Editoriale Libero srl Società Unipersonale · 2014-03-08 · Ai ev a drim 5 mondo, prima del...
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© 2014 Editoriale Libero srl – Società Unipersonale
Reg. trib. di Bolzano
N.8/64 del 22/12/1964
www.liberoquotidiano.it
Direttore Responsabile
Maurizio Belpietro
Ai ev a drim
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PREFAZIONE 3
FINE ANNI 10 3
ARRIVA LA TROIKA 13
L’EUROPA IN PEZZI 13
RIVOLUZIONE FRANCESCE 17
GERMANIA KAPUTT 20
STATI UNITI D’EUROPA 22
NASCE IL NORD ITALIA 25
I PRIMI ANNI LIBERI 31
NUOVO MONDO 31
CI È CAMBIATA LA VITA 38
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Prefazione
L’ultimo Natale a Milano è stato forse il più
sfarzoso di sempre. Luci ovunque, bancarelle
in ogni quartiere, feste di piazza. E che corsa
ai regali. I negozi hanno dovuto tenere aperto
fino a mezzanotte. Anche i turisti stranieri e-
rano in fila. Cosa ci sarà stato di così speciale
in questo 2025 non l’ho ancora capito. In fin
dei conti erano tre anni che il Nord Italia,
quello che vent’anni fa qualcuno aveva chia-
mato Padania, stava battendo i tedeschi su
tutti i fronti: compresi quelli sportivi. Troppo
bello vedere i cugini teutonici, insieme a cine-
si e americani, assistere alle lezioni di econo-
mia pratica dei nostri piccoli imprenditori. La
terza rivoluzione industriale ci aveva regalato
la svolta: l’ingegno, la passione, il gusto e la
voglia di lavorare avevano ribaltato il tavolo.
Se prima eravamo sotto, ora possiamo ballarci
sopra, bevendo e fumando un sigaro, alla fac-
cia di chi ci voleva male. Gran parte del meri-
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to però va a quella donna, che donna, che è
riuscita a trattare con Roma e Bruxelles
l’inizio di un nuovo mondo. Fino al 2020
sembravamo spacciati noi qui al Nord, ma da
quel patto di Ferragosto, firmato a Verona,
siamo entrati in una sorta di età dell’oro. Non
so quanto durerà, magari questi anni saranno
ricordati come i famosi “Roaring twenties”
americani, terminati con la mitica crisi del ’29,
o magari è solo l’inizio di una riscossa attesa
da secoli. La politica e i partiti non c’entrano.
La svolta è nata spontaneamente dalla gente,
da chi lavora, da chi ha sopportato di tutto
per decenni senza alzare mai la testa, da chi si
era fidato prima di Bossi, poi di Berlusconi e
infine di Grillo, da chi si è reso conto che fa-
cendo da soli si poteva arrivare al massimo: a
essere la zona più ricca del mondo. Ricca non
solo economicamente: in Lombardia e Veneto,
ad esempio, hanno battuto tutti i record di
gente che dona sangue. In Emilia si è riforma-
to quello spirito cooperativistico, solidale, ge-
nuino che aveva reso famosa la Regione del
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mondo, prima del tradimento in favore dei
soldi facili, della finanza spericolata, e di con-
seguenza della perdita dei valori. Alla gente
del Nord è tornato il sorriso: sono rifiorite un
sacco di associazioni e tradizioni, che sembra-
vano perdute. Ora a scuola si studiano
l’italiano, l’inglese e il veneto, o il lombardo,
emiliano, piemontese Non è un passo indie-
tro, ma uno in avanti: le prossime generazioni
saranno più forti. Potranno vendere e guada-
gnare con la propria identità. I turisti
dall’Asia, fra cui il neo ricco vietnamita, o dal-
la classe emergente sudafricana, diventa pazzi
quando assaggiano il risotto con l’ossobuco o
il pearà. E il vino? Non ne parliamo: pratica-
mente è diventato come l’oro. Il nettare di
Bacco non è riproducibile in laboratorio e il
boom della domanda estera ha fatto lievitare
il prezzo del vino alle stelle. La cosa bella? Ce
l’abbiamo solo noi la Franciacorta: il ministro
dell’agricoltura ha emesso bond e spinto alla
grande per creare strutture internazionali per
la promozione del vino e la ricezione dei turi-
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sti enogastronomici. E se ne frega di Bruxel-
les, perché se ci dicono qualcosa minacciamo
di andarcene e loro zitti e mosca.
Il pragmatismo ha vinto sull’ideologia, ecco la
chiave del successo del Nord. La burocrazia è
praticamente sparita. Le tasse sono calate di
brutto, gli sprechi esistono ancora, perché è
nell’animo umano rubare, ma mai come sul
finire della seconda repubblica italiana. Ora
nella terza repubblica italiana, dopo la guerra
dello spread e la nascita della nuova Europa,
va avanti chi s’impegna e porta a casa risulta-
ti. Gli altri? Si adeguano. C’è un aiutino ogni
anno, ovvio, ma ormai la capitale non è più
Roma. Tutto dipende da Bruxelles, dove c’è
un governo vero, figlio di elezioni vere (non le
baracconate degli anni precedenti). C’è un e-
sercito unico, tasse comunitarie (federali) e al-
tre locali, che permettono di lasciare in piedi i
vecchi stati nazione, che adesso svolgono il
ruolo che un tempo era esercitato dalle nostre
Regioni.
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Il top è in politica: i capi del governo del Nord
non percepiscono stipendio e stanno in carica
tre anni. Poi a casa e si ricambia. Non esistono
più i partiti, se non a livello dei macrocomuni,
ribattezzati semplicemente in comuni. Le
province e le regioni? Eh…non esistono più.
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Fine anni 10
Che brutti gli anni ’10. Sfiducia a tutti i livelli.
Una classe dirigente era arrivata al capolinea:
i politici sono stati spazzati via dal commissa-
riamento congiunto Usa-Ue. Era il 2015, ma il
travaglio era durato anni. Nessuno a Roma si
voleva rassegnare alla fine dell’Italia così co-
me l’avevamo conosciuta. Partiti, giornali, po-
tentati economici, Confindustria e sindacati
recitavano una tragedia. Pensavano che prima
o poi tutto si sarebbe risolto: sacrifici, sacrifici,
sacrifici. Quanti massacri fiscali, quante fughe
all’estero, quanti tentativi di ribellarsi, anche
se non c’era – fortunatamente – un movimen-
to organizzato di rivoltosi. Ognuno pensava
per sè, perché nessuno si fidava più di nessu-
no. In nome dell’Europa - che all’epoca era
un’accozzaglia di politici trombati e non eletti,
tutti in lite fra loro, nonché corrotti da fiumi
di mazzette – è successo di tutto. La classe
media italiana si stava sempre più assotti-
gliando, travolta da tasse, bollette, assicura-
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zioni e prezzi mai discesa, nonostante nessu-
no comprasse più niente. Ma la minoranza
ideologica e chiassosa, figlia della deriva più
becera del comunismo - i post sessantottini -
che reggeva i poteri italiani, faceva passare
sotto silenzio tutte le lamentele. Tuttavia la
maggioranza silenziosa, quella che teneva su
quel poco che rimaneva di Pil, non ne poteva
più. E i politici di opposizione – da Grillo a
Berlusconi – non avevano la forza di ribaltare
la situazione. Perché? La solita sfiducia: trop-
pe promesse mai mantenute, troppi cattivi e-
sempi. In tutto questo il Nord stava scivolan-
do verso il Sud e il Sud si stava avvicinando
verso la Grecia. Eravamo dentro a un imbuto
con le pareti viscide: solo che aveva guanti
speciali riusciva a non precipitare.
L’Italia era diventato un Paese per ricchi. Ser-
viva un reddito sempre più alto per campare
dignitosamente: il guaio era che più guada-
gnavi e più ti tassavano. Insomma stava di-
ventando tutto insostenibile.
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Il governo non voleva però tagliare la spesa
pubblica. O meglio, non riusciva perché aveva
paura di rivolte e la sua debolezza politica gli
avrebbe impedito di usare il pugno duro.
Quel giorno però arrivò. Si iniziò, come da
tradizione italiana, a tagliare in periferia: pri-
vatizzando alcune società regionali. Da Nord
a Sud fu rivolta, indiscriminata, irrazionale,
pericolosa. Ci scapparono anche alcuni morti.
A differenza degli anni ’70 lo Stato non aveva
nemici ben precisi da combattere. Qua c’era
gente che, appena ricevuta la lettera di licen-
ziamento, scendeva in piazza e devastava o-
gni cosa trovava. Per un po’ i poteri forti vole-
vano far passare l’idea che si trattasse di e-
stremisti da condannare, all’epoca c’erano i
No Tav… Volevano farci credere che erano
tutti No Tav, ma dopo qualche mese si capì
che non erano disturbatori di professione –
quelli allevati dalla sinistra per anni. No, or-
mai eravamo al punto che gli stessi poliziotti,
chiamati a sedare le rivolte improvvisate, but-
tavano le armi e passavano dall’altra parte.
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Perché? Semplicemente perché per non taglia-
re i costi della politica e prediligendo
l’accoglienza ai clandestini si era arrivati
all’aberrazione di tagliare gli stipendi anche
delle forze dell’ordine.
Il governo, sempre più debole, a quel punto
provò a ritirare tutto, dirottando l’operazione
macelleria verso un’altra categoria: i pensio-
nati. La favola che volevano far passare era la
seguente: alcuni percepiscono assegni che non
meritano. Era vero: quasi la metà dei pensio-
nati percepiva pensioni senza aver lavorato.
Peccato che l’obiettivo non erano gli anziani-
ex-fannulloni, ma coloro che invece avevano
faticato, pagato un botto di contributi e ora si
vedevano decurtare la pensione. Con un col-
po di decreto si stava per distruggere il grup-
po di anziani che teneva in piedi il sistema, e
non solo quello previdenziale.
Risultato: un ulteriore calo dei consumi. Con-
seguenza del quale calò vistosamente il getti-
to fiscale. Lo Stato aveva sempre meno soldi,
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per colpa di politiche comuniste-pauperiste-
ideologiche e controproducenti. Le casse
pubbliche erano sempre più vuote e a quel
punto l’Europa temeva il peggio.
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Arriva la Troika
Primavera del 2015. Si vota per le Politiche in
Italia. Non vince nessuno perché una legge
elettorale truffa impedisce a uno schieramen-
to di vincere: quello che aveva preso più voti
era il Movimento 5 Stelle, ma il mondo dei
potenti non lo avrebbe mai sopportato. Si
procede allora verso un altro esperimento di
grande coalizione. E il programma? Come al
solito non c’è. E’ la fine. Gli Stati Uniti inter-
vengono. Il presidente americano chiama la
Cancelliera tedesca: dobbiamo fare qualcosa
adesso, altrimenti saltano le nostre banche. I
germanici non vorrebbero, perché sognano la
disfatta italiana, per poi scorrazzare nella pe-
nisola e comprare il meglio che è rimasto a
prezzi stracciati. Gli Usa insistono: Berlino
cede. Una missione congiunta Usa-Germania
e Unione Europea (sì, purtroppo ci sono an-
che loro) sbarca a Roma. Si decide quello che i
partiti non sono stati in grado di decidere in
vent’anni: via subito 500mila statali. Stavolta
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si inizia da Roma, dai ministeri. Poi si prose-
gue con Inps e Inail. E ancora: l’esercito, la
Rai, i vari Ice o Agea. Chiudono le Authority,
quella della Privacy, l’Antitrust, quella che vi-
gila sui contratti pubblici. Dalla sera alla mat-
tina la gente esce dai palazzi storici con gli
scatoloni. La Troika decide in 48 ore di indire
bandi per vendere gli stessi palazzi: cinesi, a-
rabi, indiani, brasiliani, ma anche americani e
tedeschi, sono in fila per aggiudicarsi un pez-
zo di Città Eterna. Dalla Capitale ai territori: i
commissari stranieri impugnano l’accetta e
aboliscono le Regioni e le province a Statuto
speciale. Poi si procede con la chiusura di tut-
te le agenzie regionali che vivono con il con-
tributo diretto dello Stato centrale: al Centro-
Sud è un bagno di sangue, ma anche al Nord
cadono centri famosi. La mannaia non si fer-
ma ed è la volta di Regioni, Province e Co-
muni: chi ha debiti superiori ai 10 milioni di
euro chiude e viene inglobato dall’ente virtu-
oso più vicino. Di fatto restano in piedi 5-6
regioni, quasi tutte al Nord, mentre le provin-
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ce rimangono 5: Roma, Milano e altre tre del
Nord. Fra i Comuni chiude Roma e altre mi-
gliaia di municipi: da oltre 8mila passano a
poco più di tremila.
Con i soldi risparmiati la Troika paga gli inte-
ressi sul debito pubblico, che era arrivato a
2300 miliardi di euro, e le pensioni e gli sti-
pendi a chi ha mantenuto il posto. Gli scontri
sono inevitabili. Morti e suicidi non si conta-
no. Arriva l’esercito a Napoli, Reggio Calabria
e Palermo: i sindaci non ci sono più, perché
licenziati, per cui quel poco di ordine è man-
tenuto da capitani, colonnelli e generali (quel-
li che sono scampati ai tagli o non sono scap-
pati all’estero per paura del peggio). Andando
ai numeri: il Pil precipita del 6%. La cassa in-
tegrazione non è più pagata, per cui i dati sul-
la disoccupazione non si possono più truccare
e di fatto la percentuale arriva a circa il 30%.
Equitalia e Agenzia delle Entrate rimangono
deserte, perché i dipendenti si autosospendo-
no per paura di attentati. Di fatto nessuno ri-
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scuote più le tasse non pagate. Solo grazie a
questa mancanza dello Stato l’economia sana
riesce a non perdere definitivamente il con-
trollo. Funziona una certa piccola e media
impresa, si esposta a prezzi più bassi perché
la fame di lavoro ha permesso agli imprendi-
tori di pagare meno la gente. E di conseguen-
za rimane viva la fiammella dei consumi.
Siamo in emergenza ma non tutto è perso. E
chi invece ha perso tutto? Emigra. Come negli
anni ’50-’60 si scappa dalla miseria. Solo che
stavolta è diverso: all’epoca si andava via dal
nulla per avere qualcosa. Adesso invece, che
si ha molto, si cerca di perdere poco. Anche a
costo di andare a vivere a migliaia di chilome-
tri…
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L’Europa in pezzi
Il 2014 è un anno particolare per l’Europa del-
le nazioni. E’ l’inizio della fine di un modello
nato male. Due eventi politici si scontrano: da
una parte passano due referendum separatisti
in Scozia e Catalogna, mentre alle Europee di
giugno il fronte anti-euro sfiora la maggio-
ranza. Siamo al paradosso. La Commissione
Europea non sa più cosa fare: il suo rigore, la
sua austerity, la sua ricerca della virtuosità si
scontrano contro i popoli. Che non vogliono
più pagare per gli errori degli euroburocrati,
ma soprattutto non vogliono rinunciare a un
certo tipo di Welfare e di benessere sociale. Il
problema è che i debiti degli stati nazionali
crescono sempre di più, la disoccupazione
pure, per cui i tagli alla spesa o gli aumenti
fiscali non fanno che esasperare la situazione.
La Scozia, col referendum si stacca dal Regno
Unito. Un fatto eclatante più a livello politico
che economico. Nello stesso periodo la Cata-
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logna, una delle due zone più ricche della
Spagna, non decide per la secessione, ma
un’autonomia fiscale quasi totale. Nel 2015,
quasi come automatica conseguenza, toccherà
ai Paesi Baschi, l’altra zona più ricca della pe-
nisola iberica a conquistare il 100%
dell’autonomia finanziaria. All’epoca si pen-
sava che il caso spagnolo fosse un’anomalia,
in realtà questa architettura economico-
politica sarà quella della nuova Europa.
Nel 2016 tocca così al Belgio dividersi tra
Fiandre a Regione Vallona: le Fiandre saluta-
no Bruxelles, garantendogli solo un contribu-
to annuale per pagare le spese di rappresen-
tanza.
Stessa cosa in Germania. Sì, anche nello Stato
più grosso e potente d’Europa succede
l’impensabile. La Baviera lascia Berlino: siamo
sul finale degli anni ’10. L’introduzione del
salario minimo, voluto a tutti costi dai social-
democratici per stare al governo con la Mer-
kel, provoca un buco di una settantina di mi-
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liardi nelle casse tedesche. Il governo federale
è così costretto ad alzare la pressione fiscale:
una vera e propria mannaia per i milioni di
pensionati che portano a casa un assegno
mensile inferiore ai mille euro: così non si vi-
ve più. La Baviera non ci sta più a regalare
soldi a Berlino per foraggiare un quinto dei
tedeschi, concentrati soprattutto a Est, che vi-
vono di assistenzialismo. Non c’è separazione
formale, ma autonomia pressoché totale. Per
intenderci: vi ricordate l’Alto Adige? Uno Sta-
to nello Stato, chiamato Regione europea. La
Baviera è a tutti gli effetti la zona più ricca
d’Europa e forse del mondo. Molti Comuni
austriaci, attratti dal Bengodi, lasciano Vienna
per Monaco.
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Rivoluzione francesce
La Commissione Europea, sulla metà degli
anni ’10, è – come dicevamo – preoccupata di
come mantenere il posto e mandare avanti il
baraccone. Alla luce appunto di un europar-
lamento quasi a maggioranza euroscettico. Si
tenta la chiave della propaganda: tutti i co-
siddetti europeisti, gente di sinistra che dopo
l’Urss si rivede nella Ue, sparano a zero con-
tro Marine Le Pen, simbolo del populismo.
C’è chi la paragona al nuovo Hitler, chi a una
specie di Al Qaeda sociale. In realtà la leader
del Front National non fa altro che stare zitta,
così ogni mossa del fronte europeista non fa
che regalarle voti. In Francia, nella seconda
metà degli anni ’10, si arriva alle presidenziali
sotto una crisi bestiale. Occupazioni, scioperi
a oltranza, guerre civili in ogni città industria-
le: quello che sta succedendo a Roma, gover-
nata dalla Troika, è amplificato di dieci volte a
Parigi. A distanza di oltre duecento anni sia-
mo in presenza di una nuova rivoluzione
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francese: il popolo dei lavoratori contro i bu-
rocrati di stampo socialista. Vince Marine Le
Pen. La sua prima mossa è avviare le pratiche
per uscire dall’euro. Precipita tutto.
La Bce non può permettersi di perdere la
Francia, così come le banche francesi non so-
no pronte a un ritorno al franco. Disoccupa-
zione e inflazione galoppano, così come i
morti per scontri non si contano più. I conti
pubblici non tengono più. Ed ecco che in
Francia, dopo che in Italia, arriva la Troika
Usa-Germania-Ue: licenziamenti, esercito in
strada e chiusura dei conti correnti.
Il grande sogno europeo, voluto dalla stessa
Francia per bloccare l’ascesa germanica, è fini-
to sotto i colpi – paradosso dei paradossi –
della moneta unica europea.
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Germania kaputt
Con la Francia e l’Italia commissariate e con la
Baviera, di fatto, separatasi da Berlino, sta per
finire anche il sogno del rigore tedesco. Ange-
la Merkel, che puntava alla presidenza delle
Repubblica – dopo la riforma presidenzialista
– deve fare i conti con i suoi stessi errori. Ave-
va improntato un sistema economico tutto ba-
sato all’export. Peccato che con la crisi di
mezza Europa, molta merce non riesca più a
varcare la frontiera tedesca: non c’è più do-
manda. Cresce così la disoccupazione e, udite
udite, anche l’inflazione. I beni e i prodotti
crescono, mentre il potere d’acquisto cala. E’
vero, rimane ancora forte l’export verso il re-
sto del mondo, peccato che la qualità non sia
più quella di una volta. Proprio
l’introduzione del salario minimo ha ridotto
al minimo l’impegno degli operai, sempre più
immigrati. Tanto, si dice, a fine mese mi dan-
no comunque 1300 euro. In Cina, ad esempio,
hanno imparato non solo a copiare, ma a co-
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piare bene. Anzi, ora certi prodotti li fanno
addirittura meglio.
Il mix è letale: cala la produzione, sale
l’inflazione, lo Stato ha meno soldi in cassa
per intervenire, ed ecco che i famigerati Bund
– i titoli di Stato considerati un tempo fra i più
sicuri del mondo – perdono valore. Crescono
di conseguenza gli interessi: anche i mutui
diventano impossibili, così come i prestiti alle
azienda. Scatta il liberi-tutti. Dopo la Baviera
anche altri Land lasciano la grande Germania.
La Merkel non ha più un alleato che sia uno,
in patria come all’estero: gli europeisti sono
stati spazzati via dalle elezioni o dalla Troika,
gli americani l’hanno già tagliata fuori dalla
Troika, così come l’Unione Europea. Ormai a
tutelare l’ordine in Francia e in Italia ci sono
solo gli americani, i quali – sul finale del 2019
– arrivano a esautorare anche Angela. Rimane
presidente ma solo di facciata.
Ci aveva provato anche Putin a mettersi in
mezzo, peccato che certe manovre sul prezzo
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del petrolio e del gas – messe in atto dagli
americani – avessero costretto il presidente
russo a concentrarsi nei problemi interni.
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Stati Uniti d’Europa
La Bce e gli Stati Uniti, dopo la caduta della
Germania, capiscono che bisogna riscrivere
tutta la geografia europea. A iniziare dalle i-
stituzioni comunitarie, fino ai confini degli
Stati. Non si può proseguire con il commissa-
riamento in eterno, ma allo stesso tempo gli
americani hanno bisogno di un partner politi-
co degno di questo nome e un mercato dove
esportare la loro tecnologia e non solo. Ci si
siede così tutti attorno a un tavolo: c’è il pre-
sidente americano che comanda, attorno i bu-
rocrati senza più poteri della Commissione
Ue e alcuni rappresentati politici delle ex na-
zioni europee, a chiamata. La democrazia, per
chi non lo avesse ancora capito, è congelata.
Le regole che impongono gli Stati Uniti sono
semplici: 1) tutti i debiti pubblici confluiranno
sotto un unico titolo di Stato, è il tanto sospi-
rato eurobond. Saranno emessi dall’Unione
Europea che avrà sede a Bruxelles, che diven-
ta distretto federale sulla falsa riga di Wa-
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shington. Il presidente sarà eletto direttamen-
te dal Senato federale, dove ogni Regione eu-
ropea eleggerà due rappresentanti. La sede di
questo organismo è a Strasburgo, dove resi-
sterà un nuovo europarlamento, il quale man-
terrà il potere di controllo sul governo e ov-
viamente legislativo: l’elezione avviene su ba-
se proporzionale senza sbarramento: è com-
posto da mille parlamentari. La lingua ufficia-
le è l’inglese.
Facciamo un passo indietro. Il governo com’è
composto? Oltre al presidente, nominato dai
senatori federali, c’è appunto l’esecutivo. An-
che qui la nomina è opera del Senato, il quale
dovrà tener conto di tutte le Regioni federali.
Domanda: ma cosa sono le Regioni. Ecco
un’altra svolta politico-istituzionale. L’Unione
Europea si suddivide in macro-Regioni (con
funzioni meramente di rappresentanza e con-
suntive, ad esempio servono come punto di
mediazione fra interessi di Regioni confinan-
ti) e poi ci sono le Regioni federali propria-
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mente dette. Sono una cinquantina: c’è la Ca-
talogna, la Baviera, la Bretagna, la Sicilia, la
Sardegna e…il Nord Italia. Hanno piena au-
tonomia fiscale e legale. Certo, ogni anno de-
vono trasferire parte del gettito a Bruxelles
che lo impiega per le spese federali. Per il re-
sto possono agire in totale autonomia, sullo
stile dei 50 Stati che compongono gli Usa. E le
vecchie nazioni? Esistono solo sulla carta: so-
prattutto in Francia nessuno avrebbe accettato
lo spezzatino di uno Stato unito da quasi dieci
secoli. Diciamo che fungono da coordinatori,
un ruolo che in Italia era svolto dalla Confe-
renza Stato-Regioni di concerto col ministro
degli Affari Regionali.
In sintesi: l’euro ha vinto la battaglia con gli
Stati-nazione. La finanza ha battuto la demo-
crazia, così come la conoscevamo dal secondo
dopoguerra.
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Nasce il nord Italia
Veniamo a noi. Nel 2020 in Italia qualcosa è
ripartito, dopo 5 anni di Troika. Milioni di
persone, soprattutto al Sud, sono emigrate.
Altri hanno provato a ripartire da zero, dopo
lo tsunami finanziario che ha spazzato via un
sistema che reggeva da 50 anni. Ora gli statali
sono un milione e mezzo. Tante professionali-
tà sono state sostituite dalla tecnologia. Men-
tre nel settore privato c’è stato un boom di
nuove professioni legate allo sviluppo tecno-
logico appunto. Tanto per dire, non esiste più
l’Ilva o altre fabbriche inquinanti e ormai anti-
economiche: la nuova energia si basa sullo
sfruttamento intensivo di fonti rinnovabili.
Per dire, anche le frenate delle auto in pros-
simità degli incroci vengono sfruttate per ga-
rantire la luce ai condomini adiacenti. E poi
via libera allo shale gas, allo shale oil, ma an-
che alle vere e proprie trivellazioni di petrolio
(tipo in Basilicata) e di gas in Adriatico. Da
Paese dipendente dai russi o dai libici siamo
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quasi indipendenti. Complice il fiorire di cen-
trali all’idrogeno siamo quasi arrivati
all’autosufficienza. Questo ha portato a un
netto calo dei costi energetici per aziende e
famiglie, il che ha permesso l’abbattimento
dei prezzi a valle, con conseguente maggiore
competitività sui mercati e incremento di quo-
te export.
Al Nord però non bastano queste speranze.
C’è una donna, madre di famiglia, che ricorda
molto la Thatcher, che sta predicando sui so-
cial network slogan in stile lady di ferro: “Ri-
vogliamo i nostri soldi”. Dopo tutto quello
che è successo non si può più rimanere di-
pendenti da Roma. Questa signora, che per
comodità chiamiamo lady M, prende il corag-
gio e vola a Bruxelles. Chiede e ottiene un in-
contro con il presidente Usa. Il messaggio è
semplice: vogliamo che il Nord Italia venga
trattato come la Catalogna o la Baviera. Il ca-
po degli Usa si prende un paio di mesi. Poi
una telefonata a casa di lady M, nella campa-
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gna veneta: “Yes, we can… Si può fare”, come
disse Obama durante la sua prima campagna
elettorale. Ed ecco avvicinarsi la fatidica data:
15 agosto 2020. A Bruxelles si firma
l’autonomia totale del Nord dal resto d’Italia,
che già aveva perso Sicilia e Sardegna. Per ot-
tenere quella che i leghisti avrebbero chiama-
to indipendenza (arrivata non per merito loro,
ma grazie agli americani, alla crisi e all’euro)
tuttavia si chiede un sacrificio enorme, ma
possibile: metà del vecchio debito pubblico
italiano dovrà essere rimborsato dal Nord.
Stiamo parlando di quasi 1500 miliardi. Lady
M non ci pensa su due volte: sì, lo accettiamo.
D’altronde ricorda ancora che il Nord ha rega-
lato per decenni circa 70-80 miliardi all’anno
allo Stato centrale. Se quei soldi saranno im-
pegnati per ripagare il vecchio debito pubbli-
co italiano, basteranno appena vent’anni, per
chiudere tutti i conti col passato. Si può fare,
appunto.
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I primi anni liberi
Ci vuole un anno per arrivare a un Pil positi-
vo e per rivedere un segno più sul fronte oc-
cupazionale. Il Nord è forte ma è pur sempre
appesantito da un fardello ventennale, una
sorta di mutuo sulla nuova casa degli italiani
del Nord. Tuttavia lady M impone subito tre
riforme.
a) Riforma istituzionale. Il Nord Italia ha
come capitale Milano. Sono poi abolite
le vecchie Regioni, così come le vecchie
Province e i vecchi Comuni. L’unico al-
tro ente intermedio sono i macrocomu-
ni: aree che rappresentato più o meno
un quarto delle vecchie province. In tut-
to sono circa 300, lo stesso numero dei
rappresentati del parlamento del Nord
Italia. Non ci sono elezioni. I cosiddetti
deputati sono i sindaci in carica dei ma-
crocomuni, i quali percepiscono uno
stipendio solo per il loro mandato loca-
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le, non per quello Regionale. Il Parla-
mento Regionale si riunisce una volta a
settimana a Venezia, scelta come sede,
dove si è chiamati a discutere, votare e
controllare l’operato del governo. E il
governo Regionale? Il premier è votato
dai 300 sindaci-parlamentari: chi si can-
dida, candida anche una squadra di go-
verno. Il governo sta in carica tre anni,
poi si procede a una nuova nomina. Lo
stipendio dell’esecutivo è deciso con re-
ferendum pubblico dai cittadini.
b) Riforma fiscale. La prima operazione
portata avanti da lady M è una ristrut-
turazione del vecchio sistema delle tas-
se, stravolto completamente dopo
l’arrivo della Troika. La semplicità la fa
da padrone: due aliquote del 25 e del
35% a seconda se il dichiarante guada-
gna più o meno di 100mila euro. Stessa
aliquota per le imprese, a seconda che
l’impresa di fatturi più o meno di un
milione di euro.
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c) Riforma produttiva. Dopo decenni sen-
za una meta gli imprenditori possono
contare su un piano decennale. Come
nei nuovi Paesi avanzati si crea
un’agenda, discussa e rinnovata ogni
anno da governo e imprenditori. Le
prime linee guida sono: incentivi per
l’acquisto di stampanti 3d, per attrarre
turisti stranieri, per conquistare nuovi
mercati sul food.
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Nuovo mondo
Viene quasi da sorridere a pensare a dieci an-
ni fa. Adesso quando esci di casa trovi asfalti
drenanti e ultraresistenti. Le autostrade sono
raddoppiate. Si paga, ma finalmente si hanno
i servizi, oltre che meno nebbia. Sì, sembrerà
strano ma le società autostradali, tutte private,
hanno introdotto un sistema che distrugge le
molecole d’acqua che generano la nebbia. Ve-
dete cosa vuol dire avere i soldi e impiegarli
bene… Ma il bello è che, parallelamente allo
sviluppo viario, abbiamo assistito a un rad-
doppio della chiusura dei centri storici. Gli
incentivi ad aprire negozi in centro e la con-
temporanea esplosione del fenomeno stam-
panti 3d, ha rigenerato i vecchi centri. Come
cinquant’anni fa, per le vie, trovi una nuova
industrializzazione: pulita, tecnologica, preci-
sa. Sono nati un sacco di posti di lavoro. Per
esempio è bello notare come in Corso Buenos
Aires, a Milano, ci sia lo “stampatore” di
scarpe su misura, poi verso Loreto c’è quello
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che crea i divani su misura: entri nel negozio,
ci sono dei grafici che ricercano col cliente il
modello migliore e poi, via mail, scatta la fase
produttiva. C’è chi è lento e pignolo, ma altri
– soprattutto i cinesi – sono ultra veloci. In
meno di un mese ti porti a casa il divano con
tessuti scelti da te…
Se i centri sono chiusi non è più come un
tempo che non riuscivi a parcheggiare. Quan-
ti parcheggi sotterranei: parcheggi, paghi e
poi hai il biglietto gratis per girare con i mezzi
pubblici. Fino a tardi. Ah, sì, adesso sembra
normale, ma anni fa i mezzi pubblici non gi-
ravano 24 ore su 24. Almeno a Milano. E hai
meno paura a girar di notte: i vigili, i ghisa,
che un tempo erano addetti a fare multe, a-
desso sono dei veri e propri poliziotti. Girano
spesso, ti senti più sicuro. Per il fatto che la
giustizia finalmente funziona: le telecamere
aiutano a isolare i delinquenti.
Una riforma fondamentale è stata l’elezione
diretta dei pm e la netta separazione fra ma-
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gistratura inquirente e giudicante. Il capo del-
la procura per prendere voti mette al primo
punto del programma la lotta al crimine: su
questo viene giudicato, così la corsa a rag-
giungere l’obiettivo è l’unica priorità. Per que-
sto anche i crimini sono diminuiti.
Fino agli anni ’10 non c’erano mai soldi per
migliorare le strutture pubbliche, dalla magi-
stratura alle scuole. Ma con l’introduzione
degli sponsor è tutto diverso: parecchie a-
ziende, grazie agli incentivi introdotti dal go-
verno, hanno investito sulle ristrutturazioni
degli edifici, sull’acquisto di materiali, e addi-
rittura su assunzioni sponsorizzate.
Un’operazione che ha portato risparmi allo
Stato, una netta diminuzione degli sprechi
(chi mette i soldi controlla come vengono spe-
si), un effetto imitazione e un incremento del-
la produttività.
Le buste paga…ah, che svolta. Sono del 30%
superiori a quelle pre-Troika. I consumi viag-
giano, così come gli investimenti, sia dal resto
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d’Europa che dai Paesi extra-Ue. Per dire, Ve-
nezia, è mille anni luce più avanti in confron-
to al 2014. Dove c’era Marghera, con i suoi
maleodori e le fabbriche in disuso, adesso ci
sono parchi divertimenti, centri congressi, al-
berghi. Le isole della laguna? Non ne esistono
più di abbandonate: i miliardari mondiali ne
hanno comprate un centinaio ed ora sono tutti
resort privati di lusso. Col Mose in funzione
non ci sono più maree, i turisti pagano fior
fior di euro per entrare in città, dove ci sono
gli ingressi limitati, e con i soldi ricavati si re-
cupera o ristruttura una parte della città. Or-
mai nel mondo ci sono 4 città che dettano la
linea: Abu Dhabi, Shanghai, New York e, co-
me non si vedeva da secoli, Venezia. E Mila-
no? Ha soppiantato Parigi sul fronte moda:
ogni giorno, ogni mese, sempre, ci sono eventi
legati alla moda. L’indotto non si conta più…
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Ci è cambiata la vita
La finanza, l’energia e soprattutto la tecnolo-
gia hanno ridisegnato la vita quotidiana. Ol-
tre al boom delle stampanti 3d e alla rinascita
dell’artigianato post industriale, è proprio
cambiato lo stile di vita. Guardiamo alla
grande distribuzione: i supermercati si sono
ridotti. La stragrande maggioranza dei citta-
dini fa la spesa on line. Esistono mega centri
che impacchettano e spediscono gli ordini: c’è
un pullulare di furgoni elettrici che macchia-
no il traffico delle nostre strade. Un po’ come i
taxi gialli di New York. Ma anche i vecchi or-
tofrutta si sono ridotti: sempre con internet fai
la spesa direttamente da gruppi di ortolani e
coltivatori di frutta. Arriva tutto a casa come e
quando vuoi. Se sei invece un pendolare di
lunga percorrenza, puoi addirittura fermarti
all’Autogrill, in autostrada, bere un cappuccio
e ordinare la spesa che poi passerai a ritirare
alla sera. Spopola anche la personalizzazione
di qualsiasi oggetto o prodotto alimentare. Il
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vino, la pasta, l’acqua: arriva negli apparta-
menti o nelle aziende col nome e la composi-
zione ad personam o ad impresam. Sono in-
vece rifiorite le vecchie botteghe di paese o
nelle principali via delle città: si guarda molto
ai beni chilometro zero ma il ritorno della ric-
chezza porta le famiglie a spendere in qualità.
Già, la qualità della vita. Tutto ruota attorno
alla persona e alla sua abitazione: anche par-
rucchieri o estetiste ormai sono abituati a pas-
sare a casa, come accadeva decenni fa. Mentre
nei negozi fissi non c’è più distinzione di ora-
rio – ci sono quelli aperti solo dal pomeriggio
fino a mezzanotte – o di giorno: la domenica
mattina, ad esempio, è il giorno più gettonato
per la manicure.
La personalizzazione è figlia della rivoluzione
tecno-energetica: ogni auto ha colori, interni e
motori scelti direttamente dal cliente. C’è an-
cora chi va a fare il pieno dai vecchi distribu-
tori, ma parecchi hanno scelto le auto elettri-
che, caricandosi direttamente a casa o cam-
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biando la batteria nei “caselli” nelle autostra-
de. Proprio le ricariche elettriche – tramite
pannelli solari o altre forme rinnovabili –
hanno poi permesso di abbassare il costo dei
mezzi pubblici.
Le banche? Beh, viene da dire che sono ormai
un lontano ricordo. Avete presente le filiali?
Non esistono più. Tutto passa dal promotore
o direttamente on line. Semmai ci sono uffi-
cietti, simili alle agenzie di scommesse, dove
la gente passa per sentire consigli
d’investimento o comprare “sistemi” finan-
ziari: per dire, il ricevitore crea un sistema, col
quale investe su un determinato paniere di ti-
toli o fondi. A sua volta vende le quote e a fine
mese dà un rendimento concordato al mini-
investitore. Negli ultimi anni si sono diffusi i
“compro casa”. I proprietari hanno scoperto
che era inutile tenere in mano il 100 per cento
di un immobile: così mettono sul mercato,
quotano, una parte della proprietà. Dal 10 fi-
no al 70 per cento. Con quei soldi magari fai
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altri investimenti immobiliari o comunque li
utilizzi per chiudere un debito, aprire
un’attività o crearsi una base di liquidità in vi-
sta della vecchiaia. Perché è vero che i mutui
di fatto non strozzano più il proprietario, per-
ché tanti scelgono l’opzione “cento anni” in
modo da pagare una rata quasi insignificante,
ma è altrettanto vero che l’età pensionabile è
attorno ai 70 anni: c’è sempre bisogno di li-
quidità.
La tecnologia ha sì stravolto il paesaggio in-
dustriale, ma ha anche riportato in auge – ol-
tre che i piccoli esercizi sotto casa – le profes-
sioni umanistiche. C’è stato un tempo in cui si
diceva che studiare filosofia, arte, musica o
storia era completamente inutile. Sì, fino a
quando i figli di cinesi, indiani e africani ric-
chi non hanno scoperto la cultura italiana, da
quella classica a quella del 900. E così grazie
alla tecnologia ci sono video lezioni giornalie-
re ai ragazzi di Pechino o Mumbay: gli stu-
denti però sono centinaia di milioni, per cui la
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richiesta di insegnanti italiani – assistiti da
traduttori simultanei – non conosce tregua. Si
lavora a tutte le ore, e ovviamente tutto su ri-
chiesta, perché poi ogni singolo studente ri-
chiede approfondimenti al suo insegnante ita-
liano. Questo poi comporta vacanze culturali
nelle città del Nord Italia, ma in generale in
tutta la penisola italica, con conseguente in-
cremento del settore turistico. Il quale inevi-
tabilmente si accompagna a una riscoperta
dell’agricoltura di qualità.
Ormai abbiamo un’economia basata
sull’industria leggera, molto artigianato,
grande spazio al turismo, alla comunicazione-
promozione, nuovo ruolo per il settore prima-
rio, rinascita delle arti, commercio 3.0 e boom
della finanza, soprattutto quella micro. I vec-
chi capannoni che avevano scombussolato il
nostro paesaggio non esistono più.
Ai ev a drim… Che bello questo Natale 2025.
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E-book coordinato da:
TMS Edizioni s.r.l.
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Giuliano Zulin, classe 1977, veneto della
provincia di Verona, ha studiato Scienze Poli-
tiche a indirizzo storico ma col passare degli
anni ha preferito occuparsi di finanza (e poli-
tica). Lavora a Libero dal 2002, dove ora è ca-
poredattore.
Twitter: @venetolibero
Copertina: di Simona Bertuzzi