Edizione italiana a cura di: Multiplayer.it Edizioni · Di sicuro non erano diavoli, come mettevano...

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Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e accadimenti sono prodotti dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in maniera fittizia. Ogni somiglianza a eventi, luoghi o

persone reali, vive o morte, è del tutto casuale.

È proibito qualsiasi utilizzo non autorizzato del materiale presente in questo libro, sia totale che parziale.

TITOLO ORIGINALE:The Windup Girl

Edizione italiana a cura di: Multiplayer.it EdizioniCoordinamento: Alessandro Cardinali, Francesco Giannotta

Traduzione: Massimo GardellaRevisione: Fabio Filadelfo Centamore

Impaginazione: Andrea TurriniCover: Raphael Lacoste

Stampato in Italia presso Grafiche Diemme - Perugia Prima edizione italiana: Maggio 2014Finito di stampare nel Maggio 2014

ISBN: 978-8-8635529-4-2

http://edizioni.multiplayer.it

The Windup Girl © 2014 by Paolo BacigalupiAll rights reserved.

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Emiko sorseggia whiskey, vorrebbe essere ubriaca, e attende il segnale di Kannika per essere umiliata. Il suo numero. Una parte di lei lotta per resistere ma il resto – la parte seduta con una giacchetta che la lascia seminuda, una gonna pha sin aderente e un bicchiere di whiskey in mano – non trova le forze per combattere.

Si domanda se le abbia mai avute, se la parte che si sforza di tenere vive le sue illusioni di amor proprio sia anche la parte che vuole distruggerla. Se il suo corpo, l’amalgama di cellule e dna manipolato – con le sue esigenze più intense e più pratiche – non sia il vero sopravvissuto: l’unico a possedere volontà.

Non è per questo che è seduta qui, ad ascoltare le vibrazioni dei manganelli e il gemito dei pi klang mentre le ragazze si contorcono illuminate da larve bioluminescenti e uomini e puttane le incoraggiano urlando? È perché le manca la volontà di morire? O perché è troppo testarda per permettere che succeda?

Raleigh sostiene che tutto funziona a cicli, si alzano e abbassano come la marea lungo le spiagge di Koh Samet, o come il cazzo di un uomo quando si fa una bella scopata. Raleigh sculaccia le sue ragazze e ride alle battute della nuova ondata di gaijin e dice a Emiko che possono fare ciò che vogliono con lei, il denaro è denaro, niente di nuovo sotto il sole. Forse ha ragione. Raleigh non pretende niente di nuovo. Niente di ciò che si inventa Kannika per farla soffrire e urlare è una novità. Tranne che a piangere e gemere è una ragazza meccanica. Almeno questo è inedito.

Guarda! Sembra umana!Gendo-sama ripeteva che lei fosse più che umana. Le accarezzava i

capelli neri dopo avere fatto l’amore e diceva che fosse un peccato che le Neo Persone non fossero rispettate di più, era dispiaciuto che i suoi movimenti non sarebbero mai stati fluidi. Eppure aveva una vista e una pelle perfette, e geni resistenti a cancro e malattie. Di cosa doveva lamentarsi? Almeno i suoi capelli non sarebbero mai ingrigiti, non sarebbe mai invecchiata velocemente come lui, persino con gli interventi chirurgici e le pillole e gli unguenti e le erbe che lo mantenevano giovane.

Le aveva accarezzato i capelli e detto: “Sei stupenda, anche se sei una Neo Persona. Non devi vergognarti”.

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Emiko si era rannicchiata nel suo abbraccio. “No. Non mi vergogno”.

Ma quella era Kyoto, dove le Neo Persone erano di casa, dove quelli come lei svolgevano attività utili e a volte erano addirittura tenuti in considerazione. Non umani, certo, ma nemmeno una minaccia come erano visti dalla gente di questa cultura primitiva e basilare. Di sicuro non erano diavoli, come mettevano in guardia i grahamiti dai loro pulpiti, e nemmeno le creature senz’anima che qualche monaco buddhista immaginava sputate dall’inferno; per costoro erano creature incapaci di avere un’anima o un posto nel ciclo della rinascita proteso al Nirvana. Non erano neanche un affronto al Corano, come sostenevano le Fasce Verdi.

I giapponesi erano pragmatici. A una popolazione di vecchi serviva la maggiore varietà possibile di giovane manodopera, non era peccato avere raggiunto lo scopo creandoli in laboratorio e per farli crescere in vivai-scuola. I giapponesi erano pragmatici.

Non è per questo che sei seduta qui? Perché i giapponesi erano così tanto pragmatici? Anche se te ne piaceva uno, anche se parlavi la loro lingua, anche se Kyoto è l’unico posto che potevi chiamare casa, non eri giapponese.

Emiko affonda la testa tra le mani. Troverà mai qualcuno, oppure resterà sola al termine della notte? Non è sicura di sapere cosa preferisce.

Raleigh dice che non c’è niente di nuovo sotto il sole, ma stasera, quando Emiko aveva sottolineato di essere una Neo Persona, e che nessuna Neo Persona aveva mai fatto certe cose, Raleigh aveva riso e detto che lei aveva ragione, era speciale e chissà, forse significava che tutto era possibile. Poi l’aveva sculacciata e le aveva detto di salire sul palco e mostrare a tutti quanto era speciale quella sera.

Emiko passa le dita sugli anelli bagnati lasciati dai bicchieri sul bancone. Anelli di birra calda e sudore appiccicoso, viscido come le ragazze e i clienti, come la sua pelle quando si unge fino a risplendere, per essere soffice come burro quando un uomo la tocca. Anzi, ancora più soffice, perché se i suoi movimenti fisici sono un estraniante singhiozzo di scatti, la sua pelle è più che perfetta. Persino con la vista aumentata individua a stento i pori nella carne. Così minuta. Così delicata. Così ideale. Costruita per il Giappone e per un riccone che possedeva un sistema di controllo climatico, non per questo posto. Qui fa troppo caldo e suda troppo poco.

Chissà, se fosse una creatura diversa, magari uno stupido stregatto, tanto per dire, forse non patirebbe tanto il caldo. Non perché i suoi pori sarebbero più larghi ed efficienti e la sua pelle non così drammaticamente impermeabile, ma solo perché non penserebbe. Priva della consapevolezza di essere rimasta intrappolata in questa pelle perfetta e soffocante da qualche maledetto scienziato con il suo

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lente d’ingrandimento: affascinato, eppure anche disgustato. Lei sente l’impulso di aggredirlo, cercare di costringerlo a guardarla, accorgersi di lei e non soltanto valutarla come un avanzo di immondizia genetica. Invece, lei si inchina e batte la testa contro il palco in teak in segno di sottomissione, mentre Kannika in thai racconta la storia di Emiko. Una volta era il giocattolo di un ricco giapponese. Ma ora apparteneva a loro: un giocattolo che si poteva anche rompere.

Quindi afferra Emiko per i capelli e la solleva di peso. Emiko sobbalza mentre il suo corpo si flette. Nota l’uomo con la barba reagire sorpreso per l’improvvisa violenza, per la sua umiliazione. Un lampo del pubblico. Il soffitto con le gabbie delle larve bioluminescenti. Kannika la piega ancora più indietro, come un ramoscello, costringendola a spingere il seno verso il pubblico, ad arcuarsi ancora di più, allargare le cosce mentre lotta per non capovolgersi. La testa tocca il teak del palco. Il suo corpo forma un arco perfetto. Kannika dice qualcosa e la folla ride. Il dolore alla schiena e al collo di Emiko è estremo. Sente gli occhi del pubblico su di lei, una sensazione fisica, si sente violata. È completamente scoperta.

Un liquido zampilla su di lei.Cerca di raddrizzarsi, ma Kannika la schiaccia e le getta altra

birra in faccia. Emiko soffoca e singhiozza, sta affogando. Infine, Kannika molla la presa ed Emiko scatta sull’attenti, tossendo. Schiuma liquida lungo il mento, le scivola sul collo e il seno, gocciola fino agli organi genitali.

Ridono tutti.Saeng sta già offrendo una birra al tizio con la barba, lui sogghigna

e dà la mancia a Saeng e tutti ridono per come il corpo di Emiko scatta e sobbalza ora che è in panico, sputando il liquido contenuto nei suoi polmoni. Adesso non è altro che una stupida marionetta, solo movimenti meccanici – cigolii spasmodici – senza alcuna traccia dell’eleganza stilizzata a cui la sua maestra Mizumi-sensei l’aveva istruita da ragazza nel vivaio-scuola. Non c’è eleganza né attenzione nei suoi movimenti ora; i segni rivelatori del suo dna sono evidenti a tutti, con violenza, perché ci ridano sopra.

Emiko continua a tossire, per poco vomita la birra nei polmoni. I fianchi si contraggono e si agitano, così che tutti possano rendersi conto della sua vera natura. Infine riesce a respirare. Riprende il controllo dei movimenti. Torna immobile, inginocchiata, in attesa del prossimo attacco.

In Giappone era un prodigio. Qui soltanto una bambola meccanica. Gli uomini ridono per la sua strana andatura, con smorfie disgustate solo per il fatto che lei esista. Per loro è una creatura proibita. Gli uomini thai la infilerebbero volentieri nei serbatoi di compostaggio per il metano. Se dovessero scegliere tra lei o un dirigente calorico AgriGen, è difficile dire chi vorrebbero macerare per primo.

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Poi ci sono i gaijin. Chissà quanti di loro sostengono di essere seguaci della Chiesa Grahamita, dedita a distruggere tutto ciò che lei rappresenta: un affronto al gregge di fedeli e alla natura. Eppure sono seduti in mezzo agli altri per godersi la sua umiliazione.

Kannika l’afferra di nuovo. Si è spogliata, stringe in mano un fallo di giadeite. Getta a terra Emiko, la spinge sulla schiena. “Tenete ferme le mani”, dice; gli uomini si affrettano a obbedire e le afferrano i polsi.

Kannika le spalanca le gambe, Emiko grida e Kannika la penetra. Emiko scosta il viso, aspetta che finisca l’assalto, ma Kannika si accorge della sua elusione. Stringe il viso di Emiko in una mano e la costringe a mostrare a tutti le sue fattezze, perché gli uomini riconoscano l’effetto delle attenzioni di Kannika.

Gli uomini la incitano a proseguire. Intonano una melodia in thai. Neung! Song! Sam! Si!

Kannika li tiene in sospeso con un ritmo crescente. Gli uomini sudano e osservano e vogliono di più per il prezzo dello spettacolo. Sempre più mani la bloccano a terra, sulle cosce e sui polsi, lasciando a Kannika completa libertà di abusare di lei. Emiko si contorce, il suo corpo trema e scatta come fa una marionetta, proprio come Kannika vuole che vedano tutti. Gli uomini ridono e commentano sui movimenti innaturali, gli scatti improvvisi, disorientanti come un flash.

Le dita di Kannika si uniscono alla giadeite tra le gambe di Emiko, giocano con la sua essenza. Emiko sente montare l’imbarazzo. Cerca ancora di scostare il viso di lato. Gli uomini sono tutto intorno a lei, vicini, la fissano. Altra folla dietro di loro, si allungano per sbirciare. Emiko mugola. Kannika ride, un verso rauco e compiaciuto. Dice qualcosa agli uomini e aumenta il ritmo. Le sue dita giocano nelle pieghe di Emiko. Lei mugola di nuovo e il suo corpo la tradisce. Mugola. Si flette. Il corpo risponde esattamente allo scopo per cui è stato progettato – come desideravano gli scienziati attraverso i loro test. Non importa quanto la disgusti, non riesce a controllarlo. Gli scienziati non hanno voluto concederle nemmeno questa piccola disobbedienza. Infine viene.

Il pubblico ruggisce soddisfatto, ridono per le assurde convulsioni stimolate dall’orgasmo nel suo dna. Kannika la indica come per dire: “Avete visto? Guardate questo animale!”, quindi si mette a cavalcioni sopra la faccia di Emiko e le sibila che non è niente, e non sarà mai niente, e per una volta la lurida giapponese subisce ciò che spetterà a loro.

Emiko vuole ribattere che nessun giapponese rispettabile farebbe mai cose del genere. Vorrebbe dirle che sta solo strapazzando un giocattolo giapponese usa e getta – una frivolezza dell’ingenuità giapponese, come un manubrio per motorisciò in cellulosa riciclabile della Matsushita – ma lo ha già fatto in precedenza peggiorando solo la situazione. Se sta zitta, la violenza finirà presto.

Sarà pure una Neo Persona, ma non c’è niente di nuovo sotto il sole.

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I facchini tessera gialla girano le manovelle delle grandi pale forate, per far circolare l’aria nel club. Il sudore gocciola sui loro volti e scorre in rivoli luccicanti sulle schiene. Bruciano rapidamente calorie mentre le consumano, eppure il locale cuoce nel ricordo del sole pomeridiano.

Emiko è in piedi accanto a un ventilatore, si rinfresca più che può, una pausa tra un bicchiere e l’altro, con la speranza che Kannika non la intercetti.

Ogni volta che la incrocia, la trascina fuori dove tutti gli uomini possono esaminarla. La fa camminare con l’andatura meccanica tradizionale giapponese, esagerando i movimenti minuti della sua cultura. La fa girare da una parte all’altra, e gli uomini scherzano ad alta voce mentre in silenzio riflettono se comprare il suo piacere quando i loro amici saranno andati via.

Al centro della sala principale, gli uomini invitano in pista ragazzine in pha sin e giacche corte e ballano lenti mentre la band suona una selezione di musica della Contrazione, canzoni recuperate da Raleigh nella sua memoria e convertite per essere eseguite con strumenti tradizionali thai, strane e maliconiche combinazioni del passato, esotiche come i suoi figli con i capelli di curcumina e gli occhi grandi e tondi.

“Emiko!”Lei sobbalza. Raleigh le indica di raggiungerla nel suo ufficio.

Lo sguardo dei clienti segue il suo passo meccanico quando sfila accanto al bar. Kannika alza lo sguardo dal suo cliente, con cui intreccia le mani, naso contro naso. Abbozza un sorriso mentre Emiko cammina oltre. Appena giunta nel paese, Emiko scoprì che i thai hanno tredici varianti di sorriso. Quello di Kannika non denota benevolenza.

“Svelta”, dice Raleigh, impaziente. La conduce dietro una tenda e lungo il corridoio con i camerini delle ragazze, quindi attraverso un’altra porta.

Le vestigia di tre generazioni sono allineate lungo le pareti del suo ufficio, dalle foto ingiallite di Bangkok interamente illuminata dall’elettricità fino a un ritratto di Raleigh con indosso gli abiti tradizionali di qualche tribù selvaggia delle colline, al Nord. Raleigh invita Emiko a stendersi su un cuscino sopra la piattaforma rialzata dove lui tratta i suoi affari privati. C’è un altro uomo già disteso, una creatura alta e pallida con occhi azzurri e capelli biondi, una brutta cicatrice sul collo.

Lo sconosciuto trasalisce appena lei entra nella stanza. “Gesù e Noè, non mi hai detto che era meccanica”, dice.

Raleigh sogghigna e si accomoda sul suo cuscino. “Non sapevo che fossi un Grahamita”.

L’uomo quasi sorride per la battuta. “È molto rischioso tenerla. Stai giocando con la micoruggine, Raleigh. Le camicie bianche ti saranno addosso”.

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“Finché pago le tangenti, al Ministero non interessa ciò che faccio. I tizi che pattugliano questa zona non sono le Tigri di Bangkok. Vogliono solo qualche soldo extra e farsi una pennichella”. Ride. “Spendo più per comprare a lei il ghiaccio che per pagare il Ministero dell’Ambiente a guardare dall’altra parte”.

“Ghiaccio?”“La struttura porosa è sbagliata. Si surriscalda”. Fa una smorfia.

“Se l’avessi saputo prima, non l’avrei comprata”.La stanza puzza d’oppio e Raleigh armeggia per riempire di nuovo

la pipa. Sostiene che l’oppio l’ha mantenuto giovane, vitale attraverso gli anni, ma Emiko sospetta che si imbarchi per Tokyo e si sottoponga agli stessi trattamenti anti vecchiaia di Gendo-sama. Raleigh solleva l’oppio sopra la lampada. Si scalda e sfrigola, quindi lavora la palletta con gli aghi finché la sostanza diventa viscosa, poi la appollottola di nuovo e la schiaccia nella pipa. La allunga verso la lampada e aspira profondamente mentre la pasta diventa fumo. Chiude gli occhi. Offre la pipa all’uomo pallido, come un cieco.

“No, grazie”.Raleigh apre gli occhi. Ride. “Dovresti provare. È l’unica cosa

che resiste alle epidemie. Per mia fortuna. Non riesco a immaginare l’astinenza alla mia età”.

Lo straniero non ribatte. I suoi occhi azzurri studiano Emiko. Lei ha la sensazione sgradevole di essere smembrata, cellula dopo cellula. Non la sta spogliando con gli occhi – una cosa che prova ogni giorno: lo sguardo degli uomini che sfreccia sulla sua pelle, afferrando il corpo, affamati e disgustati da lei – invece la studia con distacco clinico. Se è animato da qualche appetito, lo nasconde bene.

“È lei?”, chiede l’uomo.Raleigh annuisce. “Emiko, dì a questo signore del nostro amico

dell’altra sera”.Emiko guarda Raleigh, frustrata. È quasi sicura di non avere mai

visto questo gaijin pallido e biondo al club prima di quel momento, almeno, di non averlo mai visto assistere a qualche spettacolo speciale. Non gli ha mai servito whiskey con ghiaccio. Emiko scava nei ricordi. No, lo ricorderebbe. È bruciato dal sole, nonostante la penombra delle candele e della lampada per l’oppio. I suoi occhi sono eccessivamente chiari, a loro modo sgradevoli. Lo ricorderebbe.

“Vai avanti”, la sprona Raleigh. “Digli ciò che hai raccontato a me. La camicia bianca. Il ragazzo con cui ti sei intrattenuta”.

Raleigh di solito è un fanatico della privacy dei suoi clienti. Parlava persino di costruire una rampa di scale separata per gli ospiti, semplicemente perché nessuno li avrebbe visti entrare o uscire dalla torre di Ploenchit, un passaggio sotterraneo con accesso a un isolato di distanza. E adesso vuole che lei riveli così tanto.

“Il ragazzo?”, chiede per prendere tempo, innervosita dalla fretta

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di Raleigh di invadere la privacy di un cliente, per giunta una camicia bianca. Lancia un’occhiata allo straniero, chiedendosi chi sia e che tipo di rapporto stringa con il suo papa-san.

“Avanti”. Il tono di Raleigh si fa impaziente, con la pipa d’oppio stretta tra i denti. Si sporge verso la lampada per fumare ancora.

“Era una camicia bianca”, esordisce Emiko. “È venuto con un gruppo di altri agenti...”

Un nuovo cliente. L’hanno portato qui i suoi amici. Ridevano tutti e lo prendevano in giro. Bevevano tutti gratis perché Raleigh non è così stupido da farli pagare, la loro benevolenza valeva molto più del suo liquore. Il giovane era ubriaco. Rideva e faceva battute su di lei al bar. Poi era tornato dopo, di soppiatto, senza farsi notare dagli occhi indiscreti dei colleghi.

L’uomo pallido fa una smorfia. “Vengono con te? Con quelle come te?”“Hai”. Emiko annuisce, senza mostrare alcuna traccia di ciò che

pensa del suo disgusto. “Poliziotti e Grahamiti”.Raleigh ridacchia piano. “Sesso e ipocrisia. Vanno a braccetto come

caffè e latte”.Lo sconosciuto lancia un’occhiata tagliente a Raleigh, Emiko si

domanda se il vecchio abbia riconosciuto il disprezzo in quegli occhi azzurri, oppure se è troppo fatto di oppio per accorgersene. L’uomo pallido si sporge in avanti, esclude Raleigh dalla conversazione. “E cosa ti ha detto questa camicia bianca?”

È vagamente affascinato, intrigato da lei? Oppure è interessato solo alla sua storia?

Contro la sua volontà, Emiko sente montare l’urgenza genetica di appagare, un sentimento che non provava da quando era stata abbandonata. Qualcosa in quell’uomo le ricorda Gendo-sama. Nonostante i suoi occhi azzurri da gaijin siano come pozze di acido chimico e la sua faccia pallida come una maschera kabuki, ha una certa presenza. Un’aria autoritaria innegabile e stranamente rassicurante.

Sei un Grahamita? Si chiede. Mi userai prima di farmi distruggere e ridurre in composto? Chissà se a quello sconosciuto importa. Non è bello. Non è giapponese. Non è niente. Eppure i suoi orribili occhi la inchiodano con la stessa forza che Gendo-sama esercitava su di lei.

“Cosa vuole sapere?”, mormora Emiko.“La tua camicia bianca ha menzionato il generipping”, dice il gaijin.

“Ricordi?”“Hai. Sì. Mi sembrava molto orgoglioso credo. Aveva con sé una

borsa di frutti appena progettati. Li regalava a tutte le ragazze”.Il gaijin mostra interesse, rassicurandola. “Che aspetto avevano

questi frutti?”, chiede.“Erano rossi, mi sembra. Con... filamenti. Lunghi filamenti”.“Verdi? Lunghi circa così?”. Allarga le dita di un centimetro.

“Più spessi?”

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Lei annuisce. “Sì. Esatto. Li chiamava ngaw. Li aveva creati sua zia. Era molto orgoglioso di lei. Avrebbe ricevuto gli onori dal Somdet Chaopraya in persona, il Protettore della Regina Infanta, per il suo contributo al Regno”.

“Ed è stato con te?”, ribatte subito l’uomo.“Sì, ma dopo che i suoi amici erano andati via”.Il tizio pallido scuote la testa con impazienza. Non gli interessano

i particolari dell’incontro: lo sguardo nervoso del giovane, il modo in cui aveva avvicinato mama-san e come Emiko lo aveva aspettato di sopra mentre lui attendeva il momento giusto per seguirla, perché nessuno sospettasse il collegamento. “Cos’altro ha detto di sua zia?”, chiede l’uomo.

“Solo che è una generipper del Ministero”.“Niente altro? Non dove lavora? Dove si trovano le coltivazioni di

prova? Niente del genere?”“No”.“E basta?”. Il gaijin sbircia Raleigh, irritato. “È per questo che mi

hai trascinato qui?”Raleigh si riprende dal torpore. “Il farang”, la sollecita. “Digli del

farang”.Emiko non riesce a nascondere la confusione. “Prego?”. Ricorda

la camicia bianca che si vantava della zia. Del premio che avrebbe ricevuto, la promozione per il suo lavoro sugli ngaw... ma nessun farang. “Non capisco”.

Raleigh posa la pipa contrariato. “Mi hai detto che menzionava un generipper farang”.

“No”. Scuote la testa. “Non ha menzionato stranieri. Mi dispiace”.Il gaijin con la cicatrice è irritato. “Fammi sapere quando hai

notizie che meritano il mio tempo, Raleigh”. Si allunga per raccogliere il cappello e alzarsi.

Raleigh la guarda. “Hai parlato di un generipper farang!”“No...”. Emiko nega di nuovo. “Un momento!”. Ferma il gaijin

con una mano. “Un momento. Khun, per favore. Ho capito a cosa si riferisce Raleigh-san”. Sfrega le dita sul suo braccio. Il gaijin si ritrae di scatto al contatto. Si allontana con una faccia disgustata.

“Per favore”, supplica lei. “Non avevo capito. Il ragazzo non ha parlato di farang. Ma ha detto un nome... poteva essere farang”. Cerca conferma in Raleigh. “Si riferisce a questo? Il nome strano? Poteva essere straniero, sì? Non thai, non cinese o hokkien...”

Raleigh la interrompe. “Emiko, digli ciò che hai detto a me. È quello che voglio. Digli tutto, ogni singolo dettaglio. Proprio come quando parli con me dopo un appuntamento”.

E lei obbedisce. Il gaijin si accomoda di nuovo, ascolta sospettoso mentre lei racconta ogni cosa. Il nervosismo del ragazzo, prima faticava persino a guardarla, poi non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

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Lui parlava tanto perché non raggiungeva l’erezione. Il modo in cui la spiava mentre si spogliava, come le parlava della zia. Cercava di apparire importante di fronte a una puttana, per giunta una Neo Persona, un atteggiamento che le era parso sciocco e bizzarro, anche se non lo aveva mostrato. Infine racconta la parte che appiccica un sorriso soddisfatto in faccia a Raleigh mentre il suo pallido ospite segnato dalla cicatrice strabuzza gli occhi.

“Il ragazzo ha detto che un uomo, Gi Bu Sen, fornisce loro i progetti, ma più spesso che no li tradisce. Sua zia però ha scoperto l’inganno e hanno realizzato con successo il rip degli ngaw. Gi Bu Sen non ha contribuito quasi per niente alla scoperta degli ngaw. Ripeteva che, alla fine, fosse tutto merito di sua zia”. Emiko annuisce. “Ha detto così. Gi Bu Sen li inganna, ma sua zia è troppo in gamba per cascarci”.

Il gaijin la studia attentamente. Occhi azzurri gelidi. La pelle bianca come un cadavere. “Gi Bu Sen”, sussurra. “Sei sicura di questo nome?”

“Gi Bu Sen. Sono sicura”.L’uomo annuisce pensieroso. La lampa utilizzata da Raleigh per

l ’oppio scoppietta nel si lenzio. Molto più sotto, in strada, un venditore notturno d’acqua strilla, la sua voce galleggia attraverso le imposte aperte e le zanzariere. Il rumore sembra interrompere le riflessioni del gaijin. “Se il tuo amichetto torna a trovarti, mi piacerebbe molto saperlo”.

“Dopo si è vergognato per ciò che aveva fatto”. Emiko si tocca una guancia, dove nasconde un livido sotto il trucco. “Credo che non...”

La interrompe Raleigh. “A volte ritornano. Anche se si sentono in colpa”. Le lancia un’occhiata torva. Lei conferma con un cenno. Il ragazzo non tornerà, ma al gaijin fa piacere credere il contrario. E se è contento lui, è contento anche Raleigh. Raleigh è il suo padrone. Dovrebbe essere d’accordo anche lei, e con convinzione.

“A volte”. È tutto ciò che riesce a dire. “A volte tornano, persino quando si vergognano”.

Il gaijin osserva entrambi. “Perché non le dai un po’ di riso, Raleigh?”

“Non è ora del suo prossimo turno. E tra poco va in scena”.“Pagherò per lo spettacolo annullato”.È evidente che Raleigh voglia restare, ma è abbastanza sveglio per

non lamentarsi. Si sforza di sorridere. “Certo. Perché non fate due chiacchiere voi due?”. Fissa Emiko con insistenza mentre esce dalla stanza. Emiko conosce Raleigh, vuole che seduca il gaijin. Che lo alletti con il suo sesso meccanico e la promessa di trasgressione. E che dopo lo ascolti e riferisca tutto a lui, come è richiesto a tutte le altre ragazze.

Emiko si sporge più vicina, mostra al gaijin la pelle nuda. I suoi occhi sondano il suo corpo, seguono la linea della coscia fino a dove si insinua sotto la sua pha sin, il modo in cui i fianchi aderiscono al tessuto. Poi distoglie lo sguardo. Emiko nasconde la propria irritazione.

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Non è attratto? È nervoso? Disgustato? Non riesce a capirlo. Con molti uomini è uno scherzo. Ovvio. Rientrano in facili categorie. Si domanda se lui provi troppo ribrezzo per una Neo Persona, o se preferisca i ragazzi.

“Come sopravvivi qui?”, chiede il gaijin. “Le camicie bianche avrebbero già dovuto ridurti in composto”.

“Soldi. Finché Raleigh-san è disposto a pagarli, mi ignoreranno”.“Vivi da qualche parte? Raleigh ti paga l’affitto?”. Quando lei

annuisce, lui aggiunge. “Caro, immagino?”Emiko scrolla le spalle. “Raleigh-san tiene il conto dei miei debiti”.Come evocato, Raleigh torna con il ghiaccio per lei. Il gaijin si

interrompe mentre lo vede entrare, aspetta impaziente che posi il bicchiere sul tavolino. Raleigh prende tempo, quando l’uomo lo ignora farfuglia qualcosa sul divertirsi ed esce di nuovo. Emiko segue l’uscita del vecchio pensando al potere che detiene il gaijin su Raleigh. Davanti a lei, il bicchiere d’acqua ghiacciata è imperlato di gocce seducenti. L’uomo fa un cenno e lei lo prende e beve avidamente. Prima che se ne accorga, è già vuoto. Preme il bicchiere freddo contro la guancia.

L’uomo con la cicatrice la fissa. “Così non ti hanno progettata per i tropici?”. Si sporge per esaminarla meglio, il suo sguardo scorre sulla pelle. “Interessante che i tuoi progettisti abbiano modificato la struttura dei pori”.

Emiko lotta per non ritrarsi dal suo interesse. Si rinsalda sporgendosi a sua volta. “Per rendere la mia pelle più attraente. Liscia”. Alza la gonna pha sin sopra le ginocchia, facendola scorrere sulle cosce. “Vuoi toccare?”

Lui la sbircia, indeciso.“Per favore”. Lei fa un cenno per invitarlo.Finalmente allunga una mano e la fa scivolare sulla pelle.

“Delizioso”, bisbiglia. Emiko sente una vampata di soddisfazione per la sua voce spezzata. Ha lo sguardo di un bambino lanciato a briglia sciolta. Si schiarisce la gola.

“La tua pelle brucia”, dice.“Hai. L’hai detto anche tu. Non sono progettata per questo clima”.La esamina centimetro per centimetro. I suoi occhi affamati la

setacciano, come se dovessero nutrirsi di lei. Raleigh sarà contento. “Logico”, dice lui. “Il tuo modello è venduto solo a una gamma ristretta di persone facoltose... che possiedono un impianto di controllo climatico”. Annuisce tra sé, sempre studiandola. “Un affare vantaggioso, per loro”.

La guarda. “Mishimoto? Allora sei della Mishimoto? Non puoi essere un modello diplomatico. Il governo non concederebbe mai il visto d’ingresso a una ragazza meccanica, considerando le vedute religiose a palazzo...”. La fissa negli occhi. “Sei stata abbandonata dalla Mishimoto, vero?”

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Emiko reprime a fatica una vampata di vergogna. Come se l’avesse sventrata per rovistare tra le sue budella, distaccato e offensivo, come un medico esperto di cibiscosi durante un’autopsia. Posa con gesti calcolati il bicchiere. “Sei un generipper?”, chiede. “Per questo sai tante cose su di me?”

L’espressione del gaijin muta per un istante, da stupore e fascinazione a malizia compiaciuta. “È più un hobby”, risponde. “Diciamo che preferisco considerarmi un gene-osservatore”.

“Ah, sì?”. Lascia trapelare una sfumatura di disprezzo per lui. “Oppure no. Forse sei un dirigente dal Conglomerato del Midwest? Non sei un uomo d’azienda?”. Si sporge in avanti. “Magari un dirigente calorico?”

Sussurra le ultime parole, ma fanno centro. L’uomo indietreggia di scatto. Resta con il sorriso congelato, gli occhi però la studiano come la mangusta studia il cobra. “Un’ipotesi interessante”, dice.

Lei accoglie con piacere il suo sguardo prudente dopo avere lei stessa provato vergogna. Se è fortunata, forse questo gaijin la farà a pezzi e tanti saluti. Almeno troverà la pace.

Aspetta che la colpisca. Nessuno tollera l’impudenza dalle Neo Persone. Mizumi-sensei si era assicurata che Emiko non mostrasse mai una traccia di ribellione. Le aveva insegnato a obbedire, prostrarsi, piegarsi ai desideri dei suoi padroni ed essere orgogliosa della propria condizione. Nonostante Emiko provi imbarazzo perché il gaijin ha curiosato nel suo passato e per avere perso il controllo, Mizumi-sensei avrebbe detto che non era una scusa sufficiente per stuzzicarlo e tormentarlo. Non ha importanza. Ormai è fatta, Emiko sente la morte invaderle l’anima, e pagherà con gioia qualsiasi prezzo lui scelga di estorcerle.

Invece l’uomo dice: “Raccontami di nuovo della notte con il ragazzo”. La rabbia è svanita dal suo sguardo, ora implacabile come una volta lo era quello di Gendo-sama. “Dimmi tutto”, dice. “Adesso”. L’ordine è secco come un colpo di frusta.

Lei combatte per resistere, ma l’impulso integrato di una Neo Persona di obbedire è troppo forte, la vergogna di ribellarsi troppo potente. Non è il tuo padrone, ricorda a se stessa, eppure al tono di comando nella sua voce per poco non se la fa sotto pur di soddisfarlo.

“È venuto la settimana scorsa...”. Ripercorre i dettagli della sua notte con la camicia bianca. Racconta al gaijin ogni particolare, con lo stesso piacere con cui una volta giocava a samisen per Gendo-sama, un cane che vuole disperatamente servire. Vorrebbe suggerirgli di mangiare micoruggine e crepare, ma non è nella sua natura e mentre parla il gaijin ascolta.

Le fa ripetere alcuni passaggi, insiste con nuove domande, torna su punti del discorso che lei credeva non ricordasse. Non ha pietà, spulcia tutti i particolari della storia, la obbliga a spiegarsi. È molto bravo a fare domande. Gendo-sama interrogava così i suoi inferiori, quando

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voleva sapere perché un clipper non era arrivato secondo la tabella di marcia. Davanti alle scuse reagiva come un’infezione genetica.

Infine, il gaijin annuisce soddisfatto. “Bene”, dice. “Molto bene”.Emiko prova una sferzata di piacere per il complimento, e ne è

disgustata. Il gaijin finisce il whiskey. Fruga in tasca ed estrae un rotolo di banconote, ne conta diverse stando in piedi.

“Questi sono per te. Non farli vedere a Raleigh. Con lui mi sistemo prima di uscire”.

Dovrebbe essere grata, invece si sente usata. Usata da quest’uomo con le sue domande e le sue parole così come dagli altri, i grahamiti ipocriti e le camicie bianche del Ministero dell’Ambiente, che non vedono l’ora di commettere trasgressioni con quella bizzarria biologica, che sbavano tutti per il piacere di fornicare con una creatura immonda.

Stringe le banconote tra le dita. La sua formazione prevede di essere educata, invece quell’abbondanza tronfia la irrita.

“Cosa credi che farò con questi baht extra, signore?”, chiede. “Comprerò gioielli? Uscirò a cena? Sono proprietà di Raleigh”. Getta il denaro ai suoi piedi. “Non fa differenza se sono ricca o povera. Sono proprietà di qualcun altro”.

L’uomo si ferma, la mano sulla porta scorrevole. “Perché non scappi, allora?”

“Dove? Il mio permesso d’importazione è scaduto”. Sorride con amarezza. “Senza la protezione e i contatti di Raleigh-san, le camicie bianche mi ridurrebbero in composto”.

“Potresti andare al nord”, ribatte lui. “Con gli altri meccanici”.“Quali meccanici?”L’uomo abbozza un sorriso. “Raleigh non ti ha detto niente sulle

enclave di meccanici sulle montagne? Sopravvissuti alla guerra del carbone? Quelli che hanno liberato?”

L’uomo prosegue, incoraggiato dall’espressione smarrita di lei. “Interi villaggi, vivono nella giungla. È una terra povera, mezza distrutta dal genemodifiche, oltre Chiang Rai, sull’altra sponda del Mekong. Lassù i meccanici non hanno padroni e sono liberi. La guerra del carbone non è finita, ma se odi così tanto i tuoi clienti, è pur sempre un’alternativa a Raleigh”.

“È vero?”. Si sporge. “Questo villaggio esiste davvero?”L’uomo sorride. “Chiedi a Raleigh, se non mi credi. Li ha visti con i suoi

occhi”. Si interrompe. “Ma temo non trarrà alcun vantaggio a raccontarti questa storia. Potrebbe incoraggiarti a liberarti del guinzaglio”.

“È vero?”Lo strano sconosciuto pallido si tocca la punta del cappello.

“Quanto è vero ciò che mi hai raccontato tu”. Fa scorrere la porta e scivola fuori, lasciando Emiko da sola con il cuore martellante e un’improvvisa urgenza di vivere.

4

“500, 1000, 5000, 7500...”Proteggere il Regno da tutte le infenzioni del mondo naturale è

come cercare di raccogliere l’oceano con un retino. Puoi catturare qualche pesce, ma l’oceano riesce sempre a scorrere via.

“10.000, 12.500, 15.000... 25.000...”Il capitano Jaidee Rojjanasukchai ne è più che consapevole, in piedi

sotto l’enorme pancia di un dirigibile farang nel cuore della notte torrida. Le turbopale del dirigibile soffiano e ronzano sopra di lui. Il suo carico giace disseminato tutto intorno, casse e scatole di legno ridotte in schegge, il contenuto sparso sulla piattaforma d’ancoraggio come i giocattoli scagliati da un bambino furibondo. Un assortimento vario di merci preziose e proibite.

“60.000, 70.000, 80.000...”Il Regno Thai è sul punto di essere inghiottito. Jaidee sorveglia

pigramente il rottame su cui si sono scagliati i suoi uomini, e gli sembra evidente. Finiranno inghiottiti dall’oceano. Quasi tutte le casse contenevano merci sospette. Ma è davvero una questione simbolica. Il problema è ubiquo: il mercato grigio delle vasche chimiche ha sede al Chatachuk Market, i contrabbandieri solcano il fiume Chao Phraya a notte fonda con la stiva carica di ananas di prossima generazione. Il vento trasporta senza sosta il polline lungo la penisola, portando con sé le varianti genetiche più recenti targate AgriGen e PurCal, mentre gli stregatti si mimetizzano con l’immondizia dei soi e le lucertole jingjok2 fanno razzia delle uova di pavoni e caprimulghi. I tarli eburnei scavano le foreste di Khao Yai, mentre gli zuccheri della cibiscosi, la micoruggine e il ceppo fa’ gan scavano nelle verdure e nell’umanità ammassata di Krung Thep.

L’oceano in cui nuotano tutti. Il medium stesso della vita.“90... 100.000... 110... 125...”Grandi pensatori come Premwadee Srisati e Apichat Kunikorn

potrebbero polemizzare sulle forme di protezione migliori, o discutere se sia meglio sterilizzare con gli ultravioletti le barriere lungo i confini del Regno oppure intervenire con saggezza e una mutazione genetica preventiva, ma per quanto riguarda Jaidee sono solo idealisti. Non puoi catturare l’oceano.

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“126... 127... 128... 129...”Jaidee si china sulla spalla del tenente Kanya Chirathivat e la

osserva mentre conta il denaro della mazzetta. Due ispettori doganali aspettano seccati in disparte che gli venga restituita l’autorità.

“130... 140... 150...”. La voce di Kanya è una cantilena ininterrotta. Un peana alla ricchezza, all’ingrassaggio delle ruote, ai nuovi affari in un paese antico. La sua voce è limpida e precisa. Non sbaglia mai i conti.

Jaidee sorride. Non c’è niente di male in un piccolo slancio di buona volontà.

Alla piattaforma di ancoraggio successiva, a duecento metri di distanza, i megodonti barriscono trascinando il carico fuori dalla pancia di un dirigibile e le casse vengono impilate per essere approvate dalla dogana. Le turbopale agitano l’aria e ronzano, stabilizzano il gigantesco aeromobile ancorato sopra di loro. Il pallone sbanda e ruota. Il vento soffia sullo schieramento di camicie bianche agli ordini di Jaidee, folate crudeli cariche di letame di megodonte. Kanya posa una mano sui baht che sta contando. Gli uomini di Jaidee aspettano impassibili, con i machete in pugno, mentre il vento li sferza.

Le raffiche prodotte dalle turbopale calano. Kanya continua la sua cantilena. “160... 170... 180...”

Gli ispettori doganali sudano. Persino nella stagione calda non c’è ragione di sudare in quel modo. D’altronde, non è lui a essere costretto a pagare il doppio per una protezione già in partenza probabilmente costosa.

Jaidee prova quasi pena per loro. Quei poveracci non hanno idea degli eventuali cambiamenti occorsi alla struttura del potere: pagamenti dirottati, se Jaidee rappresenta un nuovo potere o un nuovo nemico; non sanno come si colloca all’interno dell’apparato burocratico e quale sia la sua influenza sul Ministero dell’Ambiente. Perciò pagano. È addirittura stupito che abbiano racimolato il denaro in così breve tempo, forse più sorpreso di loro quando le sue camicie bianche hanno sfondato le porte della dogana e occupato il campo.

“Duecentomila”. Kanya lo guarda. “Ci sono tutti”.Jaidee sogghigna. “Ti ho detto che avrebbero pagato”.Kanya non ricambia il sorriso, ma non sarà questo a rovinare la

giornata a Jaidee. È una bella serata calda, hanno appena intascato un sacco di soldi e come bonus hanno persino visto gli ispettori doganali sudare freddo. Per Kanya è sempre stato difficile accettare un colpo di fortuna quando lo incontra. Da qualche parte nella sua gioventù aveva dimenticato come si prova piacere. Denutrizione nel Nord-Est. La perdita di genitori e fratelli. Faticosi spostamenti fino a Krung Thep. Lì in mezzo, da qualche parte, aveva perso la capacità di provare gioia. Non amava il sanuk, il divertimento, nemmeno quel piacere intenso, il sanuk mak così efficace da far tremare il Ministero

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del Commercio o i festeggiamenti di Songkran. Perciò, quando Kanya intasca 200.000 baht dal Ministero del Commercio senza battere ciglio, solo spazzando via la polvere che soffia sulla piattaforma di ancoraggio, senza sorridere, Jaidee non si lascia rovinare l’umore. A Kanya non piace divertirsi, è il suo kamma.

Eppure, Jaidee prova pena per lei. Persino i più disperati a volte sorridono. Kanya praticamente mai. È quasi mostruosa. Non sorride se è imbarazzata, o irritata, quando è arrabbiata o quando è felice. La sua totale assenza di doti sociali mette a disagio gli altri, per questo è finita nell’unità di Jaidee. Nessun altro la sopporta. Loro due fanno una strana coppia. Jaidee trova sempre qualcosa per cui sorridere, Kanya mostra un’espressione gelida che potrebbe benissimo essere stata scolpita nella giada. Jaidee sogghigna di nuovo, augura ogni bene al suo tenente. “Leviamo le tende allora”.

“Ha abusato della sua autorità”, farfuglia un funzionario doganale.Jaidee alza le spalle soddisfatto. “La giurisdizione del Ministero

dell’Ambiente si estende a ogni angolo del Regno Thai, se minacciato. È la volontà Reale di Sua Maestà la Regina”.

L’uomo lo fissa con freddezza, sebbene si costringe a sorridere. “Ha capito cosa intendo”.

Jaidee sogghigna, minimizzando la malafede del funzionario. “Non abbattetevi, su. Avrei potuto prendere il doppio e chiedervi lo stesso di pagare”.

Kanya comincia a mettere via il denaro mentre Jaidee fruga in una cassa spaccata con la punta del machete. “Questo carico importante deve essere protetto!”. Ribalta una partita di kimono, probabilmente spediti alla moglie di un dirigente giapponese. Separa articoli di intimo più costosi del suo stipendio mensile. “Non vogliamo che qualche sudicio funzionario rovisti in questo lusso, giusto?”. Lancia un’occhiata divertita a Kanya. “Ne vuoi uno? È tutta seta vera. Sai, i giapponesi hanno ancora i bachi da seta”.

Kanya non distoglie lo sguardo e continua ad armeggiare col denaro. “Non sono della mia taglia. Le mogli dei dirigenti giapponesi sono tutte grassone, per le calorie genemodificate dei loro accordi con AgriGen”.

“Vorreste anche rubare?”. L’espressione del funzionario doganale è una maschera di rabbia controllata, nascosta dietro un sorriso educato a denti stretti.

“No, a quanto pare”. Jaidee alza le spalle. “Il mio tenente sembra avere gusti più raffinati dei giapponesi. In ogni caso, sono sicuro che vi rifarete della spesa. Questo non è che un lieve incidente”.

“E i danni? Come li spiegheremo?”. L’altro funzionario indica uno schermo pieghevole tipo Sony, mezzo distrutto per terra.

Jaidee esamina l’oggetto. Mostra ciò che lui interpreta come l’equivalente di una famiglia di samurai alla fine del ventiduesimo secolo: un dirigente della Mishimoto Fluid Dynamics che supervisiona

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i lavoratori meccanici nei campi e... Sono lavoratori con dieci mani quelli che vede? Jaidee scorre le immagini oltre quella bizzarra blasfemia. La famigliola di esseri umani immaginata al limitare del campo non sembra scomporsi, ma d’altronde sono giapponesi: lasciano che i propri figli si divertano con una scimmia meccanica.

Jaidee fa una smorfia. “Sono certo che troverete qualche scusa. Magari i megodonti da carico sono imbizzarriti”. Molla una pacca sulle spalle dei funzionari. “Non fate quella faccia! Usate la fantasia! Dovresti pensare a tutto questo come a un’occasione per costruire”.

Kanya finisce di mettere via il denaro. Chiude bene la borsa di tela e la infila a tracolla.

“Abbiamo finito”, dice.Più in basso, un dirigibile discende lentamente verso la piattaforma,

le imponenti pale a kino-molle sfruttano gli ultimi joule per manovrare il bestione agganciato alle ancore. I cavi penzolano come serpenti dalla sua pancia, trascinati da pesi di piombo. Gli addetti sulla piattaforma d’ancoraggio attendono con le mani in aria di agganciare il mostro galleggiante alle squadre di megodonti, sembra quasi che preghino qualche divinità gigantesca. Jaidee segue la scena con interesse. “Comunque, l’Associazione Benemerita dei Funzionari in Pensione del Ministero dell’Ambiente apprezza il vostro gesto. Avete guadagnato punti ai loro occhi, a prescindere”. Solleva il machete e si rivolge ai suoi uomini.

“Khun agenti!”. Strilla sopra il ronzio delle pale del dirigibile e i barriti dei megodonti. “Ho una sfida da proporvi!”. Indica il dirigibile in discesa con il machete. “Duecentomila baht al primo di voi che fruga in una cassa di quella nave! Andiamo! Quella là! Ora!”

Gli ispettori doganali rimangono a bocca aperta, impietriti. Cominciano a protestare, ma le loro voci sono annegate dal ruggito delle pale del dirigibile. Le loro bocche esprimono la lamentela: “Mai tum! Mai tum! Mai tawng tum! No no nonono!”, sbraitano agitando le braccia verso il velivolo, ma Jaidee sta già sfrecciando sulla pista, brandisce il machete e ulula verso la nuova preda.

Alle sue spalle, le camicie bianche lo seguono come un’onda. Evitano casse e lavoratori, saltano sui cavi di ancoraggio, passano sotto il ventre dei megodonti. I suoi uomini. La sua famiglia leale. I suoi figli. Sciocchi seguaci idealisti e leali alla Regina che hanno risposto alla sua chiamata, gli incorruttibili, quelli che conservano nel proprio cuore l’onore di servire per il Ministero dell’Ambiente.

“Quello! Quello!”Attravesano la pista veloci come tigri bianche, lasciando casse di

merci giapponesi disseminate nella loro scia come le macerie dopo un tifone. Le voci degli ispettori doganali si affievoliscono. Jaidee è già lontano, felice di sentire le gambe pompare sotto di lui, il piacere di un inseguimento pulito e onorevole, correre sempre più veloce, con i suoi

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uomini al seguito, ricoprire la distanza con lo scatto adrenalinico del guerriero puro, alzando asce e machete verso la macchina gigantesca mentre cala dal cielo, incombendo su di loro come il signore dei demoni Tosacan, alto tremila metri. Il megodonte dei megodonti, e sulla fiancata, in caratteri farang, le parole: CARLYLE & SONS.

Jaidee non si accorge del gridolino di gioia sfuggito dalle sue labbra. Carlyle & Sons. L’irritante farang che parla con tanta naturalezza di cambiare i sistemi di credito per l’inquinamento, eliminare le ispezioni di quarantena, snellire tutto ciò che ha mantenuto vivo il Regno mentre altri paesi collassavano, lo straniero che si è accattivato il favore del ministro del Commercio Akkarat e del Somdet Chaopraya, il Protettore Reale. Quel dirigibile è un vero trofeo. Jaidee si lancia nella corsa. Allunga il passo per raggiungere i cavi di ancoraggio mentre i suoi uomini gli sfrecciano accanto, più giovani e veloci, convinti fanatici, fanno a gara per assicurarsi la loro porzione di bottino.

Ma questo dirigibile è più scaltro del precedente.Alla vista dell’irruzione delle camicie bianche sulla piattaforma

d’atterraggio, il pilota orienta le turbopale. Il getto violento investe Jaidee. Le pale urlano salendo di giri mentre il pilota consuma gigajoule nel tentativo di librarsi dal suolo. I cavi di atterraggio del dirigibile scattano come fruste verso l’interno, avvolgendosi intorno alle maniglie come una piovra che strattona con i propri tentacoli. Le turbopale scagliano al suolo Jaidee mentre girano a massima potenza.

Il dirigibile si solleva.Jaidee si spinge in piedi, socchiude gli occhi contro i venti caldi

mentre l’aeronave rimpicciolisce nella notte nera. Chissà se il mostro appena svanito è stato allertato dalle torri di controllo o dalla dogana, oppure se il pilota era abbastanza sveglio da rendersi conto che i suoi padroni non avrebbero gradito un’ispezione delle camicie bianche.

Jaidee sogghigna. Richard Carlyle. Fin troppo sicuro di sé, quel tipo. Sempre impegnato in riunioni con Akkarat, onnipresente a eventi pubblici di beneficenza per le vittime della cibiscosi, a elargire denaro e difendere i vantaggi del libero scambio. È solo uno delle dozzine di farang tornati da queste parti come meduse dopo un’epidemia di acqua amara, ma Carlyle è il più fastidioso. La sua faccia sorridente è quella che irrita Jaidee più delle altre.

Jaidee si raddrizza completamente e spazza il tessuto bianco di canapa della sua uniforme. Non importa, il dirigibile tornerà. Come le onde dell’oceano sulla spiaggia, è impossibile tenere lontani i farang. Terra e mare devono incrociarsi. Questi uomini con il profitto nel cuore non hanno scelta, devono buttarsi a testa bassa senza pensare alle conseguenze, e lui deve sempre trovarseli di mezzo.

Kamma.Jaidee riporta lentamente l’attenzione sul contenuto delle casse

aperte durante l’ispezione, asciuga il sudore dal viso, prende fiato per

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la fatica della corsa. Fa segno ai suoi uomini di continuare il lavoro. “Laggiù! Aprite quelle là! Voglio che controllate ogni singola cassa”.

I funzionari della dogana lo aspettano. Jaidee pungola una cassa distrutta con la punta del machete mentre i due ispettori si avvicinano. Sono come cani. Impossibile sbarazzarsene finché non li hai nutriti. Uno di loro cerca di impedire a Jaidee di infilare il machete in un’altra cassa.

“Abbiamo pagato! Inoltreremo lamentele! Ci saranno indagini. Questo è suolo internazionale!”

Jaidee li guarda seccato. “Perché siete ancora qui?”“Abbiamo pagato un prezzo onesto per la protezione!”“Più che onesto”. Jaidee li oltrepassa con una scrollata di spalle.

“Ma non sono qui per discutere di questo. È un vostro damma protestare. Il mio è proteggere i nostri confini, e se ciò significa invadere il vostro ‘suolo internazionale’ per salvare il paese, così sia”. Sferza un nuovo colpo di machete e un’altra cassa si fracassa. Schegge di legno WeatherAll schizzano ovunque.

“Ha abusato del suo potere!”“Probabilmente. Ma dovrete mandare qualcuno direttamente dal

Ministero del Commercio per dirmelo, qualcuno molto più potente di voi”. Fa oscillare il machete, pensieroso. “A meno che non vogliate trattare con me e i miei uomini, adesso”.

I due trasaliscono. Jaidee pensa di avere colto l’ombra di un sorriso sulle labbra di Kanya. La guarda sorpreso, ma al suo tenente è tornata subito una maschera di pura professionalità. È bello vederla sorridere. Jaidee si domanda se possa fare qualcosa per incoraggiare un secondo sorriso lampo dalla sua arcigna subordinata.

Purtroppo i funzionari doganali sembrano riconsiderare la loro posizione e si allontanano dal machete.

“Non creda di poterci insultare così, senza conseguenze”.“No, certo”. Jaidee molla un altro colpo alla cassa spaccandola

del tutto. “Ma apprezzo il vostro contributo finanziario, in ogni caso”. Li fissa. “Quando vi lamentate, assicuratevi di scrivere il mio nome: è stato Jaidee Rojjanasukchai a occuparsi di questo incarico”. Sogghigna di nuovo. “E non dimenticate di aggiungere che avete cercato di corrompere la Tigre di Bangkok”.

Tutto intorno, i suoi uomini ridono per la battuta. I funzionari indietreggiano stupiti per la rivelazione, solo ora si rendono conto di chi sia il loro avversario.

Jaidee sorveglia la distruzione che lo circonda. Schegge di balsa delle casse dappertutto. I contenitori sono progettati per unire resistenza a leggerezza, e i finimenti in lattice fanno un buon lavoro a conservare le merci... a meno che non si usi un machete.

Il lavoro procede alla svelta. Le casse vengono svuotate e il contenuto disposto in file ordinate. Gli ispettori si aggirano segnando i nomi delle camicie bianche al suo servizio, finché gli uomini dell’unità non

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brandiscono i machete e li inseguono. I funzionari battono in ritirata, poi si fermano a osservare da una distanza di sicurezza. La scena fa venire in mente a Jaidee gli animali che lottano per una carcassa. I suoi uomini si pascevano delle frattaglie di paesi stranieri mentre gli spazzini assaggiavano campioni, corvi e stregatti e cani tutti in attesa dell’occasione di convergere sulla carogna.

Gli ispettori doganali seguono la scena in disparte.Jaidee ispeziona la fila di merci ordinate. Kanya lo segue da vicino.

“Cos’abbiamo qui, tenente?”, domanda Jaidee.“Soluzioni Agar. Colture nutritive. Un tipo di vasche di coltura.

Cannella PurCal. Una partita di semi di papaya che non conosciamo. Una nuova variate di U-Tex che probabilmente sterilizza ogni varietà di riso con cui entra in contatto”. Scrolla le spalle. “Più o meno ciò che aspettavamo”.

Jaidee alza il coperchio di una cassa e sbircia dentro. Verifica il recapito. Una compagnia nel distretto industriale farang. Cerca di dare un suono alle lettere straniere, poi si arrende. Cerca di ricordare se ha già visto il logo, ma non gli torna. Fruga con le dita tra il contenuto, sacchi con una specie di proteina in polvere. “Niente di particolarmente interessante, quindi. Nessun nuovo ceppo di micoruggine sbucato da una cassa AgriGen o PurCal”.

“No”.“Peccato non avere catturato il secondo dirigibile. Sono scappati

di corsa. Mi sarebbe piaciuto ispezionare il carico di Khun Carlyle”.Kanya alza le spalle. “Torneranno”.“Tornano sempre”.“Come cani su una carcassa”, dice lei.Jaidee segue lo sguardo di Kanya, puntato sugli ispettori, sempre

abbastanza lontani da essere al sicuro. Lo rattrista che entrambi vedano il mondo allo stesso modo. Kanya è influenzata da lui? O il contrario? Una volta il lavoro lo divertiva di più. Ma una volta il lavoro era più limpido. Non è abituato a braccare nei territori grigi che bazzica Kanya. Ma almeno si diverte di più.

Uno dei suoi uomini interrompe le sue fantasie. Somchai torreggia su di lui, giocherella con il machete. È veloce, coetaneo di Jaidee ma segnato da gravi perdite quando la micoruggine si abbatté per la terza volta sul Nord-Est in una sola inesorabile stagione. Un brav’uomo, leale e intelligente.

“Ci spiano”, bisbiglia Somchai avvicinandosi a loro due.“Dove?”Somchai muove impercettibilmente la testa. Gli occhi di Jaidee

scrutano il trambusto sulla pista d’atterraggio. Al suo fianco, Kanya si irrigidisce.

Somchai annuisce. “Lo vedi, vero?”“Kha”. Annuisce lei per conferma.

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Infine anche Jaidee lo individua. Un uomo in piedi, piuttosto lontano, tiene d’occhio le camicie bianche e gli ispettori doganali. Indossa un semplice sarong arancione e una camicia di lino viola, quasi fosse un facchino, eppure non trasporta niente. Non fa niente. E sembra ben nutrito. Non gli affiorano le costole né ha le guance incavate come molti facchini. Osserva, appoggiato con naturalezza a un gancio di ancoraggio. “È del Commercio?”, chiede Jaidee.

“Esercito?”. Azzarda Kanya. “Oppure un informatore”.Come se avesse percepito lo sguardo di Jaidee, il tizio si volta, i loro

occhi si incrociano per un momento.“Merda”. Somchai si incupisce. “Si è accorto che lo abbiamo

notato”. Lui e Kanya si uniscono a Jaidee e lo fissano apertamente. Il tizio non fa una piega. Sputa un grumo rosso di betel, si gira e s’incammina sparendo nel caotico viavai delle attività di carico.

“Vuoi che lo interroghi?”, chiede Somchai.Jaidee allunga il collo, cerca di scorgere un ultimo scampolo dell’uomo

nel punto in cui è stato ingoiato dalla calca. “Cosa ne pensi, Kanya?”Lei esita. “Non abbiamo stuzzicato abbastanza cobra per stasera?”Jaidee ammicca. “Ecco la voce della saggezza e della moderazione”.Somchai annuisce d’accordo. “Quelli del Commercio saranno già

furibondi per questo”.“Speriamo”. Jaidee fa segno a Somchai di tornare alle sue ispezioni.

Mentre lo osservano allontanarsi, Kanya dice: “Questa volta forse abbiamo esagerato”.

“Intendi dire che ho esagerato”. Jaidee sogghigna. “Ti stai rammollendo?”“Non è una questione di nervi”. Torna a guardare dove era sparito lo

sconosciuto. “Ci sono pesci più grossi di noi, Khun Jaidee. Le piattaforme di ancoraggio...”. Kanya non termina la frase. Infine, dopo avere calcolato visibilmente le parole, dice: “È una mossa aggressiva”.

“Sicura di non avere paura?”. La stuzzica lui.“No!”. Taglia corto, manda giù lo sfogo, riprende il controllo di sé.In privato, Jaidee ammira la sua abilità di parlare a sangue freddo.

Lui non era mai stato attento alle parole, né alle azioni. Era il tipo che in genere caricava a testa bassa come un megodonte e solo dopo cercava di raddrizzare le ciotole di riso calpestate. Jai rawn, piuttosto che jai yen. Una testa calda, più che fredda. Kanya, invece...

“Forse”, dice lei infine, “questo non è stato il miglior posto dove colpire”.

“Non essere pessimista. Le piattaforme di ancoraggio sono la scelta migliore in assoluto. Quelle due pustole laggiù hanno sganciato 200.000 baht senza problemi. Troppi soldi per implicare un affare onesto”. Jaidee sogghigna. “Sarei dovuto venire qui molto tempo prima e dare una lezione a questi heeya. Meglio che aggirarsi lungo il fiume con uno skiff a kino-molla e arrestare bambini per traffico di merci generippate. Almeno questo posso chiamarlo lavoro”.

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“Ma il Commercio sarà coinvolto di sicuro. In base alla legge, questo è il loro territorio”.

“In base a una sana legge, niente di questa roba dovrebbe essere importata”. Jaidee agita una mano in aria, minimizzando. “Le leggi sono documenti ambigui. Intralciano la strada alla giustizia”.

“Non c’è mai giustizia quando c’è di mezzo il Commercio”.“Lo sappiamo bene entrambi. Comunque, è stata una mia decisione.

Tu non devi temere niente. Non hai potuto fermarmi, persino sapendo dove eravamo diretti stanotte”.

“Non volevo...”. Si affretta a dire Kanya.“Non ti preoccupare. È ora che il Commercio e il suo farang preferito

vengano punti nel vivo. Sono stati compiacenti, è necessario ricordare loro che di tanto in tanto devono eseguire un khrab, inchinarsi umilmente all’idea delle nostre leggi”. Jaidee si interrompe, scruta di nuovo i rottami intorno a lui. “Non c’è davvero altro incluso nelle liste nere?”

Kanya scrolla le spalle. “Solo il riso. Il resto è abbastanza innocuo, almeno sulla carta. Nessun campione di organismo vivente. Niente materiale genetico in sospensione”.

“Ma?”“Gran parte del carico verrà usata in modo improprio. Le colture

nutritive non servono a niente di utile”. Kanya sfoggia di nuovo la sua espressione vuota e depressa. “Rimettiamo tutto nelle casse?”

Jaidee fa una smorfia, poi scuote la testa. “No. Brucialo”.“Come?”“Bruciate tutto. Sappiamo entrambi cosa succederà. Lasciamo che

i farang espongano una lamentela presso le loro compagnie assicurative. Facciamogli sapere che la loro attività non è gratuita”. Jaidee sogghigna. “Bruciate tutto, fino all’ultima cassa”.

E per la seconda volta quella sera, mentre il carico crepita nel fuoco, e gli olii WeatherAll scorrono incendiandosi in scintille nell’aria, come preghiere che salgono nei cieli, Jaidee è soddisfatto di vedere Kanya sorridere di nuovo.

È quasi mattina quando Jaidee torna a casa. Il ji ji ji delle lucertole jingjok rintocca insieme al frinire delle cicale e al ronzio persistente delle zanzare. Sfila le scarpe e sale i gradini, il teak scricchiola sotto i suoi passi mentre entra furtivo nella sua palafitta, sentendo il legno liscio sotto le piante dei piedi, morbido e levigato sulla pelle.

Apre la porta a zanzariera e sguscia dentro, chiudendola alla svelta dietro di sé. Sono vicini al khlong, questione di metri, all’acqua salmastra e densa. Le zanzare sciamano vicino.