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SEC RELAZIONI PUBBLICHE E ISTITUZIONALI - PRESS MONITORING TESTATA: L’ESPRESSO DATA: 27 MAGGIO 2016 Economia globale Quanto vale la nuova area di libero scambio La chance: più ricchezza per molte aziende e per il sistema Italia. Il rischio: meno garanzie ai consumatori, meno tutele ai lavoratori e meno sovranità. Pro e contro il trattato commerciale Europa-Usa, il Ttip. Che Renzi fortemente vuole Patto avvelenato di Federica Bianchi Pil mondiale Commercio mondiale Usa + Ue 47% Usa + Ue 30% Dati Fondo Monetario Internazionale aggiornati al 2014

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SEC RELAZIONI PUBBLICHE E ISTITUZIONALI - PRESS MONITORING TESTATA: L’ESPRESSO DATA: 27 MAGGIO 2016

Economia globale

Quanto vale la nuova area di libero scambio

La chance: più ricchezza per molte aziende e per il sistema Italia. Il rischio: meno garanzie ai consumatori, meno tutele ai lavoratori e meno sovranità. Pro e contro il trattato commerciale Europa-Usa, il Ttip. Che Renzi fortemente vuole

Patto avvelenato

di Federica Bianchi

Pil mondiale Commercio mondiale

Usa + Ue47%

Usa + Ue30%

Dati Fondo Monetario Internazionale aggiornati al 2014

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SE DIPENDESSE DAI NEGOZIATORI americani la bistecca alla fiorentina sarebbe già fuori mercato. Sostituita da una gigantesca fetta di manzo proveniente dagli allevamenti intensi-vi del Texas o del Nebraska, dove le mucche sono cresciute a forza di ormoni e antibiotici. Fosse per quelli europei, a essere archiviati

nella spazzatura sarebbero invece il falso Asiago e la provola del Wisconsin, versioni falsificate dei nostri prodotti tipici, con tanto di bandierine italiane sulla confezione.

È solo un esempio delle centinaia di trattative in corso. Ma basta a illustrare la distanza delle posizioni tra Unione europea e Stati Uniti alle prese con la negoziazione commer-ciale del secolo: la prima tra le economie più avanzate del globo. Se andrà in porto (ed è un grande “se”) l’accordo transatlantico chiamato Ttip istituirà un’area di libero scam-bio che coinvolgerà quasi la metà del prodotto interno lordo mondiale e quasi un miliardo di consumatori. Riguarderà

ogni settore economico, dall’agricoltura all’industria, fino ai servizi, con l’unica eccezione esplicita, pretesa da Parigi, del settore degli audiovisivi, e includerà anche la sfera degli appalti pubblici e del reciproco riconoscimento di molti ti-toli di studio di milioni di giovani già nati globali. A stare al Cepr, il rapporto di valutazione dei suoi effetti voluto dalla Ue, potrebbe aumentare il Pil europeo di una percentuale compresa tra lo 0,2 e lo 0,5 per cento, a seconda dell’esten-sione degli accordi finali.

Solo una parte minima del trattato riguarda l’abbattimento completo, o quasi, degli ultimi dazi che rendono più costose sia le esportazioni europee sia quelle americane. Ed è una parte, a dire la verità, cara all’Italia perché noi brilliamo proprio in quei settori su cui le tariffe imposte dagli Usa sono ancora significa-tive, come l’agroalimentare, il tessile e la pelletteria su cui in-combono dazi anche del 40 per cento. Ma il cuore del trattato è lo smantellamento delle barriere non tariffarie, ovvero di tutte quelle regole protezionistiche e di quegli standard

FranciaItaliaPoloniaGermaniaSpagnaUKUE

Mondo Usa Mondo Usa

Macchinarie

attrezzature

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Metalli di baseProdottimetallici

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Dovremo puntare sulla chimica, non sull’agricolturaIl verde segnala i settori in cui ogni Paese è competitivo rispetto a Usa e resto del mondo. Il rosso quelli in cui non lo è. Perché il Ttip sia vantaggioso i Paesi devono puntare sulle produzioni in cui già eccellono

Fonte: Istituto Affari Internazionali

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produttivi che rendono più difficili e costose le importazioni di beni e servizi. Se dalla loro eliminazione deriverebbe l’80 per cento dei benefici economici del patto, non è la liberalizzazione spinta del commercio tra le due sponde dell’Atlantico lo scopo principa-le del Ttip. Lo è invece «la costruzione di un’area che, nel di-ventare economicamente la più grande ed avanzata del Globo, possa imporre i suoi standard economici e legali sulle altre economie mondiali», spiega a “l’Espresso” Carlo Calenda, classe 1973, negoziatore per l’Italia del Ttip in Europa, nella prima intervista da ministro dello Sviluppo economico: «Que-sto è il valore fondamentale dell’accordo. Potremo a quel punto dire alla Cina: “Negli ultimi trent’anni ti abbiamo aiu-tato a crescere e a creare una classe media, facilitando le tue esportazioni. Ora è tempo che apri i tuoi mercati ai nostri prodotti”. Se non riusciremo a farlo adesso, tra 15 anni non ne avremo più la possibilità e la forza, e i cinesi si potranno tenere i loro dazi alti e non fare entrare le nostre merci».

Negli occhi del presidente americano Barack Obama la creazione di questa gigantesca area di scambio sulle sponde dell’Atlantico, unitamente a quella che ha definito con i prin-cipali Paesi che si affacciano sull’oceano Pacifico - dal Canada al Perù, dal Messico al Vietnam, fino all’Australia - dovrebbe porre rimedio alle distorsioni provocate dalla globalizzazione come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Che se ha creato e sostenuto le classi medie nelle economie dei Paesi in via di sviluppo ha messo però sotto pressione il ceto medio in quelle avanzate. E ha trasformato il Paese comunista di Mao Tse Dong

nella seconda economia mondiale, senza averne scalfito il sistema politico dittato-riale. Contrariamente alle aspettative.

Omogeneizzare standard e procedure non è però né semplice né indolore. Non

quando, pur avendo molti valori universali in comune, le filo-sofie economiche, legali e sociali di due Continenti economica-mente equivalenti sono tanto diverse. E così ci sono settori industriali come la chimica, le auto, la farmaceutica e i dispo-sitivi medicali, in cui l’omogeneizzazione degli standard è poco controversa perché riduce i costi dei produttori oggi obbligati a doppie specifiche tecniche e amplia la scelta dei consumatori. Ma ce ne sono altri, come l’agroalimentare o gli stessi servizi pubblici (che in teoria sono esclusi dal tratatto ma la cui defin-zione internzionale lascia spazi all’ambiguità), dove i cambia-menti rischiano di provocare a un abbassamento degli standard di vita dei cittadini europei. Il come è presto detto. L’Europa non permette produzioni potenzialmente nocive della salute: caso iconico sono gli organismi geneticamente modificati. Per noi prevenire è meglio che curare. Gli Usa, invece, per non danneggiare gli imprenditori, richiedono una dimostrazione scientifica della pericolosità del prodotto per eliminarlo dal mercato, addebitando al consumatori l’onere della prova e l’assunzione del rischio di malattia o addirittura di morte.

Due sono i prodotti che incarnano l’abisso culturale tra le due sponde dell’Oceano: il manzo arricchito di ormoni e anti-biotici e i polli chimici. Sono il frutto delle condizioni di vita in un allevamento intensivo: gli ormoni rendono la carne più magra, gli antibiotici prevengono le malattie e i lavaggi con la

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Economia globale I CONTRARI TEMONO UN MERCATO DEL LAVORO PRIVO DI OGNI DIRITTO. SECONDO I FAVOREVOLI È L’UNICO MODO PER NON CADERE A LIVELLI CINESI

I settori nei quali la produzione aumenterebbe o diminuirebbe con il Ttip: sulla barca rossa, negli Stati Uniti; su quella blu, in Europa (dati percentuali)

Dove ci conviene e dove no

Fonte: analisi Ecorys maggio 2016

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clorina depurando le carcasse dei polli da eventuali infezioni. In Europa invece è tutto il pro-cesso produttivo ad essere con-trollato in ogni sua fase, dal momento in cui nasce l’animale a quando finisce sul piatto. Filo-sofie e stili di vita inconciliabili, appunto. Come quelli che han-no a che fare con la protezione dell’ambiente: in Europa gli standard sono spesso più rigo-rosi di quelli americani, soprat-tutto sui pesticidi che contengo-no agenti chimici potenzial-mente cancerogeni.

Al di là delle divergenze fito-sanitarie, semplici e immediate da spiegare alla popolazione e dunque cavallo di battaglia per gli oppositori del Ttip, rimane la questione del se e come il nostro comparto agricolo (ca-ratterizzato da prodotti qualificati e protetti dalla loro prove-nienza geografica che gli americani, abituati alla sola tutela del marchio di fabbrica, non capiscono, e da una produzione di piccole o medie dimensioni) possa fare fronte all’invasione delle esportazioni agricole di massa dei colossi agroalimentari statunitensi. Secondo uno studio redatto dal parlamento euro-

peo, con l’approvazione del Ttip le esportazioni agricole ame-ricane verso la Ue godrebbero di una crescita doppia rispetto a quella delle esportazioni agricole verso gli Usa, addirittura esponenziale nel settore dei latticini. Lo stesso ministero dell’A-gricoltura americano, in un documento citato da Greenpeace, prevede una diminuzione del prezzo pagato ai contadini

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Barriere non tariffarieLo scopo del Ttip è abbattere soprattutto le barriere non tariffarie tra Usa e Ue. Al contrario di dazi e tariffe non sono una tassa sul valore delle merci importate ma una serie di regole protezionistiche che rendono più complicata o più costosa l’importazione dei beni, scoraggiando i produttori stranieri.ISDSLa risoluzione delle dispute tra investitori è stata uno strumento del diritto internazionale che concede a un investitore la facoltà di portare in giudizio un governo straniero. È un meccanismo tipico dei trattati bilaterali tra Stati e di alcuni trattati internazionali come il Nafta, l’accordo commerciale tra i paesi del Nord America.Principio di precauzionePromosso in Europa negli anni Settanta dai movimenti ambientalisti, impone al governo una politica cautelativa per le decisioni politiche o economiche sulle questioni scientificamente controverse. È in base a questo principio che l’Europa rifiuta gli organismi geneticamente modificati (Ogm), il pollo alla clorina e il manzo agli ormoni oltre a un rilassamento degli standard ambientali.

Principio dell’evidenza scientificaCaposaldo delle politiche economiche americane, impone una logica contraria a quella del principio di precauzione. Un governo non può vietare ciò che non è stato scientificamente dimostrato essere dannoso per la salute umana. L’onore della prova spetta dunque al consumatore e solo dopo un tempo sufficiente a determinare il rapporto causa-effetto.IG e TrademarkL’indicazione geografica è un marchio di origine che l’Europa in migliaia di casi utilizza per proteggere quei prodotti agricoli o alimentari di una determinata area geografica da cui derivano qualità e reputazione. Gli Usa proteggono invece il marchio di fabbrica che contraddistingue un bene, il trademark, indipendentemente da dove sia prodotto.Divieto di evocazioneÈ una restrizione utilizzata nel recente trattato tra Europa e Canada, il Ceta, per impedire l’utilizzo di nomi, immagini e colori che evochino prodotti tipici o tradizionali di uno Stato ma che hanno invece un’origine geografica del tutto diversa.

Le sette parole chiave

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Economia globale

europei in ogni categoria alimentare, con l’eccezione dei for-maggi. Un rapporto di Friends of Earth esprime invece la preoccupazione che il settore agricolo finirà per diventare su entrambe le sponde dell’Atlantico monopolio di poche multi-nazionali, con comparti decimati - frutta e ortaggi, cereali, carne bianca, latticini - e conseguente perdita di posti di lavoro.

Tutti gli studi sull’impatto del Ttip, dal Cepr a quello stilato dall’università Tufts negli Usa, sottolineano come l’accordo inevitabilmente avrà delle ricadute sull’occupazione, negative o positive a seconda del settore. Se comparti come quelli delle auto, dei macchinari di precisione o del tabacco sperimente-ranno una crescita di produttività e di occupazione sarà perché altrove, nell’agricoltura o nel settore dei prodotti elettrici, ad esempio, in seguito alla chiusura delle aziende, i lavoratori, soprattutto quelli poco qualificati, saranno costretti a cambia-re mestiere. «Ogni Paese si concentrerà su quello che sa fare meglio», sostiene l’economista Carlo Stagnaro. Ed è bene che, in un primo periodo di aggiustamento alla nuova situazione commerciale, l’Europa sia preparata con strumenti di aiuto alla disoccupazione e di sostegno alla formazione. Anche per-ché, tirando una riga, rischia comunque di perdere tra i 450 mila (Cepr) e i 600 mila (Tufts) posti di lavoro.

I prodotti costituiscono solo una parte del trattato che am-bisce a regolare l’intera vita economica del blocco occidentale, servizi inclusi. Attuali e futuri. Se avessero la meglio gli interes-si d’Oltreoceano, i burocrati europei sarebbero quotidiana-

«Per l’Italia gli Usa sono il primo mercato di esportazione dopo quelli europei, con un saldo commerciale di 21 miliardi. E sono il mercato con più potenzialità di crescita, circa 10 miliardi di euro, soprattutto perché le barriere tariffarie esistenti sono concentrate sui settori di nostra specializzazione, in particolare tessile, ceramica, gioielleria e alimentare»Carlo Calenda, neo ministro dello Sviluppo Economico, non ha dubbi: il Ttip non solo non danneggerà gli interessi delle Pmi italiani ma aprirà nuove opportunità di guadagno. Eppure il Trattato è molto osteggiato da chi lo accusa di distruggere le tutele per lavoratori e consumatori. Quali sono gli aspetti spinosi per l’Italia? «L’indicazione geografica e il cosiddetto “procurement”, ovvero il sistema

di appalti pubblici».Iniziamo dal primo.«Ci sono due ordini di problemi: il sistema americano protegge i marchi e non le indicazioni geografiche come da noi. Per capirci, oggi gli Usa

sono grandi produttori di “formaggio Asiago” fatto nel Wisconsin. È improbabile che adesso smantellino le fabbriche e ne smettano la produzione. Quindi dobbiamo tutelare il più ampio numero di Ig possibile ma soprattutto ottenere dagli Usa il divieto di evocazione: un prodotto con un nome italiano fatto negli Usa non deve avere nulla che ricordi l’Italia sulla confezione».E gli appalti pubblici?«Esiste una legge protezionistica in America, la “Buy American” del 1933, che dobbiamo superare. Obbliga il governo e le istituzioni pubbliche a preferire negli acquisti prodotti Usa».Gli oppositori insistono che questo trattato mette a rischio i servizi pubblici, dall’educazione alla sanità, e che ridurrà drasticamente la sovranità dei singoli Stati e dell’Europa…«I servizi pubblici sono tutti fuori, inclusa la sanità. Nessun trattato commerciale può interferire nella decisione su ciò che un Paese vuole tenere pubblico e ciò che vuole rendere privato. Per quanto riguarda la tutela dell’agroalimentare e dell’ambiente invece, i due principi opposti di precauzione (Ue) e della prova

scientifica (Usa), rimarranno in vigore, ognuno per conto suo. Mi pare ovvio: se il Ttip facesse arrivare il pollo alla clorina o il manzo agli ormoni, quanti parlamenti lo ratificherebbero?»Un altro punto dolente: i tribunali per dirimere le dispute delle aziende con gli stati in cui investono. Non estendono il potere delle multinazionali?«L’Italia ha in piedi più di 90 trattati bilaterali di investimento la cui clausola centrale è l’Isds, cioè l’arbitrato sugli investimenti. Il problema è che recentemente ci sono state aziende che hanno intentato cause su un concetto esteso di esproprio indiretto. Nessuna di queste cause è stata vinta ma illustra un rischio per la sovranità nazionale. Per questo vogliamo un sistema diverso, in cui i conflitti di interessi degli arbitri siano impediti e sia vietato l’andirivieni tra tribunale internazionale e nazionale». Come mai tutta questa segretezza intorno al Ttip?«Non c’è nessun accordo negoziale nella storia dei trattati commerciali internazionali che abbia avuto il livello di trasparenza del Ttip e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Il mandato

Al nostro export farà benissimo colloquio con Carlo Calenda

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*per esempio farina, succhi e pesce in scatola

Cosa si venderà di piùL’incremento percentuale delle esportazioni dei prodotti del settore agricolo previsto con il Ttip

Fonte: Comitato del Parlamento Europeo sull’Agricoltura e lo Svilupo Rurale

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mente affiancati dai lobbisti made in Usa, entusiasti all’idea di armonizzare le no-stre normative in senso stelle e strisce, dalle assicurazioni alla cura della perso-na. È vero anche però che la Commissio-ne europea insiste affinché i cugini d’Ol-treoceano ratifichino le convenzioni in-ternazionali sul lavoro per evitare che gli europei finiscano con le misere tutele lavorative americane. Secondo i critici, infatti, ci sarebbe il rischio che le aziende Usa chiedano di applicare nella Ue i contratti “iper liberisti” esistenti negli Stati Uniti.

Ma è sui tribunali internazionali dove risolvere le dispute tra le società che si sentiranno danneggiate nei propri investimen-ti e gli Stati che non vorranno perdere la propria sovranità decisionale, che la polemica è violenta. Il timore di diventare poco più di una colonia delle multinazionali americane terro-rizza gli europei di ogni provenienza nazionale in un momento storico in cui tollerano a stento perfino le regole comunitarie. «Perché non utilizzare i tribunali nazionali per le dispute con gli Usa?» si chiede Marco Bersani, leader della rete Stop Ttip. «Perché in un futuro accordo commerciale tra Ue e Cina quest’ultima non accetterebbe mai un trattamento inferiore a quello riservato ai due blocchi occidentali e in quel caso i tri-bunali sovranazionali sarebbero indispensabili», risponde

Calenda pensando all’obiettivo di lungo termine del trattato. Ma di ulteriori trattati un’opinione pubblica sempre più

scettica sulle virtù della globalizzazione non ne vuol sentir parlare. Secondo gli addetti ai lavori, con le elezioni Usa dietro l’angolo, le possibilità che il Ttip venga approvato entro il 2016 non superano il 10 per cento, rispetto al 60 per cento di solo un anno fa. E sono pochi i settori su cui è scontata l’intesa, principalmente quelli in cui sono gli Usa ad avere standard di sicurezza più elevati, come per le auto. «L’America ha perso troppo tempo con il trattato del Pacifico e non ha investito quanto avrebbe dovuto nella negoziazione con l’Europa, tra l’altro più facile per loro», continua Calenda: «Washington ha sempre dato un’attenzione al Pacifico superiore al rapporto con l’Europa, cosa che per me è stata un errore strategico». Q Fo

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«Se oggi è la democrazia a stabilire i vincoli del mercato, con il Patto transatlantico sarà il mercato a stabilire i vincoli della democrazia». Esordisce così Marco Bersani, leader del movimento Stop Tttip. E punta il dito contro l’Isds, l’Investor State Dispute Settlement, ovvero lo strumento di risoluzione delle dispute sugli investimenti internazionali inserito nel patto commerciale: «Consente di portare in giudizio un governo o un’autorità pubblica se una sua legge o delibera è considerata ostativa della “libertà d’investimento”. La cosa grave è che non avviene nei tribunali ordinari previsti dalla Costituzione ma in tribunali privati il cui unico mandato è giudicare se la legge abbia danneggiato un investimento».La Commissione Ue però è stata chiara sulla sua volontà di restringere la definizione di esproprio indiretto per evitare richieste infondate...«Sappiamo bene che le richieste Usa vanno ben oltre il mandato negoziale della Ue. E che gli Usa hanno già rifiutato la proposta di “Isds soft”, il cosiddetto sistema dei tribunali sugli investimenti (Ics), che gli europei avevano fatto lo scorso autunno per limitare lo spettro di azione dei tribunali e stabilire requisiti e criteri di imparzialità per i giudici. Gli Usa non accetteranno nessun limite. Loro

vogliono poter portare in giudizio chiunque ponga ostacoli alla redditività dei propri investimenti. Questo è un trattato messo in piedi da governi e lobby per investire in settori che o non sono

sul mercato, come la sanità e la scuola, o sono tutelati da molte regole, come i servizi pubblici, l’ambiente e il comparto agroalimentare».L’articolo 20 del mandato europeo specifica che i servizi forniti nell’esercizio dei poteri governativi, così come definiti dagli accordi dell’Omc, sono esclusi dai Ttip.«Il concetto di servizio pubblico è definito in senso negativo: non è servizio pubblico il servizio che può essere erogato da autorità diverse da quella pubblica. È una definizione ambigua. Al di là degli audiovisivi (esclusi esplicitamente dalla Francia), dell’esercito, delal difesa, della giustizia e delle rotte aeree internazionali tutto è ancora materia di discussione. Le garanzie di cui parla il nostro governo non sono vere: non solo il mandato non menziona tutele prestabilite ma apre al “principio di non ritorno” per cui se uno Stato mette un servizio sul mercato poi non se lo può riprendere».Infine c’è la questione alimentare...«In Europa vige il principio di precauzione: se un alimento potrebbe essere pericoloso per la salute non si vende. Negli Usa invece i consumatori devono provarne la pericolosità. Da noi un prodotto è tutelato dal momento in cui lascia la fattoria fino a quando arriva sul piatto. Negli Usa a essere tutelato è solo il marchio. Nei documenti segreti sul trattato che Greenpeace ha recentemente divulgato non c’è scritto da nessuna parte che il principio di precauzione sia una precondizione per trattare, dunque le nostre tutele europee contro gli Ogm o il pollo alla clorina sono ancora oggetto di discussione». F.B.

Buonanotte democrazia colloquio con Marco Bersani

negoziale è sempre segreto. Ma, vista l’agitazione intorno al Ttip, l’ho reso pubblico. Nessuna “sala di lettura” dei documenti negoziali è stata mai aperta per gli altri accordi. Ma il punto è che non possiamo fare un dibattito ad ogni round negoziale sul singolo pezzettino. Si vede all’ultimo round se c’è un equilibrio tale che si possa chiudere o no. Ad esempio, se non ottengo le indicazioni geografiche, o almeno il divieto di evocazione, per me il Ttip non si chiude, anche se c’è un vantaggio tariffario». C’è chi ha parlato di un deficit democratico nell’agire in questo modo…«L’input c’è stato a monte. Pubblica consultazione online, centinaia di audizioni della società civile, solo io avrò fatto 5-6 riunioni con le onlus come Stop Tttip. Null’altro che noi facciamo, non in Europa, ha questo livello di democraticità, ed è questo il motivo per cui sarà difficile avere il trattato. Non solo occorre l’approvazione del Consiglio europeo all’unanimità, ma anche quella del parlamento europeo e di ben 38 parlamenti nazionali. Esiste un processo più democratico di questo?».

Federica Bianchi

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18 2 giugno 2016

Economia globale

Un diluvio di cause allo Statodi Maurizio Maggi e Stefano Vergine

DIFFICILE IMMAGINARE una battaglia politica che veda dalla stessa parte la Cgil italiana e il Fronte Nazionale francese, Donald Trump e Podemos, Beppe Grillo e Giulio Tremonti, Matteo Salvini e Bernie Sanders. Invece esiste ed è quella sul Ttip, il

patto commerciale tra Usa ed Europa. Una bella metafora della frantumazione degli schemi tradizionali della politica, cioè destra e sinistra: in questo caso, da una parte ci sono invece i “mercati-sti”, favorevoli a liberalizzare gli scambi commerciali e i movi-menti di capitale; e dall’altra chi considera queste dinamiche economiche e finanziarie un potere ormai incontrollato e troppo pervasivo, quindi una minaccia per gli Stati, per le democrazie, per i consumatori e per le classi medio basse.

Geografie politiche che si confondono, quindi, così come del resto è emerso dal primo voto dell’Europarlamento in merito: a favore i popolari, i socialisti e i liberali (insomma le “larghe inte-se”), contrari i verdi, la sinistra radicale, il Movimento 5 Stelle italiano, ma anche i vari raggruppamenti di destra come il Fron-te nazionale francese e l’Ukip inglese. E non sono mancate le dissidenze interne: ad esempio tra i progressisti ci sono stati 56 voti ribelli (quindi per il no), provenienti soprattutto dal Labour inglese ma anche dal Ps francese; oltre ai deputati italiani Briano, Cofferati, Panzeri, Schlein e Viotti, tutti peraltro critici o già usciti dal Pd renziano.

Renzi, appunto. Il premier italiano è favorevolissimo al Trat-tato: «Un grande obiet tivo, stiamo spin gendo con molta deter-mi na zione, abbiamo tutto da guadagnare, non firmarlo sareb-be un autogol incredibile», ha detto alla Casa Bianca un anno fa, dopo aver incontrato Obama. Un’esternazione che se non altro ha avuto il merito di far irrompere la questione del dibat-tito pubblico: fino a pochi mesi prima, la politica da noi non sapeva nemmeno che cosa fosse, questo Ttip. O, se lo sapeva, non mostrava alcun interesse a parlarne. Prendete le elezioni europee del 2014: era un appuntamento fondamentale per la creazione dell’assemblea parlamentare chiamata a decidere sul

Ma opporsi è di sinistra o di destra?In Italia e all’estero, il Trattato divide gli schieramenti in modo trasversale. E con molte sorprese

di Alessandro Gilioli

PER CAPIRE qual è la posta in gioco partiamo da qualche esempio. L’azienda svedese Vattenfall, proprietaria di due centrali nucleari in Germania, chiede a Berlino 3,7 miliardi di euro per aver deciso, dopo il disastro avvenuto a Fukushima nel 2011, di farla finita con l’energia atomica. Più o meno la stessa cosa è avvenuta in Italia quando il governo ha scelto di ridurre retroattivamente gli incentivi per il fotovoltaico: tre società straniere hanno fatto ricorso all’arbitrato commerciale. Situazioni che potrebbero moltiplicarsi con l’arrivo del Ttip. Una delle novità previste dal trattato transatlantico, come proposto lo scorso settembre dalla Commissione europea, è infatti l’istituzione dell’Investment Court System (ICS). Tradotto: un tribunale per gli investimenti, slegato dai sistemi di giustizia nazionali, pensato per risolvere le dispute fra Stati e aziende. Non è una novità assoluta. Come detto, già oggi una società che crede di essere stata danneggiata da una nazione in cui opera può ricorrere all’arbitrato internazionale. Lo può fare, però, solo se esiste un trattato bilaterale fra lo Stato dove opera l’azienda e quello nel quale la stessa ha una sede. La clausola prevista al momento dal Ttip eliminerebbe il vincolo del trattato bilaterale: all’arbitrato potrebbero quindi accedere tutte le aziende americane ed europee. «Una minaccia per la democrazia», secondo Antonio Tricarico, dell’ong italiana Re: Common, che si batte contro il Ttip all’interno della coalizione internazionale Seattle to Brussels: «La proposta della Commissione europea», sostiene Tricarico, «darà alle grandi aziende la possibilità di chiedere compensazioni miliardarie quando le leggi di uno Stato mettono a rischio la loro capacità di fare soldi». Seppur con toni diversi, la tesi è condivisa anche da un esperto del settore come Antonello Martinez, presidente dell’Associazione Italiana Avvocati d’Impresa, secondo cui con l’istituzione dell’Ics «il potere sovrano degli Stati risulterebbe indubbiamente ridimensionato, poiché le multinazionali potrebbero opporsi alle politiche sanitarie, ambientali o di regolamentazione della finanza, sebbene i ricorsi delle aziende restino soggetti al rispetto delle convenzioni internazionali e alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, basate su valori comuni come la tutela e la promozione dei diritti umani, la sicurezza internazionale e lo sviluppo sostenibile». Di certo, secondo buona parte degli osservatori, l’istituzione dell’Ics porterà ad un aumento rilevante degli arbitrati fra aziende e Stati. Il motivo è semplice: oggi sono nove i Paesi dell’Unione europea ad avere dei trattati bilaterali con gli Usa, mentre se l’accordo passasse tutti i 19 membri dell’Ue potrebbero essere coinvolti in arbitrati. Un’ipotesi contro cui si sono schierati anche i magistrati del Vecchio Continente. In un comunicato, l’International Association of Judges - di cui fa parte per l’Italia l’Anm - ha scritto di non «ritenere necessaria l’introduzione di questo sistema giudiziario». Motivo principale? «L’Ue e i suoi membri hanno già un sistema capace di proteggere i diritti degli investitori».

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Evidenziato
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SEC RELAZIONI PUBBLICHE E ISTITUZIONALI - PRESS MONITORING TESTATA: L’ESPRESSO DATA: 27 MAGGIO 2016

2 giugno 2016 19

Trattato, la cui negoziazione era già in corso da un anno. Ma a porre la questione, in cam-pagna elettorale, furono solo il Movimento 5 Stelle e la lista Tsipras, radicalmente contrari. Da tutti gli altri, silenzio. Non una parola nel programma del Pd, all’epoca. Zero anche da Forza Italia. E perfino la Lega di Salvini, oggi molto profilata per fermare il Ttip, nell’estate del 2014 fa lo ignorava.

Tra i pochi che invece si occupano del tema dall’inizio c’è la rete italiana Stop Ttip, nata tre anni fa. Tra i suoi fondatori Marco Bersani, di Attac Italia, già fra i promotori del referendum sull’acqua, e Monica Di Sisto, attivista dell’As-sociazione Fairwatch che si occupa di commer-cio internazionale. Stop Ttip ha organizzato anche la prima manifestazione nazionale con-tro il Trattato (il 7 maggio scorso, a Roma, circa 25-30 mila partecipanti) ottenendo l’ap-poggio tra l’altro della Cgil, del Comune di Milano e della Re-gione Lombardia.

Le cose quindi stanno un po’ cambiando e la stessa rete Stop Ttip si muove verso altri appuntamenti, nei prossimi due mesi e in contemporanea con il Consiglio europeo nel quale i governi Ue dovranno esprimere una posizione. E se nel Pd italiano le voci critiche sul Trattato sono pochissime («Nessu-no di loro ci vuole ascoltare, sono terrorizzati all’idea di muoversi diversamente da Renzi», spiega Di Sisto) la questio-ne è molto più dibattuta nei partiti omologhi in Europa. In Francia, ad esempio, il presidente François Hollande ha appena minacciato di far fallire tutta la trattativa, in nome della difesa dei prodotti nazionali; in Gran Bretagna l’ascesa di Jeremy Corbyn ha spostato la linea del Labour in senso anti Ttip; in Germania il vicecancelliere Sigmar Gabriel (favorevole) ha annunciato che convocherà un congresso del partito ad hoc per trovare una mediazio-ne con la sinistra interna (contraria); in Spagna il Psoe ha messo alcuni paletti rigidi, pressato dalla campagna che sul tema sta facendo Podemos (la sindaca di Barcellona Ada Colau, ad esempio, ha organizzato un incontro delle “città ribelli” di tutta Europa contro il Ttip). Mentre in Austria il neo pre-sidente verde Van der Bellen ha già detto che non firmerà il Ttip.

Anche negli Usa la questione divide in modo trasversale: molto critico è il candidato socialista Bernie Sanders, molto favorevole è il presidente uscente Obama - con Hillary Clinton che si trova un po’ in mezzo e tende a defilarsi. Ancora più aspre le divisioni a destra: l’apparato del partito repubblicano è in gran

parte pro Ttip, mentre Donald Trump lo ha definito «un’auten-tica follia voluta dalle lobby di Washington».

Più in piccolo, le stesse dinamiche lacerano il centrodestra italiano, diviso tra la liberalizzazione dei mercati e la difesa dei prodotti nazionali. E se un battitore libero come Tremonti è prevedibilmente contrario, anche nel gruppo di Forza Italia alla Commissione Agricoltura c’è chi ha dato ragione a quelli di Stop Ttip, dopo un’audizione a Montecitorio.

Misteri e incroci della politica contemporanea, maledettamen-te più complicata di quando c’erano soltanto sinistra e destra. Q

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TRASPARENZA SÌ, ma solo per i parlamentari. E con le rigide condizioni dettate dal segreto di Stato imposto sui documenti relativi al Ttip. A partire dal 30 maggio, deputati, senatori e funzionari governativi che ne facciano richiesta avranno un’ora di tempo per «prendere visione» di centinaia di pagine dal contenuto complesso e tecnico. Nessuna possibilità però di riprodurre i testi, né in forma elettronica né trascrivendone singole parti. Dovranno accontentarsi solo di qualche eventuale nota, presa a mano, rigorosamente diversa dal testo originale e comunque non divulgabile. Sono queste le regole della direttiva firmata del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, per l’accesso ai documenti del trattato. In nessun modo i nostri parlamentari potranno infatti riferire all’opinione pubblica il contenuto dell’accordo. Anche di quel poco che riusciranno a leggere e capire nella sola ora di tempo che ognuno di loro avrà a disposizione. Per la consultazione del materiale riservato è stata allestita un’apposita “sala di lettura” nella sede del ministero in via Veneto 33 a Roma. A vigilare sui parlamentari ci sarà un “responsabile di sala” che dovrà «presenziare costantemente e in maniera vigile alla lettura da parte dei visitatori». In sostanza dovrà aggirarsi tra le quattro postazioni allestite nella stanza 41, assicurandosi che nessuno “copi”. Per i parlamentari nessuna possibilità di portarsi i compiti a casa: sono banditi «telefoni cellulari, tablet o altre apparecchiature in grado di riprodurre o registrare immagini o parole». Unica concessione: «Un dizionario in lingua inglese eventualmente occorrente al visitatore». Come nei peggiori incubi da “compito in classe”. Marco Pratellesi

Quella grottesca “trasparenza” degli atti

Un momento del corteo contro il Ttip che si è svolto a Roma il 7 maggio