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Anno XXVIII, 1° supplemento al n. 5 maggio 2012, Mensile, Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 – CN/PR – ISSN 0393-4209/ in caso di mancato recapito si restituisce al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa presso l’ufficio CPO. edizioni junior

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Anno XXVIII, 1° supplemento al n. 5 maggio 2012, Mensile, Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 – CN/PR – ISSN 0393-4209/ in caso di mancato recapito si restituisce al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa presso l’uffi cio CPO.

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servizi educativi di alta qualità. L’unico in-vestimento economico che garantisce un di-videndo sociale di alto rendimento, non solo sociale ma anche brutalmente economico, è il bambino.

Una città che riflette sul bambino, coglie nel segno: è una città che ha un progetto per il futuro, che crede nella possibilità di offrire condizioni di vivibilità, di ben-essere ai suoi cittadini, che riflette su se stessa.Milano ha una grande tradizione nel cam-po dell’educazione infantile. Le fondamenta poggiano sul grande pensiero che ha dato vita alla pedagogia dell’infanzia: Montessori, Froebel, le sorelle Agazzi… E c’è sempre sta-to un qualcosa in più, una ricerca di innova-zione, di stare al passo con i tempi. Con una grande regia, una grande forza propulsiva: il Comune di Milano è stato protagonista di percorsi, di sperimentazioni, di innovazioni che sono state poi riprese in tante altre città italiane.Il “nostro” futuro è una dichiarazione di im-pegno che la città si assume.

Tutto questo si gioca all’interno di un altro elemento suggestivo ed evocativo: Maggio 12, a cui seguirà Maggio 13 e così via. Il ri-chiamo a una stagione di ripresa vitale, in cui la natura, la vita sono ricche di germogli, nel pieno della ripresa e dello sviluppo. Un richiamo a un momento di materialità vitale ben augurante per il rifiorire della speranza e dell’impegno.

Ferruccio Cremaschi,direttore di “Bambini”

La scelta delle parole atte a denominare un evento sono la prima traccia per leggere le intenzioni, le prospettive, la via che viene proposta.“Bambini di oggi costruttori del nostro futu-ro” è un programma, un manifesto che pun-ta subito al nodo delle questioni aperte in questo momento non solo in Italia. È un’af-fermazione di ancoraggio alla concretezza del momento, alla realtà. Non intendiamo divagare né spaziare nell’empireo: siamo qui a occuparci dei nostri bambini, quelli che percorrono le strade della nostra città, che frequentano i servizi educativi, che giocano nei parchi, che respirano l’aria e i gas di sca-rico. È la nostra vita di tutti i giorni, con gli affanni e i problemi che vivere questi anni di crisi, di caduta di ideali, di “fatica” vera comporta a ogni livello. Ma non parliamo di noi, parliamo dei bam-bini. Il nostro sguardo si alza e spazia al di là del quotidiano.

Il futuro è l’altro grande ancoraggio. Pensare ai bambini, investire sui bambini è costrui-re il futuro: non un futuro generico, ma il “nostro” futuro. E, anche in questo caso, non in maniera retorica e fatua, ma con grande concretezza. James Heckman, premio Nobel 2000 per l’economia, ha lanciato un messag-gio forte su cui ormai tutto il mondo della ricerca economica concorda: per stare bene noi, per avere una società equilibrata e ricca di prospettive, dobbiamo investire sui bam-bini. Il destino della società umana è legato alla quantità di denaro che mettiamo sul piatto per dare a ogni bambino la possibi-lità di accedere fin dai primi mesi di vita a

Direttore responsabileFerruccio Cremaschi

Redazione di BambiniLuisa Carminati, Giovanna Carugo

Grafica e redazione diquesto numeroArianna Bertone

CopertinaGlifo Associati

Coordinamento editorialeMaurizia Pagano, Maria Grazia Buratti

Spaggiari edizioni s.r.l.Via F. Bernini 22/A, 43126 Parma

Sede redazioneVia Campagnola 40, 24126 Bergamotel. 0521 949091e-mail: [email protected]://www.edizionijunior.com/riviste

Stampa Spaggiari® S.p.A., ParmaFinito di stampare nel mese di maggio 2012

Maggio 12 è un percorso di riflessione e con-fronto promosso dall’Assessorato all’Educa-zione e all’Istruzione del Comune di Milano.Concept e progetto grafico Glifo Associati.

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14Il tempoSusanna Mantovani

18Media e infanziaPier Cesare Rivoltella

20Bambini e famiglie venuti da altroveIda Finzi

24Bambini con disabilità, bambini in difficoltà.Qualità dell’azione educativaAttilio Silipo

27Non è un Paese per bambiniGianni Manfredini

Ie Radici

SOMM

6Bambini di oggi costruttori del nostro futuroMaria Grazia Guida

9Maggio 2012: bambini-Milano... asterischi sul progettoFederico Bordogna

11Milano per i suoi bambini.Una breve panoramica dei servizi educativi per l’infanziaPaolo Alfonso Carli

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28La cura e la relazione al nidoPia Iacoviello

31Il valore del tempo e della relazione in educazioneMaurizia Pagano

34Una proposta al nido.I materiali: le cose che fanno la differenza!Maurizia Pagano

38La scuola come bene di tuttiElena Salatti, Elisa Palazzolo, Antonella Cattaneo

42Corresponsabilità educativaCristina Bozzi, Rosa Rusconi

45Educazione e inclusione:opportunità per una riflessioneSabrina Feltrin

47L’importanza del gruppo di lavoroConcetta Simonetti Di Nisio

50Noi, i nonni e la loro memoriaCristina Beretta, Monica Francesca Mangiapane,Arianna Amadio

52Danziamo dunque siamoNevina Denegri

57Il “tempo per le famiglie”Laura Bagarella, Fulvia Monfradini, Chiari Marilena

62Comunità educante: una esperienza a MilanoJolanda Maggiolini

64Una sezione primavera nel cuore di MilanoGemma Barboni

70Coccole letterarieAntonella Motta, Maria Pia Boccardi, Dora Andreoli,Paola Quattrocchi, Manuela Bragagia, Roberta Giorni

72Arte... occhiali per migliorare il mondoAnalia Setton

76In fattoria tra realtà e fantasiaAnnarita Casile

78Educazione alimentare: il progetto “Più frutta, più verdura!”Marco Valdemi

Declinazioni eIntrecci

Bambini Famiglie Città

ARIOSabato 12.05 e Sabat 12 05

tro il 4 maggio 2012 d esaurimento posti

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Convegno Nazionale

11 – 12.05Piccolo Teatro Strehler, Largo Greppi – Milano

Dal 10 al 20.05.2012dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30Mostre fotografichecittadineBambini di oggi costruttori del nostro futuroChiostro del Piccolo Teatro GrassiVia Rovello 2 – Milano Conoscere la città, esplorare e scoprire le cose: il tempo e la naturaScuola BaconeVia Matteucci 5 – Milano

Venerdì 11.05 alle 20.30Spettacolo dellaScuola di Ballo dell’Accademia di DanzaTeatro alla ScalaPiccolo Teatro StrehlerLargo Greppi – Milano biglietti da 10 a 25 euro

Venerdì 11.05 e Sabato 12.05I guardatori di stelleInstallazione con sculture, figure e immagini a cura di Antonio CatalanoPiccolo Teatro StrehlerLargo Greppi – Milano

Sabato 12.05 e Domenica 13.05dalle 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18La giostra delle meraviglie e Tuttestoriecon Antonio Catalano. Spettacolo onirico dove bambini e genitori saranno guidati nella scoperta della magia del teatroChiostro del Piccolo Teatro GrassiVia Rovello 2 – Milano

Sabato 12.05 e Domenica 13.05dalle 10 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17Sforzinda: laboratori e percorsi perbambini e famiglieCastello Sforzesco I laboratori e i percorsi sono su prenotazione al n. 02 88463792

I bambini ci guardano e ci riguardano: la corresponsabilità educativa Scuola-FamigliaScuola XXII MarzoC.so XXII Marzo 59 – MilanoIl piacere di scoprire, crescere, apprendere, tra cura e relazioneScuola SanzioVia R. Sanzio 11 – Milano

MAGGIO 12 PER LA CITTÀ!

con il contributo di

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SABATO 12.05.2012Registrazione dei partecipantiIntervento musicale“Ensemble sulla strada della Musica” Conservatorio Giuseppe Verdi – MilanoApertura dei lavoriSusanna Mantovani, Pierfrancesco MajorinoIntervento del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’AdolescenzaVincenzo Spadafora Presentazione a 4 voci dei lavori dei sottogruppicoordina: Susanna MantovaniINTERVALLO

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dialogo: La sfida educativaDaria Bignardi intervista: Maria Grazia Guida, Vicesindaco con delegaall’Educazione e Istruzione, Comune di Milano Graziano Delrio, Presidente ANCI, Sindaco, Comune di Reggio EmiliaMaria Grazia Pellerino, Assessore alle Politiche Educative, Comune di TorinoAnna Maria Palmieri, Assessore alla Scuola e all’Istruzione, Comune di NapoliMarilena Pillati, Assessore all’Educazione, Comune di Bolognasono stati invitati:Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione e della RicercaElsa Maria Fornero, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari OpportunitàIntervento musicale“Ensemble sulla strada della Musica” Conservatorio Giuseppe Verdi – Milano

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Sabato 12.05 e Sabat 12 05

tro il 4 maggio 2012 d esaurimento posti

LABORATORI DI APPROFONDIMENTOGruppo 1 – Ecologia dello sviluppo e dei processi educativicoordinano: Fulvio Scaparro, Gian Vincenzo Zuccottisede: Società Umanitaria, Salone degli Affreschi Via Daverio 7 – MilanoGruppo 2 – La città e i suoi tempi: una scommessa educativacoordinano: Don Virginio Colmegna, Susanna Mantovanisede: Assonidi C.so Porta Venezia 47/49 – MilanoGruppo 3 – La famiglia e la scuola nel “villaggio globale”: nuove sfide e nuove responsabilitàcoordinano: Milena Santerini, Pier Cesare Rivoltella, Ida Finzisede: Università Cattolica, Aula MagnaL.go Gemelli 1 – MilanoGruppo 4 – Bambini con disabilità: diritti e inclusionecoordinano: Emanuela Maggioni, Attilio Silipo, Franco Bomprezzisede: Palazzo Reale, Sala Conferenze P.za Duomo 14 – Milano

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VENERDÌ 11.05.2012Registrazione dei partecipantiZero – Sei: bambini a MilanoMaria Grazia Guida Bambini – famiglia – società – scuola: quattro protagonisti dell’educazione Fulvio Scaparro Bambini al centro: strategie dell’educazioneFederico Bordogna Intercultura ed educazione: la sfida di oggiMilena Santerini INTERVALLO“Una lezione di classe”Gigi GherziLa città e i suoi tempi: una sfida educativa Chiara Bisconti La voce del territorio Daniela Benelli “Elaboratorio” per le sessioni pomeridianePaolo CarliSaluto del Sindaco di MilanoGiuliano Pisapia

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ISCRIZIONE AL CONVEGNOPer partecipare al Convegno è necessario collegarsi al sito www.comune.milano.it, entrare nella sezione dedicata

ed effettuare l’iscrizione entro il 4 maggio 2012 fino ad esaurimento posti

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Bambini di oggicostruttori del nostro futuro

Maria Grazia Guida

Vicesindaco di Milano, Assessore all’Educazione e Istruzione

Apro con immenso piacere questo “in-serto” dedicato ai servizi all’infanzia del Comune di Milano, servizi che, con la no-mina a vice sindaco con delega all’Educa-zione e all’Istruzione, mi hanno da subito vista coinvolta non solo dal punto di vista operativo, ma anche da quello emotivo.Per la nuova amministrazione comuna-le l’investimento sui servizi educativi per la prima infanzia ha da subito costituito una priorità strategica. Nel documento di presentazione delle linee politiche di governo della città si dichiara: “[...] è necessario intervenire con un cambiamento radicale di punto di vista rispetto a quanto è stato fatto negli ultimi anni nell’ambito dei Servizi per i bambini da 0 a 6 anni. Non possia-mo dimenticare che Milano è stata all’a-vanguardia nella proposta di un sistema articolato di servizi educativi all’Infan-zia di eccellenza. [...] Pensiamo al pre-sente e al futuro, consolidando tipologie esistenti e proponendo nuove tipologie di servizi, che rispondano ai bisogni at-tuali delle famiglie, con la piena consa-pevolezza che tutti i servizi educativi per l’infanzia sono luoghi di educazione e di competenza, luoghi dove ciascun bam-bino, nelle sue diversità, deve vedere soddisfatto il suo diritto all’educazione, allo sviluppo delle relazioni con i suoi pari e con gli adulti, allo sviluppo delle sue potenzialità”.

Dieci temi portanti hanno caratterizzato il lavoro di questi primi mesi.1. I bambini come bene di tutti e

responsabilità di tutti (all our children). Questo potrebbe essere il punto di partenza più convin-cente per avviare nuovi percorsi di dialogo, di partecipazione e di inclusione. Alcuni temi possono co-stituire accessi prioritari: le regole del vivere insieme, autonomia e in-terdipendenza, la lingua, le lingue, i nuovi linguaggi e, in particolare, le tecnologie.

2. La continuità Zerosei. Si tratta di recuperare il tema della continuità dei servizi educativi per l’infanzia nella loro accezione più squisita-mente educativa.

3. La dimensione pubblica e privata dei servizi per l’infanzia. Il tema è legato alla necessità di immaginare nuove forme organizzative, nuovi modelli di formazione, reti e parte-nariato con nuovi soggetti.

4. Il tema dell’ascolto e del coinvolgi-mento. Gli attori che entrano in gio-co nella quotidianità dei servizi per i bambini e le loro famiglie chiedono di essere ascoltati e coinvolti nelle scelte e nell’assunzione di responsa-bilità, consapevoli del fatto che i ser-vizi per l’infanzia sono beni di tutti.

5. Il bambino e la città che lo cir-

Per questo sono previste, tra gli stru-menti e le azioni, “la sperimentazione di nuovi modelli e tipologie di servizio con tempi di presenza parziali e con orari flessibili, rispondenti alle trasfor-mazioni del mondo del lavoro e ai biso-gni relativi”.La ricerca di soluzioni nuove e rispon-denti alle odierne esigenze, la necessità di aggiornare gli aspetti metodologici-educativi, di arricchire l’offerta forma-tiva dei servizi, di creare sul territorio nuove opportunità educative, ludiche e di socialità, di dare risposte anche tem-poranee a bisogni urgenti, richiede la messa in campo di una molteplicità di interventi e iniziative.È da tempo che gli operatori e le fami-glie dei bambini aspettavano di poter aprire un dialogo, un confronto, un dibattito culturale compartecipato e fi-nalizzato a ridisegnare il modello peda-gogico in una città oggi profondamente cambiata e ormai globalizzata.Questa amministrazione ha ascoltato e ha investito su questo segnale e già nei primi mesi di lavoro si è avviata una ri-flessione con il supporto di alcuni tra i maggiori esperti del mondo dell’educa-zione per dare vita a una nuova propo-sta, un nuovo “manifesto pedagogico” per la città, con il compito di riformare i servizi per l’infanzia tenendo conto dei nuovi bisogni delle famiglie milanesi.

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conda. Guardare la città dal punto di vista del bambino può aiutare a vedere quello che non funziona. Il bambino – si è detto – è un “ buon investimento” e le città che più han-no investito su bambini hanno recu-perato abbondantemente in qualità della vita per tutti i cittadini.

6. Il bambino con disabilità. Stret-tamente connesso al tema dell’or-ganizzazione della città è quello dell’inclusione delle disabilità. Il tema pone l’esigenza di una “visio-ne” unitaria che contenga il tutto. La “disabilità” è una parte del tutto. La città deve tenerne conto. Nell’orga-nizzare gli spazi gioco, per esempio, gli stessi giochi devono poter essere usati da tutti i bambini. L’immagine suggestiva di una città filmata dal punto di vista di un bambino con disabilità potrebbe essere un forte momento di coinvolgimento e di ri-flessione, insieme con un possibile “focus” di approfondimento con gli stessi bambini.

7. I tempi dei bambini e quelli della città. Il tempo rappresenta una va-riabile fondamentale nell’organizza-zione dei servizi per l’infanzia all’in-terno dei nuovi e mutati contesti cittadini. La risposta tradizionale di un “tempo educativo” standard rap-presentato dagli orari consolidati dei servizi non può essere l’unica ri-sposta per una città che si “muove”, che svolge “nuovi lavori”, che ricer-ca “nuovi modelli” di risposta. Si de-vono immaginare, condividere e re-alizzare, insieme con la città, nuove scelte organizzative per i servizi, che tengano conto dei nuovi bisogni e delle nuove esigenze. L’appuntamen-to con il futuro è già fissato: la città cambia in continuazione, le famiglie presentano esigenze diverse e tempi diversificati, i bambini vivono con-testi differenti e nuovi. I servizi per l’infanzia devono saper interpretare il nuovo superando, se necessario, anche i modelli e le pratiche speri-mentate ed evitando di rimpiangere con nostalgia il passato idealizzato dei servizi educativi.

8. La famiglia protagonista. È il tema della partecipazione e della ricerca di nuove forme di esperienza co-mune, nuove regole condivise per un impegno rinnovato nella corre-sponsabilità educativa (nella cura dei luoghi, nella definizione degli obiettivi educativi, nell’apertura verso gli altri...).

9. Bambini comunque. I bambini non sono in attesa di permesso di sog-giorno, non sono stranieri che non parlano l’italiano... I bambini sono bambini comunque e il tema da af-frontare è quello della difficile sfida dell’inclusione e della partecipazio-ne attiva ai servizi dei genitori immi-grati e dei loro bambini. Per questo è necessaria una cultura rinnovata, antropologica e pedagogica, nei servizi e una formazione specifica e non emergenziale degli educatori.

10. La professionalità educativa e la formazione. La questione priorita-ria è posta dalla necessità di pensare a nuovi modelli di formazione che utilizzino le potenzialità di socializ-zazione, condivisione e documenta-zione rese disponibili dalle tecnolo-gie, con particolare riferimento alla “medialità” possibile attraverso l’uso della rete.

Si tratta di partire dai bambini, quindi, come cittadini che interpellano la città nella sua complessità, la sollecitano a rinnovarsi e a sperimentare partendo proprio da loro, dalle loro esigenze. Iniziando da questa centralità si può arrivare a parlare di trasporti, di spazi gioco, di parchi, di aria che si respira, di habitat ecc. Il tema della cittadinan-za partendo dai bambini è certamente una questione rilevante per sottrarsi a un’impostazione anche culturale che

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privatizzi e che sviluppi una concezione proprietaria dei bambini che non favori-sce di certo una cultura di socialità e di condivisione.I servizi educativi per l’infanzia del Co-mune di Milano rappresentano una tra-dizione storica, un patrimonio indispen-sabile per la nostra città.

Le scuole dell’infanzia comunali a Mila-no oggi costituiscono circa l’88% del ser-vizio pubblico (174 strutture comunali e 22 statali).Considerando l’utenza accolta, coprono il 66,3% del totale a fronte del 5,6% delle scuole statali e il 28,1% delle private.Allo stesso modo, gli asili nido comunali (a gestione diretta, accreditati o in con-venzione) con ben 10.200 posti coprono oltre il 50% del totale dei bambini 0-3 anni residenti, garantendo a Milano di superare abbondantemente i parametri dettati dal Trattato di Lisbona.La spesa sostenuta dall’amministrazio-ne comunale per la gestione di questi servizi si attesta intorno ai 150.000.000 euro annuali a fronte di entrate per fi-nanziamenti statali e regionali pari a 16.900.000 euro e 17.500.000 per rette.Vengono garantite inoltre le risorse fi-nanziarie per la presenza degli educato-ri di sostegno ai bambini disabili nelle scuole dell’infanzia e nei nidi, con un impegno finanziario diretto di 7.100.000 euro, che corrispondono alla presenza di 285 educatori per circa 450 bambini La realizzazione di questo sistema com-porta l’impiego di risorse, sia di natura economica che di natura professiona-le ma, come ogni stanziamento e ogni sforzo che rivolgiamo al miglioramento delle attività educative per l’infanzia, costituisce un investimento. Investire nell’educazione non è infatti una mera spesa, perché il capitale che si genera – seppur invisibile nell’immediato – è un concreto apporto al domani della città. Occorre peraltro considerare che ogni intervento a favore dell’educazione è nella maggior parte dei casi anche un’azione doverosa, necessaria per per-mettere sin d’ora a ciascun bambino e alla sua famiglia l’esercizio effettivo dei diritti.

L’esercizio dei diritti, ancorché si tratti di quelli ritenuti fondamentali dalla no-stra Carta Costituzionale, è invero e pur-troppo talora difficile: si pensi al diritto del bambino disabile di partecipare a ef-fettive esperienze di inclusione, di met-tere a frutto le potenzialità che possiede. Si pensi anche a quanti, in situazioni di svantaggio culturale, di disagio socio-economico, soffrono l’emarginazione o a quanti, perché provenienti da altre culture, trovano ostacoli nel rapporto con la città, con le sue istituzioni o, più semplicemente, con i coetanei.Da non trascurare l’aspetto dell’inter-cultura con l’ascolto delle diversità che arricchiscono, soprattutto a fronte di una presenza di bambini di diverse na-zionalità, di bambini nati in Italia con genitori provenienti da altri Paesi. A Mi-lano gli alunni stranieri iscritti alle scuo-le del primo ciclo di istruzione nell’anno scolastico 2011/2012 sono: nella scuola dell’infanzia 6.298, nella scuola prima-ria 11.096 e in quella secondaria di pri-mo grado 6.970, per un totale di 24.364 bambini, il 19,7% del totale della popo-lazione scolastica. La presenza di tanti bambini non di ori-gine italiana esalta questa prospettiva di uguaglianza, spingendo verso un’offerta plurale, differenziata, ricca.Anche questa complessità, che è rilevan-te sul piano quantitativo, va accolta co-me sfida positiva che si apre a una città dove la diversità diventa una risorsa e una ricchezza, dove aumenta la capaci-tà di dialogo e, se volete, di sognare un mondo più giusto e pacifico.Storicamente la nostra città, realizzan-do questa importante e significativa rete di servizi educativi e scolastici, svolge anche una funzione sostitutiva e sussi-diaria di analoghi servizi statali, spesso inesistenti o assolutamente insufficienti a rispondere alla domanda. Tale rete è indispensabile per dare risposte concre-te ai bisogni dei bambini e delle bambi-ne e delle loro famiglie.Oggi tutte queste attività sono letteral-mente a rischio di chiusura! Ci troviamo infatti nella condizione di non essere più in grado di gestire questi importanti servizi a causa delle diverse normative

emanate dal governo centrale che ren-dono incerte le risorse finanziarie – e soprattutto umane – indispensabili per garantire l’esistenza e la qualità di nidi e scuole dell’infanzia.Il quadro normativo di riferimento in materia di personale per gli enti locali pone gravi limiti alla possibilità di man-tenere non solo gli standard di qualità dei servizi erogati ai cittadini, ma addi-rittura crea il rischio, in alcuni casi, del-la paralisi stessa delle attività.Si deve pertanto avviare una riflessione comune che consenta di intraprendere una strada diversa da quella del taglio dei servizi. Dobbiamo trovare modalità e risorse che rendano certo il futuro del-le nostre città, soprattutto nella risposta alle esigenze delle bambine, dei bam-bini e delle famiglie e, in particolare, a quelle delle donne che nelle nostre città sono in gran parte lavoratrici. Risposte che consentano anche di adeguare il no-stro paese alle indicazioni del Trattato di Lisbona.Diversamente, l’inevitabile riduzione o chiusura dei servizi educativi e scola-stici garantiti dagli enti locali non potrà che gravare ulteriormente sul bilancio dello Stato, peggiorando la qualità della vita di tutti.Si tratta di situazioni che meritano la massima attenzione: per questo l’ammi-nistrazione ha proposto ai cittadini, agli educatori e a quanti sono impegnati in funzioni educative per l’infanzia di par-tecipare ai lavori di ripensamento e ri-progettazione dei Servizi all’Infanzia del Comune di Milano. “Flessibilità, innovazione, efficienza, trasparenza, partecipazione, correspon-sabilità” sono alcune delle le parole chiave del progetto Maggio 12, a cui si sta lavorando e che, nei successivi arti-coli, troverà ampia descrizione.Le pagine seguenti, infatti, presentano Milano, i suoi servizi educativi, le rifles-sioni degli operatori, l’agito quotidiano con i bambini e anche le speranze e i sogni che con loro condivido e attraver-so i quali sostenere la città, facendo in modo che i bambini sempre più vi trovi-no spazi, risorse e ritmi adeguati ai loro bisogni.

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La rete degli asili nido e delle scuole dell’infanzia del Comune di Milano co-stituisce un patrimonio indiscutibile di tradizione culturale che non può e non deve essere disperso, e di cui la città può andare orgogliosa. La scelta dell’amministrazione di man-tenere – sia pure fra vincoli normativi e di bilancio sempre più forti – la re-sponsabilità e la gestione diretta delle scuole dell’infanzia (a differenza della quasi totalità delle città in cui il servizio è gestito dallo Stato), si fonda proprio sulla storia e sulla tradizione di questa città, che ha sempre voluto essere vicina ai bisogni espressi dai propri cittadini fornendo risposte adeguate e qualitati-vamente apprezzabili.In questa prospettiva, la richiesta delle famiglie è quella di poter avere un servi-zio di qualità per i loro piccoli, un servi-zio che non sia solo un posto sicuro dove lasciare il bambino per il tempo occupa-to dal lavoro ma anche un luogo per l’e-ducazione dei propri figli, dove trovare occasioni per crescere serenamente, per sviluppare creatività e intelligenza, per socializzare e per imparare a conoscere il mondo degli adulti.La nuova amministrazione del Comune di Milano si pone come obiettivo prio-ritario quello di rilanciare e sostenere questo patrimonio di esperienze e di professionalità, nella convinzione che assumere la prospettiva dei bambini

come punto di vista da cui guardare la città possa essere – in ultima analisi – un investimento di sicuro vantaggio per tutti. Nasce così Maggio 12, un progetto per il rilancio, la promozione e lo sviluppo del confronto e del dibattito culturale fra tutti gli attori che interagiscono all’in-terno del “gesto educativo” che si rea-lizza nei servizi per l’infanzia milanesi: dalle educatrici, alle famiglie, agli esper-ti, ai professionisti fino a tutti i cittadini interessati.L’orientamento che si è assunto è sta-to quello di dare vita a un’occasione di confronto aperto fra tutti i professionisti dell’educazione, un percorso di rivisita-zione dei “fondamentali” del modello pedagogico milanese: dalla centralità del bambino, al progetto zerosei, al pro-tagonismo delle famiglie, fino alle mo-dificazioni delle esigenze e dei contesti socio economici.Da questo percorso potrà nascere un “manifesto pedagogico” per Milano che potrà anche diventare il punto di riferi-mento per nuove linee guida per i servizi educativi del Comune di Milano a par-tire dalle mutate condizioni di vita dei cittadini.Ma Maggio 12 vuole essere anche un’oc-casione di incontro con la città, che viene sollecitata a confrontarsi con la prospettiva dei bambini e ad assumere il loro punto di vista per poter ripensare

all’organizzazione del tempo, degli spazi e della vita di tutti i giorni.Una città capace di tener conto dei pro-pri bambini è sicuramente una città migliore e una città che investe sull’in-fanzia e sui suoi operatori, coinvolgendo famiglie e società civile, è una città che investe sul proprio futuro.L’esigenza di aggiornare il modello pe-dagogico a cui devono far riferimento i nostri servizi per l’infanzia nasce infatti dalle mutate condizioni di lavoro dei ge-nitori, in particolare delle mamme lavo-ratrici, a cui viene richiesta grande fles-sibilità e presenza per conciliare i tempi di lavoro e della vita familiare. Inoltre è sempre più alta in città la presenza di minori con genitori provenienti da altri Paesi, che a seconda delle zone varia dal 20% a oltre il 50% dei residenti.Le famiglie milanesi, che prima e più di altre hanno dovuto fare i conti con impegni professionali che vedono un maggiore coinvolgimento delle donne, e dunque col tema della “conciliazione” tra lavoro e famiglia, hanno sempre po-tuto contare su di un servizio che è ben altro e di più rispetto a un “parcheggio” dei propri bambini: il nido e la scuola dell’infanzia sono i primi luoghi di edu-cazione extra-familiare.La rete comunale degli asili nido e del-le scuole per l’infanzia ha potuto creare anche le condizioni ottimali per proget-ti di “continuità educativa” fra i diversi

Maggio 12: bambini-Milano...asterischi sul progetto

Federico Bordogna

Vice Direttore Generale Area Servizi al Cittadino, Comune di Milano

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servizi educativi, a tutto vantaggio dei bambini e delle famiglie che hanno po-tuto vivere un percorso di crescita armo-nico e integrato. Nelle scuole dell’infanzia, ben prima di oggi, si è misurata l’integrazione tra strati sociali diversi, tra bimbi e famiglie di provenienza differente in una città che è sempre stata meta di ogni tipo di immigrazione. In questo contesto, ha avuto inizio l’av-ventura del progetto che – a partire dall’ottobre 2011 – ha condotto una serie di appuntamenti realizzati presso le nove zone del decentramento cittadino con la partecipazione di oltre 1.500 persone. Il personale dei servizi per l’infanzia è stato chiamato a un intenso lavoro di riflessione per ridefinire la “visione” del progetto pedagogico, dibattendo all’interno dei propri collegi, allargando il confronto anche agli operatori delle strutture private convenzionate o ac-creditate nonché ai rappresentanti delle famiglie.Negli incontri appena citati gli operatori hanno sviluppato un intenso lavoro di riflessione e di confronto: è stata pro-dotta una grande quantità di materiale, di documenti e di idee che rappresenta-no la garanzia più efficace del successo dell’iniziativa.Il progetto è sostenuto anche dalla col-laborazione di un gruppo di esperti, fra cui docenti universitari, professionisti dell’educazione e operatori sociali, che hanno partecipato concretamente alla costruzione del percorso, promuovendo il dibattito e ponendo all’attenzione dei gruppi di lavoro contributi e suggestioni sempre più nuove e stimolanti.L’impegno concreto è stato finalizzato all’elaborazione di indirizzi e orienta-menti innovativi per una ridefinizio-ne delle linee pedagogiche dei servizi all’infanzia del Comune di Milano e per una rimodulazione dell’attuale struttura dell’offerta educativa per una risposta più adeguata alle mutate condizioni di vita dei cittadini.Un prima tappa significativa di questo percorso è data dal prossimo convegno nazionale che si terrà a Milano, intitola-to I bambini costruttori del nostro futuro.

L’evento, programmato per le giornate dell’11 e del 12 maggio 2012, è un mo-mento di confronto aperto con la città sui temi che sono stati le parole-chiave del “manifesto pedagogico” che si sta costruendo.• I bambini come bene di tutti, per av-

viare nuovi percorsi di dialogo, di par-tecipazione e di inclusione.

• La dimensione pubblica e privata dei servizi per l’infanzia, per immaginare nuove forme organizzative, nuovi mo-delli di formazione, reti e partenariato con nuovi soggetti.

• La famiglia protagonista, per ricerca-re nuove forme di esperienza comune per un impegno rinnovato nella corre-sponsabilità educativa (nella cura dei luoghi, nella definizione degli obiet-tivi educativi, nell’apertura verso gli altri).

• Il bambino con disabilità, per assu-mere una “visione unitaria” che con-tenga “il tutto”, nella convinzione che la “disabilità” è appunto una parte del tutto. La città deve tenerne conto.

• Bambini comunque, per affrontare la sfida dell’inclusione e della parte-cipazione attiva ai servizi dei genitori immigrati, certi del fatto che i bambini non sono piccoli in attesa di permesso di soggiorno o stranieri che non parlano ancora l’italiano: sono bambini e basta.

• La professionalità educativa e la for-mazione, per pensare a nuovi model-li di formazione che utilizzino sia il confronto diretto con i formatori che le potenzialità di condivisione e do-cumentazione rese disponibili anche dalle nuove tecnologie.

I servizi all’infanzia – sia quelli che so-no erogati direttamente dal Comune, sia quelli la cui erogazione avviene per il tramite di terzi – sono stati ricono-sciuti idonei e qualificati per rispondere all’esigenza di base delle famiglie: esse chiedono di non essere lasciate sole nel-lo svolgimento del compito, sempre più complesso, di provvedere all’educazione dei figli.Il ruolo genitoriale è stato preso in con-siderazione da diversi punti di vista, ri-conoscendo sia la peculiarità dell’educa-zione parentale, sia la corresponsabilità educativa che i genitori possono eser-citare insieme alle educatrici dei nidi e delle scuole dell’infanzia.Da più parti, infine, è stato apprezzato anche l’atteggiamento di apertura e di ascolto della nuova amministrazione, cui viene richiesto soprattutto il soste-gno per l’organizzazione dei servizi, l’investimento sulla professionalità del-le educatrici e il “rispetto” per la sto-ria e per la qualità dei servizi educativi milanesi.

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Milano per i suoi bambiniUna breve panoramica dei

servizi educativi per l’infanzia

Paolo Alfonso Carli

Direttore Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Milano, come molte altre città, vive i fe-nomeni eclatanti che contraddistinguo-no l’inizio del nuovo millennio. In modo particolare, fra questi fenomeni è dato constatare che:• le famiglie si trovano a dover fronteg-

giare la crescente domanda di flessi-bilità degli orari di lavoro e di mobi-lità sul territorio, ripensando i propri tempi e, fra questi, quelli abitualmen-te dedicati alla cura del bambino;

• l’offerta educativa delle istituzioni e dei soggetti privati presenti nella me-tropoli si rivela insufficiente per sod-disfare il bisogno diffuso di supporto ai genitori per l’educazione dei figli in età tra 0 e 6 anni, che solo raramente possono avvalersi dell’appoggio di un nucleo parentale prossimo alla loro abitazione;

• l’irruzione della tecnologia e dei me-dia in tutti gli ambiti del quotidiano, propone alle famiglie opportunità, ma anche preoccupazioni e ansie; in parti-colare, l’infanzia si trova letteralmente “bombardata” da stimoli e suggestioni eterogenee, rispetto alle quali spesso i genitori e le agenzie educative non so-no in grado, al momento, di porre in campo competenze e risorse adeguate;

• l’immigrazione ormai massiccia pro-veniente da Paesi nord africani e dall’Est europeo in particolare, pre-sentano all’attenzione dei genitori e degli educatori la necessità di inter-venti educativi mirati, capaci di pro-muovere e realizzare l’inclusione di genitori e bambini stranieri, superan-do anche pregiudizi e diffidenze anco-ra particolarmente resistenti;

• la consapevolezza che il bambino è una persona soggetto di diritti e di bisogni specifici, che ogni bambino è un bene e una risorsa per tutti e che necessita del rispetto e della cura da parte dell’intera comunità (e non solo da parte della famiglia di appartenen-za), porta all’attenzione i temi della disabilità, del disagio, dello svantag-gio culturale, delle risorse disponibili ed attivabili nei servizi e sul territorio, quindi del dovere di offrire pari op-portunità ad ogni bambino.

L’insieme dei servizi educativi rivolti alla fascia 0-6 anni con cui Milano affronta i bisogni evidenziati si sostanzia in offer-ta privata (costituita da asili nido, scuole dell’infanzia e specifici servizi) e in offer-ta pubblica che, oltre a 22 scuole mater-ne statali, comprende servizi comunali

(100 asili nido, 174 scuole dell’infanzia, 38 sezioni primavera, 10 “tempi per le famiglie”, 3 centri prima infanzia, 48 asili nido affidati in gestione a coopera-tive sociali) e circa 150 asili nido privati accreditati presso i quali – in caso di bi-sogno – il Comune acquista posti.Complessivamente, nei servizi comunali sono impegnate circa 3.500 educatrici, poco più di 100 funzionari tecnico-peda-gogici responsabili ciascuno di più ser-vizi e oltre 150 dipendenti con funzioni tecnico-amministrative, unitamente a personale ausiliario. I servizi sono erogati a circa 35.000 bambini.I singoli servizi sono organizzati in “uni-tà educative”, affidate a un funzionario dei servizi educativi, che si vede così im-pegnato a coordinare mediamente uno o due asili nido, una o due scuole dell’in-fanzia e, in alcuni casi, anche alcuni de-gli altri servizi sopra indicati. Più unità educative compongono un “polo didattico”, di cui è responsabile un funzionario titolare di “posizione organizzativa”. Rispetto al funzionario responsabile di “unità educativa”, le cui prevalenti competenze vengono espres-se nel coordinamento delle attività di-

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dattiche e nei rapporti con le famiglie, il responsabile di polo – oltre a coordinare direttamente alcuni servizi di asilo nido e di scuola dell’infanzia – coadiuva la direzione di Settore rapportandosi con questa e con i funzionari dei servizi e assolvendo anche una serie di adempi-menti tecnico-amministrativi.I 24 responsabili di polo didattico col-laborano, inoltre, per il controllo dei servizi accreditati presenti sul territorio e partecipano al Consiglio Scuola, nel quale sono eletti ogni tre anni i rappre-sentanti dei genitori e dei diversi opera-tori presenti nei servizi.Gli aspetti specifici relativi alla pre-senza di bambini disabili, di situazioni di disagio o di svantaggio vengono af-frontati ricorrendo alla collaborazione con educatori dedicati al supporto del gruppo dei bambini presenti nelle se-zioni (285 educatrici sono impegnate per l’inclusione di bambini disabili e 38 per agevolare interventi didattici indi-vidualizzati).

I singoli servizi:qualche dettaglio in più

Descrivere sinteticamente i singoli ser-vizi educativi del Comune di Milano e le modalità con cui cercano di rispondere ai bisogni evidenziati è cosa ardua, sia a motivo del loro numero sia a motivo della loro diversità. Di seguito, si cercherà di farlo, consape-voli del fatto che l’estrema sintesi sacri-ficherà aspetti e valori che meriterebbe-ro, invece, adeguato rilievo.

I nidi d’infanziaI nidi d’infanzia accolgono bambini dai 3 mesi ai 3 anni, suddivisi in sezioni in relazione alla fascia di età.Al nido si promuove lo sviluppo del bambino soprattutto attraverso la cu-ra delle relazioni in un ambiente di vi-ta strutturato. La didattica è basata su un progetto educativo che ha al centro il bambino e il suo processo evolutivo, che tiene conto di tempi, ritmi e bisogni individuali e che richiama la famiglia alla corresponsabilità nell’educazione e nella cura del bambino.

Le parole chiave che connotano l’azione didattica del nido sono:• globalità: in quanto si considera

che il bambino vive ogni esperien-za con tutto se stesso, aderendovi integralmente;

• emozionalità: poiché si ha consape-volezza che il bambino vive ogni si-tuazione innanzitutto come luogo di emozioni;

• immediatezza: poiché si osserva che il bambino vive il “qui ed ora”... fa esperienza diretta e immediata del mondo.

Attraverso la progettazione degli inter-venti – nella globalità, nell’emozionalità e nell’immediatezza – pensata e condivi-sa con i diversi attori dell’educazione, i bambini vedono attivati la motivazione e il piacere alla costruzione della pro-pria identità, del proprio fare, del pro-prio sapere.I nidi d’infanzia sono aperti dal lunedì al venerdì, nei giorni dal 1 settembre al 30 luglio, dalle 7.30 alle 18.00, e consento-no l’ingresso dei bambini ogni giorno si-no alle 9.00, mentre l’uscita dal servizio è possibile dopo le ore 16.00. L’organiz-zazione dei tempi permette alle famiglie una certa flessibilità oraria per accom-pagnare i bambini al nido e per ripren-derli alla sera e, al contempo, permette all’azione didattica giornaliera certezza dei tempi, rispettando il bambino e i suoi ritmi.

Le sezioni primaveraCon l’avvio delle sezioni primavera, Mi-lano ha realizzato e articolato un per-corso finalizzato all’ampliamento “qua-litativo” dell’offerta formativa rivolta ai bambini in età di nido dai 24 ai 36 mesi. Le sezioni primavera offrono l’opportu-nità di un servizio educativo con figure professionali garanti della “continuità” nei passaggi nido-sezione primavera e sezione primavera-scuola dell’infanzia.La loro organizzazione è pensata esclu-sivamente in funzione di un piccolo gruppo omogeneo di 15/20 bambini, in spazi adeguati e con un rafforzamento del team degli educatori che vede al pro-prio interno professionalità diverse sia di scuola d’infanzia che di nido. L’abbi-

namento delle due professionalità vuole confermare l’idea di un’età di transizio-ne in cui mettere a fuoco non solo i bi-sogni dei bambini (cura, benessere, au-tonomia) ma anche le loro potenzialità (logiche, linguistiche, di apprendimen-to), non mettendo in contrapposizione la “cura” con l’“apprendimento” ma vedendoli come due aspetti interagenti dello sviluppo.Attualmente sono aperte 38 sezioni primavera.

Le scuole dell’infanziaLe scuole dell’infanzia del Comune di Milano, che si propongono come scuo-le paritarie con elevati standard di qua-lità, rispondono a circa l’ottanta per cento della specifica domanda che le famiglie residenti rivolgono allo Stato e al Comune.Per quanto riguarda gli aspetti schietta-mente pedagogici, la centralità del bam-bino nell’azione educativa ha compor-tato nel tempo attenzione particolare al dimensionamento degli organici, alla qualificazione professionale del perso-nale educativo, ai progetti educativi e alla loro correlazione con le opportunità presenti sul territorio, alla promozione del patto di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia.Nei fatti, l’offerta educativa si differen-zia quindi sul territorio non per l’im-pronta pedagogica, ma per i contenuti delle singole attività didattiche che fan-no tesoro delle competenze che i singoli collegi delle educatrici possono espri-mere e degli apporti che genitori, nonni e associazioni portano all’interno delle scuole. Esperienze di danza, di esplo-razione ambientale, di produzione arti-stica e di laboratorio sono testimoniate dalla ricchezza dei materiali esposti nel-le sale e nei corridoi dei plessi, ma anche dal racconto dei bambini, dei genitori e delle educatrici che vivono le scuole co-me beni a disposizione della città e luo-ghi di eccellenza educativa.Gli articoli proposti nelle prossime pa-gine da funzionari, educatrici e genitori delle nostre scuole descrivono alcune di queste esperienze rese possibili da una rete di competenze professionali e di re-

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di strutture educative integrative flessi-bili. Sono frequentati, per un massimo di quattro ore al giorno, preferibilmen-te tutti i giorni dal lunedì al venerdì, da bambini dai 3 mesi ai 3 anni non ac-compagnati o, talvolta, in compagnia di un adulto di riferimento che condivide l’esperienza.Il centro prima infanzia si propone co-me contesto nel il quale il bambino, sup-portato dagli educatori e dall’adulto che lo accompagna, può:• favorire le prime importanti relazioni

sia con gli adulti che con i pari;• esplorare e sperimentare spazi appo-

sitamente studiati e l’uso di materiali e giochi adatti all’età;

• avviare e sviluppare le proprie poten-zialità e competenze e i primi passi verso l’autonomia.

Il centro prima infanzia è inoltre luogo in cui è possibile favorire e sostenere il ruolo dei genitori attraverso:• la condivisione e il confronto delle

esperienze;• il contenimento di eventuali ansie che

possono essere determinate da parti-colari situazioni di solitudine e insi-curezza;

• la possibilità di poter osservare il pro-prio bambino in un luogo educativo appositamente pensato per lui.

I “tempi per le famiglie”I “tempi per le famiglie” sono servizi at-tivati da ormai molti anni presso dieci

lazioni interpersonali che hanno saputo dare continuità alla tradizione che vede il Comune impegnato in prima persona per il benessere dei suoi bambini e il lo-ro sviluppo armonioso.Le parole chiave che riassumono l’im-pegno educativo delle scuole dell’infan-zia sono:• puerocentrismo didattico, in quanto

si ritiene che l’azione didattica debba procedere dal bambino, dai suoi biso-gni, dalla realtà in cui vive e che deb-ba avere sempre il bambino (inteso nella sua integralità di essere umano dotato di mente e corpo, di capacità cognitive e di emozioni, di carattere e di abilità manipolatorie e motorie) e il suo sviluppo come obiettivi; in questa prospettiva il bambino si qualifica co-me attore del processo educativo, di cui il personale educativo e i genitori assumono ruoli di regia;

• individualizzazione degli interventi, poiché l’efficacia dell’azione didattica è strettamente dipendente dai biso-gni, dai tempi, dai ritmi del singolo bambino e del contesto in cui si trova inserito;

• inclusione sociale, come metodo e percorso lungo cui si articola l’attività dei gruppi di bambini.

La progettazione educativa si avvale del POF elaborato dal collegio delle educa-trici e, quando nelle sezioni siano pre-senti bambini disabili, anche del PEI.Gli orari del servizio sono analoghi a quelli degli asili nido e i giorni di aper-tura sono quelli stabiliti dal calendario scolastico.Durante il mese di luglio, sono organiz-zati i centri estivi presso le scuole in cui sia presente la specifica domanda da parte dei genitori. Parte del personale educativo vi lavora su base volontaria, un’altra parte vi lavora sulla base di una turnazione annuale. Il personale impe-gnato nei centri estivi riceve uno speci-fico incentivo economico, definito dagli accordi sindacali all’uopo stipulati.

I centri prima infanziaI centri prima infanzia nascono come servizio che si pone l’obiettivo di rispon-dere al bisogno delle famiglie milanesi

sedi del territorio comunale. In ciascuno di essi tre o quattro educatori si impe-gnano in attività con bambini da 0 a 3 anni e con le loro famiglie. In genere, i genitori accompagnano i figli e si tratten-gono presso il servizio: hanno così modo di partecipare con i figli ad attività ludi-che, esplorative e creative strutturate e di proporsi al proprio bambino e agli altri bambini presenti, insieme agli educatori, come facilitatori e animatori delle rela-zioni, dei giochi e delle esplorazioni.I “tempi per le famiglie” costituiscono anche un riferimento per le famiglie che hanno in questo modo la possibilità di incontrarsi, confrontarsi e ottenere sup-porto e orientamento da parte di perso-nale educativo qualificato.

Conclusioni

Molto si potrebbe ancora raccontare sui servizi educativi rivolti ai bambini di Mi-lano e alle loro famiglie, ma le esigenze editoriali non permettono a questo arti-colo di dilungarsi oltre. Sopperiscono, però, alcuni contributi delle educatrici, dei responsabili dei servizi, nonché di alcuni genitori che, all’interno di questa rivista, esprimono osservazioni, raccon-tano esperienze e propongono riflessio-ni. Ancora una volta è il bambino, inteso come persona e bene di tutti, a costituire il trait d’union tra i diversi scritti che, si confida, possano essere d’interesse per tutti i lettori.

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le Radici

Il tempo dei bambini è un tempo diverso e speciale.Negli anni che precedono la scuola il tempo esistenziale e la durata delle espe-rienze nel corso della giornata, delle set-timane e dei mesi è dilatata, evidente, lunghissima: vola; vola in modo diverso da quello di altre età quando, come per chi scrive, si guarda indietro nel tempo della memoria ed eventi che distano due o dieci anni sembrano vicini e contem-poranei. È un tempo percepito come lungo, ritmato dalla progressiva incul-turazione dei primi anni, quando tutti i bambini imparano, prima o poi e nono-stante le ansie dei genitori, a dormire in certe ore, a mangiare con certi ritmi, ad andare al nido o a scuola e pian piano a cogliere l’andamento della giornata, delle giornate (“la mamma e via ma tor-na fra due nanne” – è lunga sempre la durata dell’attesa), poi della settimana e poi dell’anno scolastico. Quando dire “quando ero piccolo” vuol dire pochi mesi o un anno fa...Un tempo lungo nel quale le esperienze si dipanano, si prova e riprova all’infi-nito eppure il tempo corre in fretta e bisogna avvertirli prima ( “fra poco bi-sogna mettere in ordine, fra dieci mi-nuti – occhi sgranati e assorti “ma so-no già passati?”). Vola il tempo quando si è immersi nel gioco, vola la notte in sonni istantanei che non torneranno mai più. E anche il tempo che vola è intensissimo, vissuto tutto, mai casuale: sono gli anni nei quali non si conosce la noia – diversa dalla fatica dell’attesa

della mamma, del proprio turno, del soddisfacimento di un bisogno o di un desiderio – nei quali i bambini non sono impazienti (capricciosi a volte sì), non chiedono “e ora che cosa faccio?”, per-ché si mettono a giocare con un filo o a farsi le smorfie in un vetro che riflette l’immagine o semplicemente ascoltano e assorbono tutto quello che ci stupisce che così rapidamente apprendano.La noia, la noia “cattiva”, non la noia dell’ozio cercato, quella che ci spinge a vagare con il pensiero a fantasticare, a ricordare poi pomeriggi e poemi lunghi e interminati, che ci spinge a sognare ma anche a riflettere e qualche volta a scoprire e creare, la noia fastidiosa e no-iosa, frustrata e impaziente di chi non ha imparato a stare anche con se stessa, di chi è abituata a essere sempre intrat-tenuta e sempre interrotta, verrà dopo, negli anni della scuola e – riflettendo sui tempi dei bambini e delle bambine – do-vremmo chiederci perché, che cosa gli abbiamo fatto?Che cosa facciamo noi adulti, che cosa fa la scuola per rendere i bambini capaci di annoiarsi, cioè di non fare nulla da soli, innervositi, di sentirsi a un tempo costretti e non coinvolti, per non trovare lo spazio per pensare, raccontarsi storie da soli, prendere un libro, un gioco o guardarsi intorno e riflettere su ciò che si vede?I genitori – tutti noi oggi – siamo assilla-ti e sopraffatti dalla mancanza di tempo quotidiano (in realtà dalla frammenta-zione che lo rende più breve e dalla diffi-

coltà di organizzare in modo realistico e autonomo le nostre giornate), di tempo settimanale, annuale, degli anni: agende e giornate zeppe in ogni ora, appunta-menti anche nella primavera del 2013 a un’ora specifica. La frammentazione abbrevia la percezione della durata, ge-nera ansia via via che le scadenze si av-vicinano e, per un paradosso crudele, ci fa sentire spaesati e altrettanto ansiosi quando non c’è, quando manca, quan-do è “vacante” (le vacanze, appunto) e ci spinge per una sorta di dipendenza a riempire ancora ogni spazio vuoto o a sentirci disorientati, quasi colpevoli nel rispondere alla domanda “che cosa fai?”, “niente”, senza vergognarci o as-sumere un tono di scusa.I genitori e i bambini vivono nel mondo, vivono a Milano, lavorano e non posso-no quasi mai decidere né l’orario di la-voro né la distanza da dove si lavora, né la rapidità dei mezzi che li portano lì, né le regole dei tempi dei nidi e delle scuole dei loro bambini. È un gioco ( gioco si fa per dire) complesso di organizzazione, di equilibrio, di elasticità (quanto suc-cesso ben meritato ha la blogger “Ela-stimamma”), di ricerca di tempi giusti per i bambini ma anche per sé, per ri-prendere fiato, per sentirsi bene anche al lavoro, interessanti e disponibili in fa-miglia, capaci di godere il “tempo insie-me” – preferisco questi giri di parola più lunghi alla parola “realizzate” (e penso soprattutto alle mamme, alle donne).Raramente viene riconosciuto e valuta-to necessario e faticoso il tempo mentale

Il tempoSusanna Mantovani

Università di Milano-Bicocca

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le Radici

organizzativo, necessario e faticoso, che i genitori, le mamme, spendono o me-glio donano ogni giorno. E il correre da un impegno all’altro ci rende parados-salmente meno sensibili al tempo dei bambini e anche più esosi verso il tempo degli altri.Il computer e il cellulare, da un lato, ci permettono di “salvare” un po’ del no-stro tempo ma non davvero di liberarlo. Siamo in mezzo al guado, ancora non capaci di controllare l’ansia da contatto e da risposta immediata, le infinite ca-tene di sollecitazioni, le infinite imme-diate che riteniamo inevitabili, che non consentono di pensare bene a ciò che si risponde e che sono rese possibili/ob-bligate da strumenti straordinari, quasi miracolosi, che saranno fondamentali per i bambini ma che sono talmente po-tenti da richiedere persone forti, mature autonome (cioè autoregolate). Si apre qui una responsabilità e uno spazio da trovare, molto importante, per tutti noi che con qualsiasi ruolo educhiamo e pensiamo all’educazione. Con senso di responsabilità ma senza troppi timori.Più delle “tecnologie” mi preoccupano gli altri media, mi preoccupano alcuni messaggi che vengono dalla divulgazio-ne, dai giornali, dalle rubriche televisive. Sembra che ai problemi dell’educazio-ne si possano dare senza mediazioni e con certezza risposte e indicazioni che funzionino rapidamente, subito. E che l’anno dopo, quando si deve riprendere il tema su un nuovo numero del giorna-le o in una nuova trasmissione, per non annoiare si proporranno scoperte e ri-cette diverse. Come far dormire il nostro bambino, come fargli accettare sensate regole di vita, come “aggiustarlo” se non funziona bene, con una regola magica in una o due settimane. Risposte univoche, che accampano di fondarsi “sulla ricer-ca”. Quale? Quali? Le buone ricerche, almeno in psicologia e in educazione danno piccole risposte a variabili mol-to circoscritte e aprono nuove domande piuttosto che dare risposte. Semplificare i grandi temi della crescita, enfatizzare quelli di moda, cercare risposte rapide, semplici, univoche, immediatamente efficaci è un pericolo e si potrebbe evi-

tare. I genitori che cercano il meglio per i loro bambini in questi tempi confusi sono particolarmente vulnerabili a que-ste prospettive, si sentono genitori non sufficientemente impegnati e aggiornati se non inseguono un “meglio” sempre nuovo e dato per certo.L’educazione invece richiede tempo, ri-flessione, dubbio, trova soluzioni sem-pre diverse e complesse. Chiede all’a-dulto una forte tenuta nel tempo. È la dote assolutamente necessaria (e quasi impossibile da verificare a priori) di un buon educatore. I fiori non sbocciano in dieci secondi come nei documentari scientifici, per vedere un uccellino o un insetto o un riccio in giardino ci vuole tempo, pazienza, fortuna...Le educatrici hanno questo sapere, vedono crescere, hanno la fortuna di accumulare in fretta una grande esperienza dei diversi modi e ritmi di crescere che si vedono nei mesi e ne-gli anni. Questo sapere va condiviso, bisogna trovare le parole, ma anche la solidarietà e il sostegno nei confronti dei genitori per “aiutarli a tenere” e a sapere che questa è l’educazione a tol-

lerare l’ansia dell’attesa e la fatica della fermezza. Per aiutarli a scoprire che sono “sufficientemente buoni” e capa-ci per assumersi le loro scelte e le loro responsabilità. Osservando i loro bam-bini, confrontandosi tra loro, con atri genitori, con gli educatori.Viviamo in questo mondo nel quale il tempo e lo spazio si sono contratti e so-no a nostra disposizione e proprio per questo ci rendono difficile essere equili-brati e non abbuffarci di spazi accorciati e di tempi infinitamente riempibili dove le attese sembrano furti e ci spaventano o ci fanno sentire colpevoli.L’educazione è una questione di equili-brio, avviene nel mondo che ci è dato e nell’epoca nella quale viviamo ed è re-sponsabilità degli adulti educatori leg-gerlo, interpretarlo e tentare di creare condizioni di vita equilibrata per i bam-bini, senza fingere che la realtà sia di-versa e senza arrendersi di fronte a essa, impegnandosi a leggerla, interpretarla ma anche a sforzarsi di piegarla e di ri-equilibrarla quando necessario, affinché i bambini “abbiano il tempo” per cresce-re, per esercitarsi a stare nel loro mondo

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e nella cultura della città, a pensare, ad apprendere. Per apprendere, infatti, bisogna pensare.Oggi la ricerca dell’equilibrio, lo sforzo, la resistenza ma anche l’allenamento che dobbiamo dare ai nostri bambini ha tra le sue urgenze un pensiero profondo sul tempo: da un lato la responsabilità di garantire il tempo per giocare e per pen-sare, dall’altro quella di creare per loro luoghi e ambienti che proteggano bam-bini e bambine dagli eccessi ma che sia-no anche veri, che li tengano in contatto con la realtà e i suoi nuovi strumenti e li allenino a stare nel mondo.E allora come devono e possono essere i nostri nidi, le nostre scuole? È una delle questioni educative che dobbiamo porci insieme oggi e nei prossimi anni.Come organizzare il tempo dei servizi affinché i bambini sperimentino questo equilibrio e si allenino in modo sereno ma anche con impegno? Il tempo che i bambini trascorrono nei nidi e nelle scuole dovrebbe sincronizzarsi sia ai tempi dei servizi sia a quelli degli adulti che vi accedono accompagnando i bam-bini o che in essi lavorano.È una questione di reciproco riconosci-mento: i genitori pensano con fatica alla loro giornata, a come conciliare lavoro, figli, spostamenti nella città, divisio-ne delle responsabilità, tempo per fare anche altro con o senza i bambini. Gli educatori pensano con fatica all’orga-nizzazione della comunità nella quale ci sono tanti bambini uguali e diversi, pen-sano all’importanza che i bambini e le famiglie sperimentino regole sensate di comunità, pensano anche ai turni, alla compatibilità delle scansioni temporali per poter condurre le attività, garantire le routine, per poter avere il massimo di copresenze, per poter offrire proposte migliori, pensano anche alla loro forma-zione e alla loro vita di donne e di madri al di là dei servizi. Gli amministratori, assillati dalla riduzione delle risorse, cercano di dare una struttura sensata e regolare a esigenze molto diverse – di-verse anche tra i genitori e tra gli edu-catori – di sperimentare soluzioni nuove e sostenibili senza ignorare il capitale dell’esperienza del passato.

Sono prospettive tutte sensate, tutte legittime, ma l’ansia di tutte le parti in causa rischia di rendere meno sereno il mondo dei bambini e di togliere a cia-scuno di noi la gioia salutare e fonte di saggezza di riuscire a soffermarci e a godere degli anni più belli dei nostri bambini. In ogni caso le nostre prospettive e i nostri assilli hanno un fine comune – i bambini – ma non possono coincidere completamente perché, per fortuna e ricchezza, vengono da punti di vista di-versi.Proviamo a fare di queste differenze un risorsa: è una questione educativa fon-damentale (e sta nella tradizione più profonda e originaria dei nidi e delle scuole dell’infanzia nati “nei Comuni e intorno alle chiese”) incontrarsi, parlar-ne, riconoscersi e negoziare soluzioni possibili, flessibili, ma, queste sì, non “a domanda individuale”.I servizi sono una prima esperienza di comunità e le comunità hanno e devono avere delle regole altrimenti non sono comunità ma Babele. Sperimentare re-gole sensate in una comunità più allar-gata della famiglia è un’esigenza educa-tiva fondamentale per i bambini.I genitori oggi hanno una vita partico-larmente complicata: conciliazione è una bella parola che sa di pace, ma re-alizzarla non è affatto pacifico e un ra-gionevole benessere e agio dei genitori rende certamente più sereni e disponi-bili all’apprendimento sociale, cognitivo ed emotivo i loro bambini.Gli amministratori rappresentano sia le famiglie sia chi opera nei servizi.Siamo tutti cittadini di questa città e siamo qui – al Maggio 12 – anche per imparare a discutere e a confrontarci superando uno dei mali di questi ultimi anni: il trasformarsi della giusta consa-pevolezza dei genitori dei loro diritti di cittadini e di utenti e della necessità di partecipazione e di relazioni aperte e di negoziati possibili tra famiglia, servizi e scuola in richieste individuali, ad perso-nam, da “clienti” e non da cittadini uten-ti, personale e privata, cosa ben diversa dalla giusta esigenza di personalizza-zione e individualizzazione. Dobbiamo

superare un’altra difficoltà degli edu-catori: la paura del nuovo, di soluzioni in parte nuove per tempi così cambiati; paura comprensibile in un tempo pove-ro e spesso minaccioso, ma contraddit-toria con l’idea stessa di educazione. Il passato sarà stato glorioso, ma anche oggi possiamo sperimentare, innovare e crescere.L’incontro con altri genitori, con chi ha più bambini e forse, e soprattutto, con chi venendo da mondi più tradizionali e in un certo senso antichi non si è ancora abituato o sottomesso all’accelerazione anche dei figli, può essere un aiuto pre-zioso, una pratica da rinnovare: stare insieme per confrontarsi, per parlare insieme dei grandi temi educativi, del tempo per crescere.Tutti insieme, senza steccati. L’educazio-ne di tutti i nostri bambini – nostri, di tutti noi, i bambini di Milano – richiede il contributo, critico e attento, aperto e generoso di tutti.Questo è il messaggio più importante di Maggio 12: tutti i bambini di Milano so-no tutti nostri.Se accettiamo questa prospettiva, dobbiamo trovare il tempo per par-larci ascoltandoci e rappresentandoci le nostre reciproche vite; dobbiamo confrontarci con le regole, i limiti e i vincoli che rendono difficile avere oggi quello a cui eravamo abituati ma che può anche farci rinunciare a qualcosa per mantenere quello che è più impor-tante; dobbiamo ritornare, insieme, a guardare i bambini, tutti i bambini non solo nostro figlio o i bambini della no-stra sezione o i bambini che vengono al nido: dobbiamo guardare e sentirci responsabili di tutti i bambini e chie-derci che cosa possiamo fare per loro con il nostro tempo, senza che debbano in coro dire “il re è nudo!”.Sono certa che, se li guarderemo tutti con piacere, curiosità e serietà, insieme troveremo in loro l’orientamento neces-sario a liberarci dall’idea che c’è una so-la soluzione, la nostra, e a farci venire nuove idee, nuove soluzioni negoziate insieme.Naturalmente, per farlo, bisogna trovare il tempo...

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Media e infanziaPier Cesare Rivoltella

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Il tema del rapporto tra media digitali e infanzia soffre di due opposti atteggia-menti, entrambi sbagliati. Il primo è l’atteggiamento di chi ritiene che gli 0-6 siano un’età da dedicare all’e-sperienza sensoriale, alla scoperta del mondo, alla manipolazione, alle attivi-tà libere all’aria aperta. I media digitali rappresenterebbero un po’ l’opposto di tutto questo: in essi l’esperienza senso-riale sarebbe limitata, la relazione con il mondo sempre mediata, il movimento sacrificato dalla necessità di concentrar-si sullo schermo. Ecco perché, secondo questa prima linea di pensiero, sarebbe meglio non anticipare il tempo del pri-mo incontro del bambino con i media, favorirlo più tardi, lasciare che la prima socializzazione avvenga a contatto con le cose e in relazione con i pari.Il secondo atteggiamento, invece, è quel-lo di chi non considera nemmeno la fa-scia 0-6 come un’età in cui la presenza dei media digitali sia significativa. Chi si riconosce in questa prospettiva ritiene che i bambini a quell’età “siano troppo piccoli”, che ancora non abbiano svi-luppato le competenze necessarie a fare un uso evoluto dei media digitali, che in fondo per loro la realtà del loro consu-mo mediale consista nei cartoni animati televisivi. In maniera opposta al primo atteggiamento, dunque, questo secondo ritiene che non ci sia problema, che non serva preoccuparsi: i media digitali en-trerebbero nel campo d’esperienza del bambino più tardi.Cerchiamo di discutere queste due opi-

nioni diffuse, partendo dalla seconda. Un mio collega ha regalato alla moglie, in occasione della maternità, un i-pad. Il bimbo è cresciuto in braccio alla mam-ma e spesso l’ha vista usarlo. A dieci mesi, il mio collega si è accorto un bel giorno che il figlio provava a “sfogliare” con il ditino l’i-pad. Altro esempio. Nella scuola dell’infanzia con cui il mio centro di ricerca, il CREMIT, è convenzionato e di cui cura le attività curricolari di Media Education, una insegnante ha in-trodotto un’attività didattica con il video nella sezione dei 4 anni. Un bambino, senza aspettare che lei dicesse altro, le ha fatto vedere come si fa a entrare in you tube, cercare il cartone animato pre-ferito e guardarlo a schermo intero. Si potrebbe continuare. Sono esempi che dimostrano come l’idea secondo la qua-le prima dei 6 anni i bambini “farebbero altro” non trova rispondenza nei fatti. Il nostro è un “media climate” in cui i media si indossano, arredano le nostre case, sono continuamente disponibili, entrano nelle pratiche quotidiane delle persone. I bambini li vedono usare fin da piccoli: i media fanno parte della loro socializzazione, rappresentano una par-te della loro cultura, occupano anche il loro tempo e le loro attività.Proprio l’esempio del bambino di die-ci mesi che prova a sfogliare l’i-pad ci consente di discutere anche il primo at-teggiamento. Questo esempio, infatti, fa vedere molto bene come il mondo di cui il bambino fa esperienza sia costituito anche dai media. In un “media climate”,

tra le cose, gli oggetti, le situazioni di cui si fa quotidianamente esperienza vi so-no anche supporti mediali e tecnologie. E se si riflette sulla natura di questi me-dia, ci si accorge che non sono lontani dal modo naturale con cui il bambino apprende e va a alla scoperta del mon-do. Si tratta, infatti, nella maggior parte dei casi, di tecnologie tattili che si usa-no e si apprendono a usare toccandole, provando e riprovando. Il tâtonnment di cui parlava Freinet è il modo, perfetta-mente coerente con il quadro d’uso dei media digitali, con cui il bambino esplo-ra il mondo: tocca, manipola, sperimen-ta, prova. I media non rappresentano una discontinuità rispetto al mondo del bambino, ma egli vi si colloca in rela-zione di continuità. L’ho capito dram-maticamente quando ho trovato fette di prosciutto cotto nel videoregistratore di casa: il mio primo figlio, allora di due anni, aveva capito che i grandi ci met-tevano dentro “cose” e il risultato era che lo schermo mostrava immagini e lui volle provare a fare altrettanto. Il video-registratore faceva parte del suo campo di esperienza: aveva un’ipotesi e aveva provato a sperimentarla. L’altro mio fi-glio, a 5 anni, ha imparato a cambiare la risoluzione dello schermo del compu-ter della madre che solo con una bassa definizione riusciva a far girare alcuni vecchi software che le servivano per la didattica a scuola. Nessun trauma: tutti e due hanno continuato a giocare ben oltre i sei anni con due vecchi trattori a pedali, i giocattoli sicuramente più

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amati e sfruttati della loro infanzia. Ma sono cresciuti usando il computer, ascoltando musica dal loro i-pod, video-giocando con la playstation e, oggi, sono forti utilizzatori dell’i-pad per gli usi più svariati: prendere appunti, fare riassun-ti, navigare nel web, giocare, gestire la loro pagina in facebook. Le tecnologie

non sono sottrattive, non si affermano vampirizzando tempi e spazi che sono di altre attività, ma si integrano a esse.Questa doppia idea – che i media digitali facciano parte dell’ambiente dei bambi-ni di oggi e che rappresentino un’op-portunità in più per fare esperienza, esplorare il mondo, mettersi alla prova

– è il migliore punto di accesso al rap-porto tra i media e l’infanzia. La scuola deve prenderne atto e iniziare a porsi il problema di come educare i bambini, almeno fin dai 3 anni, a un uso corretto e consapevole dei media. Un’educazione che si deve muovere a due livelli.Il primo livello è quello del consumo. I bambini sono navigatori del web, uti-lizzatori di telefonini e di consolle vi-deogames: la scuola deve fornire loro le competenze che servono a fare tutto questo in sicurezza, al riparo da rischi. Questo significherà, in questa fascia di età, farli lavorare sulla differenza tra realtà e finzione, far percepire loro che non possono condividere contenuti con gli sconosciuti, aiutarli a diventare con-sapevoli di quello che fanno.Il secondo livello è quello della produ-zione. Grazie alla natura dei nuovi me-dia digitali, i bambini sono facilmente autori di messaggi, editori degli stessi, sono chiamati a organizzare la propria comunicazione usando linguaggi diver-si: quello della scrittura, certo, ma anche quelli dell’immagine fissa e in movimen-to, quello dell’informatica ecc. In questa prospettiva veramente si comprende co-sa significhi che nella società dell’infor-mazione occorra far evolvere le compe-tenze digitali dei soggetti. È un compito analogo a quello dell’alfabetizzazione, solo che si tratta di assumerlo nel senso ampio del termine, quello che ha por-tato qualche anno fa Mary Kalantzis e Bill Cope a parlare di multiliteracy e Mi-chael Resnick a sviluppare linguaggi di programmazione visuali grazie ai quali un bambino di 3-6 anni possa svilup-pare software semplicemente cliccando su delle icone, come succede quando ciascuno di noi interagisce con il suo cellulare.Nel frattempo continueremo a farli gio-care in giardino, pasticciare con i colori a dita, modellare la plastilina, continue-remo a rendere interessante il loro cam-po di esperienza senza discriminare i “vecchi” materiali, ma anche senza pen-sare che di questi materiali non possano far parte tavolette, lavagne interattive multimediali (LIM) e altri dispositivi tecnologici.

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Bambini e famiglievenuti da altrove

Ida Finzi

Psicologa e psicoterapeuta1

Le educatrici sono esperte e competenti nell’accoglienza e nella capaci-tà di graduare le modalità di inserimento dei bambini nel ni-do e nella scuo-la dell’infanzia. Hanno svilup-pato strategie di scambio e comunicazio-ne con persone che vengono da molti Paesi, hanno escogi-tato modalità per integrare e far sentire a loro agio genitori dalle provenienze più diverse. Spesso questa esperienza non ha avuto luoghi dove confrontarsi, diffondersi e sistematiz-zarsi perché sono mancate le occasio-ni, il tempo o l’attenzione per farlo. Le giornate del Maggio 12 e la preparazio-ne che le ha precedute sono una prima occasione preziosa. Da tempo sappiamo che l’ingresso di un bambino piccolo in una struttura edu-cativa costituisce un passaggio estre-

mamente delicato del suo processo di crescita, sia dal punto di vista della co-struzione dell’identità sia da quello della modulazione della relazione con le figu-re di riferimento interne ed esterne alla famiglia. Per questi motivi le educatrici sono attente ai tempi e ai modi dell’in-serimento, ai segnali di avvicinamento o di disagio e alle reazioni dei genitori nel percorso di distacco dal bambino e di affidamento alla struttura.Quando si tratta di bambini figli di per-

sone che vengono da altri Paesi è in-dispensabile tene-re in considerazio-ne alcune variabili ulteriori. Ciascuno di noi infatti fa ri-ferimento in mo-do automatico e inconsapevole al proprio involucro culturale, cioè a rappresentazioni culturalmente de-terminate e condi-vise dal contesto di appartenenza, che riguardano teorie, comportamenti , modalità educati-ve, rappresentazio-

ni del mondo, religione, alimentazione, interpretazione dei gesti e degli impliciti della comunicazione, e così via. Eviden-temente chi proviene da altri mondi fa riferimento in modo altrettanto auto-matico e inconsapevole ad altri conte-nuti ed è la migrazione che costringe le persone a rendersi conto della relatività dei propri riferimenti e della necessità di costruire degli aggiustamenti per poter incontrare l’alterità. Questo processo non è facile perché

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destabilizza e fragilizza l’identità, la competenza e l’armonia fra i soggetti e il mondo esterno; richiede un tempo, un apprendimento, un adattamento reciproco.Anche se si tende a dare maggior peso alla difficoltà che devono affrontare le persone migranti perché si trovano spes-so in una situazione traumatica rispetto alla discontinuità con il proprio mondo d’origine e a una sofferenza che richiede una riorganizzazione psichica dolorosa, non dobbiamo dimenticare che anche chi vive nel mondo d’accoglienza deve introdurre delle modificazioni nei pro-pri atteggiamenti e comportamenti, per vivere e lavorare in una società che si modifica continuamente.Per chi è cresciuto in un mondo d’origi-ne diverso dal nostro la migrazione, ma soprattutto il far nascere un bambino nel mondo d’accoglienza, costituisce un passaggio delicato. Sappiamo che, oltre a una culla per accogliere un bambino nello spazio fisico della famiglia, esiste una culla psichica nella mente dei suoi genitori che si preparano ad accoglierlo, a riconoscerlo come appartenente alla genealogia familiare, a fare fantasie sul suo futuro. Dobbiamo ora rappresentarci anche una culla culturale, costituita dalle rap-presentazioni che un bambino assume in altri mondi: da dove viene, come deve essere nominato, quali rituali devono es-sere messi in atto per proteggerlo, come si deve sostenere la madre nel suo pas-saggio di stato, come il piccolo deve es-sere nutrito, portato, educato, quali sono i compiti di ciascun genitore, della fami-glia allargata, di chi è rimasto al Paese. La migrazione rende più difficile svolge-re tutte le funzioni che la tradizione as-segna a ciascun genitore e alla famiglia allargata, ci sono rotture nella genealo-gia e nella continuità familiare. Deporre un bambino su una terra straniera crea ansia e insicurezza, soprattutto la prima volta che l’evento viene sperimentato. Nonostante la fiducia nella medicina occidentale e nella qualità dell’assisten-za, si può vivere una condizione di fra-gilità rispetto alla propria competenza a essere buoni genitori in assenza del

supporto familiare e sociale del conte-sto d’origine. Molte madri raccontano il parto e i primi mesi con il neonato come un periodo di profonda tristezza e soli-tudine, a causa dello sradicamento dalla famiglia e dai suoi rituali, dal sostegno e dall’aiuto delle donne più anziane e del-le sorelle, dal consiglio e dal confronto con le co-madri nel proprio passaggio al ruolo materno. Spesso qui si verificano anche condizioni di grande isolamento perché non conoscono a sufficienza la lingua, hanno scarsa autonomia e mobi-lità nel mondo esterno alla casa, sono in condizioni di assenza di reti sociali che possano supplire alla lontananza dalla famiglia d’origine.Per tutti questi motivi l’ingresso al nido o alla scuola dell’infanzia costituisce un momento speciale, al quale è indispen-sabile dedicare molta attenzione e cura. Si tratta infatti di un incontro emotiva-mente molto significativo con il mondo d’accoglienza. Se già per i genitori ita-liani la separazione dai loro bambini piccoli è un momento di grande difficol-tà, pensiamo a come possa esserlo per una madre che non parla italiano, non decodifica le comunicazioni non verbali che sono anch’esse culturalmente deter-minate, e percepisce il nido o la scuola dell’infanzia come un luogo che renderà il suo bambino più competente a vivere nel mondo d’accoglienza ma forse più estraneo a lei. Le madri straniere de-vono per la prima volta affidare il pro-prio bambino alle cure di persone che appartengono a un mondo diverso dal loro. Per fare questo in modo che non sia troppo difficile devono poter capire e condividere le modalità educative alle quali ci si riferisce nel nostro progetto pedagogico, i motivi che ispirano i pro-grammi e le regole, le finalità dei com-portamenti con i quali entreranno in contatto e che ci si attende da loro.Spesso diamo per scontato che le perso-ne conoscano e condividano non solo gli aspetti organizzativi delle nostre istitu-zioni, spesso estremamente complicati, ma anche alcune regole educative che a noi sembrano fondamentali ma che non abbiamo mai sottoposto a valutazione o a condivisione perché troppo abituali

per noi, e dimentichiamo che anche per noi esse hanno avuto origine da rifles-sioni e dibattiti pedagogici che si sono andati sviluppando e diffondendo negli anni. I modelli educativi si modificano nel tempo per effetto degli studi e della costruzione sociale alla quale collabo-rano esperti ma anche genitori, divul-gazione e confronto socialmente con-diviso. Non possiamo dare per scontato che persone che provengono da realtà diverse dalla nostra abbiano le nostre stesse rappresentazioni di come educare i bambini. Molto spesso le abitudini so-no diverse, le pratiche di cura dei bam-bini, soprattutto piccoli, sono condivise all’interno della famiglia allargata e non si ricorre a strutture esterne che a vol-te non sono disponibili o non esistono. Perciò è necessario spiegare e condi-videre i diversi passaggi: inserimento, attività, modalità di cura, fasi e ritmi di intervento, progetti. Soprattutto è ne-cessario creare un clima di accoglienza che permetta l’espressione di preoccu-pazioni, dubbi, suggerimenti e racconti in un’atmosfera di assenza di stigma e di pari dignità, decentrandosi dalle proprie rappresentazioni per dare spazio al non conosciuto. Il bambino deve ogni giorno effettuare una piccola migrazione: da una casa do-ve si parla una lingua, si vive, si mangia, si appartiene a un mondo, verso un am-biente nel quale si parla, si mangia e si vive in un altro modo. I piccoli pionieri di una nuova identità “meticcia” ogni giorno passano da un mondo all’altro, imparando a gestire la propria doppia appartenenza. Dobbiamo aiutare sia lo-ro che i loro genitori a effettuare il pas-saggio in modo armonico, senza mettere in opposizione le differenze o viverle in modo contraddittorio, ma consideran-dole come una ricchezza in più, che consentirà loro di potersi muovere a proprio agio in entrambe le realtà.Questi bambini sono destinati a diven-tare più competenti dei loro genitori nel saper decodificare la complessità del mondo d’accoglienza; è importante che la distanza fra le due generazioni non tenda a essere eccessiva, e questo per diversi motivi: perché i genitori possano

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mantenere la propria posizione di auto-revolezza, perché non si creino rotture nei riferimenti di appartenenza fra le generazioni, perché non si creino frain-tendimenti e conflitti per incomprensio-ni dei comportamenti reciproci, perché il processo di acculturazione nel mondo d’accoglienza possa essere condiviso da entrambe le generazioni. Ma affinché tutto questo possa avvenire è necessario considerare l’ingresso nel nido e nella scuola dell’infanzia come un momento particolarmente delicato, simbolico per sviluppi successivi, signi-ficativo e prezioso perché il percorso di inserimento nel mondo di accoglienza possa dotarsi di tutti gli strumenti ne-cessari per poterlo comprendere e ge-stire. Credo che sarebbe importante co-struire colloqui di accoglienza nei quali sia possibile utilizzare la madrelingua, con l’aiuto di mediatori linguistico-culturali professionisti. La mediazione permette la costruzione di una miglior fiducia reciproca e di una comprensio-ne che va oltre la pura decodifica del linguaggio; permette di capire più pro-fondamente le richieste istituzionali e i punti di vista dei genitori migranti, per costruire un incontro più rispettoso e più creativo. Tuttavia la mediazione non si improvvisa; è una professione che ri-chiede preparazione e formazione e che non può essere svolta da amici, parenti o fratellini maggiori. Sarebbe utile inoltre che nido e scuola dell’infanzia potessero essere identifica-ti come luoghi di orientamento per l’ap-prendimento dell’italiano e per l’utilizzo delle risorse sociali e sanitarie del terri-torio; che la scuola fosse promotrice di collegamenti sociali fra genitori e di oc-casioni di discussione e di incontro.La letteratura sull’argomento descrive come nel processo di inserimento in un nuovo Paese sia di grande importanza per le persone migranti poter disporre dell’aiuto di figure di accompagnamen-to, traghettatori che fanno da guida nel-la decodifica e nella comprensione del nuovo ambiente, qualcuno che aiuta il passaggio e facilita l’acquisizione delle competenze necessarie. Sono convinta che l’incontro con le educatrici possa es-

sere un momento guida di straordinaria importanza se utilizzato in tutte le sue potenzialità trasformative, perché, oltre all’aspetto informativo, sul piano cogni-tivo contiene forti valenze affettive per la condivisione delle cure e dell’attenzio-ne rivolta ai bambini, che sono per tutti un bene prezioso. Del resto, molte delle famiglie che ab-biamo incontrato nelle esperienze di terapia transculturale ricordano come significativi alcuni momenti di incontro con le figure educative delle scuole dei loro bambini piccoli. Ricordano l’ansia e la perplessità ma anche la costruzione di un rapporto di fiducia che raramen-te si riproduce nei livelli scolastici suc-cessivi. Ci raccontano anche che a volte non hanno il coraggio di partecipare a momenti di incontro, di discussione o di festa per paura di non capire o di vivere situazioni di marginalizzazione, ma che sentono con disagio questa difficoltà e a volte percepiscono che anche i bambini provano sentimenti di vergogna nei con-fronti della propria lingua o dei propri genitori.Sappiamo che la madrelingua è fon-damentale per la strutturazione di una competenza linguistica articolata e completa e sappiamo anche che il bi-linguismo è una ricchezza preziosa. Bisogna che i bambini sperimentino la possibilità di transitare fra le diverse

modalità di espressione senza conflitti. In questo modo saranno più capaci di trovare mediazioni e di essere protago-nisti della costruzione di modelli nuovi di cittadinanza.Sul versante dell’istituzione e delle pro-fessioni coinvolte è certo che il dover entrare in relazione con l’alterità costi-tuisce una sfida non semplice, che mette in discussione sicurezze e competenze; ma è anche un’occasione insostituibile di esercitare la curiosità e la ricerca di senso nel percorso di cambiamento del-la società attuale, nella quale assumia-mo responsabilità in quanto educatori di tutti i bambini che incontriamo.

Bibliografia

Cattaneo M.L., Dal Verme S. (a cura di), Terapia transculturale per le famiglie migranti, Franco Angeli, Milano, 2009.

Moro M.R., Genitori in esilio, Raffaello Cortina, Milano, 2002.

Moro M.R., Bambini di qui venuti da altrove, Franco Angeli, Milano, 2005.

1 Ida Finzi ha lavorato nei servizi pubblici di Milano; attualmente collabora con la coopera-tiva sociale Crinali onlus, che si occupa da oltre dieci anni di clinica e terapia transculturale, di mediazione linguistico culturale, di accoglien-za, diagnosi e cura multidisciplinare di donne e famiglie straniere, e di formazione degli opera-tori sociali, sanitari e educativi dei servizi pub-blici e del privato sociale.

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Bambini con disabilità, bambini in diffi coltà

Qualità dell’azione educativaAttilio Silipo

Consulente per le politiche dello svantaggio e del disagio

Premessa

Scopo di queste note è enunciare, nella maniera più diretta possibile, alcuni de-gli aspetti a mio avviso più importanti in materia di inclusione scolastica e di qualità dell’azione educativa. In genera-le, pur in presenza di leggi sufficiente-mente buone, il processo di inclusione scolastica presenta vari problemi. Tra gli elementi di attenzione mi soffermerò sui quattro punti che a mio avviso sono gli elementi centrali per poter valutare la qualità dell’azione educativa:1. centralità del rapporto con la famiglia;2. rapporto con i servizi socio-sanitari;3. rapporto numerico educatore/bambini

e organizzazione dell’azione educativa;4. bambini in difficoltà.

Rapporto con la famiglia

La famiglia rappresenta il primo e più importante agente educativo-abilitati-vo-riabilitativo con il quale le diverse istituzioni coinvolte devono saper co-struire un rapporto di collaborazione e di alleanza. La famiglia, più di qual-siasi altro, sa cosa vuol dire occuparsi quotidianamente di una persona con disabilità, ne condivide i bisogni e le limitazioni; essa costituisce il soggetto privilegiato delle attenzioni e dell’aiuto rivolte all’alunno da parte della scuola e da parte dei servizi sociali e sanitari. Il

riconoscimento della centralità delle re-lazioni e in particolare del rapporto con la famiglia è alla base del progetto edu-cativo del servizio d’infanzia. La parteci-pazione dei genitori alla vita del servizio d’infanzia e l’attenzione alle modalità di relazione tra operatori e genitori sono elementi fondamentali per consolidare il rapporto di fiducia e per favorire la continuità tra l’esperienza del bambino a casa e al nido/scuola dell’infanzia. È significativo l’ordine con cui, nella leg-ge 104, vengono elencati gli ambiti nei quali promuovere la piena integrazione delle persone disabili: famiglia, scuola, lavoro, società. L’individuazione e il ri-conoscimento di obiettivi comuni rap-presenta lo spazio dell’incontro e della possibile intesa/negoziazione dei rispetti-vi compiti tra famiglia e scuola. Vanno garantite ai genitori tutte le informazio-ni di cui hanno bisogno, in particolare la programmazione e gli obiettivi edu-cativi che i servizi educativi intendono perseguire. È utile la programmazione di incontri periodici; i rapporti con le famiglie avvengono normalmente nella pratica quotidiana; è inoltre utile che si prevedano occasioni stabili di incontro. Il rapporto di collaborazione non è un punto di partenza ma deve essere “con-quistato”. In un rapporto collaborativo ci sono persone che recuperano la cono-scenza reciproca e specifica che il loro ruolo e la loro collocazione permettono

e la mettono al servizio del progetto di crescita del bambino: è questo lo spazio dell’incontro possibile che il PEI (piano educativo individualizzato) prefigura. La famiglia chiede:• una diagnosi (cosa ha il bambino) e

“chiarezza”, anche se la presenza di disabilità nella fascia d’età 0-6 anni rappresenta una situazione di estre-ma problematicità per la delicatezza della fase evolutiva di sviluppo e cre-scita tipica dei bambini in tale fascia di età;

• aiuto (che cosa si può e bisogna fare), il che significa una diagnosi funziona-le con indicazioni operative (= trasfe-rire competenze agli ambienti in cui vive il bambino: necessità di infor-mazioni/ipotesi iniziali sulle difficol-tà del bambino, quali aspettative di sviluppo, quali aspettative di blocco, cosa potenziare, quali attenzioni): stabilire, cioè, come priorità di ana-lisi il “funzionamento” del bambino, in termini di apprendimento inteso in senso globale,in modo da poter realiz-zare interventi calibrati sulla situazio-ne rilevata.

Rapporto con i servizi socio-sanitari

Nel corso degli anni si è registrata nel-la città di Milano una costante e buona collaborazione a livello centrale con le Unità Operative di Neuropsichiatria

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dell’Infanzia e dell’Adole-scenza (Uonpia), ma è mag-giormente da sviluppare il rapporto a livello di singolo bambino/singola struttura educativa (più incontri, ini-ziali, in itinere...); si sono re-gistrate anche a questo livello molte esperienze positive ma occorre passare a sistema. Per realizzare tale obiettivo è necessaria, tra l’altro, una maggiore copertura di risor-se per attività non stretta-mente sanitarie: colloqui con le scuole, rapporti con le fa-miglie...I principi su cui fondare un processo di qualità sono i seguenti.• Continuità dell’azione edu-

cativa tra scuola-famiglia-servizi sociali e sanitari (assunzione di impegni reciproci, condivisione) e “continuità terapeu-tica”: “la rete paga”.

• Cooperazione professionale (“pensare in gruppo”): tutti i soggetti professio-nali coinvolti nell’inclusione devono operare con spirito di cooperazione, considerando le diverse competenze come risorse valorizzanti, correspon-sabili, orientate al rispetto e alla va-lorizzazione di ogni ruolo, anche con momenti di formazione, studio e ri-cerca in comune.

• Reale compartecipazione dei servizi socio-sanitari alla costruzione di un percorso educativo condiviso. Senza diagnosi funzionale non vi è cura e non vi è programmazione dell’inter-vento educativo; essa è un punto di partenza che viene arricchito conti-nuamente e nel tempo dall’apporto di altri “sguardi” (famiglia, figure educa-tive...) che insieme accompagnano il bambino “leggendolo” (il bambino sa fare certe cose e altre no, “funziona” meglio in certi contesti, adotta certi “facilitatori”...). Allo stesso modo, la costruzione del PEI non è un puro at-to formale ma diventa strumento per la formulazione di un percorso educa-tivo condiviso.

• Formalizzazione di un sistema di rete. Il potenziale (alto) in termini di ser-vizi espresso dall’area milanese indica l’opportunità di “portare a sistema” le esperienze realizzate finora. Un sistema integrato pone in essere una molteplicità di vantaggi a più livelli: per gli utenti, per gli enti e per gli ope-ratori. “Fare insieme” significa spesso fare meglio. Il concetto di rete è da tempo presente sia nella teoria che nella pratica sociali. Al di là di ogni dissertazione teorica, va detto che la rete è “geneticamente” costituita da relazioni significative tra servizi (for-malizzate o meno in accordi) e da re-lazioni tra persone (stima e conside-razione reciproche tra gli operatori). Il presupposto di riferimento è che la rete così intesa rappresenti un ele-mento di qualità nell’erogazione delle prestazioni di ogni singolo servizio coinvolto.

Rapporto numerico educatore-bambini e qualità dell’azione educativa

Molte delle aspettative/vissuti della fa-miglia (e degli insegnanti) puntano verso un rapporto numerico educatore/

bambino disabile di “uno a uno” o co-munque il più vicino possibile a tale soglia. Al di là però di ogni considera-zione sul tema delle risorse finanziarie, va affermato che il tema della qualità dell’azione educativa non può essere circoscritto all’indice del rapporto nu-merico ma vanno contemporaneamente affermati i seguenti principi.• La responsabilità dell’inclusione è

della scuola.• Nella scuola dell’infanzia, rispetto ai

livelli scolastici successivi, contano di più socializzazione, inclusione nel gruppo, cooperazione tra bambini, clima generale...

• Ridefinizione del ruolo dell’educato-re di sostegno e affermazione della programmazione educativa vera-mente collegiale. L’educatore di so-stegno è un operatore educativo as-segnato come risorsa aggiuntiva alla scuola e alla classe in cui sia presente un bambino con disabilità (necessità di affrontare il problema dell’integra-zione non solo mediante il ricorso all’insegnante di sostegno, ma anche a tutte le altre risorse possibili). È ne-cessario operare una suddivisione tra valutazione a livello dei singoli alun-ni, valutazione a livello della comu-

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nità scolastica, valutazione “sociale”, ma la qualità può essere più adegua-tamente raggiunta in presenza di condizioni potenzialmente positive, quali ad esempio: professionalità degli operatori educativi; esistenza e funzionamento vero del “gruppo di lavoro handicap” nella singola scuo-la; coordinamento e progettazione comuni (fra più operatori e servizi); percorso pluriennale degli interventi e delle verifiche.

• Non incorrere nel rischio di proposte educative povere se rivolte a bambini disabili o in difficoltà.

• Sperimentazione di nuovi modelli organizzativi (riduzione del numero massimo di bambini per sezione in presenza di bambini con handicap, flessibilità organizzativa e didattica, progetti mirati e coinvolgimento di al-tre realtà), standardizzazione dell’in-novazione e “individualizzazione” e programmazione personalizzata.

In estrema sintesi, occorre pensare anche a:• riduzione del numero di bambini/

alunni per classe;• organizzazione delle attività per pic-

coli gruppi, programmazioni indivi-duali, flessibilità, forme di didattica individualizzata;

• attività di laboratorio e altre attività educative e progetti specifici;

• progetti mirati di accoglienza;• adattamento della didattica ai biso-

gni (adattamento del curricolo, degli obiettivi, delle metodologie di inse-gnamento);

• collegialità e forte collaborazione tra insegnanti;

• partnership con le famiglie;• importanza del riconoscimento pre-

coce della difficoltà e della risposta possibile;

• progetti comuni con i servizi territoriali;• continuità educativa e continuità

didattica;• attività extrascolastiche per integra-

re l’attività educativa in continuità e coerenza con i servizi/attività/impe-gni esterni (riabilitativi, ricreativi, sportivi...) e coinvolgimento di altre realtà (sportive, ricreative, di volon-tariato...).

I bambini in difficoltà

Nel contesto scolastico si riscontrano anche molte situazioni di disagio socio-culturale e, nei casi più gravi, emar-ginazione. Le cause della marginalità scolastica possono essere diverse: socio-culturali, socio-economiche, cause in-terne alla scuola, cause personali degli allievi. Nel nostro Paese esiste un chia-ro, avanzato e ormai definito processo di integrazione scolastica per gli alunni con disabilità, mentre sono meno chiare o evidenti le azioni da adottare per gli alunni con problemi di apprendimen-to e/o di comportamento non dovuti a cause particolari o non rientranti nelle definizioni previste dalle norme per la disabilità, e per gli alunni con difficoltà derivanti da svantaggi di origine sociale e culturale.Oltre alle disabilità individuate secondo le norme, esistono difficoltà, disturbi, stati di malessere, situazioni di crisi, forme patologiche anche transitorie non classificabili come handicap, anche se in passato a volte segnalate come tali (in mancanza di altre possibilità o risorse) al fine di fornire forme di aiuto perso-nalizzato a soggetti a possibile rischio evolutivo. I tipi di difficoltà possibili possono essere esemplificativamente e sinteticamente così elencati: disturbi dell’apprendimento, disturbi del lin-

guaggio, disturbi dell’attenzione (con o senza iperattività), disagio affettivo-relazionale-familiare, disturbi d’ansia, disturbi delle abilità motorie, disturbi della condotta, disturbi derivanti da si-tuazioni sociali o familiari critiche. Può, in relazione a tale quadro, essere perse-guita una ipotesi generale di intervento quale quella del riconoscimento delle altre situazioni di difficoltà e della di-versificazione fra interventi rivolti agli alunni in stato di handicap ai sensi della norma e interventi rivolti agli alunni in situazioni di difficoltà, garantendo aiu-to qualificato a entrambi i bisogni. Tale approccio si inquadra in un concetto di diritto allo studio inteso non più solo co-me “aiuto ai bisognosi” ma come inter-vento per favorire la funzionalità educa-tiva della scuola e per rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale che possono determinare marginalità scolastica. Lo svantaggio e vari tipi di difficoltà non possono essere certificati come situazioni di handicap ma si può verificare, tuttavia, la necessità di evi-denziare una situazione di svantaggio/difficoltà che richieda l’attivazione di strategie e interventi e di tutte le forme di organizzazione del lavoro educativo che si rendano necessarie, finalizzati al recupero e all’integrazione, per creare le condizioni favorevoli per il superamen-to della difficoltà.

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Non è un Paese per bambiniGianni Manfredini

Presidente Consiglio di Polo 9,genitore della scuola dell’infanzia Meleri

Milano, come tutte le metropoli, è un luogo pieno di contraddizioni anche nel mondo dell’infanzia. Attorno al mondo dei bambini ruotano innumerevoli occa-sioni, attività, iniziative, come in poche altre realtà della nostra penisola. Tutta-via la vocazione lavorativa ed efficien-tista della città (e soprattutto dei suoi abitanti) è in conflitto con il mondo e i tempi dell’infanzia.E se c’è un luogo dove questa lontananza tra tempi dei bambini e tempi dei grandi (soprattutto del lavoro) si confrontano, e talvolta si scontrano, è proprio quello della scuola. A ben guardare, il genitore milanese vede principalmente la scuola come una necessità per poter svolgere la propria attività lavorativa. Il concetto di scuola come ambiente educativo è, pro-babilmente, secondario. Tutto ruota at-torno al mondo del lavoro, ai suoi tempi, ai suoi ritmi sempre più serrati e frenetici. E, per carità, è più che lecito. Ma i bambi-ni, in realtà, questa frenesia la subiscono perché non fa parte del loro mondo.Sapere però che esiste una scuola a cui affidare i propri figli durante il nostro tempo lavorativo è una reale necessità. Accade difficilmente, quindi, che il ge-nitore comprenda che il suo ruolo verso la scuola non debba essere solo di “vet-tore” che porta e preleva i figli, ma che possa invece trovare il modo di contri-buire attivamente alla vita scolastica, anche con piccoli gesti.Non è facile trovare il modo di coinvol-gere il genitore nella vita scolastica. Non è facile fare comprendere quello che accade nella scuola nell’intervallo che intercorre tra i due momenti di contat-to genitore-scuola, ovvero l’ingresso e l’uscita (che spesso sono pure delegati a

nonni e tate). Pur tuttavia è necessario riuscire a intuire il potenziale “nasco-sto” dei genitori che, se ben utilizzato, potrebbe sicuramente contribuire alla qualità della scuola.I genitori sfrecciano come meteore nel mondo della scuola dell’infanzia per la breve durata di permanenza dei propri figli. Alcuni di loro portano un bagaglio (umano o professionale) molto ricco e si tratta spesso di trovare la semplice leva che scateni in loro la voglia di interessar-si di più alla vita scolastica. Sicuramen-te non è facile riuscire a trovare i modi per coinvolgere e “stanare” quei genitori che potrebbero dare un contributo che vada oltre all’obolo per la festa di fine anno. Occorre però che sia la scuola a scoprire questa alchimia e a trovare le strategie giuste per risvegliare la voglia di impegno sopita nei genitori. Perché i genitori, ahimè, da soli non ce la fanno!E proprio per quello che si diceva all’ini-zio: molto spesso il genitore (soprattutto milanese) è stritolato e involuto nelle ne-cessità del suo mondo lavorativo e quello che interferisce con i tempi del lavoro è scartato a priori. Proprio per questo è an-che più facile prevedere che, anche nei mi-gliori dei casi, i genitori preferiscano im-pegnarsi su progetti dai tempi molto brevi.La moria di partecipazione su progetti e iniziative troppo dilatate nel tempo è molto elevata. Inoltre non è nemmeno facile fare arrivare la giusta informazio-ne alle famiglie sulle possibili modalità di coinvolgimento all’interno della vita scolastica, anche per quegli elementi già istituzionalizzati come i rappresentanti di sezione o i consigli di scuola.Ma è soprattutto in momenti come que-sto, di difficoltà e scarsezze economi-

che, che si rivela necessario l’impegno di tutti. E le famiglie potrebbero rappre-sentare l’arma in più per la qualità della scuola: occorre trovare il modo per riu-scire a coinvolgerle in modo costruttivo.

Le famiglie e la rete

Fenomeno molto attuale è anche il coin-volgimento e lo scambio di idee tramite la rete internet. Più che di un coinvol-gimento si tratta di un “interessamen-to” alla vita scolastica tramite le risorse offerte dal web. È comunque sempre più diffuso (e lo sarà sempre di più) l’u-tilizzo della rete per lo scambio di idee e il confronto di esperienze sul mondo scolastico.Si tratta di fenomeno da non sottovalu-tare assolutamente, in quanto la rete si prest a più facilmente ad amplificare il dissenso, più che a promuovere modelli.In pratica è molto difficile che tramite il web si riesca a diffondere e far conoscere esempi virtuosi del mondo dell’educazione (e ce ne sono) o di coinvolgimento scuola-famiglia; ma è molto più facile che trami-te la rete si possano diffondere (e magari anche distorcere) critiche e malumori otte-nendo un’ampia cassa di risonanza.È quindi sempre più necessario trovare il modo più idoneo ed efficace per instau-rare un canale corretto di comunicazio-ne tra la scuola e le famiglie, che riesca a scardinare la naturale inerzia dei genito-ri e che possa fornire loro uno stimolo a porsi sempre come elemento fondamen-tale e compartecipante nella vita della scuola e nel benessere dei nostri figli.Perché, anche in tempi difficili e di crisi, è importante ricordarci che il futuro so-no loro, i nostri figli.

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La cura e la relazione al nidoPia Iacoviello

Funzionario Servizi all’Infanzia, Comune di Milano,nido d’infanzia Borsa

Quando ho pensato di scrivere un arti-colo relativo alla cura e alla relazione al nido ho considerato che importanti autori hanno speso e investito tempo ed energie a illustrare l’importanza e i significati di questi aspetti molto prima di me e che non avrei potuto certamente aggiungere niente di nuovo e tanto me-no di illuminante a riguardo.Questa consapevolezza però non mi ha scoraggiato, anzi avevo già in mente di operare con il collegio delle educatrici delle riflessioni a tal proposito e l’idea di scrivere questo articolo ha solamen-te anticipato i tempi; la responsabilità insita nel lavoro di coordinamento dei servizi mi impone di mettermi in gio-co per ripensare agli interventi e al loro possibile miglioramento e quindi non è mai sufficiente porsi degli interrogativi. Quando i bambini si inseriscono al ni-do possiedono già una loro personale modalità interattiva con l’ambiente, ma senza dubbio la qualità delle relazioni che si stabiliranno successivamente con le educatrici rafforzerà e costruirà quel-la sicurezza di base, che renderà possi-bile l’esplorazione sia del mondo fisico che di quello sociale. Nei primi anni di vita l’identità del bam-bino si costruisce in termini cognitivi ed emotivo-affettivi attraverso le risposte che riceve dagli adulti che lo circondano: gli scambi visivi, le tonalità della voce, la gestualità corporea non rappresentano solo semplici risposte ma si connotano di intensità emozionale e restituiscono

valore e signifi-cato al bambino come persona.La teoria dell’at-t a c c a m e n t o (Bowlby) ha messo in evi-denza come il bambino crea legami affettivi e mentali attra-verso l’esperien-za di cura e di accudimento dei suoi bisogni, co-struisce rappre-sentazioni mentali e modelli interni di sé e dell’altro sulla base della presenza, della vicinanza, della disponibilità di chi si prende cura di lui: attraverso le mo-dalità dell’essere cullato, tenuto in brac-cio, coccolato, vezzeggiato, consolato, il bambino acquisisce una prima consa-pevolezza del sé corporeo e una prima consapevolezza dell’esistenza di un altro da sé significativo e rassicurante. Queste considerazioni costituiscono il punto di partenza necessario per non smettere mai di interrogarsi su come i piccoli gesti della quotidianità possano avere importanti implicazioni nella rela-zione con i bambini e come le stesse va-dano, se occorre, ripensate. Il confronto collegiale, la stesura del progetto educa-tivo e del POF rivitalizzano i momenti di cura restituendo la dignità e la giusta attenzione: non si tratta di un ripetersi

stanco di gesti e di azioni da parte delle educatrici, senza coinvolgimento, bensì di interventi pregnanti all’interno della progettualità che, proprio per i signifi-cati che rivestono, comunicano ai bam-bini cosa accadrà in quel particolare momento della giornata: ad esempio, nell’avvicinamento al sonnno dopo il pranzo, il compiere le azioni abituali scandiscono la temporalità e comuni-cano che a breve il bisogno di riposare verrà soddisfatto. L’interazione delle sequenze serve a organizzare la strutturazione della realtà, consente di consolidare, valo-rizzare e rinforzare le esperienze dei bambini producendo contesti facil-mente prevedibili. L’esplorazione del cibo, la giusta im-pugnatura del cucchiaio per portarsi il cibo alla bocca, sono esperienze tanto

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affettive quanto cognitive, non tanto differenti da quelle che sono definite attività quali l’impasto, il travaso, il colore... Tali considerazioni, infatti, hanno spinto in questi anni il personale educativo che opera nei nidi a destinare particolare attenzione alla progettazio-ne dei momenti di cura perché, unita-mente ad altre strategie, svolgono un compito decisamente pedagogico, an-che la semplice quotidianità può essere elemento di crescita purché non venga lasciata allo spontaneismo ma sia pen-sata intenzionalmente.In tal modo i bambini possono formu-lare anticipazioni e creare attese; attra-verso la coerenza dei gesti, la stabilità e il rispetto dei ritmi e dei tempi, si fa-vorisce la spinta evolutiva dei bambini preparandoli a fronteggiare le novità, a organizzarsi e a esercitare la propria au-tonomia: proprio il lavoro di cura fatto di gesti conosciuti, promuove capacità comunicative, rapporti sociali, compe-tenze cognitive.Progettare le routine significa anche accorgersi dei piccoli cambiamenti che avvengono nei bambini perché cresco-no e quindi mutano i loro interessi, an-che se la cornice istituzionale è invaria-ta; occuparsi del cambio è diverso dal pranzo o dal sonno in quanto afferisco-no a dimensioni differenti: comunicati-va la prima, di orientamento temporale le altre due.L’accoglienza e il commiato rappresen-tano momenti della giornata educativa importanti, costituiti da separazioni e ricongiungimenti da e con i propri cari.I bambini si recano con i genitori nelle sezioni dopo aver lasciato negli arma-dietti contrassegnati dalle loro foto le proprie scarpe e indumenti. I servizi aprono alle ore 7.30; general-mente in ogni sezione vi è un’educatrice e l’arrivo della seconda consente di por-re la giusta attenzione alla diade madre-bambino. La compresenza di due educatrici al mattino contribuisce sia all’accoglien-za individualizzata del bambino sia al sostegno, soprattutto iniziale durante la fase dell’ambientamento, della figura genitoriale che accompagna il bambino.

Al termine dell’ingresso solitamente le due educatrici si dividono in due sotto-gruppi in spazi differenti per offrire la possibilità ai bambini di “godere” di un rapporto numerico più contenuto che crea condizioni migliori per le relazioni tra bambini e educatrice. Un’accoglienza personalizzata, l’ac-cettare che il bambino porti con sé un gioco al quale è affezionato, che faccia da ponte tra casa e nido, rappresentano piccoli accorgimenti che favoriscono un distacco più sereno. Anche ritrova-re ogni mattina gli stessi compagni, lo stesso spazio, le educatrici è rassicuran-te e consente stabilità poiché gli eventi si ripetono. Gli spazi presenti in sezione sono accessibili e le proposte per i bam-bini comprendono giochi che consento-no sia l’aggregazione che l’individualità.Anche il commiato costituisce un mo-mento delicato perché talvolta il bambi-no fatica ad abbandonare le educatrici per ricongiungersi emotivamente con il genitore. Il bambino e il genitore vanno aiutati con delicatezza: il genitore deve saper comprendere che il bambino a volte può sembrare offeso e non deside-rare rivederlo, dimostrandosi disponibi-le nella seppur breve attesa a ricongiun-gersi e l’educatrice deve agevolare la ripresa di questo contatto. La compre-senza di due educatrici aiuta a gestire la

delicatezza del momento e a mantenere gli equilibri.Non di minore importanza sono il pasto, il sonno e il cambio.Il pasto è un momento di particolare impatto emotivo che si differenzia a secondo dell’età: i bambini piccoli af-frontano la conoscenza del cibo mani-polandolo, trasformandolo, i medio-grandi invece, seduti al tavolo con le educatrici di riferimento, acquisiscono alcuni messaggi: il gioco delle regole, la capacità di attesa del proprio turno, l’esperienza con i più grandicelli del cameriere, all’interno di una cornice di convivialità, perché consumare il pasto insieme è sinonimo di incontro sociale. L’atteggiamento dell’educatrice accoglie – ma anche assume un ruolo di regia – nel favorire piccole autono-mie nell’assunzione del cibo, evitando forzature che potrebbero scoraggiare anche la scoperta di nuovi alimenti. At-traverso il ripetersi dei gesti e delle azioni si costruisce la conoscenza della real-tà e la memoria; in questo momento è importante che l’organizzazione tenga conto della valenza educativa che si as-segna a questo momento con bambini così piccoli, predisponendo situazioni che facilitino lo stare dell’educatrice a tavola con i bambini senza spostamenti continui, ma favorendo l’agevole distri-

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buzione e consumazione del pasto con le risorse a disposizione.La cura e l’igiene del corpo sono uno dei momenti privilegiati di vicinanza nei quali i gesti, la tonalità della voce, lo sguardo dell’educatrice rivestono parti-colare importanza nella relazione indi-viduale, soprattutto con i più piccoli. Il cambio dei bambini piccoli avviene con l’educatrice di riferimento sul fasciato-io, mentre il cambio dei bambini medi e grandi avviene non solo in momenti pre-visti della giornata, ma con i più grandi che hanno, o stanno per raggiungere, il controllo sfinterico anche su loro richie-sta. È un momento delicato nel quale si agevolano i primi tentativi di autono-mia, verbalizzando le azioni e cercando compatibilmente con i tempi dell’istitu-zione di rispettare i ritmi individuali dei bambini.Francesca Emiliani rileva “Durante l’in-fanzia, in particolare la prima infanzia, la centralità dell’esperienza si organizza intorno al corpo del bambino e la quo-tidianità consiste, nella sua immedia-tezza, nell’organizzazione delle risposte al qui e ora della corporeità e dei suoi bisogni” (Emiliani, 2002).Infine il sonno che segna il distacco dal mondo conosciuto, dai giochi, dai com-pagni, si realizza rispettando una rituali-tà che nella quotidianità serve a costruire fiducia e infondere sicurezza. Ai bambini serve un gesto di affettuosità, di coccole e, laddove richiesto, la presenza dell’og-getto transizionale per sentirsi rassicu-rati. Lo spazio è oscurato per facilitare l’addormentamento e le educatrici sono presenti per sorvegliare il riposo e garan-tire la presenza di una figura familiare che accompagni il risveglio. Particolare importanza è data anche a questo momento in quanto i bambini necessitano di una voce rassicurante, di uno sguardo conosciuto, di un gesto affettuoso individualizzato prima di ri-prendere le relazioni.Da tutto questo emerge come la qualità del servizio si manifesta nella capacità di creare un ambiente ricco e interes-sante di proposte, ma anche un conte-sto che sappia offrire cura cioè attenzio-ne e impegno in ogni momento della

giornata, all’interno di una cornice di relazioni con i bambini ma anche con le loro famiglie. La molteplicità delle relazioni sosten-gono nei bambini la crescita di compe-tenze sociali che aiutano a strutturare un’identità più flessibile, più adeguata alla richiesta della società; è proprio attraverso le routine della vita quoti-diana che i bambini si inseriscono nel mondo delle relazioni e apprendono le regole che ordinano la vita sociale. La relazione al nido implica che la cono-scenza non si trasmetta ma si costruisca attraverso la sollecitazione che avviene tra bambini nello stare con l’educatri-ce. Quest’ultima ha la funzione di rico-noscere e stimolare le potenzialità che ogni bambino possiede, favorendo il passaggio delle conoscenze dal singolo alla comunità.Pedagogia della relazione è, infatti, l’e-spressione utilizzata per connotare la pratica educativa del nido “come un contenitore affettivo che dà sicurezza al bambino e lo so-stiene nella conqui-sta della progressi-va conoscenza della realtà” (Bondioli, Mantovani, 1998).“Stare bene con i coetanei e con gli adulti e riuscire a fare quello che ri-chiedono le cose in-torno a noi, giocare con gli altri in molti modi e con mate-riali diversi, sede-re a tavola con gli amici, dormire con altri bambini, dà al bambino la con-sapevolezza delle proprie possibilità, lo fa sentire mem-bro di un gruppo e lo conduce alla sco-perta del mondo” (Bruner, 2001).Molteplici sono le occasioni per favo-rire le relazioni al

nido: i momenti d’incontro informale durante le feste, gli incontri più istitu-zionalizzati legati alle riunioni di sezio-ne, le assemblee, ma anche le occasioni durante le quali i genitori offrono con-tributi personali legati alle loro spe-cifiche competenze. Accanto a queste situazioni, altre se ne possono identifi-care, ma quello che risulta importante nell’accompagnare la crescita dei bam-bini è che tutti gli adulti che circondano i piccoli debbano non solo comunicare e confrontarsi tra loro, ma tenere ben presente che le relazioni sono aspetti rilevanti della progettualità per tutte le implicazioni che ne conseguono.

Bibliografia

Bondioli A., Mantovani S., Manuale critico dell’asilo nido, Franco Angeli, Milano, 1998.

Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 2001.

Emiliani F., I bambini nella vita quotidiana, Ca-rocci, Roma, 2002.

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Declinazioni e Intrecci

Il valore del tempo e della relazione in educazione

Maurizia Pagano

Responsabile Ufficio Tecnico-Pedagogico,Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Le politiche per la conciliazione rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano a ciascun individuo di vivere al meglio i molteplici ruoli che gioca all’internodi società complesse.

www.politichefamiglia.it/documentazione/dossier/conciliazione

Oggi è molta alta l’attenzione sul tema enunciato nel titolo, molti sono gli inve-stimenti e i progetti presentati. Il tema della conciliazione dei tempi del-la famiglia e del lavoro coinvolge tutti: uomini, donne, organizzazioni; tocca la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e ha un impatto evi-dente sul riequilibrio dei carichi di cura all’interno della coppia, sull’organizza-zione del lavoro e dei tempi delle città nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico. Dove sono i “tempi dei bambini”?I bambini si includono nei tempi della famiglia, della scuola, dei nonni, del la-voro dei genitori... “incastrati” in mecca-nismi a volte “industriosi”, passando da adulti che li accompagnano ad altri che li intrattengono, li curano, li educano,

ad altri ancora che li vanno a prende-re... Cambiano luoghi e ambienti diversi nell’arco di una sola giornata: da casa a scuola, a casa di un amico, in piscina, a danza, a casa della nonna...Che cosa possono fare gli educatori, che passano con i bambini tante ore al gior-no, per rendere “il tempo dei piccoli” un tempo giusto, un tempo guadagnato e non perso, un tempo di ascolto e di rela-zione individualizzata, un tempo “tutto per loro”? Per i bambini non esiste e non deve esistere solo il tempo per imparare, è necessario anche un tempo in cui po-tersi conoscere, sperimentare, avvici-nare all’altro; un tempo per accogliere e sentirsi accolti, per ascoltare e sentirsi ascoltati; un tempo in cui poter impara-re ad accettare l’altro, nella sua diversi-tà, e conoscere il “piacere” di giocare e collaborare (foto 1).I ritmi della giornata, al nido e alla scuola dell’infanzia, scandiscono un tempo che ritengo non debba essere “pieno” o da “riempire” per un bisogno di efficienza e un esasperato “dover fare”, ma essi do-vrebbero avere, prima di tutto, un com-pito di accoglimento e di rassicurazione.Lo spazio e il tempo sono i fattori che sorreggono ogni situazione educativa, per questo tutti i momenti della giorna-ta possono e devono assumere una forte

valenza pedagogica che è quella dello stare bene insieme!Va allestito un ambiente favorevole af-finché i bambini possano apprendere non solo nelle situazioni guidate e strut-turate, ma anche nei momenti informa-li e nel gioco libero purché essi siano ricchi di risonanze affettive e cognitive (foto 2).Per fare tutto questo occorre la condivi-sione, da parte di tutti gli educatori, di uno stile che comprenda le relazioni tra le persone, le forme di comunicazione, la negoziazione, il rispetto e l’instaurarsi di un clima sereno, aperto e disponibile. Il significato educativo della giornata è quello di accogliere, valorizzare e dare “senso” alle molteplici attività del bam-bino, perché egli possa trovare un am-biente in grado di sostenerlo e aiutarlo nelle sue scoperte/esplorazioni e nei suoi processi di crescita.L’organizzazione di tali attività si fonda su una continuità, responsabilità, fles-sibilità e inventiva (in senso creativo) operativa e didattica in relazione alla va-riabilità individuale dei ritmi, dei tem-pi, delle motivazioni, degli interessi, dei bisogni e della personalità dei bambini. La progettazione dell’ambiente riscopre un aspetto fondamentale nell’organizza-zione della giornata educativa e deriva da precise scelte pedagogiche e da ipo-

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tesi favorenti l’approccio del bambino a un ambiente che deve essere ricco di og-getti da esplorare, conoscere, sperimen-tare, di strumenti per agire sulle cose, di materiali per ricordare e comunicare le esperienze (foto 3).All’interno di questo ambiente armonico e articolato in molteplici proposte edu-cative il bambino si muove, si organizza, sperimenta, conosce, “impara” insieme ai suoi compagni e alle educatrici (foto 4).La permanenza del bambino al nido e alla scuola dell’infanzia è fatta di azioni e gesti che tutti i giorni si ripetono: que-ste azioni segnano il tempo che scorre e danno ritmo e significato al suo essere lì. Per il bambino questi rituali quotidia-ni sono importanti perché lo rassicura-no, lo fanno sentire accolto e sono ric-chi di relazioni significative che danno intensità e ricchezza al tempo trascorso nel servizio educativo.

L’educatrice non deve dare per scontati gesti o momenti della giornata affidan-doli alla consuetudine/abitudine, ma deve mantenere una costante attenzione affinché il benessere del bambino passi anche attraverso le emozioni e la gestua-lità non-verbale che accompagnano i ge-sti delle cure quotidiane e dei momenti cardine della giornata (come la separa-zione dal genitore e il ricongiungimento serale che, a seconda di come avvengo-no, segnano il suo stato d’animo).Il compito è quindi quello di conciliare il tempo istituzionale con quello dei bam-bini, dei loro ritmi, dei loro interessi; pe-dagogizzare il tempo significa ordinare in maniera flessibile la giornata, in un alternarsi di giochi, esperienze, attività, relazioni volte all’individualizzazione e alla socializzazione.Il tempo istituzionale è quello definito dagli orari d’ingresso e di uscita, dall’o-

ra del pranzo, dal riordino e dalle puli-zie degli spazi, di un tempo che scandi-sce l’inizio e la fine... Ecco che allora, dentro al tempo istituzionale, devono rientrare i propri tempi (dell’adulto e dei singoli bambini), tempi differenzia-ti, plurimi, diversi...Il tempo non è un vuoto contenitore da riempire, è un elemento di qualità e qua-lificante. Le educatrici devono rompere l’episodicità che caratterizza i passaggi da una cosa all’altra, stando nel momen-to, contenendo le ansie... incorniciando il fare: perché il bambino sa che c’è un tempo per... e un momento per...È importante mettere delle parole sull’e-sperienza, che aiutino il bambino a “si-gnificarla”. È il farci presenti al bambino nella nostra identità, mettendo la nostra parola, (dove per la parola è da inten-dersi anche un gesto o uno sguardo), il nostro modo di dire “siamo qua in due”.

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È accettare l’instabilità e la provvisorie-tà dei propri schemi per mantenere viva una dimensione di ricerca dove teoria e pratica si ridefiniscono incessantemente attraverso “domande” non solo riguar-danti le competenze e le problematiche del bambino, ma anche le proprie, il proprio modo di vivere le relazioni, il proprio modo di “sentire”. È il tentativo di porsi rinunciando ad anticipazioni e intrusioni, evitando di attribuire subito i propri significati all’azione del bambi-no... Scoprire l’infinita variabilità delle cose e non presupporre mai che esista un solo modo, un modello, uno schema a cui doversi attenere. È un’acquisizione di libertà che può nascere solo dal rispet-to per i tempi e i sentimenti di ciascuno... Ed è sorprendente come, cambiando la qualità del nostro “ascolto”, i bambini modifichino il loro modo di essere...L’adulto è regista attento di questi mo-menti, connotandoli sia affettivamente sia valorizzandoli come momenti pre-gnanti di “sapere/apprendimento”.

Conclusioni

Le variabile tempo è sicuramente uno degli epicentri della programmazione educativa: infatti la descrizione della giornata educativa è sempre presente nei servizi.Questo è ulteriore motivo della sua im-portanza e della necessità di farne og-getto di riflessione culturale attraverso l’analisi dei tre ambiti, istituzionale, simbolico e prassico, che consentono di riflettere sui modi con cui il tem-po è presente nel nido e nella scuola dell’infanzia. Analizzarli separatamente permette di coglierne gli specifi ci ma è ovvio che i diversi aspetti sono tra loro interconnessi dato il carattere di globali-tà che sempre un problema riveste.In effetti, i tempi da considerare sono molti. Esiste il tempo dei bambini (che a sua volta è tempo di gioco, di appren-dimento, di scoperta, delle amicizie...), come anche il tempo degli educatori, del curriculum, della famiglia... II pro-blema sta nel trovare un’organizzazio-ne costruita su rapporti coerenti tra i diversi tempi.

L’educatrice, che ha come riferimento sempre le stesse fasce di età, rischia, negli anni, la ripetizione delle proposte, talora la noia e si muove in un tempo diverso da quello del bambino proteso alla costruzione di significati di cui non è ancora titolare e, quindi, caratterizza-to dalla voglia di comprendere, di esplo-rare, di fare domande.II tempo dell’adulto, inoltre, è spesso accelerato rispetto a quello del bambi-no, si costruisce su scadenze che non sempre corrispondono alla sua realtà, ai tempi del suo sviluppo. L’accorgi-mento che deve guidare l’educatrice è quello di non soffocare il tempo del bambino, onde far emergere in lui il piacere del suo tempo.Parlare di tempo significa fare riferi-mento a una dimensione mentale che ciascuno di noi costruisce in maniera molto personale e che regola la nostra vita nel privato come nel lavoro.Per portare un esempio estremo: la ten-denza ad arrivare sempre in ritardo o sempre in anticipo rispetto a un appun-tamento è rivelatrice del modo in cui, a livello individuale, viene vissuto il rap-porto con il tempo e su cui incidono va-riabili di natura emotiva, esperienziale, culturale. Organizziamo e impostiamo la nostra vita nel rapporto con il tempo nella sua triplice articolazione, presen-te-passato-futuro, con dominanze diver-se a seconda delle età, degli interessi, dei problemi da affrontare.Partire da una riflessione di carattere generale sulla variabile tempo aiuta a valorizzarne l’importanza per la quali-tà della propria vita e a considerarla, in rapporto al nido e alla scuola dell’infan-zia, come un parametro organizzativo fortemente incisivo sulla qualità del mo-dello (di servizio educativo) che s’inten-de attuare, nonché dell’esperienza che si vuole favorire. La consapevolezza della dimensione personale del rapporto che ciascuno di noi instaura con il tempo suggerisce, in prima istanza, l’impossibilità di (voler) dominare il tempo degli altri e la neces-sità di doverlo invece considerare un ri-ferimento essenziale per trovare i modi giusti per educare.

In educazione ci diamo obiettivi e ci poniamo scadenze, ma il problema sta nel vedere se le nostre scadenze corri-spondono alle scadenze (e, quindi, ai tempi) dei bambini. Spesso ci affezio-niamo a quello che riteniamo essere un buon metodo, considerandolo valido per ogni circostanza e in grado di ri-solvere tutto; ma in educazione occor-re tener presente il carattere mutevole della realtà, esposta all’interferenza di variabili non prevedibili che possono smentire le possibilità teoriche da noi previste.Altre volte ci adeguiamo all’esperienza passata perché “si è sempre fatto così” o “allora ha funzionato” o, molto più ba-nalmente, per ragioni di quieto vivere, per evitare conflitti con i colleghi o con gli ausiliari ignorando, anche in questo caso, il carattere mutevole della realtà.Come interviene la memoria nella no-stra progettazione del tempo? È una domanda da porsi perché la memoria è una variabile importante del tempo, ma deve servirci per guardare al futu-ro, per selezionare gli aspetti più rile-vanti dell’esperienza e reinterpretarli nel presente.Quando progettiamo, instauriamo un rapporto con il tempo poiché agiamo nel presente proiettandoci nel futuro (ci poniamo delle finalità e degli obiettivi, dei tempi per le attività ecc.) e recupe-riamo il passato come memoria dell’e-sperienza. Fissarla nel ricordo con la pretesa di replicare ciò che è già stato, ammesso che sia possibile, impedisce di cogliere il nuovo, toglie respiro culturale al progetto educativo e soprattutto nega il tempo come divenire.Ogni anno è diverso da quello che lo ha preceduto e quindi bisogna saper discernere ciò che va o può essere man-tenuto uguale, da ciò che va ridiscusso e modificato.In conclusione, è evidente come la varia-bile tempo sia importante per l’organiz-zazione del lavoro, come debba sempre considerare la complessità dei problemi e come sia impossibile prescindere dal confronto e dalla condivisione del pro-getto educativo da parte di tutti gli ope-ratori, ausiliari compresi.

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Una proposta al nido

I materiali:le cose che fanno la differenza!

Maurizia Pagano

Responsabile Ufficio Tecnico-Pedagogico.Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Il mondo è il luogo di infi nite,continue scoperte possibili.Nell’incontro con le cose si scopre il signifi cato delle parole, delle immagini,il signifi cato e il valore delle culture.

W. Ferrarotti

Negli educatori di nido “l’autonomia del bambino” non è intesa semplicemente come autosufficienza; ma significa, più ampiamente, quel benessere, quella si-curezza, quella fiducia che creano nel bambino il piacere e la voglia di fare, di comunicare, di esplo-rare, di esprimersi.Il bambino, quindi, è un essere competente, ovvero attivo nei confronti dell’ambiente circo-stante, le cui capacità e poten-zialità possono essere facilitate o inibite dal contesto educativo e dalle scelte operative, perché queste ultime veicolano sempre e in ogni caso un messaggio, sia esso consa-pevole o inconsapevole, ed è per questo che si ritiene importante un continuo lavoro di autoanalisi e di confronto.Con l’obiettivo di salvaguardare le possi-bilità dei bambini di godersi la creatività nella loro vita quotidiana, nella maggior

Materialeda toccare

parte dei nidi d’infanzia milanesi, oltre ai classici materiali e giochi finalizzati alle differenti età dei bambini, gli edu-catori utilizzano materiali destrutturati (“materiale lavoro”) costruendo e re-in-ventando giochi dotati di caratteristiche tali da poter essere utilizzati in modo poliedrico: hanno dimensioni medie, forme elementari, fanno parte dell’espe-

rienza percettiva, tattile e manipolativa fatta anche in altri ambiti di vita.I giochi sono costruiti dalle educatrici ma anche dai genitori, che sono sem-pre molto compartecipi e collaborativi rispetto a tutte le iniziative dei servizi.La raccolta dei materiali è “vissuta” insieme alle famiglie e ai bambini fi-nalizzandola anche a un aspetto ecolo-gico della vita, aiutando così i bambini, fin da piccoli, a un approccio attento all’ambiente, scoprendo insieme che al-cuni tipi di “rifiuti” possono diventare un “rifi-utili”.I materiali offerti secondo alcuni abbi-

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namenti stimolano diverse possibilità di gioco e sperimentazione.In questo modo si vuole offrire ai bam-bini altri stimoli, altre percezioni, altre sensazioni, altre domande...Con pasta, riso, legumi, sale, caffè, ceci, sabbia, terra... si creano situazioni di gioco nelle quali viene posto l’accento sulla capacità di compiere azioni inizial-mente tese a provocare effetti immediati e successivamente orientate a funzioni anche di tipo simbolico.Il bambino avrà la possibilità di compie-re azioni di conoscenza/trasformazione della materia sulla base delle diverse qualità fisiche della materia stessa.La predisposizione del materiale sarà finalizzata alla realizzazione di opera-zioni del tipo:• differenziare le azioni sugli oggetti

(azioni diverse su uno stesso oggetto, la stessa azione su oggetti diversi);

• toccare, esplorare, spostare, sollevare, lanciare...;

• compiere azioni sulla materia sulla

base di relazioni spazio/temporali (mettere un oggetto dentro l’altro, so-pra l’altro, di seguito all’altro...);

• mettere insieme, riunire, sparpagliare...;• stabilire corrispondenze.Lo scopo è l’acquisizione delle capaci-tà di riflettere sulle proprie azioni e di valutarne le conseguenze sulla base di risultati conseguiti.Un dato importante sarà la capacità di attivare nel bambino la “curiosità” come base di stimolo per le procedure prima di carattere operativo e poi simbolico. Con carta, carta da giornale, carta delle uova di Pasqua, cartoncino, carta cre-spa, carta velina, carta da pacco, cartone ondulato, contenitori delle uova, scatole di diverse forme e dimensione, scatoloni di differenti dimensioni, cartoline, stelle filanti, sacchetti di diverse dimensioni, bacinelle per l’acqua, colla in polvere, vi-navil, forbici, pennelli... vengono offerte una pluralità di occasioni di gioco per i bambini che via via costruiscono una loro storia usando tale materiale per:

costruire, distruggere/rifare, sperimen-tare, inventare...Il materiale, seppur identico, ha una di-versa funzione e/o utilizzo a seconda dei bambini e dell’età, perché osservando i loro giochi si notano molteplici moda-lità di approccio ai materiali. Quindi, a ogni età, l’esperienza offre possibilità di “vivere” giochi diversificati e calibrati ai bisogni sia dei singoli sia dei gruppi.Le stanze/spazi delle parole sono orga-nizzati con materiali diversificati.• Libri realistici, fantastici, magici, di

parole, storie (dalle più semplici alle più complesse), libri dei suoni e delle paure, filastrocche e poesie.

• Libri cartonati, raccolta di cartoline, riviste, libri realizzati dalle educatri-ci con foto ritagliate dai settimanali e buste grandi per il gioco “dell’immagi-ne a sorpresa”, sempre usando mate-riale a recupero.

• Esposizione di materiale a portata dei bambini, preparato con immagini di giornali, di vita quotidiana, di fo-

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Materiale da infi lare

Materialeda nascondere... e poi scoprire!

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tografie, di cartoline, di paesaggi, di animali che il bambino può utilizza-re individualmente o in gruppo per guardare, riconoscere, per far da sé o per ascoltare qualcuno che spiega o racconta.

• Le Casette delle parole... dell’acqua, della paura, del prato: si tratta di sca-tole delle scarpe preparate dall’edu-catrice decorate in base a quello che rappresentano. I bambini, partendo da uno spunto qualsiasi dato dall’e-ducatrice, sono invitati a dire tutte le parole che conoscono o vengono loro in mente legate all’acqua, al prato, alle loro paure o a ciò che fa paura; l’edu-catrice le scrive su foglietti e li infila nella casetta di appartenenza. L’uso di

questo gioco permette svariate moda-lità: l’educatrice mischia i cartoncini delle parole, li legge ai bambini e loro indicano la casetta giusta e li infilano (classificazione); l’educatrice legge i cartoncini delle parole e dichiara, ad esempio, che il pesciolino va nella casa del prato, i bambini correggono l’errore (gioco del contrario o dell’as-surdo); si possono creare tante casette quanti sono gli argomenti che i bam-bini sono interessati ad affrontare (la casetta degli animali, la casa dei bam-bini stessi, i giocattoli...).

Ogni attività che si svolge nel nido è po-tenzialmente un tramite di esperienza linguistica (le routine, i momenti di gio-co e di attività), ma certamente i giochi

ascoltare

Materialeda trainare

Materiale da

Davanti allo spazio tutto il corpo si mette alla ricerca di infinite possibilità...Materia, colori, forme, consistenze si prestano a trasformazioni continue e personali..Anche lo spazio contribuisce a riflettere su ciò che è..E potrebbe essere: colori, contrasti, forme morbide e rigide...Il pensiero, le parole, i materiali, gli assemblaggi i giocattoli sono voler andare al di là di ciò che vediamo... si inizia a lavorare giocando a inventare.E le mani... trasformano!La concentrazione è percepita e diventa energia creativa:

io inventoio guardo

io modificoio sono!!!!

costruiti con i bambini, come le Casette delle parole e gli spazi rivolti al linguag-gio, sono più coinvolgenti e fi nalizza-ti... Durante tali momenti l’educatrice ascolta la parola infantile e la traduce in una forma linguistica più articolata, at-traverso rilanci e ampliamenti, in modo da restituire al bambino la sensazione di essere compreso e arricchire le sue ca-pacità comunicative.

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è anche...

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La scuola come bene di tuttiElena Salatti

Funzionario Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Elisa Palazzolo

Educatrice

Antonella Cattaneo

Rappresentante genitore Consiglio Scuola, scuola dell’infanzia Paravia

Fornire una spiegazione chiara ed esau-stiva di cosa intendo quando parlo di scuola come bene comune senza ricorre-re a cliché o affermazioni che possano sembrare retoriche è complesso e grati-ficante quanto la strada da percorrere. Esso non è la semplice somma di beni e interessi individuali, bensì un bene so-ciale che le persone condividono grazie alla loro attiva partecipazione alla vita della comunità. Nella scuola sono posti i tasselli di quella cittadinanza, fatta di senso di appartenenza e di valori civici, che è alla base del bene sociale. Nel contesto scolastico il bene comune costituisce il più solido anello di con-giunzione tra generazione e generazione, tra un’età presente che sta rapidamente cambiando e quel futuro che vogliamo costruire. L’interdipendenza che lega educatori, bambini, famiglie, istituzioni è dunque finalizzata alla crescita di tutti. In teoria, la famiglia si rivolge alla scuola per condividerne il progetto educativo, in quanto complemento della propria pro-gettualità sui figli, e stipula con essa un patto educativo in cui è parte attiva. Fra educatori e genitori, se il rapporto è regolato solo da circolari e da dispo-sizioni (ovviamente necessarie per molti aspetti), prevarrà un rapporto forse for-malmente corretto, ma sostanzialmente

di reciproca lontananza e diffidenza; indispensabile sarà individuare e chia-rire le reciproche competenze, segnare i propri confini, individuando un punto di mediazione dei rispettivi interessi. Per diventare alleati è però necessario fa-re qualcosa di più. Diventare alleati non è scontato o inevitabile, la condivisione del valore spinge a cercare di capirsi, a superare le difficoltà e cercare l’accordo.D’altro canto la scuola, se non fonda l’azione educativa sulla fattiva collabo-razione con le famiglie, poco riesce ad attuare e finisce per vedere impoverita la propria opera. Favorire al massimo

l’assunzione da parte della famiglia del proprio ruolo formativo serve proprio a rendere maggiormente incisivo il per-corso educativo. A tal proposito Rodari osservava che “il punto cruciale è quello dell’incontro di base fra genitori ed in-segnanti, forma concreta dell’incontro tra Scuola e Società: se questo incontro fallisce, la struttura non vive”.

Primi passi verso il cambiamento

La realtà sociale e di quartiere in con-tinuo mutamento ha richiesto, nel settembre 2011, lo spostamento del-

I bambini in seria [email protected]

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la sezione Primavera dalla sede di via Stratico a quella di via Paravia. La con-seguente riorganizzazione degli spazi interni alla struttura e a riflessioni co-me quelle suddette hanno rappresenta-to il terreno sul quale si è lavorato per ridefinire l’identità della scuola insie-me alle famiglie.La scuola dell’infanzia di via Paravia 3, a Milano, è situata nella zona 7, che si estende a ovest del centro della città e, più precisamente, nel quartiere San Siro. La riorganizzazione territoriale del settore Servizi all’Infanzia, avvenuta nell’anno 2009-2010, ha segnato il mio ingresso all’interno di questa scuola dell’infanzia. A seguito di un primo pe-riodo di osservazione e valutazione delle risorse esistenti (gruppo di lavoro, fami-glie, personale ausiliario), ho avuto mo-do di rilevare la presenza di competenze e potenzialità finalizzabili a un cambia-mento, tanto nella forma quanto nella sostanza, nella convinzione di base che i rapporti di collaborazione, se possono essere facilitati o ostacolati dalle carat-teristiche dell’organizzazione, sono in parte dovute ai valori e alle decisioni di chi opera in essa.

Trasformazione del progetto educativo-didatticoSenza mai disconoscere il pregresso, era forte soprattutto il bisogno di cambiare forma, di potersi ridefinire di fronte al nuovo e di rendere reversibili e rinno-vabili scelte e decisioni. Il percorso in-trapreso ha visto il passaggio graduale da una metodologia per progetti a una metodologia laboratoriale condivisa. L’u-nitarietà si è sostituita alla frammenta-rietà; l’apertura al di fuori dell’esclusivo contesto di sezione, lo scambio assiduo, la continua collaborazione dell’intero collegio nella condivisione di sinergie e di esperienze hanno preso il posto della staticità, dell’irrigidimento, dell’esclu-sività dei saperi e delle conoscenze. La forza alla base di un’identità univoca, di un metodo e di uno stile educativo con-diviso hanno reso la scuola dell’infanzia Paravia maggiormente riconoscibile per le famiglie, rendendo inevitabile il pas-so successivo che ha visto queste ultime

maggiormente coinvolte nella vita scola-stica secondo un ottica di alleanza e non di contratto.I genitori hanno ripreso parte alla vita della scuola attraverso diversi canali: si sono abbozzati inizialmente i primi la-boratori al fine di organizzare feste ed eventi; i rappresentanti di classe, insie-me alle educatrici referenti, hanno poi ragionato, ipotizzato strategie e hanno fatto da tramite presso altri genitori traducendo e interpretando il percorso, evitando in questo modo fraintendimen-ti e incomprensioni.

Trasformazione degli spaziIl cambiamento metodologico e l’aper-tura della sezione Primavera hanno ri-chiesto la ristrutturazione degli spazi dell’intera scuola, resa possibile sola-mente grazie all’intervento sinergico di tutte le parti in gioco: i bambini, il grup-po di lavoro, le famiglie, il Comune di Milano nelle persone del settore Manu-tenzione.La riorganizzazione dello spazio ha in-vestito un ruolo fondamentale, spazio come contesto di azione privilegiato, pen-sato e progettato per essere il più con-fortevole possibile, per aiutare i bam-bini a stabilire forti legami, invitandoli all’azione, consentendo loro di agire in modo indipendente, lavorando a un bas-so livello di stress (poco rumore, poca

confusione visiva e un buon rapporto spazio-bambino). All’interno di ogni se-zione sono stati realizzati angoli più ca-ratterizzati, riconoscibili e funzionali e si sono stabilite regole condivise sull’uso degli stessi, garantendo ai bambini più autonomia nella loro gestione e nella loro fruizione. All’interno degli spazi la-boratori il gruppo diventa un “gruppo di ricerca e di apprendimento”, dove ogni bambino condivide con gli altri la “fati-ca” e il “piacere” di esplorare, valutare, confrontare, negoziare i significati per arrivare alla costruzione del sapere in-sieme alle educatrici.Il salone antistante le sezioni è stato tra-sformato da semplice luogo di passaggio a spazio semi-strutturato fruibile anche per lo svolgimento di attività di piccolo gruppo. L’ingresso è stato reso più ac-cogliente e più funzionale allo scambio di comunicazioni scuola-famiglia nella convinzione che già tale ambito debba comunicare non solo le direttive istitu-zionali ma anche lo spirito e le scelte educative della scuola.

I tempi dei pensieri e delle azioni

• Settembre 2010-giugno 2011: riunio-ni di collegio, di classe... riunioni per fasce d’età... riunioni... per motivare e discutere il cambiamento e ascoltare la voce di tutti.

I genitori al lavoro

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• Maggio-giugno 2011: si svuotano le classi... anzi no, la scuola. Bambini, educatrici e personale ausiliario sud-dividono e catalogano i giochi, attività di seria azione per i bambini.

• Fine giugno-luglio 2011: ristruttura-zione degli spazi della sezione Prima-vera, abbattimento armadi obsoleti, ristrutturazione bagno, tinteggiatura nuovi ambienti (a cura del settore Manutenzione).

• Fine giugno-luglio 2011: posa di cin-que pareti in cartongesso per amplia-re/modificare una sezione e creare quattro spazi-laboratori (a cura del settore Manutenzione).

• Fine giugno-luglio 2011: inventario dei mobili obsoleti e ritinteggiatura/riparazione di quelli ritenuti ancora utilizzabili, perché quasi tutto può tornare “bello”. Colori: giallo tenue per gli spazi comuni, giallo topazio, blu zaffiro, verde smeraldo, viola ametista, rosso rubino e... bianco e tundra per i piccoli della Primavera-Diamante. Tutto a cura dei genitori catturati, delle educatrici, dei loro fi-gli... e della dirigente.

Documentare in modo dettagliato le trasformazioni verificatesi, i percorsi didattici e i percorsi di apprendimento è e sarà nel tempo l’impegno del gruppo di lavoro: storia, memoria e costruzione sono il fondamento di un’identità condi-visa. Il libro fotografico che illustra que-sto primo periodo, disponibile presso la scuola, ne è una testimonianza.Segue, a complemento della descrizione del cambiamento della scuola dell’infan-zia Paravia, la voce delle famiglie nella persona di Antonella, indispensabile so-stegno attivo a questa impresa!

La parola alla rappresentante del Consiglio ScuolaSiamo partiti da una riflessione: la fami-glia metropolitana è in crisi.La solitudine e la frenesia non lasciano spazio a momenti di riflessione. Mam-me e papà lanciano i propri bimbi a scuola per iniziare a correre. Non hanno un istante per fermarsi ad ascoltare, a leggere e a scoprire e non permettono ai loro bimbi di farlo, pur forse deside-

randolo. La sfiducia nelle istituzioni e nella politica costringe le famiglie a rin-chiudersi in un nucleo critico e isolato che sta implodendo. Il bisogno è quello di una vita sostenibile e modellata sul-le persone. L’unico ambito istituziona-le con il quale entrano in contatto le famiglie è la scuola. Così riversano un malcontento in quei luoghi dove troppo spesso non esiste proposta educativa, di-sponibilità e ascolto.Partendo da questa analisi, siamo giunti alla comprensione che aiutare la scuo-la a riprendersi il suo ruolo di agenzia educativa può aiutare il genitore a ri-prendere fiducia e sentirsi più sereno nel lasciare il proprio figlio. Costituen-doci informalmente come comitato di genitori, abbiamo diviso le competenze creando gruppi di lavoro al fine di coa-diuvare le educatrici e la funzionaria nel loro progetto educativo, senza mai en-trare nel merito della programmazione pedagogica. La nostra azione di supporto alla ma-terna Paravia nasce perciò dal ricono-scimento della stessa come un’agenzia educativa guidata da personale qualifi-cato e in grado di aprirsi anche al de-siderio di partecipazione dei genitori. Tale partecipazione non può prescinde-re dall’ascolto e dal confronto reciproci. La collaborazione con la funzionaria e le educatrici e la loro fiducia nei nostri

confronti ci permette di realizzare even-ti e interventi volti ad aiutare i genitori a comprendere meglio la nuova proposta pedagogica.Al fine di raccogliere fondi senza chie-dere continui contributi volontari ai ge-nitori, già provati dalla crisi economica, abbiamo organizzato: merende, merca-tino di Natale e visite guidate in collabo-razione con l’Associazione Centro Guide Turistiche di Milano, le cui guide stanno offrendosi gratuitamente per la nostra causa. Abbiamo raccolto, e lo continu-iamo a fare, le varie competenze dei genitori della scuola per trasformarle in risorse per la comunità. Nonne, mamme e papà che tagliano e cuciono e prepa-rarono torte o pizze per gli eventi; papà, mamme e nonni che si occupano della piccola manutenzione; genitori che rea-lizzano piccoli spettacoli; gestione di un blog (maternaparavia.blogspot.com) con aggiornamenti di ogni tipo; addetti alle fotocopie; responsabili dell’organizza-zione eventi; responsabili delle relazioni con gli enti e le istituzioni esterne alla scuola ecc.Vogliamo aiutare l’agenzia educativa a riappropriarsi del proprio spazio sociale e del proprio ruolo nel territorio, affin-ché diventi un riferimento non solo per i bambini ma anche per le famiglie.Oggi possiamo dire che la scuola dell’in-fanzia Paravia è la nostra scuola.

La mitica Mimma, personale ausiliario

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Corresponsabilità educativaCristina Bozzi, Rosa Rusconi

Funzionari Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Premessa

La partecipazione è il valore e la strate-gia che qualifica il modo dei bambini, degli educatori e dei genitori di essere parte di un progetto educativo. Viene alimentata giorno dopo giorno nell’in-contro e nella relazione. La partecipa-zione valorizza tutti i punti di vista e ri-chiede una forte capacità di mediazione e si articola in diverse forme di iniziative che costruiscono dialogo e senso di ap-partenenza a una comunità.La partecipazione richiede ascolto ed è una condizione indispensabile al dialo-go e al cambiamento. Credere nel rap-porto scuola-famiglia vuole dire essere pronti per costruire una nuova alleanza educativa.Nella nostra carta dei servizi si eviden-ziano due elementi molto importanti: i genitori non sono solo utenti ma vengo-no considerati risorsa e, al tempo stesso, sono anche loro attori dello stesso ser-vizio. Sappiamo perfettamente che ogni rapporto, affinché cresca, deve essere alimentato. Gli educatori hanno speri-mentato varie forme di coinvolgimento nel corso del tempo, lal fine di stabilire una geografia di rapporti che eviti so-vrapposizioni e distanze. Riconoscendo che ogni servizio ha la sua identità, tutti sono chiamati a giocare metaforicamen-te la partita della co-educazione.Si tratta di riconoscere i propri ruoli, i propri confini per condividere uno spa-zio comune. Nasce quindi un rapporto di complicità dove ogni pregiudizio

viene allontanato, dove le pratiche dialogano con le teorie, gli spazi del nido e della scuola dell’infanzia diventano trasparenti agli occhi dei genitori e le diverse competenze si intreccia-no per arrivare al rag-giungimento di obiettivi condivisi, quali il benes-sere e la solidarietà.Tutti siamo chiamati a contribuire alla felici-tà delle bambine e dei bambini. L’anima infan-tile è un’anima molto te-nera e dobbiamo evitare l’incuria ma rafforzare gli atti di cura per nu-trirla. La vita non può fiorire senza gli atti di cura. Il senso di cura è mosso dal senso di re-sponsabilità e di rispetto per l’altro, e l’altro ha un valore intrinseco; ecco l’im-portanza della generosità nelle pratiche dell’ascolto.La carta dei servizi introduce accanto al concetto di scambio e di condivisione anche quello di responsabilità. Respon-sabile è colui che è garante delle proprie azioni, è consapevole del proprio ruolo e rende ragione del proprio agire. Una del-le rivoluzioni culturali in campo educa-tivo è stendere Patti di corresponsabilità con le famiglie e ciò prevede che ci sia l’incontro tra le due parti, la lettura dei

bisogni e la possibilità di un confronto. È necessario che ci sia una unità di in-tenti, una condivisione di valori e di stra-tegie e una volontà di collaborazione.

Patto di corresponsabilità

Il patto di corresponsabilità è una bus-sola, serve per orientare affinché i nostri servizi siano luoghi di crescita educa-tiva, culturale e formativa dei nostri bambini. Un patto è un accordo tra due persone, è un’unione armonica tra sen-timenti, opinioni, idee è... un’intesa. Ma

[email protected]@comune.milano.it

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come è possibile arrivare a un’intesa tra servizio educativo e famiglie? Il lavoro dell’educatore è un lavoro di cura in sen-so ampio, che passa attraverso i messag-gi, gli sguardi, le emozioni, ma soprat-tutto attraverso l’ascolto e il sostegno del bisogno dell’altro. Nel tempo abbia-mo utilizzato diverse forme di coinvol-gimento per favorire la partecipazione delle famiglie alla vita della scuola, ma oggi ci si chiede sempre più spesso co-me è possibile aiutare le famiglie sem-pre più sole e diverse, come sostenerle nell’apprendere buone pratiche genito-riali e quali mezzi possiamo utilizzare per arrivare a un rapporto di complicità.

Progetto “Genitori crescono”

Nell’ampia varietà di proposte che le scuole e i nidi d’infanzia del Comune di Milano offrono alle famiglie si inse-risce il progetto “Genitori crescono”, un percorso di ricerca-intervento nei nidi d’infanzia per una genitorialità creativa e consapevole. Il progetto, realizzato in collaborazione con la cooperativa Orsa e l’associazione Edint, è iniziato nel no-vembre 2009 e si è concluso nel giugno 2011 ed è stato finanziato con i fondi della legge 285/97.Questo percorso, che aveva l’obiettivo di sostenere il ruolo educativo dei genitori con figli che frequentano il nido d’infan-zia e di contribuire alla sperimentazione di buone pratiche relative alla collabora-zione con le famiglie, ha coinvolto venti nidi d’infanzia.Si è scelto di valorizzare il ruolo dei ser-vizi all’infanzia all’interno della comuni-tà favorendone l’apertura verso l’ester-no, affinché diventino luogo privilegiato di incontro e riflessione.Il progetto, attraverso un approccio in-tegrato di “ricerca-intervento”, era fina-lizzato a:• promuovere la crescita professionale

degli educatori che operano nei nidi d’infanzia, in particolare per quan-to riguarda la riflessione sul proprio ruolo e il rapporto con le famiglie dei bambini;

• accogliere i bisogni e riconoscere le competenze dei genitori, supportando

le famiglie nel proprio ruolo genito-riale e stimolandole a una partecipa-zione attiva alla vita del nido;

• sperimentare modalità operative per consolidare la relazione e promuove-re una reale collaborazione fra nido e famiglia, individuando le linee guida per la strutturazione di patti di corre-sponsabilità educativa.

Il progetto si è articolato in tre fasi principali

Prima faseLa prima fase è quella della ricerca dei bisogni formativi delle famiglie rispetto al loro ruolo educativo e agli educatori, sotto forma di questionari. In questa fase sono stati coinvolti 20 nidi, 202 educato-ri e 421 famiglie, mentre, nella seconda fase, la più operativa, l’intervento è stato calato solo su 10 nidi, 235 bambini e 350 genitori. In questa fase si sono realizzati incontri tematici su argomenti educati-vi che hanno alimentato il piacere della scoperta, offrendo ai genitori la possibi-

lità di un confronto che ha fatto nascere domande sui bambini e sul ruolo geni-toriale; con l’aiuto dell’esperto abbiamo provato a darci delle risposte e i genitori si sono appropriati di una chiave di let-tura dimenticata o non considerata.

Seconda faseQuesta è la fase dell’intervento, durante la quale abbiamo realizzato laboratori di pittura, cucina, giardinaggio, musi-ca, ballo, drammatizzazione, insieme alle famiglie. In questi momenti si sono condivisi spazi ed esperienze; i genitori si sono lasciati andare in situazione lu-diche e si sono appropriati di quel bam-bino che ciascuno di noi ha dentro di se. Accogliendo, osservando, giocando e co-progettando con le famiglie ci siamo appropriate di maggiori competenze, di ricchezze di intenti e pluralità di stili. Du-rante i laboratori i genitori hanno condi-viso con i loro bambini forti emozioni, si sono sentiti vicini empaticamente; il no-stro è un lavoro di cura in senso ampio, che passa attraverso messaggi, sguardi,

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emozioni, ma soprattutto attraverso l’a-scolto e il sostegno del bisogno dell’altro. Un aspetto di valore aggiunto di questa esperienza è che abbiamo fatto tesoro dei suggerimenti delle famiglie.

Terza faseLa terza fase è quella della stesu-ra del patto di corresponsabilità: si tratta dell’elaborazione di un patto di corresponsabilità educativa quale progetto concreto e mirato da realiz-zare l’anno successivo con l’obiettivo di sostenere e far progredire la collabora-zione nido-famiglia.

Valutazioni conclusive

Questo progetto ci ha pro-spettato una modalità di-versa e più consapevole di coinvolgere le famiglie. Po-tremmo dare un altro nome a questo progetto: non solo “Genitori crescono” ma an-che “Famiglie da scoprire”, perché attraverso i questio-nari, i momenti di incontro tematici e i laboratori abbia-mo conosciuto e scoperto le competenze educative delle famiglie, la loro complessità e dinamicità. È fondamenta-le costituire e diffondere una cultura del dialogo e della col-laborazione tra servizi educa-tivi e famiglie, quindi è stato possibile costituire alcune linee guida, alcune indica-zioni di metodo che potran-no indirizzare nella giusta direzione: quella di un patto di corresponsabilità educati-va solido e rispondente alle reali esigenze comunicative di ogni singola realtà. Il pro-getto ha supportato le educa-trici nell’acquisizione di una maggiore consapevolezza circa l’importanza di aprirsi alla famiglia e nella capacità di concretizzare nuove forme di coinvolgimento, ricono-

scendola quale partner privilegiato per il raggiungimento di obiettivi educativi importanti.Per quanto riguarda le famiglie si sono create le condizioni per favorire la cono-scenza fra genitori, che si sono sentiti un gruppo e hanno preso coscienza della lo-ro importanza nella vita del nido. Questo progetto è stato un’occasione per raffor-zare le competenze delle educatrici che lavorano nei servizi educativi del Comune di Milano, in quanto esse hanno scoperto

alcune modalità che, se utilizzate corret-tamente, le aiutano a conoscere i genito-ri e i loro bisogni. Questi ultimi, infatti, spesso non emergono in modo evidente oppure non vengono espressi in modo adeguato e si fanno solo intravedere.Consideriamo questo un “progetto pilo-ta” che da e darà il via a forme più am-biziose di Patti di corresponsabilità fra famiglie e servizi con la consapevolezza che lo sguardo verso il futuro contiene... uno sguardo di comunanza.

Patti di corresponsabilità educativa nei diversi nidi

NIDO CARNOVALIFavorire la continuità nido-casa attraverso la realizzazione di laboratori genitore-bambino (manipolazione, lettura insieme, costruzione) con merenda conclusiva. I genitori portano

le proposte e i materiali; le educatricistimolano la partecipazione, organizzano gli

spazi, moderano gli incontri.

NIDO CHECOVCondividere momenti ludici per viverelo spazio del nido e comprendere il suo

progetto educativo. Laboratori rivolti a bambini e genitori dei gruppi dei medi e dei grandi.

Le educatrici organizzano l’attivitàe la presentano a inizio anno.

NIDO TRINITÀPer aprire le porte alle famiglie desiderose di interagire con il nido: giornate aperte in cui il

genitore partecipa per un’ora alle attività con i bambini. Per “creare gruppo” e scambiare idee e opinioni fra genitori: incontri fra le famiglie

seguiti da una merenda con i bambini.

NIDO MASSAUAPer favorire l’unità d’intenti nella diversità dei ruoli si crea uno spazio e un tempo condiviso per la conoscenza, il confronto, il fare insieme. Incontri teorici e laboratori pratici fondati sul “sapere” dei genitori e delle educatrici, la gioia e la spontaneità dei bambini e la comunicazione

(bacheca, mailing list).

NIDO SARCAPer essere “responsabili insieme”

dell’educazione dei bambini, un ciclo di laboratori progettati dalle famiglie e dalle

educatrici insieme, nei quali bambini,educatrici e genitori possano utilizzare gli spazi

e le risorse del nido. Alcuni laboratorisono dedicati nello specifico ai papà.

NIDO OGLlOFare merenda insieme, una volta al mese per condividere uno spazio del nido e favorire la conoscenza e l’integrazione gra genitori. I I

genitori organizzano la merendauguale per tutti. La ritualità e la scansione

dei tempi permettono un partecipazione serena dei bambini

NIDO SANZIOAccogliere i bisogni delle famiglie e creare

occasioni di incontro ed esperienza comune. Due moduli composti da: incontro di scambio e riflessione attorno a un tema prescelto dai genitori; incontro esperienziale per le famiglie;

laboratorio bambini-genitori al nido.

NIDO S. MAMETERaffozare la condivisione tra famiglia e nido

rispetto a elementi cruciali della prassi educativa. Organizzazione di merende pre-inscrimento per i genitori “nuovi” insieme

ad alcune famiglie già inserite. Presentazione di 5 regole fondamentali per la vita del nido

attraverso una brouchure con disegni.

NIDO OJETTIEducatrici e genitori scoprono e valorizzano risorse e competenze del nido. Creazione

di una banca del tempo e delle competenzeche i genitori e le educatrici mettono al servizio della struttura e dei bambini. Attività condivise

al nido per vivere lo spazio e sperimentarele risorse scoperte.

NIDO PALANZONEPer valorizzare il progetto realizzato e

coinvolgere altre famiglie, una lettera scritta da un bambino, una mamma e un papà

racconta dal loro punto di vista l’esperienza vissuta e invita tutti alla partecipazione .

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Educazione e inclusione:opportunità per una rifl essione

Sabrina Feltrin

Responsabile Ufficio Interventi di Sostegno,Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Con il termine “inclusione” si designa il processo attraverso il quale il conte-sto educativo assume le caratteristiche di un ambiente che risponde ai bisogni della persona nella sua integralità e, quindi, di tutti i bambini, indipendente-mente dal loro livello di sviluppo e dalla loro età.È infatti il lavoro sul contesto nel qua-le la persona vive che stimola e orienta le relazioni del singolo con gli altri e gli permette di avere occasioni per costrui-re la propria identità, per sviluppare al meglio le proprie capacità e per ricono-scere a sua volta gli altri, come perso-ne, soggetti di valore che come lui spe-rimentano, si emozionano, esprimono pensieri, sentimenti e desideri.

Anche se l’Italia, a differenza degli altri Paesi europei, può vantare un’esperien-za di ormai quarant’anni di integrazione scolastica degli alunni con disabilità, possono essere fatti ancora ulteriori pas-si per traguardare un processo di inte-grazione di qualità: in particolare, sem-bra occorrere un approccio sempre più costruttivo e condiviso tra i diversi attori che si muovono nel contesto so-cio-educativo, idoneo per la creazione di ambienti sociali e fi sici accoglienti e facilitanti le diversità, attraverso buone prassi.

Pare importante, quindi, la sensibiliz-zazione degli educatori e delle famiglie e un’operatività molto determinata per realizzare processi effettivamente inclu-sivi; non possiamo più difenderci attra-verso espressioni stereotipe quali: “non ci sono abbastanza risorse, né materiali che professionali”, “non c’è un’organiz-zazione”, “non esiste una rete”. L’inte-grazione si promuove dall’interno, par-tendo dalla valorizzazione delle risorse presenti, cioè dalla collaborazione tra le persone e dallo sviluppo dei ruoli, dalle competenze che possono esprimere.

I servizi educativi devono mettersi in

rete con le tante realtà tecniche del ter-ritorio che offrono servizi e supporto ai bambini e alle famiglie, al fi ne di ope-rare una lettura il più possibile corretta dei bisogni a cui deve rispondere. Par-ticolare attenzione, ovviamente, deve essere posta nei confronti dei bambini con disabilità, così come di quelli che versano in situazioni di svantaggio o di disagio.

La diversità, che è una caratteristica di ciascuna persona, è infatti partico-larmente accentuata nelle situazioni appena menzionate e pone una sfi da al servizio educativo, che deve interrogarsi

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per defi nire modalità e prassi attraverso le quali non nega-re la diversità, ma permettere il migliore sviluppo delle ca-pacità e delle attitudini di cui il bambino è dotato.

Uno dei rischi ricorrenti in cui incappa il bambino disa-bile e che una scuola inclusi-va deve saper evitare, è peral-tro quello di trasformare le differenze in reali diffi coltà di apprendimento. Altro ri-schio è quello del confi no, da parte dei compagni, che a volte sono indotti a escluder-lo da attività di gruppo, poi-ché non lo riconoscono capa-ce di apporti signifi cativi.

La conoscenza da parte dell’educatore delle effettive capacità del bambino e l’ide-azione di opportunità per cui queste ultime possano essere messe in gioco – anche nel lavoro di gruppo – sembra-no essenziali per permettere che il bambino disabile e il gruppo in cui è inserito sviluppino iden-tità personali e sensibilità per il valore dell’altro.

Determinante è il ruolo di un’attenta definizione del progetto educativo in-dividuale.La questione è delicatissima e rappre-senta un punto di forte responsabilità per gli educatori, poiché i difetti di pro-gettazione possono ritardare e ostaco-lare la crescita globale dei bambini più in diffi coltà. Il progetto da elaborare, a sua volta, deve essere aperto, quasi un “preludio” degli sviluppi che in futuro, in altri gradi di scolarità, ma anche nella vita adulta, caratterizzeranno i vissuti della persona.È possibile raggiungere questa dimen-sione più ampia, quasi un “progetto di vita”, ponendo sotto controllo il modello pedagogico-didattico, da realizzare con percorsi fl essibili e articolati, ma anche individualizzati, al fi ne di rispondere

agli effettivi bisogni e alle reali potenzia-lità del bambino. La dimensione dell’in-tervento evidentemente comporta che i protagonisti della didattica, oltre che il bambino, siano gli educatori, ma anche quanti possono supportare il bambino stesso fuori della scuola o intervengano supportando la famiglia.

La rete di supporto sociale, quindi, di fronte al disabile, al disagio o allo svan-taggio deve farsi “sistema”: se ciò non avviene, la parcellizzazione delle azioni didattiche e delle opportunità extracur-ricolari porta il rischio di “partorire to-polini” pur mettendo in campo notevoli risorse, sia economiche che umane.

Non si trascuri, nella rifl essione edu-cativa, il fatto che i problemi posti da un soggetto in situazione di handicap, svantaggio o disagio altro non sono che problemi spesso latenti o in qualche modo mascherati che pongono talora

anche gli altri; il vero noccio-lo è quello di passare dall’il-lusoria omogeneità di chi deve essere educato alla plu-ralità dei soggetti che sono educati e apprendono, viven-do la diversità come risorsa d’insieme.

Queste consapevolezze a Milano ci sono, spesso sono espresse in modo esplicito e vengono portate a concretez-za dall’operato delle scuole, delle diverse istituzioni edu-cative e delle associazioni che assumono impegni a fa-vore dell’infanzia; in alcuni casi, le rifl essioni sopra deli-neate si stanno facendo stra-da in forme meno evidenti, ma sostanziali nei contenuti.La comune convinzione è comunque che, di fronte alla diversità, occorre farsi carico delle singole situazioni, dei bisogni individuali, dandosi l’obiettivo di offrire a ciascu-no le migliori opportunità perché si mettano in campo

le capacità, non i limiti.Si tratta ora di impegnarsi per dare con-cretezza a questo proposito e, primi fra tutti, si devono impegnare coloro che si prendono cura dell’infanzia.“Prendersi cura”, ovvero assumersi in carica l’altro nella sua peculiarità, sembra essere la locuzione chiave che consente di portare avanti iniziative capaci di promuovere effettivamente lo sviluppo armonioso della personalità dei bambini.

“Prendersene cura”,non “averne cura”!

Rinunciare alla direttività dell’approc-cio terapeutico – peraltro del tutto ina-deguato rispetto alla diversità irriduci-bile di ciascun individuo – per puntare, dunque, sul riconoscimento reciproco, il rispetto dei tempi, dei ritmi, delle capa-cità di ciascuno.

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L’importanzadel gruppo di lavoro

Concetta Simonetti Di Nisio

Funzionario Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Nei servizi all’infanzia del Comune di Mi-lano sono sempre stati riconosciuti il va-lore e l’importanza del gruppo di lavoro.La coscienza che il confronto, lo scam-bio, la condivisione e la messa in gioco tra adulti che si occupano, pensano e progettano per i bambini fosse alla ba-se di una “buona” azione educativa, ha permesso ai nidi e alle scuole dell’infan-zia della città di costruire una grande e lunga tradizione.

Negli ultimi anni – nonostante i cambia-menti della società (aumento progressivo di bambini stranieri, nuove esigenze di conciliazione dei tempi dei genitori, ritmi più frenetici della vita quotidiana...) – la consapevolezza e l’importanza del con-fronto in gruppo ha permesso di “tenere” il senso e i significati più pregnanti dell’of-ferta educativa e del fare quotidiano.

La valorizzazione del lavoro di gruppo – e del gruppo di lavoro quale strumen-to – è l’elemento che può consolidare il percorso delle qualità educative dei sin-goli servizi ed esso va in qualche modo formalizzato quale standard di riferi-mento “quasi naturale” nelle attività dei diversi servizi.

Nel mio lavoro di responsabile tocco con mano ogni giorno quanto il gruppo

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di lavoro sia fondamentale per il buon fun-zionamento dei servizi e per la creazione di un’atmosfera e un clima di fiducia e acco-glienza tra operatori, bambini e genitori. Per questo è importante che tutti gli operatori si sentano parte e creino un’identità di gruppo.Ma come si può creare un’identità di grup-po? Cosa favorisce questo processo? Alla ba-se c’è sicuramente la conoscenza e la fidu-cia reciproca, l’empatia, la condivisione di obiettivi e linguaggi comuni, il rispetto e a volte – perché no – anche lo scontro, ma so-prattutto l’essere “onesti” professionalmen-te, che vuol dire riconoscere i propri limiti e accettarli, ma anche riconoscere le proprie qualità e i propri talenti per metterli al ser-vizio del gruppo.

Come responsabile di più servizi, mi occupo di diversi gruppi di lavoro. La consapevolez-za della diversità dei gruppi – diversità che dipende dalle esperienze lavorative-profes-sionali di ognuno, dalle esperienze di vita, dall’età, dalla provenienza geografica, dalla formazione, da caratteristiche individuali (disponibilità al nuovo, timori, paure, pro-iezioni, identificazioni) – mi permette di non dare mai per scontato che il processo di crescita sia lineare o che il gruppo sia in grado di controllare le dinamiche interne per trovare una visione comune e anche per mediare sui valori e sui modelli individuali di ogni suo membro. La relazione fra adulti non è quindi scontata e facile. Mi piace pensarla come una pianti-na che va innaffiata ogni giorno di acqua e amore per poterla far crescere. In questo ca-so le relazioni vanno continuamente motiva-te, sostenute, sollecitate e nutrite di stimoli, riflessioni, scambi.Per questo cerco di offrire ai gruppi l’op-portunità di riflettere e discutere su svariate tematiche.Le modalità di confronto tra adulti che si oc-cupano di bambini possono essere diverse: • sottogruppi di lavoro intorno a tematiche

teoriche precise (per esempio: che idea di bambino ho in mente e che bambino ho in classe; che educatore ho in mente e cosa riesco a fare realmente ecc.), nei quali ci si abitua allo scambio e a far “girare” il pen-siero; a questa stessa tipologia di proposta appartiene anche una rassegna di film a tema con discussione finale;

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• gruppi di lavoro-sezione per la condi-visione di “casi” particolari o difficili, per parlare dei bambini della sezione, per organizzare spazi e materiali fina-lizzati agli obiettivi prefissati;

• incontri collegiali il cui compito è quello di discutere il progetto educati-vo, gli obiettivi e le attività in maniera condivisa fra i suoi componenti.

Il fine di questi di incontri è l’ascolto reciproco, la condivisione delle espe-rienze, lo scambio, l’aggiornamento su quanto accade nella vita del servizio. Questi sono momenti che uniscono, che permettono il confronto, il suggerimen-to, l’apprendimento costruttivo e che portano alla condivisione reale di un progetto educativo comune.

La figura del responsabile ha il compito di stimolare all’analisi, alla discussione, ma anche di curare la comunicazione con e fra i componenti del gruppo, di individuarne i limiti e le potenzialità, di aiutarlo a crescere e a modificarsi tenendo conto della realtà in cui opera; deve avere la capacità di cogliere le dif-ferenze, favorirle e orchestrarle per per-mettere al gruppo di crescere e poter avere così una sua identità; deve mira-re a incoraggiare il problem solving più che a imporre solu-zioni, in modo da permettere agli ope-ratori di “crescere” ed essere consapevo-li delle scelte e delle strategie che attua-no; deve condurre il gruppo ed esserne il regista che raccoglie le esperienze, rilan-ciando riflessioni e favorendo modalità omogenee per il rag-giungimento degli obiettivi prefissati. Il responsabile non è parte del gruppo in maniera costante, non è implicato nel-

teresse personale lascia il posto all’in-teresse del gruppo; dove ognuno può riconoscere il valore e il talento in sé e negli altri. Tutto questo non esclude momenti di tensione, aspettative, conflitti. Anzi, af-finché il gruppo possa avere l’opportuni-tà di crescere, a volte è necessario passa-re attraverso “la selva oscura...”.

Potrebbe sembrare quasi una visione utopistica, idealistica, poco aderente alla realtà dei nostri servizi. A volte lo è, a volte no, a volte solo in parte, ma è a questo che dobbiamo tendere perché noi adulti siamo un modello che i bam-bini seguono. Se un gruppo di lavoro in-teragisce al suo interno con consapevo-lezza, sapendo qual è il suo ruolo e il suo compito, dà sicurezza ed è un esempio che i bambini respirano. La visione di adulti che si parlano, che interagiscono in maniera armoniosa per il benessere della collettività, permette al bambino, che passa tante ore al gior-no a scuola, di vivere e respirare un’aria serena che ha alla base il confronto, l’a-scolto e il rispetto.

le dinamiche operative e relazionali del gruppo, ma è nel gruppo, è colui che ha la visione a tutto tondo, che comprende tutti i membri, si relaziona con tutti, li ricono-sce, li esorta, li aiuta e attua strategie prive di giudizio, facendo osservazioni e valuta-zioni sull’operato del singolo e del gruppo.

Per questo motivo il gruppo di lavoro non va considerato come punto di par-tenza, ma come una meta da raggiunge-re. Il lavoro in gruppo non è affatto fa-cile, è un “processo” continuo, variabile destabilizzante, ma anche ricco di valori e competenze dove ognuno può attinge-re e “crescere”.

L’immagine di gruppo di lavoro che ho in mente è improntata all’approccio socio-costruttivista, dove le regole sono dettate dal confronto e servono per il benessere di tutte le componenti del gruppo, dove ognuno mette a disposizione il proprio sa-per fare, anche senza ritorno immediato.

È un’immagine di gruppi a volte nume-rosi, a volte piccoli, dove i concetti io-tu, io-mio, è sostituito da io-noi e dove l’in-

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Noi, i nonnie la loro memoria

La motivazione che ha spinto il collegio educativo della scuola dell’infanzia Re-ni (polo 6, zona 3 di Milano) ad aderire all’iniziativa promossa dall’associazione ANTEAS (Associazione Nazionale Ter-za Età Attiva per la Solidarietà) è stata dettata dall’importanza della figura dei nonni, persone ritenute sagge, che cono-scono i modi più giusti per comportarsi in ogni situazione, che rappresentano forse i migliori educatori perché godono di un forte ascendente sui bambini.

Comunicare per vivere

I nonni possono essere un tramite di tra-dizioni, valori, usanze, ricordi della zona 3 da cui provengono che, col passare del tempo, ha subito profondi mutamenti: il quartiere Ortica infatti, in passato, era caratterizzato dall’esistenza di canali e corsi d’acqua allora non inquinati, che servivano per allagare i terreni coltivati a “marcita” e le risaie, gli orti e i campi di granoturco.I nonni si ricordano delle cascine con le aie, le stalle per gli animali e i porticati dove i bambini giocavano, ma anche le poche scuole elementari che si frequen-tavano al massimo fino alla quinta clas-

se, prima di andare a fare la sartina o a lavorare a “giornata” dagli artigiani o nelle fabbriche che cominciavano a sor-gere; e con le fabbriche arrivavano an-che persone da tutta Italia, gli immigrati prima dal Veneto e poi dal Meridione. Le case, prima basse tutto intorno, era-no adibite a servizi del mercato, ora so-no state sostituite da palazzi più grandi. Di questa parte di Milano, così distante e diversa dall’attuale, si conserva oggi un ricordo grazie a ciò che viene rac-contato dalle persone che hanno dato la loro testimonianza: dalla nostalgia per un passato che si rimpiange, all’orgo-glio per aver contribuito a costruire un mondo e una città dove, comunque, le condizioni di vita, dall’istruzione alla sa-nità, ai trasporti, al lavoro, sono indub-biamente migliori. Grazie ai racconti dei nonni, persone che abitano magari fin dalla nascita in questo quartiere, emerge un tratto ti-pico dei milanesi: la capacità di vivere da “personaggio famoso” in un quar-tiere più o meno periferico, circondato dall’amicizia, dall’affetto e dalla ricono-scenza dei suoi residenti. Loro, che con i racconti, le barzellette, gli aneddoti, le ricette, i consigli desiderano non di-

sperdere questo patrimonio di vita e di storia, desiderano che rimanga presente nei futuri cittadini milanesi.

Nonni amici

L’associazione ha pensato di incaricare i nonni di scrivere delle storie per rac-chiuderle in un libro, insieme ad alcuni disegni fatti dai bambini delle scuole di Milano; tutti i racconti sono frutto del vissuto personale, così da insegnare il valore dell’esperienza, far conoscere chi eravamo, capire il presente per proget-tare un futuro migliore, lasciando pe-rò anche spazio alla fantasia. Il nonno rappresenta un ponte tra generazione e culture diverse, una risorsa che crea una base solida per i bambini che si trovano a dover affrontare le prime esperienze di vita. Questa iniziativa si fonda, perciò, sull’incontro di epoche diverse ed è ca-pace di recuperare tradizioni, stimolan-do e promuovendo la valorizzazione del sapere del passato e dell’intelligenza cre-ativa. Si vuole promuovere, inoltre, la capacità di interpretazione dei racconti da parte dei bambini, stimolate dall’at-mosfera di sensazioni ed emozioni che solo i nonni sono in grado di creare.

Cristina Beretta

Funzionario Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Monica Francesca Mangiapane, Arianna Amadio

Educatrici

Scuola dell’infanzia ReniContatti: [email protected]

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Col passare degli anni questo progetto si è arricchito delle esperienze fatte e gra-zie all’impegno dei “nonni volontari”, che incontrano i bambini nelle scuole, sono aumentati i momenti in cui la loro presenza rappresenta un prezioso sup-porto per il personale educativo, in par-ticolare durante le uscite nel quartiere, le gite e i festeggiamenti in determinati momenti dell’anno (Natale, carnevale, festa di primavera...). Tutte le mattine, poi, i nonni aiutano le famiglie nell’attraversamento pedonale davanti alla scuola e collaborano con le educatrici inserendosi nel progetto edu-cativo, portando il loro sapere: in parti-colare, nella nostra scuola collaborano nell’ambito del “laboratorio” all’aperto, l’orto, fonte di stimoli, di curiosità, di profumi, di colori e di suoni.

Alchimie in tavola

Anche nel nostro laboratorio di cucina i nonni e le nonne si presentano come ve-ri protagonisti, cuochi esperti di ricette del passato, che utilizzano alimenti sem-plici e considerati “poveri”, che possono essere trasformati in piatti gustosi e pre-libati, come ad esempio la torta di pane, la torta di mais, il risotto allo zafferano e la polenta con polpette, evidenziando così anche l’importante aspetto educati-vo del non sprecare il cibo.Pesare, dosare, filtrare, setacciare, pe-stare nel mortaio, mescolare, scaldare: i nonni sembrano delle massaie di tanti anni addietro, che sfogliando il loro qua-derno, dove sono conservate le ricette e i segreti della cucina, riescono a trasmet-tere ai bambini la passione culinaria e l’amore per gli alimenti.

La società che cambia

Negli ultimi decenni si è assistito a un mutamento della società, in particolare per quanto riguarda la composizione delle famiglie. Oggi non esiste più soltanto la famiglia tradizionale, composta da mamma e papà, ma il nucleo familiare può essere formato anche da altre figure di riferi-mento, tra queste spicca la presenza

dei nonni, sempre più spesso valido e irrinunciabile supporto che consente ai bambini di partecipare a diverse attività extra scolastiche, senza gravare sui ge-nitori che hanno purtroppo poco tempo da dedicare ai loro figli. Questo migliora così la qualità della gestione delle dina-miche familiari.

Passato e presente si incontrano

La proposta di inserire i nonni nella scuola dell’infanzia Reni è molto ap-prezzata dai bambini, che attendono con entusiasmo, impazienza e curiosi-tà l’arrivo dei nonni, i quali, loro volta, non mancano mai di stupire, rallegrare

e sorprendere tutti noi con la loro gioia di vivere. Anche le famiglie, parte integrante della vita della scuola, si dimostrano soddi-sfatte e disponibili alla collaborazione, poiché anch’essere ripongono estrema fiducia e credono nel valore di queste fi-gure che incontrano e interagiscono con i loro figli. L’intento pedagogico che il collegio edu-cativo vuole perseguire è proprio fonde-re “il passato”, rappresentato dai nonni e dalle nonne, e “il presente”, rappresen-tato dai bambini, per un futuro fondato sul rispetto delle tradizioni e traman-dando di generazione in generazione questi valori.

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Danziamo dunque siamoNevina Denegri

Educatrice

“Dance, dance, otherwise we are lost”1 è il sottotitolo del bel film di Wim Wen-ders2 dedicato alla celebre coreografa Pina Bausch, ideatrice del Tanztheater3. Credo che la danza rappresenti real-mente una possibilità di non perdersi, di riconnettersi alla vita e ritrovarsi tra sospensioni e cadute.

Verso pratiche di desiderio:incontro al mondo

“La forza di un progetto non sta nella sua coerenza interna, nella sua validi-tà in vitro, ma nel suo rapporto con la complessità e con il reale” (Benasayag, Aubenas, 2004, p. 75). Abbiamo bisogno di pratiche educative che si prendano cura del bambino, inserito in una “co-munità di destino”4, che lo educhino a prendersi cura di se stesso, degli altri, del mondo, capaci di nutrire i nostri giovani e meno giovani, con pratiche gioiose, che nascono dal desiderio per alimentarlo. Occorre “sviluppare, di fronte al dilaga-re delle passioni tristi, una prassi gover-nata dalle passioni gioiose” (Benasayag, Schmit, 2005, p. 15).

Resistere è... creare ponti

La danza non è solo arte o tecnica ma è molto di più, è connessione con la vi-ta, i sentimenti, desiderio innato, espe-rienza intensa del presente, possibilità di relazionarsi con il mondo dentro e fuori, quindi integrativa del nostro Sé,

verso un Noi. “La danza restituisce all’e-sperienza del corpo e della sensibilità la priorità. È possibile danzare la propria vita nell’interezza della propria unicità, in armonia con gli altri e con l’ambien-te” (Toro, 2000, p. 34).La danza crea ponti: ciò che si esperisce dentro trova il modo di manifestarsi e ciò che si esperisce nella danza si ripor-ta nella vita, e viceversa, attraversando ponti che vanno e vengono, verso terre di mezzo, di frontiera e incontro. Il pon-te è dialogo.

In tras-form-azione: smarrirsi per ritrovarsi... tra danza e poesia

L’esperienza che racconto si è svolta nella scuola dell’infanzia del Comune di Milano di via Ugo Pisa 5/1. Costruita nei primi anni Sessanta, ospita oggi 5 sezioni eterogenee (circa 135 bambini) e circa 11 educatrici. Il servizio è situato in un contesto protetto dal traffico, con numerosi servizi e risorse afferenti. La maggior parte dei genitori è impegnata in attività lavorative che li occupa a tem-po pieno. I bisogni primari dei nostri bambini (necessità di essere ascoltati, “contenuti”, accompagnati e aiutati nel-le varie esperienze) devono essere curati con particolare attenzione e impegno, in una funzione di affiancamento da noi svolta rispetto alle famiglie. Lo scopo, forse tra tutti il più importante, è quello di creare, nel microcosmo della scuola, quelle armoniche condizioni di benesse-

re dove possa avvenire la crescita emoti-va e cognitiva dei bambini. I bisogni del-le famiglie sono, in particolare, l’utilizzo del servizio a tempo pieno, mentre quel-li rilevati nei bambini sono relazione e, soprattutto, ascolto. Da molti anni nella nostra scuola la danza è una pratica riconosciuta per il suo profondo valore psico-pedagogico. La scelta di riproporre i laboratori ogni anno nasce dall’intersecarsi del mio per-corso di formazione5, professionale ed esperienziale, che mi ha offerto la possi-bilità di sperimentare il nuovo, parten-do da una passione. È stato importante il clima del luogo educativo nel quale i progetti hanno preso corpo, un servizio dove abbiamo realizzato, nel corso del tempo, un progetto sull’accoglienza, in-tesa come mezzo e fine dell’educazione: “per noi fu una lenta Rivoluzione Co-pernicana: dalla centralità del progetto finalizzato al ‘prodotto’, alla centrali-tà del processo volto all’incontro”6. In questo contesto, avevo progettato un “laboratorio immaginale”7, nel quale i partecipanti si sarebbero confrontati con materiale simbolico diversificato: poetico, pittorico, musicale, narrativo. Inizialmente il laboratorio prevedeva di lavorare in modo creativo nell’ambito linguistico; ci ritrovavamo settimanal-mente8 in un’insolita “radura”, un luogo delimitato nello spazio e nel tempo cre-ato nel salone, uno spazio “sospeso”, do-ve “raccogliere” le parole del mare, perle da intrecciare per dare forma a poesie e

Scuola dell’infanzia PisaContatti: [email protected]

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storie. “La danza è una poesia dove ogni movimento è una parola [...] la danza è una poesia muta; la poesia è una danza parlata” (Dupuy, 2011, p. 22).Con il trascorerre del tempo, ci siamo accorti che per evocare i nostri paesag-gi mancava la terza dimensione, quella corporea; solo diventando noi stessi on-de eravamo riusciti a “portare il mare a scuola”, solo trasformandoci in gabbia-ni potevamo manifestare il nostro sen-tire e diventare credibili per noi stessi, per gli altri. Da questa prima esperien-za, il laboratorio ha subito una grande trasform-azione, aggiungendo tra i suoi ingredienti principali la danza. “Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole [...] perduti e disorientati. [...] A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità. [...] Si deve trovare un linguaggio – attraverso pa-role, immagini, movimenti, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre. [...] Non si tratta di ar-te, e neanche di una semplice capacità. Si tratta della vita” (Lectio magistralis di Pina Bausch, in Basso, 2012, pp. 19-20).Ricordo la prima storia messa in scena; un bambino, E., con qualche difficol-tà relazionale, non voleva danzare; un giorno portò a scuola un campanello e mi ricordai una storia il cui titolo era Il campanello magico, al suono del quale neanche gli animali più imprevedibili e feroci potevano resistere al desiderio di ballare. E. divenne il protagonista della storia; lui aveva trovato nel bosco, sba-gliando strada, il campanello. Il cam-panello magico fu un titolo profetico, poiché da allora la pratica della danza si è sempre più consolidata e ha occu-pato un primo posto nelle attività della nostra scuola, coinvolgendo nel tempo anche le altre colleghe. Eravamo passati dall’intreccio di parole per creare storie e poesie, all’intreccio di musica e gesti per muoverci tra suoni e silenzio, tra vuoti e pieni, per danzare la vita con passione e pazienza. “La musica è magia, nessuno ha resistito al suo universale richiamo; ci siamo lasciati accarezzare dalle melo-die, abbiamo ascoltato chiudendo gli oc-

chi e aprendo il cuore. Le note evocano sogni e ricordi, sentimenti inaspettati. Abbiamo iniziato a muoverci, l’abbiamo annusata e, inizialmente disorientati, ci siamo fatti abitare dalle note, ci siamo lasciati danzare [...] abbiamo imparato ad ascoltare anche i movimenti degli altri compagni di viaggio, a incontrarci, ad accordarci: come intrecciando le pa-role avevamo inventato le poesie, unen-do i brani musicali abbiamo danzato le nostre storie”9. Danzando raccontiamo qualcosa sulla tenerezza, la solitudine, la paura, la gioia, la malinconia, la speran-za; cerchiamo di rendere visibile ciò che è prezioso, di condividere ciò che è nasco-sto, di renderlo riconoscibile: “la rive-lazione di sé richiede l’incontro tra sé e l’altro” (Green, cit. in Adler, 2002, p. 68).La danza, come la vita, è sorprendente-

mente densa di sfumature. “Le domande non cessano mai e nemmeno la ricerca. C’è in essa qualcosa di infinito, e que-sta è la cosa bella. Mostriamo qualcosa di personale che però non è privato. Si mostra qualcosa di ciò che tutti condivi-diamo” (Basso, 2012, p. 25).

Il laboratorio, un luogo di ricerca: “a che servono le ali se abbiamo i piedi per danzare!”

“Se vuoi costruire una nave, non radu-nare uomini per far loro raccogliere il legno, per distribuire i compiti e sud-dividere il lavoro, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito” (Saint-Exupéry de, 1994).Da molti anni i bambini di 5 anni spe-rimentano settimanalmente la pratica

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della danza. I partecipanti10 si ritrova-no nella radura, oggi nella sezione az-zurra, delimitata da rituali: “formiamo il cerchio, togliamo le scarpe, ci predi-sponiamo all’ascolto, ci riconosciamo ricordando i nomi di tutti”. L’avvio del progetto è dedicato alla conoscenza del gruppo e a un primo approccio con la danza. La proposta è quella di muover-si ascoltando la musica e interpretando diversi personaggi, elementi, figure. I laboratori sono fondati sull’ascolto, l’e-spressione e l’incontro, tre elementi che si intessono tra loro generando la crea-zione di nuovi scenari, reali-fantastici, e di nuove storie da raccontare. La danza, ispirata da una grande varietà musica-le, valorizza l’autenticità, l’espressione e la creatività del singolo e, nello stesso tempo, promuove la capacità di ascolto e di modulare i propri passi rispettando i tempi dell’altro, a volte testimone del nostro movimento, altre partecipe di un movimento comune; si valorizza la co-mune umanità e la diversità: ogni-Uno di noi è un corpo nel mondo. “L’educa-zione dovrà fare in modo che l’idea di unità della specie umana non cancelli l’idea della sua diversità e che l’idea del-la sua diversità non cancelli l’idea della sua unità. [...] Comprendere l’umano significa comprendere la sua unità nel-la diversità, la sua diversità nell’unità” (Morin, 2001, pp. 44-46). Così, pur nel fondamentale rispetto di alcune regole (il silenzio e l’ascolto), e la presenza di figure e metafore che danno forma alle

esperienze (i “temi” delle diverse rap-presentazioni, gli scenari e i personaggi fantastici evocati dai partecipanti e dalla musica), la nostra ricerca è orientata a una danza che nasce dall’interno pur tra-sformandosi nell’incontro. Viene lasciata ampia libertà al gesto creativo e non esiste un modo corretto di muoversi. Le sperimentazioni si formano e mutano a seconda dei differenti “incontri”. Spesso la creatività dei bambini mi ha suggeri-to l’uso di oggetti impensati: foulard son diventati ali colorate, maschere hanno facilitato la danza dei mostri, l’uso dei cappelli è stato utile quanto quello dei bastoni o dei fiori, generando movimen-ti sincronici dai risultati inaspettati.

La strada si fa danzando: lasciarsi tramontare-lasciarsi essere

“Se sapessi come dirlo con le parole, non avrei bisogno di danzarlo” (Duncan, cit. in Gamelli, 2005, pp. 54-119). La danza, come la vita, sorprende: la nostra fragili-tà è la nostra forza, nella trasfor-mazione, ci mettiamo a nudo. “Dobbiamo fare le nostre esperienze... Non ci può aiutare nessuno. Tutto è direttamente visibile. Questa è la cosa meravigliosa della dan-za: il corpo è una realtà senza la quale niente è possibile, ma oltre la quale si deve anche saper andare. [...] La possi-bilità che abbiamo in scena è che ci è permesso compiere azioni che nella vita normale non si possono e non si devono fare” (Basso, 2012, pp. 19-20). Nei la-

boratori ogni esperienza va proposta in modo “fantastico”, poiché i bambini vi-vono in un mondo immaginario11: non è utile dire a un bambino “devi saltare ve-locemente”; è molto più efficace evocare per lui lo stregone della “danza scuoti-cespugli”, solo allora potrà trasformarsi realmente e compiere magie. In questa direzione è stato possibile esplorare i nostri “pluriversi”: una costellazione. Tutti noi siamo abitati dai personaggi più impensati, da forme e figure fanta-stiche, evocate da regioni della memo-ria, del sogno, del desiderio, attraverso le quali abbiamo fatto esperienza degli elementi del mondo naturale, dentro e fuori di noi, dei movimenti e sentimen-ti suscitati; esplorando la leggerezza dell’aria, la solidità della terra, la fluidità dell’acqua o il movimento ardito del fuo-co sono nate danze diverse e personaggi particolari che di volta in volta abbiamo ospitato, dando forma a emozioni e vis-suti inesprimibili a parole e lasciandoci contaminare dai molti incontri. Si esplo-rano così insieme le diverse possibilità di interpretare le musiche, di lasciarsi attraversare dalle melodie, solo se aperti a nuove avventure, disponibili a perdere la strada, con paura e coraggio, perché quando il bambino racconta di viaggiare negli abissi, va davvero in fondo al mare “ad ogni curva si apre una vista del tutto diversa, dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, e allora sì che la vita diventa infinitamente ricca” (Hillesum, 1985, p. 158).Solo se ci dimentichiamo un po’ del nostro mondo razionale, se ci lasciamo “tramontare”, il piccolo ci porta con sé, e possiamo ritrovare senza parole la semplicità dell’essere e del desiderio che tutti noi attraversa, perché “[...] non basta capire nel desiderio. Il desiderio riguarda l’autoaffermazione dell’essere attraverso ciascuno di noi” (Benasayag, 2005, pp. 58-61).Naturalmente non sono mancati mo-menti di smarrimento: arrivare con un’idea di percorso e dover cambiare direzione per incontrare i miei com-pagni di strada; abbandonare a malin-cuore le meduse nei fondali marini per accogliere il desiderio dei bambini di

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fare festa nella foresta, dimenticare la danza nel deserto per l’urgenza di assi-stere al risveglio del bosco o per volare a curare stelle marine cadute dal cielo. Comunque prepararsi è fondamentale, in particolare scegliere con cura la mu-sica, anche per essere pronti a cambiare direzione. “Mi domandavo se la musica [...] non fosse l’unico esempio di ciò che avrebbe potuto essere, senza l’invenzio-ne del linguaggio, la comunicazione tra le anime” (Proust, 1963).La musica, che riconduce nei luoghi dove sorgono sogni e visioni, è la no-stra più grande alleata. Sono stati questi momenti spiazzanti, i più (s)formativi, grazie ai quali ho compreso che se il coinvolgimento dei piccoli diminuiva ero io a non aver ascoltato bene; dovevo essere disposta a modificare i percorsi, a errare, nel suo duplice significato; a volte ancorata alle mie aspettative, affeziona-ta ai miei personaggi, non ero riuscita a dare risposte puntuali ai desideri dei bambini. Dovevo lasciare andare ogni appiglio rassicurante, per intravedere altri mondi.

Far migrare l’esperienzaLo scorso anno ho sperimentato il la-boratorio nella scuola dell’infanzia di via dei Narcisi, nella quale l’utenza è completamente diversa; la scuola è fre-quentata per il 70 per cento da bambini stranieri che conoscono poco la lingua italiana. Inoltre non ero un’educatri-ce conosciuta ma la “nuova maestra di danza”. Inizialmente, convinta che avrei potuto “esportare” l’esperienza più o meno nello stesso modo in cui la pro-ponevo nella mia scuola, ho imparato che, cambiando il contesto, la scena, si trasformano anche i personaggi e i loro desideri. Sono sorte domande diverse, per le quali ho dovuto aprirmi a nuovi sguardi, a nuove aperture, cambiare rit-mo, per esplorare altre strade.

“La natura ama nascondersi”12: tornare a casa, verso un’infanzia dello sguardo

“Le cose più belle sono nella maggior parte dei casi completamente nascoste.

Vanno prese, curate e fatte crescere pian piano” (Basso, 2012, p. 22).Quasi tutti i bambini hanno parteci-pato ai laboratori con piacere e han-no manifestato il desiderio di danzare ancora; hanno acquisito maggiore ca-pacità motoria, espressiva e relazio-nale. Non posso sapere quanto merito ha avuto-avrà la danza nell’integra-re lo sviluppo delle loro potenzialità identitarie, quanto favorirà nei futuri uomini e donne lo sviluppo dell’intel-ligenza integrata, dell’empatia, della comprensione e della com-passione, ma sono sicura del fatto che ha incre-

mentato il desiderio di danzare la vita. Nella sezione nella quale lavoro, dove la danza è divenuta una pratica quo-tidiana, l’armonia delle relazioni, la manifestazione di affettività, la comu-nicazione emotiva, la comprensione, il dialogo, il desiderio di condivisione e collaborazione, sono molto migliorati. Inoltre la danza è stata utile nella co-struzione di un’immagine corporea più complessa, integrata e armonica (ha migliorato la coordinazione motoria, l’equilibrio, il sinergismo, il senso cine-stesico, l’allentamento delle tensioni). Mi ha stupita il fatto che l’esperienza è

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stata particolarmente ap-prezzata da quei bambini con difficoltà relazionali, comunicative, emotive: la maggior parte di loro ha sempre danzato volentieri mostrando una capacità di esprimersi con il cor-po, di identificarsi con i personaggi e di prestare attenzione al materiale sonoro, di predisporsi e predispormi all’incanta-mento, spesso superiore agli altri. Risuonano in me le parole di due grandi danzatori. Scrive Dupuy raccontando la sua storia: “Senza dubbio si diventa danzatori per difficoltà con la parola” (Dupuy, 2011, p. 22); e gli fa eco Pina Bausch “fin dall’infanzia la danza è stata per me un mezzo di espressione molto importante [...] potevo esprime-re tutte quelle emozioni che non sape-vo dire a parole. Sono talmente tanti i differenti stati d’animo, tante [...] le to-nalità che si possono esprimere attra-verso la danza [...] si deve conservare la ricchezza, non limitarla [...] rende-re visibili e percepibili tutte le diverse sfumature [...] tutto coesiste [...] tutto è importante e vale allo stesso modo [...] si deve avere un grande rispetto per tutti i diversi modi di vivere e di vedere la vita. Le cose più belle sono nel-la maggior parte dei casi completamen-te nascoste. Vanno prese, curate e fatte crescere pian piano”. In questo senso infanzia e danza offrono molte possibi-lità, ma... bisogna avere coraggio.

Ringrazio tutti coloro che hanno abitato e attraversato la nostra scuola; Liliana Rizzati, allora nostra dirigente, e “mae-stra di vita”, grazie alla quale abbiamo intrapreso e approfondito, nel corso di circa sette anni, una ricerca sulle dimen-sione dell’accoglienza e abbiamo potuto “portare a scuola” le nostre passioni... Ringrazio in particolare i miei maestri di danza, i molti bambini incontrati che in-seguendomi mi hanno insegnato la strada.

Bibliografia

Adler J., Il corpo cosciente, Astrolabio, Roma, 2006.

Basso D. (a cura di), Verso di Me, Feltrinelli, Milano, 2012 (il volume fa parte del cofanetto Pina: danziamo, danziamo, altrimenti siamo perduti. Un film per Pina Bausch di Wim Wen-ders, dvd + libro).

Benasayag M., Contro il niente. ABC dell’impe-gno, Feltrinelli, Milano, 2005.

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Benasayag M., Schmit G. , L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2005.

Dupuy D., Danzare Oltre. Sscritti per la danza, a cura di C. Negro, Ephemeria editrice, Mace-rata, 2011.

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Gamelli I., Sensibili al corpo, Universale Melte-mi, Roma, 2005.

Hillesum E., Diario 1941-1043 (1981), Adelphi, Milano, 1985.

Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Mottana P. , Piccolo manuale di contro educa-zione, Mimesis, Udine, 2011.

Proust M. , Alla ricerca del tempo perduto, La prigioniera, Einaudi, Torino, 1963.

Recalcati M., Elogio dell’inconscio, Bruno Mon-dadori, Milano, 2007.

Saint-Exupéry de, Il piccolo principe, Fabbri Bompiani, Milano, 1994.

Thiphaine M., Biodanza Enfants, Edition CE-BO, Nantes, 2011.

Toro R. , Biodanza, a cura di E. Matuk, Red!, Milano, 2000.

1 “Danziamo danziamo altrimen-ti siamo perduti”.2 2011.3 Teatro-danza.4 Il concetto è di Edgar Morin, secondo il quale è necessa-rio educare alla complessità nell’era planetaria; ognuno di noi è attore di storie uniche, ma anche protagonistia della stessa vicenda, quella della specie umana sul pianeta Ga-ia che stiamo rischiando di distruggere.5 Lavoro da 22 anni come edu-catrice presso le scuole dell’in-fanzia del Comune di Milano, dove conduco i laboratori da circa 15 anni. Laureata in Scienze dell’Educazione, esper-

ta in Metodologie Autobiografiche, specializza-ta in Consulenza Pedagogica e Ricerca Educati-va, specializzanda in Antropologia ed Etnologia (Università Milano-Bicocca). Dopo una forma-zione di base in danza classica, ho esplorato-studiato e mi son lasciata “contaminare” da di-versi tipi di espressione corporea, partecipando a corsi e laboratori formativi di danza moder-na-teatro-danza, danze orientali, sud america-ne, capoheira, danza-terapia. Attualmente sono insegnante in formazione di Biodanza, pratica che ultimamente ha arricchito e influenzato il mio modo di condurre i laboratori. 6 Dal POF della scuola dell’infanzia di via Ugo Pisa 5/1, 2011-2012.7 Per questo laboratorio mi sono ispirata al corso di Ermeneutica della Formazione condotto dal professor Mottana nell’ambito del corso di laurea specialistica di Consulenza Pedagogica dell’Uni-versità Milano-Bicocca (www.immaginale.it).8 Partecipavano, a turno, circa dieci bambini di 5 anni, delle varie sezioni della scuola.9 Progetto del Laboratorio Immaginale 2005-2006.10 Il gruppo è di solito composto da 12 bambini, di differenti sezioni; il progetto si svolge solita-mente da gennaio a maggio. 11 Nel bambino è predominante la funzione dell’emisfero destro del cervello (percorso da onde di frequenza diverse rispetto a quelle dell’adulto), delegato all’intuizione, al simbo-lismo, alla circolarità nell’assenza di tempo, mentre nell’adulto tende a predominare l’emi-sfero sinistro, dipendente dal tempo, nel quale prevale il pensiero logico razionale, il linguag-gio, la scrittura, il calcolo.12 Eraclito, fr. 123.

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Il “tempo per le famiglie”

Ho bisogno di sentimenti, di parole scelte sapientemente, di fi ori detti pensieri,di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare, di stelle che mormorino al mio orecchio. Ho bisogno di questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà loro colori nuovi.

Tahar Ben Jelloun

Come potrebbe essere meglio descritta l’esigenza di socializzazione primaria presente nel contesto sociale contem-poraneo? Il “tempo per le famiglie” è il luogo dove si cerca di rispondere a questa esigenza: uno spazio fisico e relazionale che pro-muove il benessere psicofisi-co di bambini e genitori. Partiamo da una breve ma necessaria premessa storica.Il “tempo per le famiglie” è nato nel 1985 come iniziativa rivolta alle famiglie con bam-bini molto piccoli che non usufruivano dell’asilo nido e che non avevano, dunque, altra possibilità di socializza-zione. È nato da una conven-zione triennale del Comune di Milano con la fondazione privata Bernard Van Leer, che finanziava progetti diretti all’infanzia e alle famiglie in oltre 30 Paesi del mondo.Il Comune si impegnava a for-

nire sede ed educatori, mentre la Fonda-zione forniva i fondi per lo staff tecnico esterno, per la ricerca su cui si basava l’iniziativa, per la verifica, gli arredi, i materiali audiovisivi, le iniziative cultu-rali e di diffusione e per la messa a punto di un progetto formativo che prevedesse la costruzione di un modello replicabile.Nascendo come struttura “flessibile”, si poneva alcuni obiettivi:• individuare nuove forme flessibili e

informali di sostegno alle famiglie e ai bambini al fine di prevenire i disagi e i rischi creati dall’isolamento e dall’as-senza delle famiglie “allargate”;

• aiutare a prevenire nel bambino de-ficit dovuti a condizioni ambientali

insoddisfacenti, offrendo alle famiglie uno spazio fisico adeguato alla socia-lizzazione e all’esplorazione;

• favorire l’aggregazione spontanea del-le famiglie e l’emergere di forme di volontariato organizzato all’interno di una struttura pubblica capace di for-nire un corretto rapporto formativo;

• creare un modello nuovo e ripetibi-le a costi ridotti in cui si incontrino, all’interno di un processo avviato e orientato dal servizio pubblico, la professionalità di educatori e tecnici e l’iniziativa autonoma delle famiglie.

La convenzione con la Bernard Van Le-er prevedeva che l’iniziativa fosse fon-data su un’indagine approfondita delle

esigenze e dei problemi delle famiglie sottoposta a verifica dopo un primo triennio, per arrivare alla definizione di un modello operativo e for-mativo applicabile a costi ri-dotti e diffondibile in Italia e all’estero.Era un progetto di una incre-dibile modernità. Un proget-to che, dopo quasi trent’anni, oggi più che mai, conserva inalterata la sua formidabile attualità.L’odierno ambito metropoli-tano, dove i tempi e le oppor-tunità di costruire relazioni sociali significative sono risorse scarse, quando non

Laura Bagarella, Fulvia Monfradini, Marilena Chiari

Educatrici

Tempo per le famiglie FeltreContatti: [email protected]

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esistenti, determina una progressiva “privatizzazione” della vita quotidiana familiare, una chiusura nel domestico circa le responsabilità educative e il sen-so sociale. L’esigenza di un luogo, di uno spazio positivo “sociale” nel senso più alto del termine, è fortemente sentito dalle famiglie. Poter usufruire di spazi e tempi di re-lazione diversi da quelli strettamente legati allo spazio domestico vuol dire ar-ricchirsi nello scambio e nel confronto delle molteplici esperienze genitoriali, ed educative, nel rapporto di fiducia e collaborazione tra le persone, restituen-do valore alle proprie risorse genitoriali e allo scambio sociale.Stimolare e facilitare il gioco e la socia-lizzazione nei bambini, fa emergere in ognuno il massimo delle proprie capaci-tà, attraverso la formazione di un senti-mento di sicurezza e affetto.Il “tempo per le famiglie” accoglie e rico-nosce le persone.La coppia madre-bambino può trovare

spazio per iniziative autonome, veder promosse affinità e predisposizioni in-dividuali, può stabilire buoni rapporti nel gruppo e con l’ambiente in un clima sereno e positivo. Ciò fa di questo servizio quel luogo di benessere e di accoglienza che permette al cittadino di fidarsi delle istituzioni e, al bambino, di conoscere e consolidare relazioni affettivamente significative.Accogliere una coppia adulto-bambino al “tempo per le famiglie” significa pri-ma di tutto saper riconoscere le per-sone nella loro unicità, con una storia propria, con una propria identità e per-sonalità. Per citare ancora lo scrittore Ben Jelloun: “La diversità tra gli uomini è ricchezza. Imparare a conoscersi, a parlare, a ridere insieme è importante perché spesso mostrare che si hanno le stesse preoccupazioni ma anche gioie si-mili è una buona occasione per esplora-re orizzonti diversi, conoscere cose che non sappiamo e dire cose che altri non sanno.”

Il lavoro dei “tempo per le famiglie” è da sempre improntato sul profondo ri-spetto delle diversità, delle soggettività e dei tempi di ciascuno. L’applicazione di regole condivise e mai imposte, la dispo-nibilità, l’accoglienza e l’ascolto hanno rafforzato nel corso degli anni, sia nelle educatrici che negli utenti, la convinzio-ne che questi valori, uniti al rispetto per ogni singola modalità educativa, con-corrano a migliorare la convivenza reci-proca e siano facilitatori delle relazioni.I genitori che frequentano il “tempo per le famiglie” escono da questa esperienza con la sensazione di aver condiviso mo-menti importanti, conosciuto relazioni emotivamente “nutrienti”, acquisito espe-rienze attraverso la condivisione e il ri-spetto per ogni diversità, sia essa di razza o religione o di appartenenza ideologica.

La diversità è il contrariodella rassomiglianza,di ciò che è identico.

Colui che chiamiamo diverso ha un altro colore, parla un’altra

lingua, cucina in un altro modo,ha altri costumi, un’altra

religione, altre abitudini di vita, i fare festa ecc.

Tahar Ben Jelloun

Dunque si tratta di un luogo d’incontro nel quale sono offerti punti di osserva-zione privilegiata dell’esperienza del proprio figlio in un ambiente intimo, personale e familiare nel quale è pos-sibile sentirsi a proprio agio; una casa, “riscaldata” sia da oggetti di passata me-moria che da segni di vita che, grandi e piccoli, scrivono ogni giorno. È un luogo in cui a tutti gli adulti è riconosciuto il proprio spazio, dove poter essere prota-gonista, potersi esprimere, in un clima sereno e accogliente, e luogo formativo e ricreativo per i bambini dove, attra-verso attività pedagogicamente finaliz-zate si promuove lo sviluppo affettivo, cognitivo e relazionale, la crescita e il benessere. È infine uno spazio e un tem-po a misura dei bisogni del bambino per permettere lo sviluppo e l’adeguamen-

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to armonico dei suoi ritmi personali in sintonia con la famiglia. Uno spazio che promuove l’aiuto per e tra le famiglie, in una logica di solidarietà e supporto alle esigenze di cura nella vita quotidiana, per offrire un sostegno alla gestione della vita familiare, alla difficoltà di conciliare impegni e tempi di lavoro e di cura.Questa è la linea intorno alla quale si struttura il lavoro del “tempo per le famiglie”.Sono dei servizi che dovrebbero molti-plicarsi nei territori urbani ed essere so-stenuti da tutte le realtà territoriali, poi-ché sono la prima agenzia educativa che l’utente incontra e da cui può dipendere il buon esito di tutte i successivi incontri con le istituzioni.Rafforzare nei genitori la consapevolez-za che la responsabilità sui bambini non debba univocamente ricadere sulle loro spalle ma che, al contrario, essa possa essere “condivisa” nella comunità, pro-duce cambiamento sociale e fa sì che i genitori di bambini piccoli non debba-no essere mai più considerati terminali passivi di interventi di aiuto, bensì ter-minali “intelligenti”, competenti nell’or-ganizzare la propria vita quotidiana familiare e capaci quindi di attingere alle risorse disponibili, se solo sia data loro una base informativa tale da con-sentirgli di agire in modo autonomo e avveduto.Il “tempo per le famiglie” diviene dun-que un importante tentativo di rispon-dere in positivo alla crescente richiesta di aiuto dei genitori che, più si sentono soli e isolati nel fronteggiare i mille problemi della cre-scita dei bambini, più ri-schiano di “clinicizzare” tutti i problemi del quoti-diano.Laddove nel contesto urbano si vanno affievolendo le identità co-munitarie e va crescendo una fragi-lità dei legami sociali, promuo-vere una reale condivisione di impegni e responsabi-lità di cura, una forte e crescente “responsa-bilità pubblica” nel so-stenere e valorizzare la

genitorialità, è azione che getta le basi e crea solide fondamenta all’appartenen-za sociale di ciascun individuo all’alto senso della “cittadinanza”.Sostenere contestualmente dimensioni diverse della genitorialità, incentrate sull’idea base che l’aiuto può utilmente arrivare, oltre e più che dagli esperti, dai pari e da chi ha già vissuto in prima per-sona un’esperienza simile alla propria, rafforza e apre ai concetti di condivisio-ne e solidarietà.Questo è lo spirito del “tempo per le famiglie”, il suo motore, la sua forza propulsiva.Prendendo a prestito un breve passo di Hannah Arendt e sostituendo il termine “scuola” con “tempo per le famiglie” si sintetizza efficacemente quello che il “tempo per le famiglie” significa: “La scuola (il “tempo per le famiglie”) non è affatto il mondo e non deve pretendere di esserlo; è semmai ciò che può inse-rirsi tra l’ambito privato, domestico, e il mondo, con lo scopo di permettere il passaggio dalla famiglia alla società.”Negli ultimi dieci anni le famiglie sono cambiate. Diverse sono le loro esigenze e il loro approccio educativo. È interes-se di ogni educatore e di chiunque si in-teressi di educazione stare al passo con questi cambiamenti per conservare un

approccio efficace e attuale alle istanze educative. I “tempi per le famiglie” sono osserva-torio privilegiato sulle mutazioni della famiglia. Una grande quantità di dati e di materiale di studio può essere da essi attinto e utilizzato dai futuri educatori, patrimonio per definire strumenti di in-tervento e di offerta sempre più calibrati ed efficaci sulle esigenze delle famiglie. Poiché la cura delle relazioni è obiettivo primario del “tempo per le famiglie”, i rapporti individualizzati vengono curati in ogni momento della giornata coglien-do ogni occasione opportuna. Verso i bambini sono momenti di ascolto, di os-servazione e verbalizzazione, di dialogo, di sostegno nella relazione con l’altro. Verso gli adulti sono momenti di ascol-to, di supporto, di stimolo alla riflessio-ne sulle scelte educative proprie di ogni famiglia.La relazione con l’intero gruppo di adul-ti cerca invece modalità favorenti per l’aggregazione e la conoscenza, lo scam-bio di opinioni ed esperienze, il confron-to e la verifica delle varie istanze educa-tive. L’educatrice è di volta in volta: • memoria del gruppo quando riprende

temi emersi nei momenti informali;• moderatrice quando stimola il gruppo

a dibattere con ordine e rispetto delle differenti convinzioni;

• agente educativo quando tramuta in istanze

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pedagogiche le conoscenze educative teoriche.

L’organizzazione e il mantenimento dello spazio è uno degli elementi fon-danti della qualità del servizio affin-ché ciascun componente della diade si senta atteso e accolto in un luogo dove ri-trovarsi e ri-conoscersi. Non è mai dimenticata la presenza degli adulti ai quali il servizio offre punti di osserva-zione privilegiata dell’esperienza del proprio figlio in un ambiente diverso da quello domestico. Contemporaneamen-te, è uno spazio e un tempo a misura dei bisogni dei bambini, per permettere lo sviluppo e l’adeguamento armonico dei loro ritmi personali.Il farsi carico del singolo da parte delle educatrici facilita la risoluzione e la nor-malizzazione dei conflitti e delle ansie legate all’esperienza genitoriale e crea gruppi di genitori capaci di condivisio-ne e contenimento per ciascuno dei suoi componenti. Ciò vale soprattutto per le madri dei bimbi lattanti che maggior-mente manifestano il bisogno di essere rinforzate, contenute, accolte e aiutate a uscire dall’isolamento che l’intensità emotiva del primo anno di vita del bam-bino sempre crea.Durante il quotidiano incontro si susse-guono per adulti e bambini momenti di svago e ritualità che sostengono e accre-scono il senso di appartenenza. La piccola merenda che viene proposta ai piccoli seduti in cerchio, le canzoni che adulti e piccini cantano insieme, le attività di manipolazione che permetto-no, nel corso e nel rispetto del tempo e dei tempi, le prime piccole separazioni dai genitori, contribuiscono a rafforza-re negli adulti e nei bambini la fiducia nell’altro attraverso la sicurezza di veder soddisfatte le proprie aspettative. Contenuti dominanti nella programma-zione del servizio si ritrovano nell’in-terazione affettiva, nelle proposte di attività che aumentano le competenze espressive e cognitive del bambino, nella socializzazione e nella creatività sia dei piccoli che degli adulti, nel rispetto di tutte le modalità educative.I laboratori che ciclicamente vengono proposti al “tempo per le famiglie” – di

costruzione di oggetti, di giochi, di at-tività espressive con diversi materiali –sono importanti momenti in cui il “fare insieme” favorisce nell’adulto il recupero della propria manualità e creatività, fa emergere vissuti, esperienze e ricordi che trovano nel gruppo di lavoro un delica-to, intimo contenitore. Fare con le mani qualcosa per il proprio bambino mentre questi è nella stanza vicina a giocare con le educatrici permette alla mamma l’espe-rienza di una prima piccola separazione fi sica e allo stesso tempo di un’intima vicinanza, poiché il bambino attraverso il fare dell’adulto è “nella mente, nello sguardo e nel cuore del genitore”.I laboratori proposti ai bambini contri-buiscono a costruire il senso di auto-stima, la gioia e la fi ducia nelle proprie capacità, l’identità.Anche le feste sono momenti importanti per favorire gli scambi multietnici attra-verso la musica, il racconto, lo scambio di esperienze. La festa aiuta ad abbattere la diffi denza, poichè il clima informale favorisce la comunicazione e aiuta i ge-nitori di ogni etnia a mettere in circolo il contributo della loro matrice culturale aumentando il senso di partecipazione ed enfatizzando il reciproco arricchimento.Ad ogni bambino è concesso tempo: per osservare, per provare, per sperimentare; un tempo in cui imparare e saper aspet-tare, calibrato sulle possibilità e capacità di ognuno. Il materiale e gli strumenti vengono generalmente offerti, laddove sia possibile, in numero suffi ciente al gruppo di bambini: con ciò si intende riconoscere a ciascun bambino il diritto al suo spazio, confermandogli che lui c’è.Ad ogni mamma è data la possibilità di un nuovo punto di osservazione sul suo bambino per quanto riguarda le compe-tenze, la relazione tra pari, la risoluzio-ne dei confl itti, la capacità relazionale.Chiunque visiti un “tempo per le fa-miglie” rimane colpito dall’atmosfera di grande condivisione tra adulti, tra bambini e tra adulti e bambini. Tutti si muovono con grande familiarità nel-lo spazio, come a casa propria. Tutti partecipano alle attività e ai momenti comuni, nel rispetto dello spazio e dei presenti.

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nei nidi e nelle scuole dell’infanzia.

Partendo da un quadro teorico che tenta di evidenziare e sostenere l’intrinseco legame tra progettazione

e documentazione e che per scelta colloca la pratica documentativa in una dimensione di intenzionalità

e di attribuzione di signifi cato al fare quotidiano di adulti e bambini, si passa a un’ulteriore sezione che

presenta e propone concretamente le differenti fasi che costituiscono un processo di documentazione.

Il lettore viene accompagnato nei diversi step che fanno sì che la documentazione divenga una strategia

di comunicazione e presentazione dei progetti svolti per costituire poi un momento di formazione e di

rifl essione su quanto fatto.

Il testo, nella seconda parte, si arricchisce di una sezione dedicata alla presentazione di materiali e

strumenti documentativi, elaborati in differenti servizi educativi.

L’ultima sezione del testo presenta, infi ne, alcune possibili declinazioni e rilanci relativi all’assumere

la pratica documentativa come costante stile di lavoro e come opportunità per costruire memoria e

cultura all’interno dei servizi per l’infanzia.

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Comunità educante:una esperienza a Milano

Introduzione

Il mondo del bambino è il mondo di domani e considerare il bambino “pro-tagonista della propria storia” nel conte-sto ambientale che lo circonda significa tenere in considerazione le radici che si pongono per lo sviluppo del mondo fu-turo. Ricorda un proverbio nigeriano: “Per far crescere un bambino ci vuole un villaggio...”.Questa scelta porta la scuola e la città in cui è inserita a un alto livello, che de-termina il livello stesso di civiltà di una società, poiché, nel momento in cui noi pensiamo all’infanzia, pensiamo al futu-ro vero dell’umanità.La scuola dell’infanzia comunale Ansel-mo da Baggio è una piccola scuola di periferia, formata da tre sezioni e avente una frequenza molto elevata. Le educa-trici e la loro responsabile condividono da tempo il pensiero che l’infanzia può sentirsi parte della propria città solo at-traverso l’esperienza personale. I bambi-ni desiderano conoscere lo spazio pub-blico, muoversi in esso, vivere le strade della città, le sue piazze, i suoi luoghi più significativi. Per questo, ecco la scelta di portare la scuola nella comunità e la comunità nella scuola, poiché il protagonismo dei bambini nel loro contesto di vita costitu-

isce uno de-gli obiettivi p r i o r i t a r i del progetto di scuola. La vita della scuola deve avere una prospettiva aperta e in-tegrata con i problemi, il sapere, i bisogni, le risorse pre-senti nella realtà stes-sa.La “città educante” è qualcosa di più ampio e profondo, rappresenta il cam-biamento, perseguibile attraverso un rapporto di interazione dialettica tra la cultura del dentro-scuola e quella del fuori-scuola. È la città stessa nella sua identità “culturale” a riconoscere, eser-citare e sviluppare una funzione specifi-catamente educativa.

Progetto didattico:“Io vivo a Milano”

Il progetto attuato in questa scuola dell’infanzia comprende esperienze

che ci riportano a “costruire”, in col-laborazione con il territorio, una “città educante”. La durata del progetto si svi-luppa durante tutto l’anno educativo, con “momenti particolari” che tocca-no diverse aree tematiche, mantenen-do il “filo rosso” relativo alla scoperta dell’ambiente in cui il bambino vive. I bambini di questa scuola si inserisco-no in esperienze di educazione strada-le con l’aiuto dei vigili di quartiere; si recano spesso alla biblioteca; parteci-pano ai laboratori proposti durante le visite alle mostre d’arte a Palazzo Reale (finalizzate a educare i bambini all’arte,

Jolanda Maggiolini

Educatrice

Scuola dell’infanzia Da BaggioContatti: [email protected]

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visite che la città ci offre e grazie alle quali si fa cultura anche per i più pic-coli, scoprendo l’esistenza di un mondo rappresentativo, per “saper osservare”, affinare le proprie percezioni ed espri-mersi poi creativamente); partecipano alle iniziative per bambini al Museo della Scienza e della Tecnica e al Mu-seo di Storia Naturale... e tanto altro. Attraverso tutte queste esperienze, i bambini della nostra scuola si sentono parte importante della città di Milano, la “riconoscono”, poiché sono momenti “costruiti e poi vissuti” proprio per la loro età.Tra le attività citate, tutte con specifici obiettivi, mi soffermo sul progetto di educazione stradale.Il progetto parte dall’osservazione della realtà, dalle esperienze e dalla valorizza-zione delle conoscenze individuali dei bambini, caratteristiche metodologiche che distinguono ogni progetto. Vengo-no utilizzate le opportunità offerte dal territorio, ad esempio la vicinanza del-la scuola alla sede di Polizia Locale. Gli obiettivi sono:• responsabilizzare i bambini nei con-

fronti delle norme che regolano la vita sociale;

• sviluppare il senso dei diritti degli altri;

• riconoscere le figure istituzionali che tutelano lo svolgersi ordinato delle attività;

• costruire la consapevolezza che in tutti gli ambienti, anche se diversi per caratteristiche fisiche, esistono nor-mative e mezzi di segnalazione uni-versalmente riconosciuti e rispettati.

La prima fase, a scuola, consiste nella preparazione di cartelli stradali, un se-maforo e dei cartoncini con le diciture: “Bravo automobilista” oppure “Multa”. Infatti, al termine dell’esperienza, pro-posta in forma ludica, i bambini avran-no il compito di “fermare” alcuni au-tomobilisti consegnando l’uno o l’altro cartoncino.L’attività viene attuata partendo dalla scuola e poi recandosi sul territorio vi-cino alla scuola stessa, dove si possono “vivere” concretamente le diverse regole di educazione stradale.

Si utilizza sempre il canale dell’interes-se del bambino, indirizzandolo a capire che le regole stradali non sono impo-sizioni astratte, ma necessità concrete. Sono i bambini stessi che cercano le “soluzioni necessarie”. Riconoscendo e rispettando le regole della circola-zione sulla strada si aiuta il bambino a sentirsi parte dell’ambiente in cui vive e attivo “protagonista” di scelte che lo migliorano.I bambini più grandi si recano poi al “Belgiardino”, un circuito pratico di educazione stradale, con segnaletica, un vigile istruttore e biciclette per tutti i bambini.Questo percorso didattico viene poi rielaborato a scuola ricorrendo a più canali, come quello verbale, mimico-espressivo, grafico pittorico, plastico, scientifico, musicale.È interessante riportare alcune osserva-zioni verbali dei bambini stessi, osserva-zioni che hanno costituito una simpa-tica verifica, poiché da esse si evince la curiosità dei bambini che li ha spinti a conoscere, a capire, a riflettere, a formu-lare ipotesi, a trovare soluzioni, a volte creative e fantasiose, ma con una “logi-ca” molto pratica. Le loro osservazioni vengono sempre utilizzate da noi educa-trici come riflessioni per eventuali mo-difiche di percorso o approfondimenti. Eccone alcune:

Abbiamo fatto la multa perché una signora non ha messo la cintura... ma la cintura, se fai un incidente, ti salva la vita... certe volte però le mac-chine hanno le cinture troppo strette. (Matteo Kevin)

Ci sono i cartelli rossi dove non si può passare e si chiamano divieti-ni... ho messo a tutte le macchine “bravo automobilista” perché erano ferme bene e c’era posto anche per gli altri. (Francesca)

Abbiamo trovato un camion sul marciapiede, non ci sta e poi da fa-stidio a chi va a piedi... si fa meno fa-tica a posteggiarlo nel posteggio... ho dovuto mettere la multa. (Matteo)

Abbiamo attraversato sulle strisce, così le macchine capiscono che devono fermarsi...però devi dire ai vigili che le strisce bianche non vanno bene, perché se c’è la nebbia non si vedono, bisogna colorarle. (Sebastiano)

Quando il semaforo è giallo è me-glio fermarsi, perché diventa subito rosso... bisogna però prima guarda-re perché magari qualche macchina sbaglia. (Moad)

C’era una macchina che stava en-trando in una strada dove non si poteva, ho dovuto dare il cartoncino con la multa, perché se veniva un’al-tra macchina dall’altra parte faceva-no un incidente. (Salvatore)

Conclusione

La città che assume la consapevolezza di “città educante” racchiude in se stessa gli elementi importanti per una forma-zione integrale. Questo è il progetto di una città in cui i componenti assumono il ruolo responsabile del “costruttore”. In una città così il bambino diventa per-sona che ha la capacità di partecipare attivamente alla trasformazione della propria realtà.È importante aiutare il bambino a di-ventare l’“originale” di tutte le copie che fino a ora di lui sono state prodotte. Noi adulti dobbiamo essere convinti che il bambino sappia formulare proposte, sappia far capire ciò che va modificato o rafforzato.Occorre riconoscere ai bambini il fatto di essere una voce nella comunità, ca-pace di far emergere alcuni problemi, di dare idee e prospettive originali di soluzione.La nostra scuola cerca di inserirsi nella vita della città e da ciò acquista nuova vita, poiché occorre dialogo e coope-razione con la città. All’interno della scuola “ci si educa”, adulti e bambini, poiché c’è molto da imparare dai bam-bini stessi, ad ascoltare e rispettare le differenze e le diversità che caratteriz-zano la città e che ne costituiscono la sua ricchezza.

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Una sezione primaveranel cuore di Milano

L’azione è come il verde di certe pianteche spunta appena sopra la terra, ma provate a tirare e vedrete che radici profonde.

Alberto Moravia1

Nel cuore di Milano, a due passi da Bre-ra, dove gli artisti esprimono la propria arte, nasce la nostra sezione primavera. Anche noi come gli artisti raccontiamo la nostra arte: quella di educare!La sezione primavera di via Palermo è nata nel settembre 2010; è una sezione

Gemma Barboni

Funzionario Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Sezione primavera PalermoContatti: [email protected]

omogenea composta da 20 bambini di età compresa tra i 24 e i 36 mesi e si pro-fila come una liaison di connessione tra nido e scuola d’infanzia.La nostra sezione è un piccolo “appar-tamento” all’interno della scuola dell’in-fanzia: è composto da due stanze, da un spazio antistante i bagni (bambini e adulti) e da un ulteriore spazio esterno. Questo luogo è attrezzato e allestito per il momento del pranzo e per promuove-re attività ludiche libere e guidate. La presenza di spazi-angoli e centri di interesse all’interno e all’esterno della

sezione garantisce ai bambini la capaci-tà di muoversi agevolmente nell’ambien-te che, una volta conosciuto, si colloca in un clima “di casa” e tutto, gradual-mente, diventa familiare. Proprio l’appartenenza al luogo e alle persone ha permesso ai bambini di ri-elaborare le esperienze vissute, dando inizio a un processo importante di cre-scita, durante il quale si genera un’im-magine di bambino competente.Il progetto pedagogico si può riassume-re nel concetto di apprendimento attra-verso un ambiente di cura educativa, in-

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trecciando una rete di scambi armonici, ricercando formule nuove tese a favorire il ben-essere del bambino quale motore della sua crescita.Il team del personale è composto da un’educatrice di nido d’infanzia e due educatrici di scuola dell’infanzia: due professionalità diverse che, integrando-si, si occupano di un’età di transizione con l’obiettivo di mettere a fuoco non solo i bisogni dei bambini, ma anche le loro potenzialità affettive, logiche, lin-guistiche ed espressive.Indispensabile al raggiungimento de-gli obiettivi prefissati, è il processo di ricerca-azione da noi attivato prelimi-narmente insieme alle famiglie e a tutti gli operatori, esplicitandone le peculia-rità presenti all’interno dei due servizi che si strutturano sulla duplice linea di raccordo e continuità presenti in ambe-due le agenzie educative, per una pro-iezione futura della sezione primavera. Funzione maieutica attinente alla regia della responsabile del servizio è quella di affiancare gli adulti educatori nel tra-ghettare il complesso e delicato compito educativo nel quotidiano.

Fasi del progetto educativo in sezione primavera

La prima fase del progetto educativo (settembre-dicembre 2011) ha avuto co-me obiettivo l’osservazione dei bambini; l’arricchimento delle conoscenze dei singoli bambini è stato inoltre reso pos-sibile grazie ai colloqui con le famiglie. Il personale educativo ha posto un’atten-zione particolare agli aspetti emozionali e relazionali, determinanti nei periodi di crescita dei bambini di 2 anni. Tale cura ha permesso agli educatori di articolare una programmazione di interventi e di attività mirate all’apprendimento e allo sviluppo del sé.Nella seconda metà dell’anno, dopo la pausa natalizia, è stata avviata la se-conda parte del progetto educativo, il quale prende spunto dalla condivisione di proposte educative tra le educatrici della sezione primavera e della scuola dell’infanzia.Il collegio educativo della scuola dell’in-

fanzia di via Palermo, nell’intento peda-gogico di muoversi all’interno di percor-si di apprendimento articolati, ma allo stesso tempo ben differenziati, ha posto la centralità del progetto educativo sul tema “Ciclo e riciclo”. Le proposte didattiche vengono svilup-pate per tutte le tre fasce di età partendo dal vissuto dei bambini, dalle conversa-zioni ampliate, attraverso esplorazioni, sperimentazioni, giochi, letture, rappre-sentazioni grafiche libere e strutturate.

Obiettivi

Il nostro scopo consiste nel puntare a una continuità di percorso significativo tra sezione primavera e scuola dell’in-fanzia, basato sulla disponibilità al con-fronto tra educatori e alla verifica del cammino, che deve essere articolato in fasi ben strutturate. Valorizzare le espe-rienze compiute dai bambini e dalle lo-ro famiglie, dando valore e specificità a ciascun servizio.

Vivere nel mondo per conoscerlo

Partendo dal presupposto che l’apprendi-mento del bambino è sempre esperienza ed elaborazione dell’esperienza, la speri-mentazione risulta essere quindi il cana-

le privilegiato per la trasmissione di qual-siasi tipo di conoscenza. L’intenzione è perciò quella di offrire al bambino, attra-verso proposte di gioco, inteso come na-turale risorsa di apprendimento e di rela-zione, una costante e graduale proposta di esplorazioni, manipolazioni e contatti diretti, al fine di giungere naturalmente alle prime forme di rappresentazione. La varietà di proposte educative, strutturate o libere, offrono entrambe momenti ne-cessari e funzionali per lo sviluppo del bambino: le prime in quanto strumento che valorizza l’importanza della “con-centrazione” rispetto alle finalità, le altre come necessarie per apprendere natu-ralmente la capacità di riempire spazi e tempi “vuoti” a proprio piacimento.Varie e diverse modalità di esperien-ze relazionali (piccolo gruppo, grande gruppo, bambini di età diverse, bambino e adulto) vengono agevolate e sostenute per favorire gli scambi e le interazioni con altri “all’infuori di me”, con l’obiet-tivo di arricchire il bagaglio di risposte possibili del bambino. Anche lo spazio sezione, arredato e or-ganizzato in modo funzionale, con an-goli e zone ben definite che favoriscono nel bambino la sicurezza nel movimen-to e nelle scelte, è soggetto a modifiche anche giornaliere, per agevolare lo svol-

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gimento di particolari attività, se non addirittura di revisioni o modifiche im-portanti per sostituire/aggiornare i cen-tri di interesse suggeriti dall’inevitabile evoluzione o richiesta dei bambini.La progettazione educativa annuale, tenendo presente queste peculiarità, è necessariamente e sufficientemente flessibile e modulata sulle esigenze del gruppo/bambino al quale si rivolge e che viene valutato attraverso la continua os-servazione e l’ascolto: non deve essere il bambino che si adatta alla programma-zione, bensì il contrario. L’anno scolasti-co inizia quindi sempre con il preciso e mirato obiettivo di osservare il gruppo che si viene a formare tenendo presente l’individualità e le esigenze dei singoli. Il costante confronto fra educatrici e la gra-duale conoscenza del grado di sviluppo dei bambini, dei loro bisogni, delle dina-miche che si instaurano, delle caratteri-stiche di ognuno, porterà alla progetta-zione di proposte educative mirate.

Osservando i bambini

Quest’anno, nello specifico, durante il periodo di ambientamento, le educatri-ci, attraverso l’osservazione e nel vivere quotidiano con i bambini, hanno avuto modo di cogliere quanto alcuni di loro

abbiano bisogno di sostegno e aiuto per compiere azioni e piccoli compiti che il gruppo di bambini già frequentanti il nido nell’anno precedente e accompa-gnati dalla educatrice di riferimento è invece già in grado di svolgere e ripro-porre autonomamente. Questo non si-gnifica che i bimbi provenienti da casa non siano in grado di “fare”, bensì che probabilmente non hanno avuto l’op-portunità di poter agire alcune espe-

rienze. Indicativo e in qualche modo stimolante è stato cogliere, da parte di alcuni, spesso la frase “non riesco, non sono capace...” come risposta a sem-plici inviti da parte delle educatrici. Il fatto di esprimere chiaramente e quindi di riconoscere la propria “difficoltà” è in qualche modo una velata richiesta di aiuto che non deve essere liquidata con il fare al posto del bambino, bensì con il fermarsi e osservare per capirlo e so-stenerlo in modo che non “rinunci” ma trovi interesse nel provare. A volte “fare al posto del bambino” e non soffermarsi ad ascoltarlo trova motiva-zioni riconducibili a un fattore che ca-ratterizza ormai la vita di molti: la fretta. Il confronto con i genitori, l’ascolto dei racconti sulla vita in famiglia, l’osserva-zione del loro interagire con i figli quando arrivano al mattino o nel momento del commiato pomeridiano, guardando gli atteggiamenti particolari assunti da alcu-ni bambini in sezione, ma anche di quelli di noi adulti in quanto educatori, spinti a volte dalla fretta nel voler “fare” a tutti i costi, ha portato a riflettere e a focalizza-re l’attenzione sulla riscontrata tendenza degli adulti in genere ad agire automatica-mente, anticipando spesso i bambini sia nell’azione che nell’espressione verbale. Viceversa, a volte accade che vi è quasi un uso smodato di lodi e approvazioni,

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che risultano eccessive quando sono ri-volte ai bambini in seguito ad azioni o ad espressioni ordinarie, che purtroppo rischiano di diventare l’unico stimolo all’agire, rendendo il bambino dipen-dente da continui incoraggiamenti e so-stegni eccessivi. Questi spunti di riflessione hanno age-volato la determinazione delle educatri-ci nel sottolineare e sensibilizzare anche le famiglie sull’importanza del fermarsi: imparare a stare accanto ai bambini e vivere con loro anche piccoli momenti in apparenza insignificanti, cercando di vedere e non solo di guardare, di ascol-tare ciò che raccontano i bambini e os-servare i loro gesti, accompagnandoli nel loro modo di sentire e sostenendoli nel loro modo di fare, gratificandoli per le conquiste raggiunte.Importante è rendere i bambini sicuri delle proprie azioni e aiutarli tutti i giorni nelle piccole conquiste, in maniera sem-plice e naturale.

Nello specifico

“Le mie mani” e “Dieci fratelli” sono due canzoni che le educatrici della sezione primavera Palermo hanno proposto ai bambini e che hanno fornito un pia-cevole e gradito spunto per focalizzare l’attenzione sulle loro piccole mani e del-le grandi cose che con esse si possono fare: con le mani gioco, mangio, mi lavo, mi vesto e mi svesto... inoltre dipingo, strappo la carta, giro le pagine di un li-bro, raccolgo sassi e legnetti in giardino, mimo una canzone... Inizialmente si è preferita l’offerta di attività strutturate (il travaso con la farina gialla, la pasta di pane, la raccolta in giardino di foglie e altro materiale naturale...), per giun-gere ad attività mirate e complesse co-me la pittura con le mani e l’uso di altri strumenti (pennelli, stampi), lo strappo della carta, l’utilizzo della colla, con il fine di allestire e preparare la sezione, ad esempio in occasione della festa di Natale organizzata con i genitori. A tal proposito si è pensato a un per-corso che, partendo dal racconto di una storia, La renna smarrita, portasse alla sua libera rappresentazione e, attraver-

so la suddivisione dei bambini in piccoli gruppi in base alle loro reali capacità e competenze, a vivere esperienze coin-volgenti svolgendo attività manuali, per la realizzazione di piccoli manufatti da condividere tra tutti i bambini e da mo-strare alle proprie famiglie, ma soprat-tutto qualcosa di cui essere orgogliosi! L’operatività vera e propria del progetto di continuità con la scuola dell’infan-zia ha avuto inizio, all’incirca dopo la pausa delle vacanze natalizie, grazie al confronto del team educativo coin-volto, ossia le educatrici della sezione primavera e le educatrici della scuola dell’infanzia che accoglieranno i bam-bini il prossimo anno.L’attuale progetto della scuola d’infanzia Palermo, denominato “Ciclo e riciclo”, verte sulla sensibilizzazione riguardo i temi dell’ecologia e del riciclo. Le edu-catrici della sezione primavera hanno accolto e fatto proprio questo tema cer-cando di ri-proporlo ai loro bambini; lo hanno reso accessibile e fruibile per le loro competenze, tenendo sempre ben presente le finalità iniziali e quindi la-sciando i bambini liberi di creare spon-taneamente, rendendoli allo stesso tem-po consapevoli dell’operato delle loro mani. Questo tema farà da filo condut-tore nel passaggio alla scuola d’infanzia.Il coinvolgimento delle famiglie (alle quali è stato esposto il progetto in riu-nione) è nato, oltre che con l’obiettivo di una compartecipazione attiva rispetto alla raccolta e alla selezione di materiale da effettuare a casa con i propri bam-bini, anche per fornire ai genitori l’op-portunità di conoscere meglio ciò che il bambino sperimenta in sezione prima-vera insieme alle educatrici.All’esterno della sezione è stato messo a disposizione delle famiglie un gran-de contenitore per convogliare tutto il materiale portato da casa: bottiglie di plastica, vari contenitori per alimenti, scatole, flaconi, tappi di bottiglie, conte-nitori in latta, carta... Questo materiale è stato suddiviso successivamente dai bambini, con l’aiuto delle educatrici, in tanti scatoloni: sopra ad ogni scatolone le educatrici hanno incollato l’oggetto di raccolta, in modo da favorire i bambini

nel collocare gli oggetti nel posto giusto. È nato così un angolo che scherzosa-mente è chiamato “la discarica”: al mat-tino è quasi diventato un rito per molti genitori dedicarsi insieme ai propri figli alla ricerca del cartone giusto dove ri-porre i tesori portati da casa!Questo angolo viene normalmente uti-lizzato per attività di gioco e di scoper-ta: le educatrici, con un piccolo gruppo di bambini, dispongono gli scatoloni in modo da rendere accessibile il prelie-vo del materiale riposto e lasciano che venga utilizzato liberamente. I bambini sono una fonte inesauribile di spunti e proposte, osservarli mentre raccolgono a piene mani, impilano, riempiono, fanno rotolare, lanciano, annusano, travasano da un contenitore all’altro, scambiano, trasformano... è l’occasione per cogliere importanti suggerimenti educativi. Il materiale raccolto viene utilizzato dai bambini della sezione primavera e della scuola dell’infanzia che si incontrano, si organizzano, vivono e giocano “insieme”. Le educatrici, ogni volta coinvolte, si confrontano e insieme lavorano e pro-gettano gli incontri successivi, tenendo conto del numero dei bambini, del luogo e delle attività da proporre. Generalmente sono i bambini della se-zione primavera (inizialmente il grande gruppo poi in numero più ristretto) che si dirigono nella classe della scuola d’in-fanzia: il primo incontro è stato motiva-to dal desiderio di raccontare e mostrare ai bambini “più grandi” ciò che avviene in sezione primavera, portando loro un cesto contenente diverso materiale di recupero raccolto dagli scatoloni della “discarica”.Dopo un iniziale comprensibile imbaraz-zo, superato con l’aiuto delle educatrici che hanno favorito e agevolato l’approc-cio, è stato spontaneo da parte dei bam-bini interagire fra loro e prendere posses-so del materiale per giocare tutti insieme: la carta appallottolata è diventata una palla, le anime dei rotoli di carta igieni-ca sono diventati binocoli, le bottiglie dei birilli da buttare giù con i tappi, le scatole di latta si sono trasformate in tamburi...Con l’avvicinarsi delle vacanze pasquali, inoltre, è stata organizzata la visita dei

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bambini “più grandi” della scuola d’in-fanzia in sezione primavera, con l’inten-to di mostrare il loro manufatto da rega-lare ai genitori (un cestino in carta pesta contenente un coniglio di carta colorato dai bambini). Così è nata la richiesta di aiuto ai bambini più piccoli rispetto alla realizzazione del lavoro (strappiamo la carta del giornale per realizzare la carta pesta), perché di cestini ne dobbiamo costruire tanti!Nasce la collaborazione fra i bambini “grandi” e i “piccoli”. Noi adulti abbia-mo potuto osservare il lato piacevole della situazione, quando i bambini si so-no rovesciati addosso i pezzetti di carta strappati e quando si sono nascosti sotto i fogli di giornale: dal piacere è nato così un clima relazionale sereno che implica complicità e nuovi apprendimenti.

Nei prossimi incontri i bambini della sezione primavera verranno coinvolti nella realizzazione di strumenti mu-sicali (tamburi, maracas, piatti...) per accompagnare la “Canzone del riciclo” che impareranno insieme ai bambini della scuola d’infanzia e che presente-ranno tutti insieme, alle famiglie, in un concerto di fine anno! Formazione

Per quanto concerne la formazione delle educatrici, mi sento chiamata a riflettere sulle caratteristiche professionali del per-sonale coinvolto in questo “laboratorio della continuità educativa”. Le due com-petenze e professionalità insieme neces-sitano di una formazione condivisa, tra i due collegi, che permetta di tradurre nella

pratica le proprie specifiche competenze, che promuova la comunicazione tra gli operatori dei diversi servizi, che fornisca importanti momenti di interazione per costruire “tutti insieme” una professiona-lità sempre più ricca e articolata, aperta a esperienze e innovazioni quali “l’essere” in sezione primavera.

Conclusione

La sezione primavera Palermo ha per-messo, ponendo al centro i bambini, di condividere con le famiglie incontri for-mativi a tema, riunioni, feste, proposte e iniziative di vario genere. Inoltre ha permesso agli operatori e ai bambini di conoscersi meglio e di in-staurare importanti rapporti di collabo-razione, volti al benessere e allo svilup-po dei bambini. Per questo motivo, ogni anno ripensia-mo al “progetto di continuità” che vie-ne rivisto ed elaborato a seconda del gruppo dei bambini presenti in sezione. L’inserimento dei bambini, che dalla sezione primavera passano alla scuola dell’infanzia, è facilitato dalla presen-za dell’insegnante che li accompagna e favorito dal progetto di continuità che avviene durante l’anno.Il bambino conosce gli spazi e si relazio-na con i bambini più grandi con la con-sapevolezza che l’educatrice “insieme a lui” affronterà il passaggio alla scuola dell’infanzia: nell’adulto, che lo aiuta nel cambiamento e ad accettare la nuova re-altà, egli ripone la sua fiducia.

Pensando all’educatore, mi sembra molto significativo chiudere queste mie riflessioni con una frase di Maria Mon-tessori: “Il passo per risolvere in totalità il problema dell’educazione non deve essere fatto verso il bambino, ma verso l’adulto educatore: chiarire la sua co-scienza, spogliarlo di molti preconcetti, cambiare i suoi atteggiamenti”.2

1 A. Moravia, “L’incosciente”, in Racconti roma-ni, Bompiani, Milano, 1954.2 E. Repaci, “I figli ci mettono in discussione” in Effeta, 2, maggio 2008, p. 24.

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Coccole letterarie

La lettura al nido è un momento magi-co, è come un grande “abbraccio” fatto con la voce, i gesti, le parole, i silenzi o i rumori, le posture e la mimica: nella pratica educativa al nido, il libro è uno strumento di grande utilità.L’attività di lettura racchiude in sé mol-teplici esperienze che il bambino può condividere:• con il gruppo, quando la lettura del

libro viene proposta dall’educatrice che a volte si avvale dell’utilizzo di pupazzi e/o oggetti che supportano e rafforzano l’efficacia della narrazione o della drammatizzazione;

• da solo, se decide di sfogliarne le pa-gine per osservare immagini e colori.

Attraverso il racconto il bambino può ampliare le sue conoscenze e, accostan-dosi a realtà e vissuti differenti, arricchi-re le sue competenze. “Leggere” insieme, assaporando pagina dopo pagina la gioia della scoperta di forme, colori, immagini, potenzia nei bambini lo sviluppo cognitivo, permet-te di arricchire il repertorio linguisti-co imparando nuovi vocaboli, aiuta a comprendere il significato delle azioni descritte, consente di riconoscere e da-re un nome ai personaggi, agli animali, agli oggetti e ai colori raffigurati, susci-tando curiosità, aspettativa, emozione. La lettura valorizza la comunicazione:

identi f icandosi con i vari perso-naggi, il bambino impara gradual-mente a cono-scere se stesso, a chiarirsi interior-mente e ad acqui-sire una sempre maggiore consa-pevolezza delle proprie emozioni e dei propri senti-menti condividen-doli con gli altri.L’attività di lettura al nido trova un’al-tra ragione, non meno importante, nel proporsi come stimolo per sviluppare il piacere di leggere poiché “non si nasce con l’istinto della lettura come si nasce con quello di mangiare e bere” (Gianni Rodari)... bisogna educare i bambini alla lettura.Nella “grammatica della fantasia”2, se-condo Rodari, la lettura è per il bambino uno strumento ideale per trattenere con sé l’adulto. Nei primi anni di vita, infatti, risultano essere particolarmente intensi e attivi gli aspetti emotivi e cognitivi dei bambini ed è proprio in questa età che è possibile dare un “imprinting” positivo nei confronti della lettura, che continue-rà a produrre effetti positivi nell’arco di

tutta la vita sia dal punto di vista della comunicazione che della relazione. “La narrazione, come strumento di comu-nicazione, permette all’adulto di entra-re nel mondo del bambino e viceversa, crea un momento di vicinanza, definisce uno spazio comune in cui non c’è una mente che racconta e una che ascolta, ma due persone che insieme determi-nano l’andamento, il ritmo e i toni della fabulazione”3.Questo permette di creare una compli-cità, una vicinanza e una condivisione tra bambino e adulto; un momento di “coccole letterarie” magico e carico di emotività.L’adulto che si propone come lettore, si trova a svolgere un ruolo simile a quella di un direttore d’orchestra: deve saper

Antonella Motta, Maria Pia Boccardi

Funzionari Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Dora Andreoli, Paola Quattrocchi, Manuela Bragagia, Roberta Giorni

Educatrici

Nido d’infanzia Sallustio e nido d’infanzia CarabelliContatti: [email protected] [email protected] Tutti i grandi sono stati

bambini una volta,ma pochi di essise ne ricordano 1

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dirigere la lettura, ma anche saper ascol-tare, alimentando la curiosità dei bam-bini e favorendo la loro immaginazione.L’educatore che si pone come “provo-catore” di pensieri, parole, interventi, scambi verbali con e tra i bambini stabi-lisce una “relazione fiduciosa”, orientata a favorire la crescita dei piccoli, consi-derati interlocutori attivi di cui rispetta-re tempi, scelte e umori. La richiesta dei bambini di sentirsi rac-contare spesso la stessa storia nasce dal desiderio di ripercorrere sequenze già note e permette loro di anticipare den-tro di sé la successione del racconto tra-smettendo sicurezza.La lettura agisce sugli stati d’animo più profondi e sulle emozioni, è arricchi-mento della mente, ma è anche diverti-mento, gioco, stimolo per sviluppare le potenzialità creative dei bambini. Attraverso l’ascolto del racconto si crea-no dei momenti significativi tra l’adulto e il bambino che concorrono a potenzia-re il legame relazionale già in atto. Considerando importante l’esperien-za della lettura al nido, sia per quanto detto, sia anche per far conoscere gli aspetti “estetici” del mondo al bambino è fondamentale:• porre attenzione alla scelta dei libri, te-

nendo conto delle età e degli interessi;• controllare e verificare la leggibilità,

l’immediatezza e la chiarezza delle immagini;

• educare alla cura e conservazione dei testi;

• consentire il libero utilizzo dei libri;• individuare il luogo/spazio dedicato

con cuscini e materassi morbidi che inducono concentrazione e attenzione.

Proposte fino ai 12 mesi

Ai bambini sotto i 12 mesi la proposta è rivolta a stimolare la coordinazione ocu-lo-manuale e l’interesse per le immagini. Essendo forte la necessità della mani-polazione, del riconoscimento attraver-so la bocca, del buttare per raccogliere o rompere e strappare, i libri sempre a disposizione dei bambini di questa età sono di dimensioni facilmente maneg-gevoli e in materiali atossici, adeguati

e resistenti (ad esempio stoffa, plastica, legno e cartone pesante). Rispondono all’esigenza del bambino di questa età i libri sensoriali, costruiti con materiali naturali, spesso ad opera del-le stesse educatrici, che possono essere letti e guardati, ma anche essere toccati, sfiorati e accarezzati da mani curiose.I testi proposti dalle educatrici sono: ri-me, filastrocche, ninne nanne da cantare e raccontare perché rievocano nel bam-bino il ritmo del battito cardiaco della madre percepito prima della nascita.

Proposte dai 12 ai 36 mesi

Nel secondo anno di vita dei bambini i libri scelti vertono a descrivere sequenze o azioni quotidiane da loro riconoscibili e prossime alle loro competenze.Le immagini sono nitide, con colori vi-vaci e testi brevi; piante, animali e og-getti si animano e acquisiscono il dono della parola.Dopo il secondo anno si privilegiano storie più articolate, con ambienti e per-sonaggi familiari, in cui il bambino si può identificare e riconoscere.I temi scelti rappresentano valori come l’affettività e l’amicizia, che possono accompagnarlo in luoghi ed esperienze legati all’immaginazione e, in alcuni ca-si, possono aiutare a esternare paure ed emozioni.L’esperienza di lettura e narrazione al nido non si esaurisce in se stessa, ma apre lo scenario a numerose attività e progetti.Nello specifico, al nido di via Carabelli ed al nido di via Sallustio il momento della lettura ha coinvolto gli stessi ge-nitori con un’azione compartecipata scuola-famiglia che ha riscosso notevole interesse.Gli obiettivi di entrambi i nidi sono:• dare ai genitori la possibilità di “vive-

re” il nido in momenti differenti dal periodo dell’ambientamento;

• favorire la condivisione di esperienze genitoriali;

• condividere un momento significativo tra genitore e bambino;

• consolidare il clima di fiducia con le educatrici.

1 A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bom-piani, Milano, 1943.2 G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introdu-zione all’arte di inventare storie, Piccola Biblio-teca Einaudi, Torino, 1973.3 F. Monti, F. Crudeli, Il nido: lo spazio e il tem-po delle emozioni, Edizioni Junior, Azzano San Paolo (Bg), 2008.

Al nido Carabelli il percorso si intitola “Gat-tonando” e si realizza attraverso quattro momenti:

* Lettura di libri a bambini e genitori da parte di un’animatrice esterna, con una suc-cessiva costruzione di libretti. Ogni momen-to termina con una merenda.

* Momenti di incontro con genitori ed educatrici tenuti dalla docente esterna sul perché, come e cosa leggere ai bambini.

* Nel mese di dicembre: opportunità di partecipare, un sabato pomeriggio o do-menica mattina, all’iniziativa “Nataleggendo”, consistente nella lettura di storie e racconti natalizi.

* Festa di fine anno: lettura e drammatizza-zione di un racconto.

Gattonando

Al nido Sallustio il progetto si intitola “Storie in scatola”.

* Le educatrici narrano una storia con l’ausilio di una scatola appositamente creata, all’interno della quale sono collocati i vari personaggi del racconto che permettono alla storia di animarsi in modo concreto e speciale.

* I genitori partecipano all’esperienza condividendola insieme al loro bambino. Al termine vengono invitati ad annotare su di un apposito quaderno, un commento del proprio vissuto. Una mamma scrive: “Per fortuna c’è ancora qualcuno che racconta le favole, è sempre un’emozione vedere con quanta semplicità si può creare interes-se per questi piccoli... Un papà commenta: “Grazie per averci invitato a vivere questa esperienza di fantasia, musica e colore”.

* È previsto inoltre un incontro conclusivo di condivisione al quale sono invitati tutti i genitori della sezione.

Storie in scatola

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Arte...occhiali per migliorare il mondo

Lo sviluppo del senso artistico è diventato negli ultimi anni uno degli aspetti rilevanti del progetto educativo delle scuole dell’in-fanzia del Comune di Milano. È bene pre-cisare, comunque, che per arte non inten-do riferirmi alla capacità di un bambino di riprodurre un’opera dopo averla vista du-rante la visita a una mostra o a un museo, bensì fondamentalmente alla sua capacità creativa. E per capacità creativa intendo la particolare modalità di incontrare il mon-do e di rapportarsi con la realtà.

In questo senso la scuola può rivelarsi una grande occasione per tutti i bambi-ni di sperimentare quello che di contem-poraneo propone la società, offrendo la possibilità di cogliere gli stimoli cultura-li dell’ambiente che li circonda.Quando, infatti, parliamo di creatività ci riferiamo a un atteggiamento verso la realtà esterna, al modo con cui le persone incontrano la realtà. Come so-stiene Donald Winnicott, è la creatività, più di ogni altra cosa, a far sì che l’in-

dividuo abbia l ’ i m p r e s s i o -ne che la vita valga la pena di essere vis-suta. E questa capacità è di-rettamente in rapporto con la qualità e la quantità di op-portunità am-bientali che si offrono nelle prime fasi dell’esperien-za di vita di ciascun bam-bino. Di con-seguenza, oggi più che mai,

in una società in continuo e rapido cambiamento, è fondamentale aiutare i bambini a sviluppare un pensiero di-vergente, che potenzi la loro capacità di risolvere nuovi problemi. E così, in una città come Milano, capitale riconosciu-ta del design, che in diverse occasioni si arricchisce e si riscopre cosmopoli-ta – in particolare con la settimana del Salone del Mobile e con la sempre più stimolante esperienza del “Fuori salo-ne” vissuta direttamente nei quartieri – è importante accompagnare e suppor-tare i bambini nello sviluppo della loro educazione artistica.In questa direzione diventa significa-tivo il percorso avviato da tempo nelle scuole dell’infanzia milanesi di cui sono responsabile e dove, prendendo spunto dalle mostre e dalle iniziative offerte dal-la città, i bambini hanno sviluppato pro-getti, trasformando oggetti e ambienti e creando nuove opere artistiche. Mi riferirò qui di seguito a tre esperienze, in particolare. Una prima è stata vissu-ta nella scuola dell’infanzia di via della Spiga, coinvolgendo la fascia di età dei bambini di cinque anni: partendo dalla visita di una mostra di Gillo Dorfles, i bimbi hanno provato a concretizzare il pensiero dell’artista, “Segni che abita-no dall’inizio della storia del mondo nei sogni di tutti noi e nelle forme intorno

Analia Setton

Funzionario Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Scuola dell’infanzia B.ni Porta VeneziaContatti: [email protected]

I bambini formano un punto unendo i loro corpi

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a noi”, attraverso un percorso che si è concluso con una serie di lavori, esposti successivamente a Palazzo Reale all’in-terno della stessa esposizione di Dorfles.In questo caso, l’esperienza di occupare lo spazio con il proprio corpo è diventa-ta lo spunto da cui iniziare a creare se-gni perché, come spiega Bruno Munari, “i bambini sono molto interessati a tutto ciò che lascia un segno, un’impronta. Il segno grafico diventa segno della loro presenza, del loro agire”.E il primo fra tutti i segni, come nell’e-sperienza di via della Spiga, è il punto. Punto costruito prima di tutto con il so-lo proprio corpo, poi unendo il proprio corpo a quello dei compagni (foto n. 1). Punto che, successivamente, si tramuta in linee disegnate sul pavimento o for-mate con l’utilizzo di materiali (corde, oggetti vari) per arrivare, quindi, a una traccia che diventa scultura, istallazio-ne, ambiente (foto n. 2). E l’ambiente, in un’ulteriore trasformazione, si col-lega alle molteplici presenze di arte contemporanea, presenti a Milano. Sì, perché esiste una grande similarità tra ciò che può avvenire in un nido/scuola dell’infanzia, in cui sia presente un al-lestimento curato, parlante dello spazio (la stanza che con l’impiego di materia-le riciclato si tramuta in altro: caverna, bosco, tana) e l’arte contemporanea con

i suoi allestimenti. Ritengo ci sia molto che accomuni il segno che l’artista lascia di sé con il segno con cui l’adulto e il bambino caratterizzano i loro spazi per renderli concretamente propri. Un am-biente dove qualsiasi oggetto trova un proprio posto, una sua dignità, un suo significato (come dice, Jerome S. Bru-ner: “Il bambino assimila la realtà facen-do e un oggetto non è altro che quello che si fa con esso”). Diventa quindi essenziale condividere insieme ai bam-bini i nuovi spazi dei giovani artisti esplorando insie-me le frontiere dell’arte contem-poranea. Ed è sempre più inte-ressante coinvol-gerli nei piccoli e grandi eventi che li facciano senti-re appartenenti a una città in con-tinuo movimento e ricerca di sen-so, educandoli a scoprire la posi-tività dell’espe-rienza della spe-rimentazione.

Uno degli obiettivi del nostro lavoro è il potenziamento di una cultura dell’arte che educhi al sentire estetico e al pia-cere del bello, sviluppando contempo-raneamente quella curiosità che eviti di imprigionare l’immaginazione nel con-formismo. Anche per questo ho sempre ritenuto importante stimolare gli educa-tori a una formazione al cambiamento e allo sviluppo di un atteggiamento co-raggioso verso il nuovo, anche in campo artistico, ma non soltanto.Sempre nella scuola di via della Spiga, un altro gruppo della stessa fascia di età è stato coinvolto in un progetto di edu-cazione artistica che ha preso spunto da una mostra di Giuseppe Arcimboldo. Affascinati dalla sua tecnica – l’uso di elementi dello stesso genere (ortaggi, animali, oggetti vari) e legati metafori-camente al soggetto per comporre i suoi ritratti – i bambini hanno reinterpretato le opere dell’artista milanese del Cinque-cento usando concretamente i materiali che il pittore raffigurava. Così le teste dell’Arcimboldo hanno preso forma dall’unione di finocchi, fragole, lattuga, zucchine comprati da un ortolano (foto n. 3); l’acqua (rappresentata da Arcim-boldo con una serie di pesci, coralli, cro-stacei) è diventata un collage di conchi-glie; la terra una composizione di semi, pigne, cortecce, ramoscelli raccolti nel

Comme i bambini rielaborano l’arte di Dorfles

2

I ritratti di Arcimboldo3

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parco; l’aria il ritratto formato da piume (foto n. 4); il fuoco un pannello con can-dele, fiammiferi, accendini (foto n. 5).Da questa prima tappa il gruppo è ri-partito per affrontare il tema del ritrat-to, dell’autoritratto e della rappresen-tazione dei compagni. In questo caso, la creazione artistica ha permesso ai bambini di lavorare sulle loro differen-ze – nonostante la sua posizione nel “quadrilatero della moda”, quasi la me-tà dei frequentanti è composta da figli di migranti – contribuendo a costruire un nuovo modello di integrazione.L’altra esperienza, che ha coinvolto un gruppo di bimbi di tre anni della scuola dell’infanzia di via Stoppani, è stata av-viata dopo approfondite riflessioni con il gruppo degli educatori sull’importan-za di aiutare i bambini a dare corpo ai pensieri, a elaborare le loro emozioni,

comprese quelle intense, legate alla sof-ferenza, alla morte, alla speranza; e sul dovere dell’educatore di accogliere il di-sagio e la difficoltà per offrire ai bambini e alle loro famiglie ascolto e sostegno. È infatti un nostro compito incanalare le difficoltà che i bambini possono vivere tra famiglie dilaniate, media aggressivi, cultura trash, consumismo devastante. Gli aspetti affettivi si intrecciano con quelli dell’apprendimento e della so-cializzazione, colorano l’esperienza, influenzano la modalità di approccio al mondo e alla conoscenza. Convinti del-la difficoltà – soprattutto in una sezio-ne di bimbi di tre anni – di intervenire in ambiti così delicati senza cadere nel giudizio, o ancor peggio nel pregiudizio morale, politico, religioso e personale, si è deciso di evitare di impantanarci in disquisizioni teoriche e, invece, di muo-

verci operativamente facendo costruire ai bambini un “giardino selvaggio” (sim-bolo di uno spazio stimolante e teatra-le), una grande casa di legno (simbolo di luogo di aggregazione) e tante tane indi-viduali (simbolo di un luogo interiore). Un lavoro ambizioso che ha portato le educatrici a osare, a sfidare, a ricerca-re e a giocare con i loro sentimenti, con quelli dei bambini e delle loro famiglie. Il risultato, dopo un’immersione senso-riale di colori, stoffe, musiche, immagini e racconti ha portato a realizzare anche grandi pannelli di “arte contemporanea” – accompagnati da parole urlate rispetto a paura, tristezza e gioia – attraverso i quali i bambini hanno espresso le loro emozioni.Durante il percorso la paura, per esem-pio, è stata raccontata, interpretata e do-minata in un vero è proprio confronto tra i tanti sé di un’opera d’arte colletti-va, fino a diventare rappresentazione visiva: un pannello ruvido, riscoperto in un ripostiglio della scuola, che i bam-bini e le educatrici hanno reso ancor più “schifoso” (nelle descrizioni degli autori) con colori pastosi e cupi, con materiali aggressivi, “scheletri” (ossa di pollo, accuratamente igienizzate), altre tinte “insanguinate”, immagini di squali e mostri (foto n. 6).Un lavoro che ha coinvolto anche i ge-nitori in discussioni su come accompa-gnare i loro figli nell’elaborazione dei sentimenti dei bambini, condividendo tra adulti momenti di riflessione e con-fronto. Nella stessa scuola dell’infanzia sta pro-seguendo un percorso che aiuta a mani-festare i propri sentimenti verbalmente e in rapporto con il proprio corpo e a raffigurare le emozioni attraverso la ma-nipolazione della materia (argilla). Tale percorso coinvolge una sezione di bam-bini della fascia di età di quattro anni nella rappresentazione per immagini del momento della loro nascita, collegata alla loro narrazione autobiografica e a quella dei loro genitori. In questo caso, il lavoro artistico con i materiali rappresenta, come afferma Lorenza Salzillo (2004), una possibi-lità ulteriore di dialogo e scambio tra

4 Piume di pavone per raffigurare l'aria

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mondo interiore ed esteriore, nonché la possibilità di testimoniare, a sé e al mondo, ciò che è avvenuto andando a creare una “narrazione materica” della propria storia ed evoluzione: attraverso l’opera creata si compongono i fram-menti della realtà percepita, i ricordi di quella vissuta con la possibilità di intervenire su di essi per elaborarli. E, poiché anche di fronte a un’opera d’ar-te, come sostiene Gadamer (1986), si stabilisce un dialogo, ci si trova impe-gnati in un gioco di alterna e reciproca partecipazione attraverso il quale nasce un linguaggio comune in cui i parlanti (l’autore e il fruitore) si trasformano, vorrei che le esperienze vissute nelle scuole diventassero per i bambini gli occhiali attraverso i quali osservare il mondo per renderlo migliore, scopren-do contemporaneamente se stessi come risorsa per trasformarlo.

Bibliografia

Braga P. (a cura di), Gioco, cultura e formazio-ne. Temi e problemi di pedagogia dell’infanzia, Edizioni Junior, Azzano San Paolo (Bg), 2005.

Cocconi M.G., Salzillo L., Zanolli A., Il bambino creatore. Aspetti esplorativi, integrativi e cogniti-vi del gioco con gli elementi della natura, Franco Angeli, Milano, 2004.

Gadamer H-G., L’attualità del bello, Marietti, Genova, 1986.

Matarozzo P., C’era una volta... un tavolo tutto bianco, ma bianco, che incontro sulla sua strada dei bambini..., tesi Scuola Triennale di Arteterapia.

5

Munari B., Laboratori tattili, Zanichelli, Bologna 1985.

Restelli B., Giocare con tatto. Per una educazione

plurisensoriale secondo il metodo Bruno Munari, Franco Angeli, Collana Le Comete, Milano, 2002.

Salzillo L., Materiali d’arte, elementi di vita, in Cocconi, Salzillo, Zanolli, 2004.

Winnicott D., Gioco e realtà, Armando Editore, Milano, 1974.

Rame, fiammiferi e accendini ritraggono il fuoco

6 Il pannello che esprime la paura

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In fattoria tra realtà e fantasia

La scuola dell’infanzia di via Giacosa, sorge all’interno del parco Trotter dove ha sede anche il comprensorio scolasti-co denominato “Casa del Sole”.Dislocata su tre padiglioni tra loro auto-nomi, ospita più di 300 bambini e bam-bine suddivisi in 11 sezioni.La “Casa del sole”, nata nel 1925 intorno a un galoppatoio (da cui il nome Trotter), si distende su di una superficie di 120 mi-la mq. Situata nella zona est di Milano, tra le arterie di via Padova e viale Monza, è il “polmone verde” del quartiere, grazie al suo ricco patrimonio arboreo.Fondata sul metodo delle scuole attive, all’interno del parco trovano spazio, ol-tre ai padiglioni della scuola primaria e secondaria di primo grado, diverse strutture tra cui il Teatrino, la Bibliote-ca, la Palestra, la Stanza delle scoperte e la Fattoria. Durante l’orario di apertura della scuola dell’infanzia l’ingresso è riservato esclu-sivamente alla scuola, solo al termine dell’orario scolastico, il parco si apre al pubblico.Queste strutture offrono, grazie all’entu-siasmo degli educatori e di un infaticabi-le gruppo di genitori riuniti in associazio-ne, innumerevoli esperienze formative per bambini e adulti: come, ad esempio, un ricco cartellone di rappresentazioni al Teatrino durante i fine settimana, corsi di basket e karate anche gratuiti in Pale-stra, un doposcuola coordinato da mam-me volontarie, che si occupano di assi-stenza e recupero linguistico rivolto ai bambini stranieri e ai loro genitori, corsi

di musica e lezioni di approfondimento condotti da professionisti nell’ex Chieset-ta, corsi per adulti presso la Stanza delle Scoperte, la consultazione e il prestito libri presso la Biblioteca. Tante opportunità che creano e intrec-ciano legami intorno a quella che è stata definita la Città dell’Infanzia di Milano.La recente ristrutturazione della Fat-toria, voluta dal Comune di Milano e dal Consiglio di Zona 2, ha permesso di riportare questo luogo agli antichi splendori. Oggi trovano rifugio conigli, galline, oche e uccellini accanto ad un esemplare orto didattico.Da sempre legata alla “pedagogia dell’in-teresse”, la scuola dell’infanzia Giacosa, ha scandagliato, negli ultimi anni, gli aspetti “scientifici” del fare dei bambini: sono presenti, all’interno della scuola, una stazione meteorologica e un plane-tario in miniatura.La presenza del parco è indubbiamente una risorsa straordinaria per la scuola, un grande laboratorio a cielo aperto dove la vita dei piccoli si arricchisce quotidianamente di incontri e situazio-ni nuove, in una continua immersione percettiva e sensoriale.Usare l’ambiente esterno alla scuola, co-me oggetto e strumento di studio, non solo fornisce conoscenze legate ai temi dell’ambiente, ma consente ai bambini di percepire il parco come proprio; inol-tre un progetto che passa attraverso una didattica laboratoriale, permette di mo-tivare e coinvolgere tutti i bambini.Nel parco, gli alberi, i prati e gli orti

dietro i padiglioni offrono innumere-voli possibilità, ma è nella Fattoria che le ipotesi e le suggestioni raccolte tro-vano un luogo privilegiato per crescere e svilupparsi.

A seminar parole si raccolgono storie e filastrocche

Il progetto, nato nell’anno scolastico 2011-2012 con l’intento di favorire e rinforzare il legame tra la scuola dell’in-fanzia e la Fattoria, si articola in due percorsi: uno in area linguistica e uno in area costruttiva. Le attività sono pro-poste da un’educatrice a un gruppo di bambini di 4 anni, per un ciclo di venti incontri, con l’obiettivo di favorire l’ar-ricchimento linguistico e lessicale dei numerosi bambini stranieri presenti nella scuola.L’esperienza ha avuto inizio esplorando alcuni sentieri del parco alla ricerca di materiali, di fronte alla fattoria l’inte-resse dei bambini si è subito animato. A partire da questo interesse e sostenuti dalle osservazioni e dalle riflessioni dei bambini, si è immaginato insieme un percorso per un laboratorio linguistico/costruttivo che si è articolato attraver-so una fase di osservazione scientifica, di associazione logico-matematico e di espressione grafico-pittorica.Nella fase di osservazione, i bambini hanno visitato la fattoria e conosciuto i suoi abitanti, hanno parlato con chi si occupa degli animali e chiesto spiega-zioni sulla vita degli animali stessi.

Annarita Casile

Educatrice

Scuola dell’infanzia GiacosaContatti: [email protected]

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Siamo andati alla fattoria, è vicino vicino...

C’erano le oche, le galline e i conigli...

Le oche hanno le pinne...

Le oche si tuffano nel loro laghetto per vedere se c’erano dei pesci...

Hanno inoltre mostrato interesse anche sulla semina e sulla crescita delle pian-te. L’educatrice ha intrapreso una fase di discussione con i bambini, ha messo a confronto le piante dell’orto con quelle in classe, seminate in precedenza nel terrario; ha arricchito il lessico attraver-so la lettura di libri inerenti all’argomen-to, ha suggerito infine, con le immagini di piante e animali, un primo tentativo di classificazione.Si sono cosi sviluppati due percorsi paralleli.

Botanica della fantasia

“E se piantassimo?” chiede l’educatrice. Dalla reale attività di semina, i bambini hanno immaginato di piantare dei semi fantastici: piante prima immaginate, poi descritte e spesso chiamate con un no-me specifico.Una bambina commenta: “La mia pian-ta si chiama Diamante, ha dei frutti spe-ciali, cresce in un posto magico molto lontano, ha paura dei mostri... ma io le metto un telo giallo, così i mostri non le fanno niente... è fucsia, rossa e ha le foglie arancioni...”Ogni bambino ha ideato, progettato, scelto materiali per costruire la propria pianta, lavorando in maniera autonoma e dando una personale connotazione. Si è così creata una specie botanica paral-lela fatta di piante che “prima di esse-re piante sono parole” (Leo Lionni). Le piante sono state quindi costruite secon-do il progetto e collocate in una sorta di terrazzo sospeso accanto alle piante vere, in classe.

Semi di parole

Nel contempo, il percorso linguistico si è articolato attraverso una fase espressi-va di rappresentazione grafico-pittorica

in cui i bambini hanno disegnato la fat-toria, gli animali, le piante.Utilizzando la tecnica del “binomio fan-tastico” di Gianni Rodari, secondo la quale a una parola data ne viene asso-ciata liberamente un’altra con accosta-menti talvolta insoliti (per esempio: fat-toria/oca, fattoria/bambina), sono stati sviluppati brevi racconti fantastici.L’educatrice, in un secondo momento, ha chiesto ai bambini di rappresentare gra-ficamente il binomio ottenuto. Da questa “raccolta di parole” ne sono state scelte alcune che sono state riportate su tessere di cartoncino, diventando carte da gio-co, con cui è possibile, rimescolandole, creare nuove storie. Per esempio, dal-la sequenza tratta dal gioco delle carte: ALBERO-UCCELLO-CONIGLIO-CASA-ERBA-OCA, nasce questa storia, creata con i bambini.

Alcune parole utilizzate dai bambini nella storia vengono ora usate anche per giocare a giochi di parole, rime, associazioni, nonsenso, alterazioni, vezzeggiativi...

Fattoria: galleria, allegria, fantasia, fattoriaccia.

Coniglietto: rametto, sassetto, cucciolet-to, perfetto, coniglione.

Galline: gattine, mammine, gallone, gallinelle.

Parole che come semi crescono e si trasformano e, per gioco, piano piano, passano di bocca in bocca, di storia in storia assumono forme nuove e signifi -cati diversi e così escono da un racconto per diventare fi lastrocca in compagnia di altre parole.

In fattoria sono stato E tante cose ho seminato Fiori erba e seminiIo, insieme agli altri bambini.Oche, galline e conigliettiSono ospiti perfettiPerché la fattoria si saÈ il posto dove si fa.L’oca Tilde accoglienteSaluta tutta la genteMa da quando è diventata papàSolo coi suoi piccoli se ne sta.In fattoria ogni cosa cresceràE così scopri che anche le paroleSe ben seminatePossono diventare storie raccontate.

SEMI DI PAROLE

C’erano, sotto un albero, un uccello e un coniglio. Facevano merenda perché erano amici. Ad un certo punto è arrivato un acquazzone che è un grandissimo temporale. Scappa, scappa e trovano una casa nel parco. Lì incontrarono altri animali. Gli piaceva questo posto, c’era anche da mangiare l’erba, un’erba sa-porita che si chiama erba cipollina. Avevano conosciuto tanti amici: l’oca Tilde, i coniglietti, le galline, i pulcini e il gallo. Da quel giorno l’uccello e il coniglietto rimasero a vivere in fattoria felici contenti.

Una storia: albero - uccello - coniglio - casa - erba - oca

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Educazione alimentare: il progetto

“Più frutta, più verdura!”

Prefazione: anni scolastici 2005/2006-2009/2010

Il progetto “Più frutta, più verdura!”, ideato da Carla Barzanò, nel ruolo di coordinatrice, e da Clara De Clario, nel ruolo di tutor didattico, con il monito-raggio di Luisa Gardella, è stato avvia-to nell’anno scolastico 2005 come un progetto pilota promosso dal Comune di Milano e da Milano Ristorazione S.p.A. in qualità di gestore del servizio di ristorazione scolastica. L’obiettivo principale consisteva nel far conoscere e soprattutto apprezzare la frutta e la verdura, che sono importanti elementi nutritivi necessari alla crescita e allo sviluppo equilibrato dei bambini in età prescolare.Il progetto, attraverso un approccio lu-dico/relazionale, ha visto coinvolti, du-rante l’intero svolgersi del percorso dal 2005 al 2010, i bambini, i genitori, i non-ni e le educatrici di diverse scuole e real-tà sparse su tutto il territorio comunale.Nel corso degli anni le scuole dell’infan-zia comunali partecipanti al progetto sono aumentate in modo considerevole,

diventando 18 nel 2008, fino a coivol-gere 65 educatori e oltre 1500 bambini suddivisi nei laboratori didattici di cu-cina e negli orti realizzati in angoli dei giardini scolastici. Nel 2010, ultimo anno della proposta, le sedi scolastiche erano passate a 31, con un totale di 4800 bambini con altrettante famiglie e ben 176 educatori.È stato un momento molto significativo di apertura alle famiglie da parte sia del-le scuole dell’infanzia sia dell’attività di partnership esistente con la società Mi-lano Ristorazione, in un continuum di travasi di esperienze e di ricerche-azio-ne; di coinvolgimento attivo; di messa in pratica di laboratori ed elaborati; di cura e di scambio; di affettività e di nu-trizione; di colore e sapore; di paura e conoscenza... e di molto altro.

Gli obiettivi del progetto“Più frutta, più verdura!”

Ciò che si è voluto proporre come fine ultimo del “fare” con i bambini è stato elencato in una serie di item con una valenza ludico/creativa improntata prin-

cipalmente in merito a: promuovere il consumo di frutta e verdura, ingredienti protettivi per la salute, attraverso il pia-cere di sperimentare, e mangiare insie-me sia a casa che a scuola.

La metodologia utilizzata

I modelli metodologici utilizzati duran-te il percorso si sono basati prettamente sulla ricerca-azione e sul metodo defi-nito come cooperative learning. Queste metodologie infatti portano a sviluppare una maggiore interazione fra le risorse sia umane che ambientali, rendendo i partecipanti i veri protagonisti del pro-getto educativo. Di conseguenza, l’a-spetto importante del progetto è stata la adattabilità/flessibilità di tale proposta a ogni singola realtà scolastica, al fine di valorizzare le potenzialità e le professio-nalità di ciascuna comunità, intesa co-me luogo di relazione tra tutti gli attori coinvolti: bambini, educatori, famiglie e personale ausiliario.L’innovazione è stata perseguita anche attraverso una importante figura di progetto, il tutor didattico, che ha ac-

Marco Valdemi

Funzionario Settore Servizi all’Infanzia, Comune di Milano

Scuola dell’infanzia PezziContatti: [email protected]

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compagnato le diverse realtà, rispon-dendo a tutte le esigenze particolari che via via emergevano; figura di sostegno, dunque, con l’obiettivo di valorizzare le professionalità esistenti. Il percorso di formazione è durato due anni, ma ogni scuola poteva successivamente rimane-re collegata al progetto continuando il percorso iniziato.

I fruitori del progetto

I primi attori coinvolti sono stati ovvia-mente i bambini insieme agli educato-ri, senza ovviamente tralasciare il ruolo dei genitori e di quei nonni che hanno

dato un contributo notevole nel disso-dare gli angoli dei giardini, rendendoli terreni atti alla coltura degli ortaggi, trasferendo a volte, prima che ai nipo-tini, ai loro stessi figli l’arte del lavorare la terra. Notevole importanza va data alla formazione degli attori coinvolti: so-no state fornite molte ore da parte degli esperti e l’attività di monitoraggio è sta-ta capillare. Inoltre l’attivazione di focus group, laboratori di cucina, feste a tema in grado di coinvolgere e amalgamare cibi, etnie, culture, tradizioni, religioni e famiglie provenienti da ogni parte del mondo ha creato una reale sinergia tra scuola e famiglia.

Gli effetti del progetto... ovvero la conclusione

Infine, va dichiarato che la maggior parte dei genitori coinvolti ha afferma-to di aver notato che durante lo svol-gersi del progetto l’atteggiamento dei figli nei confronti della frutta e della verdura è cambiato in termini di cu-riosità verso sapori altri o totalmente nuovi, soprattutto riguardo al loro consumo. Anche negli adulti è matura-to il piacere di preparare e di manipo-lare il cibo per farne spremute, tartine, spiedini, utilizzando successivamente le ricette con i figli.

“Più frutta, più verdura!”: un viaggio tra arte e cultura, alla scoperta dei cinque sensi e all’esplorazione della natura...

Il progetto “Più frutta, più verdura!” è stato accolto ed avviato in alcune sezioni della scuola dell’infanzia Pezzi nell’anno educativo 2006-2007 ed è proseguito sino al 2010. Vi hanno partecipato i bambini delle tre età presenti suddivisi in gruppi di intersezione con progetti specifici. Anche gli spazi e gli ambienti educativi so-no stati ricreati e riprogettati in base alle esigenze e alle caratte-ristiche delle programmazioni realizzate. Dal format progettuale proposto si è passati a delle continue modifiche e calibrature basate espressamente sugli interessi del bambino, rendendolo ai loro occhi più interessante e accattivante.

GRUPPO: composto da 76 bambini di tre anni suddivisi in due gruppi

SEZIONI: Arancione, Blu, Rosa, Rossa e Viola

EDUCATRICI: Patrizia Acunzo, Paola Ca-stagnetti, Olinda De Palo, Anna Margherita Lorenzini, Cinzia Paolucci e Amelia Tamani

OBIETTIVI: far scoprire, affinare e utilizzare i cinque sensi attraverso l’esplorazione del sé corporeo e la sperimentazione di per-cezioni sempre più sottili e differenziate

L’orto: la realizzazione e l’allestimentoLa creazione dell’orto è un’occasione preziosa per bambini che abitano un quartiere centrale della città. Abituati a un sistema rigo-rosamente urbano, essi hanno la possibilità di avvicinarsi ai segreti della natura, di dare valore ai suoi prodotti e a prendersene cura. I nonni hanno saputo essere “i nonni di tutti” rassicurando i bambini, aiutandoli e valorizzando i loro sforzi; sono stati inoltre il principale punto di riferimento per i genitori, veicolando uno scambio culturale tra tre generazioni. L’esperienza dell’orto è stata spesso continuata anche dalle mamme nei vasi sui balconi di casa, rafforzando quanto sperimentato a scuola.

I laboratoriNei laboratori si coinvolgono vista, tatto, olfatto, gusto, sensazio-ni che accompagnano i bambini nell’assaggio, nella degustazione e nella realizzazione di semplici ricette a base di frutta e verdura.

Il progetto nella scuola dell’infanzia Pezzi

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Per concludere... una testimonianza

Un papà, a volte separato, spesso impegnato, un bambino e una piantina.Insieme mettono i semi nella terra, si sporcano le mani, le affondano, l’odore della terra entra nel naso, lo senti sulla pelle, non si vorrebbe lavarlo via perché ricorda momenti piacevoli.Una settimana può passare in fretta o può essere interminabile: la scuola, il telefono, mangi tut-to? E poi il pensiero a quei semi chissà se succe-derà qualcosa... e poi succede, un’esile filo verde buca la terra e allora... sì! Possiamo cominciare a pensare, a pensarla ovunque lei sia, che sia sul davanzale della finestra del monolocale di papà o sul balcone della casa della mamma, sul terraz-zo, nel giardino della casa dei nonni o nell’orto della scuola lei cresce e c’è, c’è sempre, però devi averne cura, devi “pensarla” anche se non la vedi tutti i giorni, allora quel filo verde, seppure esile diventa un filo invisibile che corre dal bambino al papà, allora quella pianta diventa la “nostra pianta” nella mente e nel cuore e, perché no, es-sere un’alternativa alla giostra, al McDonald, al cinema. Una piantina: prendersene cura, darle da bere, osservarne la crescita, i mutamenti, il suo saper attendere, il suo non gridare, il suo crescere piano piano, senza muoversi, senza scappare via. Lei è sempre lì, sempre più pre-sente. Sì, perché può essere difficile per un papà “separato”, a volte, trovare un interesse piacevole che avvicini al bambino; con un maschio è più facile: a volte è il calcio, la condivisione del tifo per la squadra del cuore, ma con una bimba i papà a volte si sentono più inadeguati e questa emozione “verde” condivisa può essere d’aiuto.

Particolare successo ha avuto il laboratorio di cucina intito-lato “Gli agrumi: arancia, mandarino e limone”.

Fil rouge: il ricettarioCreatività e fantasia sono messe in campo da bambini, geni-tori ed educatrici per preparare un ricettario quale filo rosso tra scuola e famiglia...A casa, con i genitori, le esperienze di cucina continuavano aggiungendo molti ingredienti a sorpresa a seconda dei gusti dei bambini e delle loro famiglie. Ciascuno veniva infatti invi-tato a raccontare le nuove ricette che, insieme a quelle delle educatrici, creavano alla fine un unico libro.

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