutici (che conducono alla modificazione della personalità), i gruppi di counseling si fondano sulla chiarificazione dei problemi personali, sull’informazione e lasciano libero il soggetto di fare le proprie scelte.

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I GRUPPI TERAPEUTICI. Hanno la finalità di restituire al soggetto che vi partecipa l’equilibrio psicologico, attraverso una modificazione anche profonda e/o estesa della struttura della personalità. Possono essere centrati sul

soggetto stesso (psicoterapia) anche attraverso proiezioni catartiche (drammatizzazione), sulle relazioni tra i membri (terapia relazionale o sistemica) o sull’elaborazione consapevole delle cognizioni dei singoli (terapia

cognitiva). Sono terapeutici anche i gruppi di rimozione,il cui scopo è di rimuovere dalla coscienza determinati contenuti attraverso il potenziamento del super-io e del meccanismo della censura. La classificazione proposta è un'elaborazione da Novaga M., Borsatti, Il lavoro di gruppo, Patron, Bologna 1978.

I gruppi nell’organizzazione della scuola

I gruppi organizzati nella scuola sono molteplici: possono essere formali o informali.

I GRUPPI FORMALI adempiono a scopi specifici in rapporto con l’obiettivo generale dell’organizzazione. A seconda della durata, possono essere permanenti, connessi a funzioni continue (pur modificandosi la partecipazione interna), o temporanei (che durano secondo il ciclo di vita del compito assegnato).

Nella scuola sono gruppi formali permanenti: benché grande gruppo anche il Collegio dei Docenti) i team di progetto; il team è un gruppo paritario; la responsabilità dei membri è operativa, i dipartimenti (o gruppi di insegnanti di area o di ambito disciplinare),

lo staff di dirigenza, con i collaboratori del dirigente scolastico, e i referenti di sedi o di succursali; lo staff è un gruppo gerarchico; la responsabilità dei membri è organizzativa,L’equipe di coordinamento per funzioni obiettivo; l’equipe è gruppo i cui i partecipanti hanno funzioni diverse; la responsabilità dei membri è relativa ai risultati da ciascuno conseguiti,���� l il comitato di valutazione degli insegnanti, le unità di servizio, i centri di risorse, l’assemblea e la consulta degli studenti,

���� le associazioni di genitori (rappresentanti di genitori sono componenti negli Organi collegiali).

Sono invece, gruppi formali temporanei le commissioni, i gruppi di studio, i gruppi di progetto, … (Ad essi possono partecipare, oltre ai docenti anche il personale tecnico ed amministrativo, gli studenti e i genitori). I loro scopi, durata e composizione sono definiti dagli organi collegiali.

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I GRUPPI INFORMALI in un’istituzione come la scuola nascono da “particolari combinazioni” tra fattori formali e bisogni dei singoli. La persona ha bisogni che trascendono il semplice bisogno di fare il proprio lavoro. Esistono bisogni connessi all'affermazione di sé, di star bene con gli altri, al perseguimento di ideali, ecc.: la soddisfazione di alcuni di questi bisogni viene cercata formando una serie di rapporti con altri componenti dell’istituzione (gruppo orizzontale, verticale, misto).

I gruppi informali nella scuola sono aggregazioni spontanee di persone appartenenti al sistema-scuola (docenti, studenti, amministrativi, tecnici, ausiliari) nate per soddisfare esigenze personali e ralazionali; talvolta le attività dei gruppi informali sono svolte in ambito scolastico (es.: "spazi benessere"), ma il più delle volte si svolgono in ambienti non scolastici.

Sia per i docenti che per gli studenti le relazioni e i gruppi informali sono determinanti per le interazioni negli ambienti formali. Il fallimento di un’organizzazione è per lo più dovuto alla scarsa considerazione riservata agli elementi informali delle interazioni sociali

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L’osservazione e la comprensione dei fenomeni di gruppo

L’insegnante, attento alle dinamiche relazionali tra/con gli studenti, è un buon osservatore dei fenomeni di gruppo (presupposto per essere un buon valutatore) quando: osservare solo parte della realtà e con un’ottica particolare, la sua),

���� È in possesso di concetti e conoscenze che gli permettono di riconoscere i fenomeni e di registrarli.

Riflessione: prima si osserva e poi ci si forma un’idea su ciò che si è osservato? O, al contrario, dapprima si ha un’idea (o un concetto, o un modello, o una griglia di indicatori/descrittori) e successivamente si osserva ciò che il modello esige d’essere osservato? Per l’osservazione delle dinamiche sociali, nél’uno né l’altro: tra osservazione e concettualizzazione c’èscambio reciproco immanente, sviluppo continuo nell’intensione (profondità) e nell’estensione (ampiezza).

L’osservazione della dinamica di gruppo esige che si afferri «ciò che succede» da un certo punto di vista. Per comprendere ciò che accade, dal punto di vista docente, è necessario selezionare nella massa dei dati visibili quelli significativi che caratterizzano le dinamiche del gruppo.

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L’insegnante-osservatore nella dinamica del gruppo di classe

L’osservazione dei fenomeni di gruppo pone il problema generale dell’osservatore-perturbatore. Così, il docente (che è sempre esterno al gruppo-classe) intervenendo in un gruppo trasforma l’intera situazione e soprattutto altera la dinamica interna del gruppo. La presenza del docente-osservatore può dar luogo ad alcuni fenomeni quali:

gli studenti estinguono le reazioni spontanee abituali

gli studenti spostano l'attenzione sul docente

gli studenti mostrano inquietudine o ostilità verso il docente

il gruppo solidarizza pro o contro il docente osservatore.

Per ridurre questi inconvenienti, accanto alla progressiva familiarizzazione con l'ambiente, si possono utilizzare tecniche osservative diverse quali :

• Osservazione partecipante (l'insegnante partecipa attivamente ai lavori del gruppo)

• Osservazione invisibile (l'insegnante osserva in modo discreto e appartato)

• Osservazione differita (non sono valide le prime osservazioni, ma solo quelle dopo un periodo di assestamento)

• Osservazione oggettiva (l'insegnante osserva comportamenti sintomatici o caratteristici, predefiniti – anche

tramite griglie)

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Decentramento e oggettività del docente osservatore

Ci sono situazioni didattiche (es.: tecniche attive, attività partecipative, discussioni tra studenti, …) in cui il docente è prima di tutto coordinatore e quindi osservatore delle dinamiche relazionali. Ecco alcune regole per l’osservazione delle attività del gruppo di adolescenti: Non lasciarsi afferrare o affascinare dal significato immediato del contenuto. Se ci si lascia coinvolgere in una discussione si perdono di vista i significati degli atteggiamenti. Se viene chiesto l’intervento del docente, costui non deve dare pareri personali o prendere posizione; dovrà invece riflettere su che cosa significa tale richiesta nella dinamica del gruppo (lo si vuole coinvolgere nella discussione?, come arbitro?, o come alleato?, lo si vuole mettere alla prova?)

− Non essere implicati personalmente per non essere risucchiati dalla vita socio-affettiva del gruppo. Prendere posizione in un conflitto, lasciarsi afferrare dalla simpatia o dall’antipatia per un membro

del gruppo, essere esasperati per il modo di agire di un gruppo, … sono ostacoli insormontabili alla percezione e alla comprensione della dinamica del gruppo.

Non interpretare ciò che avviene, non «proiettarsi» sul gruppo I desideri e i timori dell’osservatore distorcono la sua percezione e vede solamente ciò che lui stesso ha portato (cioè il suo proprio riflesso). Decentrarsi significa comprendere i fenomeni e restare personalmente oggettivi, senza restare invischiati nel suo contenuto e senza credersi personalmente parte in causa.

Essere attenti e presenti a ciò che avviene "qui e ora", senza distrazioni e senza disinteresse. Cogliere sia i silenzi che le esclamazioni, le posizioni dei partecipanti, gli atteggiamenti discreti e gli interventi aggressivi, i soliloqui e le prese di decisione,…

− Dare prova di empatia: cioè comprendere (essere comprensivi) senza per questo lasciarsi trascinare dai movimenti affettivi; accettare il modo in cui gli altri sentono e ciò che gli altri provano, sempre conservando una capacità intellettuale di formulazione astratta. È necessario astenersi dal giudizio e dalle implicazioni affettive di parte.

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Team teaching e Team learning

Il team teaching è una forma di organizzazione dell'insegnamento nella quale un gruppo di docenti si prende carico congiuntamente dell'attività formativa da svolgere a favore di un gruppo di studenti. È questa una proposta avanzata negli anni '60 e diretta a rendere più flessibile l'attività formativa della scuola, permettendo di organizzarla in forme diversificate e secondo modalitàorganizzative collaborative.

Il team teaching si presenta oggi come un metodo di organizzazione degli insegnanti, degli studenti, dello spazio e del tempo e dei contenuti, all'insegna di una logica progettuale, di conduzione, di valutazione, ma anche di valorizzazione di tutte le risorse presenti. Gli insegnanti che partecipano al team teaching dovranno negoziare e condividere la strategia collaborativa, ed in particolare: gli scopi e le modalità di lavoro;

l'organizzazione dei gruppi (la dimensione, la costituzione e le regole);

le dinamiche e le caratteristiche di gruppo (le manifestazioni, le azioni, gli aspetti comunicativi, il clima, la leadership), i contenuti e le altre variabili didattiche (obiettivi, ruoli, metodi, valutazione).

Al team teaching corrisponde quasi sempre una qualche forma di team learning o di apprendimento in gruppo.

Il gruppo, anche abbastanza vasto, degli allievi può essere riorganizzato secondo modalità diversificate: per gruppo totale, per gruppi più ristretti ma consistenti, per piccoli gruppi, per coppie, a seconda delle necessità e delle possibilità date dalle diverse attività didattiche previste. Pertanto, e a solo titolo esemplificativo, possiamo indicare le dimensioni ottimali dei gruppi a seconda dell'azione didattica intrapresa: una lezione ex cathedra può essere rivolta a grandi gruppi (anche 50 o più studenti), mentre una lezione dialogata o

partecipata richiederà un gruppo un po' più ristretto (più o meno le dimensioni di una classe attuale); in una attività di brain storming o di focus group il gruppo ideale va da 8 a 12 partecipanti (come un consiglio di classe), in una seduta di cooperative learning le dimensioni giuste sono di quattro studenti.

Con il team teaching, e il corrispondente team learning, siamo dinanzi ad una proposta metodologica orientataall'acquisizione di competenze cognitive e sociali, da parte dell'individuo e del gruppo, attraverso modalità cooperative che possono essere espresse in: conversazione e discussione guidata (in gruppi a diverse gruppo dei pari (con tutte le strategie utili ad affrontare i compiti fissati, a focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti decisivi, a incoraggiare e stimolare ma anche controllare conflitti possibili, a favorire un clima collaborativo); aiuto reciproco (con l'azione di peer tutoring da parte di qualche altro studente, con azione a di scambio di ruoli fatta vivere a tutti partecipanti al gruppo).

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Personalizzazione dei percorsi formativi

Alcune considerazioni introduttive

Le dimensioni della personalizzazione e della individualizzazione nella progettazione e nella realizzazione di percorsi formativi rivolti a soggetti adulti costituiscono, tra le dimensioni della qualità formativa individuate, quelle più fini, quelle per così dire più“qualitative”, ovvero capaci di favorire maggiormente il successo delle azioni formative e di tenere il passo con i pro- cessi di innovazione ecambiamento in atto.

È opportuno sottolineare come nel contesto italia- no tali dimensioni di qualità, imprescindibili nella costruzione di percorsi formativi rivolti ad un’utenza adulta, sono desunte dalla elaborazione teorica e dall’esperienza maturata in altri contesti, soprattutto quello francese, più che dall’esperienza concreta derivata da un loro utilizzo sistematico e diffuso. Al momento attuale in Italia, come d’altra parte risulta dagli studi di caso realizzati, pur in presenza della forte consapevolezza della necessità di strutturare percorsi formativi personalizzati e/o individualizzati, la messa in atto e a regime delle condizioni che rendono realmente fattibili percorsi formativi cosìstrutturati, è tuttora limitata: quello che è possibile ritrovare è la presenza di indizi relativi all’applicazione dei concetti di individualizzazione e personalizzazione, l’adozione, talvolta inconsapevole, di pratiche didattiche e di strumenti che tendono ad avvicinare il più possibile la proposta formativa alle specificità e alle esigenze dei soggetti.

Infatti, anche se con ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, l’Italia dimostra una crescente attenzione nel riconoscere la centralità della formazione delle persone adulte, nella prospettiva del lifelong learning, ai fini del loro inserimento sociale e professionale.

La stessa produzione normativa degli ultimi anni testimonia i profondi mutamenti avvenuti all’interno del sistema della formazione e l’affermarsi di una nuova concezione del “fare formazione”. Ma fino al 1997, anno di emanazione dell’Ordinanza Ministeriale 455/97 in materia di educazione degli adulti si sono succeduti in maniera disorganica nei diversi segmenti dell’istruzione scolastica, dall’alfabetizzazione ai corsi serali di istruzione superiore, ripetendo i modelli della scuola del mattino, cercando di inseguire emergenze e di dare in qualche modo risposta alla domanda di formazione espressa dai nuovi soggetti sociali”

Al momento attuale, la maggiore e più diffusa conoscenza e consapevolezza della necessità di introdurre pratiche formative ispirate ai principi della personalizzazione e individualizzazione dei percorsi deve comunque fare i conti con una serie di vincoli di natura normativa, organizzativa e amministrativa che ostacolano la possibilità di realizzare concretamente interventi formativi personalizzati e individualizzati. Ma, come emerge in maniera chiara dall’analisi dei casi studiati, a fronte dei numerosi vincoli esistenti, il requisito principale delle esperienze positive realizzate è rappresentato dalla forte volontà, dal grado di motivazione che i diversi attori in campo sono in grado di esprimere rispetto all’adozione di questo modello di intervento

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Per procedere, a questo punto, è necessario porsi un interrogativo:

Quali sono i fattori che inducono a ricondurre il successo degli interventi formativi all’adozione di strategie di personalizzazione e

individualizzazione?

Il cambiamento incalza, il passaggio dal fordismo al post-fordismo ha determinato un vero e proprio mutamento di paradigma non solo produttivo ma anche sociale: cambiano gli scenari, cambiano i processi di lavoro, la struttura e i rapporti con il mercato, che diventa globale, la natura e le funzioni dei gruppi sociali e delle comunità politiche, il ruolo del lavoro nella vita degli individui e dei gruppi, la dinamica della competizione che richiede competenze professionali nuove e più qualificate. Con l’introduzione delle nuove tecnologie, in particolare di quelle informatiche e della comunicazione, anche la concezione stessa del lavoro è cambiata, “(…) l’occupazione ha per- duto le sue certezze e le sue funzioni protettive di un tempo. (…)

Sull’onda dell’automazione attuale e futura il sistema del pieno impiego standardizzato comincia a farsi meno rigido, a sfilacciarsi ai margini, con la flessibilizzazione dei tre pilastri sui quali si sostiene: diritto del lavoro, luogo di lavoro e orario di lavoro. Perciò i confini tra lavoro e non-lavoro sono diventati fluidi”

Se le società del futuro saranno sempre meno società di produzione di beni e di consumi materiali e sempre più di produzione e di consumo di conoscenze, di saperi, di tecnologie (learning society), allora anche la concezione di fondo della formazione, il modo di pensarla cambia e dovrà cambiare per svolgere una funzione che facilita, sostiene, sviluppa apprendimento, ma anche socializzazione, per diventare progetto esistenziale non separato dal percorso di vita del soggetto e in grado di ridurre la distanza tra momento formativo e momento lavorativo (apprendimento e formazione come materia prima, come capitale primario e mezzo di produzione fondamentale).

L’idoneità al mercato del lavoro esige formazione, ma una formazione nuova perché quella “tradizionale” che doveva bastare per tutta la vita non è più sufficiente per rispondere alla domanda di un mercato che richiede flessibilità, adattabilità al mutare delle tecnologie e delle conoscenze, attenzione alle relazioni e alle emozioni. Il modello formativo tradizionale basato su una offerta indifferenziata, che agisce su biografie standard, non risulta più adeguato a svolgere un ruolo dominante e quasi esclusivo, soprattutto nel caso di un’utenza adulta per la quale il ricorso a strategie di personalizzazione ed individualizzazione è condizione essenziale per facilitare il rientro in formazione e per una riappropriazione dei fini dell’apprendimento.

Per un soggetto adulto, infatti, l’acquisizione di nuovi saperi non può essere l’esito di un pro- cesso cumulativo e meccanico in cui i contenuti trasmessi sono accolti in maniera impersonale dal soggetto, ma è piuttosto il risultato di percorsi complessi, della molteplicitàdelle relazioni tra conoscenze strutturate ed esperienze vissute. Ogni acquisizione di conoscenze per l’adulto costituisce l’esito di una elaborazione legata all’esperienza personale maturata nei diversi contesti, la sola che possa favorire il collegamento del nuovo con ciò che già si conosce.Fare formazione per adulti significa garantire la loro partecipazione all’organizzazione delle attività formative, alla scelta dei contenuti,

alla valutazione del percorso formativo attraverso l’adozione di metodi didattici attivi basati sul riconoscimento dell’importanza che per un adulto rivestono la propria esperienza di vita e la propria conoscenza del mondo.

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Una formazione attenta al soggetto, quindi, alle esigenze individuali, che prosegua lungo tutto il corso della vita, centratasull’apprendimento come fattore di sviluppo individuale e condizione dello sviluppo organizzativo, capace di favorire crescita personale, culturale, professionale e sociale, capace di valorizzare percorsi formativi informali presenti nelle concrete esperienze di vita e di lavoro e di promuovere l’autonomia e la responsabilità del soggetto quali condizioni per l’esercizio della libertà possibile.

Diversamente, una formazione che non riuscisse a fare propri questi obiettivi rischierebbe di rivelarsi inadeguata a fronteggiare le richieste e le sfide cruciali del periodo storico che stiamo attraversando.

Ed è così che la formazione “è diventata permanente perché risponde a bisogni individuali e particolari nello stesso tempo in cui risponde ad imperativi socioeconomici (…). Nelle imprese moderne le persone devono adattarsi permanentemente al cambiamento. Esse devono essere capaci di assimilare continuamente le nuove tecnologie e saperle applicare in modo efficace per far fronte agli obiettivi economici”

In pratica la spinta verso l’individualizzazione è di natura esogena, proviene, cioè, dall’esterno più che da un’evoluzione interna alla teoria e/o alla pratica della formazione stessa. Ciò nonostante, va ricordato che la formazione degli adulti, anche quando si connota in senso strettamente professionale, non può e non deve trascurare anche l’aspetto educativo in senso lato. La competenza ad apprendere, acreare, ad anticipare - sempre ad avviso di Prevost - assume una funzione determinante per ciascun individuo che voglia tenere sotto controllo e pilotare in modo consapevole la propria carriera. In questo senso la formazione si inscrive in un progetto di vita che permette all’individuo di “darsi una forma”. Da qui nasce l’importanza dell’individualizzazione

Ma cosa significa individualizzazione?

Prima di entrare nel merito del perché l’individualizzazione e la personalizzazione dei percorsi rappresentano dimensioni di qualità dell’agire formativo e di quali siano gli ingredienti necessari per un progetto formativo personalizzato e/o individualizzato, è opportuno cercare di definire, seppure in maniera concisa e senza alcuna pretesa di completezza, il significato attribuito a ciascuno dei termini in questione. Altrettanto opportuno è ricordare che “le definizioni e le pratiche di individualizzazione variano in misura considerevole in ragione di fattori come la specificitàdelle culture nazionali e la differenziazione dei target di utenza

Questa affermazione, che può risultare intuitivamente apodittica, è necessaria dal momento che, ad esempio, l’individualizzazione nel caso della formazione iniziale pone problemi diversi da quelli della formazione continua o di soggetti appartenenti a fasce deboli (disabili, immigrati, donne, ecc.) e che comunque i diversi modi di intendere l’individualizzazione risentono elle variazioni nelle concezioni della cultura formativa di riferimento, del diverso modo di intendere e praticare la formazione.

“Ogni dispositivo di individualizzazione non è semplicemente la traduzione applicativa di un modello teorico e procedurale, ma è un costrutto

complesso che si trova immerso in una pluralità di reti di significato la cui pregnanza storica, sociale e teorica deve essere messa a nudo qualora se ne vogliano cogliere le specificità profonde e le ragioni del successo”

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Fig.1 Elementi della personalizzazione e della individualizzazione

ELEMENTI DELLA INDIVIDUALIZZAZIONEELEMENTI DELLA PERSONALIZZAZIONE

ELEMENTI COMUNI

Un percorso standard con una parte di programma su misura

Un gruppo precostituito di partecipanti

Attività formative sia comuni all’intero gruppo che

differenziate per sottogruppi o singoli partecipanti

Obiettivi formativi sia comuni che differenziati ai

partecipanti del gruppo

Un percorso ad hoc per il singolo soggetto

Attività realizzate sia individualmente sia all’interno di

altri gruppi anche differenziati

Attività che possono rappresentare elementi standard (uno o più moduli di formazione a catalogo; un

tirocinio; un corso in FAD; un project work; ecc.)Obiettivi specifici e definiti su misura rispetto alle caratteristiche del soggetto

nell’organizzazione formativa e nel sistema locale).

apprendimento connesse alle risorse esistenti

Ottimizzare dal punto di vista didattico tutte le potenzialità di

nel loro percorso valorizzandone le risorse

crescita professionale, sociale, culturale e l’occupabilità dei

Focalizzarsi sulle competenze necessarie ed acquisibili per la

di apprendimento soggetti

Adattare le risposte alle caratteristiche degli utenti e dei contesti

Stimolare il protagonismo e la responsabilizzazione degli utenti

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Articolazione dei percorsi formativi personalizzati ed individualizzati

Nella società conoscitiva (learning society) l’apprendimento in età adulta si caratterizza prealentemente come apprendimento permanente, olistico, incentrato sui problemi, contestualizzato, apprendimento che è al tempo stesso individuale ed organizzativo

All’interno di un processo di apprendimento e di formazione nell’ottica della lifelong learning, infatti, l’adulto deve poter trovare situazioni coerenti con i propri orizzonti professionali e di vita in generale e la valorizzazione delle proprie esperienze. L’accento posto nella formazione degli adulti sulla individualizzazione delle strategie di insegnamento e di apprendimento deriva dal fatto che qualsiasi gruppo di adulti sarà più eterogeneo, in termini di background, stile di apprendimento, motivazione, bisogni, interessi e obiettivi, di quanto non accada in un gruppo di giovani. L’adulto ha un profondo bisogno psicologico di essere considerato e trattato dagli altri come persona capace di gestirsi autonomamente, è sollecitato ad investire energie per apprendere nella misura in cui ritiene che questo potrà aiutarlo ad affrontare compiti e risolvere problemi della vita reale, il tutto sostenuto da una motivazione strettamente riferita a moventi soprattutto interni (autostima, qualità della vita, maggiore soddisfazione del lavoro). Alla luce delledifferenze e specificità legate all’apprendimento degli adulti, la progettazione e la articolazione di percorsi formativi personalizzati ed individualizzati si incardina su alcuni elementi fondamentali, e come tali imprescindibili, che possono essere ricondotti a delle fasi essenziali. (Cfr. Fig.2)

• la centralità del soggetto all’interno di una organizzazione dell’offerta formativa integrata ed in rete;• l’adozione della logica delle competenze piuttosto che delle conoscenze; • riconoscimento delle competenze in ingresso e dei crediti formativi; • l’autonomia del soggetto nel percorrere l’iter formativo; • l’articolazione in moduli dell’offerta formativa che devono essere strutturati secondo obiettivi formativi; • il contratto formativo e il progetto professionale; • la formazione intesa come autoformazione; • le figure di riferimento; • la dialettica individuo-gruppo; • lo stage in azienda.

Si possono individuare quattro macrofasi, a cui se ne aggiunge una quinta che risulta trasversale alle altre ovvero quella di monitoraggio e di valutazione del percorso formativo sequenza concettuale e strategica, si succedono in vista di una corretta definizione di un percorso articolato secondo i criteri della individualizzazione e della personalizzazione, ricordando che, accanto alla estrema eterogeneità di utenti adulti, dei loro bisogni individuali, alla assoluta unicità delle biografie, bisogna considerare anche la diversa condizione (occupati, disoccupati, in mobilità, appartenenza a fasce deboli) che determina il rientro in formazione.

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Nella fase dell’Accoglienza, con le sue diverse articolazioni (analisi dei fabbisogni formativi, orientamento, analisi delle risorse

personali in termini di motivazioni, valori, interessi, immagine di sé, autostima, autoefficacia ecc., riconoscimento dei crediti

formativi), viene attivato un dispositivo complesso ed accurato che, attraverso l’utilizzo di strumenti mirati consente di mettere

a punto il percorso formativo ed il progetto professionale dell’utente.

AccoglienzaAccoglienza

Progettazione del piano formativo

Flessibilità e adattabilità sono le parole chiave per la definizione del piano formativo dal momento che il processo di apprendimento negli adulti assume sequenze, tempi e modalità che non sono riconducibili alla dimensione tipica del corso di formazione. I tempi di apprendimento di ciascun soggetto variano in ragione di fattori quali la complessità dei contenuti, i metodi didattici utilizzati, i contesti in cui si realizza l’apprendimento. Affinché l’offerta formativa risulti flessibile e adattabile alle specificità delle situazioni personali degli utenti, è necessario ragionare in termini di competenze e, diconseguenza, articolare l’offerta formativa in moduli strutturati secondo obiettivi formativi. Il piano formativo si configura, pertanto, come un insieme o una sequenza di moduli che possono essere scelti dagli utenti sulla base delle esigenze emerse durante la fase di accoglienza.

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La definizione del contratto formativo, maturata sulla base delle indicazioni acquisite nelle fasi precedenti, consente di mettere a punto il progetto formativo con l’utente. L’elemento che caratterizza questo passaggio è quello della negoziazione che dà vita al patto: da un lato l’utente si impegna a seguire il percorso individuato, dall’altro gli organismi formativi si impegnano a garantire strumenti, strutture e metodi per il raggiungimento degli obiettivi con-

Stipula del patto formativo

La concretizzazione del piano formativo, nel rispetto dei requisiti di flessibilità e adattabilità peculiari di ogni intervento formativo destinato ad adulti, richiede alcuni ingredienti base che possiamo così sintetizzare:

• le figure di riferimento: la garanzia dell’individualizzazione e della personalizzazione è legata alla presenza di specifiche figure di riferimento (psicologi, operatori sociali, tutor, ecc.) e ad un profondo rinnovamento del ruolo del docente chiamato a svolgere sempre meno attività di insegnamento e sempre di più quelle di tutoraggio, orientamento, supervisione;

• la dialettica individuo-gruppo: individualizzare non è sinonimo di isolare, ma al contrario l’individualizzazione deve mirare ad un rafforzamento della dimensione collettiva dell’insegnamento (riduzione quantitativa dell’attività d’aula) attraverso realizzazione di momenti di animazione di gruppo, di discussione a tema, di scambio di esperienze tali da permettere lo sviluppo di competenze relazionali;

•l’esperienza di stage e di tirocinio offre l’opportunità al singolo soggetto non soltanto di sperimentare in forma concreta e personalizzata le modalità con cui le procedure apprese in aula vengono applicate nei contesti di lavoro, ma anche di sviluppare e approfondire il bagaglio di conoscenze mediante le tecniche di learning on the job;: per il miglioramento della qualità dell’offerta formativa coerente con le esigenze del contesto territoriale di riferimento è necessaria la

Realizzazione del piano formativo

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• Lo stage in azienda l’esperienza di stage e di tirocinio offre l’opportunità al singolo soggetto non soltanto di sperimentare in forma concreta e personalizzata le modalità con cui le procedure apprese in aula vengono applicate nei contesti di lavoro, ma anche di sviluppare e approfondire il bagaglio di conoscenze mediante le tecniche di learning on the job;

• Organizzazione dell’offerta integrata e in rete: per il miglioramento della qualità dell’offerta formativa coerente con lesigenze del contesto territoriale di riferimento è necessaria la creazione di reti formative che siano il prodotto dell’interazione tra i diversi attori, istituzionali e non, e le diverse organizzazioni. Attraverso la collaborazione, la cooperazione, il dialogo continuo tra istituzioni educative, formative e mondo del lavoro è possibile prevenire all’elaborazione di progetti integrati per una piena valorizzazione delle risorse presenti in ogni territorio;

• Utilizzo delle nuove tecnologie: le metodologie basate sull’autoapprendimento mediante materiali didattici su supporto informatico, come ad esempio la formazione a distanza, consentono di attivare il processo di apprendimento in forma personalizzata nel rispetto dei tempi di apprendimento dei soggetti in formazione.

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Difficoltà e disturbi dell’apprendimento

In questa sezione del sito presentiamo la problematica generale relativa alle difficoltà e ai disturbi di apprendimento.Soprattutto con l’ingresso nella scuola primaria (ma a volte anche nella scuola dell’infanzia) qualche bambino manifesta difficoltà nell’apprendimento della scrittura o della lettura o in aritmetica. Altri evidenziano difficoltàlinguistiche, perché articolano male alcuni fonemi o balbettano o farfugliano. Altri ancora corrono in modo scoordinato o riescono male nelle attività motorie che richiedono abilità manuale o in quelle che richiedono un orientamento spaziale e temporale. Vi sono inoltre bambini disattenti o instabili ecc. In ogni classe si possono trovare, in media, due o tre bambini con una o più di queste caratteristiche. A volte le cause sono chiare: difficoltà temporanee dovute all’inserimento scolastico, scarsa motivazione, svantaggio socioculturale, ansia a causa di problemi in famiglia, disabilità intellettive o sensoriali o motorie ecc. Vi sono tuttavia delle situazioni che disorientano (possiamo anche dire che sorprendono) gli insegnanti perché non sembrano esserci cause chiare. Il bambino è intelligente e motivato…eppure ha delle difficoltà. Si tratta, inoltre, di difficoltà non generalizzate, ma specifiche, che riguardano particolari tipi di apprendimento: la lettura o l’aritmetica o la motricità ecc. È possibile che esse siano dovute ad un qualche disturbo specifico.Prendiamo in considerazione le più frequenti difficoltà di apprendimento, cercando di evidenziare, in particolare, in quali casi può essere opportuna una diagnosi di “disturbo specifico di apprendimento”.Per distinguere le difficoltà dai disturbi è essenziale far notare che il termine “difficoltà” si limita alla constatazione che vi sono prestazioni inferiori rispetto a quelle attese, mentre il termine disturbo dovrebbe venire utilizzato solo se si ritiene che queste difficoltà siano causate da disfunzioni del sistema nervoso centrale (cioè da qualcosa di “fisico”, “biologico”, “neuropsicologico”). Ovviamente una diagnosi di disturbo può essere effettuata solo dagli specialisti e non dai genitori o dagli insegnanti.

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Il termine disturbo è inoltre associato all’aggettivo “specifico” per escludere i casi in cui le difficoltà di apprendimento sono dovute a cause neurologiche generali, come nel caso delle disabilità intellettive o sensoriali o motorie.

Dal 2007 in Italia i rappresentanti delle principali organizzazioni di professionisti che si occupano di disturbi di apprendimento, attraverso una Consensus conference sono pervenuti alla elaborazione delle “Raccomandazioni per la pratica clinica sui disturbi specifici dell’apprendimento”. Consideriamo alcuni punti cruciali del documento.

• Il disturbo di apprendimento riguarda in modo specifico una certa area di abilità (ad esempio di lettura) ed è rivelato da una discrepanza fra le prestazioni intellettive generali e quelle relative all’area coinvolta (caratterizzata da prestazioni inferiori), con l’esclusione, come anticipato, sia di cause come le disabilità intellettive, sensoriali e motorie che di cause emotive, di personalità o ambientali (svantaggio socioculturale, immigrazione ecc.). •Considerato un livello di intelligenza non inferiore a 85 (1 deviazione standard dalla media di 100) la discrepanza nelle prestazioni specifiche (di lettura e/o scrittura, matematica ecc.) deve essere notevole e cioè di almeno 2 deviazioni standard. In termini quantitativi questo significa che si tratta di una delle due o tre peggiori prestazioni in un ipotetico gruppo di 100 coetanei (o di bambini frequentanti la stessa classe). •Il disturbo di apprendimento, pur essendo specifico, è spesso associato ad altri disturbi. •La componente neurobiologica del disturbo interagisce con le componenti ambientali (importanza degli aspetti educativi, motivazionali, dell’autostima ecc.). •Può esserci disturbo di apprendimento anche in caso di disabilità sensoriali, motorie, intellettive (o altre disabilità), ma solo se le prestazioni nell’area di apprendimento coinvolta sono assai inferiori rispetto a quelle attese considerando la disabilità in oggetto. •È opportuno non fare diagnosi di dislessia e disortografia prima di due anni di scolarizzazione regolare e di discalculia prima di tre anni.