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    Ontologia e metafisica

    Achille C. VarziColumbia University, New York

    [Pubblicato in Storia della Filosofia Analitica, a cura di Franca DAgostini e Nicla Vassallo,Torino: Einaudi, 2002, pp. 81117, 521526.]

    I - Introduzione

    Il rapporto dei filosofi analitici con la metafisica stato per lungo tempo diffi-cile e conflittuale. In un certo senso, il movimento analitico venne inizialmentecaratterizzandosi proprio in contrapposizione alla tradizione filosofica domi-nante dellOttocento, tutta assorta nellimpresa di rispondere a Kant attraversorielaborazioni pi o meno dogmatiche dellidealismo critico. In una Cambridgein cui Bradley e McTaggart dominavano incontrastati, Moore non esitava adaccusare di miopia le teorie metafisiche che pretendono di fornire unagevolestrada per superare le difficolt che ostacolano il cammino dellindagine accura-ta1. Russell scriveva che i grandi problemi della metafisica nascevano per lamaggior parte da confusioni e fraintendimenti legati alla cattiva grammatica2,ovvero a un uso improprio del linguaggio e alla sua interpretazione affrettata esuperficiale. E di l a poco Carnap sarebbe giunto a dichiarare che le presunteproposizioni della metafisica si rivelano, allanalisi logica, pseudoproposizio-ni.3 Pi che un vero e proprio rifiuto della metafisica, tuttavia, queste manife-stazioni critiche costituivano un attacco a un certo modo di fare metafisica,troppo spesso improntato allabuso di paroloni (lente, lassoluto,lidea) e costrutti oscuri (il nulla nulleggia) piuttosto che alla chiarezza e alrigore argomentativo. Soprattutto rispetto ad altri campi di indagine filosofica,gli studi di metafisica dellOttocento e dei primi anni del Novecento erano mol-to distanti dagli standard di accuratezza che la svolta analitica andava imponen-do ed era naturale che si finisse col mettere sotto accusa lintera disciplina. Tut-

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    Moore, 1898, p. 186.2 Russell, 1918-19, p. 229, tr. it.3 Carnap, 1932, p. 505 tr. it.

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    tavia questo stato di cose non corrispondeva necessariamente a un divorzio diinteressi. E dopo una prima fase dedicata soprattutto alla disinfezione e alla

    delimitazione del territorio si pu dire che la filosofia analitica non abbia trascu-rato di confrontarsi (muovendo da una chiara formulazione delle domande pri-ma ancora che dalla ricerca delle risposte) con tutta una serie di questioni cherientrano a pieno titolo nel campo dindagine della metafisica.

    In questo capitolo ci soffermeremo soprattutto su due ordini di questioni,sui quali la riflessione dei filosofi analitici stata particolarmente approfondita:lidentit degli oggetti materiali (intesi come oggetti del senso comune) e ilproblema degli universali. Non ovviamente una lista esaustiva e forse nemme-no un campione rappresentativo, ma si tratta di due temi che consentono di e-videnziare aspetti metodologici e linee di tendenza che caratterizzano lapproc-cio analitico alla metafisica nel suo complesso. (Per un quadro pi esaustivo

    rinviamo alla sezione bibliografica al termine del capitolo.) Alla rassegna criticasu questi due temi faremo inoltre precedere qualche considerazione concernenteun terzo tema, di ordine pi generale e in certa misura preliminare: la questioneontologica. Se infatti la metafisicasecondo una definizione diffusa alla quale ciatterremosi occupa fondamentalmente della natura ultima di tutto ci che esi-ste, attiene alla metafisica anche il compito preliminare di stabilire che cosa esi-ste, o quantomeno di fissare dei criteri per stabilire che cosa sia ragionevole in-cludere in un accurato inventario del mondo. La messa a punto di tali criteri de-finisce, appunto, la questione ontologica, e tra i meriti della filosofia analitica vi senzaltro quello di avere contribuito a chiarirne coordinate, sfaccettature, eramificazioni (e di averne generalmente tenuto presente anche nel contesto di

    indagini attinenti ai temi pi propriamente metafisici come quelli, appunto,della natura degli oggetti e delle propriet).

    II - Esistenza e forma logica

    Lapproccio analitico allontologia nasce dalla constatazione che la domandaChe cosa esiste? presenta unambiguit di fondo. In un certo senso, comescriveva Quine nel 1948, si tratta di una domanda semplice cui si pu risponde-re con una sola parola: Tutto.4 Esiste tutto in quanto non pu esservi nullache non esiste, altrimenti si cadrebbe in quel groviglio di essere e non-essere (labarba di Platone) che ha tormentato la storia della filosofia occidentale (e

    4 Quine, 1948, p. 3 tr. it

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    sulla quale anche il rasoio di Occam si ripetutamente spuntato). In questoprimo senso, quindi, la questione ontologica non pu che trovare tutti

    daccordo e non ha alcuna pertinenza con la metafisica. Dire che qualcosa nonesiste semplicemente una contraddizione in termini.5 Vi per anche unsenso in cui la domanda Che cosa esiste? ammette risposte diverse. Esistetutto ma non, naturalmente, le chimere o i fantasmi, e per Quine non esistevanonemmeno le propriet, gli individui possibili, o altre entit causalmente inerticome i significati e le proposizioni, che filosofi di diverso orientamento sareb-bero invece inclini a includere nel proprio inventario ontologico. Quando Quinediceva tutto intendeva riferirsi n pi n meno che al contenuto materialedello spazio-tempo6una e una sola entit per ogni distinta regione spazio-temporaleal pi con laggiunta di quelle entit astratte che sono lessenzadella matematica su cui si reggono le scienze fisiche7. Per altri filosofi il quanti-

    ficatore tutto si riferisce ad altro, e il loro inventario sar di conseguenza di-verso da quello di Quine. In questo senso, quindi, la questione ontologica tuttaltro che banale e nessuno si aspetta di trovare una risposta universalmenteaccettabile. Per ognuno di noi esiste tutto ci su cui siamo disposti a quantifica-re; ma possiamo essere disposti a quantificare su cose diverse.

    1. Il requisito della trasparenza ontologica

    Anche in questo secondo senso, tuttavia, non detto che la controversia siaautentica o irriducibile, cos come non detto che le intese siano sempre reali.Ed proprio su questo punto che la questione ontologica ha attirato latten-

    zione dei filosofi analitici sin dagli inizi. Le accuse di confusioni e fraintendi-menti che Russell lanciava alla metafisica tradizionale costituivano evidente-mente anche un invito a non commettere lo stesso errore, e in particolar modo anon cadere nei mille trabocchetti che si annidano nelle nostre pratiche linguisti-che. Quando diciamo che il cavallo alato non esiste, intendiamo forse parlare diun individuo che non esiste? Quando diciamo che Giovanni ha dato uno schiaf-fo a Maria intendiamo davvero chiamare in causa unentituno schiaffocheGiovanni avrebbe dato a Maria? Quando Alice afferma di non aver visto nessu-no sulla strada, intende davvero parlare di unentit chiamata nessuno? evi-dente che non ci sono risposte immediate a queste domande (nemmeno nel ter-

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    Quine, 1940, p. 150.6 Vedi per es. Quine, 1960, p. 212 tr. it7 Cf. Quine, 1951, p. 43 tr. it.

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    zo caso, come insegna la disavventura di Polifemo). Lunico modo per esprime-re le nostre convinzioni ontologiche di formulare asserti che riteniamo veri;

    tuttavia il linguaggio di cui ci serviamo per formulare questi asserti presentaambiguit e imprecisioni che rendono difficile instaurare un nesso immediato trale parole che usiamo e le entit a cui esse fanno riferimento (quelle entit dallacui esistenza dipende la verit dei nostri asserti). Sarebbe del resto sorprenden-te se le cose stessero altrimenti. Quindi, se da un lato lesame delle nostre prati-che linguistiche veniva visto dai primi filosofi analitici come il necessario puntodi partenza per ogni indagine filosofica, inclusa la questione ontologica (lastrada migliore, anzi, lunica sicura, ha scritto Strawson8), dallaltro lato nonmancava lenfasi sulla necessit di fare attenzione a non farsi sviare dai difettidella grammatica. Il linguaggio ordinario non in ordine cos com per il me-tafisico proprio come non lo per il logico o per il filosofo della matematica, e

    non escluso che in certi casi la controversia ontologica nasca propriodallinavvertenza linguistica.Lesempio pi classico di questo modo di affrontare le cose risale agli albo-

    ri del movimento analitico ed costituito dallanalisi russelliana delle asserzioniesistenziali contenenti descrizioni definite, come

    (1) Il cavallo alato non esiste,

    che sembrano portare dritte dritte alla barba di Platone.9 Lasserto (1) vero.Ma che cosa lo rende tale? Affinch un asserto elementare della forma soggetto-predicato sia vero necessario (e sufficiente) che lentit denominata dal termi-ne in posizione di soggetto soddisfi la condizione espressa dal termine in posi-

    zione di predicato. Tuttavia in questo caso non vi nulla che corrisponda altermine in posizione di soggetto. Anzi, proprio lassenza di unentit del ge-nere che si vuole affermare. Ebbene, la risposta di Russell consiste proprionellescludere che la (1) abbia la forma di un asserto elementare (o che sia la ne-gazione di un asserto del genere). Il fatto stesso che abbia senso chiedersi seesiste il cavallo alato costituisce per Russell un motivo sufficiente per ritenereche il cavallo alato non sia un autentico termine singolare (e non possa quindioccupare la posizione di soggetto). Si tratta piuttosto di un simbolo incomple-to che non ha significato autonomo e che scompare a una pi attenta analisidella struttura logica dei contesti linguistici in cui compare. Nella fattispecie,unasserzione come (1) viene analizzata come equivalente a

    8 Strawson, 1959, p. 9 tr. it.9 Il testo principale Russell, 1905.

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    (1a) Non si d il caso che esista uno e un solo cavallo alato,

    ovvero come negazione della congiunzione delle due asserzioni seguenti:(2) Esiste almeno un cavallo alato.(3) Esiste al pi un cavallo alato.

    Lanalisi semantica di questi due congiunti non presenta problemi di sorta. Esiccome uno di loro risulta falso non vi alcuna difficolt nel negare la congiun-zione. Detta diversamente, per Russell la (1) non altro che una comoda abbre-viazione per unasserzione, la (1a), strutturalmente pi complessa ma ontologi-camente pi trasparente, e chi non apprezza questo fatto corre il rischio diprendere un serio abbaglio.10

    Questa stessa analisi si applica, evidentemente, a ogni asserzione la cuiforma grammaticale segue lo schema

    (4) Il tal dei tali cos e cos.

    Non solo: si applica anche nei casi in cui il descrittore il tal dei tali sostituitoda parole che comunemente usiamo alla stregua di nomi propri, come Pegasoo Giovanni. Proprio in quanto ha senso chiedersi se Pegaso o Giovanni esi-stano, per Russell le parole in questione non sono dei nomi veri e propri bensdelle descrizioni camuffate. Per esempio, Pegaso potrebbe essere visto comeunabbreviazione di il cavallo alato, e quindi unasserzione come

    (5) Pegaso non esiste

    potrebbe essere identificata con (1) e trattata allo stesso modo. In certi casi

    pu essere difficile individuare la descrizione che si nasconde dietro un nomeapparente, ma questo un problema pratico e non affligge la portata teoricadellanalisi di Russell. Inoltre esiste sempre la possibilitevidenziata qual-che anno pi tardi proprio da Quinedi eliminare tutti i nomi in maniera si-stematica, utilizzando descrizioni definite in cui il predicato descrittivo co-struito direttamente a partire dai nomi stessi. Pegaso potrebbe corrisponde-re alla descrizione quellunica cosa chiamata: P-e-g-a-s-o, o pi semplicemen-te quellunica cosa che pegasizza, sicch la (5) equivarrebbe in ultima analisi a

    (5a) Nulla pegasizza.

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    Naturalmente questanalisi ha i suoi critici. Per esempio Strawson, 1950, ha obiettatoche un enunciato elementare non asserisce lesistenza e lunicit di unentit corrispondente altermine in posizione di soggetto: lopresuppone.

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    In tal modo ogni nome apparente verrebbe eliminato a favore di locuzioni pre-dicative e la barba di Platone si dissolverebbe del tutto: se da un lato non ha

    senso usare un nome che non si riferisce a nulla, dallaltro lato non vi proble-ma alcuno nelluso di un predicato che non vero di nulla, ovvero un predicatola cui estensione data dallinsieme vuoto. Ne segue che per Russell e Quine gliunici termini singolari veri e propri sono i pronomi, come questo o quello,ovvero quelle espressioni che nella notazione della logica del primo ordine cor-rispondono alle variabili individuali. Non ha infatti senso chiedere Esiste que-sto? cos come nella logica del primo ordine non ha senso chiedere se esiste ilvalore di una variabile. Per Russell questa conclusione si salda direttamente auna tesi metafisica ben precisa, secondo la quale le uniche cose che esistono so-no quelle di cui si ha esperienza diretta (le descrizioni consentirebbero invece dichiamare in causa entit di ogni sorta, inclusi oggetti impossibili come il circolo

    quadrato o la radice quadrata di 2).11

    Per Quine, pi semplicemente, si trattadi una conclusione che non fa che riflettere il criterio ontologico di partenza:esiste tutto, ovvero tutto ci che cade nel campo di azione di un quantificatore,ovvero tutto ci che pu costituire il valore di una variabile individuale. Esserenon altro che essere il valore di una variabile.12

    Ora, lanalisi di Russell e Quine si applicava solo a certi aspetti del lin-guaggio ordinario, consentendo a chi la accettasse di affrontare soltanto alcunidei trabocchetti ontologici che l si nascondono. Ma si tratta solo di un esem-pio. Dal punto di vista che qui ci interessa laspetto essenziale di questo mododi procedere il ricorso allanalisi logica e alla conseguente parafrasi in formacanonica, apparentemente prosaica e poco idiomatica ma del tutto trasparente

    (o intrinsecamente non fuorviante, nelle parole di Ryle

    13

    ) sul piano ontologi-co. Proprio questo il tratto distintivo dellapproccio analitico allontologia; enei cento anni successivi alla pubblicazione di On Denoting, che Ramsey nonesitava a chiamare un paradigma della filosofia14, la strategia della parafrasiha costituito lo strumento principale con cui la questione ontologica stata af-frontata in tanti altri casi. Per esempio, ci si chiedeva sopra se lasserzione

    (6) Giovanni ha dato uno schiaffo a Maria

    debba rinviare allesistenza di unentit corrispondente alla descrizione indefini-

    11 Vedi Russell, 1910.12

    Quine, 1939, p. 708.13 Ryle, 1931.14 Ramsey, 1931, p. 279 tr. it, n.12 (da un testo inedito del 1929).

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    ta uno schiaffo. Evidentemente la risposta affermativa se interpretiamo (6)come unasserto esistenziale:

    (6a) Tra le cose che Giovanni ha dato a Maria vi (anche) uno schiaffo.

    Questa interpretazione stabilirebbe unanalogia profonda tra (6) e un enunciatocome

    (7) Giovanni ha dato un libro a Maria.

    in cui il riferimento al libro indiscutibile. Le cose per cambiano se riformu-liamo (6) come unasserto relazionale in cui si dice come Giovanni si compor-tato nei confronti di Maria, senza chiamare in causa altre entit di sorta:

    (6b) Giovanni ha schiaffeggiato Maria.

    In tal caso lespressione lanalogia tra (6) e (7) sarebbe solo apparente.Lespressione ha dato uno schiaffo sarebbe semplicemente una variante di haschiaffeggiato (mentre non esiste una variante simile per ha dato un libro); e ilfatto che in italiano si possa usare la prima espressione al posto della secon-dasi potrebbe sostenere un accidente linguistico che non deve trarre ininganno sul piano ontologico.

    Ecco qualche altro esempio, scelto un po a caso dalla letteratura, in cui as-serzioni che sembrano fare riferimento a entit sospette (rispettivamente: ledifferenze det, i buchi, i tavoli, le probabilit, i dati sensoriali, le virt, le stellemedie) vengono opportunamente parafrasate in maniera da evitare il riferimen-to15:

    (8) C una differenza daltezza tra Giovanni e Maria.(8a) Giovanni e Maria non sono alti uguali.

    (9) C un buco in quel pezzo di formaggio.(9a) Quel pezzo di formaggio bucato.

    (10) In soggiorno c un tavolo.(10a) In soggiorno vi sono delle particelle disposte-a-tavolo.

    (11) Vi sono buone probabilit che Maria venga a cena.(11a) molto probabile che Maria venga a cena.

    15

    Gli esempi si ispirano, nellordine, a: White, 1956, pp. 6869; Lewis e Lewis, 1970,p. 4; Van Inwagen, 1990, p. 109; Burgess e Rosen, 1997, pp. 222233; Ducasse, 1942, p.233; Alston, 1958, p. 9; Melia, 1995, p. 224.

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    (12) Maria ha limpressione di vedere una chimera.(12a) Maria vede chimericamente.

    (13) Vi sono molte virt che Giovanni non ha.(13a) Giovanni potrebbe essere molto pi virtuoso di quanto non sia.

    (14) La stella media ha 2.4 pianeti.(14a) Ci sono 12 pianeti e 5 stelle, oppure 24 pianeti e 10 stelle, oppure...

    Naturalmente vi sono anche casi in cui lanalisi va nella direzione opposta, ri-solvendosi nellintroduzione piuttosto che nelleliminazione di certe entit. ilcaso di (6a), che potrebbe essere considerato una parafrasi non solo di (6) maanche di (6b). (Negli anni Sessanta Donald Davidson ha fornito diversi argo-menti a favore di questanalisi alternativa, secondo cui la forma logica degli e-nunciati dazione include una quantificazione sulle azioni stesse oltre che sugliagenti.16) La direzione dellanalisi non determinante dal punto di vista del me-todo, cos come non determinante linelegante eccentricit di certe parafrasi.Ci che conta la loro perspicuit, ovvero che esse consentano di stabilire unnesso chiaro tra le parole che usiamo e le cose di cui parliamo. Leleganza, dicequalcuno, possiamo lasciarla ai sarti e ai calzolai.

    2. Problemi e distinzioni

    Pur senza entrare nei dettagli, bene a questo punto sottolineare che questoapproccio alla questione ontologica (e di conseguenza allanalisi metafisica) nonha mancato di sollevare obiezioni anche profonde. Storicamente, la prima obie-

    zione risale proprio ai tempi di Russell ed anche la pi importante: ammessoche la forma grammaticale di un enunciato possa essere fuorviante, quali sono icriteri per decidere quando le cose stanno veramente cos? E quali sono i canonirispetto a cui valutare ladeguatezza di una parafrasi? La teoria russelliana delledescrizioni era guidata dal desiderio di evitare qualunque riferimento a entit chenon fossero conoscibili per esperienza diretta, e in questo senso erano le con-vinzioni ontologiche di Russell a guidarlo nella ricerca della forma logica, non giviceversa. Questo significa per che un filosofo di diverse vedute potrebbe at-tribuire agli enunciati in questione una forma logica diversa, o ritenere di nondover affatto intervenire sulla loro forma grammaticale. E infatti un filosofocome Meinong (per esempio) non aveva difficolt ad accettare come buona la

    16 Vedi i saggi raccolti in Davidson, 1980. Per ulteriori sviluppi vedi Parsons, 1990.

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    forma grammaticale di un enunciato come (1), perch per Meinong il cavalloalato (al pari di ogni altra espressione descrittiva, incluse descrizioni contrad-

    dittorie come il circolo quadrato) designava un individuo di tutto rispetto, an-corch non un individuo in carne ed ossa.17 Lo stesso discorso si applica in li-nea di principio a tutti gli enunciati della lista (6)(14). In breve, sia la scelta diquali enunciati parafrasare sia la scelta di come parafrasarli effettuabile solo afronte di specifici orientamenti filosofici. E se le cose stanno cos allora la stra-tegia della parafrasi appare sospetta: il rasoio di Occam non sa pi che cosa ra-dere e anzich liberare il linguaggio ordinario dai suoi trabocchetti ontologici sicorre il rischio di imporgli lontologia che uno preferisce.18

    In tempi pi recenti questobiezione ha dato luogo a un interessante dibat-tito che ha trovato espressione in tre importanti distinzioni. La prima la di-stinzione tra una concezione ermeneutica e una concezione rivoluzionaria

    delle parafrasi, distinzione che si pu far risalire allo stesso Quine.19

    Nel primocaso la parafrasi di un enunciato ordinario mira a esibirne quella che i linguisti ditradizione chomskyana chiamano la struttura profonda20: al di l delle appa-renze (e al di l di quanto possano pensare gli stessi parlanti), il vero significatodi unasserzione del linguaggio ordinario quello che traspare dalla sua parafrasicanonica. Nella concezione rivoluzionaria, per contro, la parafrasi non restitui-sce affatto il significato che si nasconde dietro la forma grammaticale (la strut-tura superficiale) dellasserzione; non nemmeno chiaro se lasserzione abbiadi per s un significato. Piuttosto, la parafrasi definisce il significato dellasser-zione, ovvero ne fissa la struttura logica e di conseguenza la portata ontologica.Ma lungi dal voler reinterpretare il linguaggio ordinario e imporgli surrettizia-

    mente unontologia, la parafrasi mira a correggere il linguaggio e a dotarlo di unaontologia esplicita. In altre parole, mentre nella concezione ermeneutica la para-frasi di unasserzione A rivela il vero significato di A, nella concezione rivolu-

    17 Vedi Meinong, 1904. Per un filosofo di queste vedute la domanda Che cosa esiste?

    presenta quindi unulteriore ambiguit, a seconda di cosa si intenda per esiste: in un sensostretto il cavallo alato non esiste ma in un senso lato esiste anche lui (Meinong direbbe chesussiste). Se la questione ontologica viene intesa in questo secondo senso, allora non visarebbe nulla di contraddittorio nel dire che esiste [in senso lato] qualcosa che non esiste [insenso stretto]. Per unelaborazione di questa posizione vedi per es. Parsons, 1980, e Routley,1980.

    18 Lepiteto sospetta usato a questo proposito da Kripke 1982, p. 56 tr. it., e la battu-ta sul rasoio viene da Putnam, 1987, p. 74. Per una formulazione articolata di questa obiezio-

    ne vedi Marconi, 1979. Sulle sue ramificazioni rimando a Varzi, 2001, cap. 2.19 Vedi Quine, 1960, 33. La terminologia per si deve a Burgess e Rosen, 1997.20 Il testo di riferimento Chomsky, 1957.

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    zionaria la parafrasi rivela solo il significato che si intende attribuire ad A. E sela prima concezione sembra esporre il fianco allobiezione citata sopra, la con-

    cezione rivoluzionaria sembra del tutto legittima, se non addirittura necessaria.La seconda distinzione degna di nota, introdotta da Strawson negli anni

    Cinquanta e tuttora ampiamente accreditata, quella tra concezione descritti-va e concezione revisionista (o correttiva) della metafisica, e quindi dellaquestione ontologica21. Nella prima concezione lontologia si accontenta di de-scrivere la struttura del nostro pensiero sul mondo, indipendentemente dallasua adeguatezza. (Dummett dir che la filosofia non pu fare di meglio che aiu-tarci ad averepadronanza dei concetti di cui ci serviamo per pensare il mondo,e quindi del modo in cui ci rappresentiamo il mondo; e siccome il linguaggio a-vrebbe priorit sul pensiero, i fondamenti e il campo dazione della metafisicasarebbero definiti interamente dalla teoria del significato.22) Nella concezione

    revisionista, invece, lanalisi ontologica dovrebbe produrre una struttura mi-gliore, indipendentemente dalle rappresentazioni che possiamo darne nel no-stro pensiero e nel linguaggio che usiamo per esprimerci. Ora, per Strawson ilvalore della metafisica descrittiva risiedeva nella sua modestia: una modestia diorigine kantiana, che si accontenta di studiare il mondo attraverso unanalisidel nostro apparato concettuale. Tuttavia proprio questa modestia pu a benvedere rivelarsi unarma a doppio taglio nel momento in cui la descrizione ri-guarda non gi il pensiero o lidioletto del singolo filosofo bens lapparato con-cettuale o il linguaggio di unintera comunit: la modestia diventa allora presun-zione ermeneutica e si finisce col ritrovarsi nella posizione discussa sopra. Laconcezione revisionista della metafisica, per contro, immodesta ma onesta.

    Non mira a rivelare alcunch; mira semmai a correggere limmagine del mon-do che troviamo codificata nel nostro apparato linguistico-concettuale, e co-me tale si sposa naturalmente con la concezione rivoluzionaria del metodo ana-litico.

    La terza e ultima distinzione quella tra una concezione assoluta e unaconcezione relativa dellontologia. Di nuovo, lautore che ha dato limpulsoiniziale alla riflessione su questi temi Quine, che a cavallo tra gli anni Cinquan-ta e Sessanta ha messo a punto una serie di importanti tesi di filosofia del lin-guaggio che si traducono nella cosiddetta imperscrutabilit del riferimento.Secondo queste tesi non ha senso chiedersi quale sia il riferimento di unespres-sione linguistica se non relativamente a un sistema di coordinate (il che a sua

    21 Vedi soprattutto Strawson, 1959, e la discussione in Haack, 1979.22 Vedi Dummett, 1991.

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    volta pu essere solo chiarito rinviando a un altro sistema di coordinate: Ta-volo si riferisce ai tavoli, Ma in che senso di tavoli?, e cos via) 23. E se le

    cose stanno cos, allora non ha neanche senso chiedersi quale sia in termini as-soluti limpegno ontologico di una determinata asserzione o di una determinatateoria. Ha solo senso chiederselo relativamente a un opportuno sistema di co-ordinate. Di conseguenza, anche la ricerca della forma logica da intendersi insenso relativo. Unenunciato come

    (15) Questo un tavolo

    pu necessitare di una parafrasi che ne riveli la portata ontologica in termini diparticelle subatomiche (per esempio) piuttosto che di artefatti macroscopici:

    (15a) Questo un aggregato di particelle disposte-a-tavolo.

    Ma pu anche non richiedere alcuna parafrasi se nella lingua del parlante ta-volo significa aggregato di particelle disposte-a-tavolo. E siccome non c mo-do di stabilirlo una volta per tutte, vi un senso molto importante in cui lastessa questione ontologica ha senso soltanto relativamente a una teoria disfondo e a un opportuno manuale di traduzione. Naturalmente possiamosempre dire che nella nostra lingua tavolo si riferisce ai tavoli, qualunque cosaessi siano.24 Ma a questo punto resta da stabilire che si parli effettivamente lastessa lingua, e quindi la relativit non scompare.

    Lenfasi sulla dimensione relativa della questione ontologica si ritrova inmolti altri filosofi che a partire dagli anni sessanta hanno fortemente influenzatoil dibattito su questi temi, da Nelson Goodman (non ha senso chiedersi che cosa

    esista indipendentemente dal nostro modo di vedere e costruire il mondo) aHilary Putnam (gli oggetti non esistono indipendentemente dagli schemiconcettuali) sino a quegli autori che stentano a identificarsi col paradigma dellafilosofia analitica, come Richard Rorty.25 Che si accetti o meno questa forma direlativismo, sembra indiscutibile che lapproccio analitico alla questioni ontolo-giche non ambisce a restituire un inventario del mondo che vada bene per tutti.Lanalisi logica pu contribuire a superare dei disaccordi apparenti ma non pugarantire un affiatamento assoluto. A questo si aggiunge, come vedremo, il fattoche un accordo sullontologia non comporta automaticamente un accordo meta-fisico. Quandanche ci si trovasse in sintonia sulla forma logica di un enunciato

    23

    Vedi soprattutto i saggi raccolti in Quine, 1968.24 Cfr. Quine, 1990, p. 52.25 Vedi ad es. Goodman, 1978, Putnam, 1981, e Rorty, 1979.

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    che asserisce lesistenza dei tavoli (per esempio) si potrebbe dissentire sullanatura dei tavoli. E a questo punto il discorso si fa propriamente metafisico.

    III - Gli oggetti materiali

    Che cos un tavolo? Supponiamo di trovarci daccordo nel classificare un ta-volo come un oggetto materiale, o concreto (a differenza per esempio deglischiaffi o delle virt, che la maggior parte dei filosofi aggiudicherebbe a categoriemetafisiche diverse). Ma che cos un oggetto materiale? In che cosa si distin-gue da altre entit come gli eventi o le propriet? Storicamente latteggiamentodei filosofi analitici nei confronti di questo interrogativo stato incostante epossiamo distinguere due fasi principali.

    1. La centralit della nozione di oggetto

    Durante una prima fase, durata approssimativamente sino al termine degli anniSessanta, pochi si ponevano linterrogativo in maniera esplicita e articolata. Lapreoccupazione principale era di fare chiarezza su tutto il resto (schiaffi e virtma anche numeri, pensieri, dati sensoriali, colori, e via dicendo, non di rado alloscopo di eliminare queste entit dallinventario ontologico piuttosto che dichiarirne la natura metafisica) mentre lo statuto dei comuni oggetti materiali eradato per scontato. Ayer parlava genericamente di oggetti familiari e Austin diarticoli da emporio di modeste dimensioni26, ed significativo che la princi-pale opera di consultazione di stampo analiticogli otto volumi dellEncyclo-

    pedia of Philosophy di Paul Edwards

    27

    non contenesse nemmeno la voce og-getto (o la voce cosa). Leccezione pi significativa a questo atteggiamentodiffuso costituita da Strawson, il cui Individui del 1959 aveva come obiettivoprincipale proprio la chiarificazione (in una prospettiva di metafisica descritti-va) della centralit della nozione di oggetto materiale. Per Strawson gli oggettisono dei particolari, e in ci evidentemente si differenziano dalle propriet inte-se come universali. Ma gli oggetti sono, inoltre, caratterizzati dal fatto di essereestesi nello spazio e duraturi nel tempo, e accessibili agli strumenti di osserva-zione di cui disponiamo (e quindi da noi identificabili e reidentificabili). In que-sto senso gli oggetti si differenzierebbero anche da altri particolari, come gli e-venti, che sono estesi nel tempo come nello spazio, e che non risultano identifi-

    26 Vedi rispettivamente Ayer, 1940, p. 2 e Austin, 1962, p. 23 tr. it27 Edwards, 1967.

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    cabili se non a partire dagli oggetti stessi che vi partecipano. In effetti il contri-buto principale di Strawson stato proprio quello di aver per primo cercato di

    chiarire questultima differenza, evidenziando il nesso di dipendenza asimme-trica che sembra sussistere tra le due categorie ontologiche sulla base di conside-razioni perfettamente in linea con lo spirito analitico illustrato nella sezioneprecedente. Strawson osserva infatti che sebbene unasserzione come (16) im-plichi logicamente la (17):

    (16) x un tavolo(17) C un evento che la fabbricazione dix,

    questultima asserzione ammette una parafrasi in cui levento della fabbricazio-ne non viene direttamente chiamato in causa:

    (17a) x stato fabbricato.

    (Vedi ancora il nesso tra (6a) e (6b).) Quindi lammissione nel nostro discorsodei tavoli, intesi come oggetti materiali, non comporta una corrispondente am-missione delle loro fabbricazioni, intese come eventi: i primi non dipendonoconcettualmente (e quindi per Strawson nemmeno ontologicamente) dai secon-di. Per contro, anche vero che unasserzione come (18) implica la (19):

    (18) x una fabbricazione(19) C un oggetto di cuix la fabbricazione

    ma questultima asserzione non sembra ammettere parafrasi di sorta. Quindilammissione nel nostro discorso delle fabbricazioni sembra comportare in ma-

    niera irriducibile lammissione di un corrispondente numero di tavoli e altri fab-bricati, intesi come oggetti materiali.La forza dellargomento varia, naturalmente, a seconda della portata (erme-

    neutica o rivoluzionaria) che si attribuisce alla parafrasi.28 Qui ci preme sottoli-neare soprattutto come Strawson si accontenti di lavorare con una nozione dioggetto in cui le caratteristiche di estensione spaziale e di durata temporale ven-gono assunte come primitive e, in certa misura, saldamente ancorate allintui-zione. Tuttavia proprio queste caratteristiche nascondono insidie e difficolt dinon poco conto. Si pensi al tradizionale rompicapo della nave di Teseo di cuinarrava Plutarco29, che per rimanere nellesempio del tavolo potremmo rifor-mulare nei termini seguenti: che cosa giustifica la nostra intuizione secondo cui

    28 Tra i critici dellargomento di Strawson vedi Moravcsik, 1968, e Tiles, 1981.29Vite Parallele,Teseo 23.1.

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    il tavolo con cui abbiamo a che fare rimane lo stesso a dispetto dei continuicambiamenti qualitativi ai quali sottoposto? Supponiamo che al trascorrere

    del tempo alcune parti del tavolo si stacchino e vengano sostituite con partinuove. In ciascun caso il cambiamento minimo e tale da giustificare la nostraintuizione (possiamo immaginare che il tavolo sia di vimini e che le parti sosti-tuite siano cos piccole da rendere impercettibili le variazioni). Tuttavia al ter-mine del processo il cambiamento radicale: possiamo ancora dire di averequello stesso tavolo da cui siamo partiti? Per complicare la situazione possiamosupporre che le cose vadano come suggeriva Hobbes: man mano che le partiiniziali si staccano, un amico le raccoglie e le ricompone nellordine originale.30

    Se immaginiamo che il processo porti alla sostituzione di tutti i pezzi di cui composto il tavolo iniziale,x, ci ritroveremo alla fine con due tavoli: uno com-posto interamente di pezzi nuovi, ma legato ax da un nesso di continuit quali-

    tativa e spazio-temporale che sembra giustificare lintuizione per cui si trattacomunque del medesimo tavolo, e uno composto interamente dai pezzi origina-li, simile in tutto e per tutto a x, e quindi a sua volta tale da giustificarnelidentificazione conx. chiaro tuttavia che due tavoli non possono essere i-dentici a un tavolo, e quindi ecco che lidea secondo cui il tavolo unentit chepersiste nel tempo d origine a un dilemma: quale dei due tavoli x?

    Anche lidea secondo cui il tavolo esteso nello spazioe pi in generalelidea per cui gli oggetti materiali sarebbero gli occupatori di spazio primari,nelle parole dello stesso Strawson31d luogo a dilemmi di vecchia data.32 Sia

    y una piccola parte del tavolox, siaz la parte rimanente, e supponiamo che a uncerto istante, t, la parte y si stacchi da z. Siccomey veramente piccola e insi-

    gnificante, lintuizione sembrerebbe suggerire che a partire da til tavolo x coin-cida conz, cio con la parte rimanente. Tuttavia prima di til tavolo non coinci-deva conz ma includevaz fra le sue parti proprie. Quindi eccoci di nuovo din-nanzi a un rompicapo: o affermiamo che dopo listante tgli oggettix ez coinci-dono ma non sono identici (contrariamente allintuizione secondo cui due ogget-ti non possono occupare contemporaneamente lo medesima regione di spa-zio), o affermiamo che prima dellistante tgli oggettix ez sono identici pur noncoincidendo (contrariamente allintuizione secondo cui uno stesso oggetto nonpu occupare contemporaneamente due regioni di spazio), oppure accettiamo

    30De corpore, xi.7.31

    Strawson, 1959, p. 49 tr. it.32 Si soliti attribuire il rompicapo seguente a un sophisma di Guglielmo di Sherwood(cfr. Syncategoremata,6) ma se ne trova traccia gi negli stoici: vedi Sedley, 1982.

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    di rivedere qualche altro principio che sembra governare le nostre intuizioniconcernenti lidentit degli oggetti materiali ma che evidentemente non del tut-

    to compatibile con la loro caratterizzazione in termini di meri occupatori dispazio.

    2. Il tridimensionalismo

    Non appena si torna a riflettere su interrogativi come questi, la nozione di og-getto materiale che sembrava semplice e primitiva si rivela problematica, nonmeno di altre nozioni che potrebbero a prima vista sembrare pi oscure e con-troverse come quelle di evento o di propriet. E proprio su questi interrogativiche a partire dalla fine degli anni Sessantae questa la seconda fase alla qualesi alludeva soprasi aperta una discussione molto intensa e approfondita che

    ha portato allelaborazione di diverse teorie metafisiche sulla natura degli ogget-ti materiali. Semplificando un po possiamo distinguere tre teorie principali. Laprima, che si dichiara amica del senso comune, tiene fede allintuizione straw-soniana per cui gli oggetti sono entit tridimensionali estese nello spazio manon nel tempo. Le altre due teorie corrispondono invece a una concezionequadridimensionalista (secondo la quale gli oggetti materiali sono estesi anchenel tempo) e a una loro concezione sequernzialista (secondo la quale gli og-getti materiali sono per la maggior parte costruzioni fittizie).

    David Wiggins forse il rappresentante pi significativo della concezionetridimensionalista e il suo libro Sameness and Substance pu a buon dirittoconsiderarsi il principale contributo alla letteratura.33 La tesi sottostante che

    ogni cosa sia un qualcosa, cio unentit di qualche tipo, e che sia proprio iltipo di appartenenza a determinarne le condizioni di identit nello spazio e neltempo. Due tavoli non possono occupare contemporaneamente una medesimaregione di spazio, sostiene Wiggins; ma due oggetti di tipo diverso s, un pocome due istituzioni di tipo diverso (lo stato di Amburgo e la citt di Amburgo)possono avere esattamente le stesse coordinate spaziali. Lo stesso Locke, nelformulare per la prima volta il principio intuitivo che lega lidentit alla coinci-denza spazio-temporale, si era preoccupato di relativizzare lidentit a entitdello stesso tipo.34 E se accettiamo questa relativizzazione il secondo rompica-po citato sopra si dissolve immediatamente:x un tavolo maz non lo , poich

    33

    Vedi Wiggins, 1980. Una prima versione di questo libro era apparsa come Wiggins,1967. Una terza versione apparsa come Wiggins, 2001.34Saggio,ii-xxvii-17.

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    nellintrodurre z abbiamo fatto esplicitamente riferimento a una parte propriadix (e nessuna parte propria di un tavolo a sua volta un tavolo). Non solo: z

    non diventa un tavolo nemmeno dopo la separazione del pezzettino y, poichsecondo la teoria in esame il tipo di appartenenza definisce una caratteristicaessenziale, che nessun oggetto pu perdere o acquisire nel corso della propriaesistenza. Quindi x ez sono oggetti di tipo diverso. E di conseguenza non cisarebbe nulla di strano nellammettere che entrambi possano trovarsi a occupa-re la stessa regione di spazio. Quanto al primo rompicapoquello dellidentitattraverso il cambiamentola risposta fornita dalla teoria che il tavolo inizialedebba essere identificato con quello che di mano in mano si ottiene sostituendoi pezzi che si staccano. Il motivo, per Wiggins e per gli altri filosofi di questevedute35, non solo che in questo caso viene rispettato il principio della con-tinuit spazio-temporale: viene rispettato anche un principio di uniformit

    sortale che si esprime, appunto, nellessenzialit del tipo di appartenenza.Siccome pochi pezzi provenienti da un tavolo non sono sufficienti a formare untavolo (ammesso che formino qualcosa), dal punto di vista di questa teoria evidente che il tavolo ottenuto ricomponendo i pezzi staccati comincia a esiste-re soltanto a un certo punto, quando si saranno uniti un numero sufficiente dipezzi. Quindi quel tavolo non pu essere identico al tavolo iniziale. Per contro,il tavolo che continua a subire modificazioni continua a essere un tavolo, cioricade sotto lo stesso tipo durante tutte le fasi della propria esistenza, e quindinon c difficolt a stabilire un nesso di identit tra quel tavolo e il tavolo ini-ziale da cui ha avuto inizio lintero processo.

    3. Il quadridimensionalismo

    Ovviamente, il problema principale che questa prima teoria degli oggetti si tro-va a dover affrontare riguarda la nozione di tipo alla quale fa riferimento inmaniera cos determinante. Quali sono i tipi in cui si suddividono gli oggetti?Esistono indipendentemente dalle parole che usiamo o sono una emanazione delnostro apparato linguistico-concettuale? Posto che non ogni predicato della lin-gua italiana corrisponde a un tipo (sarebbe sorprendente se il linguaggio fossecos aderente alla realt), in base a quali criteri possibile effettuare una sele-zione? E via dicendo. Una seconda teoria muove proprio da perplessit di que-sto genere e si risolve nellabbandono della tesi per cui gli oggetti sarebbero en-

    35 Altri rappresentanti del punto di vista in esame includono ad es. Lowe, 1989 e 1998,Oderberg, 1993, e Rea, 1998.

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    tit tridimensionali. Se per Strawson e Wiggins gli oggetti persistono nel tempoin quantopermangono nel tempo, pur al variare delle proprie qualit, per que-

    sta seconda teoriache affonda le radici in autori come Whitehead e come glistessi Russell e Quine, ma che ha trovato piena espressione soprattutto a operadi filosofi come John Smart, David Lewis, e Mark Heller 36la persistenza de-gli oggetti non altro che la loro estensione nel tempo: essi persistono in quantosiprotraggono nel tempo. Seguendo una terminologia che risale a Johnson si soliti dire che nel primo caso (teoria tridimensionalista) gli oggetti sono deicontinuantimentre nel secondo caso (teoria quadridimensionalista) gli oggettisono degli occorrenti, un po come gli eventi.37 I continuanti persistono inquanto continuano a esistere: essi sono sempre presenti nella loro interezza intutti gli istanti di tempo in cui esistono, e unasserzione di identit diacronicacome

    (20) Il tavolo che stamani era in soggiorno lo stesso tavolo che stasera in cucina.

    afferma lidentit numerica di un continuante che esiste (interamente) in un cer-to momento in un certo luogo e un continuante che esiste (interamente) in unaltro momento in un altro luogo. Gli occorrenti invece persistono in quanto leloro parti si susseguono nel tempo, un po come le parti di un fiume si susse-guono nello spazio: essi non sono mai interamente presenti (fatto salvo il casolimite di oggetti istantanei), e unasserzione come (20) equivale ad asserirelidentit di un occorrente le cui parti mattutine si trovano in un certo luogo eun occorrente le cui parti serali si trovano in un altro luogo. Per molti filosofi

    questa teoria controintuitiva e non manca chi lha definita un vero e propriopantano metafisico, o addirittura una metafisica folle38 Ma non mancanemmeno chi ha sottolineato la maggiore adeguatezza della teoria quadridimen-sionalista rispetto allimmagine che proviene dalle scienze fisiche. In partico-lare,lidea per cui gli oggetti sono entit a quattro dimensioni trova un certosupporto nel linguaggio della teoria speciale della relativit, dove propriettemporali come prima di adesso non presentano in linea di principio caratte-ristiche diverse da propriet spaziali come a est di qui, e dove la nozione

    36 Vedi ad es., nellordine, Whitehead, 1929, Russell, 1927, Quine, 1960, Smart, 1972,

    Lewis, 1986, e Heller, 1990.37

    Johnson, 1924, cap. 7 (i termini inglesi sono continuant e occurrent). La stessaterminologia si ritrova in Broad, 1933, pp. 138 sgg.38 Cfr. Hacker, 1982, p. 4, e Thomson, 1983, p. 210.

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    stessa di simultaneit perde di significato. (Se la simultaneit delle parti spa-ziali relativadir il quadridimensionalistanon ha senso dire di un oggetto

    che interamente presente in un determinato momento.)Una volta che si accetti la teoria quadridimensionalista, non difficile vede-

    re come entrambi i rompicapi discussi sopra trovino una soluzione immediata.In quanto oggetti quadridimensionali, il tavolox e loggettoz che si ottiene da xrimuovendone una piccola partey sono distinti e non c difficolt ad affermareche il primo include propriamente il secondo:z una parte spazio-temporale di

    x poich a ogni istante di tempo in cui esistono entrambi, le parti spaziali di zsono incluse (e a un certo punto coincidono) con le parti spaziali di x. Quindi apartire dallistante tdiremo che z si trova a occupare esattamente la stessa re-gione di spazio del tavolo intero, x, ma questo non un problema e non com-porta moltiplicazioni ontologiche di sorta, non pi di quanto non sia un pro-

    blema dire che a partire da un certo punto (nei pressi di Vigevano) la parte lom-barda del Ticino viene a coincidere con il fiume nella sua interezza. Questo ri-solve il secondo rompicapo. Quanto al primoquello ispirato alla nave di Te-seola soluzione della teoria quadridimensionale fondamentalmente deflazio-nista: chiedersi quale tra i due tavoli finali sia da identificarsi col tavolo iniziale,e su quali basi, sarebbe una domanda mal posta. Se intendiamo parlare delle fasiterminali di due occorrenti, allora chiaro che entrambi vanno distinte dal ta-volo di partenza, comunque lo si voglia costruire. Se invece intendiamo parlaredei due oggetti nella loro interezza quadridimensionaledue occorrenti che allafine del processo sono a forma di tavolo ma che hanno parti temporali moltodiverseallora il problema eminentemente semantico: a quale di questi due

    oggetti ci riferiamo quando parliamo del tavolo iniziale? Presumibilmente le no-stre pratiche linguistiche suggeriscono di favorire il primo, cio quello le cuiparti temporali intermedie sono legate fra loro da un robusto nesso di continuite similarit, e che condividono limportante propriet di essere tuttea forma ditavolo (le parti temporali del secondo oggetto, quello ottenuto ricomponendo ipezzi man mano che si staccano dal primo, non godono di questa propriet senon verso la fine del processo). Tuttavia questa preferenza non avrebbe mor-dente metafisico: entrambi gli oggetti farebbero parte del mondo, entrambi a-vrebbero una propria storia e una propria identit, e lunica differenza risiede-rebbe nella nostra propensione a selezionarne uno quale referente di una deter-minata espressione linguistica, in questo caso la descrizione il tavolo. In effet-ti abbastanza comune tra i quadridimensionalisti non porre alcuna restrizione

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    sul novero degli occorrenti ammissibili: in linea di principio ogni regione di spa-zio-tempoper quanto sconnessa e irregolare, precisava Quine39pu cor-

    rispondere a qualcosa, sebbene alcuni occorrenti siano pi omogenei di altri eper questa ragione occupino una posizione di maggior rilievo nella nostra vitaquotidiana e nel nostro sistema linguistico. Per un quadridimensionalista le dif-ferenze ci sono ma sono, appunto, di ordine cognitivo o di natura pragmatica,non metafisica. (Resterebbe da decidere se distinguere o meno tra questi occor-renti, intesi come oggetti, e gli eventi che hanno luogo nelle medesime regioni.Come ha osservato Hugh Mellor40, Churchill intitol il resoconto autobiografi-co della propria giovinezzaMy early life, non Early me, ma per un quadridimen-sionalista che non voglia ammettere entit interamente co-localizzate la diffe-renza tra i due titoli potrebbe essere di natura puramente stilistica.)

    4. Il sequenzialismo

    Tra i vari problemi che la teoria quadridimensionalista si trova ad affrontare vi certamente quello di fare chiarezza su questa importante questione: fino a chepunto i rompicapi di cui si occupa la metafisica degli oggetti materiali sono inrealt problemi attinenti esclusivamente alla sfera semantica (o cognitiva in sen-so lato)? Una volta ammessa unontologia in cui ogni regione spazio-temporalecorrisponde a unentit, c ancora spazio per disquisizioni genuinamente meta-fisiche o si tratta semplicemente di fare chiarezza sul nostro apparato linguisti-co-concettuale, sul nesso semantico che unisce queste parole ad alcune di quelleentit? In questo senso, bench a prima vista il quadridimensionalismo rifletta

    una concezione della metafisica decisamente poco descrittiva, vi un sensoprofondo in cui la si pu considerare una teoria molto vicina allo spirito dellafilosofia analitica.

    Veniamo cos alla terza importante teoria intorno alla quale si sviluppatoun ampio dibattito a partire dalla fine degli anni Sessanta. Si tratta di una con-cezione degli oggetti che in un certo senso giace a met strada tra la concezionetridimensionalista e quella quadridimensionalista e che potremmo denominareteoria sequenzialista. Secondo questa teoriala cui formulazione pi artico-lata risale a Person and Objectdi Chisholm41quelli che chiamiamo tavoli (peresempio) non sono propriamente entit persistenti nel tempo e quindi i rompi-

    39

    Quine, 1960, p. 212 tr. it40 Mellor, 1998, p. 86.41 Chisholm, 1976.

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    capi da cui siamo partiti non sorgono. Tanto per cominciare, per un filosofo diquestorientamento quando parliamo di un tavolo stiamo semplicemente par-

    lando di particelle disposte-a-tavolo. (Se volessimo esprimerci in forma canoni-ca, dovremmo quindi servirci di parafrasi come quelle esemplificate dalla coppia(10) e (10a).) In secondo luogo, quando instauriamo un legame di identit dia-cronica tra ci chiamiamo questo tavolo in due diverse circostanze, o tra i re-ferenti di due descrizioni definite marcate temporalmente come il tavolo chestamani era in soggiorno e il tavolo che stasera in cucina, dobbiamo distin-guere tra una nozione stretta e filosofica di identit e una nozione ampia epopolare.42 Nel primo senso lasserzione di identit molto probabilmentefalsa, poich molto probabile che ci si stia riferendo a due diversi aggregati diparticelle (qualche molecola si staccata; qualche altra si aggregata). Nel se-condo senso lasserzione di identit pu essere vera, ammesso che sussistano i

    richiesti legami di continuit e omogeneit di cui abbiamo gi parlato con riferi-mento alle altre teorie; ma in tal caso non si tratterebbe di unidentit effettivain quanto le entit di cui si sta parlando non sono entit reali. Si trattereb-be piuttosto di costruzioni fittizie costituite da sequenze di entit rea-lisequenze di particelle disposte-a-tavolo. Si tratterebbe di entia successiva lacui omogeneit interna attrae la nostra attenzione al punto da indurci a iden-tificarne i membri attribuendo loro unidentit individuale quando in realt ab-biamo a che fare con entit diverse, un po come diversi sono a ben vedere gliaggregati di persone che costituiscono una squadra di calcio in momenti succes-sivi della sua storia (senza che ci ci induca a cambiare continuamente il nomedella squadra) o gli aggregati di puntini illuminati che sullo schermo cinemato-

    grafico corrispondono allimmagine di un cavallo in corsa (senza che ci ci im-pedisca di parlarne come di una stessa immagine che si sposta). Per un filosofosequenzialista queste sequenze di aggregati non vanno incluse in un inventariodel mondo, anche se spesso proprio a queste entit fittizie che intendiamoriferirci col pensiero o con le parole. (Come scriveva Reid, quando le alterazionisono graduali si continua a usare lo stesso nome e a trattare cose diverse comese fossero una cosa sola, perch il linguaggio non pu permettersi un nomediverso per ogni stato diverso.43) Di conseguenza i due rompicapi di cui ab-biamo parlato non sarebbero che la manifestazione di uninevitabile tensioneche viene a crearsi quando mescoliamo inopportunamente limmagine stretta efilosofica del mondo con limmagine ampia e popolare alla quale facciamo

    42 Vedi Chisholm, 1969.43Saggi, III.iii.ii.

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    riferimento nelle nostre pratiche quotidiane.Possiamo distinguere tra forme moderate e forme estreme di sequenzia-

    lismo, a seconda che si voglia applicare questo punto di vista soltanto a oggetticome i tavoli e le squadre di calcio (degli artefatti) o anche ad altri oggetti pinaturali, animali e persone incluse. Chisholm optava per una posizione mo-derata ma in tempi pi recenti non mancano filosofi, come Ted Sider, che nonesitano a difendere posizioni anche molto radicali.44 (Viene spontaneo instaura-re unanalogia tra i due sensi di identit del sequenzialista e la distinzione traidentit fittizia e identit reale su cui aveva insistito Hume. 45) Possiamoinoltre distinguere diverse varianti a seconda che si voglia riconoscere diritto dicittadinanza soltanto alle particelleo a qualunque cosa svolga funzioni analo-gheoppure anche ai loro aggregati: non gli aggregati diacronici corrispondentiagli entia successiva bens gli aggregati di cui le particelle sono parti spaziali,

    indipendentemente dalla loro configurazione geometrica (oggi disposte a forma-re un tavolo, domani sparse dappertutto). Chisholm optava per la seconda po-sizione ma vi sono autori pi recenti, come Peter Van Inwagen e Trenton Mer-ricks, che preferiscono la prima opzione fatto salvo per quegli aggregati che co-stituiscono entit viventi.46 Infine possiamo distinguere due varianti a secon-da che le particelle stesse (e nel caso anche i loro aggregati) siano intese comeentit tridimensionali o quadridimensionali. Chisholm la pensava nel primo mo-do ma altri filosofi, come Hud Hudson47, preferiscono identificarsi con la se-conda posizione.

    5. Oltre le teorie

    Questi esempi dovrebbero essere sufficienti per fornire un quadro dellintensodibattito che ha caratterizzato la seconda fase della riflessione filosofica sullostatuto degli oggetti materiali. A questo punto solo il caso di sottolineare chela rivalit tra le diverse alternativetridimensionalismo, quadridimensionali-smo, varie forme di sequenzialismosi fa particolarmente interessante proprionel momento in cui il problema di render conto dello statuto e delle condizionidi identit degli oggetti materiali si salda col problema di render conto della me-tafisica delle persone e delle loro condizioni di identit e persistenza nel tempo.

    44 Vedi Sider, 2001.45

    Trattato, i.iv.6.46 Vedi Van Inwagen, 1990) e Merricks, 2001.47 Hudson, 2001.

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    Per molti filosofi questo il test fondamentale con cui valutare ladeguatezza diuna teoria metafisica degli oggetti alla luce dei suoi costi e benefici, indipenden-

    temente dalla natura descrittiva o correttiva della teoria: un conto rivedere al-cune nostre intuizioni sui tavoli e sul nostro concetto di tavolo; altro conto mettere in discussione lintuizione quando si tratta della nostra stessa identit edel nostro stesso persistere nel tempo. Su questo tema, e sulle sue complesseramificazioni in campo etico, politico, e psicologico, il dibattito tra i filosofianalitici oggi pi aperto che mai.48

    IV - Le propriet

    Per molti filosofi il mondo non consiste solo di oggetti materiali. Altre entitvanno incluse affinch si possa render conto della verit di certe asserzioni e di

    certe teorie sul mondo. Anche il filosofo di convinzioni naturaliste pu ritenerenecessario adottare una metafisica che non riduca il mondo al mondo naturale,per esempio perch pu ritenere che le verit delle scienze fisiche dipendanodalle verit della matematica, che a loro volta sembrano dipendere dallesistenzadi entit astratte come i numeri o gli insiemi. Come gi si ricordato, questo eralorientamento dello stesso Quine e corrisponde a una posizione piuttosto dif-fusa tra i naturalisti contemporanei.49 Ma se il dibattito sulla natura delle entitastratte della matematica ha occupato una posizione di assoluto rilievo nel pa-norama dellontologia e della metafisica analitica, ancora pi centrale e in certamisura paradigmatico stato il dibattito su quelle entit astratte che sembranoessere chiamate in causa ogni volta che facciamo unasserzione sul mondo: enti-

    t che corrisponderebbero non gi al termine in posizione di soggetto di un e-nunciato elementare bens al termine in posizione di predicato. Quando per e-sempio facciamo unaffermazione come

    (21) Il tavolo rosso

    non stiamo semplicemente parlando del tavolo, altrimenti il valore di veritdella nostra asserzione sembrerebbe dover coincidere con quello di una qualun-que altra affermazione che si riferisce a quelloggetto, fra cui affermazioni come

    (22) Il tavolo verde

    48 Vedi i capitoli Etica e Filosofia della mente inclusi nel presente volume.49 Sul naturalismo in metafisica vedi Hughes, 1998.

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    con le quali (21) incompatibile. Di che cosaltro stiamo parlando? E che rela-zione sussiste tra il tavolo e questaltra cosa dalla quale sembra dipendere la

    verit della nostra asserzione?

    1. Il problema degli universali

    Nella storia della filosofia questi interrogativi sono noti come il problema degliuniversali e risalgono almeno a Platone. Tra i filosofi analitici il problema paradigmatico proprio di quella barba di Platone di cui si parlava in apertura,ed su questa barba che il rasoio di Occam si spuntato pi spesso. (Esisteovviamente un problema analogo e pi generale nel caso degli enunciati relazio-nali, ma ci limiteremo per semplicit al caso degli enunciati in forma soggetto-predicato. Sempre per ragioni di semplicit assumeremo anche che gli enunciati

    in questione siano effettivamente in questa forma, aggirando del tutto le com-plicazioni discusse in relazione allanalisi russell-quineana.)Possiamo distinguere tre principali correnti di pensiero. Secondo la pri-

    mala corrente realista, o platonistalanalisi di enunciati come (21) e (22)richiede che venga effettivamente postulata lesistenza di unentit corrispon-dente al termine in posizione di predicato, unentit che viene letteralmentepredicatadellentit corrispondente al termine in posizione di soggetto (o dicui lentit corrispondente al termine in posizione di soggetto partecipa, nellaterminologia del Parmenide50). E siccome lentit postulata la stessa ogni vol-ta che viene usato il predicato, indipendentemente dal soggetto di cui la si pre-dica e indipendentemente dallubicazione spazio-temporale di questultimo (iltavolo ha lo stesso colore del tappeto), per il realista ne segue che abbiamo ache fare con una propriet universale e non con un individuo particolare. La se-conda corrente di pensiero quella nominalista, cosiddetta perch si identificacon la tesi per cui le espressioni che figurano in posizione predicativa non sonoaltro che nomi (intesi come nomi comuni, cio parole che si applicano a unapluralit di individui particolari, piuttosto che come nomi propri di proprietuniversali). Per alcuni nominalisti i predicati non fanno altro che registrare certenostre convenzioni linguistiche; per altri i predicati si applicano alle cose par-ticolari in virt di una oggettiva somiglianza di queste ultime. In entrambi i casi,il nominalista nega che per rendere conto delle condizioni di verit di enunciaticome (21) e (22) occorra chiamare in causa delle entit in pi rispetto a quellecui si applica (o non si applica) il predicato. La terza corrente di pensiero tal-

    50 Cfr. Platone, Parmenide, 130e131a.

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    volta considerata una variante della posizione nominalista, ma pu essere asse-gnata a una posizione intermedia tra il realismo e il nominalismo. Secondo que-

    sta corrente di pensieroche chiameremo particolaristaesistono effettiva-mente delle entit corrispondenti ai predicati; ma queste entit non sono degliuniversali bens dei particolari. Per un particolarista esse sono il genere di coseche Leibniz aveva chiamato accidenti individuali e che in tempi pi recentiDonald Williams ha denominato tropi: sono dei particolari astratti che in uncerto senso caratterizzano i particolari concreti a cui si applicanoe nientealtro.51

    2. Il nominalismo

    Nellambito della filosofia analitica, la corrente realista stata sicuramente do-

    minante. Da Frege a Russell, da Strawson a Bergmann, da Armstrong a Mellor,la tesi per cui i predicati (o certi predicati) devono corrispondere a universali diqualche tipo stata fatta propria da filosofi anche molto diversi fa loro, e sullabase di considerazioni molteplici.52 Per esempio, accanto alla necessit di spie-gare le condizioni di verit di enunciati elementari come (21) e (22), la posizionerealista ha comunemente trovato supporto nellosservazione che il linguaggio ciconsente di parlare esplicitamente delle propriet, come quando diciamo

    (23) Il rosso un colore.

    E comunemente si insistito anche sulla necessit di garantire un fondamentooggettivo e non convenzionale alle affinit che riscontriamo fra quelle cose a cui

    si applica (o si potrebbe applicare) un medesimo predicato. Che cosa hanno incomune il tavolo e il tappeto quando diciamo che entrambi sono rossi, se non lapropriet di essere rossi?

    Gli aspetti pi originali e innovativi del dibattito analitico sul problema de-gli universali si possono tuttavia apprezzare meglio concentrandosi sulle teoriesviluppate dai filosofi appartenenti alle altre due correnti di pensiero, i nomina-listi e i particolaristi, e sulle loro reazioni alle argomentazioni e osservazionicritiche dei filosofi realisti. Cominciando dai primi, possiamo individuare duefasi principali nel nominalismo analitico del Novecento. La prima fase trova lasua espressione pi significativa in un articolo di Goodman e Quine del 1947,

    51

    Vedi rispettivamente Leibniz, Nuovi saggi , IV.vi.42, e Williams, 1953.52 Vedi ad es. Frege, 1891; Russell, 1912, capp. 9 e 10; Strawson, 1954; Bergmann,1954; Armstrong, 1978; Mellor, 1991.

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    che muovendo dalla dichiarazione Non crediamo nelle entit astratte propo-neva un metodo sistematico per farne a meno attraverso opportune parafrasi

    in cui ogni enunciato che sembra chiamare in causa un universale (per limitarcial nostro caso) sostituito da un enunciato in cui si parla solo di oggetti parti-colari.53 Per esempio, nel caso di un enunciato come (23) il riferimento esplicitoal colore rosso potrebbe essere evitato attraverso una parafrasi in cui si parlasolo di oggetti rossi:

    (23a) Le cose rosse sono colorate.54

    Quanto poi alle condizioni di verit di questultimo enunciato, come pure dienunciati elementari quali (21) e (22), la posizione del filosofo nominalista rap-presentata da Goodman e Quine semplicemente che non occorre postularealcuna entit corrispondente al termine in posizione di predicato. Si pu fare

    unaffermazione della forma(24) x cos e cos

    senza che ci debba dipendere dallesistenza di un universale in virt del qualex cos e cos:x cos e cos e basta ( un fatto fondamentale e irriducibile,dir Quine lanno successivo55).

    Questa strategia stata molto criticata. Non solo in certi casi la parafrasi sirivela laboriosa (e inelegante) al punto da rendere necessaria la messa a punto diun laborioso apparato concettuale. Per esempio, un enunciato come

    (25) Ci sono pi gatti che cani

    veniva analizzato da Quine e Goodman come(25a) Ogni individuo che contiene un pezzo di ogni gatto pi grande di

    un individuo che contiene un pezzo di ogni cane,56

    con la conseguente necessit di chiarire la complessa teoria delle parti e dellin-tero che le parafrasi presuppongono 57. La critica principale che le parafrasi inquestione, ancorch complesse e sofisticate, sono generalmente inadeguate, po-

    53 Goodman e Quine, 1947. Le citazioni sono dalla prima pagina.54 Questo particolare formato non compare tra i casi considerati da Goodman e Quine,

    ma vedi per es. Quine, 1960, p. 155 tr. it., per un trattamento esplicito.55

    Quine, 1948, pp. 1112 tr. it.56Goodman e Quine, 1947, p. 278 tr. it.57 il calcolo degli individui di Leonard e Goodman, 1940.

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    sto che ladeguatezza di una parafrasi possa misurarsi almeno in parte con lasua accettabilit intuitiva. (Anche un nominalista rivoluzionario vorrebbe sotto-

    scrivere questo criterio.) Pur limitandosi al caso di un semplice enunciato come(23), linadeguatezza emerge dal fatto che le condizioni di verit della parafrasiproposta non riescono a catturare appieno il significato dellenunciato stesso.Si noti infatti che (23a) vero se e solo se vero

    (26) Le cose rosse sono estese nello spazio.

    E se Berkeley aveva ragione possiamo aggiungere che (23a) vero se e solo se vero anche

    (27) Le cose estese nello spazio sono colorate.58

    Ma ovviamente questo non significa che il rosso sia unestensione, e nemmeno

    che lestensione sia un colore.59Il metodo suggerito da Quine e Goodman non per il solo metodo dispo-

    nibile ai filosofi di orientamento nominalista. Se parafrasi deve essere, non detto che la parafrasi debba procedere eliminando le propriet a favore dei pro-prietari. Lalternativa pi significativa a questa linea di condotta corrispondealla seconda fase del nominalismo analitico, che nei primi anni Sessanta trova lasua espressione pi caratteristica in una serie di lavori di Wilfrid Sellars60. Sel-lars prende molto sul serio lidea medievale per cui i predicati sono soltanto deinomi. E quando si tratta di parafrasare enunciati come (23), in cui sembra chequesti nomi vengano usati per riferirsi a qualcosa piuttosto che per registraredelle convenzioni linguistiche (o dei fatti fondamentali e irriducibili), Sellars

    propone una strategia completamente diversa da quella di Goodman-Quine. PerSellars la parafrasi deve chiamare in causa non gi le cose rosse bens laggettivorosso. In prima approssimazione si potrebbe ricorrere a qualcosa come

    (23b) Rosso un predicato-di-colore,

    dove predicato-di-colore da intendersi come unetichetta che registra unaconvenzione della nostra comunit linguistica. Tuttavia questa analisi non con-sidererebbe il fatto ovvio che comunit linguistiche diverse si avvalgono di con-venzioni diverse: la traduzione di (23) in inglese ne conserva le condizioni di

    58Princpi, I, 10.59

    Lobiezione risale a Prior, 1967, p. 146. Vedi anche Jackson, 1977, e Loux, 1998,pp. 6269, per ulteriori complicazioni.60 Vedi soprattutto Sellars 1960 e 1963.

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    verit, ma la traduzione di (23b) risulta inadeguata in quanto la parola fra vir-golette non appartiene al vocabolario inglese. Inoltre lanalisi consentirebbe di

    fare a meno della propriet corrispondente al termine rosso al costo di unimpegno ontologico altrettanto problematico dal punto di vista nominali-stalimpegno nei confronti dellaparola rosso. Le parole sono entit astrat-te, entit che ricorrono in unampia gamma di iscrizioni particolari anche moltodiverse fra loro, dagli scarabocchi su un foglio di carta ai tratti di gesso su unalavagna sino agli eventi sonori prodotti da un apparecchio radiofonico. Per unrealista questo non un problema. Ma per il nominalista queste cose non ci so-no: esistono soltanto le iscrizioni particolari (i tokens di cui parlava Peirce61)non le parole che in esse ricorrono (i types). Quindi adottando una parafrasicome (23b) gli universali cacciati dalla porta rientrerebbero dalla finestra. Laproposta di Sellars consente di aggirare entrambi questi problemi. Basta munirsi

    di un dispositivo sintattico che consenta di fare riferimento non gi ai types diuna determinata lingua (come nel caso delle comuni virgolette di citazione) ma aitokens corrispondenti. E poich questi tokens sono oggetti concreti al pari deitavoli,62 basta assicurarsi che il dispositivo sintattico consenta di riferirsi a tuttii tokens indipendentemente dalla lingua di riferimento: proprio come il predica-to italiano tavolo si applica a tutti i tavoli di questo mondo (in virt di unaloro irriducibile affinit oggettiva o semplicemente in conseguenza di un com-plesso insieme di convenzioni linguistiche), possiamo immaginare di dotarci diun predicato che si applichi a tutti i tokens della parola rosso e delle sue tra-duzioni in tutte le altre lingue. Nella fattispecie, Sellars propone di costruire ilpredicato in questione racchiudendo lespressione linguistica tra virgolette spe-

    ciali, per esempio tra due puntini. Otteniamo cos(23c) I rosso sono dei predicati-di-colore,

    dove predicato-di-colore ora da intendersi come unetichetta che registra nonsolo le convenzioni della nostra comunit linguistica ma anche quelle delle altrecomunit. E questa parafrasi aggira tanto i difetti di (23b) quanto quelli dellal-ternativa iniziale (23a).

    3. Il particolarismo

    61

    Cfr. Peirce, 1906.62 Il nominalista materialista avr qualche problema con quei tokens che si ottengonoproiettando delle ombre o incidendo una superficie: vedi Casati e Varzi, 1994.

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    Non il caso qui di addentrarci in una valutazione di questa proposta. piimportante sottolineare come in entrambe le fasi dellapproccio nominalista il

    problema degli universali si trasforma in problema eminentemente ontologico, eaggirato di conseguenza. Tra le varie motivazioni per questo atteggiamento viera del resto la convinzione che si debba fare a meno degli universali anche inconsiderazione della mancanza di chiari criteri concernenti le loro condizioni diidentit, in particolare le condizioni sotto cui risulta lecito identificare la pro-priet corrispondente a un dato predicato e la propriet corrispondente a unaltro predicato, . E soprattutto in seguito agli influenti argomenti di Quine, ladisponibilit di un criterio di identit preciso stato generalmente consideratodai filosofi analitici un requisito preliminare per limpegno ontologico nei con-fronti di entit di qualsiasi tipo: Niente entit senza identit63.

    Come gi accennato, tuttavia, leliminativismo nominalista non costituisce

    lunica alternativa di rilievo alla posizione realista. Una seconda quella cheabbiamo chiamato particolarista, che nega lesistenza degli universali pur accet-tando lintuizione secondo la quale i predicati designano effettivamente delleentit astratte. Per un particolarista essi designano dei particolari astratti, otropi64, ovvero entit che potendoci esprimere nel gergo del realista potremmocaratterizzare come esemplificazioni o istanze di corrispondenti entit u-niversali. Se il tavolo rosso perch possiede una caratteristica ben precisa; ese anche il tappeto rosso allora anche il tappeto possiede una caratteristicaanaloga. Ma il rosso del tavolo e quello del tappeto non sono la stessa cosa:sono due rossi distinti precisamente perch sono posseduti da due oggetti di-stinti, un po come la mia copia dei Buddenbrook distinta da quella del mio

    vicino. Il rosso del tavolo posseduto esclusivamente dal tavolo e si trova esat-tamente dove si trova il tavolo; quello del tappeto posseduto esclusivamentedal tappeto e si trova esattamente dove si trova il tappeto. Per il realista questidue rossi sono esemplificazioni di un rosso universale e immanente. Per il par-ticolarista esse sono gli unici rossi di cui abbia senso parlare.

    A differenza della posizione nominalista, la concezione particolarista ge-nuinamente metafisica e non si sottrae al confronto diretto con la teoria reali-

    63 Il motto risale a Quine, 1958, p. 55 tr. it. Si tratta peraltro di un punto di v ista che

    non tutti condividono: vedi ad es. Strawson, 1976, e Jubien, 1996.64 Il termine tropo sta oggi prendendo il sopravvento, ma sino a qualche tempo fa la

    terminologia era molto varia: alcuni autori parlavano di qualit particolarizzate (Strawson,1959, p.138n tr. it.), altri di particolari perfetti (Bergmann, 1967, 5), altri ancora di pro-priet-unit (Matthews e Cohen, 1968) o casi (Wolterstorff, 1970).

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    sta.65 Williams, che per primo ha dato pienamente corpo alla teoria, sostenevaaddirittura che i tropi costituiscono lalfabeto dellessere66, nel senso che tut-

    te le altre entit sarebbero costituite a partire da insiemi di tropi individuali: icomuni oggetti materiali non sarebbero altro che aggregati di tropi (il rosso deltavolo, la sua densit, la sua rotondit, e cos via) e anche le propriet potrebbe-ro essere costruite alla stregua di aggregati di tropi (il rosso del tavolo, quellodel tappeto, quello del pomodoro, e cos via). difficile immaginare a una tesipi marcatamente metafisica, e metafisicamente revisionista. Tuttavia anche perWilliams e per gli autori che sono seguiti (Campbell, Bacon, e Mertz sono alcu-ni fra i nomi pi rappresentativi67) il metodo analitico occupa una posizionecentrale nellelaborazione e chiarificazione della teoria. Per un teorico dei tropiasserire che il tavolo rosso non significa asserire un fatto irriducibile e fonda-mentale riguardante il tavolo, come vorrebbe il nominalista, e non significa nem-

    meno asserire che il tavolo esemplifica un vero e proprio universale, come vor-rebbe il realista. Per un particolarista asserire che il tavolo rosso significa asse-rire che il tavolo e il rosso (inteso come universale) hanno un tropo in comune:il rosso del tavolo. Asserire un enunciato come (21) significa quindi, in ultimaanalisi, asserire un enunciato esistenziale:

    (21a) Il rosso del tavoloquel particolare rossoesiste.

    Ed asserire un enunciato come (23) significa asserire un enunciato universalesulla falsariga di:

    (23d) Data una qualunque cosax, se il rosso di x esistequel particolarerossoallora il colore di una parte dixquel particolare colore.

    Anche in questo caso, dunque, lanalisi ontologica si aggancia saldamenteallanalisi logica e la proposta metafisica, di stampo dichiaratamente revisioni-sta, si traduce in un revisionismo linguistico senza mezzi termini (a sua volta distampo preferibilmente rivoluzionario).

    65 Alcuni autori (per es. Goodman, 1956) identificano il nominalismo con la dottrina se-

    condo cui esistono soltanto entit particolari,e in questo senso il particolarismo pu conside-rarsi una forma di nominalismo. Tuttavia il contrasto con le teorie nominaliste illustrate soprapermane.

    66 Williams, 1953, p. 5. La prima articolazione della teoria dei tropi (terminologia a par-

    te) si trova gi in Stout, 1921, 1923, che tuttavia non si spinge a tanto.67 Vedi ad es. Campbell, 1990, Bacon, 1995, e Mertz, 1996. Vedi anche la teoria deitruth-makers di Mulligan et al. , 1984.

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    V - Conclusione

    I problemi e le teorie di cui abbiamo parlato sono tuttaltro che esaustividellampia gamma di tematiche che definiscono lorizzonte della metafisica ana-litica. Soprattutto negli ultimi anni si pu dire che i filosofi analitici si siano oc-cupati di tutte le principali questioni di metafisica di cui costellata la storiadella filosofiala natura degli oggetti materiali e delle propriet ma anchelidentit personale, la causalit, il libero arbitrio e il determinismo, la vaghezzaontologica, lo statuto delle entit matematiche e degli oggetti fittizi, la metafisi-ca dello spazio e del tempo, il relativismo, lessenzialismo, la natura della ne-cessit. Sarebbe incongruo pensare di fornire in poche pagine un quadro esau-riente di questa variet e ricchezza di temi. Tuttavia gli esempi considerati do-vrebbero consentire di ricostruire almeno alcune importanti coordinatesia neimetodi sia nei contenutiche hanno contraddistinto lapproccio analitico allametafisica, soprattutto a partire dalla seconda met del Novecento. Concludia-mo dunque con due osservazioni di ordine molto generale.

    La prima proprio che la metafisica e lontologia occupano ormai una po-sizione di primo piano nel panorama della filosofia analitica. Dopo un periodoiniziale forzatamente limitato e allinsegna del disincanto e della chiarificazioneconcettuale piuttosto che della ricerca in senso stretto, negli ultimi anni si as-sistito a una vera e propria impennata di popolarit e la produzione filosoficain questo settore stata pi proficua che mai. difficile spiegare le ragioni diquesta linea di tendenza. Ma si pu almeno osservare che il metodo analitico hacontribuito a togliere la metafisica dal piedistallo sulla quale era stata collocatadalla filosofia dellOttocento, restituendola a quel dominio di interrogativi che

    costituiscono parte integrante del vasto processo col quale cerchiamo di dare unordine al mondo che ci sta intorno e a cui siamo soliti far riferimento quandoparliamo e quando pianifichiamo le nostre azioni. Il che non significa che questiinterrogativi abbiano perso di spessore e di profondit. Al contrario: il compitodi effettuare le giuste scansioni della realt, come si diceva qualche tempo fa,presenta trabocchetti che risultano tanto pi insidiosi e interessanti quanto pisi cerca di confrontarsi con quel senso comune che per il filosofo analitico costi-tuisce sempre e comunque un imprescindibile punto di riferimento.

    La seconda osservazione riguarda la natura stessa di questimpresa. Comeabbiamo visto, il metodo analitico costantemente in bilico tra una sua inter-pretazione in chiave ermeneutica e uninterpretazione rivoluzionaria.

    unopposizione che si presenta in ogni dominio dindagine filosofica, ma in me-tafisica si associa saldamente a unaltra distinzione importante, che abbiamo

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    identificato con lopposizione tra la concezione descrittiva e la concezionecorrettiva o revisionista. Si tratta di concezioni molto diverse, a meno che

    non si supponga che i nostri concetti siano miracolosamente strutturati a imma-gine e somiglianza del mondo, e sicuramente la scelta tra una concezione elaltra costituisce un importante motivo di riflessione (come lo la scelta trauna concezione relativista e una concezione realista della metafisica). Ebbene, inun certo senso lopposizione riguarda il delicato confine tra questioni puramen-tesemantiche e questioni metafisiche vere e proprie. Se ci affidiamo alle impli-cazioni di un certo modo di parlare corriamo il rischio di perderci nei traboc-chetti della grammatica o nellindeterminatezza delle nostre intuizioni, e sembranecessario andare oltre il linguaggio; daltra parte non chiaro nemmeno come sipossa stilare un inventario del mondo se non partendo dalle nostre intuizionie dalle nostre pratiche linguistiche, quelle pratiche che in fin dei conti abbiamo

    messo a punto proprio per parlare di noi e del mondo che ci sta intorno. Perogni filosofo questo dilemma deve costituire un importante scrupolo sul pianometodologico. Per un filosofo analitico si tratta del dilemma col quale la praticafilosofica deve confrontarsi quotidianamente.

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