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Facoltà di Ingegneria Corsi di Laurea in: Ingegneria Civile ed in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio Corso di Geotecnica II - Anno Accademico 2003/04 Prof. Ing. Teresa Crespellani EFFETTI SISMICI LOCALI APPLICAZIONE: RISPOSTA SISMICA LOCALE A CITTÀ DI CASTELLO Appunti della lezione del 25/03/04 Ing. Giacomo Simoni INDICE 1. Effetti sismici locali 1.1 Considerazioni introduttive 1.2 Propagazione delle onde sismiche nel terreno 1.3 Fattori che influenzano lo scuotimento sismico 1.4 Valutazione degli effetti sismici locali 1.4.1 Approccio sismologico 1.4.2 Approccio geotecnico 1.5 Risposta sismica di depositi ideali 1.5.1 Strato omogeneo elastico su substrato rigido 1.5.2 Strato omogeneo elastico su substrato deformabile 1.5.3 Strato omogeneo viscoelastico su substrato rigido 1.5.4 Strato omogeneo viscoelastico su substrato deformabile 1.6 Risposta sismica di depositi reali 1.6.1 Effetti delle eterogeneità verticali 1.6.2 Effetti della non linearità 1.6.3 Effetti di bordo e delle onde superficiali 1.6.4 Effetti topografici 2. Applicazione: Risposta sismica locale a Città di Castello 2.1 Principali risultati di recenti studi 2.1.1 A partire da analisi numeriche 2.1.2 A partire da analisi sperimentali 2.2 Sezione analizzata e caratterizzazione dinamica 2.3 Codici di calcolo impiegati 2.4 Input sismico utilizzato nelle analisi numeriche 2.5 Verticali esaminate e modellazioni realizzate 2.6. Esiti delle analisi numeriche e confronti

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Facoltà di Ingegneria Corsi di Laurea in: Ingegneria Civile ed in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio Corso di Geotecnica II - Anno Accademico 2003/04 Prof. Ing. Teresa Crespellani

EFFETTI SISMICI LOCALI APPLICAZIONE: RISPOSTA SISMICA LOCALE A CITTÀ DI CASTELLO

Appunti della lezione del 25/03/04

Ing. Giacomo Simoni INDICE 1. Effetti sismici locali 1.1 Considerazioni introduttive 1.2 Propagazione delle onde sismiche nel terreno 1.3 Fattori che influenzano lo scuotimento sismico 1.4 Valutazione degli effetti sismici locali 1.4.1 Approccio sismologico 1.4.2 Approccio geotecnico 1.5 Risposta sismica di depositi ideali 1.5.1 Strato omogeneo elastico su substrato rigido 1.5.2 Strato omogeneo elastico su substrato deformabile 1.5.3 Strato omogeneo viscoelastico su substrato rigido 1.5.4 Strato omogeneo viscoelastico su substrato deformabile 1.6 Risposta sismica di depositi reali 1.6.1 Effetti delle eterogeneità verticali 1.6.2 Effetti della non linearità 1.6.3 Effetti di bordo e delle onde superficiali 1.6.4 Effetti topografici 2. Applicazione: Risposta sismica locale a Città di Castello 2.1 Principali risultati di recenti studi 2.1.1 A partire da analisi numeriche 2.1.2 A partire da analisi sperimentali 2.2 Sezione analizzata e caratterizzazione dinamica 2.3 Codici di calcolo impiegati 2.4 Input sismico utilizzato nelle analisi numeriche 2.5 Verticali esaminate e modellazioni realizzate 2.6. Esiti delle analisi numeriche e confronti

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1. Effetti Sismici Locali

1.1 Considerazioni introduttive L’osservazione dei danni causati da terremoti distruttivi avvenuti in passato in diverse parti del mondo

ha chiaramente indicato che una corretta progettazione strutturale antisismica non è da sola sufficiente a garantire condizioni di sicurezza e che anche strutture adeguatamente dimensionate per resistere a terremoti forti possono venire distrutte o danneggiate per problemi legati al sito e ai terreni di fondazione.

Durante un terremoto, infatti, gli ammassi rocciosi e i terreni presenti in un dato territorio rispondono in maniera differente e i rilievi dei danni prodotti dall’azione sismica mostrano sempre irregolarità e variazioni areali. Tali variazioni, soprattutto laddove le tipologie edilizie presentano caratteristiche simili, sono chiaramente riconducibili alle caratteristiche geomorfologiche e geotecniche del sito e alle interazioni tra azione sismica e terreni, che possono dare luogo a fenomeni, quali la focalizzazione delle onde sismiche o di risonanza. E’ ormai dimostrato che alcuni siti possono amplificare anche di dieci volte alcune componenti del moto sismico che li attraversa, altri le attenuano, altri ancora collassato, coinvolgendo le eventuali sovrastanti costruzioni. Ogni sito risponde poi in modo diverso a terremoti diversi.

E’ perciò oggi scientificamente riconosciuto che il comportamento di una costruzione durante un terremoto dipende da tre fattori: dalle caratteristiche energetiche dell’azione sismica (terremoto), dalle caratteristiche strutturali del manufatto (costruzione) e dalla risposta del terreno (sito).

Per quanto riguarda la risposta dei terreni ad un determinato terremoto, si possono distinguere due grandi categorie: terreni instabili e terreni stabili. Alla prima categoria appartengono quei terreni nei quali, durante un determinato evento sismico, si possono avere fenomeni di instabilità, locali o generalizzati, associati a grandi movimenti di massa (movimenti franosi, crolli di roccia, ecc.) o elevate deformazioni permanenti e cedimenti (causati ad esempio dalla presenza di cavità, da fenomeni di liquefazione dei terreni sabbiosi saturi, dalla densificazione di terreni granulari sopra falda, dalla dislocazioni di faglie attive, ecc.). Tali fenomeni, di cui le figure 1.1 e 1.2 forniscono un esempio, causano immancabilmente il collasso delle sovrastanti strutture, anche se dimensionate con criteri antisismici. Alla categoria dei terreni stabili appartengono invece quei terreni nei quali, durante il terremoto, gli sforzi indotti dall’azione sismica risultano inferiori alla loro resistenza al taglio. In tal caso, come conseguenza delle caratteristiche geomorfologiche e geotecniche del deposito o dell’ammasso roccioso, si ha una modificazione del moto sismico in arrivo al sito, di cui vengono esaltate alcune componenti e attenuate delle altre, e i cui effetti globali sono una maggiorazione o riduzione delle azioni sismiche , che possono essere trasmesse alle sovrastanti strutture, rispetto a quelle che si avrebbero se alla superficie del deposito affiorasse la roccia o un terreno molto duro pianeggiante. Pur avendosi, come si vedrà meglio nel seguito, dei fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche o di risonanza, la risposta del terreno all’azione sismica è però di tipo stabile. Da quanto detto, appare evidente che, per valutare in maniera realistica le azioni sismiche sulle costruzioni, non basta definire il terremoto atteso di riferimento su terreno rigido al bedrock o su roccia affiorante (outcropping), ma è necessario conoscere le modifiche che subiscono le onde sismiche nel tratto finale del loro percorso dalla sorgente alla superficie, e che a seconda della natura dei terreni e in particolare della loro rigidezza e resistenza al taglio, possono comportare, in corrispondenza di particolari eventi sismici, anche delle instabilità, locali o generalizzate, ed elevati cedimenti e deformazioni del terreno.

Nella terminologia sismica gli effetti dei terremoti dovuti alle condizioni geomorfologiche e geotecniche del sito, inclusivi anche degli effetti di instabilità, sono indicati con il termine effetti locali; le modificazioni del moto sismico dovuti alle mutue interazioni tra onde sismiche e proprietà geotecniche dei materiali attraversati nei terreni stabili vengono invece indicati con il termine effetti di sito. Tali modifiche riguardano tutte le componenti del moto e cioè ampiezza, contenuto in frequenza, durata, direzione di propagazione.

La quantificazione degli effetti locali e degli effetti di sito costituisce un’operazione molto complessa sotto il profilo scientifico, ma, ai fini della riduzione del rischio sismico in una data regione, è un passo obbligato. Per questo motivo si dispone di una grande varietà di metodi e di strumenti di calcolo, ed è l’obiettivo di quell’insieme di studi sismologici, geologici, di ingegneria geotecnica e strutturale, noti come studi di microzonazione sismica, il cui esito è una suddivisione del territorio in zone a diversa pericolosità sismica.

Nel tentativo di razionalizzare il problema, con riferimento al fatto che il comportamento delle strutture dipende da più fattori (terremoto, sito, costruzione) e che quando si passa dalla scala del manufatto a quella

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di un’area più vasta (ad esempio un centro abitato) se ne aggiungono degli altri (ad esempio socio-economici e culturali), per definire il rischio sismico (R ) è stato introdotto il prodotto simbolico: R = H ⋅ V ⋅ E [1.1]dove H è la pericolosità sismica (in inglese hazard), V è la vulnerabilità del sistema strutturale, E è il grado di esposizione della popolazione nel territorio interessato.

La pericolosità è definita come la probabilità di occorrenza, in un dato intervallo di tempo, di un terremoto di prefissate caratteristiche; è funzione della sismicità regionale e delle condizioni del sito e può essere determinata a partire da un moto sismico di riferimento su terreno rigido, tenendo conto di eventuali effetti locali dovuti a fenomeni di natura geotecnica. La vulnerabilità è definita come il livello di danno atteso in un sito a seguito ad un evento sismico di assegnata intensità. L’esposizione è un parametro che dipende dal contesto ambientale, fisico, economico, sociale, storico e culturale al quale appartiene l’opera o l’insediamento e il cui valore può essere definito sulla base di criteri empirici con riferimento alle diverse realtà rilevabili a scala nazionale. Per meglio comprendere la metodologia impiegata e le scelte operate nell’applicazione riportata nel § 2. nei seguenti paragrafi verranno esaminati i principali processi fisici associati alla propagazione delle onde sismiche dalla sorgente al sito e verranno descritti i principali modelli proposti nella letteratura geotecnica per la quantificazione degli effetti di sito.

Figura 1.1 Effetti della liquefazione innescata dal terremoto di Niigata Giappone del 16/06/1964.

Figura 1.2 Effetti prodotti dal terremoto di Anchorage Alaska del 27/03/1964.

Effetti Sismici Locali 4

1.2 Propagazione delle onde sismiche nel terreno L’energia liberata durante un terremoto viene in parte dissipata sottoforma di calore, sviluppato per

effetto dell’attrito derivante dallo scorrimento delle masse rocciose lungo la superficie di faglia, in parte è spesa come lavoro, per compiere lo spostamento delle masse coinvolte, e in parte si propaga nel terreno sotto forma di onde sismiche. Quest’ultime sono onde elastiche che si propagano nel terreno e sulla superficie libera con velocità, frequenza ed ampiezza dipendenti dalle proprietà elastiche dei mezzi attraversati. L’energia trasportata dalle onde sismiche si traduce in sollecitazioni e deformazioni del terreno e quindi in spostamenti (scuotimento sismico). In relazione al tipo di sollecitazione e di deformazione a cui è assoggettato il terreno nonché al modo di propagazione delle stesse onde, si distinguono le onde di volume (onde P e S) e le onde superficiali (onde di Love e di Rayleigh). Le onde P sono onde di compressione, le onde S sono onde di taglio. Le onde superficiali si generano all’interfaccia con la superficie libera. Per quanto concerne le onde di volume, pur essendo sempre presenti entrambe, a seconda del meccanismo di sorgente tendono a prevalere quelle di un tipo piuttosto che dell’altro; così, ad esempio, nel caso in cui la sorgente sia rappresentata da un’esplosione profonda prevarranno sollecitazioni di tipo compressivo e le onde generate sono in prevalenza onde P, quando, invece, la sorgente sia dovuta ad uno scorrimento profondo, come accade per i terremoti, allora le sollecitazioni indotte nel terreno sono prevalentemente di taglio e prevalgono le onde S. A differenza delle onde di volume, che si propagano a partire dalla sorgente secondo fronti d’onda sferici, le onde di superficie si propagano lungo superfici di discontinuità e stratificazioni più o meno superficiali. Le deformazioni prodotte dai vari tipi di onde sismiche nei terreni attraversati sono indicate in figura 1.3.

Onda P

Onda S

Onda di Love

Onda di Rayleigh

Figura 1.3 Stati deformativi prodotti da onde P, onde S, onde di Love

e onde di Rayleigh in un mezzo elastico.

Effetti Sismici Locali 5

Generalmente le onde sismiche durante il loro cammino di propagazione nel terreno non incontrano un mezzo omogeneo, bensì stratificato e quindi costituito da strati caratterizzati da diverse proprietà fisiche e meccaniche, e non elastico. Nell’impatto con le superfici di contatto fra i vari strati le onde sismiche vengono in parte rifratte e in parte riflesse, subendo importanti modifiche nella direzione di propagazione e con una perdita di energia crescente con la distanza, anche a causa di fenomeni dissipativi di tipo isteretico nei mezzi attraversati (figura 1.4).

Ipocentro

Epicentro

onde

diret

te

ONDE P

ON

DE P

Propagazione del fronte d'onda

ON

DE S

ONDE S

onde rifratte

ON

DE P

ONDE P

ON

DE S onde riflesse

ONDE S

Scorrimento della faglia

ONDE S

ONDE PONDE R

Figura 1.4 Fenomeni di riflessione e rifrazione delle onde sismiche e raddrizzamento della direzione di propagazione.

Le onde sismiche allontanandosi dalla sorgente coinvolgono volumi di terreno sempre maggiori e le

modifiche delle loro caratteristiche sono: 1) un raddrizzamento della direzione di propagazione, tale che in prossimità della superficie libera le onde incidenti possono essere considerate verticali e il moto prodotto in superficie orizzontale e generato prevalentemente da onde S polarizzate nel piano orizzontale (onde SH); 2) un’attenuazione della loro ampiezza. Quest’ultima è dovuta: alla diffusione dell’energia sprigionata dal terremoto su fronti d’onda di raggio crescente con la distanza dalla sorgente (smorzamento geometrico); ai fenomeni di riflessione e rifrazione (smorzamento per scattering) e infine, ai fenomeni dissipativi nei mezzi attraversati (smorzamento interno).

Lo studio dell’equilibrio dinamico del mezzo elastico ideale mostra che le onde sismiche di volume associate a stati deformativi di compressione-dilatazione volumetrica, cioè le onde P, si propagano con direzione parallela allo spostamento dell’elemento di volume investito dall’onda e con velocità VP data dalla seguente relazione:

ρV

PM

V = [1.2]

dove ρ è la densità del mezzo e MV è il modulo di rigidezza a compressione monodimensionale ovvero è il modulo di compressione edometrica Eed che, in un mezzo elastico ideale, è legato al modulo di Young E ed al coefficiente di Poisson ν dalla relazione:

)21()1(2νν

ν−−+⋅

==EEM edV [1.3]

Le onde di volume connesse a fenomeni deformativi di tipo distorsionale, cioè le onde S, sono invece caratterizzate da direzione perpendicolare allo spostamento dell’elemento di volume investito dall’onda e da velocità di propagazione VS pari a:

ρGVS = [1.4]

Effetti Sismici Locali 6

con G modulo di rigidezza a taglio del mezzo. Il campo di spostamenti prodotti dalle onde S è generalmente scomposto in due componenti

perpendicolari: le onde polarizzate nel piano orizzontale SH, e le onde polarizzate nel piano verticale SV. Detta x la direzione di propagazione di un’onda di Rayleigh orizzontale e z la direzione verticale, si può

dimostrare che una generica particella solida investita dall’onda Rayleigh (detta anche onda R) tende ad oscillare sia in direzione x sia in direzione z, seguendo, di fatto, un’orbita ellittica (figura 1.3). La velocità di propagazione delle onde di Rayleigh è proporzionale al valore assunto dalle onde S ed approssimativamente data dalla seguente relazione:

SR VV ⋅++

≅ν

ν1

12.187.0 [1.5]

Un’onda di Love (detta anche onda L) può propagarsi unicamente attraverso uno strato omogeneo limitato, da un lato, da una superficie libera, dall’altro, da un semispazio le cui caratteristiche meccaniche differiscono da quelle dello strato. La velocità di propagazione VL è intermedia fra la velocità delle onde di taglio dello strato e la velocità delle onde di taglio del semispazio.

In generale nell’attraversare l’interfaccia tra due materiali A e B si verificano contemporaneamente i seguenti tre fenomeni: 1) La generazione di onde superficiali. Quando il secondo mezzo attraversato dalle onde sismiche non può trasmettere onde elastiche, in altre parole è una superficie libera, la combinazione delle componenti P e SV delle onde di volume genera onde superficiali di Rayleigh. Queste onde hanno velocità VR di poco inferiore alle velocità delle onde di taglio VS e producono vibrazioni polarizzate su piani verticali, nella direzione di propagazione e in quella perpendicolare. All’interno del terreno, all’aumentare della profondità r, le onde di Rayleigh si attenuano meno rapidamente di quelle di volume (che si attenuano secondo una legge del tipo 1/r) e in modo che la componente verticale sia predominante su quella orizzontale e significativa fino ad una profondità pari alla lunghezza d’onda λ. In superficie, all’aumentare della distanza epicentrale r, le onde di Rayleigh diventano predominanti rispetto a quelle di volume (che invece prevalgono in prossimità dell’epicentro), poiché si attenuano secondo una legge del tipo r -1/2, mentre quelle di volume secondo una legge del tipo r -2. 2) La generazione di onde riflesse nel mezzo di provenienza e rifratte nel mezzo di destinazione, anche di tipo diverso di quella incidente. In figura 1.5 è riportato il caso di un’onda SV incidente l’interfaccia tra due strati A e B secondo una direzione obliqua. Le onde SV e P riflesse e rifratte assumono direzioni diverse da quella originaria e legate ad essa secondo la legge di Snell (vedi Richart et al., 1970):

BPSAPASAS Vusen

Vtsen

Vssen

Vrsen

Visen

,,,,,

)()()()()(====

B [1.6]

dove i è l’angolo di incidenza, r e s gli angoli di riflessione, t ed u gli angoli di rifrazione e VS,A, VS,B, VP,A e VP,B le velocità delle onde S e P nei due mezzi. La relazione [1.6] implica un avvicinamento alla normale alla superficie di separazione dei mezzi proporzionale alla diminuzione di velocità del mezzo B rispetto al mezzo A.

i r

s

t u

SV

SV rifratta

P rifratta

P riflessa

SV riflessa

ρ VP,BB V S,BV Vρ A SP,A

MEZZO BMEZZO A ,A

Figura 1.5 Effetti prodotti da un’onda SV incidente all’interfaccia tra due mezzi.

Effetti Sismici Locali 7

3) Una modifica dell’ampiezza degli spostamenti inversamente proporzionale all’impedenza sismica Z (cioè il prodotto ρV) dei mezzi a contatto; nel caso di onde incidenti perpendicolarmente all’interfaccia, dette ui, ur e ut rispettivamente le ampiezze delle onde incidenti, riflesse e rifratte, valgono le seguenti relazioni:

itir uuuuµµ

µ+

=+−

=1

211 [1.7]

dove µ rappresenta il rapporto tra le impedenze del mezzo di destinazione B rispetto a quello di provenienza A:

AA

BB

A

B

VV

ZZ

⋅⋅

==ρρ

µ [1.8]

Indipendentemente dalle formazioni attraversate dalle onde di volume, in genere si assiste ad una riduzione delle velocità, delle densità e dell’inclinazione lungo il percorso. Conseguentemente avvicinandosi alla superficie l’onda tende a raddrizzarsi avvicinandosi alla verticale, mentre gli spostamenti aumentano. Questo comporta forti deviazioni dal tragitto delle onde sismiche in corrispondenza della trasmissione tra roccia e terreno, figura 1.6. In particolare, nei depositi orizzontalmente stratificati, un evento sismico può essere comparato a treni d’onde P e S che si propagano verso l’alto a partire dal substrato roccioso o di terreno duro (bedrock).

Considerato che i depositi naturali sono in gran parte sotto falda e che, per l’elevata rapidità delle sollecitazioni indotte, il terreno si trova in condizioni non drenate, si comprende che un evento sismico comporta deformazioni volumetriche, indotte dalle onde P, irrilevanti rispetto a quelle di taglio, indotte dalle onde S. Inoltre, osservando che la gran parte delle strutture ha maggiore vulnerabilità alle azioni orizzontali rispetto a quelle verticali, appare giustificato ricondurre la modellazione meccanica di un evento sismico all’analisi degli effetti prodotti da onde S che si propagano dal bedrock alla superficie producendo spostamenti orizzontali del terreno.

1.3 Fattori che influenzano lo scuotimento sismico Le analisi di risposta sismica locale, finalizzate alla previsione quantitativa del moto sismico atteso in

superficie in corrispondenza di un determinato sito in condizioni cosiddette free field (cioè di superficie libera da manufatti), devono comprendere tutti i fenomeni che influenzano e determinano il moto.

In termini molto schematici, lo scuotimento registrato alla superficie libera in un dato sito, durante un terremoto, può essere pensato come il prodotto di tre termini (ciascuno dei quali oggetto di una fase fondamentale in cui può pensarsi articolata l’analisi di risposta sismica locale):

)()()()( tGtAtStU ⋅⋅= [1.9]nella quale: U(t) è il parametro scelto per rappresentare lo scuotimento sismico (spostamento, velocità, accelerazione, ecc.); S(t) è una funzione che definisce lo scuotimento alla sorgente; A(t) è una funzione di trasferimento relativa al cammino di propagazione delle onde sismiche dalla sorgente al sito e G(t) è una funzione di trasferimento che dipende dalle caratteristiche geometriche del sito e dalle proprietà stratigrafiche e geotecniche dei terreni.

Tali funzioni dipendono da numerosi fattori sismici, geologici e geotecnici. La specificazione delle tre funzioni, e delle analoghe funzioni nel dominio delle frequenze, è possibile attraverso la deconvoluzione di molte registrazioni strumentali. Senza entrare negli sviluppi teorici, che riguardano discipline più vicine alla sismologia piuttosto che ai tradizionali ambiti dell’ingegneria geotecnica, si possono individuare, qualitativamente, i principali fattori che influenzano lo scuotimento sismico in un sito in condizioni free field (figura 1.6): 1) la sorgente; 2) il percorso di propagazione e 3) le condizioni locali. 1- La sorgente

Generalmente l’influenza dei meccanismi di sorgente prevale su quella degli altri fattori in un area compresa entro un raggio all’incirca uguale alla lunghezza della frattura, spesso compresa fra i 15 ed i 20km e indicata in letteratura come near field. I parametri che influenzano maggiormente lo scuotimento sismico in superficie sono quattro: a) La profondità della sorgente – A parità di altri fattori un evento sismico risulta essere tanto più distruttivo quanto minore risulta essere la sua profondità ipocentrale; generalmente i terremoti che si originano a profondità superiori ai 70km non provocano danni in superficie, mentre i terremoti più distruttivi risultano essere quelli a profondità compresa tra 15 e 20km. Inoltre, quanto più un

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evento sismico è superficiale tanto meno estesa risulta essere l’area interessata dal terremoto1, tanto più la forma dell’accelerogramma è di tipo impulsivo, la durata dello scuotimento sismico minore e il contenuto in frequenza ricco in alte frequenze. b) La lunghezza della frattura – La lunghezza della frattura è legata all’energia liberata e ad altre grandezze rappresentative della severità del terremoto (magnitudo, durata, accelerazione massima, spostamenti del terreno in superficie, ecc.). In letteratura esistono numerose correlazioni che legano la lunghezza della frattura ai diversi parametri. c) L’energia rilasciata – Quanto maggiore è l’energia rilasciata dal terremoto tanto più estesa risulta essere l’area interessata, tanto maggiori risultano le ampiezze delle vibrazioni.

Faglia Percorso di propagazione

Meccanismo di sorgente

Condizioni locali

Effetti di sito

Figura 1.6 Schematizzazione dei fenomeni che determinano il moto sismico in superficie in corrispondenza di un sito.

2- Il percorso di propagazione

Le onde di volume sono delle onde sismiche a propagazione radiale, che si propagano nel terreno secondo fronti d’onda sferici, coinvolgendo volumi di terreno sempre maggiori. L’ampiezza delle vibrazioni, così come l’energia rilasciata, si riduce man mano che si allontanano dalla sorgente.

Nei mezzi elastici, omogenei e isotropi la propagazione delle onde di volume segue la seconda legge fondamentale della dinamica e, le equazioni del moto per un volume elementare di tale materiale assumono, in un riferimento cartesiano (x, y, z), la seguente forma:

2

22 )()(

t∂∂

=∇∇++∇sss ρµλµ [1.10]

nella quale: - è il vettore delle componenti cartesiane dello spostamento; ),,( wvu=s- ρ è la densità del materiale;

-

∂∂

∂∂

∂∂

=∇zyx

,, è l’operatore vettoriale gradiente;

-

∂∂

∂∂

∂∂

=∇2

2

2

2

2

22 ,,

zyxè l’operatore scalare di Laplace;

- t è il tempo; - λ e µ sono le costanti elastiche di Lamé (1859), legate al modulo di elasticità normale E’, al modulo di taglio G ed al coefficiente di Poisson ν dalle seguenti relazioni:

)21()1('

)1(2'

νννλ

νµ

−⋅+⋅

=

+⋅==

E

EG

[1.11]

La relazione [1.9] in componenti cartesiane assume le seguenti espressioni:

1 Un caso significativo di concentrazione degli effetti distruttivi in una piccola area è il terremoto che nel 1883 colpì la più antica cittadina termale dell’isola d’Ischia, Casamicciola. L’evento fu caratterizzato da distanza ipocentrale di 5km e da distruzione pressoché totale del centro abitato di Casamicciola senza alcun danno nelle località vicine.

Effetti Sismici Locali 9

2

22 )(

tu

xu

∂∂

=∂∆∂

++∇ ρµλµ [1.12]

2

22 )(

tv

yv

∂∂

=∂∆∂

++∇ ρµλµ [1.13]

2

22 )(

tw

zw

∂∂

=∂∆∂

++∇ ρµλµ [1.14]

nelle quali si è indicato con:

zw

yv

xu

∂∂

+∂∂

+∂∂

=∇=∆ s [1.15]

la deformazione unitaria di volume (dilatazione cubica). Poiché un qualunque campo vettoriale può essere scomposto in un campo irrotazionale e in un campo

solenoidale (teorema di Clebsch) le relazioni [1.12], [1.13] e [1.14] possono essere equivalentemente scritte nel modo seguente:

2

22

)2( t∂∆∂

⋅+

=∆∇µλ

ρ [1.16]

2

22

t∂∂

⋅=∇ωω

µρ [1.17]

dove:

)(21 sω rot=

è il vettore rotazione, pari alla metà del rotore del campo vettoriale s degli spostamenti. Indicando con A l’effetto (scalare o vettoriale) che si propaga nel mezzo con velocità V, il modello

matematico più generale descrivente la propagazione delle onde in un mezzo è dato dalla seguente equazione differenziale alle derivate parziali:

2

2

22 1

tA

VA

∂∂

⋅=∇ [1.18]

Confrontando la [1.15] con la [1.17] è facile comprendere come la prima di esse esprima la propagazione ondosa della dilatazione cubica con velocità:

ρµλ 2+

=PV [1.19]

quindi, la velocità di propagazione delle onde P, per le [1.10], può essere equivalentemente scritta come:

)21()1(2

νν

ρ −−

⋅=GVP [1.20]

Analogamente, ricordando la prima delle [1.10], il confronto della relazione [1.17] con la [1.18] dimostra che la prima esprime la propagazione ondosa della rotazione ω con velocità:

ρGVS = [1.21]

Dividendo la velocità delle onde P, relazione [1.20], per la velocità di propagazione delle onde S, relazione [1.21] si ottiene:

)21()1(2

νν

−−⋅

=S

P

VV

[1.22]

e, analogamente, dividendo la velocità delle onde di Rayleigh, relazione [1.5], per la velocità di propagazione delle onde S, relazione [1.21] si ottiene:

νν

++

=1

12.187.0

S

R

VV

[1.23]

Dalle relazioni [1.22] e [1.23] si deduce che il rapporto fra le due velocità dipende esclusivamente dal

coefficiente di Poisson (figura 1.7).

Effetti Sismici Locali

onde P

onde S

onde R

0

1

2

3

4

5

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5

coefficiente di Poisson, ν

rapp

orto

tra

velo

cità

, V/V

S

10

Figura 1.7 Rapporto fra velocità di propagazione delle onde sismiche in un mezzo elastico in funzione del valore assunto dal coefficiente di Poisson.

La propagazione delle onde sismiche nei mezzi stratificati ed eterogenei segue leggi molto più

complesse, con cambiamenti di velocità e direzione, nonché perdite d’energia a causa dei processi di rifrazione e riflessione nel passaggio attraverso le superfici di contatto fra mezzi diversi. Come anticipato nel § 1.2, un’onda sismica nel passaggio fra mezzi diversi, genera onde rifratte e riflesse sia longitudinali sia di taglio. In particolare, si è visto, che un’onda SV dà luogo ad un’onda P rifratta ed una riflessa, nonché ad onde SV rifratte e riflesse. Inoltre, le onde SH danno luogo ad un’onda SH rifratta e ad una riflessa, mentre ogni onda P dà luogo a quattro tipi di onde: un’onda P rifratta, un’onda P riflessa, un’onda SV rifratta e un’onda SV riflessa. 3- Le condizioni locali

In prossimità degli strati più superficiali meno addensati e topograficamente più irregolari, le onde sismiche possono subire notevoli trasformazioni; in particolare, l’ampiezza delle vibrazioni e la durata del sisma possono aumentare marcatamente per effetto delle condizioni locali. Generalmente i fenomeni amplificativi sono più importanti in campo lontano (far field) e laddove sono meno risentiti gli effetti della sorgente.

Con il termine condizioni locali si intende l’insieme di quei fattori naturali che interagendo con le onde sismiche possono modificare, rispetto allo scuotimento della roccia sottostante (bedrock), le caratteristiche dello scuotimento sismico in superficie. Tali fattori sono di natura geologica (caratteristiche stratigrafiche, discontinuità tettoniche e litologiche, livello di falda, età geologica, ecc.), fattori topografici (morfologia superficiale e sepolta) e fattori geotecnici (proprietà dei terreni in campo statico e dinamico).

Con riferimento ai terreni sismicamente stabili (terreni che interagendo con le onde sismiche non arrivano a rottura e non raggiungono cedimenti elevati), il problema è quello di valutare la risposta sismica locale, cioè le modificazioni dello scuotimento sismico.

Le situazioni geologiche e morfologiche, in cui è stato ampiamente dimostrato che le condizioni locali possono comportare un’amplificazione della risposta sismica locale sono due:

1) i depositi di fondovalle costituiti da terreni mediamente addensati, di notevole spessore (>50m) e di caratteristiche meccaniche molto diverse da quelle della roccia sottostante;

2) la sommità di rilievi collinari, creste, promontori, costituiti da formazioni rocciose con discontinuità litologiche e strutturali e superfici topografiche piuttosto irregolari.

I fenomeni fisici che originano i fenomeni di amplificazione in tali siti, che spesso risultano essere concomitanti sebbene profondamente diversi, sono: gli effetti di risonanza alle vibrazione dei depositi e i fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche. Effetti di risonanza nei depositi

Le analisi delle registrazioni strumentali effettuate da diverse stazioni di misura collocate in un area colpita da un evento sismico, ha mostrato in più occasioni che l’ampiezza della scossa sismica sulla superficie libera può essere anche 10 ÷ 12 volte superiore di quella su roccia affiorante, e che le modificazioni subite dal moto sismico, oltre all’ampiezza del picco massimo, interessano la frequenza, la forma, il contenuto energetico e la durata.

Durante il loro percorso di propagazione dalla base rocciosa alla superficie del deposito, le onde sismiche inducono nel terreno sforzi e deformazioni di taglio che, considerata la loro natura ciclica,

Effetti Sismici Locali 11

inducono fenomeni di fatica e un conseguente decadimento della rigidezza del terreno, che è tanto più marcata quanto più scadenti sono le caratteristiche meccaniche del terreno attraversato. Considerato che, generalmente i terreni più superficiali sono meno rigidi, ne consegue che l’ampiezza massima del moto sismico tenda ad aumentare avvicinandosi alla superficie libera, in misura più o meno evidente in relazione alle capacità dissipative degli strati attraversati.

L’amplificazione delle onde sismiche non avviene in misura uniforme per tutte le frequenze. Infatti, i fenomeni amplificativi, saranno più rilevanti in corrispondenza delle frequenze prossime a quelle naturali degli strati attraversati e saranno, quindi, la conseguenza di fenomeni di risonanza. L’ampiezza del moto sismico assumerà valori tanto maggiori quanto minori sono le capacità dissipative dei materiali attraversati. Viceversa, le componenti del moto sismico con frequenza molto diversa da quella degli strati attraversati, saranno attenuate e alla superficie del deposito sarà registrata una deamplificazione rispetto alla base rocciosa. Il deposito agisce quindi sul moto sismico come un “filtro”, amplificandone o smorzandone alcune componenti in determinati campi di frequenze.

Nella letteratura sismica sono molti i casi noti di depositi che, durante alcuni forti terremoti (S. Francisco, 1957; Caracas, 1967; Città del Messico, 1985; Los Angeles, 1994; Kobe, 1995), hanno dato origine a rilevanti effetti amplificativi dello scuotimento sismico, che hanno portato al collasso strutture progettate e realizzate con criteri antisismici.

In conseguenza agli eventi sismici più disastrosi, negli ultimi trenta anni è stato dato particolare rilievo al problema della previsione dello scuotimento sismico alla superficie dei depositi, o secondo un’accezione consolidata, della risposta sismica locale (RSL). Fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche

In occasione di numerosi eventi sismici avvenuti nell’ultimo ventennio sono stati riscontrati effetti locali dovuti all’influenza della topografia. L’intensità macrosismica osservata dopo alcuni eventi sismici ha suggerito che l’influenza della geometria superficiale si risente maggiormente alla sommità dei rilievi.

In generale, i fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche, e le conseguenti amplificazioni dello scuotimento, si possono verificare alla sommità di rilievi collinari e montani, di creste, crinali e promontori, nonché nelle zone di bordo dei depositi. La causa è da ricercarsi nella concentrazione delle onde sismiche in alcune aree a seguito della rifrazione e riflessione delle onde sismiche in arrivo al sito, in corrispondenza delle superfici di contatto fra mezzi diversi.

Numerosi sono in letteratura le analisi numeriche e sperimentali che hanno affrontato i fenomeni di amplificazione locale conseguenti agli effetti topografici e ai bordi dei depositi naturali. In particolare, tra i lavori che hanno affrontato i fenomeni di focalizzazione in corrispondenza dei rilievi si ricordano quelli di Aki (1988), Bard (1982, 1994), Bard et al. (1995), Faccioli (1991); Géli et al. (1988), Jibson (1987), Lee et al. (1994), Pedersen et al. (1994), Sanchez-Sesma (1990). Invece, tra gli studi che si sono occupati dei cosiddetti effetti di bordo si ritengono degni di nota quelli di Aki (1993), Bard (1994), Bard e Gariel (1986), Bielak et al. (2000), Chang e Chiang (1991), Gomes et al. (1999), Jongmans e Campillo (1991), Pei e Papageorgiou (1995), Pitilakis et al. (1999).

Per quanto concerne la descrizione dei fenomeni di amplificazione locale conseguenti agli effetti di bordo si rimanda al § 1.6.3; mentre, nel § 1.6.4, vengono esposti quelli conseguenti alla focalizzazione delle onde sismiche sui rilievi.

1.4 Valutazione degli effetti sismici locali Il problema della valutazione degli effetti sismici locali è l’obiettivo primario degli studi di

microzonazione sismica. Può essere affrontato mediante diversi metodi e approcci che permettono di individuarli e quantificarli. In particolare possono essere utilizzati sia metodi sperimentali (approccio sismologico), sia metodi numerici (approccio geotecnico).

I metodi sismologici permettono di effettuare la valutazione della risposta sismica locale a partire dall’analisi delle registrazioni di segnali sismici che possono essere stati generati da terremoti ad elevato contenuto energetico, da terremoti deboli, da sorgenti sismiche artificiali o da modesti movimenti del terreno noti come microtremori. La valutazione degli effetti di sito è ricondotta a studi fondati sull’analisi spettrale e in particolare sul metodo dei rapporti spettrali. Vengono valutati i rapporti spettrali di ciascun sito rispetto ad un sito di riferimento posto su roccia affiorante (King e Tucker, 1984; Malagnini et al., 1996; Tucker e King, 1984) e i rapporti spettrali per ciascun sito fra le componenti orizzontale e verticale del moto che possono essere applicati sia alle registrazioni di terremoti (in analogia alla funzione ricevitore

Effetti Sismici Locali 12

di Langston, 1979), sia alle registrazioni di rumore ambientale, cioè i cosiddetti microtremori e la loro elaborazione con opportuni metodi (Nakamura, 1989).

I metodi numerici, avvalendosi dei risultati ottenuti da adeguate indagini (geologiche, geotecniche e geofisiche) e degli studi sul rischio sismico dell’area, utilizzano modellazioni fisico matematiche (mono, bi e tri-dimensionali) per valutare la risposta sismica locale.

Risulta chiaro che l’applicazione di un approccio piuttosto che l’altro, e conseguentemente la scala dello studio da effettuare e l’approfondimento delle indagini (e quindi le risorse economiche necessarie), dipendono in primo luogo dagli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Di seguito si riportano sinteticamente le peculiarità dell’approccio sismologico e dell’approccio geotecnico per la valutazione degli effetti sismici locali. Per quanto riguarda il primo approccio, di natura prettamente sismologica, si possono trovare utili riferimenti nel seguente paragrafo; mentre per quanto concerne la valutazione degli effetti locali secondo l’approccio specificamente geotecnico-ingegneristico, si possono trovare utili indicazioni, oltre che nel § 1.4.2, in maniera più diffusa nel presente lavoro.

Per inciso, nell’ambito delle indagini applicative di microzonazione sismica condotte negli ultimi anni e che hanno previsto l’impiego integrato dei due approcci, è emerso che: vi è coerenza tra i due diversi approcci di studio sebbene questi abbiano delle differenze di base2 e che, l’integrazione dei due metodi, permette di effettuare analisi veramente complete che considerano sia gli effetti tridimensionali sia il comportamento non lineare dei terreni soggetti alle azioni sismiche.

1.4.1 Approccio sismologico Il cosiddetto approccio sismologico, prescindendo dalle indagini geotecniche per la caratterizzazione dei

terreni, rappresenta una metodologia speditiva particolarmente semplificata nei costi e nei tempi di esecuzione, ma poco affidabile e con basso grado di accuratezza. I metodi più impiegati sono: il metodo di Kanai e Tanaka (1961) e il metodo di Nakamura (1989). Entrambe i metodi utilizzano le registrazioni del rumore di fondo e per questo talvolta detti metodi dei microtremori.

Il primo metodo nasce dalla constatazione degli Autori che in ogni sito si registra un peculiare spettro dei microtremori e che questo mostra una buona somiglianza con quello di terremoti registrati nello stesso luogo. A sostegno della loro tesi gli Autori, portarono una serie di analisi spettrali di microtremori, perlopiù registrate a Tokyo, che mostrano la loro costanza nel tempo e la loro dipendenza dal profilo stratigrafico del sito. Sebbene, “pareva che bastasse registrare il rumore di fondo presente in un sito per poter dire con buona approssimazione la forma dello spettro di un evento distruttivo” (Faccioli et al., 1986), risultati profondamente diversi non tardarono a presentarsi. É evidente, che per avere uniformità tra spettri di microtremori e di terremoti, è necessario che entrambi siano sufficientemente stabili nel tempo. Terremoti deboli e terremoti forti in uno stesso sito dovrebbero mediamente avere lo stesso contenuto in frequenza e lo stesso dovrebbe valere per i microtremori e per attività sismica di basso livello; e questo, risulta tanto più vero quanto maggiore è la rigidezza del terreno e quanto minori sono le sue capacità smorzanti. È infatti ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica che, al crescere della magnitudo locale, si ha una riduzione della frequenza relativa alla massima ampiezza spettrale a causa del comportamento non lineare dei terreni.

Il metodo di Nakamura (noto anche come metodo H/V o metodo QTS, Quasi-Transfer Spectra) utilizza la cosiddetta tecnica H.V.S.R. (Horizontal to Vertical Spectral Ratio) e permette di stimare la risposta di sito attraverso il rapporto fra lo spettro della componente orizzontale H e lo spettro della componente verticale V del rumore di fondo registrato in un sito. L’attrattiva principale del metodo H/V è legata alla constatazione che può essere applicato in aree a sismicità bassa o nulla (Nakamura, 2000). Inoltre, il metodo non necessita della risposta di un sito preso come riferimento o di specifiche indagini geotecniche. Le ipotesi fondamentali fatte dall’Autore riguardano la componente verticale del rumore ambientale di fondo, e 2 L’approccio geotecnico ha il vantaggio di utilizzare nelle analisi numeriche un evento sismico di riferimento e quindi di tenere implicitamente conto della non linearità del comportamento del terreno. Per contro ha lo svantaggio di richiedere una serie di parametri di input e di conoscenze (geologiche, geotecniche, geofisiche e sismiche) che richiedono specifiche indagini e studi. L’approccio sismologico, invece, ha il vantaggio di considerare l’effetto della sollecitazione sismica nelle tre dimensioni nonché di tenere implicitamente conto delle condizioni locali; ha invece, tra i principali limiti, vi sono: quello di considerare eventi di bassa magnitudo e quindi di valutare il comportamento dei materiali soltanto a bassi livelli deformativi; di richiedere oltre alle analisi sismologiche analisi geotecniche dinamiche integrative allo scopo di rilevare il comportamento del bedrock in condizioni sismiche e di effettuare le registrazioni per periodi di tempo che generalmente dipendono dalla sismicità dell’area e che possono variare da un minimo di un mese a un massimo di due anni.

Effetti Sismici Locali 13

in particolare che: 1) mantiene le proprie caratteristiche passando attraverso il deposito 2) è relativamente influenzata dalle onde di Rayleigh. Per le ipotesi fatte segue che la componente verticale del microtremore può essere impiegata per rimuovere dalla componente orizzontale sia gli effetti dovuti alla sorgente sia gli effetti dovuti alla presenza delle onde di Rayleigh. Il metodo sembra particolarmente efficace nell’individuare la frequenza fondamentale dei depositi e implicitamente contiene un fattore di amplificazione più realistico di quello ottenibile dal rapporto tra gli spettri al sito e su roccia di riferimento. Numerosi ricercatori3 hanno mostrato che il rapporto H/V del rumore di fondo può essere utilizzato per identificare la frequenza fondamentale e il fattore di amplificazione di un deposito. La tecnica H/V viene di seguito spiegata riferendosi alla figura 1.8, nella quale con H e V sono stati indicati rispettivamente gli spettri di Fourier delle componenti orizzontali e verticali del microtremore registrato. Gli spettri delle componenti orizzontale e verticale del microtremore, registrate sulla superficie libera del deposito, Hf e Vf rispettivamente, possono essere scritte come segue:

sbvfsbhf VVAVHHAH +⋅=+⋅= [1.24]

b

fv

b

fh V

VT

HH

T == [1.25]

dove: Ah e Av sono fattori di amplificazione del moto orizzontale e verticale delle onde sismiche verticalmente incidenti la superficie libera del deposito; , Hf e Vf sono gli spettri delle componenti orizzontale e verticale del moto dello strato roccioso di base (o affiorante); Hs e Vs sono gli spettri delle componenti orizzontale e verticale delle onde di Rayleigh. Th e Tv sono i fattori di amplificazione del moto orizzontale e verticale della superficie libera del deposito riferiti al moto sismico del bedrock.

Roccia

H , V = H , Vr r b bH , V f f

Deposito

bH , V b

Figura 1.8 Schema di riferimento impiegato dal metodo H/V (Nakamura, 2000) In generale, la velocità di propagazione delle onde P risulta essere maggiore di 3 ÷ 4 volte della velocità

delle onde S. Nei depositi in cui vale tale affermazione, le componenti verticali del moto non possono essere amplificate (Av = 1) nel campo di frequenze in cui si ha la massima amplificazione delle componenti orizzontali del moto. Se non ci sono effetti indotti dalle onde di Rayleigh allora Vf ≈ Vb. Diversamente, il caso in cui Vf è maggiore di Vb, è considerato come effetto delle onde di superficie. Quindi, stimati gli effetti indotti dalle onde di Rayleigh mediante TV, l’amplificazione orizzontale del moto può essere scritta come:

+

+

====

b

sv

b

sh

b

b

b

b

f

f

v

hh

VV

A

HH

A

VH

QTS

VHVH

TT

T * [1.26]

dove:

+

+

⋅=+⋅+⋅

==

b

sv

b

sh

b

b

sbv

sbh

f

f

VV

A

HH

A

VH

VVAHHA

VH

QTS [1.27]

3 Si vedano ad esempio i lavori di: Field e Jacob (1993, 1995); Lermo et al. (1992); Ohmachi et al. (1991).

Effetti Sismici Locali 14

Nell’equazione [1.27], Hb/Vb ≅ 1, mentre Hs/Hb e Vs/Vb dipendono dall’energia trasmessa dalle onde di Rayleigh. Nel caso in cui gli effetti indotti dalle onde R sia trascurabile si ha QTS = Ah/Av. Se, invece, il contenuto in onde R dei microtremori è elevato, il secondo termine della relazione diviene predominante QTS = Hs/Vs e la frequenza corrispondente al primo picco della funzione Hs/Vs è circa uguale alla frequenza fondamentale f0. Per frequenze prossime ad f0, si ha Av = 1. Gli andamenti di QTS riportati da Nakamura (2000) mostrano che il picco alla frequenza f0 è stabile. In ogni caso, quando l’influenza delle onde di Rayleigh è elevata, Vs diventa piccolo (come risulta dal picco della funzione Hs/Vs) in corrispondenza della frequenza fondamentale a causa di riflessioni multiple del moto orizzontale.

Nell’ultimo decennio numerosi ricercatori hanno utilizzato il metodo H/V per la stima della risposta sismica locale, giungendo a considerazioni sul metodo talvolta antitetici. Field et al. (1995), valutando la risposta sismica con diversi metodi a Leninakan in Armenia, osservarono che né il solo spettro della componente orizzontale del rumore di fondo né i rapporti spettrali riferiti a un sito di riferimento su roccia dura, possono rivelare informazioni utili sulla risposta sismica locale; viceversa, utilizzando il metodo di Nakamura, i rapporti spettrali fra componenti orizzontali e verticali dei microtremori mostrano un picco in corrispondenza della frequenza fondamentale di risonanza osservata a partire dalle registrazioni relative ad alcune repliche del terremoto di Giumri. Gli Autori concludono che il metodo H/V può essere considerato una procedura attendibile per determinare la frequenza fondamentale dei depositi. Lachet et al. (1996), utilizzando tre differenti tecniche (rapporti spettrali a una stazione di riferimento, funzioni di ricezione, rapporti spettrali H/V sulla registrazione del rumore) per analizzare le registrazioni del terremoto di Salonicco in Grecia e del rumore ambientale, giungono alla conclusione che il metodo proposto da Nakamura sottostima i livelli di amplificazione. Gli studi di Bonilla et al. (1997), finalizzati all’analisi dell’amplificazione locale nella valle di S. Fernando in California, furono compiuti utilizzando onde S, onde di coda e il metodo di Nakamura; i risultati ottenuti dagli Autori evidenziarono che le amplificazioni determinate attraverso il metodo H/V sono differenti da quelle determinate tramite gli altri metodi. Seekins et al. (1996), valutando l’amplificazione in cinque siti a S. Francisco in California, osservarono che il metodo H/V applicato ai microtremori mostra il maggiore picco d’amplificazioni in corrispondenza della frequenza propria delle onde S, ma per frequenze superiori a 2Hz i picchi spettrali delle onde S non coincidono con quelli dei microtremori. Per tale motivo, secondo Seekins et al. (op. cit.), il metodo è solo in grado di prevedere la frequenza fondamentale dei siti analizzati. Secondo Lermo e Garcia (1993) il rapporto spettrale H/V porta a buoni risultati anche quando utilizzato con dati relativi a deboli e forti moti del suolo; anche in questi casi è infatti possibile definire la frequenza fondamentale di risonanza del deposito. Gli Autori considerano, inoltre, la possibilità di caratterizzare gli effetti topografici attraverso la tecnica H/V. Mucciarelli e Monachesi (1998), hanno associato all’amplificazione di sito stimata con il metodo H/V, all’intensità macrosismica osservata in alcune località colpite dal terremoto umbro-marchigiano del 1997. Capotorti et al. (1997) interpretano gli effetti di sito rilevati in occasione dello stesso terremoto mediante il metodo di Nakamura; l’elevata frequenza ed intensità degli aftershocks che si susseguirono durante le registrazioni, consentì di stimare il rapporto H/V utilizzando, oltre ai microtremori, anche veri e propri eventi sismici. Le conclusioni, dedotte dall’analisi dei rapporti spettrali fatta dagli Autori, considerano come cause predominanti degli effetti osservati, le condizioni geolitologiche relative ad alcune località; minor peso, in questo contesto sembrano aver avuto le condizioni morfologico-topografiche dei siti e la differente vulnerabilità delle strutture.

1.4.2 Approccio geotecnico L’approccio geotecnico è essenzialmente basato sull’impiego di modelli numerici, attraverso i quali

vengono simulate le complesse interrelazioni che possono stabilirsi tra le onde sismiche prodotte da un terremoto di prefissate caratteristiche e le proprietà geotecniche dei terreni del sito di interesse, e vengono valutate le risposte del terreno a un terremoto di input in arrivo al sito in corrispondenza del bedrock e definito da un accelerogramma.

Pur essendo indispensabile la realizzazione di un programma di indagini geotecniche anche nell’approccio sismologico4, è evidente che nell’approccio geotecnico la quantità delle indagini geotecniche deve essere ben maggiore e la loro qualità molto più elevata. In quest’ultimo caso occorrerà, infatti, 4 Il contributo delle indagini geotecniche nell’approccio sismologico consiste nel mettere in relazione le risposte in superficie ottenute nelle diverse stazioni di misura con le caratteristiche stratigrafiche e meccaniche dei depositi e degli ammassi rocciosi sottostanti. È perciò sufficiente caratterizzare il terreno al di sotto dei punti di registrazione nel suo “stato naturale”.

Effetti Sismici Locali 15

caratterizzare il comportamento del terreno nelle condizioni riproducenti lo stato che si verifica prima, durante ed eventualmente dopo il terremoto atteso, attraverso prove in sito e in laboratorio di tipo dinamico che devono fornire tutti i parametri necessari per l’applicazione dei modelli di calcolo.

La valutazione degli effetti sismici locali di un area con l’approccio geotecnico si articola fondamentalmente in tre fasi:

1. individuazione delle condizioni locali e determinazione dei parametri geotecnici da utilizzare nelle analisi di RSL; a tal fine è necessario, oltre che reperire la documentazione proveniente da altre indagini, programmare ed eseguire specifiche indagini geologiche, geofisiche e geotecniche;

2. determinazione del moto sismico di riferimento su roccia da utilizzare nelle analisi di RSL; per determinare il moto sismico da impiegare come input occorre effettuare analisi della sismicità regionale, individuare e modellare i possibili meccanismi di sorgente, determinare le leggi di attenuazione e/o utilizzare registrazioni strong motion effettuate nell’area in studio su roccia o su deposito (in quest’ultimo caso sarà necessario effettuarne una deconvoluzione);

3. definizione del modello da impiegare nelle analisi; la scelta del modello è da rapportare alla complessità della situazione specifica, alla precisione e affidabilità richiesta ai risultati e alle risorse economiche. 1. Individuazione delle condizioni locali e determinazione dei parametri geotecnici

Per valutare la risposta sismica locale seguendo l’approccio geotecnico è indispensabile, oltre a definire l’input sismico, disporre di una vasta e approfondita conoscenza delle caratteristiche geologiche, morfologiche e geotecniche del sito. Vanno quindi, innanzitutto, reperite, organizzate e cernite tutte le informazioni già disponibili, dopodiché occorre predisporre un opportuno programma di indagini (geologiche, geotecniche e geofisiche) in sito e di laboratorio.

Le indagini geologiche e geomorfologiche devono essere finalizzate ad acquisire una dettagliata conoscenza della geologia superficiale e profonda dell’area, vale a dire, delle principali formazioni geologiche presenti nell’area, della loro distribuzione spaziale, delle unità litotecniche che le costituiscono, delle loro caratteristiche stratigrafiche. Le indagini devono anche definire la tipologia e le caratteristiche delle superfici di discontinuità e l’assetto strutturale delle unità tettoniche presenti e ricostruire i processi geomorfologici e i movimenti tettonici, quiescenti o in atto. I rilievi e le indagini devono essere condotti a scala 1:2000 ÷ 1:5000 e corredati di sezioni geologiche.

Le indagini geofisiche sono indispensabili per definire le caratteristiche geometriche (superficiali e profonde), meccaniche (a grande scala) e stratigrafiche del deposito da analizzare. Generalmente le indagini geofisiche si basano sulla misura della velocità di propagazione delle onde P (o delle onde di Rayleigh) o di altri parametri geofisici (quali ad esempio la resistività, l’accelerazione di gravità, i campi magnetici, ecc.). Le prove geofisiche più utilizzate e standardizzate sono: le prove sismiche a rifrazione, le prove sismiche a riflessione, le prove SASW (Spectral Analysis of Surface Waves). Si tratta di tecniche di indagine non invasive, in grado di individuare le strutture sepolte e di coglierne l’andamento, e che risultano quindi molto utili per la definizione della profondità e della morfologia del bedrock, nonché per l’individuazione e la definizione geometrica delle successioni litologiche presenti. Sebbene in termini di valori medi riferiti a grandi volumi di terreno, mediante tali indagini è anche possibile stimare alcune proprietà geotecniche (come ad esempio la rigidezza a bassi livelli deformativi e il coefficiente di Poisson).

Le indagini specificamente geotecniche hanno come obiettivo una caratterizzazione approfondita sia in campo statico sia in campo dinamico e ciclico dei materiali costituenti il deposito e la determinazione dei parametri fisici e meccanici richiesti dai modelli di calcolo della RSL. Sulla base dei risultati delle indagini geologiche e geofisiche vengono individuate le verticali di interesse per la caratterizzazione geotecnica e viene individuato il programma delle prove in sito e in laboratorio, che deve includere sondaggi stratigrafici, prove penetrometriche (statiche e dinamiche), prove dinamiche (down-hole, cross-hole) ed eventuali altre prove, al fine di individuare la composizione stratigrafica, classificare i materiali presenti nelle verticali di interesse, definire la profondità del bedrock e di identificare i materiali più rappresentativi da sottoporre alle prove di laboratorio. Sui campioni indisturbati dei diversi materiali dovranno essere eseguite prove statiche standard di tipo corrente (finalizzate ad esempio alla determinazione delle proprietà indici, delle curve granulometriche, delle caratteristiche di deformabilità e resistenza al taglio) e prove dinamiche e cicliche (per definire ad esempio le proprietà meccaniche e la loro variazione con la deformazione di taglio e la pressione efficace). 2. Determinazione del moto sismico di riferimento

Con riferimento alla figura 1.9, il moto sismico atteso in corrispondenza della superficie libera di un sito (b) è espresso da una relazione Ub (t), che è funzione di tre grandezze, e cioè del meccanismo di sorgente - e

Effetti Sismici Locali 16

quindi del corrispondente moto sismico alla sorgente (a), Ma (t) -, del percorso di propagazione (p) dalla sorgente alla base rocciosa del deposito e di cui si tiene conto mediante una funzione Np (t) e delle modifiche che subisce il moto sismico nell’attraversare il deposito dalla base alla superficie, di cui si tiene conto mediante una funzione rappresentativa degli effetti di sito Sb (t). Quindi, vale la seguente relazione simbolica:

[ ])(),(),()( tStNtMftU bpab = [1.28]È evidente che, se il contenuto energetico dello scuotimento sismico è tale da indurre un comportamento

non lineare dei terreni, la funzione Sb (t) non sarà univoca ma dipenderà dalle altre due e il moto sismico in superficie Ub (t) assumerà una forma complessa. Viceversa, nel caso in cui il comportamento del terreno rimane nel dominio elastico lineare, il moto sismico atteso potrà essere espresso come prodotto di convoluzione delle tre funzioni:

)(*)(*)()( tStNtMtU bpab = [1.29]Le difficoltà oggettive insite nel prevedere l’esatta ubicazione della sorgente (a) e il meccanismo di

sorgente, ammesso di conoscere esattamente le trasformazioni connesse al percorso di propagazione, comportano una ulteriore semplificazione del problema: il moto sismico atteso alla base del deposito viene determinato in termini probabilistici. Quindi, l’obiettivo delle analisi di pericolosità sismica è quella di prevedere con quale probabilità si può verificare in un determinato sito un determinato moto sismico alla base del deposito in un assegnato intervallo di tempo (tempo di ritorno), espressa in termini di probabilità di eccedenza o di non eccedenza. Una ulteriore semplificazione può giungere dal considerare al posto dello scuotimento sismico atteso alcuni parametri che lo caratterizzano.

Percorso di propagazione (p)

Meccanismo di sorgente (a)

Effetti di sito (b)M (t)a

N (t)p

S (t)b

U (t)b

Figura 1.9 Schematizzazione delle trasformazioni subite dal moto sismico nel suo percorso di propagazione dalla sorgente ad un determinato sito.

Il moto sismico da utilizzare come input nelle analisi di RSL è il moto sismico atteso su roccia dura alla

base del deposito e non va confuso con il moto sismico di riferimento, che è, invece, il moto sismico atteso su superficie orizzontale in assenza di fenomeni di amplificazione o attenuazione (quindi su roccia affiorante). I due moti sismici, infatti, possono essere notevolmente diversi a causa delle condizioni in cui si trovano. Il moto sismico su roccia affiorante può ad esempio essere modificato dalla roccia più superficiale, che a causa dei processi di alterazione atmosferica, ha caratteristiche meccaniche più scadenti. In generale, la differenza tra i due moti, è da ricercarsi nelle diverse condizioni al contorno in cui si trova la roccia nei due casi, in un caso come superficie libera, nell’altro sotto il deposito. Generalmente, viene prima determinato il moto sismico di riferimento e poi, mediante deconvoluzione del moto alla base del deposito, il moto sismico da utilizzare come input.

Esistono in letteratura numerosi approcci per la definizione del moto sismico di riferimento che, per comodità, possono essere raggruppati in tre categorie (Marcellini e Pagani, 1999): 1) metodi deterministici; 2) metodi di simulazione stocastici e 3) metodi probabilistico-statistici.

I metodi deterministici hanno come obiettivo quello di determinare il moto sismico in un punto seguendo un approccio fisico “esatto” che prevede la modellazione dei processi fisici che lo determinano e riconducendo la sua determinazione alla soluzione di un sistema di equazioni differenziali. La determinazione del moto sismico di riferimento mediante tali metodi prevede: l’analisi dei meccanismi di sorgente (utilizzando modelli cinematici o dinamici); lo studio della propagazione delle onde sismiche mediante la funzione di Green dell’elastodinamica (che permette di calcolare la risposta in un punto

Effetti Sismici Locali 17

conseguente ad un impulso in un altro punto di un mezzo solido a comportamento elastico); l’impiego delle equazioni di propagazione delle onde in un mezzo elastico.

I metodi di questo tipo richiedono approfondite conoscenze in ambito sismologico da parte di chi li utilizza e richiedono la conoscenza di parametri non sempre disponibili, o alle volte, stimabili con margine elevato di errore.

I metodi di simulazione stocastici combinano funzioni di simulazione stocastica (ad esempio generazione di un rumore bianco gaussiano band-limited, applicazione di particolari filtri a finestra, ecc.) con alcuni parametri fisici del terremoto facilmente misurabili e controllabili (ad esempio il movimento sismico). Questi metodi, unitamente ai metodi precedentemente ricordati, sono i più indicati per descrivere gli scenari di pericolosità, cioè per valutare gli effetti di sito prodotti da un determinato evento sismico.

I metodi probabilistico-statistici associano al moto sismico di riferimento un’assegnata probabilità di eccedenza (o di non eccedenza) in un prefissato periodo di ritorno.

Poiché in linea di principio, il moto di riferimento dovrebbe: 1) definire in modo realistico e attendibile il moto atteso e 2) assegnare al moto una probabilità di eccedenza, si comprende perché i metodi probabilistico-statistici siano ritenuti i più appropriati per un impiego nella microzonazione sismica (Marcellini e Pagani, 1999). Tali metodi combinano il calcolo probabilistico della pericolosità sismica ai metodi stocastici per la determinazione di una serie temporale (in genere un accelerogramma). In una prima fase viene stimata la pericolosità sismica attesa al sito (mediante la localizzazione delle sorgenti sismiche, la caratterizzazione della sismicità delle sorgenti individuate e la selezione di opportune leggi di attenuazione) in termini di picco massimo (PGA, PGV, ecc.) o di coordinate spettrali (PSA, PSV, ecc.) o di spettro di risposta equiprobabilistico corrispondente ad un assegnato periodo di ritorno (in genere 475 anni). In una seconda fase viene determinato su basi statistiche l’accelerogramma di riferimento corrispondente. 3. Definizione del modello

I modelli utilizzati nelle analisi di RSL sono raggruppabili in diverse categorie in relazione: al numero di dimensioni impiegate per la schematizzazione del problema (in tal caso si parla di modelli monodimensionali, bidimensionali e tridimensionali); al tipo di soluzione che propongono, cioè in forma chiusa o numerica (in questo caso si hanno modelli analitici e numerici); allo schema fisico adottato per rappresentare il terreno (metodi della trave a taglio continua o discretizzata) e, infine, alle leggi costitutive impiegate per il terreno (modelli lineari, lineari equivalenti, non lineari e elasto-plastici). Da un punto di vista strettamente geotecnico i criteri di classificazione dei modelli sono essenzialmente due: la dimensionalità, e il fatto che l’analisi della RSL venga condotta in termini di pressioni totali o di pressioni efficaci.

La dimensionalità del modello (1D, 2D, 3D) influisce su vari aspetti della modellazione, che principalmente riguardano: aspetti geometrici; le tecniche di risoluzione delle equazioni di moto e le modalità con cui viene presa in considerazione la non linearità del comportamento dei terreni. La scelta del modello da utilizzare in una applicazione reale sarà condizionata da numerosi fattori quali: le eterogeneità morfologiche, stratigrafiche e geotecniche del deposito; l’intensità del terremoto e della scossa sismica di riferimento, nonché, la quantità e la qualità delle conoscenze sulle caratteristiche geometriche, geologiche e geotecniche. In particolare, la conoscenza di queste ultime, è fondamentale qualora si impieghino modelli 2D, ed a maggior ragione 3D, per i quali sono necessarie, al fine di realizzare un modello “realistico”, conoscenze che generalmente non è possibile raggiungere ad un livello adeguato alla complessità del problema. È quindi da sottolineare che, l’affidabilità dei risultati ottenuti con modelli complessi è tanto minore quanto più il problema è complesso e le conoscenze limitate. Qualsiasi sia la complessità del modello impiegato (ad esempio 2D o 3D), è sempre importante il confronto dei risultati con quelli ottenuti mediante modelli più semplici (ad esempio 1D). Ad eccezione dei codici di calcolo che permettono di analizzare l’interazione terreno struttura, l’analisi della RSL è sempre fatta in condizioni di superficie libera da costruzioni (condizioni free field).

La classificazione dei codici di calcolo che impiegano modelli 1D può ad esempio essere fatta in relazione ai modelli costitutivi impiegati. Si hanno, quindi, codici che impiegano leggi costitutive lineari, lineari equivalenti (come ad esempio SHAKE e WAVES), non lineari (come DESRAMOD, CHARSOIL e MASH) e elasto-plastici (come CYBERQUAKE). Il più noto e diffuso tra i codici di calcolo 1D, cioè il programma SHAKE, essendo tra i codici di calcolo utilizzati nella parte applicativa della presente memoria, sarà trattato in maniera diffusa nel § 2.3.

I codici di calcolo sviluppati per analisi 2D si basano essenzialmente sui metodi agli elementi finiti (metodi FEM) e sui metodi agli elementi al contorno (metodi BEM). I metodi FEM, ovvero i più utilizzati dai codici di calcolo, hanno l’inconveniente di essere fortemente influenzati dalle condizioni al contorno e,

Effetti Sismici Locali 18

inoltre, in corrispondenza della frontiera tra deposito e substrato, supposto infinitamente rigido, considerano continue riflessioni che possono condurre a risultati poco realistici. I metodi BEM, sebbene meno noti e diffusi, sono più adatti a rappresentare e quantificare gli effetti topografici caratteristici di morfologie superficiali più irregolari. Tra i codici di calcolo 2D che utilizzano il metodo FEM il più conosciuto e diffuso è sicuramente QUAD4.

Nel seguente § 1.5 si riportano alcune delle peculiarità dei modelli ideali impiegati nelle analisi di RSL. Per comprendere meglio le complessità insite in un’analisi di RSL di un deposito reale nel § 1.6 sono riportati alcuni esempi e problemi applicativi che evidenziano alcuni dei principali effetti che condizionano la risposta sismica. Infine, nell’ultimo paragrafo del presente capitolo, § 1.7, saranno descritti gli studi di microzonazione sismica con particolare riferimento ad alcune esperienze di letteratura.

1.5 Risposta sismica di depositi ideali Il problema della determinazione della risposta sismica locale è di seguito spiegato riferendosi alla

schematizzazione riportata in figura 1.10. Le analisi di RSL si prefiggono la determinazione delle modifiche (in termini di ampiezza, durata e frequenza) che un moto sismico uB(t) (rappresentato da un’accelerazione, una velocità od uno spostamento nel dominio del tempo, t, oppure, da uno spettro di risposta elastico, F, o uno spettro di Fourier nel dominio delle frequenze, f ) relativo ad una formazione rocciosa di base, B, di un deposito, subisce nel suo attraversamento fino a raggiungere la superficie libera, S, trasformandosi nel moto sismico uS(t).

Effettuare un’analisi di risposta sismica locale equivale quindi a quantificare e confrontare i parametri e le funzioni caratteristiche dello scuotimento sismico in superficie, nel dominio del tempo o delle frequenze, con quelli relativi alla roccia di base o affiorante5.

Ru (t)

DEPOSITO

S

t

F (t)S

t

u (t)R F (t)

Roccia di base

Roccia affiorante

AS

B

t

u (t) F (t)BB

T T

T

Figura 1.10 Schema di riferimento per l’analisi di risposta sismica locale.

5 Nella pratica ricorrente l’input sismico impiegato nelle analisi di RSL non è, per ovvi motivi, il moto sismico relativo alla base rocciosa, uB(t), bensì quello sulla medesima roccia affiorante, uR(t). Evidentemente, causa delle diverse condizioni al contorno e dei processi di alterazione che coinvolgono la roccia affiorante, i due moti sismici, uB(t) e uR(t), non sono equivalenti.

Effetti Sismici Locali 19

Nel dominio del tempo, uno dei parametri più utilizzati per rappresentare i fenomeni di amplificazione è il fattore di amplificazione, definito dal rapporto tra l’accelerazione massima in superficie e quella relativa alla formazione rocciosa. Per tenere però in debito conto l’azione “filtrante”complessiva operata dal deposito, per la quale le componenti del moto sismico possono essere incrementate o ridotte al passaggio dai diversi strati e per determinati valori delle frequenze, vengono soventemente utilizzate le seguenti funzioni: la funzione di trasferimento (funzione complessa definita del dominio delle frequenze dal rapporto tra spettro di Fourier del moto sismico in superficie con quello al bedrock), la funzione di amplificazione (modulo della funzione complessa di trasferimento) e gli spettri di risposta elastici al 5% dello smorzamento critico. Particolarmente utile nelle analisi di RSL risulta essere la funzione di trasferimento; la quale indica per quali valori della frequenza le componenti del moto sismico sono amplificate (dove assume valori maggiori ad uno) o attenuate (dove assume valori minori ad uno). Tale funzione, per come è definita, risulta essere prevalentemente funzione delle caratteristiche geometriche e meccaniche del deposito e in misura molto minore dall’input sismico di riferimento.

Nel presente paragrafo si riportano le soluzioni teoriche, in termini di funzioni di trasferimento, relative a modelli monodimensionali a complessità crescente che si basano sulle tre seguenti ipotesi esemplificative comuni: 1- bedrock orizzontale e infinitamente esteso; 2- deposito omogeneo o, al più, stratificato orizzontalmente; 3- moto sismico costituito da onde di taglio che si propagano verticalmente polarizzate orizzontalmente, SH. Le ipotesi semplificatrici inerenti la geometria del deposito sono legittimate nel caso in cui si abbia a che fare con un deposito orizzontalmente stratificato, con giacitura del substrato orizzontale, con spessore del deposito notevolmente inferiore rispetto alle altre due dimensioni e, comunque, lontano dai bordi. Le ipotesi esemplificative relative al moto sismico trovano giustificazione nella constatazione che: a) le onde sismiche nell’attraversare gli strati del terreno subiscono numerose rifrazioni e riflessioni, governate dalla legge di Snell, vedi § 1.3, che implica, considerato che generalmente gli strati più superficiali sono meno rigidi, un avvicinamento delle onde sismiche rifratte alla verticale; b) dal punto di vista ingegneristico, le sollecitazioni sismiche più significative nella progettazione di strutture e infrastrutture antisismiche sono le onde SH.

1.5.1 Strato omogeneo elastico su substrato rigido Nel caso in cui si ipotizzi di essere in presenza di uno strato di terreno con comportamento elastico

lineare (cioè in assenza di smorzamento interno, D = 0), con superficie libera orizzontale e con substrato roccioso orizzontale e infinitamente rigido (quindi con velocità delle onde di taglio e con rapporto d’impedenza6 infiniti), si ha che l’energia elastica trasportata dalle onde sismiche rimane confinata nello strato di terreno. Infatti, le onde sismiche, per la legge di Snell, raggiunta la superficie libera saranno completamente riflesse così come quando raggiungeranno la superficie di separazione tra terreno e bedrock (figura 1.11).

zρ VS

S

S

B

u(z,t)

Ae si( t + k z)ω

i( t - k z)sωBe

H

Figura 1.11 Strato di terreno omogeneo elastico su substrato infinitamente rigido.

6 Il rapporto d’impedenza, indicando con ρS, VS,S e ρB, VS,B la densità e la velocità di propagazione delle onde S, rispettivamente del terreno e del bedrock, è definito come: )/()( ,, SSSBSB VVI ⋅⋅= ρρ .

Effetti Sismici Locali 20

Per le ipotesi fatte il moto di vibrazione orizzontale, u(z,t) si ottiene risolvendo l’equazione differenziale di equilibrio dinamico che caratterizza il fenomeno di propagazione monodimensionale delle onde S all’interno dello strato elastico:

2

2

2

2

zuG

tu

∂∂

=∂∂ρ [1.30]

la cui soluzione, nel caso di sollecitazione armonica stazionaria orizzontale, con frequenza f (e frequenza circolare ω = 2π·f ), è del tipo:

)()(),( zktizkti eBeAtzu ⋅−⋅+ ⋅+⋅= ωω [1.31]dove: A e B rappresentano l’ampiezza dell’onda diretta ascendente e dell’onda riflessa discendente rispettivamente e k è il numero d’onda dello strato di terreno, definito dalla relazione:

SVk ω

= [1.32]

Imponendo come condizione al contorno l’assenza di sforzi di taglio, e conseguentemente di deformazioni di taglio, in corrispondenza della superficie z = 0, si ottiene A = B e quindi l’equazione di moto diventa:

tiezkAtzu ω⋅⋅= )cos(2),( [1.33]

La relazione [1.33] può essere utilizzata per valutare la funzione di trasferimento F1(ω) in termini di rapporto tra spostamento orizzontale del terreno in superficie e alla base dello strato:

)/cos(1

)cos(1

),(),0(

)(max

max1

SVHHktzutu

F⋅

=⋅

==ω

ω [1.34]

Dalla relazione [1.34] risulta evidente che la funzione di trasferimento è, nel caso in esame, funzione della frequenza d’eccitazione ω, dello spessore dello strato Η e della sua rigidezza VS. Nell’ipotesi di eccitazione armonica, essendo u , la funzione di trasferimento in termini di accelerazioni coincide ancora con la [1.34]. Il modulo della funzione di trasferimento è per definizione la funzione di amplificazione:

)(2 tu⋅ω=&&

)/cos(1)(1

SVHF

⋅=

ωω [1.35]

Dalla relazione [1.35] si evince che la funzione di amplificazione risulta essere periodica e sempre maggiore o uguale ad uno. Inoltre, quando il fattore di frequenza (argomento del coseno, k ⋅ H = ω ⋅ H / VS) si avvicina a valori di π / 2 + nπ (con n = 0, 1, 2, ... ∞ ) la funzione di amplificazione tende ad infinito (figura 1.12).

kH3

1

F1

2

(ω)

π0 2π

2π5 7 9

Figura 1.12 Funzione d’amplificazione di uno strato di terreno

omogeneo elastico su substrato infinitamente rigido. I valori della frequenza circolare ω (così come la corrispettiva frequenza f o il periodo T =1 / f ) in

corrispondenza delle quali la funzione di amplificazione assume valore infinito sono dette frequenze (o periodi) naturali di vibrazione dello strato e sono definite dalle relazioni:

Effetti Sismici Locali 21

( )

( )1241

....,,2,1,04

122

2

+⋅⋅

==

∞=+

⋅==

⋅+=

nVH

fT

nnHV

f

nHV

Snn

Snn

Sn

πω

ππω

[1.36]

Rendendo adimensionale la distribuzione degli spostamenti orizzontali dello strato, relazione [1.27], mediante la divisione degli stessi per lo spostamento in superficie è possibile riconoscere che a ciascuna frequenza naturale corrisponde una forma modale U

),2( niAe ω

:)(zn

∞=

⋅+=⋅= ....,,2,1,0

2cos)cos()( n

HznzkzU n ππ

[1.37]

Le prime quattro forme modali sono riportate in figura 1.13 in funzione della profondità adimensionalizzata con H. La figura mostra che, se la vibrazione dello strato corrisponde alla prima forma modale, vale a dire con la prima frequenza naturale di vibrazione, allora gli spostamenti risultano essere tutti dello stesso segno; al contrario, in corrispondenza dei modi superiori, gli spostamenti dei punti dello strato avvengono sia in una direzione che nell’altra.

n = 0n = 1n = 2

n = 3

0

0,5

1

-1,0 0,0 1,0

Spostamento adimensionale, Un(z)

Prof

ondi

tà a

dim

ensi

onal

e, z

/H

Figura 1.13 Deformazioni relative alle prime quattro forme modali di uno strato omogeneo elastico su substrato infinitamente rigido.

Il caso illustrato, sebbene notevolmente semplificato, permette di evidenziare che la risposta ad una

eccitazione armonica di un deposito di terreno è fortemente influenzata dalla frequenza eccitatrice e che, le frequenze in corrispondenza delle quali si verificano le maggiori amplificazioni, sono le frequenze naturali di vibrazione, dipendenti sia dalle caratteristiche geometriche (H) sia dalle proprietà meccaniche (VS) del terreno. Nel caso in cui la frequenza eccitatrice ω assume uno dei valori corrispondenti alle frequenze fondamentali ωn si ha la condizione di risonanza dello strato, le deformazioni risultano massime e l’amplificazione risulta teoricamente infinita.

Effetti Sismici Locali 22

1.5.2 Strato omogeneo elastico su substrato deformabile

Nell’ipotesi di substrato deformabile (quindi con rigidezza e rapporto d’impedenza di valore finito) le

onde riflesse dalla superficie libera dello strato, che si propagano verticalmente verso il basso, una volta raggiunto il bedrock, vengono in parte riflesse nuovamente verso l’alto e in parte rifratte all’interno del substrato roccioso. Si ha quindi una dissipazione di energia (smorzamento per radiazione o per scattering) che determina una minore amplificazione del moto sismico rispetto al caso di substrato rigido. In questo caso si ha un’interferenza reciproca tra bedrock e strato di terreno che comporta, sia la dipendenza della RSL anche dalle proprietà meccaniche del substrato, sia la soggezione dello scuotimento del bedrock dal terreno sovrastante; lo scuotimento sismico in corrispondenza del substrato sarà quindi diverso a seconda che venga determinato in condizioni di roccia affiorante o sotto lo strato di terreno.

In figura 1.14 è riportato lo schema del caso di strato di terreno su substrato roccioso entrambi a comportamento elastico lineare e le relative densità e velocità di propagazione delle onde di taglio.

Nel caso in cui lo strato di terreno e il substrato roccioso hanno comportamento elastico lineare e quest’ultimo ha spessore infinito (semispazio) è possibile dimostrare (Roesset, 1970) che la funzione di trasferimento (e quindi la funzione di amplificazione), determinata come rapporto tra moto sismico in superficie e in corrispondenza del basamento roccioso deformabile, è la stessa trovata con substrato infinitamente rigido, quindi indipendente dalle proprietà meccaniche del bedrock, ed espressa dalla relazione [1.34].

Se invece si determina il rapporto tra l’ampiezza dello spostamento in superficie e quella in corrispondenza del substrato affiorante nell’espressione della funzione di trasferimento, F2(ω), compare il rapporto d’impedenza7 I, e quindi un termine che tiene conto anche delle proprietà meccaniche del substrato:

⋅⋅+

⋅=

SSSS VH

Ii

VH

F

,,

sin1cos

1)(2ωω

ω [1.38]

u(z,t)

AB

BS VSρ S,S

VBρ S,B

BS

BB

z

SA

H

Figura 1.14 Strato di terreno omogeneo elastico su substrato deformabile.

La funzione d’amplificazione, modulo della funzione di trasferimento, è quindi espressa dalla relazione:

⋅⋅+

⋅=

SSSS VH

IVH

F

,,

22

2

2

sin1cos

1)(ωω

ω [1.39]

L’andamento della funzione d’amplificazione è riportato in figura 1.15 in funzione del fattore di frequenza (k ⋅ H = ω ⋅ H / VS) e del rapporto d’impedenza. Per confronto, nella stessa figura è riportato l’andamento della funzione nel caso di substrato rigido (I = ∞ ) trattato nel § 1.5.1. Come la )(1 ωF , anche

7 Nella presente memoria, per rapporto d’impedenza I, si è inteso il rapporto tra il prodotto della densità e la velocità delle onde S del terreno, con l’analogo prodotto per il bedrock, vedi nota 6.

Effetti Sismici Locali 23

)(2 ωF risulta essere sempre maggiore o uguale ad uno, periodica e con gli stessi valori delle frequenze

naturali di vibrazione. A differenza della prima, però, la )(2 ωF assume sempre un valore finito e, in particolare, in corrispondenza delle frequenze naturali di vibrazione ha valore proprio pari al rapporto di impedenza:

µω 1)( max2 == IF [1.40]

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

0

8

6

2

kH

10

4

2

0 2π 3

2ππ 2

F (ω)

I = 5

I = 2.5I = 1.25

I = 10I =∞

π

Figura 1.15 Funzione di amplificazione nel caso di terreno omogeneo elastico su substrato deformabile.

1.5.3 Strato omogeneo viscoelastico su substrato rigido A differenza dei due modelli visti, in cui il comportamento meccanico dello strato di terreno è assunto

elastico lineare, nei depositi reali si riscontrano sempre fenomeni di dissipazione dell’energia, sia per effetto dello smorzamento interno sia per scattering (causati dalla riflessione e riflessione delle onde sismiche che si verificano in corrispondenza dell’interfaccia con il bedrock deformabile). Per analizzare la RSL di un deposito, tenendo in debito conto dei fenomeni che determinano lo smorzamento interno del terreno, tralasciando per il momento la deformabilità del substrato roccioso (§ 1.5.4), si adotta il modello viscoelastico lineare di Kelvin-Voigt:

tzu

zuG

tu

∂∂∂

+∂∂

=∂∂

2

3

2

2

2

2

ηρ [1.41]

dove η è il coefficiente di viscosità ed è legato al rapporto di smorzamento dalla relazione:

GD

2ηω

= [1.42]

L’equazione di moto, soluzione dell’equazione differenziale di equilibrio dinamico [1.42], nel caso di terreno a comportamento viscoelastico su terreno rigido, è del tipo:

)()( **),( zktizkti eBeAtzu ⋅−⋅+ ⋅+⋅= ωω [1.43]

dove A e B sono le ampiezze delle onde che si propagano verso l’alto e verso il basso rispettivamente e k* è il numero d’onda complesso (k* = k1 + ik2) la cui definizione passa attraverso quelle del modulo di taglio complesso G* e della velocità delle onde di taglio complessa V *S:

)21(* iDGiGG +⋅=+= ωη [1.44]

ρ

ωω**

*

GVk

S

== [1.45]

Effetti Sismici Locali 24

La velocità delle onde di taglio complessa V*S, per piccoli valori del fattore di smorzamento D, può

scriversi:

)1()1()21(*

* iDViDGiDGGV SS +⋅=+⋅≈+⋅

==ρρρ

[1.46]

quindi, il numero d’onda complesso, sempre per modesti valori di D, può essere scritto come:

)1()1()1(*

* iDkiDViDVV

kSSS

−⋅=−⋅≈+⋅

≈=ωωω [1.47]

Per determinare la soluzione dell’equazione di moto [1.41] si utilizzando le stesse condizioni al contorno impiegate nel § 1.5.1, ottenendo (A = B):

)( 12),( zktizk eeAtzu −⋅⋅⋅= ω [1.48]

e quindi, l’equazione della funzione di trasferimento F3(ω), determinata come rapporto tra l’ampiezza dello spostamento massimo in superficie con il corrispondente al basamento roccioso, risulta essere:

[ ]

+⋅

=−⋅⋅

=⋅

=

)1(cos

1)1(cos

1)cos(

1)(*3

iDV

HiDHkHkF

S

ωω

[1.49]

e la funzione di amplificazione si ottiene ancora una volta come modulo della funzione F3(ω):

=+

≈+

=22223

)()(cos

1

)(sinh)(cos

1)(DkHkHDkHkH

F ω

22cos

1

+

=

SS VHD

VH ωω

[1.50]

L’andamento della funzione di amplificazione )(3 ωF in funzione del fattore di frequenza kH e del valore assunto dal rapporto di smorzamento D è riportato in figura 1.16. Adesso, per valori D > 0, la funzione di amplificazione non risulta più periodica come nei casi precedenti e presenta massimi di valore finito essendo il denominatore della [1.50] sempre maggiore di zero. I valori di picco di tale funzione, a parità di D, decrescono all’aumentare della frequenza naturale d’eccitazione. Annullando la derivata prima della [1.50] si può dimostrare che i massimi relativi si hanno per valori del fattore di frequenza prossimi a quelli esaminati nei casi precedenti e quindi le frequenze naturali del deposito risultano essere approssimativamente pari a:

∞=

⋅+= ....,,2,1,0

2nn

HVS

n ππω [1.51]

F (ω)312

0 2π π 3

2π 2π

2π5 3π

10

8

6

14

4

2

0

kH

D = 5%

D = 10%

D = 20%

Figura 1.16 Funzione d’amplificazione di uno strato di terreno

omogeneo viscoelastico su substrato infinitamente rigido.

Effetti Sismici Locali 25

La frequenza in corrispondenza della quale la funzione di amplificazione assume il massimo valore è la frequenza naturale più bassa (n = 0), detta frequenza fondamentale del deposito:

HVS

20π

ω = [1.52]

mentre il periodo corrispondente alla frequenza fondamentale è detto periodo caratteristico, o fondamentale, del deposito ed è dato dalla relazione:

SVHT 42

00 ==

ωπ [1.53]

Il valore massimo della funzione di amplificazione, ottenuto sostituendo la relazione [1.52] nella relazione [1.50], risulta quindi essere:

DF

π≈ω

2)(3 [1.54]

Osservando la figura 1.16 è possibile constatare come la non linearità nel comportamento del terreno determini un abbattimento della funzione d’amplificazione, più evidente alle alte frequenze, e che, per i più alti valori del fattore di frequenza, assume valori minori di uno, determinando quindi, fenomeni di attenuazione del moto sismico piuttosto che di amplificazione.

1.5.4 Strato omogeneo viscoelastico su substrato deformabile La generalizzazione dei tre casi esaminati è rappresentata dal caso di terreno omogeneo viscoelastico su

substrato deformabile. In questo caso è possibile dimostrare (Roesset, 1970) che la funzione di trasferimento, definita dal rapporto tra le ampiezze dello spostamento corrispondenza della superficie e del substrato roccioso affiorante, è data dalla relazione:

⋅⋅+

⋅=

SSSS VH

Ii

VH

F

,,

sin1cos

1)(

*

4ωω

ω [1.55]

nella quale I * è il rapporto d’impedenza complesso definito come:

*,

*,*

SSS

BSB

V

VI

⋅=

ρ

ρ [1.56]

nella quale V*S,B e V*

S,S sono le velocità complesse delle onde di taglio rispettivamente del bedrock e dello strato di terreno. Il modulo )(4 ωF è difficilmente esprimibile in forma compatta, ci limitiamo quindi a ricordare i valori di picco assunti dalla funzione di amplificazione in corrispondenza delle frequenze naturali:

∞=⋅

++

= ....,,2,1,0

21

1)( max,4 nDn

I

F nππ

ω[1.57]

La relazione [1.57] mostra che in corrispondenza delle frequenze naturali dello strato, i valori di picco della funzione d’amplificazione, dipendono soltanto dal rapporto d’impedenza I e dal rapporto di smorzamento D. In particolare, il massimo valore di picco, ottenuto in corrispondenza della frequenza fondamentale (n = 1) risulta essere:

DI

F⋅+

=

21

1)( 0max,4 πω

[1.58]

Il valore del picco massimo della funzione d’amplificazione è diagrammato in figura 1.17 in funzione del rapporto d’impedenza e del valore assunto dal rapporto di smorzamento. La figura permette di constatare che il valore del picco massimo coincide con il valore assunto dal rapporto d’impedenza nel caso in cui lo smorzamento sia nullo, mentre per valori positivi di D, aumenta all’aumentare di I e, fissato il valore di I, diminuisce all’aumentare di D.

Effetti Sismici Locali

26

1

10

100

1 10

Rapporto d'impedenza, I

Picc

o m

assi

mo

della

fun

zion

e d'

ampl

ific

azio

ne

D = 0%

D = 5%

D = 10%

D = 20%

100

Figura 1.17 Picco massimo assoluto della funzione di amplificazione al variare del rapporto

d’impedenza I e per differenti valori di D, nel caso di strato omogeneo viscoelastico su substrato deformabile.

1.6 Risposta sismica dei depositi reali I casi analizzati di risposta sismica di depositi ideali, hanno permesso di mettere in luce l’efficacia e

l’utilità della funzione di amplificazione nella determinazione nel moto sismico in superficie. Mediante di essa è possibile avere una chiara visione del campo di frequenze in cui il terreno può indurre effetti di amplificazione o, viceversa di attenuazione, del moto sismico. A livello applicativo, però, per la progettazione strutturale, è necessario disporre dello spettro di risposta, perciò in generale l’obiettivo delle analisi di risposta sismica locale in un dato sito è quello di definire per l’area esaminata uno spettro di risposta elastico (relativo ad un terremoto presunto in superficie e per un dato smorzamento strutturale) da utilizzare per la progettazione.

Per determinare la funzione di amplificazione di un deposito, nei paragrafi precedenti, sono state fatte ipotesi semplificatrici piuttosto restrittive. Anche la più complessa tra le schematizzazioni trattate (§ 1.5.4, strato omogeneo viscoelastico su substrato deformabile) risulta significativamente lontana da quella in cui può trovarsi un deposito di terreno reale. Quest’ultimo infatti, è in genere caratterizzato da eterogeneità e anisotropie (sia geometriche che meccaniche, sia verticali che orizzontali), nonché, da irregolarità morfologiche superficiali e profonde. Inoltre, come ampiamente dimostrato, il moto sismico in superficie è significativamente influenzato dal moto del basamento roccioso.

Nei seguenti paragrafi saranno esaminati separatamente i fattori che hanno maggiore influenza nella determinazione della risposta sismica locale di un deposito reale. In particolare si riportano gli effetti sulla RSL delle eterogeneità verticali, § 1.6.1, della non linearità del comportamento del terreno, § 1.6.2, nonché i cosiddetti effetti di bordo e delle onde superficiali, § 1.6.3, e gli effetti topografici, 1.6.4.

1.6.1 Effetti delle eterogeneità verticali La principale e più diffusa eterogeneità che si riscontra nei depositi di terreno naturale si ha,

generalmente, in direzione verticale. Infatti, sia per la presenza di strati di materiale diverso, sia per

Effetti Sismici Locali 27

l’influenza delle condizioni al contorno sulle proprietà meccaniche dei terreni, e in particolare della tensione efficace, si assisterà ad una variazione in direzione verticale, senza soluzione di continuità, di alcuni parametri tra cui la rigidezza e lo smorzamento.

Per la natura del problema costituito dalle analisi di RSL, è evidente che, la variabilità con la profondità dei parametri fisici, come ad esempio la densità, ha modesta influenza rispetto alla variabilità dei parametri che caratterizzano il comportamento dinamico del terreno (modulo di taglio G, o velocità delle onde di taglio VS, e rapporto di smorzamento D). Inoltre, tra questi ultimi, è risultato essere il più significativo e oggetto di un maggior numero di ricerche il modulo di taglio.

Tra gli studi volti ad analizzare gli effetti della variabilità di G con la profondità si ricordano quelli di Gazetas (1982) e di Vinale e Simonelli (1983). In particolare, Vinale e Simonelli hanno analizzato la variabilità del moto sismico in superficie riferendosi ad un deposito di spessore H, densità ρ costante e velocità di propagazione delle onde di taglio variabile con la profondità con legge:

m

HzVzV

+⋅= α1)( 0 [1.59]

dove V0 è la velocità delle onde S in corrispondenza della superficie, mentre α ed m sono parametri che esprimono il grado di eterogeneità del deposito. Nel caso di relazione lineare tra velocità e profondità (m = 1) α esprime il rapporto tra le velocità alla base e in sommità al deposito:

1/ 0 −= VVHα [1.60]nella quale VH rappresenta la velocità di propagazione delle onde di taglio nel substrato roccioso.

Gli Autori prendendo in considerazione tre diversi tipi di eterogeneità, relativi a valori di m pari a 1/2, 2/3 e 1, riportano la soluzione analitica in forma chiusa delle equazioni di moto. In particolare, per m = 1 (relazione lineare tra VS e la profondità), la soluzione trovata permette di determinare le forme di oscillazione Un ed i periodi naturali per ciascun modo di vibrare, una volta trovate le radici Sn dell’equazione:

[ ] ∞==++= ....,,2,1)2arctan()1ln( nnSS nn πα [1.61]infatti, si ha:

( )[ ]HSzHS

zzU

nnn α+

α+α+

α+=

1lnsin1

)1()1(lnsin

11)( [1.62]

HSVHT

n

n⋅+⋅

⋅=14

420 α

π [1.63]

Nel caso in cui VH/V0 = 1, invece, le forme d’oscillazione ed i periodi propri assumono le seguenti espressioni (Vinale e Simonelli, 1983):

⋅−=

Hzn

zU n 2)12(

cos)(π

[1.64]

)12(14

0 −⋅=

nVHTn [1.65]

In figura 1.18 sono riportate le variazioni delle prime quattro forme modali con la profondità per quattro

diversi valori del rapporto di eterogeneità VH/V0 (1, 5, 10 e 50). È interessante osservare come l’influenza dell’eterogeneità del deposito si traduca in una sostanziale modifica dei modi di oscillazione, e che quest’ultima, risulta tanto più evidente quanto maggiore è la frequenza naturale considerata. La stessa figura evidenzia inoltre che, all’aumentare del grado di eterogeneità VH/V0, si ha una riduzione delle ampiezze degli spostamenti a parità di profondità e una concentrazione dei massimi in corrispondenza degli strati più superficiali del deposito.

Le funzioni di amplificazione, non riportate per brevità d’esposizione, mostrano all’aumentare di α (e quindi del rapporto VH/V0), un aumento della frequenza fondamentale (cioè una diminuzione del primo periodo, T1) ed un aumento del valore di picco corrispondente.

L’effetto dell’andamento di VS (z) sulla funzione di amplificazione è stato chiaramente mostrato con l’esempio di Città del Messico riportato da Lanzo e Silvestri (1999). Il caso riferito è quello di un banco di argilla tenera caratterizzato da velocità di propagazione delle onde di taglio con andamento parabolico con la profondità; i valori di VS passano da circa 20m/s in superficie fino a circa 100m/s alla base del deposito (figura 1.19a).

Effetti Sismici Locali 28

Le funzioni di amplificazione, determinate sia considerando un andamento parabolico sia un valore costante di VS (75m/s) con la profondità, sono riportate in figura 1.19b. Dal confronto tra le due funzioni di amplificazione si osserva che, la distribuzione parabolica delle velocità, determina un avvicinamento delle frequenze naturali del deposito e un aumento dei loro valori di picco.

n = 3

0

0,5

1

z/H

n = 4

n = 1

0

0,5

1

-1 0 1U n (z/H)

z/H

n = 2

-1 0 1U n (z/H)

V H

V 0= 1

510

5050

10

51

1

5

10 50

1

51050

Figura 1.18 Variazione delle prime quattro funzioni di forma in relazione al valore assunto dal rapporto di eterogeneità VH/V0 per m = 1.

Le eterogeneità dei depositi naturali conseguenti alla presenza di strati con caratteristiche meccaniche

diverse vengono generalmente prese in considerazione mediante modelli numerici piuttosto che vere e proprie leggi analitiche. Così, ad esempio, nel caso di problema monodimensionale e quindi, di deposito stratificato orizzontalmente su substrato orizzontale e infinitamente esteso, attraversato da sole onde SH con direzione di propagazione verticale, per effettuare le analisi di RSL, si ricorre ai così detti metodi della trave a taglio; questi ultimi, schematizzano il deposito in una colonna di larghezza unitaria e la trattano o come una trave a taglio continua (metodi continui) o come una trave a taglio discretizzata (metodi discreti).

Nei metodi continui, il deposito è considerato come costituito da strati continui, ciascuno dei quali ipotizzato omogeneo con legame costitutivo viscoelastico lineare e caratterizzato dai parametri: spessore hi, densità ρi, modulo di taglio Gi e rapporto di smorzamento Di (legato al coefficiente di viscosità del mezzo continuo dalla relazione:

i

ii G

D2

ωη= [1.66]

Effetti Sismici Locali

3

Argilla Tenera

H = 27mD = 1.3%ρs = 1.2 t/m

3ρr = 1.8 t/mD = 0.5%V = 600m/sr

15

20

25

Prof

ondi

ta',

z [m

]

0

5

10

V [m/s]S

SV = 75m/s

S

20

V (z)

800 40 60 100 140120

V = 75m/sS

SV = 21-104m/s

0

2

4

6

8

10

10 2 3

Ampl

ifica

zion

e, A

29

a)

b)

Frequenza, f [Hz]4

Figura 1.19 Stratigrafia e profili di velocità impiegati nell’analisi del caso di Città del Messico (a)

e corrispondenti funzioni di amplificazione determinate (b) (Lanzo e Silvestri, 1999). Nei metodi discreti, invece, la colonna di terreno è ricondotta ad una serie di masse concentrate

all’interfaccia tra gli strati, e collegate tra loro mediante molle elastiche e smorzatori viscosi. I parametri caratterizzanti ciascuno strato del deposito secondo questo schema sono: lo spessore hi, le masse mi, le rigidezze delle molle ki (legata al modulo di taglio dalla relazione ki = Gi/hi) ed i coefficienti di smorzamento viscoso ci.

Nei due metodi, nota l’eccitazione sismica al substrato, la risposta sismica in superficie viene determinata risolvendo le equazioni di moto; nei metodi continui, risolvendo nel dominio delle frequenze l’equazione differenziale di equilibrio dinamico che governa la propagazione delle onde sismiche in ciascuno strato:

2

2

2

3

2

2

zu

Gztu

tu i

ii

ii

i∂

∂−

∂∂

∂−

∂ηρ [1.67]

Effetti Sismici Locali 30

Nei metodi discreti, contrariamente, viene risolto un sistema di equazioni differenziali nel dominio del tempo, esprimenti l’equilibrio dinamico del sistema, ciascuna delle quali del tipo:

( ) ( ) ( ) ( ) )1(0111111 niuukuukuucuucu iiiiiiiiiiiiii ≤≤=−−−+−−−+⋅ +−−+−− &&&&&&&&&&ρ [1.68]I metodi continui, nel caso in cui il problema in esame sia relativamente semplice, permettono di

ottenere soluzioni analitiche in forma chiusa, vedi § 1.5. Tali metodi, implementati in numerosi codici di calcolo, al fine di utilizzare le trasformate di Fourier per calcolare la risposta sismica del terreno, richiedono legami costitutivi lineari o, al più, di tipo lineare a tratti (modelli lineari equivalenti). In quest’ultimo caso, sarà necessario definire anche per ciascuno strato le leggi Gi(γ) e Di(γ), dove γ rappresenta la deformazione tangenziale.

1.6.2 Effetti della non linearità La non linearità del legame sforzi-deformazioni del terreno rappresenta uno degli aspetti più influenti

sulla risposta sismica locale e, la sua influenza, aumenta al crescere della severità dello scuotimento sismico e in presenza di terreni soffici. Per valutare come cambia la risposta sismica di un terreno, passando da un comportamento lineare ad uno non lineare, generalmente si confrontano i parametri caratteristici dello scuotimento sismico in superficie avvenuti in occasione di diversi eventi sismici. Tale fine, può essere raggiunto sia mediante analisi numerica, e quindi facendo variare il terremoto di input nelle modellazioni, sia mediante registrazioni strumentali, e in tal caso occorre registrare terremoti di moderata e forte intensità. Numerosi sono stati in passato gli studi che hanno permesso di evidenziare e, talvolta quantificare, gli effetti della non linearità del comportamento del terreno durante eventi sismici di moderata e forte intensità8.

Qualitativamente, l’influenza della non linearità del comportamento del terreno su alcuni fattori (deformazione di taglio massima γmax, modulo di taglio G, rapporto di smorzamento D e accelerazione di picco amax) in funzione della profondità e dell’accelerazione massima al bedrock amax,b, è riportata in figura 1.20. La situazione analizzata è quella di uno strato di terreno omogeneo su substrato roccioso soggetto ad un moto sismico caratterizzato da valori di accelerazione di picco crescenti. In particolare, la figura evidenzia che, per effetto della non linearità, all’aumentare del picco di accelerazione del moto di input, a parità di profondità, si verifica un aumento della deformazione di taglio e del rapporto di smorzamento e, viceversa, il modulo di taglio si riduce. L’andamento dell’accelerazione massima lungo il profilo dello strato, invece, per modesti valori di amax,b e quindi in campo lineare, tende ad aumentare, mentre, a elevati livelli energetici, può diminuire lungo il profilo. Quest’ultima circostanza si verifica a causa della riduzione delle caratteristiche di rigidezza che si traduce nella difficoltà del deposito a trasmettere le frequenze più elevate, mentre l’aumento del rapporto di smorzamento produce un’attenuazione generalizzata delle ampiezze del segnale.

γG( )γD( )

ρ

maxγ (z)

z 31 2

amax,b

t

amax,b

3 2 1

G(z)

1

D(z)

2 3

amax,b

maxa (z)

1 2 3

amax,b

amax,ba

Figura 1.20 Variazione con l’accelerazione massima sul bedrock dei profili: di deformazione tangenziale massima (a); del modulo di taglio (b) del rapporto di

smorzamento (c) e dell’accelerazione massima del deposito (d).

8 In merito, si vedano ad esempio i lavori di Idriss (1990); Lanzo (1995); Lossou et al. (2000); Seed et al. (1976); Sugimura (1991); Vucetic e Dobry (1991).

Effetti Sismici Locali 31

Idriss (1990) ha proposto, per terreni coesivi teneri, una relazione empirica tra accelerazione di picco in superficie e su roccia, che conferma in parte i risultati precedentemente ottenuti da altri autori (Seed et al., 1976) e che evidenzia gli effetti della non linearità del comportamento meccanico del terreno sulla risposta sismica locale. La relazione empirica, riportata in figura 1.21, è stata ottenuta a partire dalle registrazioni accelerometriche del terremoto di Città del Messico del 1985 e di Loma Prieta del 1989, per le accelerazioni minori di 0.2g, e sulla base di analisi numeriche per le accelerazioni superiori. Lo studio condotto da Idriss (op. cit.) mostra che il campo dei valori di accelerazione di picco su roccia in cui si possono manifestare fenomeni di amplificazione sismica va da zero a 0.4g.

0.6

0.4

0.3

0.2

0.1

0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.60Accelerazione massima su roccia [g]

Terremoto di Citta' del Messico (1985)

Terremoto di Loma Prieta (1989)

Risultati delle analisi numeriche

Acc

eler

azio

ne m

assi

ma

in s

uper

fici

epe

r te

rren

i coe

sivi

ten

eri [

g]

Figura 1.21 Variazione dell’accelerazione massima in superficie in funzione della corrispondente

accelerazione su roccia affiorante per terreni coesivi teneri (Idriss, 1990). In figura 1.22 sono riportate le funzioni di amplificazione dello strato di argilla tenera di figura 1.19,

ottenute mediante analisi numerica per valori crescenti dell’energia del moto sismico di riferimento. Il caso è stato esaminato dagli Autori utilizzando leggi G(γ) e D(γ) funzione dell’indice di plasticità Ip. In particolare il caso riportato, relativo a un materiale particolarmente deformabile e con un dominio di comportamento lineare molto esteso(Ip = 200%), mostra che, al crescere del livello deformativo raggiunto, gli effetti della non linearità del comportamento del terreno si traducono in una attenuazione della funzione di amplificazione inversamente proporzionale al rapporto di smorzamento come visto nel § 1.5.2. Inoltre, dall’andamento delle funzioni di amplificazione riportato in figura 1.22, si osserva che, al crescere dei livelli energetici del moto sismico di riferimento, l’effetto della non linearità comporta uno spostamento delle frequenze naturali del deposito a valori minori e, a livelli deformativi elevati (γ > 0.01%), si assiste a fenomeni di attenuazione del moto sismico.

2

10

8

6

4

00 1 2 3 4

Ampli

ficaz

ione

Frequenza [Hz]

γ= 0.0001%γ

= 0.001%= 0.01% γ

= 0.1% γ

Figura 1.22 Funzioni di amplificazione corrispondenti a livelli crescenti di deformazione di taglio massima (Lanzo e Silvestri, 1999).

Effetti Sismici Locali 32

1.6.3 Effetti di bordo e delle onde superficiali Nel caso di depositi ideali è stato mostrato, § 1.5, che i fenomeni di amplificazione sono principalmente

l’effetto di due diverse cause, cioè il rapporto di impedenza I e la risonanza. Infatti nel primo caso, all’aumentare del contrasto delle impedenze sismiche (e quindi del rapporto tra l’impedenza del bedrock e l’impedenza del terreno), in particolare per i materiali con modeste proprietà smorzanti e/o in occasione di terremoti di modesta intensità, si ha la continua rifrazione delle onde sismiche tra la superficie libera ed il substrato, per cui le onde S rimangono intrappolate nello stesso. La seconda causa si verifica, invece, quando le frequenze proprie del moto sismiche si avvicina alle frequenze naturali del deposito.

Nel caso di depositi reali invece, per via della loro forma caratterizzata da chiusure laterali e quindi mal assimilabili a schemi monodimensionali, oltre alle due cause sopra ricordate si verificano i così detti effetti di bordo.

Gli effetti di amplificazione ai bordi dei depositi (spesso indicati come effetto catino), sono riconducibili a due tipi di fenomeni: il primo è quello della focalizzazione delle onde sismiche (in aree in prossimità dei bordi delle valle alluvionali si può verificare l’interferenza costruttiva di onde riflesse ed onde rifratte), mentre il secondo fenomeno è quello prodotto dalle onde incidenti in corrispondenza dell’interfaccia non orizzontale tra strato lapideo di base e terreno al bordo della valle, che genera onde di superficie con direzione di propagazione orizzontale come schematizzato mostrato in figura 1.23. La figura mostra il fenomeno che vede le onde di superficie confinate nella vale subendo riflessioni multiple ai bordi a causa del marcato rapporto di impedenza tra terreno e bedrock.

Onde SOnde S

Onde superficiali

Roccia

Deposito

Figura 1.23 Schema della generazione di onde di superficie dai bordi di un deposito. Le onde di superficie, poiché caratterizzate da velocità di propagazione relativamente modeste (inferiori

a quelle delle onde S e comunque inferiori a 1000m/s) e periodi propri compresi tra 0.5 e 5s (generalmente superiori a quelle delle onde S), determinano un aumento della durata del moto sismico in superficie che può risultare soprattutto dannosa alle strutture più alte e, in generale, alle costruzioni con periodo proprio maggiore a 0.5s.

Le osservazioni sperimentali di terremoti di bassa e elevata intensità avvenute nell’ultimo decennio, con il suffragio di modellazioni numeriche, hanno permesso di dimostrare che tali onde si generano soprattutto in corrispondenza di strutture geologiche do notevoli dimensioni (bacino di Los Angeles, di Osaka, piana di Kanto, ecc.).

Numerosi sono gli studi e le osservazioni sperimentali che hanno permesso di evidenziare sia la diversa amplificazione del moto sismico lungo una sezione trasversale di una valle9, sia la generazione di onde superficiali di lungo periodo in corrispondenza dei bordi10.

9 Si vedano ad esempio i lavori di: Bard (1994), Bard e Gariel (1986), Gomes et al. (1999), Jongmans e Campillo (1993), Pitilakis et al. (1999). 10 Si vedano ad esempio i lavori di: (Aki e Larner 1970), Frankel (1994), Pei e Papageorgiou (1995), Pitarka et al. (1996).

Effetti Sismici Locali 33

Il fenomeno di focalizzazione delle onde sismiche in corrispondenza dei bordi delle valli alluvionali è stato osservato, ad esempio, in occasione del terremoto di Kobe in Giappone avvenuto nel 1995 (Pitarka et al., 1996); invece, il fenomeno della generazione di onde di superficie, oltre ad avere riscontri teorici (Aki e Larner 1970), è stato osservato ad esempio in occasione del terremoto di Osaka in Giappone sempre nel 1995.

A titolo di esempio, in figura 1.24 si riportano i confronti fra i risultati di simulazioni numeriche mono e bidimensionali relative a modelli geometrici semplificati di valli alluvionali soggette a onde incidenti del tipo SH (Bard e Gariel, 1986). Le forme geometriche utilizzate per le valli sono quella trapezia e quella a catino, rispettivamente per valli superficiali e profonde. Le caratteristiche geometriche sono espresse in funzione del fattore di forma H/L, con H spessore massimo del deposito ed L semilarghezza della valle. Le analisi numeriche è stata effettuata riferendosi ad una valle superficiale, con fattore di forma H/L = 0.1, e ad una valle profonda, caratterizzata da fattore di forma H/L = 0.4; ciascuna sezione è stata studiata sia utilizzando modelli monodimensionali, considerando una variazione lineare di VS con la profondità, sia un modello bidimensionale, distinguendo i casi di andamento di VS costante e crescente con la profondità. In ciascuno dei casi esaminati il rapporto di smorzamento del terreno è stato assunto pari a D = 2.5%.

I risultati delle modellazioni sono confrontati, per diversi nodi posti sulla superficie libera della valle, in termini di funzione di amplificazione che, per renderle più direttamente confrontabili, sono state rappresentate in termini di frequenza normalizzata rispetto alla prima frequenza naturale del deposito f1 calcolata col modello monodimensionale al centro della valle f1 = VS / (4H).

Nel caso di valle superficiale con forma trapezia, figura 1.24a, il modello 1D fornisce risultati in buon accordo con quelli ottenuti con modello 2D in corrispondenza del centro della valle (stazione 8), mentre le differenze diventano sempre più significative allontanandosi dal centro e procedendo verso i bordi (stazioni 6 e 4). In prossimità del bordo della valle (stazione 2), ovvero laddove sono pronunciati i fenomeni di interferenza tra onde verticali incidenti e le onde di superficiali rifratte, la funzione di amplificazione ottenuta con il modello 2D presenta una risposta a larga banda del deposito mentre per il modello 1D è caratterizzata da un picco isolato.

Nel caso di valle profonda con forma a catino, figura 1.24b, i modelli 1D e 2D forniscono risultati sostanzialmente diversi, in termini di forma e di ampiezza della funzione di amplificazione, sia al centro che ai bordi della valle. La principale differenza è costituita dall’andamento vibratorio, caratterizzato cioè da più picchi relativi, delle funzioni di amplificazione ottenute con i modelli 2D. Inoltre, queste ultime, sottostimano i fenomeni di amplificazione rispetto ai modelli 1D in prossimità del bordo della valle (stazione 2); viceversa, avvicinandosi al centro della valle (stazioni 4, 6 e 8), il modello 2D sovrastima, rispetto ai modelli 1D, i fenomeni di amplificazione alle frequenze più alte.

L’esempio di Bard e Gariel (op. cit.) mette in evidenza la maggiore complessità dei fenomeni di interazione tra onde di volume e onde superficiali nelle valli alluvionali profonde rispetto a quelli che si verificano nelle valli superficiali. Quindi, mentre per le valli superficiali i risultati ottenuti con modelli 1D sono affidabili in corrispondenza del centro, per fattori di forma elevati, anche per le analisi di RSL al centro della valle sarà necessario ricorrere a modelli 2D. Infine, va evidenziato che, in entrambi i casi esaminati (valli superficiali H/L < 0.25 e valli profonde H/L >0.25), si ha una marcata differenza tra la risposta sismica delle diverse stazioni lungo la sezione e che questa può determinare elevati movimenti differenziali dei quali occorrerà tenere debito conto nella progettazione antisismica di strutture e infrastrutture ad elevato sviluppo lineare. 1.6.4 Effetti topografici

Il fenomeno fisico di amplificazione del moto a causa degli effetti topografici è da attribuire alla

focalizzazione delle onde sismiche ed è stato oggetto di numerosi studi in passato11. Il fenomeno fisico di amplificazione del moto sismico alla sommità di un rilievo topografico va attributo

sia a fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche sia all’interazione fra onde sismiche incidenti e onde sismiche rifratte (Bard, 1982). Qualitativamente la focalizzazione può essere così spiegata (figura 1.25): le onde sismiche con direzione di propagazione verticale o subverticale, in corrispondenza della superficie

11 Si vedano ad esempio i lavori di: Aki (1988), Bard (1982, 1994), Bard et al. (1995), Faccioli (1991); Géli et al. (1988), Jibson (1987), Lee et al. (1994), Pedersen et al. (1994), Sanchez-Sesma (1990)

Effetti Sismici Locali 34

libera vengono rifratte e riflesse, e favorite dalla particolare conformazione topografica, tendono a concentrare la loro energia in corrispondenza di alcune zone del rilievo piuttosto che in altre.

Figura 1.24 Confronto tra funzioni di amplificazione ottenute con modelli 1D e 2D per (a) una alle superficiale di forma trapezia (H/L = 0.1) e (b) una valle profonda con forma a catino (H/L = 0.4) (Bard e Gariel, 1986).

Fenomeni di amplificazione locale legati agli effetti topografici sono stati registrati nel nostro paese, ad

esempio, in occasione dei terremoti: del Friuli avvenuto nel 1976 (Brambati et al. 1980), dell’Irpinia del 1980 (AA. VV., 1983) e dell’Umbria Marche del 1997 (Capotorti et al., 1997; Mucciarelli et al., 1997); mentre, nel resto del mondo, effetti topografici che hanno portato a notevoli amplificazioni del moto sismico sono stati osservati, ad esempio, a seguito del terremoto che nel 1985 colpì Città del Messico (Celebi et al., 1987) e dei più recenti eventi sismici di Northridge e di Kobe del 1994.

Effetti Sismici Locali 35

Figura 1.25 Schematizzazione del fenomeno della focalizzazione delle onde sismiche. Oltre alle osservazioni qualitative degli effetti topografici riportate sopra, sono stati messi a punto

numerosi modelli analitici e numerici in grado di quantificarne l’entità. Il più noto e semplice è il modello messo a punto da Aki (1988) che prevede la schematizzazione dell’irregolarità topografica mediante un cuneo indefinito avente angolo al vertice ϕ, nell’ipotesi di mezzo elastico, omogeneo ed isotropo (figura 1.26). Il cuneo è soggetto ad un’onda incidente armonica SH che si propaga verticalmente e polarizzata parallelamente all’asse del cuneo. La soluzione analitica in forma chiusa del modello descritto si deve a Sanchez-Sesma (1990). L’Autore, esprimendo i parametri del moto in funzione dell’angolo al vertice del cuneo φ = k ·π (con 0 < k ≤ 2), trova la soluzione in termini di fattore di amplificazione A, definito come il rapporto tra l’ampiezza dello spostamento al vertice in direzione parallela all’asse del cuneo v, e quello dello stesso punto nel caso in cui la superficie sia piana e orizzontale v0 (k = 1). Il valore del fattore di amplificazione, così definito, risulta essere indipendente dalle caratteristiche dell’onda incidente e inversamente proporzionale all’angolo al vertice:

φπ

θ22

0===

vvA [1.69]

0

1

2

3

4

5

6

7

v/v 0

x

φ

z

SH

π/3 π/2 2π/3 5π/6 π 7π/6 4π/3φ (rad)

Figura 1.26 Variazione del fattore di amplificazione con l’angolo al vertice del modello di Sanchez-Sesma (1990).

La figura 1.26 mostra che l’effetto topografico comporta in ogni caso un’amplificazione del moto

sismico in corrispondenza della cresta, che può essere rilevante (A = 3) anche per topografie relativamente dolci (φ =2π/3 = 120°).

Un modello più realistico rispetto al cuneo indefinito è stato analizzato da Géli et al. (1988), figura 1.27a. Gli Autori, mediante modellazione numerica del fenomeno di propagazione d’onde SH incidenti verticalmente, hanno determinato le funzioni d’amplificazione A, in funzione della frequenza adimensionale n =2L/ (dove L è la semilarghezza del rilievo in corrispondenza della base e λ è la lunghezza dell’onda incidente), in corrispondenza di alcuni punti situati sulla cresta, sui fianchi ed alla base del rilievo. In figura 1.27b, per un valore del fattore di forma H/L (dove H è l’altezza del rilievo), sono riportate le funzioni di amplificazione. Si osserva che, in corrispondenza della cresta (punto 1), si ha un chiaro effetto amplificativo

Effetti Sismici Locali 36

per una larga banda di frequenze adimensionali; in particolare, l’amplificazione raggiunge il massimo (circa pari ad 1.5) per n = 2 (cioè quando la lunghezza dell’onda incidente λ è pari alla semilarghezza L del rilievo), mentre ai fianchi e alla base del rilevo la funzione di amplificazione di amplificazione ha andamento piuttosto irregolare con successive amplificazioni e attenuazioni dovute all’interazione tra onde incidenti e rifratte. Gli Autori, effettuando altre simulazioni numeriche, hanno poi mostrato come i fenomeni di amplificazione tra cresta e base del rilievo aumentino proporzionalmente al fattore di forma H/L.

H/L = 0.4

H

L

6

1 23

45

Cresta a)

A

12

1

1 2 3 4n

A2

1

1 2 3 4n

2 b)

A

2

1

1 2 3 4n

3

A

2

1

1 2 3 4n

6

Base

Figura 1.27 Funzioni di amplificazione in alcuni punti di un rilievo isolato, per un fattore di forma H/L=0.4, nell’ipotesi di propagazione verticale di onde SH, determinate mediante modellazione numerica da Géli et al. (1988).

Negli ultimi anni, con l’ausilio dei metodi agli elementi finiti (FEM) e dei metodi degli elementi al

contorno (BEM), sono stati messi a punto modelli numerici complessi in grado di schematizzare morfologie superficiali e profonde più irregolari e realistiche.

Al fine di convalidare ed aggiungere ulteriori informazioni ai risultati ottenuti con modelli numerici, sono stati condotti studi sismologici basati sulle registrazioni di terremoti, aftershocks, esplosioni e microtremori lungo alcuni profili topografici irregolari, come quelli mostrati nella figure 1.28 e 1.29, che hanno permesso di constatare che procedendo dalla base verso la cresta del rilievo si ha un incremento dello scuotimento sismico.

Nella figura 1.28, oltre alla schematizzazione del rilievo e la posizione delle stazioni di misura, sono diagrammati, in funzione della quota, i valori medi e le deviazioni standard delle accelerazioni di picco registrate durante cinque terremoti normalizzate con il corrispondente valore della stazione 1. Da tale grafico è immediato constatare che il picco d’accelerazione normalizzato cresce procedendo verso la cresta del rilievo fino ad assumere un valore di circa 2.5 volte maggiore di quello alla base.

Effetti Sismici Locali 37

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

00 50 100 1

5

43

2

1

Quota [m]

50m

50m

123

45

Rapp

orto

tra

i pi

cchi

di a

ccel

eraz

ione

(sta

z. i

/ s

taz.

1 )

50

Figura 1.28 Variazione con la quota del picco d’accelerazione medio normalizzato misurato in cinque diverse stazioni lungo un rilievo a Matsuzaki, Giappone (Jibson, 1987).

Un più recente studio sperimentale sugli effetti topografici è stato condotto da Pedersen et al. (1994) su

un rilievo delle Alpi Francesi figura 1.29a. Il rilievo collinare monitorato dagli Autori è costituito da una roccia calcarea costituente anche il substrato di un deposito alluvionale adiacente. Nella figura 1.29b sono riportati i sismogrammi di velocità relativi ad uno stesso evento sismico registrato dalle cinque diverse stazioni ubicate sul rilievo. Dal confronto tra i sismogrammi registrati dalle stazioni su roccia (S2 e S3) risulta è apprezzabile l’amplificazione in corrispondenza della cresta per effetto della focalizzazione delle onde sismiche. Più importanti sono invece risultati i fenomeni amplificativi in corrispondenza dei materiali di copertura (stazioni S1, S4 e S5). È interessante osservare gli incrementi del moto sismico al crescere dello spessore del deposito; circostanza questa che fa pensare ad una prevalenza dei fenomeni amplificativi legati alle caratteristiche dei terreni rispetto a quelli di tipo topografico.

Una situazione simile a quella descritta si è verificata in Italia in occasione del terremoto umbro-marchigiano del 1997. Infatti, ad esempio, in località Cesi sono state rilevate intensità macrosismiche molto diverse in aree molto vicine. Nella parte bassa dell’abitato, sebbene più moderna, è stata rilevata una intensità macrosismica pari al IX grado MCS, mentre nella parte alta, Cesi Villa, l’intensità macrosismica è risultata pari al VII grado MCS. Il danneggiamento differenziale osservato, risultato subito anomalo in quanto le maggiori amplificazioni erano attese sul rilievo, ha dato origine a studi approfonditi dell’area. Le indagini effettuate hanno mostrato la natura dei materiali di fondazione, risultati essere sedimenti argilloso-sabbiosi di origine lacustre e fluviolacustre per uno spessore di circa 35m a Cesi, e roccia ricoperta da un esiguo strato di detriti più grossolani e consistenti a Cesi Villa. Le analisi delle registrazioni accelerometriche, effettuate mediante una rete mobile installata dal Servizio Sismico Nazionale, e la successiva elaborazione con il metodo di Nakamura, hanno mostrato valori dei picchi di amplificazione compresi tra 3 e 4 per frequenze di 1 ÷ 2 Hz a Cesi; mentre la funzione di amplificazione relativa a Cesi Villa è risultata pressoché costante per le frequenze esaminate 0.1 ÷ 20hz (Capotorti et al., 1997).

Effetti Sismici Locali 38

Figura 1.29 Sezione schematica di un affioramento di rocce calcaree costituente il substrato di un deposito alluvionale (a) e sismogrammi registrati in cinque stazioni (b) relative al rilievo monitorato da Pedersen et al. (1994).

In conclusione, volendo fare un quadro riepilogativo di quanto emerso dai principali studi teorici e

sperimentali di letteratura (Bard, 1994; Castellani et al., 1982; Faccioli, 1987; Géli et al., 1988; Sanchez-Sesma et al., 1986) sull’influenza della topografia sul moto sismico, si ricorda:

- gli effetti di amplificazione variano notevolmente con il tipo di onde considerate (R, SH, P) e con l’angolo di incidenza delle onde sismiche;

- si tratta per lo più di effetti a larga banda che si manifestano nel campo delle frequenze in cui la lunghezza d’onda è compresa fra valori di circa 3 volte e 1/3 della dimensione orizzontale 2L del rilievo alla base (2L/3 < f < 3·2L);

- le amplificazioni più elevate si hanno per valori della frequenza corrispondenti a una lunghezza d’onda incidenti λ circa uguale alla semilarghezza della base del rilievo;

- gli effetti di amplificazione crescono con il rapporto H/L; - lungo i versanti di una irregolarità topografica, l’interazione tra onde incidenti e rifratte può produrre

rapide variazioni del moto, con conseguenti fenomeni di amplificazione e attenuazione; - entro certi limiti gli effetti di amplificazione sono indipendenti dalla magnitudo del terremoto, dalla

orientazione della frattura e dalla distanza epicentrale; - l’amplificazione alla sommità dei rilievi può essere anche di 20 volte nel dominio spettrale e pari a 3 ÷

4 volte nel dominio del tempo; - esiste un buon accordo qualitativo tra i risultati delle modellazioni numeriche 2D e le osservazioni

sperimentali sull’amplificazione del moto dalla base alla sommità di un rilievo; - non si ha, invece, un buon accordo quantitativo tra le amplificazioni risultati da analisi numeriche e

quelle misurate sperimentalmente che, generalmente, sono risultate essere molto maggiori.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 39

2 Risposta Sismica Locale a Città di Castello

2.1 Principali risultati di recenti studi Del progetto di microzonazione sismica dell’alta Valtiberina umbra vengono riportati nel presente

paragrafo gli aspetti salienti ottenuti per il Comune di Città di Castello (figura 2.1). Questo allo scopo di effettuare alcune considerazioni sulle analisi numeriche e strumentali condotte nonché sulla caratterizzazione geotecnica di riferimento.

Il percorso metodologico seguito dal gruppo di ricerca si è articolato nelle seguenti cinque fasi imprescindibili: 1) analisi geotecnica e geomorfologia dettagliata dell’area di studio e caratterizzazione geotecnica in campo statico e dinamico delle formazioni geologiche presenti; 2) valutazione probabilistica del moto sismico di riferimento, § 2.4; 3) analisi numeriche monodimensionali e bidimensionali per quanto il principale Comune dell’area di studio; 4) analisi strumentale attraverso acquisizioni sismologiche e 5) confronto tra l’applicazione delle due metodologie: numerica e sperimentale.

I risultati complessivi delle modellazioni numeriche condotte nell’area sono riportate in Pergalani e Compagnoni (2001), mentre i risultati ritenuti rappresentativi delle situazioni geologiche e geomorfologiche delle località analizzate dell’alta Valtiberina umbra, in particolare un caso di cresta (Monte Santa Maria Tiberina), un caso di valle (San Giustino) ed infine un caso di depositi piani paralleli di fondovalle (Piosina) sono riportati nel lavoro di Pergalani et al. (2002a).

La valutazione degli effetti di sito a partire da dati sismologici effettuata in Valtiberina è poi contenuta nel lavoro di De Franco et al. (2001), mentre i risultati e le elaborazione delle indagini sismologiche condotte a Città di Castello sono documentate ad esempio in De Franco et al. (2002).

I dati di base utilizzati per la valutazione della risposta sismica mediante analisi numerica a Città di Castello, confrontata successivamente con le analisi sperimentali (Pergalani et al. (2002b), sono consistite in:

- rilievi geologici di superficie e sondaggi geognostici finalizzati alla stesura della carta geologica e delle sezioni geologiche (Boscherini et al., 2001; 2002a e 2002b);

- prove sismiche in sito con le tecniche down-hole e cross-hole (Checcucci et al., 2002; Boscherini et al. 2002b);

- prove statiche, dinamiche e cicliche di laboratorio (Crespellani et al. 2001a, 2001b, 2002a); - input sismici attesi in termini di risposta in pseudo-accelerazioni ed accelerogrammi (Zonno et al.

2002). Le peculiarità dell’area hanno portato a preferire una modellazione bidimensionale di due sezioni

rappresentative del Comune mediante il codice di calcolo QUAD4M, vedi. §2.3. Le sezioni analizzate, rappresentate in figura 2.1, sono: una trasversale alla valle del Fiume Tevere orientata WSW-ENE e della lunghezza di 5600m (sezione A-B); l’altra è invece longitudinale alla valle, con orientazione NW-SE e sviluppo di circa 3000m. In particolare, considerata l’eccessiva lunghezza della sezione A-B sono state considerate due sezioni distinte; una in cui il substrato roccioso è affiorante e l’altra coincidente con la valle del Fiume Tevere.

I risultati inerenti alla prima parte della sezione, dove l’amplificazione è nulla in quanto il substrato è affiorante, sono riportati in Pergalani et al. (2002b) mentre dei risultati della seconda parte della sezione, avente lunghezza pari a 3200m e che nel proseguo del presente lavoro sarà indicata per semplicità come sezione A-B, ne viene reso sinteticamente conto.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 40

A

B

D

C

Accumuli antropici

Alluvioni recenti

Alluvioni terrazzate

Argille limose con clasti eterogenei(Subsintema di Nuvole)

LEGENDA

Limi sabbiosi con subordinata matrice argillosa(Subsintema di Anghiari)

Marnoso Arenacea

Conglomerati poligenici con subordinate alternanze di strati sabbiosi (Subsintema di M. Rotondo)

Argille limose con alternanze di strati sabbiosi fini e limo-sabbiosi (Sintema di Fighille)

0 1km

Figura 2.1 Carta della geologia di superficie ed ubicazione delle sezioni analizzate da Pergalani et al. 2002b (adattata da Rotili, 2002).

2.1.1 A partire da analisi numeriche I risultati delle analisi numeriche condotte sono stati riassunti in una serie di spettri elastici (ξ = 5%) in

pseudo-accelerazione e in pseudo-velocità calcolati per alcune verticali. Per ciascuno spettro in pseudo-velocità è stata calcolata l’intensità spettrale, SI, di Housner (1952) nell’intervallo 0.1-0.5s, considerato rappresentativo del periodo proprio delle strutture presenti nell’area, e nell’intervallo 0.1-2.5 come vuole la sua definizione originale:

∫=5,2

1,0

),()( dTTPSVSI ζζ [2.1]

dove PSV rappresenta lo spettro in pseudo-velocità. Sono stati poi calcolati i rapporti tra intensità spettrale calcolata per ogni punto in superficie

corrispondente alle verticali di interesse e intensità spettrale dello spettro utilizzato come input. Tale rapporto, definito coefficiente di sito Fa, è uno dei parametri di sintesi nel dominio delle frequenze

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 41

impiegato nell’ambito del progetto e delle analisi di seguito riportate. Indicando con SIS e SIB rispettivamente l’intensità spettrale in superficie e al bedrock considerato come affiorante, il coefficiente di sito risulta quindi definito dalla relazione:

)()(

ζζ

B

S

SISI

Fa = [2.2]

In generale, le modellazioni numeriche delle due sezioni hanno mostrato amplificazioni molto elevate presumibilmente a causa della particolare conformazione della valle nonché dei rapporti di impedenza caratteristici delle formazioni ivi presenti. È stato osservato l’effetto smorzante in corrispondenza di una faglia profonda sepolta (§ 2.2). Tale effetto, registrato solo in corrispondenza di essa, è essenzialmente legato alle caratteristiche geometriche della struttura tettonica. In particolare, poiché sia profondità che inclinazione di tale faglia sono state ipotizzate, i risultati delle analisi deve essere considerato soltanto come indicativo.

Pergalani et al. (2002b), per periodi compresi tra 0.1 e 0.5s, hanno trovato valori di Fa generalmente superiori a 2 con variazioni significative sia per effetto delle chiusure a lente delle alluvioni recenti con quelle terrazzate sia a causa delle chiusure laterali della valle. In particolare gli autori hanno individuato i seguenti intervalli significati nel valore assunto dal coefficiente di sito per la sezione A-B1: - Fa compreso tra 2.7 e 2.8 in corrispondenza dei depositi alluvionali recenti; - Fa compreso tra 2.3 e 2.5 in corrispondenza dei depositi alluvionali terrazzati sul lato rialzato della faglia, dove il bedrock ha profondità di 130m; - Fa compreso tra 2.0 e 2.3 in corrispondenza dei depositi alluvionali terrazzati sul lato ribassato della Faglia, dove il bedrock ha profondità compresa tra 150 e 230m; - Fa pari a 1.5 nelle immediate vicinanze della faglia e Fa minori di 1 in corrispondenza di essa; - Fa compresi tra 2.3 e 2.6 in corrispondenza delle chiusure laterali della valle.

Per periodi compresi tra 0.1 e 0.5s gli intervalli rappresentati dei valori assunti da Fa individuati dagli autori sono invece risultati: - Fa compreso tra 2.0 e 2.2 in corrispondenza dei depositi alluvionali recenti; - Fa compresi tra 1.8 e 2.0 in corrispondenza dei depositi alluvionali terrazzati su entrambi i lati della faglia; - Fa compreso tra 1.3 e 1.5 in corrispondenza della faglia e nelle immediate vicinanze; - Fa compresi tra 1.3 e 1.4 in corrispondenza delle chiusure laterali della valle.

2.1.2 A partire da analisi sperimentali L’attività di ricerca condotta da De Franco et al. (2001, 2002) ha previsto acquisizioni sismologiche in

Valtiberina con l’obiettivo di valutare sperimentale i possibili fenomeni di amplificazione sismica locale contribuendo così, alla valutazione della pericolosità sismica in relazione alle caratteristiche geologiche e morfologiche utilizzando registrazioni di eventi sismici.

Le elaborazioni effettuate dagli autori a Città di Castello si sono basate su un totale di N. 111 eventi sismici locali a bassa magnitudo registrati mediante sensori velocimetrici a tre componenti. Per ciascuno dei 20 siti esaminati nel Comune, figura 2.2, sono state calcolate le funzioni di trasferimento utilizzando il metodo dei rapporti spettrali: facendo sia i rapporti per ogni componente tra spettro al sito e quello di due siti di riferimento su roccia affiorante (funzione ricevitore) che per ogni sito tra le componenti orizzontali e la componente verticale (metodo dei microtremori proposto da Nakamura, 1989). Inoltre, i dati sismologici acquisiti dai ricevitori orizzontali sono stati utilizzati per la stima dei fattori di amplificazione definiti dalla relazione [2.2].

L’acquisizione dei dati sismometrici è avvenuta tra l’aprile ed il dicembre 2000 nei 20 siti riportati in figura 2.2 dei quali due utilizzati come riferimento. Il primo, BR1, si trova ad est del centro abitato ed è collocato sui depositi del Membro di Cantone della Formazione Marnoso Arenacea, il secondo, BR2, si trova ad est di Città di Castello ed è stato posizionato sul Membro di casa Spertaglia. La scelta dello stendimento della microrete è stata operata con l’obiettivo di registrare gli effetti di sito lungo le due direzioni principali della valle, § 2.1.1. In considerazione delle specifiche tecniche degli acquisitori

1 Poiché le analisi numeriche ed i confronti effettuati (§ 2.6) hanno previsto la modellazione mono e bidimensionale delle verticali rappresentative della sezione A-B, di seguito si riportano i soli risultati rilevanti ottenuti nell’ambito del progetto di microzonazione sismica relativamente a tale sezione, rimandando alla letteratura citata per approfondimenti.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 42

impiegati gli autori indicano come affidabili i segnali acquisiti nell’intervallo di frequenze compreso tra 0.5 e 25Hz.

L’elaborazione delle acquisizioni, consistita sostanzialmente nel calcolo degli spettri di risposta elastici (ξ = 5%) e dei rapporti spettrali, ha seguito i seguenti passi fondamentali:

- lettura degli arrivi primari delle onde sismiche di volume, onde S e onde P, rispettivamente mediante le registrazioni orizzontali e verticali;

- calcolo degli spettri di risposta considerando una finestra temporale di 16.38s, equivalente a 1024 campioni che nel dominio delle frequenze è corrisposto ad un intervallo compreso tra 0 e 25Hz;

- lisciamento degli spettri, effettuando una convoluzione dello spettro calcolato con una finestra triangolare avente semi-ampiezza nel dominio delle frequenze di 1Hz, al fine di evitare anomalie nel calcolo dei rapporti spettrali;

- calcolo dei rapporti spettrali per ogni frequenza sia tra lo spettro al sito e quello di riferimento delle componenti orizzontali (RSR) sia tra componenti orizzontali e la componente verticale (RF).

In relazione ai valori di RSR2 ottenuti a Città di Castello gli autori considerano le seguenti tre classi in maniera indipendente dalla frequenza:

1 < RSR < 2.5 bassa amplificazione; 2.5 < RSR < 5.0 amplificazione media; RSR > 5.0 amplificazione alta.

Figura 2.2 Ubicazione delle stazioni velocimetriche installate a Città di Castello nell’ambito del

progetto di microzonazione sismica (da De Franco et al. 2002). Nella figura 2.3 sono riportati i valori assunti da RSR ottenuti dagli autori nell’ambito del progetto, per

due diverse bande di frequenza (0.5 ÷ 5Hz, 5 ÷ 10Hz) e considerando come sito di riferimento BR1. Le mappe riportate, in considerazione della disomogeneità nella distribuzione areale dei siti indagati, sono soggette a possibili alterazioni ai bordi e nelle zone a basso campionamento, ne consegue che il loro impiego è da usare con cautela (De Franco et al. 2002).

2 I confronti tra analisi numeriche e strumentali, di seguito riportati (§ 2.6), sono stati effettuati anche in termini di rapporti spettrali tra una componente orizzontale al sito ed una al bedrock affiorante. Per tale motivo si riportano i soli risultati ottenuti in termini di RSR (per i valori assunti da RF si rimanda alla letteratura citata). I valori assunti dalle funzioni ricevitore calcolati per tutti i siti ha permesso di individuare come bedrock sismico il sito di riferimento BR1.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 43

Figura 2.3 Mappe dei rapporti spettrali medi RSR ottenuti a Città di Castello negli intervalli di

frequenza 0-5Hz e 5-10Hz riferiti a BR1 (da De Franco et al. 2001). Le analisi sperimentali condotte nell’ambito del progetto mostrano che Città di Castello è mediamente

caratterizzata da alte amplificazioni se comparate con quelle ottenute in altri siti dell’Umbria (Tento et al., 1998, 2001; GNDT, 1998c, 1998d).

Il confronto tra le due mappe riportate in figura 2.3 mostra un decremento dei rapporti spettrali pari a circa 1.5 nella banda delle frequenze più alte (5 ÷ 10Hz) rispetto a quelli registrati nella banda di frequenze minori (0 ÷ 5Hz). Si osserva che, considerata la tipologia delle strutture presenti nell’area, fabbricati in prevalenza con uno due piani, i valori di RSR rilevati nella banda di frequenze più alte risultano essere di maggiore interesse applicativo. Concentrando quindi l’attenzione su tale mappa si possono chiaramente riconoscere i massimi relativi a nord ed a ovest del centro storico (siti IAG e ANF) ed in prossimità degli affioramenti della Marnoso Arenacea ad est (sito GAS). Si osserva poi un minimo relativo nella parte centro meridionale del centro storico (siti COM e PIN) ed uno più evidente ad est (sito MDL). De Franco et al. (2002) attribuiscono tali differenze a variazioni delle caratteristiche dei terreni alluvionali o a brusche variazioni della profondità del bedrock.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 44

2.2 Sezione analizzata e caratterizzazione dinamica La sezione analizzata è la sezione A-B di Città di Castello. In particolare, le analisi condotte ed i

confronti con i risultati numerici ottenuti da Pergalani et al. (2002a) ed i risultati sperimentali ottenuti da De Franco et al. (2002) si riferiscono a 24 verticali (figura 2.4). Tali verticali sono le stesse analizzate numericamente con un modello bidimensionale nell’ambito del progetto di miocrozonazione sismica dell’alta Valtiberina umbra (Compagnoni, 2003).

La figura 2.4 mostra che o materiali presenti nella sezione A-B sono ascrivibili alle alluvioni recenti, alle alluvioni pleistoceniche e al Sistema di Fighille.

Gli studi e le analisi sperimentali in sito e di laboratorio condotte su tali materiali ne hanno permesso la caratterizzazione dinamica3. In particolare, in tabella 2.1, sono riportati i valori delle velocità di propagazione delle onde S e P, i valori dello smorzamento iniziale D0 e del peso dell’unità di volume γ. Tali parametri, unitamente alle leggi di decadimento del modulo di taglio normalizzato rispetto al valore iniziale e del rapporto di smorzamento in funzione della deformazione di taglio (figure 2.5 e 2.6), sono stati impiegati nella modellazione numerica eseguita. Le curve caratterizzanti il comportamento dinamico dei materiali esaminati, figure 2.5 e 2.6, sono inoltre riportate in forma numerica nella tabella 2.2.

Tabella 7.1 Parametri geotecnici utilizzati nelle modellazione numeriche. Litotipo γ [kN/m3] D0 [%] VS [m/s] VP [m/s] Alluvioni recenti 19.0 2.8 220 550 Alluvioni terrazzate 19.0 1.0 270 730 Sistema di Fighille (0-20m) 20.0 1.9 440 1600 Sistema di Fighille (20-50m) 20.5 1.9 540 1800 Sistema di Fighille (> 50m) 20.5 1.9 700 2300 Bedrock 22.0 - 1100 200

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0.0001 0.001 0.01 0.1 1

deformazione tangenziale, γ [%]

mod

ulo

di ta

glio

nor

mal

izza

to, G

/G0

Alluvioni RecentiAlluvioni TerrazzateSintema di Fighille

Figura 2.5 Leggi di decadimento del modulo di taglio normalizzato.

3 Si vedano a tal proposito i lavori di Boscherini et al. 2002; Checcucci et al. 2002; Crespellani et al. 2001a, 2002a; Madiai e Simoni 2001, 2002, 2003; Pergalani et al. 2002a.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 45

Figu

ra 2

.4 S

ezio

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tical

i esa

min

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ttata

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Rot

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002)

.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 46

0

5

10

15

20

25

0.0001 0.001 0.01 0.1 1

deformazione tangenziale, γ [%]

rapp

orto

di s

mor

zam

ento

, D [%

]Alluvioni RecentiAlluvioni TerrazzateSintema di Fighille

Figura 2.6 Variazione del rapporto di smorzamento con la deformazione tangenziale. Tabella 2.2 Valori numerici delle leggi di variazione delle proprietà dinamiche con la deformazione

tangenziale riportate nelle figure 2.5 e 2.6.

γ [%] G/G0 D [%] γ [%] G/G0 D [%] γ [%] G/G0 D [%]0.0001 0.9999 2.791 0.0001 0.996 0.9488 0.0001 0.9999 1.8560.0011 0.9976 2.806 0.0005 0.9806 1.239 0.0012 0.9943 1.8830.0033 0.9781 2.926 0.001 0.9624 1.498 0.0028 0.9781 1.9640.0051 0.9497 3.111 0.002 0.929 1.905 0.0048 0.9497 2.1140.0073 0.9093 3.394 0.003 0.8991 2.242 0.0067 0.9195 2.2860.0125 0.8091 4.213 0.005 0.8479 2.805 0.0137 0.8091 3.0450.0241 0.642 6.041 0.007 0.8055 3.281 0.0208 0.7193 3.8440.064 0.3959 10.27 0.01 0.754 3.894 0.059 0.4724 7.2990.0847 0.3381 11.64 0.03 0.5712 6.606 0.0847 0.3959 8.9010.0961 0.3144 12.25 0.08 0.3788 9.974 0.0992 0.3651 9.6430.1628 0.2294 14.71 0.1 0.3311 10.79 0.2334 0.2294 13.720.4593 0.1195 18.65 0.2 0.2 13.23 0.5243 0.1435 17.140.7122 0.09 19.87 0.6 0.0769 16.14 0.7136 0.1195 18.241.324 0.06 21.2 1 0.0476 17.01 1.143 0.09 19.69

Alluvioni Recenti Sintema di FighilleAlluvioni Terrazzate

2.3 Codici di calcolo impiegati I codici di calcolo impiegati nell’ambito del presente lavoro sono tra i più diffusi e affidabili nelle analisi

di risposta sismica locale. In particolare per le analisi monodimensionali è stato utilizzato PROSHAKE (software che lavora in ambiente Windows e che nella versione originale ideata da Schnabel et al., 1972, lavorava in ambiente DOS) mentre per le analisi bidimensionali QUAD4M (Hudson et al. 1993). Di seguito si riportano le principali caratteristiche dei due codici di calcolo impiegati nelle analisi numeriche.

Il codice PROSHAKE utilizza un modello: monodimensionale, continuo, lineare equivalente ed esegue l’analisi in termini di pressioni totali.

In generale i modelli monodimensionali si basano sulle seguenti ipotesi semplificative: terreno multistrato, in cui ogni strato è considerato al suo interno omogeneo e isotropo; substrato orizzontale deformabile; strati e substrato infinitamente estesi; direzione verticale di propagazione delle onde di taglio.

I modelli continui schematizzano il deposito come una colonna di terreno multistrato continua, dove ogni strato viene considerato al suo interno omogeneo, e caratterizzato da un legame costitutivo viscoelastico lineare alla Kelvin-Voigt espresso dalla relazione:

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 47

tG

∂γ∂

ηγτ ⋅+⋅= [2.3]

La [2.3] mostra che la resistenza a taglio τ è esprimibile come somma di una componente elastica, data dal prodotto tra la deformazione di taglio γ con il modulo di taglio G, e di una componente viscosa, proporzionale alla velocità di deformazione , e dovuta alla presenza di uno smorzatore viscoso, la cui viscosità η, è legata al rapporto di smorzamento D del terreno dalla relazione:

⋅γ

GD

2ηω

= [2.4]

dove ω rappresenta la frequenza circolare non smorzata ( mk /=ω con k costante elastica e m massa del sistema ideale).

I parametri che caratterizzano il generico strato i-esimo sono lo spessore hi , la densità ρi, il modulo di taglio Gi (o la velocità delle onde S, VSi) e il rapporto di smorzamento Di. Nota l’eccitazione sismica alla base o su bedrock affiorante (sotto forma di accelerogramma) la risposta sismica del terreno viene determinata risolvendo per ciascun strato le equazioni del moto, che sono della forma:

tzu

zu

Gtu

i

ii

i

ii

ii

∂∂∂

η∂∂

∂∂

ρ 2

3

2

2

2

2

⋅+⋅=⋅ [2.5]

La soluzione delle [2.5] viene ottenuta imponendo la congruenza tra gli spostamenti dello strato i-esimo con quelli dello strato sottostante i-1 e sovrastante i+1 ed applicando l’ipotesi di bedrock deformabile (moto alla base del deposito differente da quello su bedrock affiorante).

Le equazioni vengono risolte nel dominio delle frequenze utilizzando la trasformata di Fourier. Poiché quest’ultima è applicabile solo per sistemi lineari, per tenere in conto della non linearità del comportamento del terreno, il codice di calcolo effettua un’analisi lineare equivalente, che consiste in una sequenza di analisi lineari, nel corso delle quali i parametri di rigidezza e di smorzamento vengono aggiornati, con una procedura iterativa, e secondo il seguente criterio di convergenza:

- fissati i valori iniziali di tentativo di G e D, viene determinata, mediante analisi lineare, il valore dell'ampiezza della deformazione di taglio legata allo spostamento orizzontale u indotto dal sisma, mediante la relazione:

zu

∂∂γ = [2.6]

- mediante le curve G(γ)/G0 e D(γ), in corrispondenza di tale valore di γ vengono determinati i nuovi valori di G e D, l’analisi è ripetuta iterativamente fino a che lo scarto tra i valori di γ, G e D trovati alla fine dell’iterazione con quelli trovati all’iterazione precedente non diviene trascurabile.

Il codice PROSHAKE richiede come dati di input: il numero e spessore degli strati; il modulo di taglio iniziale G0 (o velocità delle onde di taglio VS) e il rapporto di smorzamento minimo D0 per ciascuno strato; la legge di variazione normalizzata del modulo di taglio e del rapporto di smorzamento con la deformazione di taglio; la profondità del bedrock e le sue proprietà elastiche (velocità delle onde S); l'accelerogramma di riferimento in formato appropriato.

Come output PROSHAKE fornisce i seguenti risultati: la storia temporale delle accelerazioni (velocità o spostamento), delle tensioni e delle deformazioni di taglio in ciascuno strato richiesto e al bedrock; lo spettro di Fourier e/o di risposta in termini di accelerazione o velocità in ciascuno strato e al bedrock; l’andamento con la profondità dei valori massimi dell’accelerazione (o spostamento o velocità), della tensione e della deformazione di taglio; la funzione di trasferimento del deposito.

I vantaggi del codice di calcolo sono: la semplicità concettuale del modello utilizzato; il modesto numero di dati in ingresso; la grande quantità di risultati in uscita; l’elevato numero di ricerche effettuate che ne hanno incrementato l’affidabilità e ben delineato il campo di validità.

I principali limiti di PROSHAKE risiedono invece: nel modello costitutivo di comportamento viscoelastico del terreno, che non è adeguato a studiare la risposta sismica locale nei casi in cui l’effetto della non linearità diventa predominante (terremoti di elevata magnitudo e/o terreni sciolti); infatti, poiché l’analisi viene condotta in termini di tensioni totali, non consente di controllare gli eventuali effetti dell'incremento della pressione interstiziale.

Il codice QUAD4M esegue un’analisi agli elementi finiti nel dominio del tempo e considera il bedrock a comportamento elastico lineare4. La sezione viene discretizzata in un numero finito di elementi, di forma

4 Nella versione originale, QUAD-4, il bedrock era assunto indeformabile (Idriss et al. 1973).

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 48

quadrangolare o triangolare, secondo uno schema di masse, molle e smorzatori viscosi concentrati nei nodi. Il calcolo della risposta sismica locale viene eseguito risolvendo le equazioni di moto scritte per ciascun nodo. Con notazione matriciale il codice risolve quindi la seguente equazione:

[ ]

=

⋅+

⋅+

⋅ )(][][

...tRuKuCuM [2.7]

dove [M] rappresenta la matrice delle masse concentrate nei nodi, [C] la matrice dei coefficienti di smorzamento, [K] la matrice delle rigidezze, {u} ed {R(t) } rispettivamente il vettore spostamenti ed il vettore rappresentante l’eccitazione sismica.

Il sistema [2.7] viene risolto da QUAD4M adottando la tecnica di integrazione passo-passo di Wilson e Clough (1962) che permette di determinare nel dominio del tempo la risposta la risposta del sistema all’istante t in funzione della risposta all’istante precedente t-∆t, dove la scelta del valore di ∆t è molto importante per la stabilità della risposta. La non linearità del comportamento del terreno viene considerata accoppiando alle equazioni di moto un modello lineare equivalente uguale a quello descritto per PROSHAKE.

Tra le fasi più importanti nella modellazione dei depositi vi è indubbiamente quella della definizione della maglia. Questa deve adattarsi alle caratteristiche geometriche, stratigrafiche e meccaniche del deposito, consentendo di ottenere una soluzione rapida e stabile. Una regola generalmente seguita per la discretizzazione in altezza degli strati è quella di considerare un certo numero di punti per descrivere la lunghezza d’onda della vibrazione che attraversa il mezzo con velocità VS. In altre parole, l’altezza degli elementi costituenti la maglia del modello, dovrà essere tale da consentire la trasmissione della massima frequenza significativa dell’input sismico:

maxfKV

Kh S

⋅=

λ=∆ [2.8]

dove ∆h è l’altezza massima che può avere l’elemento per trasferire superiormente la frequenza massima significativa fmax, e K è un coefficiente di stabilità che assume valori opportuni5.

Il rapporto tra larghezza ed altezza degli elementi costituenti la maglia, aspect ratio, viene in genere assunto pari a 5 in corrispondenza del contorno laterale delle sezioni e 10 altrove. A ciascun elemento costituente la maglia vengono poi assegnate la densità ρ, il modulo di taglio massimo G0, il rapporto di smorzamento iniziale, il coefficiente di Poisson ν, e le leggi di variazione del modulo di taglio normalizzato e del rapporto di smorzamento con la deformazione di taglio. L’accelerogramma di input viene applicato alla base del deposito in corrispondenza della frontiera tra substrato e terreno nei nodi prescelti.

Rispetto alla versione originale QUAD4M consente di utilizzare le unità di misura del sistema internazionale e di definire esternamente le leggi di decadimento e smorzamento. Prevede, infine, la possibilità di ottenere in uscita gli spettri di Fourier e di risposta elastici (in termini di spostamento, velocità e accelerazione).

2.4 Input sismico utilizzato nelle analisi numeriche Il moto sismico utilizzato nelle analisi numeriche per la valutazione della risposta sismica locale a Città

di Castello, condotte sia nell’ambito del presente studio che per il progetto di microzonazione sismica, è quello ottenuto dagli studi di pericolosità condotti da Zonno et al. (2002).

A partire dalla valutazione del potenziale sismogenetico di interesse per l’area è stata effettuata un’analisi finalizzata alla stima probabilistica del moto sismico di riferimento per Città di Castello.

La procedura utilizzata dagli autori ha previsto la valutazione degli spettri di risposta elastici (al 5% dello smorzamento critico) e di valori di accelerazione di picco PGA valutati in modo probabilistico, corrispondenti al 90% di probabilità di non eccedenza in 50 anni (periodo di ritorno 475 anni, come previsto dall’Eurocodice 8). Per il capoluogo, inoltre, il moto di riferimento è stato stimato anche con un approccio stocastico, utilizzando diverse sorgenti a partire da informazioni di carattere storico e geologico sulla sorgente del terremoto del 1789.

Gli studi condotti dagli autori, a partire da registrazioni disponibili del catalogo ENEL-ENEA, hanno permesso di determinare la pericolosità dell’area mediante un’analisi probabilistica seguendo l’approccio

5 Marcellini, 1986, propone per la costante K il valore di 5 dove è necessaria una discretizzazione più fine (ad esempio in prossimità della superficie e dei contorni laterali) e di 4 altrove. Lanzo e Silvestri, 1999, propongono per K valori compresi tra 6 ed 8.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 49

probabilistico di Cornell6. Il codice di calcolo utilizzato a tal fine è stato SEISRISCK III (Bender e Perkins, 1987). L’accelerogramma di riferimento è stato infine generato con il codice SIMQKE1 (Gasparini e Vanmarcke, 1976).

In tabella 2.3 sono riportati alcuni parametri caratteristici dell’accelerogramma sintetico ottenuto dallo studio di pericolosità condotto da Stucchi et al. (2002); in figura 2.7 è rappresentato l’accelerogramma sintetico ottenuto, in figura 2.8 il relativo spettro di risposta elastico (ξ = 5%) e nella figura 2.9 lo spettro di Fourier. Da quest’ultima figura si osserva che oltre un valore della frequenza pari a 10Hz le ampiezze dello spettro risultano modeste. Tale valore della frequenza è il valore massimo che si è deciso di trasmettere in superficie nella modellazione bidimensionale secondo le indicazioni sulle dimensioni della maglia sintetizzate dalla relazione [2.8].

Tabella 2.3 Parametri caratteristici dell’accelerogramma sintetico utilizzato nelle analisi numeriche condotte la valutazione della risposta sismica locale a Città di Castello.

Accelerazione massima, PGA [g] 0.2010 Periodo fondamentale [sec] 0.3225 Frequenza fondamentale [Hz] 3.1008 Durata di bracketed [sec] 17.0000 Durata di Trifunac [sec] 14.2400

-0.20

-0.15

-0.10

-0.05

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

tempo t [s]

Acc

eler

azio

ne [g

]

Figura 2.7 Accelerogramma sintetico ottenuto dall’analisi di pericolosità sismica condotta da Zonno et al. per Città di Castello.

6 Le quattro fasi fondamentali per l’analisi probabilistica sono secondo Cornel (1968): 1-la localizzazione delle sorgenti sismiche (individuate sulla base di fonti storiche e conoscenze sismotettoniche); 2-la definizione della sismicità per ciascuna sorgente (si definiscono le leggi di occorrenza, generalmente espresse in termini di magnitudo, ipotizzando un modello probabilistico per descrivere la occorrenza temporale; il più semplice, modello di Poisson, si basa sull’ipotesi che l’evento sia casuale e che quindi il tasso di occorrenza sia costante nel tempo e gli eventi stessi tra loro indipendenti, viene quindi adattata la legge di Gutenberg-Richter 1944 ai dati relativi all’area: log λm = a – b ⋅ M, dove λm è il tasso annuale di eccedenza ed M è la magnitudo); 3-la scelta della legge di attenuazione (viene determinata una legge empirica che descrive le variazioni del parametro caratteristico prescelto y del moto sismico, tipicamente la distanza ipocentrale o epicentrale D; molte leggi di attenuazione impiegate in letteratura seguono la forma funzionale proposta da Joyner Boore, 1979, ln y = a + b⋅M +c⋅D –ln D+d⋅S, dove S è un fattore di sito rappresentativo delle condizioni locali mentre a, b, c e d sono parametri di adattamento del modello ai dati sperimentali); 4-il calcolo della pericolosità del sito in esame (consiste nel determinare la probabilità di eccedenza del parametro caratteristico prescelto del moto sismico nel luogo di interesse in un intervallo di tempo prestabilito).

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 50

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0 0.5 1 1.5 2 2

periodo [s]

Pse

udo-

acce

lera

zion

e, P

SA

[g]

.5

Figura 2.8 Spettro di risposta elastico (ξ = 5%) dell’accelerogramma sintetico.

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0 5 10 15 20

frequenza [Hz]

Am

piez

za [g

. s]

Figura 2.9 Spettro di Fourier dell’accelerogramma sintetico di figura 2.7.

2.5 Verticali esaminate e modellazioni eseguite Le analisi numeriche condotte si sono concentrate nel Comune di Città di Castello e in particolare della

sezione A-B riportata in figura 2.1. Le analisi numeriche effettuate hanno avuto principalmente i seguenti obiettivi: valutare, in termini di parametri e funzioni caratteristiche delle analisi di risposta sismica locale RSL, l’influenza della geometria della maglia che definisce il modello bidimensionale; confrontare la RSL nell’area ottenuta a partire da codici di calcolo mono e bidimensionali; confrontare i risultati delle analisi numeriche con quelli ottenuti sperimentalmente con il metodo dei microtremori e trarne alcune considerazioni sulla bontà della caratterizzazione geotecnica effettuata.

Le analisi numeriche, relative alla sezione A-B di Città di Castello (figura 2.4), hanno previsto la realizzazione di 24 modelli per il codice di calcolo PROSHAKE, ovvero una per ciascuna verticale analizzata, e 5 modelli per il codice QUAD4M. Queste ultime, per gli obiettivi riferiti, hanno previsto la generazione della griglia con elementi sia inclinati che orizzontali, di seguito indicati con modelli tipo 1 e tipo 2 rispettivamente figura 2.4.

I modelli tipo 2 sono stati realizzati “pazientemente” in modo non automatico mentre, i modelli tipo 1, sono stati generati in maniera automatica utilizzando un programma compilato in Fortran che permette la generazione del file di input utilizzato da QUAD4M.

Le relazioni dimensionali tra gli elementi costituenti la griglia dei modelli bidimensionali utilizzati sono riportati in tabella 2.4. In essa, con ∆h e ∆L si è indicato rispettivamente l’altezza e la larghezza degli elementi costituenti la maglia, mentre K è il valore del coefficiente di stabilità, determinato a partire dalla relazione [2.8] ipotizzando come rappresentative frequenze minori a fmax = 10Hz (vedi figura 2.9).

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 51

Il simbolo “~” riportato in tabella ricorda che nei modelli di tipo 2 la dimensione è approssimativa. Infatti, nei modelli generati in modo non automatico, in accordo con le indicazioni di Marcellini (1986), i valori di ∆L sono stati ridotti in corrispondenza delle chiusure a lente delle alluvioni recenti con quelle terrazzate, delle chiusure laterali della valle nonché della struttura tettonica sepolta; i valori ∆h, invece, sono stati aumentati per gli strati più rigidi.

Per brevità in seguito i singoli modelli riportati in tabella 2.4 saranno denominati con i prodotti dimensionali che ne caratterizzano la maglia. Il file di input del modello 4x40 della sezione A-B è quello utilizzato nell’ambito del progetto di microzonazione sismica dell’alta Valtiberina umbra (Pergalani e Compagnoni, 2001; Pergalani et al. 2002a e 2002b).

Tabella 2.4 Principali caratteristiche dei modelli bidimensionali confrontati nelle analisi di risposta

sismica.

Tipo ∆h [m] x ∆L [m] K n. di nodi n. di elementi 1 3 x 30 > 7.3 4415 4387 1 4 x 40 > 5.5 2478 2458 1 4 x 80 > 5.5 1262 1281 2 ~ 5 x 50 > 4.4 986 938 2 ~ 5 x 100 > 4.4 596 552

2.6 Esiti delle analisi numeriche e confronti I confronti tra i risultati delle analisi numeriche e sperimentali di seguito riportati sono stati condotti sia

nel dominio del tempo che nel dominio delle frequenze. Il confronto nel dominio del tempo ha interessato i valori assunti dal picco di accelerazione PGA; mentre nel dominio delle frequenze sono stati confrontate le funzioni di amplificazione7, i valori di Fa e gli spettri di risposta elastici in superficie.

Al fine di limitare il confronto ai soli casi di maggiore interesse si ritiene utile riportare alcune considerazioni di carattere generale che scaturiscono dall’osservazione della figura 2.10. In essa sono messi a confronto i valori di Fa ottenuti con i diversi modelli bidimensionali (2D) e modimensionali (1D) in corrispondenza delle verticali analizzate che, per brevità vengono indicate come nodi. In generale la figura mostra chiaramente che la maggiore dispersione si ha qualora i valori di Fa siano determinati per periodi compresi tra 0.1 e 0.5s, come del resto era da aspettarsi in considerazione della maggiore variabilità degli spettri di risposta all’interno di tale intervallo e che le maggiori differenze si registrano in corrispondenza della struttura tettonica, delle chiusure laterali della valle e in corrispondenza delle chiusure a lente delle alluvioni recenti con quelle terrazzate.

Limitatamente ai casi esaminati, i confronti tra i valori di Fa ottenuti con i diversi modelli 2D impiegati hanno permesso di constatare che:

- a parità di K i modelli di tipo 1 risultano più instabili rispetto a quelli di tipo 2 qualora la dimensione degli elementi non sia appropriata a descrivere la geometria della sezione, figura 2.10 a) e b). Infatti, nonostante la discretizzazione dei modelli 4x80 e 4x40 sia più “fine”, i valori di Fa ottenuti con essi risultano tra loro più dispersi di quanto non lo siano quelli ottenuti con i modelli 5x100 e 5x50. Ciò è evidentemente imputabile alla discretizzazione automatizzata che, mantenendo costanti le dimensioni degli elementi, altera la geometria della sezione.

- i valori del rapporto ∆h/∆L più opportuni si sono rivelati essere pari a 5 o minori in corrispondenza della struttura tettonica sepolta e delle chiusure a lente delle alluvioni recenti con quelle terrazzate, 10 altrove, figura 2.10 b). In particolare, la figura permette di constatare che solo in corrispondenza dei “nodi” 4 e 23 del contorno laterale si sono registrate differenze sostanziali.

7 Si ricorda che la funzione di trasferimento è definita dalla relazione:

[ ])()()(

)(

)()(

)()()(

)( ωϕωϕωϕ

ωϕ

ωω

ωωω

ω BS

B

Sj

jB

jS

B

S eFeF

eFFF

F −⋅⋅

⋅=⋅

⋅==

dove FB(ω)ed FS(ω) sono le trasformata di Fourier del moto sismico rispettivamente al bedrock e in superficie. E che il modulo di tale funzione F(ω) è detto funzione di amplificazione.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 52

- sebbene con delle incongruenze in corrispondenza della faglia e dei bordi laterali della sezione, i valori di Fa determinati con i modelli 2D tendono a convergere qualora il coefficiente di stabilità sia maggiore di un valore opportuno, figura 2.10 c). Questo, tra l’altro, ad indice della bontà delle modellazioni eseguite nell’ambito della microzonazione sismica condotta.

- sebbene non particolarmente evidente tra i risultati dei modelli 2D riportati, si è registrata la tendenza a sovrastimare i valori di Fa qualora realizzati con discretizzazione più grossolana. Ciò, appare invece più evidente dal confronto tra i modelli 1D e 2D, figura 2.10 d).

Nodo 2

Nodo 23

Nodo 16

Nodo 17

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00

Fa-3x30

Fa-4

x40

.

Nodo 19

Nodo 18

Nodo 23

Nodo 17

Nodo 19Nodo 18

Nodo 4

Nodo 17

Nodo 16

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00

Fa-5x50

Fa-5

x100

.

Nodo 7

Nodo 24

Nodo 19

Nodo 10

Nodo 22

Nodo 9Nodo 8

Nodo 24

Nodo 18

Nodo 17

Nodo 16

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00

Fa-3x30

Fa-s

hake

Nodo 24

Nodo 17

Nodo 18

Nodo 21

Nodo 13

Nodo 24

Nodo 23

Nodo 2

Nodo 16

Nodo 17

Nodo 18

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00

Fa-4x40

Fa-4

x80

.

0.1 < T < 2.5

0.1 < T < 0.5

0.1 < T < 2.5

0.1 < T < 0.5

0.1 < T < 2.5

0.1 < T < 0.5

0.1 < T < 2.5

0.1 < T < 0.5

a) b)

c) d)

Figura 2.10 a), b) e c) Confronto tra i valori di Fa ottenuti a partire da diversi modelli bidimensionali; d) confronto tra i valori di Fa ottenuti impiegando modelli 1D con quelli ottenuti con un modello 2D.

Per quanto osservato sui modelli aventi aspect ratio maggiore di 10 di seguito il confronto è limitato ai

modelli bidimensionali 5x50, 4x40 e 3x30. Con l’obiettivo di avere una visione globale delle differenze riscontrate tra i valori di Fa e PGA ottenuti

tra modelli 1D e 2D in figura 2.11 sono riportati i valori assunti da tali parametri normalizzati rispetto ai relativi del modello modimensionale.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 53

La figura 2.11 evidenzia, come del resto era da aspettarsi, che i modelli 1D cadono in difetto nella stima dei parametri considerati prevalentemente in corrispondenza della struttura tettonica sepolta, in maniera più o meno diffusa in corrispondenza delle alluvioni recenti nonché delle chiusure laterali della valle. I valori di Fa per periodo compreso tra 0.1 e 2.5s risultano essere sovrastimati dal modello 1D nella maggioranza dei casi; mentre, le differenze determinate in molte verticali, sia nei valori di Fa per 0.1<T<0.5 che nei valori di PGA, tra modelli 1D e modelli 2D si discostano tra loro meno di quanto non faccia registrare il modello 5x50.

Nella figura 2.12 i valori del picco di accelerazione in superficie ottenuti con modelli 1D sono messi a confronto con i relativi valori ottenuti mediante il modello 3x30. I valori massimi di PGA, 0.4g, sono riconosciuti essere da entrambi i modelli in corrispondenza del margine occidentale della valle. Ciò è dovuto al fatto che in questa zona non è presente lo strato superficiale di depositi alluvionali, ma affiorano materiali ascrivibili al Sintema di Fighille che, avendo valori di rigidezza superiori rispetto ai depositi alluvionali, comporta valori del rapporto di impedenza minori e di conseguentemente valori di PGA superiori. In corrispondenza delle stesse verticali poi, il modello bidimensionale restituisce valori maggiori di PGA a causa dei ben noti fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche sui bordi delle valli alluvionali.

Dai confronti effettuati tra valori di Fa e PGA ottenuti mediante modelli 1D e 2D risulta chiaro che, qualora la griglia del FEM non sia congrua a rappresentare la sezione, le discrepanze maggiori in molte verticali si registrano tra i risultati di modelli bidimensionali, piuttosto che tra quelli di modelli 1D e 2D.

1.

1.

1.

1.

0.

0.

0.

0.

20

40

60

80

00

20

40

60

PGA(

2D)/P

GA(1D

)

0.1 <T<2.50.20

0.40

0.60

0.80

1.00

1.20

1.40

1.60

Fa(2D

)/Fa(1

D)

modello 3x30 modello 4x40 modello 5x50

0.1 <T<0.50.20

0.40

0.60

0.80

1.00

1.20

1.40

1.60

Fa(2D

)/Fa(1

D)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

1516

17

1920 21 22 23 24188 96

c)

b)

a)

Figura 2.11 a) rapporto dei valori di Fa dei modelli 1D e 2D per periodo 0.1<T<2.5; b) rapporto dei

valori di Fa dei modelli 1D e 2D per periodo 0.1<T<0.5; c) rapporto dei valori di PGA dei modelli 1D e 2D.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 54

0.050.100.150.200.250.300.350.400.45

90 150

240

360

480

570

630

810

960

1080

1200

1410

1590

1800

2010

2070

2130

2160

2250

2400

2610

2790

3000

3120

distanza dall'estremità occidentale della sezione analizzata, [m]

PG

A [g

]

Modello 3x30 Shake

Figura 2.12 Confronto tra i valori dell’accelerazioni di picco in superficie ottenute

mediante modelli monodimensionali ed il modello 3x30. In figura 2.13 sono rappresentate le funzioni di amplificazione determinate in corrispondenza di alcune

verticali ritenute significative per il modello 1D e per i modelli 2D. Il confronto, effettuato fino ad un valore di frequenza pari a 10 Hz, evidenzia che: 1) la prima frequenza di risonanza diminuisce all’aumentare della profondità del bedrock; 2) i massimi relativi ai diversi modelli risultano in buon accordo tra loro in corrispondenza della zona centrale della valle, dove non sono presenti irregolarità morfologiche e stratigrafiche, e sensibilmente diversi, soprattutto in termini di frequenza, in corrispondenza della faglia, dei bordi dello strato di alluvioni recenti e delle estremità della valle; 3) il modello 4x40 sottostima i rapporti spettrali in maniera crescente all’aumentare della frequenza sia in corrispondenza delle alluvioni recenti che dell’estremità orientale della valle.

L’ulteriore confronto tra i risultati ottenuti mediante modelli 1D e 2D ha interessato i gli spettri di risposta elastici in pseudo-accelerazione, al 5% dello smorzamento critico. In particolare, nelle seguenti figure 2.14 e 2.15, sono riportati i rapporti spettrali tra lo spettro in superficie e al bedrock in funzione del periodo e della distanza dall’estremo più occidentale della sezione analizzata.

Dalla figura 2.14, nella quale sono messi a confronto i rapporti spettrali ottenuti con i modelli 1D con quelli ottenuti con il modello 5x50, si osserva che quest’ultimo è in grado di carpire con maggiore accuratezza i valori assunti dai rapporti spettrali. Tale modello permette di riconosce chiaramente la deamplificazione in corrispondenza della struttura tettonica sepolta per una vasta gamma di periodi e consente, inoltre, di individuare i due massimi relativi dei rapporti spettrali in corrispondenza delle alluvioni recenti e della parte più orientale sulle alluvioni terrazzate.

Le differenze rilevate tra i valori assunti dai rapporti spettrali per i modelli 5x50 e 4x40 hanno mostrato un modesto miglioramento della definizione nel modello a più elementi, la deamplificazioni in corrispondenza della faglia è risultata più estesa in termini di periodo e i valori di picco maggiori. Le differenze tra rapporti spettrali valutati con i modelli 4x40 e 3x30 non hanno, invece, fatto registrare variazioni degne di nota dimostrando ancora una volta la stabilità della soluzione.

Quanto detto ed altre interessanti considerazioni scaturiscono dal confronto tra i rapporti spettrali desunti mediante analisi numerica con quelli trovati mediante sperimentazione diretta da De Franco et al. (2001, 2002). In particolare, il confronto è stato effettuato con i risultati sperimentali ottenuti prendendo come sito di riferimento BR1, in quanto individuato come bedrock sismico dagli autori, e considerando il campo di frequenze compreso tra 5 e 10Hz, poiché di maggiore interesse applicativo in relazione alle strutture presenti nell’area.

Nella figura 2.15 sono riportati i risultati delle analisi numeriche ottenute con il modello 3x30 e quelle ottenute sperimentalmente con il metodo dei microtremori. In quest’ultima rappresentazione è stata riportata la sezione A-B oggetto del confronto. Oltre a riconoscere chiaramente le deamplificazione e le due principali amplificazioni dei rapporti spettrali di cui si è detto, risultano incoraggianti le numerose analogie ottenute con i due metodi di analisi. Risultano confrontabili i valori dei rapporti spettrali, sia minimi che massimi, si riconosce la deamplificazione tra due massimi relativi in corrispondenza sia delle alluvioni recenti che delle alluvioni terrazzate in prossimità dell’estremo orientale della valle. Per quanto concerne le differenze tra i valori del campo di frequenze in corrispondenza dei quali sono stati registrati i fenomeni

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 55

amplificativi è da tenere presente che, considerata la modesta energia dei microtremori, durante l’applicazione del metodo sperimentale il terreno rimane in campo elastico e, conseguentemente i picchi di amplificazione vengono registrati a frequenze minori. Il confronto effettuato tra i due metodi di analisi ha permesso di constatare: 1) la coerenza tra i risultati ottenuti con i due strumenti di analisi; 2) sebbene i due metodi siano sostanzialmente diversi è possibile integrare i vantaggi dell’uno con i vantaggi dell’altro effettuando analisi di risposta sismica locale che contemplino sia gli effetti 3D che il comportamento non lineare dei terreni.

Infine, dai confronti numerici e sperimentali riportati scaturisce l’importanza di una corretta caratterizzazione geotecnica che, se adeguatamente condotta (avvalendosi di: risultati sperimentali di indagini in sito e di laboratorio opportunamente pianificati; esperienza e buonsenso) permette di ottenere i parametri statici e dinamici più corretti per la modellazione numerica.

1.

0.

V4 x = 360m zbed = 53m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

frequenza [Hz]

rappo

rto sp

ettral

eV2 x = 160m

zbed = 22m1

0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

frequenza [Hz]

rappo

rto sp

ettral

e

V8 x = 800m zbed = 118m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

frequenza [Hz]

rappo

rto sp

ettral

e

V10 x = 1080m zbed = 140m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

frequenza [Hz]

rappo

rto sp

ettral

e

modello 3x30 modello 4x40 modello 5x50 modello 1D

V13 x = 1600m zbed = 131m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

frequenza [Hz]

rappo

rto sp

ettral

e

V17 x = 2120m zbed = 134m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

frequenza [Hz]

rappo

rto sp

ettral

e

V21 x = 2600m zbed = 184m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

rappo

rto sp

ettral

e

V24 x = 3120m zbed = 40m

0.1

1.0

10.0

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0

rappo

rto sp

ettral

e

frequenza [Hz] frequenza [Hz]

Figura 2.13 Confronto tra le funzioni di amplificazione dei modelli

1D e 2D di alcune verticali rappresentative.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 56

PSA(2D) / PSA(input) MODELLO 1D

PSA(2D) / PSA(input) MODELLO 5 x 50

Figura 2.14 Confronto tra i valori dei rapporti spettrali risultanti dalle analisi numeriche con modelli 1D e con il modello 5x50 in corrispondenza della sezione A-B di Città di Castello.

Applicazione: Risposta Sismica Locale a Città di Castello 57

Figura 2.15 Confronto tra i valori dei rapporti spettrali ottenuti mediante analisi numeriche e quelli ottenuti sperimentalmente da De Franco et al. (2001, 2002).