ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE LA SITUAZIONE … · a riportare un discreto equilibrio tra domanda e...

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CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI PALAZZO SALVIATI, ROMA OBIETTIVO ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE: LA SITUAZIONE NAZIONALE A cura di Pierluigi SPANO SUPPLEMENTO ALL’OSSERVATORIO STRATEGICO N°3 - 2003

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CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI

PALAZZO SALVIATI, ROMA

OBIETTIVO

ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE: LA SITUAZIONE NAZIONALE

A cura di Pierluigi SPANO

SUPPLEMENTO ALL’OSSERVATORIO STRATEGICO N°3 - 2003

CEMISS ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE SUPPL. O.S. N°3-2003

PRESENTAZIONE

L’Italia è tra i Paesi più forti consumatori di idrocarburi dell’Europa occidentale ma, come si è già avuto modo di vedere nell’Obiettivo pubblicato come Supplemento al n.4 del 2002, è anche caratterizzata da una dipendenza dall’estero per il 95% del fabbisogno di petrolio e per il 65% circa di gas naturale. L’approvvigionamento energetico rappresenta quindi una delle voci principali del bilancio nazionale ed è, più in generale, un fattore fondamentale di sicurezza. Una ricognizione ad ampio spettro delle risorse energetiche di cui necessita il nostro Paese e delle fonti di approvvigionamento è certamente utile per poter affrontare con cognizione di causa qualsiasi dibattito in materia. Il presente Obiettivo offre risposte aggiornate ai principali interrogativi, presentando un’ampia panoramica del settore, allargata a considerazioni di natura economica, politica e tecnologica. L’analisi della produzione e della domanda di energia è il punto di partenza, nel primo capitolo, dello studio del delicato rapporto tra economia e settore energetico. Nel secondo capitolo vengono invece esaminate più da vicino le fonti tradizionali di energia che alimentano il sistema produttivo nazionale. Il consolidato mercato petrolifero e il crescente mercato del gas costituiscono le fondamentali basi di sostegno per la domanda interna di energia elettrica. Accertato che i vincoli intrinseci che caratterizzano il settore in esame sono connessi alle fonti estere di approvvigionamento (e quindi per lo più di natura politica), il terzo capitolo offre risposte a domande di estrema attualità sui margini di miglioramento consentiti dalle fonti energetiche alternative e sulla concreta valutazione economica delle più moderne tecnologie per lo sfruttamento di esse. Nelle appendici allo studio, infine, non è stato tralasciato l’approfondimento degli aspetti che si riferiscono ai fattori di vulnerabilità del sistema energetico, alla fitta rete di contratti di approvvigionamento e al tema, non meno importante, relativo ai riflessi dei consumi energetici sulla situazione ambientale. Il lavoro, di per sé apprezzabile, assume particolare valore in quanto realizzato, con esemplare dedizione, da un giovane ricercatore nel corso del servizio militare di leva presso il CeMiSS, a cui va il mio sentito ringraziamento.

Il Capo Dipartimento Scienze, Tecnica, Economia e Politica Industriale

Col. Angelo PAGLIUCA Il mio stretto collaboratore, nella sua presentazione, ha già evidenziato in maniera sintetica ma esaustiva i contenuti di questo Obiettivo, che esamina la questione energetica nazionale anche dal punto di vista economico e ambientale. Un tema, quello dell’energia, che ha sempre una sua stringente attualità, tanto da essere oggetto di frequente attenzione da parte dell’Osservatorio, ma che offre anche alcuni particolari spunti collaterali che vengono trattati in questo lavoro, quali quelli del ricorso alle energie alternative – e una valutazione delle loro potenzialità – e degli impatti ambientali. Per concludere, un contributo informativo molto ben documentato e ricco di dati e illustrazioni, che può costituire la base di ulteriori attività speculative in questo importante settore. Non posso pertanto che associarmi al Capo Dipartimento nell’apprezzamento e nel sentito ringraziamento per il Carabiniere Ausiliario Pierluigi Spano.

Il Direttore

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INDICE

1. ENERGIA ED ECONOMIA 2. FONTI DI ENERGIA TRADIZIONALE 3. FONTI DI ENERGIA ALTERNATIVA

1.1 Il mercato mondiale dell’energia…………………………. 1.1.1 Gli attori…………………………………………………... 1.1.2 Il ruolo di orientamento e sostegno degli organismi internazionali……………………………………………… 1.2 Ciclo economico dell’Italia………………………………... 1.3 Domanda di energia in Italia……………………………… 1.4 Dipendenza energetica dall’estero………...……………… 1.5 L’Industria dell’energia…...………………………………. 2.1 Il mercato del petrolio……………………………………... 2.1.1 La domanda di prodotti petroliferi………………………... 2.1.2 La produzione nazionale di idrocarburi…………………... 2.1.3 Le importazioni di greggio, di semilavorati e prodotti finiti...................................................................... 2.1.4 Il ruolo dei combustibili solidi……………………………. 2.1.5 La fattura energetica e petrolifera………………………… 2.1.6 La capacità di raffinazione e le lavorazioni………………. 2.1.7 I risultati economici e gli investimenti……………………. 2.1.8 Le modifiche nella partecipazione al mercato e nella fisionomia degli operatori…………………………. 2.2 La politica petrolifera……………………………………... 2.2.1 La distribuzione dei carburanti……………………………. 2.2.2 Il decentramento amministrativo………………………….. 2.2.3 Le scorte obbligatorie e il sistema logistico.……………… 2.2.4 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato…….. 2.3 Il mercato del gas naturale………………………………... 2.3.1 Fonti di approvvigionamento di gas naturale per l’Italia…. 2.4 Il mercato dell’energia elettrica…………………………... 2.4.1 Produzione……………………………………………….... 2.4.2 Importazione ed esportazione……………………………... 2.4.3 Tecnologie………………………………………………… 2.4.4 Quantità…………………………………………………… 2.4.5 Generazione distribuita di energia elettrica……………….. 2.4.5.1 Definizioni e Tecnologie………………………………… 2.4.5.2 Aspetti strategici……………………………………….... 3.1 Energia per il futuro………………………………………. 3.1.1 Il mercato dell’energia alternativa………………………… 3.1.2 Energia e ricerca…………………………………………... 3.2 Tecnologie energetiche e loro evoluzione………………… 3.2.1 Tecnologie di utilizzo dei combustibili fossili……………. 3.2.1.1 Impianti convenzionali con turbine a vapore…………… 3.2.1.2 Impianti a ciclo combinato con turbine a gas…………... 3.2.1.3 Impianti di gassificazione dei combustibili solidi………. 3.2.1.4 Impianti a letto fluido……………………………………

910 1214162225 313133 3335353637 37393940414142444747505152565658 596063656567686970

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4. APPENDICI 5. BIBLIOGRAFIA

3.2.1.5 Cicli di generazione ad emissioni………………………. 3.2.1.6 Celle a combustibile…………………………………….. 3.2.2 Tecnologie di utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili... 3.2.2.1 Impianti idroelettrici……………………………………. 3.2.2.2 Impianti geo-termoelettrici……………………………... 3.2.2.3 Centrali eoliche…………………………………………. 3.2.2.4 Sistemi fotovoltaici……………………………………… 3.2.2.5 Impianti a concentrazione solare……………………….. 3.2.2.6 Impianti per l’utilizzo della biomassa…………………... 3.2.2.7 Termotrattamento dei rifiuti solidi urbani…………...…. 3.2.3 L’idrogeno come vettore energetico per la riduzione dei gas serra…………………………………………………… 3.2.3.1 Generalità……………………………………………….. 3.2.3.2 Produzione……………………………………………… 3.2.3.3 Trasporto e accumulo…………………………………… 3.2.3.4 Utilizzo………………………………………………….. 4.1 Approvvigionamento energetico e sicurezza……………... 4.1.1 Gli elementi vulnerabili del sistema………………………. 4.1.2 Ulteriori considerazioni………………………………….... 4.2 Sintesi della situazione ambientale nazionale…………….

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1. ENERGIA ED ECONOMIA

Nel 2001 il consumo giornaliero mondiale

di petrolio è stato pari a 76 milioni di

barili

1.1 Il mercato mondiale dell’energia Nel 2002 i consumi mondiali d’energia hanno fatto registrare un modestissimo incremento (+0.6 per cento) a causa delle crescenti difficoltà economiche mondiali che, in alcuni paesi cardine – Usa, Giappone, Germania – hanno assunto il profilo della recessione, acuitasi in particolare dopo i tragici avvenimenti dell’11 settembre 20011. In questo quadro i consumi di petrolio sono rimasti stagnanti (76 milioni di barili/giorno). Anche l’offerta, con 76.9 milioni di barili/giorno, è rimasta pressoché invariata rispetto allo scorso anno, registrando, sempre al pari dell’anno precedente, un accantonamento a scorte di circa un milione di barili/giorno. Questa notevole ricostituzione delle scorte negli ultimi due anni ne ha riportato il livello nella piena normalità. In particolare la domanda petrolifera ha subito arretramenti, seppur lievi, nel Nord America, nell’area del Pacifico (rappresentata essenzialmente dal Giappone) ed in America Latina. È invece cresciuta, sempre marginalmente, in Europa e in Cina. La debolezza della situazione economica, e quindi la fiacca domanda petrolifera, non poteva non influenzare i prezzi del petrolio, che fungono a loro volta da prezzi guida anche per altre fonti energetiche. Poiché il cedimento della domanda petrolifera, che all’inizio del 2001 aveva raggiunto picchi elevati, ha seguito un ritmo progressivo nel corso dell’anno, i Paesi produttori sono stati costretti a rimodulare a più riprese l’offerta al fine di arginare la caduta delle quotazioni. L’Opec dei dieci – escluso quindi l’Iraq non vincolato a quote – ha proceduto per ben tre volte a riduzioni del proprio tetto produttivo: a febbraio, ad aprile e a settembre, per valori complessivi di 3.5 milioni di barili/giorno. A questa manovra di riduzione, almeno sulla carta, si sono associati anche alcuni Paesi non-Opec (Russia, Messico, Norvegia). Tuttavia queste decisioni ufficiali non si sono concretizzate per intero. In realtà tra il gennaio e il dicembre 2001 la produzione Opec dei dieci è scesa soltanto di 1.6 milioni di barili/giorno, mentre quella della Russia è addirittura aumentata (per giunta senza alcun episodico contenimento) di quasi 600 mila barili/giorno2. Quest’incremento, sommato a quelli di molte altre aree esterne al cartello, ha finito per compensare esattamente il taglio Opec. A partire dall’inizio di gennaio 2002, l’Opec ha poi applicato una nuova riduzione ufficiale di 1.5 milioni di barili/giorno, anche questa volta accompagnata da impegni restrittivi del gruppo dei Paesi non-

1 Unione Petrolifera, Relazione Annuale 2002. Bibliografia 6). 2 ISGeo, Nuova Geopolitica. Bibliografia 7).

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La risalita delle

quotazioni, avviatasi all’inizio del 2002, è stata favorita dalle tensioni in Medio

Oriente

Sull’andamento del mercato petrolifero

continuano a gravare diverse

incognite

Opec. Nonostante che l’applicazione di tali tagli non sia stata del tutto rigorosa, sembra tuttavia che l’azione dei produttori sia riuscita a riportare un discreto equilibrio tra domanda e offerta. Non c’è dubbio però che la risalita delle quotazioni, avviatasi proprio all’inizio del 2002 ed arrivata a metà aprile a valori che mediamente si collocano intorno ai 24/25 dollari barile (un incremento di circa il 35 per cento), sia stata favorita in buona misura anche dalle tensioni in Medio Oriente e da timori rinnovati di un possibile attacco militare all’Iraq che, da parte sua, all’inizio di aprile, ha sospeso per un mese le esportazioni. Peraltro, anche l’arresto permanente della produzione irachena non rivestirebbe carattere fondamentale per la sicurezza degli approvvigionamenti, perché tale produzione, attestatasi nel primo scorcio di quest’anno a circa 2.5 milioni di b/g, potrebbe essere facilmente compensata da altre aree. La capacità mondiale inutilizzata ammonta attualmente ad oltre 6 milioni di b/g. la sola Opec, negli ultimi due anni, ha in concreto ridotto, in tappe successive, di circa 3 milioni di b/g le proprie esportazioni (rispetto ai 5 del tetto ufficiale)3. In prospettiva, sull’andamento del mercato petrolifero continuano a gravare diverse incognite: la situazione dell’economia mondiale di cui, pur scontata ormai l’uscita dalla recessione, appare ancora incerto il momento di una decisa ripresa; la politica dell’Opec e dei Paesi non-Opec che ne appoggiano la modulazione produttiva: per ora sono state riconfermate le quote in vigore da gennaio 2002, ma l’attuale offerta potrebbe divenire, nei mesi a ridosso della stagione estiva, progressivamente insufficiente, tenuto conto che la domanda di greggio fisiologicamente tende ad aumentare in vista di tale stagione (di maggior consumo per un uso più intenso di benzina); infine, il corso delle vicende in Medio Oriente. Se è vero infatti che il blocco della produzione irachena non dovrebbe creare difficoltà dal punto di vista della disponibilità fisica complessiva, non sono comunque da sottovalutare rimbalzi psicologici sui prezzi, che hanno sempre accompagnato crisi politiche nelle aree strategiche per il petrolio. Se quest’ultimo elemento dovesse essere sperabilmente disinnescato, non è azzardato pensare che i prezzi, pur con oscillazioni, possano mantenersi su valori non eccessivi. L’Opec è riuscita a riportarsi in aprile all’interno della fascia desiderata (22-28 d/b). Non dovrebbe essere suo interesse, in questo periodo di embrionale ripresa economica, compromettere, con decisioni troppo rigide, tale possibilità.

3 Tito Favaretto, Sergio Gobet; L’Italia, l’Europa centro-orientale e i Balcani – Corridoi Pan-europei di trasporto e prospettive di cooperazione. Bibliografia 4). 4 Ugo Biliardo, Giuseppe Mureddu; Il sistema energetico dell’ex Unione Sovietica. Bibliografia 5).

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La tragedia dell’11

settembre si è rivelata fortemente traumatica per tutto il mercato petrolifero

1.1.1 Gli attori L’Opec, con l’insorgenza dei primi segnali di difficoltà economiche mondiali, si è trovata a dover fronteggiare notevoli pressioni al ribasso dei prezzi. Peraltro in questo sforzo l’Opec ha avuto successo, seppur parziale, fino a settembre 2001. Tuttavia la tragedia americana, dopo aver provocato una breve fiammata dei prezzi di natura esclusivamente psicologica, si è rivelata fortemente traumatica per tutto il mercato petrolifero, con quotazioni scese mediamente a 17-18 dollari al barile per tutta la restante parte dell’anno, senza che l’Organizzazione potesse ricorrere ad altri tagli, per tema di alimentare ancor più i fenomeni recessivi dell’economia mondiale (Tabella 1). Soltanto all’inizio del 2002, come accennato, il cartello ha potuto applicare il progettato taglio (1,5 milioni di barili al giorno), dopo aver ottenuto, non senza riluttanza, anche un impegno di riduzione dagli altri principali produttori non-Opec. Le cifre relative alla produzione del 2001 mostrerebbero peraltro che tali impegni non siano stati granché mantenuti, soprattutto da parte della Russia, che sembra aver ampiamente compensato il minor export di greggio con esportazioni di prodotti. Del resto che la Russia non voglia stabilmente legarsi ad un’azione cooperativa con l’Opec, è emerso chiaramente negli ultimi mesi del 2001, quando Mosca ha subordinato la propria strategia petrolifera a priorità squisitamente politiche4.

Anno 2000 Anno 2001 Anno 2002

1° Ott 31 Ott 1° Feb 1° Apr 1° Set 1° Gen Arabia Saudita 8,512 8,675 8,189 7,865 7,541 7,053

Iran 3,844 3,917 3,968 3,552 3,406 3,186 Venezuela 3,019 3,076 2,902 2,786 2,670 2,497

Emirati Arabi Uniti 2,289 2,333 2,201 2,113 2,026 1,895 Nigeria 2,157 2,198 2,075 1,993 1,911 1,787 Kuwait 2,101 2,140 2,021 1,941 1,861 1,740 Libia 1,404 1,431 1,350 1,296 1,242 1,162

Indonesia 1,358 1,385 1,307 1,255 1,203 1,125 Algeria 837 853 805 773 741 693 Quasar 679 692 653 627 601 562 Totale5 26,200 26,700 25,201 24,201 23,202 21,702

Tabella 1 – Paesi Opec: Le quote produttive di petrolio in milioni di barili/giorno.

La consistente ripresa delle quotazioni nel primo quadrimestre 2002, a giudizio degli esperti, dovrebbe soltanto in parte attribuirsi alla

5 L’Iraq è stato escluso dagli accordi. Nell’anno 2001 la sua produzione è ammontata a 2,36 milioni di barili/giorno.

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Delle dinamiche recessive del mercato

hanno risentito anche le società

petrolifere, accusando un forte declino degli utili

Gli organismi internazionali hanno cercato di assicurare la disponibilità degli approvvigionamenti di energia in tutto il

mondo

modulazione dell’offerta rispetto alla domanda, trovando invece almeno per la metà del recupero (circa 3 dollari/barile) origine nelle tensioni in Medio Oriente. Sta di fatto comunque che l’Opec sembra in grado, anche con il modesto aiuto di partners esterni, d’impedire il ristagno dei prezzi sui livelli medi degli ultimi quindici anni (17-18 dollari al barile) e di poter ormai stabilizzarli, seppur con oscillazioni, entro la fascia desiderata. In questo quadro, come accennato, ha ripreso rilevanza la Russia che vuol tornare a giocare un ruolo da protagonista sia nella scena politica sia in quella energetica presente e futura, tenuto conto della crescente importanza delle risorse dei territori del Caucaso. Delle dinamiche recessive del mercato petrolifero nel 2001 hanno notevolmente risentito anche le società petrolifere che hanno accusato un forte declino degli utili, in particolare nell’ultimo trimestre 2001 e nel primo trimestre del 2002. Una stabilizzazione del prezzo al di sopra di 20 dollari al barile è comunque un segnale positivo anche per loro, considerato che non possono interrompersi gli sforzi rivolti alla ricerca di nuove risorse, concentrate ormai in aree di sviluppo ad elevato costo (vedi Capitolo 3). In questo contesto è continuato, seppur con episodi più limitati, il fenomeno delle fusioni e delle acquisizioni, funzionale appunto al riposizionamento delle compagnie petrolifere sullo scacchiere mondiale. Significativo in particolare è stato l’annuncio della fusione Conoco-Phillips che, completata nel 2002, ha dato vita alla sesta compagnia del mondo in termini di riserve. Infine, nella sfera ambientale, dove si muovono numerosi soggetti istituzionali e non, menzione particolare si deve riservare alle vicende relative all’accordo di Kyoto, caratterizzate da una parte dal rifiuto degli Usa di ratificarlo e dall’altra dall’intesa di Marrakesch, con definizione delle modalità per adempiervi. All’intesa, che di fatto ha ridimensionato l’entità delle riduzioni di CO2 ed ha meglio delineato il ricorso a strumenti alternativi (“emission trading”, riforestazione, ecc.), hanno aderito numerosi Paesi, alcuni dei quali tuttavia sembrano ancora incerti se darvi ratifica definitiva6. 1.1.2 Il ruolo di orientamento e sostegno degli organismi internazionali L’attività degli organismi internazionali nel settore energetico è stata, soprattutto dopo l’attacco alle torri gemelle, particolarmente intensa al fine di garantire la sicurezza e la disponibilità degli approvvigionamenti di energia nelle diverse aree mondiali ed assicurare un andamento di prezzi non deleterio per le economie

6 CNR, ENEA, ENEL, ENI; Rapporto sull’energia. Bibliografia 13). 7 IEA’s Russia Energy Survey 2002.

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occidentali. L’Onu ha continuato a gestire il programma di deroga alle sanzioni (Oil for Food) all’Iraq che, già prima degli avvenimenti provocati dal terrorismo internazionale, aveva sospeso per un certo periodo di tempo le sue vendite, per dissensi sul programma e sulle progettate revisioni del sistema di controllo. Il problema, intorno a cui si sta svolgendo un’intensa attività diplomatica, rimane tuttora aperto, anche se l’Iraq ha ripreso negli ultimi mesi ad esportare. L’Onu ha poi organizzato, lo scorso anno, la giornata Mondiale dell’Ambiente e vari incontri sui cambiamenti climatici per sensibilizzare i Governi. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), da parte sua, ha proseguito la sua attività di monitoraggio e di previsione della situazione mondiale di domanda/offerta di energia, in particolare di petrolio. L’Agenzia ha anche pubblicato di recente una nuova edizione della sua Indagine sull’Energia in Russia7, da cui risulta che il Paese, dal 1995 al 2002, ha effettuato importanti passi avanti nella riforma del settore, pur non riuscendo a raggiungere molti degli obiettivi prefissati a causa della debolezza economica interna. Secondo l’Agenzia, la Russia dovrebbe aumentare da 550 ai 700 miliardi di dollari al 2020 le risorse da dedicare allo sviluppo del settore energetico, dovrebbe investire stabilmente nella ricerca e nelle infrastrutture e riformare il sistema dei prezzi energetici, migliorare la trasparenza e l’efficienza, e tener conto anche degli effetti ambientali. Nell’anno 2002, l’Unione Europea ha continuato a perseguire tre grandi obiettivi di politica energetica:

• sicurezza degli approvvigionamenti;

• competitività dell’industria europea;

• contributo alla protezione dell’ambiente. Nell’ambito del dibattito sul “Libro Verde”, relativo alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, a dicembre 2001 la Commissione Europea ha proposto di darvi un seguito, con un documento strategico che dovrebbe essere presentato quanto prima (Tabella 2). Durante il summit di Barcellona nel marzo di quest’anno, la Commissione ha anche predisposto alcune proposte sui mercati del gas e dell’elettricità. In questa sede il Consiglio Europeo ha deciso di procede ad una apertura graduale, a partire dal 2004, di questi mercati a tutti i consumatori non domestici. L’Unione Europea ha anche rafforzato la collaborazione con la Russia nel settore dell’energia, costituendo un comitato per la cooperazione energetica, con il compito di fornire aggiornamenti tempestivi sui

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progressi in tale settore. È stato infine costituito l’European Energy and Transport Forum, un organismo consultivo di supporto alla Commissione Europea. Sulla politica comunitaria di tale settore, la Commissione Europea ha presentato di recente una nuova edizione del Libro Bianco, a nove anni di distanza dalla precedente. Il documento propone la revisione della politica dei trasporti, un settore, che, assorbendo oltre 1000 miliardi di euro (cioè più del 10 per cento del Pil dell’area comunitaria), rappresenta uno dei gangli vitali per la competitività europea.

Quinquennio 1996-2000

Milioni di euro % Italia 3.270 24,7 Regno Unito 2.537 19,1 Germania 1.633 12,3 Spagna 1.409 10,6 Portogallo 1.048 7,9 Grecia 815 6,1 Svezia 601 4,5 Austria 475 3,6 Irlanda 413 3,1 Danimarca 271 2,0 Finlandia 142 1,1 Olanda 140 1,1 Lussemburgo 80 0,6 Belgio 58 0,4 Francia - - Paesi non UE (Norvegia e Islanda) 362 2,7 Totale 13.254 100,0

Tabella 2 – Unione Europea – I prestiti accordati dalla Banca Europea per gli investimenti nel settore energia.

Fonte: BEI.

I rapporti tra

domanda di energia e sviluppo economico e

tra consumo energetico e

inquinamento continuano a

presentarsi complicati

1.2 Ciclo economico dell’Italia Il vincolo fra sviluppo economico e domanda di energia continua a presentarsi problematico, come del resto il disaccoppiamento fra consumi energetici ed inquinamento atmosferico, nonostante continui un certo rallentamento. Appare sostanzialmente invariato il peso della fattura energetica che le famiglie continuano a pagare per riscaldamento, cucina, usi elettrici e soprattutto carburante per il trasporto privato: circa il 6% del reddito (pari a l’8–9% delle spese, con relativamente piccole riduzioni rispetto al picco del 7% nel 1981). Le imprese acquistano beni e servizi energetici per l’8% circa, in continua riduzione rispetto al picco del 1981 (fu il 18%).

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L’approvvigionamento energetico è costato

negli anni novanta tra i 19 e i 15 miliardi

l’anno

L’industria italiana, che negli anni ottanta aveva investito molto per ridurre la sua fattura energetica, negli anni novanta ha rallentato il miglioramento della sua efficienza energetica; questo trova conferma nella forte riduzione degli investimenti complessivi netti, scesi dal 7,2% del PIL al 3,3% tra il 1990 e il 2000. Se i prezzi del petrolio si stabilizzeranno ai valori elevati di fine anno, tenendo conto della scarsa elasticità al prezzo della domanda di servizi energetici civili e di trasporto, le famiglie e il terziario potrebbero iniziare a investire in beni intermedi più efficienti per ridurre la loro spesa per acquisto di servizi energetici domestici e di trasporto. Il mercato già offre dispositivi e tecnologie molto più efficienti, e con il passare degli anni, le norme comunitarie metteranno progressivamente fuori mercato i dispositivi meno efficienti. Il costo di approvvigionamento energetico (la cosiddetta bilancia energetica), che è stato considerato il problema decisivo dell’economia nella seconda metà degli anni 70 e nei primi anni 80, negli anni novanta si è mantenuta fra i 10 e i 15 miliardi l’anno8. Il contributo diretto dei settori di produzione, trasformazione e distribuzione dell’energia alla ricchezza del paese è stato tradizionalmente molto basso in Italia (sotto il 3% del valore aggiunto nazionale), sia per la scarsa consistenza dei settori primari, sia per la bassa redditività dei settori di trasformazione (dell’ordine del 6%). Pur restando un settore maturo, la situazione sta rapidamente cambiando con la liberalizzazione del mercato elettrico, compiutamente avviata, e del gas naturale (vedi capitolo 2). La presenza di nuovi soggetti sul mercato dei capitali, derivante dalla progressiva privatizzazione delle imprese energetiche nazionali e locali, il notevole interesse suscitato presso i risparmiatori e gli investitori dalla loro possibile redditività, fanno pensare che il contributo economico del settore energia sia destinato a crescere considerevolmente. L’evoluzione dell’economia italiana riflette largamente nel corso del biennio 2000-2001 il percorso delineato dall’evoluzione della domanda internazionale e gli impulsi generati dalle variazioni del prezzo del petrolio. Il rimbalzo dell’economia italiana nell’ultimo anno è stato più significativo di quello medio degli altri paesi europei, riportando il tasso di crescita del nostro paese non lontano da quello dell’area euro nel suo insieme, nei confronti della quale permane comunque ancora un divario negativo; minore è stata la crescita della domanda interna. L’accelerazione della crescita del 2000 è stata infatti conseguita nonostante il rallentamento della domanda interna, dal 3,1% del 1999 al 2,8% del 2000. Determinante è stato tuttavia il contributo negativo delle scorte, mentre sia consumi che investimenti hanno visto maggiori incrementi nel 2002

8 Melvin A. Conant; The Universe of Oil. Bibliografia 2).

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L’Italia è uno dei paesi con il minor

fabbisogno energetico e con il trend di riduzione più significativo

rispetto al biennio 2000-2001, che hanno superato i tassi di crescita degli altri paesi europei. Il contributo delle esportazioni nette alla crescita infine è tornato positivo compensando, ma solo in parte, il peggioramento delle ragioni di scambio: l’avanzo commerciale si è quasi azzerato perché il costo della bolletta energetica è di fatto raddoppiato, venendo a rappresentare il 2,2% del PIL. Anche per l’Italia tuttavia l’accelerazione della crescita registrata dai dati medi annui sconta un profilo in rallentamento in corso d’anno. L’indebolimento del ciclo internazionale si è sovrapposto all’effetto dello shock petrolifero sull’inflazione; le diverse componenti della domanda interna registrano l’impatto negativo già a partire dalla fase finale del 2000. 1.3 Domanda di energia in Italia I consumi di fonti energetiche sono cresciuti nel biennio 2000-2001 ad un ritmo molto inferiore rispetto al tasso di crescita del PIL: 0,9 contro 2,9 (Figura 1). L’intensità energetica per unità di prodotto non ha interrotto il proprio trend di riduzione e l’Italia resta tra i paesi con il minor fabbisogno energetico e tra quelli dove il trend di riduzione è più significativo. È continua nel 2002 la variazione nella composizione delle fonti utilizzate già emersa negli anni precedenti: cresce il consumo di gas destinato al settore elettrico tra le fonti primarie e cala quello del petrolio; aumenta al contempo la quota di energia per usi finali derivante dalla trasformazione in energia elettrica (Figura 2). Il cambiamento nei prezzi relativi tra fonti potrebbe essere alla base anche dell’aumento della quota del carbone, utilizzato in misura maggiore rispetto all’anno precedente.

Figura 1 - PIL e domanda nazionale di energia in fonti primarie - Medie trimestrali – Dati destagionalizzati. Fonte: ENI, Notizie statistiche, settembre 2001.

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Figura 2 - Domanda di energia in fonti primarie (%). Fonte: ENI, Notizie statistiche,2001.

La domanda di prodotti energetici da

parte del settore elettrico negli ultimi tre anni ha generato un rovesciamento nel

peso relativo della fonte petrolifera rispetto al gas

Il cambiamento nei prezzi relativi ha dunque interagito con le modifiche strutturali e tecnologiche del settore elettrico attenuando la tendenza alla sostituzione del carbone con il gas naturale. Tra gli usi finali vi è poi da rilevare l’aumento della quota di consumi petroliferi per usi diversi da quelli della trasformazione industriale ed energetica, aumento nei consumi che prosegue da qualche anno e riflette il potenziamento del parco automobilistico diesel italiano (che rappresenta il 33,7% del totale nel 2001) e l’aumento delle vendite di veicoli commerciali (+15%), oltre che degli investimenti in macchine movimento terra. Lo sviluppo del settore edilizio ha, come l’anno scorso, concorso in modo rilevante all’aumento dei consumi di gasolio il cui aumento del 4% si confronta con un calo di oltre il 5% nei consumi di benzina. Dunque l’aumento dello 0,9% della domanda di prodotti energetici si è tradotto in un aumento del 6,6% degli impieghi finali di energia elettrica e dell’1,5% degli impieghi finali di prodotti petroliferi ed in una riduzione dello 1,1% dei consumi di gas; è cresciuto inoltre l’impiego finale di carbone. All’interno del settore elettrico il ciclo positivo dell’industria ha generato un aumento della domanda del 5,2% superiore ai tassi di crescita di lungo periodo, e superiore al tasso di crescita della produzione industriale. L’aumento per il terzo anno consecutivo, ed in un anno di ripresa ciclica, nell’intensità elettrica nel settore industriale potrebbe essere il sintomo del consolidarsi di una diversa fase dopo un ventennio di costante ridimensionamento dell’uso di energia per unità di prodotto. Parte dell’aumento può essere spiegato dall’intensità del ciclo degli investimenti la cui produzione presenta una maggiore intensità per unità di prodotto, ma il fenomeno, accompagnato da un minore aumento nel consumo di altre fonti (in particolare gas), trova una spiegazione anche nella modifica nel mix delle fonti. Consumi elettrici per usi domestici e terziario sono invece cresciuti a tassi più contenuti (2,7%), non lontani dal trend di crescita dell’ultimo decennio. La riduzione della domanda di gas per usi diversi da quelli termoelettrici è spiegata essenzialmente dalla componente per usi civili e per altri usi; la dinamica delle diverse componenti è tuttavia piuttosto accidentata nel confronto anno su anno. La domanda di prodotti energetici da parte del settore elettrico

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Si è consolidata la sostituzione di

carbone a gas e olio nella produzione

termoelettrica

negli ultimi tre anni ha generato un completo rovesciamento nel peso relativo della fonte petrolifera rispetto al gas: prima rappresentava il 45% del fabbisogno per la produzione elettrica nel 1997, contro il 32% nel 2000, superato come importanza dal gas che rappresenta a sua volta il 32% del fabbisogno nazionale (24% nel 1997). È proseguita la stessa tendenza alla ricomposizione delle fonti già emersa nell’ultimo biennio (più elettricità e meno gas naturale tra i consumi finali), ma si è andata consolidando soprattutto a cavallo tra il 2001 ed il 2002 la sostituzione di carbone a gas naturale ed olio combustibile nella produzione termoelettrica: è crollata infatti la domanda di gas in tutti i settori di utilizzo (5,7% nel primo semestre), ad eccezione del domestico essenzialmente per fattori climatici; è crollata anche la domanda di prodotti petroliferi (-2,8%) a causa della forte riduzione della domanda di olio combustibile per il settore termoelettrico (-22%) (Figura 3). Il settore elettrico ha visto ancora aumentare la propria domanda del 2,2% in termini tendenziali, ha fatto ricorso in misura maggiore al carbone, la cui convenienza di prezzo è sensibilmente aumentata, ma ha anche potuto contare su un forte aumento, dopo la caduta dell’anno precedente di fonti primarie, e su un aumento delle importazioni. Il fenomeno, che ha assunto caratteristiche molto marcate alla fine dell’anno scorso appare tuttavia in fase di rientro: sia la domanda di elettricità che il ricorso al carbone per la produzione termoelettrica stanno registrando tassi di crescita via via decrescenti, riflettendo la progressiva estensione all’elettricità delle conseguenze dell’indebolimento del ciclo nonché il superamento della fase di sostituzione del gas naturale con il carbone.

Figura 3 - Domanda di fonti primarie nel settore termoelettrico (numeri indice, 1998=100 - dati destagionalizzati).

Fonte: ENI, Notizie statistiche, settembre 2001.

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La domanda di energia in Italia

negli anni novanta è cresciuta a un tasso

medio annuo del 1,2% circa

La domanda di energia elettrica in Italia è aumentata del 25,4% in dieci

anni

In termini congiunturali la decelerazione nella domanda di fonti primarie di energia si è evidenziata a cavallo tra il 2000 ed il 2001 ed è continuata nel 2002. Già prima dell’estate di quest’anno era emerso un assestamento delle tendenze: dopo due trimestri di caduta, che avevano cumulato una flessione congiunturale di oltre il 5% rispetto al picco del terzo trimestre 2000, nel secondo del 2001 la domanda di energia primaria torna a crescere collocandosi tuttavia ancora nella media dei tre mesi terminanti a luglio del 2,5% al di sotto del picco dell’anno precedente. La domanda di energia in Italia, che era aumentata a ritmi superiori al 5% medio annuo nel periodo dello sviluppo nazionale post bellico, negli anni novanta è cresciuta ad un tasso medio annuo dell’1,2% circa. Infatti i prezzi cedenti fino all’inizio del 1999 hanno fermato il processo di razionalizzazione del sistema e la riduzione dell’intensità energetica del reddito indotto negli anni settanta e ottanta dalle turbolenze dei mercati petroliferi9. La domanda di energia è cresciuta soprattutto nel settore dei trasporti (1,9% medio annuo dal 1989 ad oggi, 50 % più del PIL) nonostante rimanga alta l’incidenza della tassazione sul prezzo dei carburanti. Continua anche la crescita della domanda di gasolio per autotrazione (con ritmi maggiori del 3,5% rispetto lo scorso anno) a conferma della progressiva dieselizzazione del parco autovetture. La domanda di energia è cresciuta molto poco nel settore industriale (0,2 - 0,3% medio annuo, nonostante la produzione industriale sia cresciuta ad un ritmo dell’ordine dell’1% medio annuo). La crescita della domanda nel settore civile (+0,7-0,8% medio annuo, includendo l’agricoltura) sconta la crescita del terziario. La novità è che, mentre sulla media degli anni novanta l’intensità energetica del reddito è rimasta sostanzialmente costante, negli ultimi tre anni la domanda di energia è cresciuta più del reddito, anche scontando qualche effetto congiunturale come la crescita della carica petrolchimica o dei bunkeraggi. I prezzi dell’energia hanno ridotto l’interesse a usare dispositivi più efficienti e tendono ad avvicinare i consumi unitari nazionali a quelli europei. La domanda di energia elettrica in rete è aumentata del 25,4% in dieci anni (circa 2,5% nel 2001 rispetto al 2000), con un incremento medio annuo del 2,2%, ben al di sopra della crescita del PIL e senza sostanziali riduzioni delle tariffe. L’introduzione delle nuove tariffe, approvate a fine anno dall’Autorità per l’Energia, potrebbe incrementare in futuro tale tendenza, soprattutto nel settore domestico. Il 18% dell’energia elettrica lorda disponibile nel 2002 è stato fornito da centrali idroelettriche e geotermoelettriche, il 10% da combustibili solidi, il 22% da gas naturale, il 36% da prodotti petroliferi, il 14% è importato. Il miglioramento di efficienza netta nel settore termoelettrico (destinata a salire rapidamente nei prossimi

9 Unione Petrolifera; Relazione Annuale 2002. Op. Cit.

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anni, quando le vecchie concessioni in scadenza verranno sostituite da centrali a ciclo combinato) ha compensato l’aumento dei consumi richiesto dalle raffinerie per distillare ed immettere sul mercato prodotti sempre più leggeri, gasoli con minor contenuto di zolfo e benzine senza piombo. In questo modo il consumo lordo di energia primaria equivalente dei settori di trasformazione è cresciuta come la domanda complessiva di energia. La ripresa economica iniziata nel 1999 e proseguita nel corso del 2000 ha interessato tutti i settori produttivi, ad esclusione di quello primario: nel 1999-2000 si è registrato un aumento del prodotto interno lordo a prezzi costanti del 2,9%. Il consumo interno lordo di energia nel 2000 (+0,9% rispetto al 1999) è cresciuto meno del prodotto interno lordo, raggiungendo i 184,8 Mtep (Figure 4 e 6). L’intensità energetica è diminuita del 2%, raggiungendo i 182,3 tep per ogni milione di euro 1995 di PIL (Figura 5). Il consumo di combustibili solidi è cresciuto di poco meno del 6% rispetto all’anno scorso, portandosi a 12,8 Mtep. La domanda interna di gas naturale (+3,8%) è aumentata soprattutto a causa degli usi produttivi, mentre l’inverno mite ha ridotto i consumi delle famiglie. Conseguentemente alla riduzione della produzione (ENI), la dipendenza dall’estero è ulteriormente cresciuta. Il consumo complessivo di prodotti petroliferi (greggio, semilavorati e prodotti finiti) ha raggiunto nel 2000 i 91,3 Mtep, con una riduzione dell’1,1% rispetto all’anno precedente. e una variazione nel mix di importazione che rispecchia la convenienza economica emersa dalle quotazioni del mercato.

Figura 4 - Consumo interno lordo di energia per fonte. Anni 1990-2000. Fonte: elaborazione ENEA di dati Ministero delle Attività Produttive.

Nel 2001, la richiesta totale di energia elettrica è aumentata del 4,2% rispetto al 2000, raggiungendo quasi 298 TWh. L’intensità elettrica è pertanto ancora in salita, raggiungendo i 294 kWh per milione di euro 1995 (Figure 5 e 7). Il 18,3% dei consumi (51 TWh) è stato trattato sul mercato libero. Anche per l’elettricità, come per il gas

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naturale, si è registrato un aumento dei consumi per gli usi produttivi (industria e terziario), restando stabile la domanda del residenziale.

Figura 5 - Consumo interno lordo di energia, intensità energetica, intensità elettrica. Anni 1990-2000. Fonte: elaborazioni ENEA di dati Ministero delle Attività Produttive, Ministero dell'Economia e delle Finanze,

ENEL (fino al 1998), GRTN (1999 e 2000).

Figura 6 - Bilancio energetico nazionale. Anno 2002 (Mtep). Fonte: Ministero delle Attività Produttive.

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Figura 7 - Intensità energetica e intensità elettrica, numeri indice (1995=100). Fonte: elaborazioni ENEA di dati Ministero delle Attività Produttive.

Nel 2000 le risorse provenienti da paesi

stranieri hanno raggiunto una quota

di poco inferiore all’87%

L’incremento percentuale dei consumi di energia elettrica nel 2001 è stato più consistente del recente passato: secondo le previsioni del Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN), il tasso di aumento dovrebbe nuovamente diminuire nel prossimo decennio attestandosi al 3% medio annuo. 1.4 Dipendenza energetica dall’estero Nella soddisfazione del fabbisogno energetico il nostro paese presenta una forte dipendenza dall’estero. Come mostrano i dati relativi all’approvvigionamento nazionale di energia primaria, le importazioni hanno pesato nel ventennio appena trascorso per circa l’85% dei consumi complessivi; in particolare, nel 2000 le risorse provenienti da paesi stranieri hanno raggiunto una quota di poco inferiore all’87%. Questa tendenza è destinata a perdurare nei prossimi dieci anni, anche se le previsioni indicano una leggera flessione: sia nel 2005 sia nel 2010, la percentuale dell’import sul totale si dovrebbe aggirare intorno all’82% (Figura 8). Alla base della lieve riduzione prevista sta l’incremento nella produzione nazionale di fonti alternative (geotermico, solare, rinnovabili e rifiuti); le materie prime attualmente più diffuse forniranno invece un contributo minimo: gas naturale estratto nel nostro paese è previsto diminuire in misura significativa, mentre petrolio e carbone cresceranno a tassi molto ridotti10. Analizzando più nel dettaglio petrolio e gas naturale, le due principali fonti energetiche utilizzate nel nostro paese, si nota come la dipendenza dalle importazioni sia cruciale e destinata a perdurare nel tempo. Il greggio acquistato nei paesi stranieri rappresenta attualmente circa il 96% del totale

10 Nicola Pedde; Energia per l’Italia – Risorse locali e approvvigionamento internazionale. Bibliografia 9).

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richiesto, e il suo peso dovrebbe ridursi solo di due punti percentuali nell’arco del prossimo decennio per effetto del lieve aumento previsto nella produzione domestica (che dovrebbe passare da 4,67 a 5,50 migliaia di tep).

Figura 8 - Approvvigionamento totale di energia primaria in Italia (Mtep). Fonte: Statistiche Staffetta Petrolifera (valutazioni e previsioni IEA).

I principali fornitori sono i Paesi Arabi dell’Africa e del Medio Oriente

I principali fornitori del petrolio introdotto in Italia sono rimarranno i paesi arabi dell’Africa e del Medio Oriente. In particolare, è altissima la nostra dipendenza da Libia (19 milioni di tonnellate nel 2000), Iran (9), Arabia Saudita (8,41) e Iraq (8,07) (Figura 9). Ingenti sono anche le importazioni dalla Russia (13,45 milioni di tonnellate nell’anno appena trascorso), unico paese esterno all’area medio-orientale da annoverare tra i nostri principali fornitori. Meno influenti, ma comunque degne di nota, sono le quantità provenienti dalla Norvegia (2,27 milioni di tonnellate) e dalle nazioni della ex Unione Sovietica diverse dalla Russia (2,21). Un’analoga dipendenza dall’estero è presente nel settore del gas naturale11. Nel 2001 le quote take-or-pay delle importazioni hanno soddisfatto circa l’80% della domanda e i quantitativi acquistati da paesi stranieri andranno progressivamente ad aumentare, visto il forte incremento previsto nel fabbisogno (le proiezioni indicano un passaggio da 70 a 93 miliardi di m3 dal 2000 al 2015) e la concomitante caduta della produzione interna. I dati relativi ai contratti di lungo periodo stipulati con l’estero mostrano che è ancora molto basso il livello di diversificazione delle forniture: i maggiori quantitativi arrivano via gasdotto da Algeria, Russia e Nord Europa (principalmente Olanda e Norvegia, Figura 10) e, finché la pipeline resterà il principale mezzo di trasporto del gas, c’è ragione di credere che le principali fonti di approvvigionamento rimarranno più o meno le stesse.

11 Nicola Pedde; Energia per l’Italia – Risorse locali e approvvigionamento internazionale. Op. Cit.

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Figura 9 - Quota dei differenti fornitori nelle importazioni di greggio. Anno 2000. Fonte: Unione Petrolifera, Notizie statistiche petrolifere

Attualmente, i più importanti fornitori del nostro paese sono Russia e Algeria, con cui sono in atto accordi rispettivamente per 28 e 26 miliardi di m3; per i prossimi anni è prevista un’ulteriore espansione delle quantità provenienti dai fornitori tradizionali affiancata da alcune nuove fonti: dal 2004 cominceremo a riceve gas naturale libico e dal 2005 gas naturale liquefatto nigeriano.

Figura 10 - Quota dei differenti fornitori nelle importazioni di gas naturale. Anno 2000. Fonte: Unione Petrolifera, Notizie statistiche petrolifere

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La maggior quota percentuale di

petrolio e gas rispetto alla media UE

bilancia l’assenza dell’energia nucleare

Ogni mille lire di ricchezza prodotta in Italia si richiede una quantità di energia pari all’incirca a 95 grammi di petrolio equivalente. Di questi, circa 80 grammi sono importati. Nel 2001 il sistema economico del paese ha richiesto complessivamente 185 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti. Tra petrolio, gas naturale, elettricità e carbone abbiamo acquistato all’estero 154 Mtep. La composizione delle fonti che garantiscono la copertura del fabbisogno energetico italiano registra, rispetto alla media UE, un maggiore ricorso a petrolio e gas naturale (insieme soddisfano l’83% del consumo interno lordo contro la media europea del 64%) e un minore utilizzo del carbone (la cui quota è circa metà di quella media dell’Unione: 7% contro 12%). La maggiore quota percentuale di petrolio e gas naturale, rispetto alla media UE, bilancia l’assenza dell’energia nucleare (che però è assente anche in altri paesi). La dipendenza energetica dei singoli settori è utile per valutare la vulnerabilità delle diverse componenti del sistema (Figura 11). Il settore per il quale si ricorre maggiormente a fonti esterne è quello dei trasporti (93% nel 2001), dove i prodotti petroliferi sono, praticamente, l’unica fonte utilizzata (salvo i contributi dell’elettricità nel trasporto ferroviario e di quote residuali per prodotti di nicchia quali il GPL e i biocombustibili). Dopo i trasporti, in termini di dipendenza, si colloca la generazione elettrica (85% nel 2001). Nel 2001, per l’effetto combinato dell’aumento dei prezzi del petrolio e del deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, la bolletta energetica italiana (saldo del commercio estero dei prodotti energetici) è aumentata dell’87% rispetto al 2000 (Figura 12), a fronte di un aumento di pochi punti percentuali delle quantità importate. Il peggioramento del saldo commerciale dei prodotti energetici è dovuto quasi interamente alle importazioni di petrolio che sono praticamente raddoppiate in valore. Anche se l’aumento del prezzo industriale è tutto riversato sui prezzi al consumo, questi aumentano in maniera percentualmente ridotta, per la elevata imposizione fiscale.

Figura 11 - Dipendenza energetica settoriale.Anni 1990-2000 (quota %). Dati provvisori. Fonte: elaborazione ENEA di dati del Ministero delle Attività Produttive.

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Figura 12 - Parametri di riferimento per la bolletta energetica italiana.Variazioni 2000/1999 (%). Fonte: Ministero Attività Produttive, Unione Petrolifera, Ministero dell’Economia.

1.5 L’industria dell’energia La struttura dell’impresa che consuma energia nel settore industriale sta cambiando rapidamente, anche stimolata dai processi di liberalizzazione dei mercati energetici. La tradizionale suddivisione tende a scomparire, l’integrazione delle fasi della filiera produttiva si attenua, interi processi sono svolti all’esterno. L’acquisto di vettori energetici e semilavorati a forte contenuto di energia e l’estendersi del riciclo rischiano di rendere privi di significato i consueti indicatori di consumo, che ben si attagliavano alla tipica industria integrata. La corretta caratterizzazione dei consumi energetici è più complessa: essa richiederebbe l’affinamento delle definizioni di fonti, vettori, prodotti che hanno una valenza energetica per adeguarle alla nuova realtà produttiva. Una rilevanza particolare è quella assunta dal calore: vettore energetico nella tradizionale impresa integrata – prodotto nella propria centrale a cogenerazione – diventa bene scambiato sul mercato fra una società terza e il consumatore. Nel 2000, nell’ambito del Sistema Statistico Nazionale, Ministero dell’Industria, ENEA e ISTAT hanno realizzato l’indagine sui consumi energetici nell’industria, che ha evidenziato elementi ulteriori rispetto ai dati del bilancio energetico nazionale. L’industria dell’energia raccoglie le attività di produzione e utilizzo di fonti energetiche primarie e di valorizzazione dei rifiuti per la loro trasformazione in vettori energetici adatti al consumo negli usi finali. Le fonti primarie (fossili, ovvero risorse naturali quali il vento, i salti idraulici o le biomasse vegetali) devono essere raccolte, trasferite e trasformate in vettori di più facile uso (ad es. l’elettricità) o purificate e separate nei componenti (ad es. benzina) più adatti alla domanda dei vari usi finali; infine, la logistica prevede oltre alla rete di trasporto anche una serie di accumuli e depositi. La situazione italiana nell’ultimo anno è stata caratterizzata da:

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• industria dei combustibili solidi, che ha importato circa 12,1 Mtep di carboni di varie qualità, dei quali una quantità pari a 6,5 Mtep è stata usata per la produzione di elettricità; il resto in larga parte per il soddisfacimento dell’industria siderurgica, e per perdite (1,1 Mtep);

• industria del gas naturale, che ha prodotto e importato gas per circa 51,5 Mtep; i consumi interni per pompaggio e perdite sono risultati pari a circa 0,5 Mtep;

• industria petrolifera, che ha prodotto ed importato petroli per circa 94,4 Mtep destinati agli usi nazionali dopo la trasformazione nelle raffinerie in prodotti finiti, con consumi interni pari a circa 6,4 Mtep.Anche una quota dei 2,7 Mtep assorbita dai bunkeraggi va addebitata al trasporto del petrolio;

• utilizzo di fonti rinnovabili (salti idraulici, geotermia, vento) trasformate in elettricità per un valore equivalente di sostituzione di 11,6 Mtep (considerando cioè un consumo lordo convenzionale di 2200 kcal/kWh).

• utilizzo di biomasse per produzione di calore, specie nel settore domestico, per una quantità equivalente di fonti fossili, compresa fra 1,8 e 3,6 Mtep secondo recenti stime;

• utilizzo di reflui di processo industriali (ad es. catrame delle raffinerie), di rifiuti urbani e di biomasse di recupero, per la produzione di circa 10 TWh di elettricità, corrispondenti in fonte primaria convenzionale a circa 2,2 Mtep (circa 3÷4 Mtep in forma fisica);

• recupero di energia termica, a valle degli impianti di generazione di elettricità impiegata direttamente nei processi industriali o distribuita attraverso rete di riscaldamento. Il GRTN ipotizza un valore di 8,9 Mtep. Una stima di dati disaggregati porta ad una quantità pari a 5,1 Mtep (equivalente alla disponibilità di 6 Mtep di fonti primarie);

• importazione netta di elettricità di 42 TWh pari a 9,2 Mtep se valorizzata al consumo lordo convenzionale di 2200 kcal/kWh;

• trasformazione di fonti primarie per circa 49 Mtep e di materiali combustibili recuperati per circa 3÷4 Mtep in circa 207 TWh di elettricità. Se si considerano anche le fonti rinnovabili e le importazioni il sistema elettrico ha assorbito 74 Mtep. A questa trasformazione sono associate (dati 1999) perdite per 37,3 Mtep delle quali 11,6 per così dire virtuali e 25,7 Mtep come calore disperso nell’ambiente mentre 5÷9 Mtep sono calore recuperato. Il sistema elettrico consuma poi energia per gli ausiliari di centrale (10,7 TWh) ed infine per perdite nei trasformatori e nella rete di trasformazione e distribuzione (18,5 TWh) per un valore complessivo espresso in fonti primarie convenzionali pari a 7,1 Mtep.

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In termini globali il settore dell’industria energetica ha gestito nel 2001 fonti primarie equivalenti a circa 180 Mtep. Di queste 2,7 sono state assorbite dai bunkeraggi, 7,7 dagli usi non energetici, 15,1 sono stati i consumi interni del settore energetico, 37,3 le perdite legate alla trasformazione in elettricità, mentre i rimanenti 116,8 Mtep sono giunti ai consumatori finali. Ai consumatori giungono anche i 5÷9 Mtep di energia termica recuperata, mentre 3÷4 Mtep di rifiuti tornano in ciclo.

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2. FONTI DI ENERGIA TRADIZIONALE

La liberalizzazione dei mercati del gas e dell’energia elettrica hanno caratterizzato lo scenario italiano

dell’ultimo anno

Nell’ultimo anno lo scenario energetico italiano è stato prevalentemente occupato dalle vicende e dalle politiche relative alla liberalizzazione dei mercati del gas e dell’energia elettrica. In campo petrolifero, dove nei due anni precedenti si erano catalizzate forti tensioni a causa della notevole risalita dei prezzi internazionali, si è molto smorzata l’attenzione generale alla luce del ritorno alla normalità del mercato. Nondimeno anche in questo settore sono da registrare alcune novità di rilievo, soprattutto per quel che riguarda il processo di ristrutturazione della rete. Il sistema economico italiano, dopo il buon andamento dell’anno 2000 (Pil + 2,9 per cento), ha rallentato notevolmente la sua crescita già dal secondo trimestre del 2001, influenzato dalle crescenti difficoltà dell’economia mondiale (Tabella 3).

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 20011 Variazione percentuale vs. anno precedente

Prodotto interno lordo + 0,8 - 0,9 + 2,2 + 2,9 + 1,1 + 2,0 + 1,8 + 1,6 + 2,9 + 1,9

Produzione industriale -0,2 - 2,4 + 5,2 + 5,4 - 0,9 + 3,3 + 1,9 + 0,1 + 3,2 - 0,7

Inflazione +5,3 + 4,6 + 4,1 + 5,2 + 4,0 + 2,0 + 2,0 + 1,7 + 2,5 + 2,7

Investimenti fissi lordi -1,4 - 10,9 + 0,1 + 6,0 + 3,6 + 2,1 + 4,3 + 5,7 + 6,5 + 2,4

Percentuale delle forze di lavoro

Disoccupazione 9,3 10,12 11,1 11,6 11,6 11,7 11,8 11,5 10,6 9,6

Migliaia di miliardi di lire Saldo import-export -12,7 + 33,2 + 35,9 + 45,5 + 67,6 + 51,5 + 47,4 + 27,2 + 2,7 + 17,9

Indebitamento netto contratto nell’anno 144 147 150 136 135 54 58 38 403 34

Debito delle amministrazioni4 1.633 1.847 2.047 2.202 2.331 2.386 2.417 2.458 2.493 2.577

Tabella 3 – Italia – I dati macroeconomici.

Le prospettive di ripresa del ciclo industriale, attese per la fine dell’anno, sono state tuttavia bruscamente interrotte dalla tragedia dell’11 settembre che, aggravando la recessione dell’economia americana, ha depresso la domanda mondiale. I conti con l’estero

1 Dati provvisori. 2 Dal 1993 l’Istat ha adottato una nuova metodologia di calcolo delle forze lavoro. 3 Scende a 12 se si considerano anche i proventi dell’asta per le licenze UMTS. 4 A fine anno.

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La tragedia dell’11 settembre ha interrotto la

prospettiva di ripresa del ciclo industriale

hanno manifestato un leggero miglioramento a causa della diminuzione del prezzo del petrolio. Il disavanzo della Pubblica Amministrazione si è ulteriormente ridotto in rapporto al Pil, scendendo all’1,4 per cento, rispetto all’1,5 per cento dell’anno precedente, (ma rimanendo al di sopra dell’1,1 per cento previsto dal Governo per il rispetto dei parametri di Maastricht). I consumi di energia nel 2001 sono cresciuti del 1,5 per cento, raggiungendo un valore complessivo pari e 188 milioni di tep (Tabella 4). I contributi delle diverse fonti primarie hanno manifestato tendenze differenziate:

• un consistente aumento dei combustibili solidi (+ 7,8 per cento), a seguito del maggior impiego per la produzione termoelettrica;

• un modesto incremento del gas naturale (+ 0,5 per cento), sostanzialmente determinato da minori impieghi nel settore industriale (- 3,0 per cento) e da un utilizzo più contenuto per la produzione termoelettrica (+ 1,6 per cento); mentre il settore civile ha registrato un incremento del 3,4 per cento a motivo delle temperature più rigide degli ultimi mesi dell’anno;

• un’ulteriore crescita delle importazioni nette di energia elettrica dall’estero (+ 8,2 per cento);

• un consistente incremento delle energie rinnovabili(+ 8,5 per cento), determinato soprattutto dalla maggiore produzione di elettricità di origine idrica;

• un’ulteriore modesta contrazione (- 0,4 per cento) per l’insieme dei prodotti petroliferi.

1990 1995 1997 1998 1999 2000 20015var. % 2001-2002

Contributo % al tot.

2001 Combustibili solidi 15,0 12,5 11,7 12,1 12,2 12,8 13,8 + 7,8 7,3

Gas naturale 39,1 44,8 47,8 51,5 56,0 58,4 58,7 + 0,5 31,2 Importazioni nette di energia elettrica 7,6 8,2 8,6 9,0 9,2 9,8 10,6 + 8,2 5,6

Petrolio6 92,5 94,9 94,9 94,9 92,4 91,3 90,9 - 0,4 48,4

Fonti rinnovabili 8,4 11,5 11,5 11,7 12,9 12,9 14,0 + 8,5 7,5

Totale 162,6 174,4 174,4 179,2 182,7 185,2 188,0 + 1,5 100,0

Tabella 4 - Italia – I consumi di energia (Milioni di tep).

Fonte: Ministero delle Attività Produttive.

5 Stime provvisorie. 6 I valori successive al 1997 includono l’Orimulsion, impiegato per produzione di elettricità.

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I volumi di benzina “senza piombo” sono cresciuti di oltre un milione di tonnellate

2.1 Il mercato del petrolio Il settore petrolifero, pur non caratterizzato da vicende di primissimo piano, è stato in quest’ultimo periodo nondimeno oggetto di sviluppi importanti, anche se non sempre orientati nella direzione dell’atteso miglioramento delle condizioni operative. Sulla ristrutturazione si è registrato un nuovo provvedimento del Governo che costituisce soltanto un timido passo in avanti, lasciando però inalterati molti dei vincoli esistenti. Ma è anche da segnalare l’approvazione, da parte dell’Antitrust, di un piano volontario delle aziende di ulteriore riduzione dei punti di vendita. Una forte preoccupazione, per quanto riguarda i sistemi di raffinazione e logistica, è stata inoltre generata dalle disposizioni sul decentramento amministrativo alle Regioni, che potrebbe mettere a repentaglio l’uniformità normativa ed operativa del dispositivo industriale sul territorio nazionale. Importante anche la problematica sulle scorte, che ha portato alla costituzione di un’Agenzia, i cui compiti operativi sono in fase di approfondimento e definizione, dovendosi raccordare gli stessi con le disposizioni già vigenti ed a carattere internazionale7. 2.1.1 La domanda di prodotti petroliferi La domanda dei principali prodotti petroliferi ha mostrato dinamiche diversificate, consolidando le tendenze già manifestatesi lo scorso anno (Tabella 5):

• la domanda di benzine (16,5 milioni di tonnellate) ha continuato a diminuire (- 2,0 per cento), anche se in misura più contenuta dell’anno precedente (- 5,0 per cento rispetto al 1999). Non si può escludere che a rallentare l’andamento calante abbiano anche contribuito i ripetuti ribassi dei prezzi alla pompa. I volumi di benzina “senza piombo” sono saliti di oltre 1 milione di tonnellate (+ 10,2 per cento), mentre la benzina con piombo – uscita definitivamente di produzione ad ottobre – ha registrato una contrazione di 1,6 milioni di tonnellate (- 34,6 per cento). La benzina senza piombo ha rappresentato l’82 per cento del totale, quella con piombo il restante 18 per cento;

• la domanda di gasolio autotrazione (20,1 milioni di tonnellate) ha registrato un + 10,0 per cento, determinato da una maggiore domanda sia del parco autovetture, in crescita, sia dei veicoli commerciali, industriali, e dei mezzi di movimento terra. La domanda di gasolio per riscaldamento (3,6 milioni di tonnellate) ha invece subito una flessione

7 Unione Petrolifera; Relazione Annuale 2002. Op. Cit.

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dello 0,9 per cento. La domanda complessiva di gasolio, compresa quella dei settori agricolo e marina, ha raggiunto i 25,9 milioni di tonnellate, con un incremento del 5,4 per cento rispetto al 2000;

1979 1985 1990 1995 1998 1999 2000 20018 Var. % 2001-2002

Gpl9 2,1 2,4 3,3 3,5 3,4 4,0 3,9 3,8 - 2,1 Benzina con piombo 12,1 11,9 13,0 10,4 7,8 6,6 4,6 3,0 - 34,6 Benzina senza piombo - - 0,7 7,1 10,2 11,1 12,2 13,5 + 10,2 Totale benzina 12,1 11,9 13,7 17,5 18,0 17,7 16,8 16,5 - 2,0 Carboturbo 1,6 1,7 2,0 2,8 3,1 3,5 3,6 3,4 - 5,1 Gasolio autotrazione 9,7 13,2 16,3 16,6 17,1 17,8 18,3 20,1 + 10,0 Gasolio riscaldamento 12,4 10,1 6,9 3,6 3,8 3,8 3,6 3,6 - 0,9 Gasolio altri usi 1,8 2,1 3,0 2,8 2,7 2,8 2,6 2,2 - 17,4 Totale gasolio 23,9 25,4 26,2 23,0 23,6 24,4 24,5 25,9 + 5,4 Olio combustibile termoelettrica 18,3 14,2 21,0 22,9 19,8 15,4 13,7 11,2 - 17,9 Olio combustibile altri usi 19,2 9,1 5,8 4,0 4,0 3,8 3,0 3,2 + 4,7 Totale olio combustibile 37,5 23,3 26,8 26,9 23,8 19,2 16,7 14,4 - 13,7 - di cui olio combustibile Btz - 0,4 14,1 19,4 14,5 11,8 10,7 9,2 - 13,9 Bitume 2,0 2,1 2,4 2,2 2,5 2,5 2,4 2,6 + 6,2 Altri prodotti10 2,8 2,8 4,1 3,0 4,2 5,4 6,5 6,0 - 4,7 Petrolchimica (carica netta) 7,5 5,5 7,0 7,8 6,9 7,2 7,0 6,8 - 3,7 Bunkeraggi 5,2 3,5 2,7 2,5 2,6 2,5 2,8 2,9 + 4,0 Totale immissioni al consumo 94,7 78,6 88,2 89,2 88,1 86,4 84,2 82,3 - 2,3 Consumi/perdite di raffineria 7,1 5,3 5,6 6,3 7,2 8,0 9,1 9,9 + 8,7 Riduzione (aumento) scorte 0,2 0,2 (0,3) 0,6 (0,4) 0,1 0,2 0,8 - Totale consumo 102,0 84,1 93,5 96,1 94,9 94,5 93,5 93,0 - 0,5

Tabella 5 - Italia – La domanda di prodotti petroliferi (Milioni di tonnellate).

• la domanda complessiva di olio combustibile (14,4 milioni di tonnellate) ha proseguito la sostenuta tendenza alla contrazione (- 13,7 per cento rispetto al 2000), a causa soprattutto del suo minore impiego nell’uso termoelettrico (- 17,9 per cento). Degli 11,2 milioni di tonnellate di prodotto destinati a tale settore (escludendo i volumi utilizzati dagli autoproduttori industriali), oltre il 58 per cento è stato oggetto di importazione (63 per cento nel 2000), di cui oltre il 66 per cento con tenore di zolfo inferiore all’1 per cento (69 per cento nel 2000);

• fra gli altri prodotti, hanno registrato variazioni positive i

8 Dati Provvisori. 9 Con l’anno 1999 sono state riviste le modalità di acquisizione dei dati. 10 Dall’anno 1999 comprendono i Combustibili a Basso Costo (emulsioni di greggi pesanti ad alto tenore di zolfo).

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bitumi (+ 6,2 per cento) ed i bunkeraggi marittimi (+ 4,0 per cento), mentre sono risultati in diminuzione: il carboturbo(- 5,1 per cento, soprattutto a causa dei tragici avvenimenti dell’11 settembre), il gpl (- 2,1 per cento), i lubrificanti (- 6,9 per cento) e il fabbisogno netto per la petrolchimica (- 3,7 per cento).

2.1.2 La produzione nazionale di idrocarburi La produzione nazionale di greggio è scesa rispetto ai livelli 2000 (- 11,0 per cento). I 4 milioni di tonnellate estratti sono provenuti per i 76 % da pozzi a terra e per il 24 % da giacimenti a mare. Negli ultimi mesi del 2001 si è avviata la produzione nei giacimenti della Basilicata (Val d’Agri), con volumi iniziali pari a 45 mila barili al giorno. La produzione nazionale di gas naturale si è mantenuta in calo in linea con una tendenza strutturale in corso dal 1995. I 15,5 miliardi di metri cubi estratti (- 7,0 per cento) hanno soddisfatto poco più di un quinto del totale fabbisogno nazionale. Globalmente la produzione nazionale di idrocarburi (pari a quasi 17 milioni di tep) ha soddisfatto appena il 9 per cento del fabbisogno energetico nazionale. 2.1.3 Le importazioni di greggio, semilavorati e prodotti finiti Nel 2001 l’Italia ha importato 82,8 milioni di tonnellate di greggio (- 1,0 per cento rispetto al 2000). Di queste, 77,2 milioni di tonnellate sono state importate in “conto proprio” (+ 0,1 per cento) e 5,6 milioni per conto di “committenti esteri” (- 15,2 per cento) (Tabella 6).

1979 1985 1990 1992 1994 1996 1998 1999 2000 200111

Importazioni di greggio 110,5 63,4 74,7 78,0 75,2 74,1 85,9 80,5 83,7 82,8 - di cui conto proprio 91,1 56,8 63,1 71,2 71,1 68,9 78,7 74,7 77,1 77,2 - di cui conto committenti esteri 19,4 6,6 11,6 6,8 4,1 5,2 7,2 5,8 6,6 8,2 Importazioni di semilavorati 4,5 10,5 12,1 11,4 10,6 7,5 5,8 7,3 6,6 8,2 Importazioni di prodotti finiti12 7,5 19,7 23,5 23,7 23,0 26,2 21,7 21,1 21,4 18,7 Nazionalizzazioni13 n.d. 5,0 6,3 3,5 2,1 2,6 4,2 3,2 3,2 3,1

Tabella 6 - Italia – L’approvvigionamento petrolifero (Milioni di tonnellate).

Fonte: Ministero delle Attività Produttive.

A tale calo, si è contrapposto un sensibile aumento delle importazioni di semilavorati (+ 24,2 per cento) ammontate a 8,2

11 Dati Provvisori. 12 Dall’anno 1999 comprendono le importazioni di Combustibili a Basso Costo (emulsioni di greggi pesanti ad alto tenore di zolfo). 13 Prodotti ottenuti da lavorazioni in conto committente estero.

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milioni di tonnellate. In diminuzione sono state anche le importazioni complessive di prodotti finiti (Tabella 7), risultate pari a 18,7 milioni di tonnellate. In questa cifra sono incluse anche le emulsioni di greggio pesante ad alto tenore di zolfo (Orimulsion) che, con valori pari a 5,4 milioni di tonnellate, hanno registrato un discreto decremento (- 2,2 per cento).

Milioni di tonnellate Peso percentuale 1979 1985 1990 1995 1998 1999 2000 2001 1979 1990 2000 2001

MEDIO ORIENTE 73,1 19,6 26,8 25,7 34,4 30,9 30,6 29,0 66,2 35,9 36,6 35,0

- di cui: Arabia Saudita 33,4 4,8 8,1 10,9 12,5 8,3 8,4 8,9

Iran 2,2 7,3 9,5 11,4 13,9 13,3 10,4 10,4 Iraq 22,4 4,7 3,4 - 5,3 6,4 8,2 3,9 Siria 2,1 0,4 0,9 3,4 2,6 2,8 2,0 5,1 AFRICA 30,2 31,3 40,5 33,9 35,7 29,4 32,2 30,7 27,3 54,2 38,5 37,0 - di cui: Libia 15,0 13,5 24,5 23,7 25,1 20,3 21,9 20,3 Algeria 3,0 3,0 4,6 2,2 1,7 2,0 3,2 2,8 Egitto 7,0 6,5 6,2 4,3 3,5 3,3 3,5 2,9 Nigeria 3,0 7,1 1,3 0,6 1,7 1,3 1,1 1,8 EX URSS 5,4 5,6 6,1 11,3 11,4 14,8 16,1 19,5 4,9 8,1 19,3 23,6 AMERICA LATINA 1,2 3,3 0,5 0,8 0,2 0,2 0,4 0,4 1,1 0,7 0,6 0,5

MARE DEL NORD - 3,3 0,6 1,7 4,2 5,2 4,2 3,2 - 0,8 5,0 3,9

ALTRE 0,6 0,3 0,2 0,2 - - - - 0,5 0,3 - - Totale 110,5 63,4 74,7 73,6 85,9 80,4 83,7 82,8 100,0 100,0 100,0 100,0- di cui da Area Opec 93,3 44,2 55,5 49,6 60,3 51,8 55,0 48,9 84,4 74,3 65,7 59,0

Tabella 7 - Italia – Le provenienze del greggio.

Fonte: Ministero delle Attività Produttive.

L’esame in dettaglio dei flussi di importazione del greggio per le principali aree di provenienza mostra:

• una consistente riduzione (- 5,2 per cento) dei volumi giunti dal Medio Oriente, area che ha soddisfatto il 35 per cento degli arrivi complessivi di greggio;

• una sensibile diminuzione (- 4,7 per cento) dei volumi dai paesi dell’Africa, che ha portato al 37 per cento il concorso di quest’area;

• una sensibile contrazione (- 28,8 per cento) delle provenienze dal Mare del Nord, con un contributo ridottosi al 3,9 per cento;

• una robusta ripresa degli arrivi dall’area ex Urss (+ 21,1 per cento) con oltre 19 milioni di tonnellate, pari a 23,6 per cento di tutte le importazioni greggio.

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Grazie al maggior impiego per la

produzione termoelettrica il

consumo dei combustibili solidi ha

subito un forte aumento

Su base annua, la Libia si è confermata maggior fornitore del nostro paese, con poco più di 20 milioni di tonnellate. Un primato che è stato tuttavia superato dai Paesi dell’ex Urss negli ultimi mesi del 2001. Nell’anno 2001 l’Italia ha esportato semilavorati e prodotti finiti per 22 milioni di tonnellate (+ 4,1 per cento)14. 2.1.4 Il ruolo dei combustibili solidi Il consumo di combustibili solidi, per il quinto anno consecutivo, ha segnato un aumento: con 13,8 milioni di tep (+ 7,8 per cento) questa fonte ha raggiunto un concorso del 7,3 per cento nella copertura del fabbisogno energetico nazionale. Anche questa volta, a determinare la crescita, è stato il maggiore impiego per produzione termoelettrica, passato dai 9,6 milioni di tonnellate del 2000 agli 11,0 del 2001. I nuovi orientamenti sulla produzione di energia elettrica (espressi anche a livello di governo) fanno prevedere, per i prossimi anni, un’ulteriore crescita della domanda di combustibili solidi in questo settore. Anche nel 2001 il “progetto Sulcis” ha mostrato forti difficoltà a decollare, in particolare per i timori del settore bancario riguardo all’elevato profilo di rischio del “project financing”. 2.1.5 La fattura energetica e petrolifera Nel 2001, la flessione del prezzo del greggio (accentuatasi particolarmente negli ultimi mesi dell’anno) ha arrecato sensibili vantaggi alla spesa nazionale per l’approvvigionamento di energia dall’estero (rappresentata dal saldo fra l’esborso per le importazioni e gli introiti derivanti dalle esportazioni) (Tabella 8).

1979 1985 1990 1995 1997 1998 1999 2000 2001 Var. % 2001-2000

Fob dollari/barile 18,1 26,8 22,5 16,3 18,3 11,7 16,6 26,9 23,0 - 14,5 Cif dollari/tonnellata 139,8 203,1 172,2 125,0 139,8 90,4 126,1 205,0 175,5 - 14,4

Cambio lire/dollaro15 831 1.905 1.183 1.629 1.699 1.738 1.830 2.111 2.162 + 2,4

Cif lire/tonnellata 116.190 386.970 203.800 203.550 237.485 157.160 230.870 432.725 379.585 - 12,3

Tabella 8 - Italia – Il costo del greggio importato.

Fonte: Ministero delle Attività Produttive e Unione Petrolifera.

14 Giuseppe Mureddu; I flussi commerciali marittimi di interesse dell’Italia e della UE nel Mediterraneo e nel mondo. Dipendenza dalle importazioni e impatto delle esportazioni nella definizioni degli interessi nazionali ed Europei. Bibliografia 8). 15 Cambio medio ponderato sulla base dei volumi mensilmente importati. Non corrisponde esattamente alla media Uic.

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La fattura energetica del 2001 è stata pari a 27.852 milioni di euro (53.930 miliardi di lire), con un calo di 1152 milioni (- 4,0 per cento) a quello del 2000. Il miglioramento è stato sostanzialmente determinato dal petrolio, il cui esborso è stato diminuito del 13,7 per cento. La fattura petrolifera, in particolare, è passata dai 18.651 milioni di euro del 2000 a 16.087 (da 36.113 a 31.149 miliardi di lire). I 27.852 milioni di euro di fattura energetica hanno rappresentato il 2,3 per cento del Pil, contro il 2,5 per cento del 2000 e il 5,0 per cento del periodo 1980-1985. I 16.087 milioni di euro (31.149 miliardi di lire) di fattura petrolifera corrispondono all’1,4 per cento del Pil, contro l’1,6 per cento del 2000 e il 4,0 per cento del periodo 1980-1985. Una tonnellata di greggio importata è costata 196,25 euro (380.000 lire), contro i 223.62 euro (433.000 lire) del 2000. la diminuzione (- 12,0 per cento) è la risultante del minor costo del greggio all’origine (- 14,0 per cento) e dell’apprezzamento del dollaro (+ 3,0 per cento) rispetto alla vecchia lira. 2.1.6 La capacità di raffinazione e le lavorazioni Nel corso dell’anno 2001, non vi sono state significative modifiche nella capacità dei principali impianti del sistema di raffinazione italiano (Tabella 9).

1975 1980 1985 1990 1995 1997 1998 1999 2000 2001

LAVORAZIONI 97,7 96,5 76,6 69,7 87,5 92,6 97,0 93,5 94,0 95,5 - greggio nazionale 1,1 1,8 2,3 4,0 5,1 5,8 5,5 5,0 4,5 3,9 - greggio estero 94,7 89,6 63,3 73,8 73,4 78,3 85,6 81,2 82,9 83,4 - semilavorati di importazione 1,9 5,1 11,0 11,9 9,0 8,5 5,9 7,3 6,6 8,2

Altri semilavorati, additivi 7,7 5,1 3,1 4,0 3,5 3,1 3,1 3,4 4,0 3,8

TOTALE MAT. PRIMA TRAT. 105,4 101,6 79,7 93,7 91,0 95,7 100,1 96,9 98,0 99,3

- di cui conto committenti esteri 13,0 13,3 7,1 11,8 3,3 5,9 7,2 5,9 6,7 5,5

Capacità di raffinazione 148,0 134,0 116,0 107,016 98,916 100,816 100,216 100,216 100,216 100,216

% di utilizzazione17 66 72 66 84 88 92 97 93 94 95

Tabella 9 - Italia – L’attività delle raffinerie (Milioni di tonnellate). Fonte: Ministero delle Attività Produttive e Istat.

In linea con l’andamento delle quotazioni internazionali e con i valori rilevati nella media dei Paesi UE, i prezzi industriali (prezzi al

16 Capacità (a fine anno) supportata da impianti di lavorazione secondaria adeguati alla produzione di benzina e gasolio secondo specifica. 17 Riferita al totale lavorazioni.

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Il settore italiano della raffinazione è stato caratterizzato

da un peggioramento dei margini di

lavorazione

consumo al netto della componente fiscale) di tutti i principali prodotti, espressi come valori medi dell’anno 2001 rispetto all’anno precedente, hanno registrato le seguenti diminuzioni percentuali:

• benzina senza piombo - 7,4 • gasolio autotrazione - 6,3 • gasolio riscaldamento - 7,5 • olio combustibile Btz - 14,5

I valori medi annuali ponderati dei prezzi al consumo del 2001, sono risultati inferiori a quelli del 2000 per i seguenti valori percentuali:

• benzina senza piombo - 2,9 • gasolio autotrazione - 2,8 • gasolio riscaldamento - 5,1 • olio combustibile Btz - 12,4

In questo caso il calo è più contenuto, rispetto a quello dei prezzi industriali e dovuto alla presenza della componente fiscale. 2.1.7 I risultati economici e gli investimenti Nel 2001 il settore della raffinazione italiana, in linea con l’andamento del mercato mondiale, è stato caratterizzato da un netto peggioramento dei margini di lavorazione. Nella distribuzione sulla rete, i margini sono stati invece sostanzialmente positivi nella media, pur mostrando nel corso dell’anno, grande volatilità; ad una prima fase calante (in corrispondenza degli aumenti delle quotazioni internazionali) è corrisposta una seconda fase di tendenziale recupero. Andamenti molto irregolari si sono avuti nei margini dell’extrarete, con condizioni generali ancora piuttosto negative. Peraltro in rapporto alla capitalizzazione, gli utili nel settore distributivo rimangono assai più bassi di altri comparti produttivi. Si stima che nell’anno 2001 il settore abbia effettuato investimenti per circa 1.000 milioni di euro (pari a 1.950 miliardi di lire), di cui 465 milioni (900 miliardi di lire) nella raffinazione e 535 milioni (1.050 miliardi di lire) nella distribuzione18. Oltre il 50 per cento degli investimenti del settore della raffinazione è stato destinato a finalità ambientali (miglior qualità dei prodotti e riduzioni delle emissioni); in quello della distribuzione il grosso delle risorse è stato assorbito dalle iniziative di ammodernamento della rete e dagli adempimenti normativi di carattere ambientale (soprattutto l’installazione dei sistemi di recupero vapore nelle raffinerie e nei depositi). In aggiunta a quelli indicati, sono stati effettuati ulteriori investimenti nei tre impianti di massificazione e produzione di energia elettrica presso le raffinerie Api, Isab e Saras.

18 ENEA; L’Energia e suoi numeri; Italia 2000. Bibliografia 16).

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2.1.8 Le modifiche nella partecipazione al mercato e nella fisionomia degli operatori Anche nel 2001 non vi sono state modifiche di rilievo nel concorso di diversi gruppi di operatori nella copertura della complessiva domanda petrolifera nazionale (Tabella 10). Vanno invece segnalati alcuni avvenimenti che nel corso dell’anno hanno caratterizzato il settore petrolifero, rappresentando una significativa tendenza di modifica negli aspetti organizzativi e nella struttura operativa dei diversi partecipanti al mercato:

• l’Agip Petroli ha definito un piano di riassetto e riequilibrio delle proprie strutture distributive in Italia e all’estero articolato, fra l’altro, tra una rete a marchio Agip forte, nel 2003, di circa 4.000 punti di vendita e une rete facente capo, dopo gli opportuni interventi di razionalizzazione e specializzazione delle rispettive politiche commerciali, a una nuova società per la gestione di circa 3.000 punti vendita a marchio IP. Nell’ambito di tale piano, la Società ha ceduto nel corso dell’anno passato 478 impianti stradali ed autostradali alla Tamoil e 40 alla TotalFinaElf mentre da quest’ultima ne ha acquistati 74 in Francia;

• la famiglia Moratti ha rilevato dall’Agip Petroli il 15 per cento di Saras S.p.A. Raffinerie Sarde di Sarroch, acquisendo in tal modo il pieno controllo della Società, di cui già possedeva il restante 85 per cento;

• la Erg Petroli, che ha assunto il controllo totale di Isab Power, rilevando il 50 per cento detenuto da Mission Energy, ha costituito una direzione generale Energia per mettere a punto ulteriori strategie di espansione del business elettrico;

% di contributo alle vendite al mercato interno di tutti i

prodotti petroliferi

Numero di punti vendita carburanti in esercizio a fine

anno AgipPetroli19 29,9 9.045 Esso 12,0 3.156 Erg Petroli 6,0 2.130 Tamoil 5,7 1.701 TotalFinaElf 4,9 1.288 Api 3,8 1.519 Shell 3,5 1.307 Altri 26,320 886 Totale 100,0 23.900

Tabella 10 - Italia – Il ruolo dei maggiori operatori petroliferi nel 2000.

Fonte: Unione Petrolifera.

19 Include la IP (Soc. Italiana Petroli) le cui attività di vendita rete ed extrarete sono state integrate in AgipPetroli dal 1° gennaio 1999. 20 Comprende gli operatori con un contributo singolo non superiore al 3,5% (globalmente 14,2%) e gli importatori/consumatori diretti di olio combustibile (12,1%).

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• la Lansdowne Partners Limited Partenership, società londinese attiva nella gestione dei fondi comuni di investimento, ha rilevato l’1,88 per cento della Erg;

• l’Agip Petroli e la Erg Petroli hanno firmato una lettera di intenti per il riassetto organizzativo e industriale delle proprie raffinerie di Priolo Melilli, che prevede tra l’altro il conferimento delle due strutture ad una nuova società a maggioranza azionaria detenuta dalla Erg. Per tale progetto è in corso la finalizzazione del contratto soggetto alla successiva autorizzazione dell’Antitrust.

2.2 La politica petrolifera 2.2.1 La distribuzione dei carburanti Il Ministero delle Attività Produttive, in attuazione dell’art. 19 della Legge n. 507/2001, ha emanato il 31 ottobre 2001 un decreto contenente le linee guida per l’ammodernamento del sistema distributivo dei carburanti da parte delle Regioni. Teli linee guida erano state oggetto di un lungo confronto con le rappresentanze delle Amministrazioni interessate (Regioni e Comuni) e gli operatori del settore (Tabella 11). La finalità di ammodernamento della rete, pienamente condivisa dalle aziende, rischia tuttavia di essere vanificata dall’approccio fortemente dirigistico che caratterizza l’intera struttura del Piano di ammodernamento, che da un lato introduce nuove rigidità e dall’altro offre modesti strumenti per rimuovere i vincoli alla realizzazione di nuovi investimenti ed al pieno sfruttamento delle potenzialità degli impianti.

Numero di punti vendita21

Erogato medio (migliaia di

litri)22

PV con “self service post payment”

PV con sistemi di recupero

vapori23 Italia 23.900 1.479 17% 100%

Francia 16.250 2.602 81%24 37%

Germania 15.980 3.158 93% 100%

Regno Unito 13.050 2.830 90% 60%

Tabella 11 - Principali Paesi Europei – Gli indicatori strutturali della rete di distribuzione dei carburanti.

Le Regioni, chiamate a rivedere la programmazione della distribuzione carburanti sulla base delle linee guida ministeriali, hanno attuato un’apprezzabile azione di coordinamento al fine di procedere alla definizione di discipline sostanzialmente omogenee,

21 Al 1° Gennaio 2002. 22 Benzina e gasolio nel 2001. 23 Stage I. 24 Al 1° Gennaio 2000.

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È stato avviato un ampio processo di

ammodernamento e razionalizzazione

della rete carburanti

Nel 2001 è stato avviato il processo di decentramento alle

Regioni per il trasferimento di competenze in

materia di raffinerie e depositi

ferme restando le specificità territoriali, e per attuare sistemi integrati di monitoraggio dell’evoluzione della rete. In tale quadro, le singole Regioni sono già impegnate nella revisione della propria programmazione, attraverso una preventiva consultazione con le rappresentanze locali del settore. Un importante contributo al processo di ammodernamento e razionalizzazione della rete carburanti è sicuramente fornito dal Piano volontario delle aziende petrolifere – autorizzato il 19 luglio 2001 dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato – che prevede la chiusura di circa 3.000 impianti nell’arco di tre anni (dal 2001 al 2003). In questi ultimi mesi sono stati inoltre avviati confronti diretti tra le aziende e le Associazioni dei gestori per la definizione degli aspetti economici tra le parti, anche alla luce delle nuove possibilità (fissazione prezzo massimo, ecc.) previste dal Regolamento Comunitario n. 2790/99, entrato in vigore, anche per gli accordi già in essere, dal 1° gennaio 2002. L’attività dei gestori degli impianti di distribuzione carburanti è stata inoltre oggetto di un intervento della Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge dello sciopero che, data la mancata adozione da parte delle Associazioni di categoria di un codice di autoregolamentazione, ha autonomamente individuato, seppur in via provvisoria, con deliberazione del 19 luglio 2001, le prestazioni minime che devono essere assicurate per garantire il servizio25. 2.2.2 Il decentramento amministrativo Il processo di decentramento alle Regioni, in attuazione del Decreto Legislativo 112/98 (così come modificato dal Decreto Legislativo 443/99), è stato avviato all’inizio del 2001 con il trasferimento delle competenze amministrative in materia di raffinerie e depositi. Nel corso dell’anno tale processo è stato oggetto di una serie di interventi disorganici che hanno creato una grave situazione di incertezza per gli operatori del settore. In particolare, nel luglio 2001, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206, che ha dichiarato l’illegittimità del Decreto Legislativo 443/99, sono state riattribuite allo Stato le competenze in materia di depositi, lasciando alle Regioni le funzioni relative alle raffinerie. Ripartizione priva di fondamento logico essendo quello petrolifero un sistema integrato in cui le raffinerie, unitamente ai grandi depositi, svolgono un ruolo strategico ai fini dell’approvvigionamento energetico. In tale contesto sta tuttora operando il settore, benché la Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 – che ha sancito peraltro un passaggio di competenze di enorme portata dal centro alle periferie – abbia collocato il sistema petrolifero fra le materie a legislazione concorrente: alle Regioni spetta la potestà legislativa, allo Stato la

25 ENEA; L’Energia e suoi numeri; Italia 2000. Op. Cit.

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Il Decreto Legislativo 32/98

promuove la competitività delle

imprese e la razionalizzazione

delle reti commerciali

determinazione dei principi fondamentali. Peraltro la mancata istituzione di un raccordo tra Stato/Regioni/operatori del settore, rappresenta per il settore energetico un elemento di forte preoccupazione per l’assenza di leggi di principio statali, che favorirebbe una regionalizzazione spinta dalla materia, con tutte le difficoltà derivanti dalla proliferazione di normative vigenti da Regione a Regione. La materia è oggetto di approfondito dibattito a livello politico e sembra emergere un diffuso orientamento per un recupero a livello statale delle funzioni nel settore energetico. 2.2.3 Le scorte obbligatorie e il sistema logistico A seguito dell’approvazione dello Statuto dell’Agenzia delle Scorte di Riserva (Decreto Ministeriale 29 gennaio 2001), il 14 giugno 2001 si è tenuta la prima Assemblea dell’Agenzia per la nomina degli organi sociali. L’operatività dell’Agenzia è comunque subordinata alla definizione del regolamento, volto a individuare le modalità con cui l’Agenzia attuerà i propri compiti istituzionali. Su tale delicato compito si sta lavorando nell’ambito del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia stessa. A questo scopo è opportuno ricordare le finalità del Decreto Legislativo 32/98 che l’ha istituita: promuovere la competitività delle imprese nel mercato globale e la razionalizzazione delle reti commerciali, anche in relazione all’obiettivo di contenimento dei prezzi ed all’efficienza della distribuzione. L’Agenzia dovrà quindi perseguire l’obiettivo di ottimizzare la tenuta delle scorte, favorendo, nel pieno rispetto delle normative comunitarie ed internazionali, la massima flessibilità nella loro copertura, onde evitare che le stesse possano creare barriere, anche geografiche, all’attività degli operatori esistenti ed a potenziali nuovi operatori. A tal fine è importante che si proceda all’emanazione dei provvedimenti attuativi dell’art. 5 del Decreto Legislativo 32/98, volti ad assicurare la massima informazione, anche per i nuovi operatori, sulle capacità disponibili nel sistema e sulle condizioni di accesso. Nel 2003 dovrebbero essere stabiliti obblighi di scorta aggiuntivi per ottemperare gli impegni assunti con l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE). In attuazione della nuova disciplina delle scorte (Decreto Legislativo 22/01) che introduce tali nuovi obblighi, il Ministero delle Attività Produttive sta lavorando alla definizione dei provvedimenti volti a chiarire le modalità con cui le scorte possono essere mantenute dai soggetti obbligati. 2.2.4 L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Il Consiglio di Stato, il 26 giugno 2001, con la Sentenza n. 359/2001, ha accolto in toto il ricorso delle compagnie petrolifere e dell’Unione Petrolifera contro la decisione dell’Antitrust dell’8 giugno 2000, in relazione a presunti comportamenti anticoncorrenziali messi in atto

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Sono in fase di studio/progetto nuovi

terminali per la ricezione delle

maggiori quantità di gas naturale

dei prossimi anni

dalle aziende distributrici di carburante attraverso l’attuazione di accordi con le Associazioni dei gestori. In particolare il Consiglio di Stato, a cui l’Unione Petrolifera e le associazioni erano ricorse consentendo la decisione di primo grado del TAR del Lazio, ha riconosciuto la piena legittimità dei comportamenti delle aziende, annullando quindi le multe comminate. Nel giugno 2001 l’Autorità ha poi concluso l’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione del processo di modernizzazione della distribuzione carburanti, avviata nel novembre 2000 su richiesta dell’allora Ministro dell’Industria Enrico Letta. Secondo l’Autorità, da tale indagine appare che la liberalizzazione dell’attività di distribuzione dei carburanti e delle condizioni di accesso al mercato, introdotta dal Decreto n. 32/98, è stata parziale ed insufficiente ad assicurare uno stabile assetto concorrenziale tale da promuovere la ristrutturazione della rete. Questi limiti sarebbero imputabili sostanzialmente ai comportamenti spesso inadeguati di Regioni e Comuni, che avrebbero di fatto rallentato tale processo. Anche sulla base di tali considerazioni il 19 luglio 2001, con provvedimento n. 9773, l’Autorità Garante ha autorizzato il Piano volontario di razionalizzazione della rete carburanti presentato dal settore, ritenendolo meritevole di deroga. Il Piano prevede la chiusura nel triennio 2001-2003 di circa 3000 p.v., la costituzione di un Fondo per supportare gli operatori negli interventi di smantellamento e di bonifica dei siti degli impianti oggetto di chiusura, attraverso la corresponsione di un importo forfetario di circa 51.645 euro per impianto. Il Piano prevede inoltre, su richiesta dell’Autorità, che una parte degli impianti oggetto di chiusura (circa 210/250 p.v.) siano offerti a terzi. L’esame dell’Autorità si è anche rivolto, su segnalazione dell’Unione Petrolifera nel maggio 2001, al settore logistico, ed in particolare all’Attività dell’Agenzia delle Scorte, subito dopo l’approvazione del suo Statuto da parte del Ministero delle Attività Produttive. L’Autorità in proposito ha fatto presente che per una valutazione dell’attività dell’Agenzia, è necessario prendere preventivamente visione del Regolamento operativo della stessa, non appena sarà definito. 2.3 Il mercato del gas naturale Il consumo di gas naturale ha raggiunto i 71,2 miliardi di metri cubi che, rispetto all’anno precedente, manifestano un aumento molto modesto (+ 0,7%). A frenare la crescita del 2001 è stata la flessione del settore industriale (- 2,5%) e, per la prima volta, anche del settore termoelettrico (- 0,9%). Il contributo di questa fonte al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale (31,2%) è risultato pertanto in leggera diminuzione rispetto al 2000. Per il futuro è tuttavia prevista una notevole crescita della domanda di questa fonte energetica, per la quale sono in fase di studio/progetto nuovi terminali per la ricezione in forma liquida (GNL).

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Il Ministero delle Attività Produttive ha

emanato nuove disposizioni sugli

stoccaggi, sull’erogazione del

gas strategico e sulla gestione delle

emergenze

L’apertura del mercato del gas ha mostrato, già nel 2001, i primi concreti effetti con l’emanazione di una serie di provvedimenti attuativi che hanno perfezionato la riforma del settore, relativamente alla struttura ed alla sua politica tariffaria. Al fine di garantire la campagna di iniezione ed erogazione 2002-2003, il Ministero delle Attività Produttive ha emanato disposizioni sugli stoccaggi, sulla determinazione ed erogazione del gas strategico e la gestione delle emergenze. Per favorire lo sviluppo della rete, sono stati semplificati ed unificati i procedimenti amministrativi per la costruzione dei metanodotti. L’Autorità per l’energia elettrica ed il gas ha pubblicato i criteri stabiliti per la definizione delle tariffe di trasporto e rigassificazione del gas naturale, ed ha approvato le tariffe predisposte dagli operatori sulla base di tali criteri. Il Ministero delle Autorità Produttive ha rilasciato 15 autorizzazioni ad importare in Italia gas naturale da Paesi non appartenenti alla UE, qualificando in tal modo nuovi soggetti, in aggiunta agli importatori esistenti (Eni, Enel ed Edison Gas), potenzialmente in grado di approvvigionare il gas fino alla frontiera italiana (Tabella 12). L’Eni nell’ambito del riassetto strategico interno, ha conferito alla società Rete Gas (negli ultimi mesi dell’anno rinominata Snam Rete Gas e collocata in borsa per circa il 40%) il sistema di trasporto e rigassificazione del gas di proprietà della Snam, che è stata invece fusa per incorporazione nella stessa Eni confluendo nella nuova divisione Gas&Power.

Miliardi di metri cubi Eni 14,6 (produzione nazionale) Snam 50,7 (importazioni) Enel 6,3 (importazioni) Edison e altri 3,8 (produzione nazionale e importazioni)

Totale 75,4

Tabella 12 - Italia – Il contributo dei diversi operatori all’approvvigionamento del gas naturale nel 2001. Fonte: Autorità per l’energia elettrica e il gas.

È proseguito poi il confronto con gli enti locali per rimuovere le resistenze alla realizzazione di terminali per la ricerca di GNL (gas naturale liquefatto): l’impianto che Edison intende realizzare a largo di Rovigo, e quello progettato dalla British Gas a Brindisi. Altri tre impianti sono programmati dall’Enel a Vado Ligure, a Muggia e a Taranto. L’interesse dell’Enel nel settore del gas si è manifestato anche con l’acquisto della Camuzzi, che, dopo l’Italgas, costituisce la più importante società di distribuzione di gas italiana (Tabella 13).

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Mercato elettrico Mercato del gas Minimo previsto da direttiva 2002 30 20 2003 35 28 Germania 100 100 Regno Unito 100 100 Finlandia 100 n.d. Austria 100 49 Svezia 100 47 Danimarca 90 30 Spagna 45 72 Italia 45 65 Irlanda 30 75 Belgio 35 59 Olanda 33 45 Francia 30 20 Grecia 30 n.d. Portogallo 30 n.d.

Tabella 13 - Unione Europea – Il grado di “apertura” del mercato elettrico e di quello del gas,

dichiarato dagli Stati membri a fine 2001. Percentuale effettiva dei consumi liberalizzati sul totale consumi.

Fonte: Commissione UE..

E’ stato dato, infine, ulteriore impulso al processo di metanizzazione:

• il Cipe ha emanato una delibera con nuove norme per la metanizzazione del Mezzogiorno;

• il Governo ha stanziato 175 milioni di euro fra il 2002 ed il 2004 per la realizzazione del nuovo metanodotto che, in partenza dall’Algeria, porterà in Europa volumi addizionali di gas.

2.3.1 Fonti di approvvigionamento di gas naturale per l’Italia Il gas naturale ha avuto un’evoluzione storica singolare rispetto alle altre fonti di energia: negli anni ’50 era una fonte trascurata, molto spesso finiva disperso nell’atmosfera o bruciato in torcia come sottoprodotto della produzione petrolifera. In Alaska, ad esempio, veniva reiniettato in pressione nel sottosuolo per rendere più produttiva l’estrazione di petrolio26. In Italia, nel 1946, fu individuato un importante campo metanifero a Caviaga: da quel momento ebbe inizio la decade delle scoperte di giacimenti in Val Padana. Tuttavia il costo di realizzazione delle

26 CNR, ENEA, ENEL, ENI; Rapporto sull’energia. Op. Cit.

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Il gas naturale ha avuto un’evoluzione

storica singolare rispetto alle altre fonti di energia

Nel 2000 il gas naturale ha

soddisfatto il 31,7% della domanda di

energia imponendosi come seconda fonte

dopo il petrolio

infrastrutture di trasporto e gli ostacoli di natura politica ne limitarono lo sviluppo all’area del Nord Italia. Gli anni fra il 1960 e il 1970 si caratterizzarono come un periodo di riorganizzazione e di assestamento dopo la fase pionieristica e convulsa del dopoguerra. Nel 1960 iniziò l’azione di metanizzazione del Mezzogiorno, e gli anni dal 1965 al 1971 si caratterizzarono per la scoperta di nuovi giacimenti nell’Italia meridionale. Nonostante la rete di gas stesse assumendo una dimensione nazionale mancava ancora una visione strategica sul suo futuro impiego. Dopo la prima crisi petrolifera, infatti, furono varati diversi piani energetici nazionali, nei quali tuttavia emerse l’inadeguatezza delle misure adottate per fronteggiare le mutevoli condizioni dello scenario internazionale. In pochi intuirono il ruolo che nel futuro il gas naturale avrebbe assunto nella generazione elettrica e pertanto la visione sugli usi strategici del gas naturale rimase incerta fino agli anni ’80, mostrando una notevole esposizione all’influenza determinante del potere politico e delle lobbies industriali. In questo contesto vennero privilegiati gli usi tecnologici e chimici. I soggetti pubblici ideatori della politica energetica nazionale, Eni e Snam, presero atto della insufficienza della produzione nazionale di idrocarburi per far fronte alla domanda di energia del Paese. Venne, così, avviato un processo di diversificazione delle fonti di approvvigionamento e furono conclusi importanti accordi con la Libia (1965), l’Unione Sovietica (1969) e con l’Olanda (1970). Il Pen del 1988, evidenzia la gravissima situazione dell’Italia, la sua vulnerabilità e la dipendenza energetica da fonti esterne, superiore all’80%, rimasta invariata rispetto a quella europea, che invece si attestava intorno al 37%. In questa circostanza si decretò la fine dell’energia nucleare e vennero introdotti numerosi elementi di novità: l’uso corretto delle tariffe e della fiscalità per una nuova politica energetica e l’attenzione dedicata all’impatto ambientale. Si delineò così una politica energetica in grado di anticipare gli eventi e di essere congruente con quanto espresso dall’OCSE e dalle Nazioni Unite. Le linee di intervento per ottenere un contenimento della dipendenza energetica erano individuate nello sviluppo delle fonti nazionali e nella ricerca di nuovi giacimenti di idrocarburi. Le maggiori potenzialità vennero attribuite al petrolio e al gas naturale, il cui contributo, in particolare, avrebbe dovuto aumentare da 16 miliardi di metri cubi del 1987 a 20 miliardi di metri cubi nel 2000. Inoltre il rapporto riserve-produzione del gas naturale avrebbe dovuto raggiungere i 12 anni. Nel 2000, invece, il gas naturale ha soddisfatto il 31,7% della domanda di energia imponendosi come seconda fonte dopo il petrolio, mentre la produzione nazionale pari a 16,8 miliardi di metri cubi, che ha coperto il 23% della domanda di gas naturale, è diminuita del 5% rispetto al 1999 (è in calo dal 1990). A distanza di 14 anni, dunque, sulla base di questi dati si evince che le previsioni del Pen del 1988 sono state smentite, poiché l’offerta

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Il 78% della domanda interna di gas naturale viene

coperta dalle importazioni

Nei prossimi anni aumenteranno i

contributi del Nord Africa e dell’Europa

dell’Est

nazionale di gas naturale è stata sovrastimata, mentre l’incidenza è stata sottostimata: era stata prevista una crescita dal 21% del 1988 al 28% del 2000. Il crescente impiego del gas naturale, in particolare nel settore termoelettrico, ha posto e pone il problema di un approvvigionamento dall’esterno. Attualmente la domanda interna viene coperta per il 78% dalle importazioni e solo per il 22% dalla produzione nazionale. Le importazioni sono così diversificate:

• dall’Algeria il 35% attraverso il Trans Mediterranean Pipeline;

• dalla Federazione Russa il 38% attraverso il Trans Austria Gasleitung;

• dall’Olanda il 13% attraverso Trans Europa Natural Gas Pipeline (TENP) e il Transitgas;

• dalla Norvegia l’8% via Transitgas; • via GNL presso il terminale di Panigaglia (complessivamente

il 4,7%). Questa situazione si motiva, anche storicamente, con l’attenzione ad aree:

• sufficientemente vicine all’Italia per rendere più accettabili le problematiche del trasporto;

• dotate di buona disponibilità presente e futura di gas naturale;• interessate fortemente ad interscambi economici e tecnologici

significativi. Ciò è quanto avvenuto con la Russia e l’Algeria, la cui posizione nell’ambito della distribuzione delle riserve mondiali è tuttora di notevole interesse. La crescente domanda di gas naturale, la presenza di tensioni politiche e militari in aree rilevanti per l’approvvigionamento energetico, gli eventi dell’11 settembre, hanno riaperto il dibattito sulla questione della sicurezza degli approvvigionamenti energetici (vedi Appendice 4.1). Fermo restando il contributo non facilmente espandibile del Nord Europa (Olanda e Norvegia), nelle prospettive a medio e breve termine ci si dovrebbe concentrare soprattutto sull’area del Nord Africa: Libia, Egitto e Algeria in particolare e su quella dell’Europa dell’Est (Federazione Russa). L’Algeria dispone, infatti, di una produzione di gas naturale rilevante, il 3,7% della produzione mondiale, in forte crescita negli anni ’90 (+ 75,3%). Le riserve di gas naturale rappresentano il 2,9% delle riserve mondiali, collocando l’Algeria tra i primi dieci paesi al mondo, prima tra i paesi dell’Africa con un peso del 41%. Osservando, inoltre, l’R/P ratio,

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l’Algeria dispone di 51 anni di riserve al tasso di produzione attuale (il tasso mondiale è di 60 anni). La produzione lorda di gas naturale è cresciuta da 21 miliardi di metri cubi del 1975 a 152,75 miliardi di metri cubi nel 1999 (il 64% della produzione dell’Africa), con tassi di crescita annui prossimi al 10%. Nel 1999 il 53,7% della produzione è stato messo sul mercato (il 38% è stato reiniettato e il 4,3% bruciato e disperso). Il 69% della produzione è stato esportato via gasdotto e via GNL e il 31 per cento consumato nel paese. Una quota rilevante della produzione di gas naturale proviene dal giacimento di Hassi R’Mel e da altri situati nel Sud del Paese: Alar, Rhoude El Nouss, Rhoude El Nouss Southesat, Rhoude Adra, Rhoude Chouff. 2.4 Il mercato dell’energia elettrica 2.4.1 Produzione La richiesta di energia elettrica ha toccato nel 2000 il valore di 297,7 miliardi di kWh (Figura 12), con un aumento di circa il 4,1% sull’anno precedente (285,8 miliardi di kWh), di 1,2 punti superiore alla crescita del PIL. Si tratta di un incremento superiore a quello registrato nel 1999 (2,3%) e più elevato di quello medio nel decennio 1988-98 (2,4%).

Figura 12 - Bilancio dell’energia elettrica in Italia. Anni 1999-2000 (GWh). Fonte: GRTN (dati provvisori 2000).

Nello stesso anno la produzione lorda di energia elettrica è stata di 275,8 miliardi di kWh, il 3,8% in più del 1999. Complessivamente la produzione idrica è diminuita dell’1,6%, la geotermica è cresciuta del 6,9% e quella eolica e fotovoltaica del 10,3%. La produzione termica tradizionale è cresciuta del 5,1% ed al suo interno è aumentata la produzione da carbone e da gas a discapito di quella da olio combustibile. L’aumento più rilevante si è avuto nella generazione da eolico e fotovoltaico che nel 2000 ha raggiunto i 451

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Nel 2000 sono cresciuti i consumi di

gas naturale tra le fonti primarie per la

produzione termoelettrica

GWh. Le quote di mercato dei vari operatori nella generazione si sono lievemente modificate nel corso del 2000. Rispetto al 1999 la quota di mercato del Gruppo ENEL nella produzione è passata a circa il 75%, mentre le altre quote sono suddivise tra Edison (7,3%), SONDEL (2,7%), Gruppo ENI ed imprese elettriche locali che insieme assommano a circa il 12,7%. A seguito delle dismissioni previste il Gruppo ENEL, con quote di mercato e di consumo invariate a quelle osservate alla fine del 2000, rappresenterebbe oltre il 56% della produzione nel 2001 (al netto degli autoconsumi). Nel corso del 2000 si è rafforzata la crescita dei consumi di gas naturale tra le fonti primarie per la produzione di energia termoelettrica che ha ulteriormente distanziato i consumi di prodotti petroliferi. Dei quasi 220 TWh termici prodotti in Italia, oltre 100 provengono infatti dal metano, 86 da prodotti petroliferi, oltre 26 dal carbone e quasi 8 da altre fonti (comprendenti, in ordine d’importanza, “orimulsion”, gas d’alto forno, gas residui di raffinazione, gas di cokeria e altro; Figura 13). I prodotti petroliferi hanno coperto il 39% della produzione termoelettrica convenzionale (la quota era del 50,6% nel 1998), evidenziando un calo di oltre il 6%. Al contrario, il consumo di gas naturale, che soddisfa il 45,5% della produzione di elettricità (41,3% nel 1999), è cresciuto di oltre il 16%, dando luogo ad una maggior produzione di energia elettrica pari a quasi 14 miliardi di kWh rispetto all’anno precedente. Anche l’utilizzo di carbone, pari all’11,9% del fabbisogno della produzione termoelettrica (11,4% nel 1999), è lievemente aumentato, passando da 23,7 TWh del 1999 ai 26,1 TWh nel 200227.

Figura 13 - Consumi di combustibili nella produzione termoelettrica in Italia. Fonte: Elaborazioni su dati GRTN.

27 Conferenza Nazionale Energia e Ambiente; Prospettive di integrazione dei sistemi economici, energetici e ambientali nel bacino del Mediterraneo. Op. Cit.

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Gli altri combustibili hanno evidenziato un forte aumento rispetto all’anno precedente, in gran parte dovuto alla notevole crescita registrata dall’orimulsion28, il cui consumo è ulteriormente aumentato. La riduzione dei consumi di prodotti petroliferi a vantaggio dei consumi di gas naturale nella produzione termoelettrica e delle fonti rinnovabili è sicuramente da ascrivere ad una tendenza di lungo periodo, che dovrebbe proseguire in futuro anche a motivo del maggior impiego degli impianti a ciclo combinato. Essa è in parte spiegabile anche con il forte incremento che nel 2000 ha ulteriormente interessato i prezzi internazionali dei combustibili petroliferi e coinvolto in misura più ridotta il gas naturale. Nel 2000 oltre il 72% del parco di generazione nazionale è costituito da impianti termoelettrici tradizionali (56.700 MW di potenza installata; Figura 14). Gli impianti idroelettrici rappresentano una quota pari a circa il 26% della potenza complessiva installata, quelli geotermoelettrici lo 0,8%, quelli eolici e fotovoltaici lo 0,5%.

Figura 14 - Potenza efficiente di generazione in Italia. Anni 1999-2000 (MW). Fonte: GRTN (valori 2000 provvisori).

L’evoluzione temporale nell’ultimo quarto di secolo mostra una crescita continua della potenza termoelettrica tradizionale a fronte di una graduale flessione della quota idroelettrica e di una lenta crescita di quella eolica e fotovoltaica. La componente termoelettrica tradizionale del parco di generazione è costituita in massima parte da

28 Negli ultimi anni l’ENEL ha manifestato interesse per l’utilizzo dell’orimulsion, un fluido combustibile simile all’olio combustibile ottenuto emulsionando con acqua il petrolio denso estratto dai giacimenti venezuelani alla foce del fiume Orinoco. Il combustibile, sostitutivo del carbone, è in sperimentazione nella centrale di Brindisi Sud e sembra essere promettente sia in termini di emissioni di CO2 (inferiori del 20% rispetto ad altri combustibili) sia in termini di ceneri prodotte, consentendo inoltre di utilizzare la stessa logistica dell’olio combustibile, anche se da alcuni studi non sembra trascurabile il problema dei metalli pesanti.

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Nel 2000 è stato raggiunto il massimo

storico di energia elettrica importata dall’estero: 45TWh

La rete elettrica italiana è

strettamente interconnessa con

quelle dei Paesi confinanti

impianti dedicati alla sola produzione di energia elettrica (quasi l’80% della potenza efficiente lorda), mentre gli impianti per la produzione combinata di elettricità e calore (cogenerazione) rappresentano poco più del 19%. Più della metà della potenza termoelettrica tradizionale è costituita da impianti policombustibili; negli impianti di proprietà ENEL questa quota rappresenta quasi il 67%. Il margine di flessibilità nell’utilizzo di diversi mix di combustibili fossili è dunque consistente. Al 31 agosto 2001 sono state presentate al GRTN richieste di connessione alla rete di trasmissione nazionale per una potenza complessiva di 89.900 MW che superano anche l’entità dell’intero parco elettrico italiano. Se da un lato questo dato testimonia la dinamicità del mercato dell’offerta di energia elettrica in Italia a seguito dell’avvio del processo di liberalizzazione, dall’altro non può essere significativo ai fini di una corretta quantificazione della crescita attesa in quanto non attesta la concreta volontà dei produttori di realizzare tali impianti ed alcune proposte sono tra l’altro considerate alternative fra di loro dagli stessi proponenti. 2.4.2 Importazione ed esportazione Nel 2000 l’energia elettrica importata dall’estero ha quasi raggiunto il valore di 45 TWh. Tale valore, che costituisce un massimo storico, è stato determinato dalla notevole richiesta di accesso alla rete di interconnessione internazionale che i clienti idonei hanno effettuato per l’acquisto di energia a prezzi competitivi rispetto al mercato italiano. Le importazioni nette, pari a 44,3 TWh, sono cresciute del 5,6 % rispetto al 1999. La metà di tali importazioni è affluita dalla Svizzera, il 35,6% dalla Francia, il 10,1% dalla Slovenia e il restante 4,4% dall’Austria. Le importazioni nette provenienti dalla Svizzera e dalla Francia, che nel 1999 erano pari rispettivamente al 51,5% e al 36,5% del totale, sono diminuite a vantaggio di quelle affluite dall’Austria, che nel 1999 rappresentavano il 4%, e soprattutto dalla Slovenia, la cui quota nel 1999 era dell’8%. Il decreto 79/99 ha liberalizzato le attività di importazione ed esportazione nel rispetto degli obblighi derivanti dal servizio pubblico. Gli scambi di energia con l’estero rappresentano una modalità per realizzare l’integrazione dei mercati europei prevista dalla direttiva 96/92/CE ed un canale per aumentare la concorrenza nel mercato, in particolare nei casi in cui la situazione di partenza veda la presenza di imprese di grandi dimensioni, con forte potere di mercato. L’entità degli scambi è fortemente condizionata dalla capacità di trasmissione transfrontaliera, basata sui dispositivi di interconnessione. La rete elettrica italiana è attualmente interconnessa con le reti dei paesi confinanti tramite 5 linee a 380 kV, di cui una a doppia terna (Rondissone in Italia – Albertville in Francia), 9 linee a 220 kV ed una stazione di conversione corrente

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A causa di un tasso di rinnovo molto contenuto l’età media del parco termoelettrico

italiano è avanzata e in continua crescita

alternata/corrente continua situata a Lucciana (Corsica), avente potenza nominale di 50 MW. I piani di espansione della rete di interconnessione prevedono per il periodo 2001-2003 circa 500 interventi relativi a stazioni, raccordi ed elettrodotti. Secondo i programmi presentati dal GRTN la rete sarà incrementata di circa 1200 km risultanti da un aumento della rete a 380 kV (1.100 km in più) e della rete a 132-150 kV (1.400 km in più) e dalla contemporanea riduzione della rete a 220 kV (1.300 km in meno). La capacità di interconnessione con l’estero verrà aumentata lungo tutti i confini, per un incremento totale di 4.300 MW trasmissibili in sicurezza entro il 2003. Oltre agli interventi illustrati è allo studio un elettrodotto tra Italia e Slovenia il cui completamento è previsto entro dicembre 2004. 2.4.3 Tecnologie L’età media del parco termoelettrico tradizionale è avanzata e in continua crescita, come conseguenza di un tasso di rinnovo molto contenuto. Gli impianti più vecchi sono costituiti da quelli con tecnologie a vapore a condensazione, seguiti da quelli a turbogas. Gli impianti più recenti sono rappresentati dalle nuove tecnologie a ciclo combinato. Il grado di efficienza del parco termoelettrico è fortemente influenzato dal tipo di tecnologie di generazione prevalenti e dall’età media degli impianti. Nel 1997 il rendimento medio del parco di generazione termoelettrico è stato di poco superiore al 39%. Il lento tasso di rinnovo che ha caratterizzato l’evoluzione del parco impianti nazionale fino ad oggi ha fortemente condizionato la possibilità di aumentare l’efficienza complessiva della generazione elettrica attraverso la sostituzione degli impianti più vecchi con impianti più efficienti di nuova generazione. Il rinnovo del parco si scontra con ostacoli di natura finanziaria: le compagnie elettriche, ed in particolare l’ex monopolista pubblico, chiamate a ritornare utili agli azionisti, trovano meno prioritario investire nel rinnovamento della capacità di generazione. L’introduzione della carbon-tax e la conseguente modifica delle convenienze marginali nell’impiego dei diversi combustibili – pur andando nella direzione dell’internalizzazione dei costi sociali associati all’impiego dei combustibili fossili e favorendo per questa via un maggior impiego di gas naturale e miglioramenti nell’efficienza d’uso degli input energetici – non appare sufficiente a superare questo ostacolo, perché probabilmente la internalizzazione dei costi sociali è ancora limitata. Di contro, la graduale apertura del mercato elettrico alla concorrenza potrebbe costituire uno stimolo ad una più veloce sostituzione degli impianti esistenti; tuttavia le convenienze economiche in questo nuovo assetto andrebbero incrociate con la necessità di ritorni a breve per gli azionisti.

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140 nuovi impianti termoelettrici

proposti prevedono l’impiego di cicli combinati a gas

Si è risvegliato l’interesse verso

impianti di piccola taglia

precedentemente ritenuti

economicamente non convenienti

L’adeguamento alla direttiva europea 96/61/CE sul controllo integrato e la prevenzione dell’inquinamento è estremamente importante per muoversi decisamente lungo in questa direzione, richiedendo la verifica dell’applicazione delle migliori tecnologie disponibili per la protezione dell’ambiente e l’efficienza energetica ai fini dell’autorizzazione di nuovi impianti industriali (tra i quali quelli di generazione elettrica) e del rinnovo delle autorizzazioni per quelli esistenti. Risultati significativi in questa direzione richiederanno tuttavia interventi complementari di diversa natura. Su alcuni di questi si concentra tra l’altro il programma nazionale di contenimento dei gas di serra definito con la delibera CIPE del 19 novembre 1998 in attuazione degli impegni di Kyoto. Lo sviluppo delle turbine a gas di grande taglia, applicate in ciclo combinato con impianti a vapore a recupero, permette già oggi rendimenti superiori al 55% e promette per i prossimi anni valori del 60%; inoltre, grazie alla standardizzazione, questi impianti sono oggi i più economici da costruire. La maggior parte egli oltre 140 nuovi impianti termoelettrici proposti recentemente al GRTN prevede l’impiego di cicli combinati a gas; è evidente che solo un numero assai limitato di tali iniziative si trasformeranno in centrali elettriche a causa sia della difficoltà di reperire nuovi siti, sia dell’onerosità dei processi autorizzativi, ma in ogni caso tale dato rappresenta un indicatore significativo del potenziale di redditività connesso all’impiego di tale opzione tecnologica sul mercato italiano. Nella prospettiva di inserimento di nuovi operatori si apre altresì l’opportunità di sostituzione di una larga parte degli impianti esistenti, valorizzando i siti e le interconnessioni esistenti (rete elettrica, acqua di raffreddamento) lasciando in riserva parte dei vecchi apparati. Ulteriori approfondimenti sulle tecnologie per la produzione di energia elettrica e sulla loro evoluzione vengono illustrati nel capitolo 2.4.5. 2.4.4 Quantità Come noto, la risorsa idroelettrica rappresenta di gran lunga la più importante delle risorse energetiche nazionali ed è stata uno dei principali motori di sviluppo economico del Paese. Il grado di utilizzazione del potenziale idroelettrico nazionale è già molto elevato (più del 70%). Il contributo percentuale alla produzione di elettricità, preminente agli inizi degli anni sessanta, è progressivamente diminuito, attestandosi attualmente a meno del 20%. Si prevede che iniziative dell’ENEL e degli altri produttori-distributori possano aumentare nei prossimi anni il grado di utilizzazione di piccoli impianti idroelettrici, con potenza installata fino ai 10 MW, che meritano un discorso a parte. In questi ultimi anni, infatti, si è risvegliato l'interesse verso le piccole taglie, precedentemente trascurate perché ritenute economicamente non

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convenienti (Figura 15).

Figura 15 - Energia da fonti energetiche rinnovabili in Italia in equivalente fossile sostituita. Anni 1990-2000 (ktep).

1Solo elettricità da apporti naturali. 2La serie, che include il risultato dell'indagine ENEA sul consumo di legna da ardere nelle abitazioni è stata

consolidata rispetto a quanto riportato nel REA 2000 alla luce di una nuova indagine che ha ridimensionato la stima del consumo di legna da ardere nel settore residenziale da 5,2 a 3,6 Mtep.

3Eolico, solare, RSU, teleriscaldamento a legna, legna ed assimilati per la produzione di energia elettrica e calore in impianti industriali (l’utilizzo della legna da ardere nel settore residenziale, stimato in 3,6 Mtep, è escluso

perché impiego tradizionale), biocombustibili, biogas. 4Dati provvisori e stime. Fonte: Elaborazioni ENEA su dati di origine diversa.

Figura 16 - Numero di impianti, potenza installata e produzione di energia idroelettrica. La ripartizione fra le diverse categorie è stata effettuata in base al totale di produzione idroelettrico provvisorio,

assumendo le stesse quote dell’anno precedente. Fonte: ENEL (dati 1998), GRTN (dati 1999 e 2000).

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Questo interesse è stato anche stimolato, da un lato, dal pressoché totale esaurimento, nelle nazioni maggiormente industrializzate, dei siti per impianti di media o grande potenza e, dall'altro, dai particolari vantaggi, non ultimo in termini di impatto complessivo, degli impianti di piccola taglia per la fornitura di energia elettrica. Rispetto ai 1952 impianti idroelettrici in funzione in Italia a fine 1998 (e ad una potenza efficiente lorda di 16.238 MW), nel 1999 si sono aggiunti 24 impianti per una potenza complessiva di 330 MW (14 piccoli, 5 medi, 5 grandi). Il contributo delle altre fonti rinnovabili (eolico, solare, RSU, legna e derivati, biogas) in termini di GWh prodotti negli anni 1990-2000 è riportato nella Figura 17. La situazione italiana è riassunta nella Figura 16 dove si considera solo l’energia idroelettrica da apporti naturali (escludendo la produzione da pompaggio)29.

Figura 17 - Elettricità da fonti rinnovabili non tradizionali. Anni 1999-2000 (GWh). Fonte: Elaborazione ENEA di dati ENEL (fino al 1998), GRTN (1999 e 2000).

Il potenziale eolico in

Italia risulta distribuito non

omogeneamente

Il potenziale eolico risulta praticamente trascurabile nella Pianura Padana mentre discrete velocità medie sono misurate in località alpine ed appenniniche, al di sopra degli 800-1000 metri di quota. L'Italia meridionale e le isole sono caratterizzate, in genere, da buone velocità del vento. Queste regioni risultano, dal punto di vista del potenziale eolico, tra le più interessanti nel Paese. Riguardo all'andamento stagionale, vi è prevalenza nel periodo inverno-primavera al Sud, nelle isole e alle alte quote alpine ed appenniniche. Le zone interne del Nord e del Centro presentano invece una ventosità maggiore nel periodo primavera-estate. Nonostante in Italia la diffusione dei generatori eolici sia meno avanzata rispetto a quella

29 Dati statistici sull’energia elettrica in Italia, 1998, ENEL, Roma (1999). Dati statistici sull’energia elettrica in Italia, 1999, GRTN, Roma (2000).

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di altri paesi europei, negli ultimi 3-4 anni si è registrata una crescita significativa, passando dai circa 164 MW di fine 1998 ai quasi 430 MW del 2000 (Figura 18). Nel corso del 2000 4 nuovi impianti, per una potenza installata totale di circa 125 MW, sono entrati in servizio (nelle province di Avellino, Campobasso e Foggia). Nello stesso periodo, la produzione di energia elettrica è passata da circa 118 a quasi 450 milioni di kWh. La potenza elettrica installata di impianti che utilizzano energia solare può essere raggruppata nelle quattro categorie:

• impianti fotovoltaici per applicazioni isolate; • impianti fotovoltaici per l’elettrificazione di insediamenti

abitativi in zone rurali; • piccoli impianti fotovoltaici sugli edifici; • impianti fotovoltaici collegati alla rete elettrica.

Figura 18 - Contributo dell’energia eolica in Italia. Stima ENEA dai dati di produzione riferiti da Italian Vento Power Corporation (IVPC), Edison e altri operatori.

Fonte: ENEL (dati 1998), GRTN (dati 1999 e 2000).

Gli impianti utilizzano, nella stragrande maggioranza, moduli a base di celle al silicio (a cristallo singolo o multi-cristallino). A fine 2000 la potenza fotovoltaica complessivamente installata in Italia vale 19 MW con un incremento sull’anno precedente del 3%30 (18,5 MW nel 1999). A fine 2000 la potenza geotermoelettrica installata in Italia valeva quasi 640 MW (Figura 19). A parte una diminuzione registrata nel 1994, nell'ultimo decennio l'energia elettrica prodotta è sempre aumentata, passando dai 3200 GWh del 1990 ai 4700 GWh del 2000.

Figura 19 - Energia geotermoelettrica. Fonte: ENEL (dati 1998), GRTN (dati 1999 e 2000).

30 Trends in Photovoltaic Applications, Report IEA-PVPST1-10:2001.

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La riorganizzazione del mercato elettrico è caratterizzata da una molteplicità di

attori

Su un totale di più di 40 impianti di termotrattamento dei rifiuti operativi sul territorio nazionale a fine 1999, in 4 si recupera solo energia termica (vapore), in 10 si produce energia termica ed elettrica in cogenerazione e nei restanti 20 è prodotta solo energia elettrica. Nel 1999 sono stati recuperati più di 650 milioni di kWh di energia elettrica (con una potenza installata di circa 170 MW elettrici) con un avvio al trattamento di quasi 2 milioni di tonnellate di RSU. Nel corso del 2000 sono stati allacciati alla rete due nuovi impianti di generazione elettrica da rifiuti solidi urbani nelle province di Milano e Pavia, per quasi 75 MW totali. Passi significativi sono stati fatti verso il nuovo assetto del mercato elettrico nazionale: nel mese di maggio, il Ministero delle Attività Produttive (MAP) ha approvato la Disciplina del Mercato Elettrico, su parere favorevole dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, fissando i compiti del Gestore del Mercato (GME) ed il funzionamento del mercato elettrico con la definizione dell’assetto della futura Borsa dell’energia elettrica. Nello stesso mese il MAP ha approvato la Direttiva sull’Acquirente Unico, con la funzione di assicurare, al minimo costo, l’approvvigionamento per i clienti “vincolati”. Il continuo aumento della domanda elettrica ed i timori di insufficiente capacità futura hanno indotto il Governo a predisporre, sin dalla primavera del 2001, un Decreto per accelerare l’iter autorizzativo alla costruzione e all’esercizio di centrali elettriche. L’operatività di tale provvedimento si è tuttavia scontrata con le difficoltà insorte nel frattempo a seguito delle nuove competenze attribuite alle Regioni (Tabella 13). Ciò ha richiesto un nuovo provvedimento del Governo, noto come “decreto sblocca centrali”, che è stato convertito in legge nell’aprile 2002.

Potenza (MW) Produzione lorda (GWh) Idrica 20.480 50.900 Geotermica 595 4.705 Eolica/Fotovoltaica 400 569 Termica 54.400 220.455

Totale 78.875 276.629

Tabella 13 - Italia – Potenza elettrica installata e produzione nel 2001. Fonte: GRTN.

La microgenerazione prevede unità piccole

e modulari per specifici utilizzi

2.4.5 Generazione distribuita di energia elettrica 2.4.5.1 Definizioni e Tecnologie Con generazione distribuita, ovvero con i termini equivalenti di generazione diffusa, generazione on-site, microgenerazione, si intende lo schema di produzione di energia elettrica mediante l’utilizzo integrato o stand-alone di unità generative piccole e modulari da parte di compagnie elettriche, consumatori o terzi, in

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Generazione stand-by, generazione di

livellamento, cogenerazione

applicazioni che alimentano il sistema elettrico, specifici utilizzi finali o entrambi. Un’unità di generazione distribuita opera nominalmente su una scala di potenza inferiore ai 50 MWe, benché tipicamente compresa nel campo 20-200 kWe, e può essere connessa direttamente all’utente finale ovvero ad altro sistema o rete di distribuzione. La generazione distribuita fornisce una varietà di servizi, fra i quali la generazione stand-by, quella di livellamento, la cogenerazione. Vari motivi giustificano l’attenzione crescente che si pone su questo nuovo concetto di generazione:

• la difficoltà di realizzazione di nuove linee aeree ad alta tensione e gli alti costi di quelle interrate costituiscono elementi penalizzanti per la generazione (e quindi la distribuzione) centralizzata;

• la diffusione di sistemi di controllo numerico dei processi di produzione, l’aumento del peso del terziario sull’economia e la diffusione dell’impiego di computer hanno incrementato la richiesta di energia elettrica di qualità, esente da fenomeni di micro-interruzione;

• le potenzialità delle tecnologie di produzione sul luogo di utilizzo e di cogenerazione, conferiscono alla generazione distribuita la capacità di raggiungere elevate efficienze di conversione (anche prossime all’80%), con effetti sulle emissioni di inquinanti e di gas serra;

• il settore residenziale e terziario, che assorbe ormai circa un terzo degli impieghi finali di energia, richiede calore a temperature più basse di quello industriale, la stessa ubicazione del ciclo di potenza e dell’utenza termica, la sincronia della richiesta di calore ed energia elettrica, sia on site che con la rete nelle ore di punta. Questa domanda si attaglia particolarmente bene alle caratteristiche degli schemi di generazione distribuita.

Le principali tecnologie disponibili per la generazione distribuita includono i motori/generatori a combustione interna, le micro-turbine, i generatori statici (celle a combustibile), i convertitori solari, gli impianti eolici. La tecnologia adottata dipenderà di volta in volta dalla densità energetica richiesta, dalla caratteristiche del carico, da altre valutazioni di rilevanza socio-economica. Nella Figura 20 sono riportati a confronto alcuni parametri tecnico-economici di impianti per la generazione distribuita e per quella centralizzata.

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Figura 20 - Generazione centralizzata e distribuita: confronto di alcuni parametri tecnico-economici. 1 &M: Esercizio e manutenzione.

Fonte: Cambridge Energy Research Associates.

2.4.5.2 Aspetti strategici La sfida per i soggetti attivi nel campo dell’energia elettrica e del gas sarà di occupare posizioni strategiche nel mercato emergente della generazione distribuita attraverso la creazione di una nuova offerta in grado di rispondere a consumatori e legislatori sul fronte di:

• affidabilità del servizio in condizioni di liberalizzazione; • qualità e prezzi dell’energia; • aspetti ambientali.

L’innovazione cruciale in questo campo è legata allo sviluppo di nuovi modelli di impresa. Essi spingeranno un business, prima basato su impianti e asset fisici, a focalizzarsi sull’offerta di servizi e soluzioni ai clienti. Per sua natura, la generazione distribuita presenta aspetti tecnico-economici sia di continuità che di rottura rispetto ai canoni correnti di produzione e utilizzo. Essa può costituire un modello industriale non antagonista, ma integrato nella produzione centralizzata. Tuttavia, la generazione distribuita rappresenta un nuovo paradigma tecnologico al servizio degli utenti elettrici, peraltro in una fase di rapida liberalizzazione del settore. Nell’ipotesi ragionevole di un’evoluzione tecnologica, essa può costituire un’opzione dai consistenti benefici economici e ambientali in una prospettiva di medio periodo. Se sviluppata su larga scala, può rappresentare un fondamentale cambiamento industriale per le compagnie elettriche e per gli operatori della catena del gas.

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3. FONTI DI ENERGIA ALTERNATIVA

Nella bilancia

energetica della UE il contributo delle

energie rinnovabili dovrebbe crescere

dal 6% al 12% entro il 2010

3.1 Energia per il futuro Nel novembre del 1996 la Commissione europea pubblicava un Libro Verde a favore dell'energia rinnovabile, con relativi dibattiti che si sono succeduti nella prima metà del 1997. Un Libro Bianco è stato poi pubblicato alla fine di novembre 1997, che ha seguito il Libro Verde nel chiedere il raddoppiamento del contributo da parte delle energie rinnovabili alla bilancia energetica dell'UE, passando dall'attuale 6% al 12% entro il 2010. Il Libro Bianco ritiene che per raddoppiare il contributo delle energie rinnovabili, occorrerà un investimento capitale complessivo di 165 miliardi di ECU (200 miliardi $). L'investimento addizionale netto sarebbe comunque stimato a 74 miliardi di ECU (90 miliardi $), ossia un aumento approssimativo del 30% negli investimenti totali del settore energia fra il 1997 ed il 2010. Il Libro Bianco indica come sia possibile creare fra 500.000 e 900.000 nuovi posti di lavoro, risparmiare 21 miliardi totali di ECU in costi relativi ai combustibili, ridurre di oltre il 17% le importazioni di combustibili e, infine, diminuire di 402 miliardi di tonnellate annue le emissioni di CO2 entro il 2010 (il 15% delle emissioni attuali in materia di energia)1. Il Libro Bianco, come il precedente Libro Verde, individuava cinque motivazioni per cui promuovere attivamente le fonti rinnovabili di energia:

• Vantaggi sul piano ambientale: le fonti rinnovabili tendono ad andare di pari passo con l'obiettivo della tutela ambientale e della riduzione di emissioni di CO2.

• Minore dipendenza dalle importazioni: come fonte interna di energia, le fonti rinnovabili possono contribuire a ridurre la dipendenza dell'Unione Europea dalle importazioni di energia, nonché a migliorare la sicurezza dell'Unione in materia di approvvigionamento.

• Contribuzione all'occupazione e allo sviluppo regionale: questo aspetto si collega al Libro Bianco su “Crescita, competitività ed occupazione”, che puntava sulle tecnologie “pulite” come settore chiave per una futura crescita economica.

• Opportunità di diventare il leader mondiale nelle tecnologie rinnovabili: con l'aumento del bisogno di energia a livello mondiale, si prevede che anche le opportunità di mercato per le energie rinnovabili aumenteranno rapidamente. Le aziende ed i paesi che si saranno affacciati sullo sviluppo delle

1 ASSOMINERARIA; L’Italia, Paese di Idrocarburi; Libro Bianco sull’Esplorazione e Produzione di idrocarburi in Italia. Bibliografia 10).

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Le tecnologie dell’energia

rinnovabile hanno costi capitali

maggiori e periodi di recupero economico

più lunghi

L’obiettivo è di raddoppiare la quota

globale di energia rinnovabile nel

“mix” di energia primaria di ogni

Paese

tecnologie rinnovabili trarranno probabilmente il massimo profitto da questa nuova realtà.

• Sostegno popolare: il cittadino comune sostiene, in genere, l'espansione delle energie rinnovabili rispetto alle altre fonti (anche se questo non significa che le fonti rinnovabili siano sempre ben accette, come in alcuni casi in Galles dove la popolazione locale si è opposta a nuove centrali eoliche).

Nonostante questi vantaggi apparenti esistono importanti ostacoli che impediscono un più vasto utilizzo di certi fonti rinnovabili. Le tecnologie dell'energia rinnovabile tendono ad avere costi capitali maggiori e periodi più lunghi di recupero economico rispetto alle tecnologie delle energie convenzionali, benché i tassi globali di recupero possano in seguito essere più elevati. I mercati finanziari favoriscono tradizionalmente progetti con periodi più brevi di recupero economico, che vincolano il capitale per un periodo più breve e che vengono visti come un rischio inferiore. Allo stesso tempo, i prezzi dei combustibili dell'energia convenzionale non riflettono il loro pieno costo, per l'impossibilità di includere i costi esterni addizionali associati a questi carburanti. Questo significa che gli attuali prezzi dei combustibili non riflettono il loro vero costo sociale, mentre le energie rinnovabili hanno un prezzo di mercato superiore al loro costo sociale. Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla mancanza di familiarità di mercati finanziari ed investitori nei confronti delle tecnologie rinnovabili, in parte perché queste tecnologie sono spesso innovative e devono essere confermate vantaggiose dal punto di vista commerciale. Questa ignoranza si traduce in incertezza e colloca un elevato premio di rischio su questi investimenti per i mercati finanziari. Il Consiglio Energia di maggio ha chiesto agli Stati membri di formulare una serie di obiettivi per l'espansione delle energie rinnovabili a medio (2010) e lungo termine (2020)2.Gli obiettivi in questione devono essere in grado di raddoppiare la quota globale di energia rinnovabile presente nel "mix" di energia primaria di ogni Paese, come precisato nel Libro Verde e costituiranno i parametri in base ai quali giudicare i progressi realizzati nei vari Stati membri in materia di sfruttamento delle rispettive fonti rinnovabili. In considerazione degli ostacoli di mercato che intralciano le fonti rinnovabili, il Consiglio ha specificato la necessità di politiche attive di governo al fine di migliorare la concorrenzialità delle fonti rinnovabili. Tali politiche potrebbero includere misure normative volte ad incoraggiare l'acquisto di energia prodotta da risorse rinnovabili.

2 Conferenza Nazionale Energia e Ambiente; Prospettive di integrazione dei sistemi economici, energetici e ambientali nel bacino del Mediterraneo. Op. Cit.

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CEMISS ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE SUPPL. O.S. N°3-2003

L’evento di

quest’ultimo anno è stata la sostituzione di 4 Mtep di olio con altrettante quantità

di gas naturale per la produzione

termoelettrica

3.1.1 Il mercato dell’energia alternativa L’evento di quest’ultimo anno è stata la sostituzione di quasi 4 Mtep di olio combustibile con altrettante quantità di gas naturale nella produzione termoelettrica, dopo una analoga sostituzione per 2 Mtep circa nell’anno precedente. Il consumo di gas naturale è stato in forte espansione (+4,4% medio annuo), mentre sono variati poco i consumi nazionali di petrolio e prodotti petroliferi (-0,2% in termini assoluti) e si sono ridotti i consumi di solidi fossili (-1,4%). La copertura del fabbisogno energetico nazionale (183-184 Mtep) è assicurata dal petrolio e derivati per il 50% circa, dal gas naturale per il 30-31%, da carbone ed assimilati per circa il 7% e per il resto da energia elettrica primaria (Figura 21). L’energia primaria equivalente effettivamente prodotta da fonti rinnovabili è stata di quasi 17 Mtep, se si considera anche il contributo della legna da ardere distribuita attraverso canali non commerciali (superiori a 5 Mtep/a secondo stime da confermare; Figure 22 e 23). La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è cresciuta a circa 47 TWh (quasi il 17% dell’energia elettrica richiesta in rete), ad un tasso medio annuo del 2,6% negli ultimi nove anni. A fine 2001 la potenza geo-termoelettrica installata in Italia valeva quasi 580 MW, con una produzione di oltre 4,2 TWh. La produzione di energia dalle fonti rinnovabili non tradizionali (che includono energia eolica, solare termica e fotovoltaica, energia prodotta da rifiuti solidi urbani (RSU), teleriscaldamento a legna, cogenerazione a legna, produzione di biocarburanti e biogas) è salita da 0,086 Mtep nel 1990 a 0,39 Mtep nel 2000; nello stesso periodo la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non tradizionali è cresciuta di dieci volte, da 0,147 TWh/a a 1,476 TWh/a, a testimonianza di un impegno che dura da anni.

Figura 21 - Copertura del fabbisogno energetico nazionale per fonte. (in Mtep/a; grafico cumulato)3.

3 Per motivi di scala l’asse y non parte da zero.

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Figura 22 - Energia primaria equivalente prodotta da fonti rinnovabili in Italia (in ktep). Fonte: Sito Internet ENEA.

Valga per tutti l’esempio dell’energia eolica, di cui si è iniziato a parlare ufficialmente solo nel Piano Energetico Nazionale del 1981, e solo a livello di RS&D di un prototipo da 1 MW. Lo sviluppo del parco eolico, che ormai supera i 170 MW (circa 13GW nel mondo), installati soprattutto nell’area campano-irpina, e il significativo aumento delle ore di funzionamento (dalle 800 del 2000 alle 1400 del 2002) segnano la transizione da impianti sperimentali messi in cantiere con il determinante contributo pubblico in conto capitale, a impianti industriali rivolti alla produzione con contributi pubblici decrescenti sui kWh prodotti. La crescita della frazione di RSU che viene riutilizzata a fini energetici è particolarmente interessante anche perché riduce l’inquinamento: migliora l’ambiente locale, perché si riduce la quota avviata alle discarica; e l’ambiente globale, perché si riducono le emissioni di gas serra (meno metano dalle discariche e meno CO2 dagli impianti fossili sostituiti).

Figura 23 - Energia elettrica totale prodotta da fonti rinnovabili in Italia (in GWh)4. (^) include: eolico, solare termico e fotovoltaico, RSU, teleriscaldamento a legna, legna ed assimilati per la

produzione di energia elettrica e calore in impianti industriali, biocombustibili, biogas.

4 I valori, in attesa di conferma, sono stimati in base ad una indagine campionaria presso le famiglie italiane e in base a numerosi studi regionali e locali sull'uso delle fonti rinnovabili di energia.

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CEMISS ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE SUPPL. O.S. N°3-2003

La riduzione dei costi

di produzione energetica con

l’aumento progressivo delle

installazioni è stata evidente per alcune

tecnologie di sfruttamento delle fonti energetiche

rinnovabili

In Italia le spese per la ricerca in generale

sono passate dallo 0,15% all’1% del

PIL attuale

3.1.2 Energia e ricerca Negli anni ’90 il panorama delle tecnologie che forniscono, trasformano e consumano energia mostra evoluzioni interessanti. Le prestazioni tecnico economiche e la diffusione sul mercato delle tecnologie più efficienti sono migliorate. Il superamento della soglia di efficienza del 60% per le centrali elettriche a gas a ciclo combinato è alla base della forte crescita nell’uso di metano nel settore della produzione termoelettrica. A seguito di un circolo virtuoso di “apprendimento tecnologico” con l’aumentare della diffusione internazionale, l’uso dei generatori eolici per la produzione di energia elettrica sta diffondendosi anche in Italia. La riduzione dei costi di produzione energetica con l’aumento progressivo delle installazioni cumulate è stata particolarmente evidente per alcune tecnologie di sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili. Il miglioramento tecnico indotto dagli investimenti per la ricerca e dallo sviluppo tecnologico aziendale e l’effetto scala o miglioramento dell’esperienza innescato dalle politiche pubbliche di investimento per la diffusione di tecnologie più promettenti per accompagnarle oltre la soglia della competitività hanno evidenziato riduzione del costo (tassi di apprendimento) di poco meno del 20% per ogni raddoppio della produzione di moduli fotovoltaici, del 10% per un analogo raddoppio di produzione di turbine eoliche, paragonabili con riduzioni del 12% per gli impianti a ciclo combinato, del 15% per le lampade fluorescenti compatte, e del 15% circa per le celle a combustibile, se verranno consolidati i ritmi di sviluppo ottenuti finora. Nonostante i progressi tecnici e il miglioramento delle normative, per assicurare da un lato la necessaria crescita dei sistemi economici e per limitare dall’altro le emissioni gassose nell’atmosfera e in generale l’impatto sull’ambiente nel medio periodo, si avverte sempre più chiaramente un deficit di tecnologie energetiche innovative. A questo deficit tecnologico sembra accompagnarsi un deficit delle politiche di ricerca e sviluppo tecnologico (R&S), che hanno scontato, tra l’altro, l’ebbrezza dei bassi prezzi del petrolio e che appaiono frenate dai processi di liberalizzazione dei mercati e di privatizzazione delle compagnie elettriche e di quelle petrolifere. Il risultato più preoccupante è lo scarso peso, tra le attività di R&S condotte a livello internazionale, di linee di ricerca che possano portare ad opzioni praticabili per il sistema energetico ed economico-sociale del medio-lungo periodo. Ci si può chiedere in che misura l’Italia sta partecipando a questo sforzo. Anche se le spese pubbliche per ricerca in generale sono passate da 0,15% dei primi decenni del dopo guerra all’1% del PIL attuale, l’Italia è particolarmente esposta per la scarsa innovazione dei suoi prodotti, per il sistema della R&ST poco sviluppato e/o poco efficiente, per la complessiva perdita di competitività nei settori più innovativi. Il ritardo tecnologico nazionale nel settore dell’offerta di

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CEMISS ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE SUPPL. O.S. N°3-2003

La competitività economica di queste

tecnologie nel mercato energetico è

il fattore che più influenza la

diffusione delle installazioni che sfruttano fonti

rinnovabili

energia, costantemente segnalato dai successivi piani energetici nazionali, sembra condurre il paese a diventare sostanzialmente un consumatore di tecnologie sviluppate altrove. L’analisi delle spese pubbliche nazionali in RS&D per il settore energia ed il confronto con lo sforzo condotto da altri paesi evidenzia la necessità di un miglioramento. Il generale decremento negli anni novanta delle spese pubbliche per RS&D nel settore energia da parte dei paesi OCSE, non ha toccato il settore delle fonti rinnovabili né quello dell’uso efficiente dell’energia. In Europa le spese pubbliche di RS&D si sono quasi dimezzate, con riduzioni anche nei promettenti settori delle fonti rinnovabili e dell’uso efficiente dell’energia. In Italia questi settori hanno mantenuto lo stesso livello di spesa, nonostante il dimezzamento delle spese pubbliche complessive in RS&D5. Il parametro che maggiormente influenza la diffusione delle installazioni che sfruttano fonti energetiche rinnovabili (FER) è la competitività economica delle relative tecnologie nel mercato complessivo delle tecnologie energetiche. Questa può essere ricondotta, almeno in parte, a una funzione del costo di fabbricazione e di esercizio e manutenzione. In linea di principio, questi costi potrebbero essere ridotti qualora si verificasse un’opportuna combinazione di miglioramenti tecnologici e di ottimizzazione dei cicli di produzione. Le cosiddette curve di apprendimento esprimono appunto l’evoluzione dei costi al maturare dell’esperienza costituita, in questo caso, dai volumi di produzione raggiunti. In generale, per tecnologie diverse da quelle che sfruttano FER, si riscontra una relazione empirica fra tasso di apprendimento e volumi di produzione che, per ogni raddoppio dei volumi realizza, in alcuni casi, anche un dimezzamento del costo della tecnologia. È bene precisare che, per l’assenza oggettiva di dati che coprono un periodo sufficientemente lungo, non è ancora possibile sapere in quale misura le tecnologie rinnovabili seguano una relazione analoga. Potrebbe essere comunque interessante analizzare, in questo contesto, le relazioni costo-volume di produzione realizzate fino a questo punto di sviluppo, per cercare di prevedere l’impatto che misure di attuazione e programmi di R&D potrebbero produrre nel settore nel medio periodo. Questi i risultati dell’analisi, anche se si sottolinea il fatto che essa potrebbe essere affetta da imprecisioni, soprattutto a causa del limitato numero di dati disponibili:

• le tecnologie esaminate mostrano una riduzione dei costi di produzione all’aumentare della capacità installata, che sembra essere coerente con l’andamento descrivibile da una curva di apprendimento;

5 Conferenza Nazionale Energia e Ambiente; Prospettive di integrazione dei sistemi economici, energetici e ambientali nel bacino del Mediterraneo. Op. Cit.

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L’Italia presenta nel comparto energetico

convenzionale un know-how

consolidato e competitivo non

presente nel campo delle tecnologie energetiche più

innovative

• come noto, la mini-idraulica ha praticamente raggiunto la maturità tecnologica mentre il fotovoltaico (e in parte l’eolico) sono ancora ad uno stadio di sviluppo iniziale;

• semplificando si può affermare che tutte le tecnologie, escluso il fotovoltaico, seguirebbero un trend che, per ogni raddoppio della capacità cumulata, comporterebbe una riduzione del 20% nei costi. La competitività di quest’ultima tecnologia per la generazione di energia elettrica è attesa nel medio periodo;

• attualmente sul mercato internazionale, per il pannello fotovoltaico, si ritiene raggiungibile un costo di circa 3,3 euro/Wp, al quale si somma la cifra di circa 2,2 euro/Wp per il BOS, per un totale di 5,5 euro/Wp.

3.2 Tecnologie energetiche e loro evoluzione L’industria italiana ha maturato una vasta esperienza in campo internazionale nello sviluppo e gestione di progetti di impiantistica energetica, realizzati con l’utilizzazione delle principali tecnologie, in qualità di “licenziatari” qualificati o attraverso la partecipazione congiunta con primarie società estere detentrici delle tecnologie stesse. All’interno del sistema industriale nazionale esistono quindi le risorse, le conoscenze e le esperienze necessarie per offrire beni e servizi strettamente legati alle caratteristiche delle realizzazioni per l’impiantistica energetica avanzata. Tuttavia, mentre l’Italia presenta nel comparto energetico convenzionale un know-how consolidato e competitivo, la stessa cosa non può essere detta per le tecnologie energetiche più innovative, dove l’Italia è praticamente assente, avendo accumulato un ritardo più che decennale. Lo sviluppo di sistemi e cicli avanzati per la produzione di energia, le cui caratteristiche si presentano molto promettenti in termini di prestazioni, controllo delle emissioni e flessibilità nell’utilizzo dei combustibili, rappresenta pertanto una importante opportunità di impegno di sviluppo tecnologico per il Paese, in grado di rilanciare la competitività del sistema dell’offerta nazionale di tecnologie di settore e di coniugare le competenze e gli sforzi dei vari attori interessati, garantendo nello stesso tempo continuità agli investimenti già effettuati negli ultimi anni. La tendenza strutturale di medio-lungo termine al rialzo dei prezzi dei prodotti petroliferi e alla maggiore dipendenza dall’estero dell’approvvigionamento energetico, che riguarda tutta l’Unione Europea e in particolare l’Italia, richiede di mettere oggi in cantiere progetti rilevanti di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie energetiche che consentano di affrontare le sfide che ineluttabilmente si presenteranno in futuro6.

6 ENEA; Rapporto Energia e Ambiente. Bibliografia 14).

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La riduzione dell’impatto ambientale è

l’obiettivo delle tecnologie di utilizzo

dei combustibili fossili per la

produzione di energia elettrica

3.2.1 Tecnologie di utilizzo dei combustibili fossili La dipendenza del sistema energetico italiano espone il Paese ad una condizione di forte rischio negli approvvigionamenti di energia primaria ed a subire pesanti conseguenze a seguito di tensioni del prezzo del petrolio. È quindi necessario avviare azioni rivolte all’uso razionale ed alla conservazione delle risorse, in particolare dei combustibili fossili. Il miglioramento delle prestazioni del sistema elettrico nazionale visto in una prospettiva di sviluppo sostenibile, necessita di tecnologie e metodologie volte a incrementare il rendimento energetico e ad ampliare le fonti di energia utilizzabili, tendendo al drastico ridimensionamento delle emissioni ambientali. Le tecnologie di utilizzo dei combustibili fossili per la produzione di energia elettrica hanno registrato negli ultimi anni una decisa evoluzione, tra l’altro ancora in corso, verso la riduzione dell’impatto ambientale – principalmente delle emissioni in atmosfera – contenendo nello stesso tempo i costi di produzione (Figura 24).

Figura 24 – Evoluzione dei costi di generazione elettrica con varie tecnologie (USc$/kWh 1996). Fonte: Cambridge Energy Research Associates.

I requisiti ambientali sono divenuti parte integrante delle specifiche di progettazione, costruzione ed esercizio dei nuovi impianti al pari dei tradizionali requisiti tecnico-economici di efficienza, affidabilità, disponibilità e costo.

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Al fine di contenere le emissioni di CO2

oltre all’installazione di tecnologie di

abbattimento degli inquinanti si

eseguono intere ristrutturazioni degli

impianti

Nel seguito viene fornito, per ogni classe di impianti, un quadro sintetico dello stato di sviluppo attuale de tecnologia, del grado di penetrazione del mercato italiano e, ove pertinente, degli interventi di “retrofitting” e “repowering” già effettuati o in corso. 3.2.1.1 Impianti convenzionali con turbine a vapore In questa classe rientrano la maggior parte egli impianti esistenti funzionanti con il tradizionale ciclo termico a vapore in regime sub-critico o super-critico, alimentati generalmente a carbone (impianti a polverino) o in grado di bruciare combustibili diversi (impianti policombustibili o multifuel) e, nel caso particolare dell’Italia, alimentati spesso ad olio combustibile. Sulla spinta delle sempre più rigorose normative ambientali, nel decennio 1990-2000 i produttori italiani, ed in particolare l’ENEL, hanno ormai quasi completato gli interventi di retrofitting di tali installazioni, fatta eccezione per alcuni impianti ormai a fine vita e con caratteristiche tecniche obsolete (cicli sub-critici), per i quali la vita residua e la perdita di efficienza conseguente all’intervento non giustificano il costo dell’investimento. Interventi di retrofitting hanno riguardato in particolare:

• l’installazione di desolforatori, precipitatori elettrostatici e denitrificatori dei fumi;

• l’installazione di sistemi di controllo della combustione attraverso la sostituzione dei bruciatori;

• l’introduzione di sistemi di iniezione di composti di calcio e sodio per il controllo della SO2 e di ammoniaca ed urea per il controllo degli NOx nella fase di combustione.

Tuttavia, il solo retrofitting contribuisce negativamente alla riduzione della CO2 in quanto comporta in generale una riduzione dell’efficienza dell’impianto. Al fine di contenere anche le emissioni di CO2, ridurre i costi di produzione ed estendere la vita degli impianti, in molti casi al retrofitting sono stati preferiti interventi di repowering che comportano, in generale, oltre all’installazione di tecnologie di abbattimento degli inquinanti, vere e proprie ristrutturazioni dell’impianto con sostituzione dei componenti principali, introduzione di sistemi di combustione a letto fluido o l’installazione, in particolare in Italia, di cicli combinati con turbina a gas in testa a cicli a vapore esistenti. Tali interventi richiedono in generale investimenti maggiori ma comportano, oltre ai benefici ambientali, miglioramenti sostanziali dell’efficienza e della disponibilità di impianto, riduzioni dei costi di manutenzione e flessibilità nell’uso di combustibili diversi. Negli impianti di nuova concezione invece, tutti a ciclo super-critico, ed in quelli più avanzati a ciclo ultra-critico, il miglioramento delle efficienze dovuto all’incremento delle pressioni e delle temperature di processo

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I cicli combinati sono gli impianti di

generazione elettrica più competitivi in

termini economici e ambientali

La competitività del mercato

dell’impiantistica termoelettrica ha

indotto a costruire turbine ad altissime

prestazioni

compensa largamente la riduzione dell’efficienza dovuta all’introduzione dei sistemi di abbattimenti degli inquinanti. Gli impianti super-critici, operanti a pressioni di 225 bar e temperature del surriscaldato di 540 °C, ormai in uso in tutto il mondo da circa 25-30 anni, hanno registrato un incremento dell’efficienza di circa 8 punti rispetto ai tradizionali impianti sub-critici (38- 41% contro 33-35%). Gli impianti ultrasupercritici (300-350 bar, 600 °C), pur con efficienze superiori al 45%, non hanno ancora trovato una penetrazione nel mercato (almeno in Italia) a causa degli elevati costi di investimento e della concomitante competitività di altre tecnologie. La tecnologia si è comunque affermata nei paesi scandinavi dove già esiste una legislazione sul controllo della CO2 e si sta sviluppando in Germania dove sono stati ordinati impianti con rendimenti attesi del 47-48% per 2000 MW; il Giappone ha un piano di impianti ultrasupercritici di grande impegno ed i principali paesi asiatici stanno valutando attentamente questa tecnologia per il futuro. A livello nazionale si segnala l’impegno dell’Ansaldo che è in grado di fornire impianti fino a temperature del vapore di 600 °C e mantiene un impegno di R&S nell’ambito del Programma comunitario THERMIE. 3.2.1.2 Impianti a ciclo combinato con turbina a gas L’impetuoso sviluppo della tecnologia delle turbine a gas, ed in particolare dei cicli combinati con turbina a gas, iniziato già nel decennio 1980-90, è continuato anche nel decennio 1990-2000; tale sviluppo è stato trainato da una serie di fattori che fanno dei cicli combinati gli impianti di generazione dell’elettricità attualmente più competitivi in termini economici ed ambientali.Tra questi fattori vanno senza dubbio menzionati:

• il ridotto impatto ambientale della combustione del gas naturale (basse emissioni di precursori di piogge acide e gas serra);

• i contenuti costi e tempi di costruzione (3 anni); • l’elevato livello di efficienza conseguibile (55-60%); • la modularità di impianto; • la flessibilità di esercizio.

Sono attualmente in commercio turbine a gas con potenze unitarie da 5 a 250 MW ed impianti modulari a ciclo combinato con potenze installate che vanno da 100 a 750-1000 MW. L’elevata efficienza dei cicli combinati è resa possibile dall’altissima temperatura di ingresso del gas in turbina (1100-1200 °C) ed ulteriori sviluppi sono previsti nel breve termine con ingressi a 1400 °C, grazie al miglioramento della tecnologia e dei materiali delle pale dei primi stadi della turbina L’entalpia dei gas in uscita dalla turbina a gas è quindi

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I cicli combinati alimentati a gas naturale hanno indotto una vera rivoluzione nel

settore della produzione elettrica

Gli impianti integrati di gassificazione e ciclo combinato offrono notevoli miglioramenti in

termini di efficienza ed emissioni rispetto a quelli tradizionali

turbina. L’entalpia dei gas in uscita dalla turbina a gas è quindi largamente sufficiente a produrre vapore surriscaldato di alta qualità e ad alimentare un ciclo con turbina a vapore a valle della turbina a gas. Occorre tuttavia rilevare che l’estrema competitività del mercato dell’impiantistica termoelettrica ha indotto negli ultimi anni i costruttori ad immettere sul mercato, in tempi ridotti, turbine ad altissime prestazioni senza una adeguata fase di prove tecnologiche. Ciò ha comportato recentemente clamorosi eventi di guasto, con danni notevolissimi agli impianti, che hanno riguardato quasi tutti i maggiori produttori mondiali (Siemens,ABB,Alsthom, General Electric). I cicli combinati alimentati a gas naturale hanno prodotto in circa 20-25 anni una vera rivoluzione nel settore della produzione elettrica mondiale, guadagnando rapidamente il ruolo di impianti adibiti alla produzione di base grazie ai ridotti costi di produzione. In Italia, degli oltre 400 nuovi impianti proposti recentemente al GRTN, la maggior parte prevede l’impiego di cicli combinati a gas; è evidente che solo un numero assai limitato di tali iniziative si trasformerà in centrali elettriche a causa sia della difficoltà di reperire nuovi siti, sia dell’onerosità dei processi autorizzativi, ma in ogni caso tale dato rappresenta un indicatore significativo del potenziale di redditività connesso all’impiego di tale opzione tecnologica sul mercato italiano. Nella prospettiva di inserimento di nuovi operatori si apre altresì l’opportunità di sostituzione di una larga parte degli impianti esistenti, valorizzando i siti e le interconnessioni esistenti (rete elettrica, acqua di raffreddamento), lasciando in riserva parte dei vecchi apparati. Inoltre, l’accelerazione del processo di dismissione degli impianti ENEL (iniziata con la cessione di Elettrogen) riveste grande importanza anche per quanto riguarda il rispetto degli impegni di riduzione delle emissioni di gas di serra a livello nazionale fissati dalla delibera 137/98 del CIPE. Da questo punto di vista, le riconversioni a ciclo combinato previste nel piano delle cessioni consentiranno una riduzione delle emissioni di CO2 al 2008 molto prossima all’obiettivo attribuito dalla delibera all’aumento di efficienza del parco termoelettrico nazionale (20-23 milioni di tonnellate per l’orizzonte 2008-2012). 3.2.1.3 Impianti di gassificazione dei combustibili solidi Il combustibile utilizzato negli impianti a ciclo combinato è prevalentemente gas naturale, ma può essere impiegato anche gas a più basso potere calorifico derivato ad esempio dalla massificazione del carbone, della biomassa o dei residui di lavorazioni industriali (ad esempio i residui di raffineria). Questi impianti integrati di gassificazione e ciclo combinato – nei quali la parte massificazione è di entità tecnologica ed economica confrontabile con il ciclo combinato – offrono notevoli miglioramenti in termini di efficienza

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La combustione a letto fluido consente

di integrare il controllo degli

inquinanti nella fase di combustione senza

processi di trattamento degli effluenti gassosi

ed emissioni rispetto agli impianti tradizionali: rispetto a quelli a carbone, ad esempio, presentano riduzioni delle emissioni di CO2 dell’ordine del 15% (senza richiedere additivi nel processo di combustione) ed un quasi completo recupero dello zolfo in forma commerciale. Va peraltro osservato che, allo stato attuale, la competitività economica di questi complessi impianti non è ancora raggiunta nella generalità delle situazioni, anche se è prevedibile un’evoluzione positiva nei prossimi anni. Infatti, è già possibile registrare numerose realizzazioni di notevole impegno ed interesse industriale negli Stati Uniti e, con diversi tipi di sovvenzioni, in Europa. Qui, in particolare, si segnala l’impianto olandese a carbone di Bugennum (nel sud dell’Olanda), che è il più grande impianto del genere, già in funzione da alcuni anni, e l’impianto a carbone di Puertollano in Spagna, al quale partecipa anche l’ENEL. Tali impianti sono stati realizzati con varie tecnologie che si sono progressivamente affermate quali:Texaco, Shell, Dow, Prenflo. In Italia sono in fase di completamento o di entrata in funzione i grandi impianti di gassificazione dell’API nelle Marche, della Saras in Sardegna e della ISAB in Sicilia, che utilizzano i residui di raffineria (tar). Si ricorda anche che è in fase di definizione il progetto del grande impianto integrato di gassificazione e ciclo combinato da 450 MW elettrici che utilizza il carbone del Sulcis in Sardegna. 3.2.1.4 Impianti a letto fluido Le tecnologie di combustione a letto fluido (atmosferico o pressurizzato) consentono di integrare il controllo degli inquinanti direttamente nella fase di combustione, senza ricorrere a processi di trattamento degli effluenti gassosi. Addizionando al combustibile particelle di calcare (limestone) ed operando la combustione in corrente d’aria fluente dal basso, è possibile abbassare la temperatura di combustione sfruttando il miglior trasporto di massa e di calore e riducendo così all’origine la produzione di NOx, mentre le particelle di calcare provvedono nel contempo all’assorbimento della SO2. Gli impianti a letto fluido consentono inoltre di bruciare, con un ridotto impatto ambientale, carboni di vario tipo o altri combustibili fossili di basso pregio. A causa della presenza dell’additivo, la produzione di CO2 risulta leggermente maggiore rispetto ai tradizionali impianti a polverino, ma è compensata in generale dai maggiori rendimenti conseguibili. In ambito internazionale, gli impianti a letto fluido atmosferico (AFBC) trovano già un significativo impiego commerciale, mentre quelli a letto pressurizzato (PFBC) sono ancora in fase di prototipo commerciale a causa della maggiore complessità impiantistica. Entrambi sono in genere progettati con caratteristiche modulari che consentono una notevole flessibilità in termini di potenza unitaria installata (100-600 MW). Le efficienze sono

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Soluzioni impiantistiche ad “emissioni nulle”

possono realizzarsi con cicli combinati o

misti basati sull’utilizzo di H2 e

O2

dell’ordine del 40-42%, fino a valori del 44-45% nel caso dei PFBC. Sono attualmente in funzione sette impianti dimostrativi con potenze fino a 350 MW ed a livello europeo emerge la tecnologia ABB Alstom con impianti in Germania, Svezia e Spagna. In Italia tale tecnologia non ha trovato finora particolare attenzione a causa del ridotto impiego del carbone nella produzione termoelettrica, della competitività dei cicli combinati alimentati a gas naturale, e del previsto eventuale ricorso, nel medio-lungo termine, ad impianti con gassificatore dei residui pesanti di raffineria (tar) di cui il Paese dispone in notevole quantità per la cospicua presenza dell’industria di raffinazione del greggio. 3.2.1.5 Cicli di generazione ad emissioni Nella prospettiva di ricorrere all'idrogeno come combustibile alternativo ai combustibili fossili, si studiano nuovi sistemi di produzione dell'energia elettrica basati sull’utilizzo di H2 e O2 ed articolati in cicli combinati (turbine e ciclo vapore) o su cicli misti (celle a combustibile e cicli a vapore), che possono consentire la realizzazione di soluzioni impiantistiche ad "emissioni nulle". Questi sistemi possono essere integrati con gli impianti di gassificazione con trasformazione del gas di sintesi (syngas) in H2: infatti, in essi è già prevista una sezione di produzione dell'O2 richiesto dal processo di gassificazione, da utilizzare anche per la combustione dell'idrogeno. Questa soluzione può essere considerata ad "emissioni nulle" (in pratica l'impianto non ha un camino) poiché l’unico prodotto della combustione è il vapore acqueo (sono quindi assenti gli NOx perché nel comburente non c'è azoto, gli SOx e le polveri per via del trattamento di purificazione a monte del syngas), mentre la CO2 presente nel syngas a valle del processo di shift-conversion viene totalmente separata e rimossa prima della combustione. In tali cicli la produzione dell'idrogeno può essere ottenuta a partire da tecnologie pressoché mature di purificazione del gas grezzo (anche se non ancora sperimentate nel settore energetico), di shift-conversion per la trasformazione dell'ossido di carbonio in CO2, di separazione della CO2 mediante processi fisici o chimici. L'impianto innovativo di generazione elettrica, viceversa, si basa su alcuni componenti, quali in particolare i combustori idrogeno-ossigeno e su espansori a vapore ad alta temperatura, con tecnologia delle turbine a gas, che richiedono ancora un adeguato sviluppo tecnologico. È importante in ogni caso sottolineare come tale soluzione consentirebbe un uso assolutamente pulito del carbone, per l'assenza di qualsiasi immissione gassosa in atmosfera, con la possibilità di conseguire rendimenti netti superiori al 50%, come risulta da studi condotti presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell'Università di Cagliari.

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Le celle a

combustibile possono essere adibite al servizio a carico

parziale

Ulteriori vantaggi consistono

nell’utilizzo di combustibili diversi,

nell’impiego decentralizzato e nel recupero del calore

residuo

Possibili applicazioni riguardano

l’autotrazione, l’alimentazione di apparati elettronici

portatili e l’utilizzo in campo militare e

spaziale

3.2.1.6 Celle a combustibile Le celle a combustibile sono dispositivi elettrochimici che convertono energia prodotta in reazioni chimiche direttamente in energia elettrica. Sono classificate in base all’elettrolita utilizzato nel processo: PEMFC (Photon Exchange Membrane Fuel Cell), AFC (Alcaline Fuel Cell), PAFC (Phosphoric Acid Fuel Cell), MCFC (Molten Carbonate Fuel Cell), SOFC (Solid Oxide Fuel Cell), DMFC (Direct Methanol Fuel Cell), con temperature di esercizio che variano dagli 80 °C delle PEFC ai 650 °C delle MCFC, fino ai circa 1000 °C delle SOFC. Le celle a combustibile possono essere adibite al servizio di base ma anche al servizio a carico parziale con una ridotta perdita di efficienza. Ulteriori vantaggi riguardano la possibilità di utilizzare combustibili diversi - tra cui gas naturale, gas di petrolio liquefatto (GPL) ed idrogeno - la possibilità di impiego decentralizzato in installazioni remote, con recupero anche del calore residuo, e la possibilità di utilizzo nel settore trasporti (autoveicoli). Tali vantaggi, insieme a quelli associati in genere ai processi di conversione diretta (assenza di componenti dinamici), all’elevata efficienza di conversione ed al ridotto impatto ambientale (ad es., riduzione delle emissioni di CO2 di circa il 40% rispetto ai migliori impianti convenzionali), rendono tale tecnologia una delle più promettenti nel breve-medio termine anche in considerazione dei notevoli sviluppi conseguiti negli anni 90 dalla ricerca di settore. Di particolare rilievo, a tale proposito, sono i risultati conseguiti da alcune aziende nordamericane che hanno ormai raggiunto, per alcuni tipi di celle a combustibile (PAFC, MCFC), la fase di pre-commercializzazione su larga scala, risolvendo buona parte dei problemi tecnologici associati alla corrosione e alla stabilità dei materiali ad alta temperatura. Tipiche applicazioni in fase di valutazione pre-commerciale riguardano i veicoli elettrici, l’alimentazione di strumenti di misura e di apparati elettronici portatili (ad es., con potenze di centinaia di kW e tecnologia PAFCS), l’alimentazione elettrica domestica (ad es., con potenze comprese fra alcuni kW ed alcune decine di kW e tecnologia PEMFC), le applicazioni spaziali e militari. Per quanto riguarda la produzione centralizzata di energia elettrica, la prospettiva è la realizzazione di impianti con gassificatore integrato (IGMCFC, IGSOFC) che consentono l’impiego, come combustibile primario, di gas di sintesi ad alto contenuto di metano prodotto dalla gassificazione del carbone e che prevedono di associare un ciclo a vapore a valle dell’impianto con celle a combustibile, con un notevole incremento dell’efficienza complessiva. Le attività di ricerca in atto riguardano il miglioramento delle caratteristiche di capacità, affidabilità, compattezza, peso e costo e la risoluzione dei problemi connessi al combustibile di alimentazione (fuel processing technology). A tali attività sono anche associate iniziative di verifica di fattibilità e sperimentazione di alcune infrastrutture, come le

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La variabilità delle fonti, la dipendenza

dal sito di installazione e la

combinazione con la produzione di

energia elettrica rendono complessa l’individuazione dei

costi unitari di impianto e di

esercizio

Lo sfruttamento delle risorse idroelettriche

in Italia è stimato essere uno dei più alti al mondo con

valori intorno al 70-75% dei siti disponibili

stazioni di distribuzione dell’idrogeno liquido. 3.2.2 Tecnologie di utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili7 Le tecnologie per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili presentano un impatto ambientale ridotto in termini di emissioni e hanno una struttura dei costi dominata dal costo d’impianto, con costi di combustibile nulli o trascurabili e costi di esercizio in generale contenuti. Il carattere di variabilità di queste fonti, la forte dipendenza dal sito di installazione o la combinazione di produzione di energia elettrica con la fornitura di servizi ambientali (impianti a rifiuti solidi urbani, RSU) rendono più complessa l’individuazione dei costi unitari di impianto e di esercizio e il confronto tecnico-economico con le tecnologie tradizionali. Gli sviluppi tecnologici intercorsi nell’ultimo decennio hanno favorito la penetrazione nel mercato energetico di alcune fonti rinnovabili, come ad esempio l’energia eolica, che ha raggiunto ormai la maturità industriale e la competitività commerciale in alcuni settori di mercato. Le tecnologie rinnovabili giocheranno un ruolo importante negli scenari energetici futuri. Le stesse maggiori aziende petrolifere mondiali (per esempio BP-Amoco, Shell) non solo riconoscono ciò nei loro studi strategici, ma si attrezzano anche per diventare global energy companies, con un’offerta non più limitata a quello che era il loro core business, ma estesa per esempio al fotovoltaico (BP-Amoco e Shell) ed alle biomasse (BP-Amoco). D’altra parte, la scelta e l’ottimizzazione dell’opzione tecnologica più conveniente dipenderanno sempre di più da fattori locali, regionali e sociali, favorendo la diversificazione delle fonti e delle tecnologie energetiche. 3.2.2.1 Impianti idroelettrici Le tradizionali classificazioni internazionali degli impianti idroelettrici sono basate sulla caratteristica idrografica dei siti (impianti ad acqua fluente ed impianti a bacino o a salto geodetico, equipaggiati rispettivamente con turbine tipo Kaplan, Francis e Pelton), o sulla taglia unitaria degli impianti (grandi impianti con potenza installata > 25 MW, piccoli impianti con potenze tra 100 kW e 25 MW e microimpianti con potenze < 100 kW). Lo sfruttamento delle risorse idroelettriche italiane è stimato essere uno dei più alti del mondo, con valori intorno al 70-75% dei siti disponibili e a circa l’80% della potenza installabile. Le residue potenzialità di installazioni sul territorio nazionale riguardano prevalentemente piccoli impianti a salto geodetico nella fascia bassa di potenza e, più frequentemente, microimpianti, caratterizzati in generale da alti costi di realizzazione, con incidenza delle opere civili intorno al 60% del totale e, conseguentemente, con alti costi di produzione.

7 ENEA; Rapporto Energia e Ambiente. Op. Cit.

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CEMISS ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE SUPPL. O.S. N°3-2003

Lo sfruttamento delle risorse geotermiche

comporta un limitato impatto ambientale

associato alle emissioni di CO2, di H2, di ammoniaca e

di radon

Lo sfruttamento dell’energia eolica comporta limitate

emissioni acustiche dei generatori nella zona ed a volte un impatto visivo sul territorio, oltre a

problemi di interferenza sui

segnali elettromagnetici

L’orientamento prevalente dei programmi di sviluppo europei di tale tecnologia è quello di favorire installazioni di piccola taglia (< 5 MW) per uso promiscuo della risorsa idrica; tali impianti consentono di associare alla produzione elettrica servizi diversi, come ad esempio la fornitura di acqua per irrigazione, usi industriali, oltre naturalmente a promuovere il recupero e la ristrutturazione di siti abbandonati o non adeguatamente sfruttati. 3.2.2.2 Impianti geo-termoelettrici Si distinguono i tradizionali impianti che sfruttano direttamente sorgenti naturali di vapore a temperature maggiori di 150 °C da quelli che sfruttano sorgenti a bassa temperatura (< 100 °C) e che fanno uso di sistemi a ciclo binario per vaporizzare fluidi basso-bollenti. Le prospettive di innovazione in geotermia riguardano prevalentemente le tecniche di frantumazione artificiale di rocce secche calde (hot dry rocks) e la perforazione di pozzi in prossimità di corpi magmatici situati a profondità accessibili, nei quali viene immessa acqua recuperando il vapore così prodotto che viene poi utilizzato per la produzione di elettricità con turbine a vapore convenzionali. Prescindendo da tali tecniche, che richiedono ancora notevoli investimenti di R&S prima dell’eventuale sfruttamento commerciale, la taglia media unitaria degli impianti geotermici tradizionali va dai 50 a 150 MW secondo il tipo di impianto. Lo sfruttamento delle risorse geotermiche comporta un limitato impatto ambientale associato alle emissioni di CO2 (1-400 mg/kWh), per l’immissione in atmosfera del vapore esausto, di H2 (0,3-9,5 g/kWh), di mercurio (45-900 µg/kWh), di ammoniaca (60-1950 g/kWh) e radon (3700-78.000 Bq/kWh). Questi impatti, come altri potenzialmente derivanti da fenomeni di subsidenza nei siti di sfruttamento, possono essere notevolmente ridotti, spesso eliminati del tutto, re-iniettando i fluidi esausti nei pozzi di prelievo. L’Italia, con circa 800 MW di potenza installata, mantiene un ruolo prioritario in Europa e a livello mondiale sia nella produzione di energia geo-termoelettrica che nelle tecnologie di sfruttamento. 3.2.2.3 Centrali eoliche Negli anni 90 la tecnologia per lo sfruttamento dell’energia eolica ha raggiunto la maturità industriale e la competitività economica in alcuni settori di mercato. In diversi paesi europei (Germania, Danimarca, Spagna) ha già guadagnato quote di mercato significative. Alla fine dell’anno 2000, in Germania risultavano installati 6100 MW di potenza eolica, in Danimarca 2300 MW e in Spagna quasi altri 2500 MW. Alla stessa data, in Italia, la potenza installata raggiungeva circa 430 MW e negli Stati Uniti 2500 MW. Negli Stati Uniti, prima della fine del 2001, risulteranno completati 5000 MW, che si porteranno a 80.000 MW in circa 20 anni. Turbine a vento vengono ormai correntemente installate e connesse alla rete

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CEMISS ECONOMIA, ENERGIA E AMBIENTE SUPPL. O.S. N°3-2003

In un impianto tipico il 2% del territorio è

occupato dalle turbine e il restante

98% è utilizzabile per altri usi

La tecnologia in questo momento più

collaudata e disponibile è quella delle celle a base di

silicio a cristallo singolo o

multicristallino

sia in forma isolata che in installazioni multiple (wind farms) e quasi tutti i paesi avanzati hanno ormai ultimato la mappatura dei siti con caratteristiche eoliche adeguate. Il mercato è attualmente dominato dai generatori ad asse orizzontale. La taglia media dei generatori installati in Europa nell’anno 2000 è stata di circa 1100 kW in Germania, 890 kW in Olanda, 820 kW in Danimarca e circa 660 kW in Spagna. L’eventuale sviluppo degli impianti offshore costituisce una ulteriore opportunità di espansione delle tecnologie eoliche, che tuttavia è ancora condizionata dagli elevati costi delle fondazioni e delle piattaforme che giustificano soltanto installazioni multimegawatt. In Danimarca, a fine 2000, risultano installati 40 MW offshore, in Svezia circa 10 MW e 4 MW nel Regno Unito. La tecnologia eolica è anche adatta per installazioni remote in regioni non servite dalle reti e, in linea di principio, trova enormi possibilità di applicazione nei paesi in via di sviluppo. In tal caso, la natura stocastica della sorgente richiede sistemi di accumulo dell’energia che presentano ancora caratteristiche di esercizio non del tutto soddisfacenti e costi elevati. Lo sfruttamento dell’energia eolica comporta limitate emissioni acustiche dei generatori nella zona ed a volte un impatto visivo sul territorio, oltre a problemi di interferenza sui segnali elettromagnetici. Per quanto riguarda l’impegno territoriale, occorre rilevare che, in un impianto tipico, soltanto il 2% del territorio impegnato è occupato dalle turbine a vento e dai relativi dispositivi impiantistici mentre il restante 98%, pur vincolato dalla presenza dell’impianto, è comunque utilizzabile per altri usi. La frontiera dell’innovazione è spostata verso la realizzazione di macchine più grandi per ridurre ulteriormente i costi di investimento unitari (la potenza aumenta esponenzialmente con la dimensione, laddove i costi sono direttamente correlati alla stessa dimensione). La realizzazione di macchine più grandi deve essere però compatibile con i vincoli ambientali, in particolare l’impatto visivo e il rumore, sia quello generato dalle macchine che quello provocato dal vento. 3.2.2.4 Sistemi fotovoltaici La conversione diretta di energia solare in energia elettrica mediante celle fotovoltaiche presenta importanti possibilità di miglioramento tecnologico e su di essa si concentrano ingenti investimenti di R&S in tutto il mondo, con la prospettiva di mettere a punto una tecnologia a ridotto impatto ambientale, competitiva economicamente e con diffusa opportunità di sfruttamento. Oltre al tradizionale silicio, celle fotovoltaiche sono realizzate anche con arseniuro di gallio, tellururo di cadmio e diseleniuro di rameindio (CdTe, CuInSe2); queste ultime però non hanno ancora raggiunto un’apprezzabile rilevanza industriale. Le celle solari vanno in genere a comporre i moduli fotovoltaici. La taglia degli impianti, in linea di

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L’efficienza attuale di un modulo

fotovoltaico varia tra il 10% e il 15% con valori prossimi al 20% nel caso di

moduli equipaggiati con sistemi di

concentrazione della luce

principio illimitata, è attualmente limitata a potenze di vari MW. La tecnologia in questo momento più collaudata e disponibile commercialmente è quella delle celle a base di silicio a cristallo singolo o multicristallino. Le celle a film sottile di silicio amorfo risultano in genere meno efficienti nella conversione e hanno presentato nel passato aspetti di stabilità e durata che ne hanno condizionato lo sviluppo ulteriore. Bisogna tenere presente che questa tecnologia consente costi di produzione sensibilmente più bassi. Film sottili policristallini di più recente concezione offrono invece efficienza superiori (prossime al 20%), insieme ad ottime prestazioni di stabilità e durata. Infine, facendo uso di dispositivi sperimentali tandem ottimizzati per la cattura di un più ampio spettro dell’energia incidente, sono state raggiunte efficienze superiori al 30%.Tali dispositivi richiedono però ulteriori sviluppi tecnologici. In generale l’efficienza attuale di un modulo fotovoltaico varia tra il 10% e il 15%, con valori prossimi al 20% nel caso di moduli equipaggiati con sistemi di concentrazione della luce. Gli attuali impianti fotovoltaici hanno efficienza complessiva di conversione di circa l’8%, con prospettive di miglioramento fino al 20% nell’arco dei prossimi 10-15 anni. La vita media attuale è vicina ai 30 anni nel caso di silicio cristallino, mentre la disponibilità di impianto raggiunge anche il 30%. Obiettivo principale delle attività di R&ST è la riduzione del costo dei dispositivi prodotti. Tale riduzione è perseguita non solo attraverso l’aumento dell’efficienza di conversione, l’innovazione nei processi di fabbricazione ed il limitato uso di materia prima, ma anche con volumi di produzione più elevati. Nel campo del silicio cristallino, enfasi è posta su nuovi processi per l’approvvigionamento del materiale di base per l’industria fotovoltaica utilizzando schemi che richiedono meno energia e più limitato impatto ambientale. In questo campo,molto lavoro è svolto per la fabbricazione di celle a strati sottili di silicio multi-cristallino su appositi substrati (ceramici, carbonio e, più recentemente, vetro resistente alle alte temperature), soprattutto per la migliore comprensione dei fenomeni di intrappolamento della luce negli strati sottili e per la possibilità di raggiungere efficienze di conversione elevate. Per quanto riguarda i moduli fotovoltaici si segnala, negli ultimi anni, l’adattamento della struttura a quella degli elementi di copertura di tetti e facciate di edifici. L’obiettivo è quello di sviluppare prodotti in grado di sostituire completamente (piuttosto che ricoprire) gli elementi attualmente utilizzati a tale scopo. In generale, in Europa la ricerca di settore è diffusa e ben finanziata e, grazie soprattutto alla Germania, non denuncia ritardi rispetto ad altri paesi OCSE (USA, Giappone, Australia). L’impatto ambientale del solare fotovoltaico è limitato alla sola fase di produzione delle celle, senza ulteriori problemi ambientali nella fase di esercizio dell’impianto. I costi di produzione sono tuttora elevati. Con l’attuale

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Le applicazioni su scala commerciale di queste applicazioni sono numerose e

convincenti poiché dimostrano

affidabilità tecnica ed efficienza economica

tendenza di rapida riduzione dei costi, il solare fotovoltaico è destinato a divenire commercialmente competitivo in tempi relativamente ridotti (10-15 anni) ed a penetrare rapidamente nel mercato energetico sia per applicazioni diffuse che per la produzione centralizzata di energia elettrica. 3.2.2.5 Impianti a concentrazione solare L’attività di ricerca e sviluppo tecnologico nel settore è stata portata avanti da diversi enti di ricerca in Germania (DLR e ZSW), Svizzera (PSI), Francia (CNRS), Spagna (Ciemat e Plataforma Solar de Almeria o PSA) e Italia (ENEA). Attualmente buona parte delle attività sperimentali sono condotte presso la PSA, gestita dal Ministero dell’Industria spagnolo in cooperazione con il centro tedesco DLR. Le linee di sperimentazione riguardano diverse soluzioni tecnologiche:

• concentratori parabolici lineari (CPL) - In questo schema, il vapore può essere generato direttamente nel ricevitore.Tale soluzione permetterebbe l’eliminazione del fluido termovettore intermedio con conseguente riduzione dei costi (in previsione circa 8-10%). Il problema è il controllo del flusso di un fluido bifase in condizioni di irraggiamento solare variabile. Sono stati effettuati test di prototipi relativi a nuovi assorbitori selettivi (a tale progetto ha partecipato anche l’italiana Conphoebus). La riduzione delle perdite termiche e degli stress termo-meccanici dovuti ad un riscaldamento irregolare per concentratori di nuova concezione rappresenta la tematica di maggior impegno per ricercatori e tecnologi;

• concentratori parabolici puntuali (CPP) - Le attività di ricerca su tale tecnologia sono cominciate alla PSA nel 1991 ed hanno portato alla realizzazione di un campo prove costituito inizialmente da tre dischi parabolici della Schlaigh Bergermann und Partner (SBP) di 9 kWe ciascuno; tale campo ha permesso l’elaborazione e la verifica di un codice di simulazione per moduli fino a 25 kWe. L’obiettivo è la realizzazione di un campo prove ben più ampio, comprendente sia numerosi dischi parabolici, sia un campo fotovoltaico, con lo scopo di effettuare un confronto fra le due tecnologie in condizioni di uguale irraggiamento;

• torre centrale - Dopo la realizzazione del primo impianto CESA-I da 9 MWt, si è realizzato un secondo impianto sperimentale da 2,7 MWt. Le attuali linee di ricerca sono focalizzate su: realizzazione di sistemi di accumulo termico ad alta temperatura efficaci ed economici; sperimentazione di nuovi ricevitori volumetrici; realizzazione di eliostati più

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La tecnologia CPL può essere integrata nei cicli combinati

gas-vapore per incrementare la

potenza complessiva dell’impianto

L’energia elettrica può essere generata

per combustione diretta di tali prodotti

o convertendo le biomasse in combustibili

intermedi

economici. In questo segmento, essendo presenti sistemi in grado di fornire potenze elettriche da alcuni kW fino a centinaia di MW, sono stati realizzati sistemi stand-alone per l’elettrificazione rurale, fino ad impianti di potenza collegati alla rete elettrica.

Le applicazioni su scala commerciale della tecnologia CPL sono state abbastanza numerose e convincenti. Con i 354 MWe installati in California (USA) dalla compagnia israeliana LUZ Company fra il 1984 e la fine del 1990, questa tecnologia ha dimostrato buona affidabilità tecnica ed efficienza economica. Nelle condizioni di irraggiamento massimo, tali sistemi sono attualmente in grado di produrre energia elettrica al costo di 0,09-0,10 $/kWh, inferiore, per esempio, a quello degli impianti fotovoltaici. Previsioni del Department of Energy degli Stati Uniti fanno intravedere la possibilità di arrivare, entro i prossimi dieci anni, a 0,05 $/kWh. La tecnologia CPL già provata commercialmente, e la più competitiva fra quelle solari, associa a tempi brevi di realizzazione una buona flessibilità di impiego. In linea di principio, essa può essere integrata nei convenzionali cicli combinati gas-vapore per fornire energia al secondo stadio e per incrementare, con limitato costo aggiuntivo, la potenza complessiva dell’impianto. La tecnologia CPP, invece, non è stata ancora provata commercialmente su scale significative. Grazie soprattutto all’attività di ricerca sviluppata in Europa (PSA), negli USA ed in Australia (dove si è realizzato il più grande disco parabolico del mondo con una apertura di 400 m2 ed una potenza di picco pari a 50 kW), la tecnologia dovrebbe essere ormai pronta.Tali concentratori presentano i più alti costi di produzione dell’energia elettrica, ma sono quelli in grado di raggiungere il rendimento più alto e sono interessanti per la loro modularità. 3.2.2.6 Impianti per l’utilizzo della biomassa Energia da biomassa può essere prodotta da una grande varietà di materiali organici come pure da apposite coltivazioni agricole o da residui della lavorazione di prodotti agricoli e forestali. L’energia elettrica può essere generata per combustione diretta di tali prodotti o convertendo le biomasse in combustibili intermedi, come ad esempio biogas di sintesi, metanolo, etanolo, oli vegetali, utilizzabili peraltro anche nel settore trasporti. La taglia unitaria degli impianti di elettrogenerazione da biomassa varia da centinaia di kW a decine di MW e tali impianti associano alla produzione di elettricità la produzione di calore (cogenerazione). A causa della grande varietà di impianti e di combustibili risulta difficoltoso generalizzare l’impatto ambientale della combustione della biomassa. Tuttavia, in termini di CO2, un orientamento prevalente è che l’uso delle biomasse non comporti un contributo alle emissioni (a meno delle marginali emissioni legate a taglio, raccolta, movimentazione e trasporto).

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In genere gli impianti sono

caratterizzati dalla produzione

combinata di elettricità e calore

destinato al teleriscaldamento

Un problema tecnologico consiste

nell’estrema aggressività chimica dei combustibili che comporta una ridotta

vita media dei bruciatori e di altri

componenti

Nonostante tali vantaggi, l’uso su larga scala della biomassa comporta comunque, nel caso di biomassa primarie, problemi ambientali legati all’estensione delle aree destinate alle coltivazioni, all’uso di fertilizzanti e alla lisciviazione dei terreni. I costi di raccolta, trasporto ed eventuale trasformazione dei combustibili, oltre al costo di produzione, possono incidere significativamente sul conto economico dell’iniziativa. Mentre sono di rilevanza gli studi di valutazione dei sistemi di trasporto e dell’impatto territoriale, le attività di R&S sono in generale tese ad ottimizzare le varie fasi del ciclo del combustibile, con l’obiettivo prioritario di raggiungere, per queste utilizzazioni, la competitività industriale. 3.2.2.7 Termotrattamento dei rifiuti solidi urbani Lo sfruttamento di rifiuti solidi urbani (RSU) per la produzione di elettricità può avvenire per combustione diretta o, indirettamente, attraverso la combustione di gas di discarica. Si consolida sempre di più la produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) da utilizzare direttamente negli impianti di combustione o di gassificazione. Nel seguito si fa riferimento comunque alle quantità di RSU primari. Tra gli impieghi diretti degli RSU, la tecnologia degli inceneritori è ben consolidata e richiede prevalentemente componenti di tipo convenzionale, mentre gli impianti a pirolisi richiedono una tecnologia più avanzata ancora in fase di sperimentazione, soprattutto in impianti pilota. In entrambi i casi si tratta, in genere, di impianti cogenerativi per la produzione combinata di elettricità e calore destinato a teleriscaldamento. Il consumo medio degli impianti con inceneritore è dell’ordine delle 20.000 t/a di RSU per MW di potenza elettrica, con una taglia unitaria degli impianti variabile da qualche MW a diverse decine di MW, corrispondente ad una potenzialità di smaltimento di RSU che può arrivare fino a 800.000 t/a. La combustione di RSU di origine organica non dà luogo ad emissioni aggiuntive di CO2 e metano rispetto allo smaltimento in discarica e comporta inoltre il vantaggio di ridurre i volumi e il costo dello smaltimento in discarica. L’incenerimento di rifiuti plastici, tuttavia, comporta emissioni di composti di idrogenati di cloro, di policiclici aromatici, di diossina e furani; particolare attenzione deve essere riservata all’immissione in atmosfera di metalli pesanti quali cadmio e mercurio. L’emissione degli effluenti più tossici può essere limitata, o totalmente evitata, attraverso il controllo della temperatura di combustione o mediante l’adozione di opportuni sistemi di abbattimento; l’emissione di ceneri può essere evitata attraverso il riciclo in camera di combustione. Un problema tecnologico comune sia alla combustione diretta che a quella indiretta dei RSU è costituito dall’estrema aggressività chimica dei combustibili, che comporta una ridotta vita media dei bruciatori e di altri componenti dell’impianto. In generale,

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L’idrogeno può essere prodotto da

una pluralità di fonti ed essere impiegato

in applicazioni diversificate con un impatto ambientale

nullo

la combustione dei RSU trova notevole opposizione da parte dell’opinione pubblica in vari paesi tra cui l’Italia, soprattutto per quanto riguarda l’installazione di nuovi impianti. I costi di impianto e di esercizio di tali tecnologie sono particolarmente elevati a causa dell’usura e della frequente sostituzione dei componenti e, più in generale, della notevole complessità del ciclo di selezione del combustibile. Tali costi sono in parte compensati dal vantaggio economico derivante dal servizio di smaltimento. Si segnala in Italia l’iniziativa ENEL per lanciare impianti di combustione di rifiuti assieme a polverino di carbone. Tale processo è già in avanzata fase di sperimentazione nelle centrali ENEL. Obiettivo dell’iniziativa è l’applicazione di questa soluzione di co-combustione di carbone e rifiuti in centrali fino a taglie di 300 MW elettrici, valorizzando e utilizzando per l’operazione, ove possibile, investimenti già effettuati in precedenza. Su linee di intervento analoghe si sviluppano, in altri paesi, impianti di co-combustione nei quali viene immesso gas prodotto da gassificazione di RSU o suoi derivati. 3.2.3 L’idrogeno come vettore energetico per la riduzione dei gas serra 3.2.3.1 Generalità L'idrogeno appare essere il vettore d’elezione per un sistema energetico sostenibile, in quanto:

• può essere prodotto, in linea di principio, da una pluralità di fonti (combustibili fossili con separazione della CO2; rinnovabili; nucleare), tra loro intercambiabili e disponibili su larga scala per le generazioni future;

• può essere impiegato in applicazioni diversificate (dal trasporto alla generazione di energia elettrica, per taglie dai watt ai milioni di watt), con un impatto ambientale nullo o estremamente ridotto sia a livello locale che globale.

Accanto agli indubbi vantaggi, l’introduzione dell’idrogeno come vettore energetico per il lungo termine presenta però numerosi problemi, connessi allo sviluppo delle tecnologie necessarie per rendere il suo impiego economico ed affidabile nelle diverse fasi di produzione, trasporto, accumulo, utilizzo. Lo sviluppo di tali tecnologie è oggetto dei programmi che, con risorse crescenti, sono portati avanti nei maggiori paesi industrializzati. In tal senso si sta operando anche in Italia, con una serie di interventi in parte già avviati. Questi riguardano tutto il ciclo dell’idrogeno e si pongono nel medio termine l’obiettivo di sviluppare le tecnologie che consentano di introdurre questo vettore nelle nicchie di mercato più promettenti. Solo successivamente si punterebbe ad una sua diffusione su ampia scala.

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Gli aspetti più critici per la produzione

sono il costo elevato e la scelta della

sorgente da impiegare

3.2.3.2 Produzione Gli aspetti più critici relativi alla produzione sono il costo elevato e la scelta della sorgente da impiegare, anche in relazione alla quantità e alla fonte di energia necessaria per la sua produzione. In prospettiva, la produzione potrà essere effettuata mediante l’energia nucleare e le energie rinnovabili, a partire dall’acqua e dalle biomasse, ma i combustibili fossili rappresentano la soluzione più vicina e quella su cui puntare per il medio termine. Le principali alternative sono riportate nel seguito.

• Combustibili fossili - Le tecnologie di produzione di idrogeno, a partire dai combustibili fossili (steam reforming, ossidazione parziale, gassificazione) sono mature, anche se suscettibili di ulteriori miglioramenti da un punto di vista energetico e di impatto ambientale. In questo contesto è però senz’altro da affrontare la sfida tecnologica posta dalla necessità di separare e immagazzinare la CO2 prodotta insieme all’idrogeno. D’altra parte, la richiesta di separazione e confinamento dell’anidride carbonica potrebbe, a medio termine, diventare un vincolo anche per gli impianti di generazione convenzionali. Lo sviluppo di soluzioni economiche ed affidabili per il confinamento della CO2 richiede un intervento di ampie dimensioni, che va dalle tecnologie di separazione (membrane, processi di assorbimento o di adsorbimento, processi criogenici), a quelle per il trasporto, alla individuazione di soluzioni valide per l’immagazzinamento a lungo termine (giacimenti esauriti di metano o petrolio, oceani, acquiferi), alla possibilità di incrementare i processi di fissazione biologica. Nella situazione italiana il combustibile di riferimento è il gas naturale, anche se vanno considerati altri combustibili, come i residui petroliferi pesanti ed i processi di massificazione degli stessi. In particolare, per il gas naturale occorrerà seguire con attenzione anche lo sviluppo di processi alternativi allo steam reforming e alla ossidazione parziale, come quelli di pirolisi, che portano alla separazione diretta del carbonio senza produzione di CO2.

• Biomassa - La produzione di idrogeno da biomassa si

presenta molto interessante, ma nessuno dei processi proposti ha ancora raggiunto la maturità industriale. Le diverse alternative (gassificazione; pirolisi e successivo reforming della frazione liquida prodotta; produzione di etanolo e reforming dello stesso; produzione biologica attraverso processi basati su fenomeni di fotosintesi o di fermentazione) richiedono tutte, anche se a livelli diversi, un impegno notevole di ricerca, sviluppo e dimostrazione.

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La distribuzione dell’idrogeno presso

gli utenti pone il problema di una rete

adeguata e degli enormi investimenti necessari per la sua

realizzazione

L’utilizzazione come combustibile per il

trasporto e la generazione di

energia elettrica è la prospettiva di impiego più interessante

• Elettrolisi dell’acqua o scissione della stessa ad alta temperatura - La produzione per elettrolisi dell’acqua è un processo abbastanza consolidato, che consente di ottenere idrogeno praticamente puro, ad un costo che può diventare economicamente accettabile nel medio termine solo se l’energia elettrica necessaria viene generata ad un costo estremamente basso (da impianti idroelettrici, da nucleare, da fonti rinnovabili). La scissione dell’acqua ad alta temperatura può essere effettuata in linea di principio utilizzando fonti di calore diverse (solare, nucleare) e diversi processi (ad es. reazioni chimiche invertibili), ma la sua fattibilità industriale è ancora da dimostrare.

3.2.3.3 Trasporto e accumulo L’idrogeno può essere trasportato ed accumulato in forma gassosa, liquida oppure adsorbito su materiali speciali; ogni forma presenta aspetti favorevoli e svantaggi e tutte, se pur in gran parte già impiegate, richiedono significativi sforzi di ricerca e sviluppo per essere affidabili e competitive. Per il trasporto dell’idrogeno gassoso si può pensare a qualcosa di equivalente ai gasdotti per il metano, ma vanno risolti problemi relativi ai materiali impiegati ed è richiesta una maggiore energia di compressione (potere calorifico inferiore e quindi maggiori portate per la stessa quantità di energia). Il trasporto in forma liquida presenta problematiche più complesse e sembra, in prospettiva, conveniente solo per grandi quantità e percorrenze elevate. La distribuzione dell’idrogeno presso gli utenti, nel caso di una ampia diffusione del suo impiego (ad es. nel settore del trasporto), pone in prospettiva il problema di una rete adeguata e degli enormi investimenti necessari per la sua realizzazione. Le tecnologie di stoccaggio dipendono dalle applicazioni considerate e sono critiche soprattutto per l’impiego a bordo di veicoli, che richiede una elevata densità di energia. Le soluzioni attuali (bombole, idruri, idrogeno liquido) sono insoddisfacenti. Ulteriori sviluppi delle stesse o soluzioni completamente nuove (ad es. nanofibre di carbonio) sono necessari. 3.2.3.4 Utilizzo Oltre al suo attuale impiego come materiale per processi chimici, l’idrogeno può in prospettiva essere utilizzato come combustibile per la generazione di energia elettrica/cogenerazione (cicli termici, celle a combustibile) e per il trasporto (motori a combustione interna, celle a combustibile), con notevoli benefici sia in termini di efficienza che di riduzione dell’impatto ambientale. Anche in questo caso, le tecnologie necessarie, pur oggetto finora di notevoli sforzi di ricerca e sviluppo, richiedono un ulteriore impegno per giungere alla disponibilità di prodotti competitivi.

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• Motori a combustione interna - Motori a combustione

interna ad idrogeno (o a miscele gas naturale-idrogeno) sono ormai disponibili (ad es. BMW), con rendimenti sensibilmente più elevati ed emissioni ridotte rispetto a quelli con combustibili convenzionali. Le diverse caratteristiche di combustione dell’idrogeno (velocità, temperatura) pongono in questo caso, come in quello delle turbine, problemi di alimentazione e di materiali che vanno ulteriormente studiati.

• Celle a combustibile - L’idrogeno è il combustibile

ideale per le celle e quello che può consentire alla tecnologia di esprimere tutte le sue potenzialità in termini energetici e ambientali. Problemi da affrontare e risolvere, sia a livello di cella che di sistema, restano sia per le applicazioni alla trazione (disponibilità commerciale prevista al 2004-2005, con celle a membrana polimerica) che per quelle stazionarie (soprattutto celle ad alta temperatura, con disponibilità commerciale prevista oltre il 2005).

• Centrali termoelettriche a idrogeno - Analisi e

valutazioni industriali indicano la fattibilità tecnica della realizzazione di centrali termoelettriche alimentate ad idrogeno utilizzanti tecnologie esistenti e già commercialmente mature (dall’impiantistica di produzione dell’idrogeno con reforming catalitico o con ossidazione parziale di idrocarburi, al ciclo combinato turbine a gas/turbine a vapore per la generazione di elettricità), fino a taglie di diverse centinaia di MW. Sono attivamente studiate e sperimentate in ambito internazionale le tecnologie per la separazione ed il confinamento della CO2 prodotta durante il processo di produzione dell’idrogeno. Fra i programmi più avanzati rivolti all’utilizzo migliore dell’idrogeno ed all’aumento del rendimento del ciclo, si segnala il programma WE-NET giapponese che prevede, tra l’altro, lo sviluppo di turbine che possono lavorare a temperature più elevate.

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4. APPENDICI

Le fonti energetiche devono il loro ruolo

strategico all’impiego in tutti i settori dell’economia

e alla loro limitata sostituibilità

In una situazione di pace e di normalità

degli scambi i meccanismi di

mercato garantiscono da soli

la sicurezza di approvvigionamento ai Paesi consumatori

4.1 Approvvigionamento energetico e sicurezza Le fonti energetiche – ed in generale le materie prime di uso industriale – assumono un ruolo strategico in relazione all’impiego delle stesse in tutti i settori fondamentali dell’economia, e al fatto che la sostituibilità tra diverse fonti energetiche sia limitata e implichi comunque problemi di adattamento nel breve periodo. D’altra parte tale ruolo “strategico” acquista maggiore o minore importanza in relazione ai rapporti di forza e alla disponibilità delle risorse ambite. Allo stesso tempo variano gli strumenti attraverso i quali effettuare gli approvvigionamenti e ridurre a livelli accettabili il grado di vulnerabilità: dal controllo diretto o indiretto delle materie prime energetiche alla fonte, alla formazione di joint-ventures di produzione e alla stipula di contratti di fornitura nell’ambito di accordi di cooperazione internazionale, all’affidamento ai meccanismi allocativi del mercato contando possibilmente su posizioni di forza, alla costituzione di stocks strategici. Tutti questi aspetti possono essere osservati, spesso congiunti, nella storia contemporanea delle relazioni economiche internazionali dell’area mediterranea come a livello planetario; ma certamente in una situazione di relativa pace, di normalità degli scambi e in una congiuntura di prezzi depressi e di eccesso di offerta come quella attuale, i meccanismi di mercato garantiscono da soli la sicurezza di approvvigionamento ai paesi consumatori senza grandi sforzi e costi. Attenuandosi i meccanismi di accaparramento o di depressione su una materia prima non più scarsa – che però resta utilizzata diffusamente e in proporzioni più o meno rigide per il funzionamento degli apparati produttivi – viene ad attenuarsi anche il suo carattere strategico. Anche il ruolo dello stoccaggio strategico o di sicurezza muta di conseguenza. E persino i mutamenti linguistici sembrano accompagnare questa attenuazione delle preoccupazione per la sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime energetiche, così queste anziché “strategiche” sono sempre più spesso definite “critiche”, vulnerabili, ecc.1. Tuttavia, al di là dell’ambiguità del termine, il ruolo strategico delle fonti di energia – ed in particolare del petrolio – discende dalla concomitanza di tre elementi:

• esse sono necessarie alla sicurezza fisica dello stato (includente anche la sicurezza economica);

• la domanda è in larga misura coperta con importazioni;

1 Per una discussione sul concetto di materia prima strategica, cfr. U. Bilardo, G. Mureddu; “Geopolitica Mediterranea e carattere strategico delle materie prime industriali e dell’energia”. In La sicurezza nel Mediterraneo, 1986.

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Nel rifornimento di prodotti petroliferi ai Paesi europei ha un

ruolo rilevante il contributo di Paesi

esportatori non europei

• esistono rischi di interruzione o rallentamento, sia pure temporaneo, dell’approvvigionamento2.

Per quanto riguarda il più specifico riferimento all’area mediterranea va anche sottolineato che il sistema dei trasporti che serve i paesi del Mediterraneo si inscrive in senso geometrico nello stesso bacino e i trasporti marittimi petroliferi, oltre a transitare in passaggi naturali obbligati, hanno un grande peso relativo rispetto ad altri tipi di trasporto con baricentro esterno all’area. Ciò implica evidentemente un rischio aggiuntivo nell’ambito di scenari basati su ipotesi di ridotta sicurezza delle rotte mediterranee. Va anche segnalato che nel rifornimento di prodotti petroliferi ai paesi europei ha un ruolo rilevante il contributo di paesi esportatori non europei, non solo per quanto concerne i greggi, ma anche i prodotti petroliferi (Tabella 14).

Greggio

(migliaia di b/g)

Prodotti (migliaia di

b/g)

Incidenza in % sul consumo della CEE

Contributo dei Paesi esportatori con attività a valle in Europa3

Greggio trattato nelle loro raffinerie in Europa 525 499 5,0

Accordi di lavorazione del greggio 148 141 1,4 Prodotti importati per la loro rete di distribuzione - 95 0,9

Totale 673 735 7,3 Contributo degli altri Paesi esportatori non europei

Accordi di lavorazione4 300 86 0,8 Prodotti importati di cui: - 1.860 18,5 PEP - 690 6,9 OCSE - 360 3,6 Altri - 810 8,0 Totale 300 1.946 19,3 Totale esclusi i paesi OCSE e PEP 973 1.631 16,1 Totale complessivo 973 2.681 26,7

Tabella 14 - Contributo dei Paesi esportatori non europei ai rifornimenti di prodotti petroliferi nella CEE.

(1987 – 10,6 milioni di b/g). Fonte: AGIP.

Le implicazioni della sicurezza di approvvigionamento energetico

2 Cfr. D. Yergin, M. Hillebrand (a cura di), Global Insecurity: A strategy for Energy and Economic Renewal, Penguin Book, Londra 1982. 3 Venezuela, Kuwait, Messico, Abu Dhabi e Libia. 4 Comprende i 210.000 b/g non considerati come prodotti, poiché sono reimportati dal paese proprietario del greggio.

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Per garantire la “sicurezza” è

importante conoscere la specificità degli

usi militari dei prodotti petroliferi

Per la sicurezza è inoltre fondamentale la vulnerabilità fisica

delle singole componenti del

sistema di approvvigionamento

sulla “sicurezza” in generale sono uno degli aspetti presi in esame in questo rapporto. Sono state infatti esaminate alcune circostanze in cui il petrolio finisce con l’avere un ruolo non del tutto trascurabile anche nella sicurezza intesa in senso più stretto. Un primo aspetto rilevante su cui non sempre le informazioni disponibili sono soddisfacenti, è la specificità degli usi militari dei prodotti petroliferi. Le materie prime energetiche entrano come input fondamentali nel funzionamento degli armamenti e delle attrezzature militari e il loro ruolo è accentuato dal fatto che molto spesso i consumi militari si rivolgono a prodotti non standardizzati, la cui preparazione, importazione o stoccaggio non possono seguire i normali canali commerciali e comportano normalmente un maggiore grado di vulnerabilità degli approvvigionamenti. Un secondo tema importante è quello della vulnerabilità fisica si singole componenti del sistema di approvvigionamento energetico (porti, terminali, oleodotti, ecc.). La valutazione di questo aspetto, oltre ad essere necessaria in relazione alle possibili conseguenze sugli obiettivi già menzionati della continuità di funzionamento dell’industria nazionale, può essere rilevante anche con riferimento a più specifici aspetti della sicurezza: tra gli altri, la necessità di soddisfare la domanda energetica militare e l’assunzione di valore energetico (politico o militare) da parti delle componenti del detto sistema. Va infine sottolineato preliminarmente che origine di insicurezza o di pericolo può anche non essere un’azione volutamente destabilizzante (azione politica, situazione di conflitto, attentato, ecc.), bensì un fattore involontario di crisi (ad esempio grave incidente nell’area). Benché esistano ovviamente delle differenze tra i due casi, non sono tuttavia pochi gli elementi in comune, sia sotto il piano del quadro di conoscenze da predisporre per evitare indesiderabili “effetti” sorpresa, sia sotto quello delle risposte da approntare. 4.1.1 Gli elementi vulnerabili del sistema Come si è detto nella premessa, questo paragrafo, dedicato ad individuare gli elementi più vulnerabili del sistema di approvvigionamento, è rivolto non a fornire un quadro il più completo possibile di tali elementi, bensì ad indicarne le principali categorie, riconducibili ai seguenti due grandi raggruppamenti:

A) possibili obiettivi di destabilizzazione e elementi la cui vulnerabilità comporti il rischio di gravi strozzature funzionali;

B) elementi i quali, pur non essendo cruciali per il

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In Italia la capacità di sostituzione delle

attrezzature di ricezione è tutt’altro

che elastica

funzionamento complessivo dei normali meccanismi di approvvigionamento, possano implicare, nel caso in cui siano messi in pericolo, scelte politiche o politico-militari atte ad eliminare o neutralizzare il pericolo stesso.

All’interno del gruppo A, il primo elemento da considerare è costituito dal sistema portuale attrezzato per carico e scarico di idrocarburi. Gli arrivi di greggio in Italia avvengono attraverso una quindicina di porti, e sono concentrati, per quasi il 65% nei quattro porti maggiori (Tabella 15). Va sottolineato che l’improvvisa indisponibilità di una grande struttura portuale non sarebbe facilmente ovviabile con la sostituzione da parte di altre, in quanto la capacità delle attrezzature di ricezione (pontili, isole, campi boe) è, almeno in Italia, tutt’altro che elastica.

Migliaia di T La Spezia 40 Ravenna 250 Gela 1800 Falconara 2400 Napoli 2600 Fiumicino 2600 Milazzo 2700 Taranto 3000 Livorno 3600 Savona 4650 Venezia 4800 Augusta – Priolo 5800 Siracusa – Melilli5 10600 Cagliari (Pt. Foxi) 11600 Trieste6 17660 Genova - Multedo7 21400

Tabella 15 – Arrivi di greggio nei porti italiani – Anno 1987.

Fonte: Elaborazione dati Ministero Industria.

Un secondo elemento da considerare è la rete di depositi di oli minerali, inclusi sia il petrolio greggio che i principali derivati del petrolio. I dati disponibili sulla ripartizione geografica (per regione e circoscrizione territoriale) degli stessi sembrano indicare scarse possibilità di sconvolgimenti derivanti dalla eventuale indisponibilità di una o poche strutture di deposito: descrivono infatti una situazione di localizzazione capillare, legata alla diffusione territoriale della domanda commerciale (Tabella 16).

5 Gli arrivi nel porto Siracusa - Melilli includono anche quelli in arrivo nel porto di Augusta - Siracusa. 6 Per il porto di Trieste sono inclusi i greggi movimentati attraverso l’oleodotto TAL. 7 Per il porto di Genova sono inclusi i greggi movimentati attraverso l’oleodotto CEL.

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Numero depositi

Capacità di decreto % Capacità

Collaudata % Capacità non collaudata

Piemonte Valle d’Aosta Liguria Lombardia Trentino Alto Adige Friuli Venezia Giulia Veneto Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia8 Sardegna TOTALE

76 3

40 142

13 24 60 47 57 10 15 47 14

3 56 43

6 21 30 36

7431

3.041,674 6,540

4.813,947 3.700,638

15,313 2.395,405 3.238,166 1.551,282 1.447,755

86,455 156,589

3.246,783 135,016

18,530 630,290

1.877,229 68,659

516,634 1.043,660 1.483,437

29.473,842

2.829,198 6,537

4.604,907 3.335,032

14,344 2.354,032 2.745,203 1.229,903 1.025,097

86,255 154,589

2.423,082 131,398

18,530 623,559

1.735,319 68,659

501,161 1.043,650 1.208,523

26,138,978

212,477 267

209,040 361,838

969 41,373

493,654 324,377 422,658

200 2

823,703 3,618

- 7,450

142,036 -

14,313 10

274,904 3.334,887

Tabella 16 – Localizzazione dei depositi di oli minerari italiani (migliaia di m3).

Fonte: Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (dati riportati in Rapporto sull’Energia, cit.).

Oleodotti per greggio Km Proprietà Genova-Ferrera (PV)9 Ferrera (PV)-Gran San Bernardo10 Ferrera (PV)-Passo Spluga11 Ferrera (PV)-Rho (MI) Ferrera (PV)-Casirate (BG) Genova-Lacchiarella (MI)-Villasanta (MI) Villasanta (MI)-Vimercate (MI) Genova-Busalla (GE) Quiliano (SA)-Trecate (NO) La Spezia-Arcola (SP) Porto Marghera (VE)-Mantova Trieste-Timau (UD)12 Fiumicino (RM)-Pantano del Grano (RM) Gagliano (EN)-Gela (CL)13

88 199 204 54 75

148 8

24 145

9 123 145 14 90

SNAM SNAM SNAM

IP AGIP

Monteshell-Kuwait Petroleum SNAM IPLOM

SARPOM Arcola Pontoil

SIOT Raffineria di Roma

ENICHEM

Tabella 17 – Oleodotti in esercizio al 1 gennaio 1988 (lunghezza in Km). Fonte: Rapporto sull’energia, cit. (1988).

8 Dati incompleti 9 Primo tronco dell’oleodotto dell’Europa Centrale (CEL). 10 Tratto italiano del tronco Ferrera - Aigle del CEL. 11 Tratto italiano del tronco Ferrera - Ingolstadt del CEL. 12 Tratto italiano del tronco Ferrera - Ingolstadt del CEL. 13 Fuori esercizio.

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Tuttavia, esiste una concentrazione non irrilevante per almeno quattro prodotti, due dei quali sono direttamente legati alla domanda militare: carboturbo petrolio, di cui esiste un solo grande impianto di stoccaggio di 340.000 mc, e soprattutto carboturbo JP-4, di specifico uso militare. Gli altri due prodotti il cui deposito è maggiormente concentrato sono il petrolio greggio (14 depositi con capacità media 340.000 mc) e la virgin naphta (10 depositi con una capacità media di 63,6 mila mc). Di importanza certamente non inferiore – e necessariamente oggetto di considerazioni sulla vulnerabilità – sono gli oleodotti, di cui un elenco è fornito dalle Tabelle 17, 18 e 19.

Capacità effettiva

(tecnico-bilanciata) (milioni di t/anno)

Lavorazione del ciclo primario (migliaia di t)

Tasso di percentuale di

utilizzo Società Località

1980 1987 1987 % Alma Api Aquila Arcola Eni Eni Eni Eni Eni Eni Eni Erg Esso Icip Ipiom Isab Mobil Oil Raff. Di Roma Saras Sarpom Seim Tamoil IP IP Lombarda Petroli Montedison San Quirico Sardoil Sarni (KPC) Sarom Sarom

Ravenna Falconara Trieste14 Arcola Porto Marghera Sannazzaro Rho Livorno Milazzo Gela15 Taranto Genova16 Augusta Mantova Busalla Priolo G. Napoli Pantano Sarroch Trecate Priolo G. Cremona La Spezia Gaeta Villasanta16

Brindisi16

San Quirico16

Porto Torres16

Bertonico16

Ravenna16

Volpiano16

0,4 3,3

4,25 1,0 4,5

10,0 4,0 5,2

17,3 4,4 4,2 5,8

11,1 2,55

1,6 11,0

5,4 4,5

15,3 11,9 17,3 4,25 4,25

3,1 1,2 1,6 1,6 4,8

4,25 6,6 3,9

0,3 3,3

- 1,0 4,5

10,0 4,0 5,2 8,0

2,02 4,2 5,8 9,1 2,2 1,6

11,0 4,8 4,5

15,0 11,6 11,0

3,7 - - - - - - - - -

229 2.551

- 135

3.086 6.144 2.716 3.762 2.673 3.175 3.182 3.162 7.064 1.875

975 8.583 2.791 2.854

12.363 5.018 6.378 3.361

- - - - - - - - -

114,5 77,3

- 13,5 68,6 61,4 67,9 72,3 33,4 85,0 75,8 54,5 77,6 85,2 54,6 78,0 58,1 63,4 82,4 43,3 58,0 90,8

- - - - - - - - -

TOTALE 180,550 122,7 82.077 66,9

Tabella 18 – Capacità di distillazione, quantità lavorate nel ciclo primario (anno 1987).

Fonte: ENI e Unione Petrolifera. 14 Inattiva. 15 Raffineria strutturata per la lavorazione di elevati quantitativi di semilavorati pesanti. 16 Cessata attività dal 31 marzo 1988.

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Processi catalitici Società Località Processi

termici Craking Reforming Api Eni Eni Eni Eni Eni Eni Eni Erg Esso Icip Ipiom Isab Mobil Oil Seim Raffineria di Roma Saras Sarpom Tamoil

Falconara Porto Marghera Sannazzaro Rho Livorno Milazzo Gela Taranto Genova Augusta Mantova Busalla Priolo G. Napoli Priolo G. Pantano Sarroch Trecate Cremona

1.6717 0,2018 1,4517

- - - -

1,1019 2,1020 3,0017

- 1,1017 0,4518 0,7017 1,9017 0,7018 0,5017 1,3017 1,5017 1,4017

- 1,8017

- - -

1,50 0,75

- 2,00 1,70

- -

2,10 - - -

2,4021 -

1,00 1,70

- 3,50 0,80

-

0,45 -

0,70 1,20 0,60 0,80 0,40 0,40 0,75 0,50 0,70 0,28

- -

1,50 -

0,55 -

0,60 1,30 1,00 0,45

TOTALE 20,87 17,45 12,18

Tabella 19 - Capacità di lavorazione secondaria delle raffinerie italiane (anno 1987) (106 di T). Fonte: Rapporto sull’energia (1988).

Anno Europa Medio Oriente Africa USA e

Canada America Latina

Estremo Oriente

Tot. Mondo Occidentale

1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987

158 165 159 151 154 147 138 113

86 88 91 85 84 76 81 79

173 181 178 170 169 174 171 138

7660 8572 8354 6869 6409 6664 4981 3941

193 201 202 207 201 195 179 156

204 184 177 180 191 197 186 162

8474 9391 9161 7664 7208 7453 5736 4589

Tabella 20 – Numero di nuovi campi esplorati dal 1980 al 1987 per area geografica

(esclusi i paesi ad economia pianificata), Fonte: ENI.

Nel secondo gruppo di elementi vulnerabili – che cioè non costituiscono di per sé aspetti critici dell’approvvigionamento, e tuttavia possono richiedere attenzione politica o politico-militare – vanno annoverati pozzi e campi di esplorazione (Tabella 20),

17 Visbreacking + Thermalcracking. 18 Visbreacking. 19 Coking. 20 Thermalcracking. 21 Gofiner e Hydrocracking.

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piattaforme e, ovviamente, le singole navi petrolifere. Considerazioni a parte vanno fatte per quanto concerne le piattaforme, sulla cui sicurezza molto è stato scritto in seguito al disastro della piattaforma Piper Alpha nel 1988. Le diverse analisi mettono in evidenza come continuano a presentarsi controversi alcuni aspetti dell’attività offshore (perforazione, testing, lavori sommersi, manutenzione, rifornimenti e collegamenti a terra) numerose e diffuse in tutta l’area mediterranea. Si deve innanzi tutto prendere atto del significativo abbattimento della frequenza degli incidenti nell’ambito delle attività che si svolgono sulle piattaforme, ad esclusione delle eruzioni (blow out), come è evidenziato dalla Tabella 21.

Anni

1986 – 88 0,4 1981 – 85 0,5 1976 – 80 0,9 1971 – 75 1,2 1966 – 70 1,2 1961 - 65 2,0 1956 - 60 1,8

Tabella 21 – Incidenti in piattaforma (esclusi i blow out) (% di perdite per incidenti/anno).

Fonte: Offshore Mobile Rig Accidents: 1955 to Present. Offshore Data Services Inc., Houston, 1988.

All’interno di un quadro relativamente rassicurante esistono

alcuni elementi di debolezza

Tuttavia, all’interno di questo quadro relativamente rassicurante, si possono individuare alcuni elementi di debolezza. Innanzi tutto è sempre più difficile attendersi significativi miglioramenti nella stessa direzione (nella progettazione e nella realizzazione) per i prossimi anni, tanto più che da molti segnali si può dedurre che l’andamento economico del settore non lascia prevedere un grande sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica. È innegabile, d’altra parte che la garanzia della sicurezza sia affidata in massima parte alla ricerca tecnologica attraverso fattori come la qualità dei materiali e delle attrezzature, senza voler minimizzare il ruolo dell’addestramento del personale: basti ricordare, a questo proposito quanto, in fatto di prevenzione della corrosione e di riduzione dell’intervento manuale del personale sugli impianti, si deve non soltanto alla introduzione di nuovi materiali, ma anche soprattutto all’impiego di impianti automatici o robotizzati22. Si deve inoltre notare che, mentre flette la

22 Tipico è il caso della nuova generazione di sistemi complessi delle reti di condotte funzionali alle attività di perforazione e di produzione. L’innovazione consiste nella collocazione di tutto il sistema tubiero e della relativa trasmissione dei comandi automatizzati all’interno di cassoni isolati da ogni contatto esterno (cfr. T. R. Bates jr. et al., “Rig Safety Depends on Equipment regulations and Personnel”: In Oil & Gas Journal, Special, 5 marzo 1990).

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Molto rimane da innovare nel settore

tecnologico del controllo pozzo

tensione sulla ricerca, molto rimane da innovare nel settore tecnologico del controllo pozzo. La frequenza degli incidenti in piattaforma causati da eruzioni spontanee23 è passata dal 18% del periodo 1980-1990 al 23% nel periodo 1990-2000, in assoluto contrasto con la generalizzata riduzione degli incidenti per altre cause. Sotto il profilo della sicurezza nei confronti degli eventi esterni agli aspetti tecnici (ad esempio, possibili sabotaggi) vanno anche considerate le conseguenze derivanti dalle ristrutturazioni in corso nella composizione del personale delle piattaforme, sia sotto il punto di vista del numero degli addetti, sia di quello del controllo e della definizione delle responsabilità delle compagnie che concorrono alle operazioni. Un dato significativo poco noto ma istruttivo in tal senso è quello della composizione della manodopera addetta alle attività offshore nel Mare del Nord: sorprendentemente, solo il 23% di tutti gli addetti sono dipendenti della compagnia petrolifera concessionaria, mentre il rimanente è suddiviso tra appaltatori (costruzioni, società di servizio, fornitori, ecc.) e sub-appaltatori (Tabella 22) senza contare che oltre il 50% di tutte le installazioni offshore sono possedute e gestite da ditte appaltatrici24.

%

Compagnie petrolifere concessionarie 23

Altri 6 Costruzioni 20

Rifornimenti 8

Compagnie di servizi ingegneristici 21 Appalti di perforazione 22

Tabella 22 - Composizione del personale in forza sulle installazioni offshore nel Mar del Nord.

Fonte: Grampian Regional Council, Oil and Gas Prospects: 1989 Update, Aberdeen, luglio 1989.

Né va trascurato il fatto che i vari sub-appalti spesso sono regolati sulla base di contratti a breve termine, più soggetti a rischi e meno controllabili. La scarsità di ciò che viene detto battlefield promotion nel linguaggio militare (e learning by doing nel linguaggio economico) si traduce, in termini statistici, in un aumento impressionante di tempo perduto per incidenti (dal 4,7% al 22,2% nel Mare del Nord). Dalle informazioni disponibili non c’è motivo

23 Per ciò che concerne I possibili tipi di incidente nella perforazione offshore , il pericolo maggiore è legato proprio alla perdita di controllo di un pozzo, con una eruzione di greggio (blow-out) che può verificarsi sia nella fase di perforazione che in quella di produzione. 24 La eterogeneità del personale dal punto di vista amministrativo si presenta problematica anche per quanto attiene l’esigenza di uniformità dell’addestramento.

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La chiave di lettura va individuata

nell’esigenza di attivare un’adeguata attenzione strategica

sul processo di deterioramento del

sistema di produzione e

circolazione del petrolio

Il Caso Exxon-Valdez costituisce la Pearl Harbour del traffico marittimo

per ritenere che nell’Adriatico, o in generale nel Mediterraneo; la situazione sia diversa. È anzi probabile che in alcune aree lungo le coste mediterranee, agli interessi delle compagnie petrolifere – incluso l’Ente pubblico italiano – non corrispondano sempre un equivalente sicurezza nel controllo della gestione. Analoghe circostanze sembrano verificarsi in altri tipi di impianti e attrezzature. 4.1.2 Ulteriori considerazioni L’accesso ad una fonte energetica fortemente movimentata, presenta già correntemente un rispettabile coefficiente di rischi tecnico. La chiave di lettura che si è sottintesa non va tanto individuata nell’angolo visuale aperto sui tradizionali punti deboli della struttura dell’approvvigionamento, quanto nell’esigenza di attivare un’adeguata attenzione strategica sul processo di deterioramento del sistema di produzione e circolazione del petrolio. Le malattie possono essere note e abituali, ma è il sistema immunitario che va posto sotto osservazione se non si vuole che alla visione del quadro complessivo sfuggano non soltanto gli imprevedibili deterioramenti ma anche quelli prevedibili. È a tal fine che si è voluto sottolineare quanto e come la vulnerabilità del sistema sia soggetta a processi di degradazione, i quali generalmente rispondono a leggi di sviluppo dinamico non lineare; tutto questo implica che, a prescindere dalla capacità che si può avere di tenere sotto controllo le componenti lineari di tale evoluzione, è inevitabile che emergano epicentri di turbamento alla sicurezza energetica, con riflessi tali da esigere talvolta l’impiego anche delle forze armate. Esiste per altro una convenzionalità dei servizi di “intelligence”, che, al di là della loro efficienza, non si allontana, anche a causa della loro ortodossia istituzionale, da percorsi – revisionali e decisionali – che potremmo definire troppo lineari per poter aderire alla complessità delle catene reali di eventi. Si tratta di un livello di approssimazione non adeguata, a parer nostro, ad una interpretazione affinata di un incidente o della storia di un incidente, come quello che passerà alla storia come la Pearl Harbour del traffico marittimo. Il caso Exxon-Valdez è infatti esemplare: raccomandiamo la lettura del rapporto ufficiale sull’incidente al Presidente degli Stati Uniti25. Tutto sembrava essere stato studiato (modalità dell’incidente, effetti, ecc.) e predisposto (linee generali di intervento, piani di emergenza locali, regionali e federali); e tuttavia i risultati furono disastrosi perché fu grande l’effetto sorpresa almeno in relazione alla gravità dell’emergenza da affrontare, al conflitto di competenze emerso, alla mancanza di esperienza.

25 S. K. Skinner, W. Reilly, The Exxon Valdez Oil Spill – A Report to the President, maggio 1989. 26 ENEA; Rapporto Energia e Ambiente. Bibliografia 15).

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In Italia l’applicazione dei

piani di emergenza è delegata a una serie

di strutture non adeguatamente

attrezzate o in regola con gli obblighi di

legge

Manca la percezione della gravità degli

eventi e un affinamento delle

analisi di sensibilità e di previsione che tengano conto della

interconnessione degli aspetti militari,

tecnologici ed economici

Nella percezione collettiva, uno degli effetti più duraturi dei fenomeni cosiddetti di disastro è certamente l’esperienza traumatica associata al carattere di sorpresa proprio dell’evento, sia esso naturale o causato dall’uomo. Se si prende in esame la documentazione ufficiale relativa agli incidenti di oil spills che hanno interessato gli ultimi anni, è innegabile una forte analogia tra eventi e comportamenti di questo tipo con quanto si verifica in corrispondenza delle “sorprese” strategico-militari, molte delle quali, pur non essendo imprevedibili, e talvolta sono addirittura preannunciate da segnali attendibili e indizi fondati, vengono tuttavia trascurate o sottovalutate nella loro gravità. Nel campo degli oil spills l’applicazione dei piani di emergenza è delegata in Italia ad una serie di strutture (Ministero della Marina Mercantile, Ministero della Protezione Civile, Ministero dell’Interno, ecc.) che non si presentano, stando a quanto manifestato anche in sede di controllo amministrativo da parte degli organi costituzionali, adeguatamente attrezzate o semplicemente in regola con gli obblighi di legge. Questa situazione è ben nota ai quadri militari, che d’altra parte sanno di essere chiamati a collaborare con uomini, mezzi e programmi. Ma fino a che punto c’è consapevolezza che le forze armate possono essere non solo coinvolte, ma poste in prima fila per arginare situazioni di emergenza con interventi di cui non hanno la piena responsabilità. L’informazione, quindi, può anche esserci e addirittura essere ridondante; ma forse manca la percezione della gravità degli eventi e un affinamento delle analisi di sensibilità e di previsione che tenga adeguatamente conto della interconnessione di aspetti militari, tecnologici ed economici, oltre che della dinamica dei giudizi di valore (ad esempio in campo ambientale) e della geopolitica. Ci siamo guardati dal formulare piani di intervento in campo militare (obiettivi intermedi), oltre per il fatto che non è di nostra competenza, tenendo anche presente che l’intervanto militare non sempre è necessario; anche perché, quando pure lo sia, esso è solo una parte di una risposta più complessa: quanto più matura (avveduta, strategica) è la risposta militare, meglio è (se non altro perché si collega meglio ad altri interventi). Quello militare, ad ogni modo, non è pensabile possa essere un intervento di lungo periodo; e anche nel medio periodo presenta forti limitazioni e potrà essere circoscritto, se le circostanze lo richiedono e lo consentono, ad operazioni di scorta e controlli. È invece nel breve periodo che possono più facilmente verificarsi le condizioni per un intervento militare, tenendo presente che, quanto più esso può essere rilevante o determinante, tanto più può giocare l’effetto sorpresa. In conclusione, dobbiamo chiederci quale sia in Italia il livello di “organizzazione sensibile” cui è devoluta la previsione dell’imprevedibile, ossia il compito di approssimarsi

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La cultura della previsione è

saldamente installata negli stati maggiori

delle grandi compagnie

sopranazionali

Il disaccoppiamento tra le emissioni e il consumo di fonti fossili primarie

dimostra l’efficacia dell’abbattimento

delle sostanze inquinanti

all’imprevedibile nel modo più alto e con la griglia più fitta possibile. La cultura della previsione, saldamente installata negli apparati di sicurezza degli interessi militari e di Stato, oltre che negli stati maggiori delle grandi compagnie sopranazionali, è stata trasmessa agli apparati tecnici che pure già operano nel settore della sicurezza e che si confrontano sistematicamente con problemi non strettamente militari. Eppure, dai servizi di “intelligence” tradizionali hanno via via preso esempio nuove attività di attenzione strategica nei più svariati campi di operazioni, dall’industria ai servizi di previsione degli eventi sismici, all’andamento dei mercati finanziari. L’efficacia di tali organizzazioni si basa fondamentalmente sulla capacità di risposta ad un certo numero di requisiti: uno di questi è certamente l’acquisizione e l’aggiornamento di un patrimonio di dati esteso e preordinato alle più diverse utilizzazioni; un secondo può farsi consistere nella capacità di interpretare, sulla base di tali dati, scenari e ipotesi, individuando le vulnerabilità occulte (gli esiti di quelle che abbiamo chiamato “dinamiche non lineari”), oltre che le misure atte alla prevenzione e al controllo degli eventi; una terza esigenza è il concorso di flessibilità alle specificità delle emergenze contingenti e di continuità nell’alimentare con contributi interdisciplinari lo sviluppo della ricerca e le ragioni delle scelte di sicurezza strategica regionale o nazionale. 4.2 Sintesi della situazione ambientale nazionale I risvolti ambientali dei consumi energetici nazionali vengono riportati prevalentemente in termini di indicatori di pressione (le emissioni di gas inquinanti e di gas serra) e di stato (la qualità dell’aria in termini di concentrazioni)26. Sulla base di serie di dati di emissione omogenei sul periodo 1980-1997, si ottengono indicazioni abbastanza immediate sulla pressione e sugli effetti provocati dalle politiche di risposte del sistema Italia. Il disaccoppiamento fin dai primi anni '80 dell'andamento delle emissioni di biossido di zolfo (SO2) rispetto sia al consumo di fonti fossili primarie che al PIL, dimostra l'efficacia della risposta per quanto concerne l'abbattimento delle emissioni di questo inquinante. In effetti la penetrazione del gas naturale, insieme a normativa sempre più stringenti sul tenore di zolfo nei combustibili liquidi e solidi, hanno portato a forti riduzioni delle emissioni di SO2. Si pertanto potuto rispettare il protocollo di Helsinki (nell'ambito della Convenzione di Ginevra sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero) che prevedeva la riduzione entro il 1993 delle emissioni italiane di zolfo del 30% rispetto ai livelli del 1980, e la netta riduzione delle concentrazioni in aria di SO2, che costituivano un enorme problema soprattutto per le grandi metropoli del nord negli anni '70 fino ai primi anni '80. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto (NOx), solo negli anni più recenti si comincia a percepire chiaramente l'effetto positivo del rinnovo del parco veicolare nel settore trasporti (per quanto

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Dai dati non si intravede una

efficace impegno del Paese contro

l’emissione di CO2

stemperato dall'aumento del parco stesso e delle percorrenze), e dell'implementazione di processi, tecnologie e tecniche più pulite nei settori industriali manifatturieri e di produzione elettrica. Si è così rispettato il protocollo di Sofia sulle emissioni di ossidi di azoto, che prevedeva di stabilizzare entro il 1994 le emissioni di ossidi di azoto rispetto ai livelli del 1987. In effetti le emissioni di NOx, nel periodo 1986-1992 crescono più rapidamente del consumo di fonti fossili quasi al livello del PIL. Il disaccoppiamento tra emissioni di NOx da un lato e consumo di fonti fossili e PIL dall'altro, si vede solo a partire dal 1993. Le emissioni di anidride carbonica (CO2) sono fortemente correlate con il consumo di combustibili fossili. Dai dati di emissione fino al 1997 non si intravede una efficace risposta del sistema paese all'impegno degli obiettivi nazionali di riduzione dei gas serra definiti dall'Unione Europea in vista dell'attuazione del Protocollo di Kyoto (riduzione del 6,5% delle emissioni annue di gas serra calcolate come media del periodo 2008-2012 rispetto alle emissioni del 1990). Da un paragone dei dati di emissioni medie pro capite dei principali gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto, espressi in CO2 equivalenti) con i Paesi industrializzati e quelli a economia in transizione, e con l’Unione Europea a 15, si nota che le emissioni pro capite di gas serra, così come gli indicatori di intensità energetica e di intensità di carbonio del nostro Paese sono al di sotto delle medie relative alle altre due aggregazioni. Peraltro l'Italia è in controtendenza rispetto a tutti e due gli aggregati, nel senso che a un decremento delle emissioni medie pro capite sia nei Paesi industrializzati e a economia in transizione che nell'Unione Europea dei 15, si riscontra un lieve incremento in Italia. Il biossido di zolfo non supera gli standard di legge per la protezione della salute. Sussistono invece alcuni problemi per la protezione degli ecosistemi in 8 province sulle 42 per le quali si dispone di informazioni. Non si riscontrano superamenti degli standard di qualità attualmente in vigore per il particolato totale (PST), mentre i pochi dati misurati a disposizione sul particolato sottile (PM10) evidenziano situazioni di criticità. Anche per il benzene come per il PM10 i pochi dati disponibili rilevano situazioni di criticità. Sono evidenti le diminuzioni di concentrazione di monossido di carbonio direttamente correlabili con il calo delle emissioni nelle aree urbane; quattro province su 36 hanno registrato nel 1998 superamenti del limite orario e per 23 c'è un rischio significativo di superamento del limite su 8 ore. Sembra rilevabile una tendenza alla diminuzione dei picchi di concentrazione di biossido di azoto in alcune aree urbane, probabilmente dovuta alle misure di emergenza per fronteggiare gli stati di attenzione e di allarme (per esempio blocchi del traffico); in ogni caso con riferimento al 1998 solo 2 province su 33 hanno superato il limite di legge annuale.

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Sono presenti dati contrastanti circa lo stato dell’ozono su tutto il territorio

nazionale

Infine l'ozono presenta situazioni fortemente critiche su tutto il territorio nazionale: su 39 province per le quali si dispone di informazioni relative al 1998, 5 superano il livello di allarme (360 g/m3), 32 superano il livello di attenzione (180 mg/ml). Il recepimento dei nuovi standard di qualità dell'aria porrà sicuramente nuovi problemi per tutti gli inquinanti considerati, in particolare ozono, PM10 e benzene. Infatti l'ozono è un inquinante secondario; il contenimento delle sue concentrazioni può avvenire in maniera efficace con strategie a livello nazionale e sopranazionale. Anche per il PM10 e più ancora per il particolato fine (PM2,5) quote significative sono di origine secondaria.

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