Economia e sociologia del prestigio: sulla genesi di ... · è senz’altro quello della...

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Terenzio Maccabelli ECONOMIA E SOCIOLOGIA DEL PRESTIGIO: SULLA GENESI DI ALCUNE CATEGORIE CONCETTUALI TRA OTTO E NOVECENTO Premessa ..................................................................................... 3 Moda, imitazione, distinzione e prestigio .................................. 5 L’emulazione e il prestigio pecuniario..................................... 12 Consumo e psicologia del prestigio ......................................... 17 Il fattore prestigio nella concorrenza economica ..................... 19 Onore, prestigio e potere .......................................................... 22 Considerazioni conclusive ....................................................... 25

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Terenzio Maccabelli

ECONOMIA E SOCIOLOGIA DEL PRESTIGIO:SULLA GENESI DI ALCUNE CATEGORIE CONCETTUALI

TRA OTTO E NOVECENTO

Premessa.....................................................................................3

Moda, imitazione, distinzione e prestigio ..................................5

L’emulazione e il prestigio pecuniario.....................................12

Consumo e psicologia del prestigio .........................................17

Il fattore prestigio nella concorrenza economica .....................19

Onore, prestigio e potere ..........................................................22

Considerazioni conclusive .......................................................25

Il presente lavoro, ancora in corso di svolgimento, è parte di una ricercacollettiva sul Prestigio coordinata e diretta dal Prof. Marco Bianchini

Economia e sociologia del prestigio 3

Premessa

“Fra gli uomini, in qualunque società vivevano e indipendentemente dalleleggi che si sono date, esiste una certa quantità di beni reali o convenzionali che,per loro natura, non possono appartenere che a un piccolo numero. Davanti atutto metterei la nascita, la ricchezza e il sapere; non si potrebbe concepire unostato sociale in cui tutti i cittadini fossero nobili, colti e ricchi. I beni di cui parlosono molto diversi tra loro, ma hanno una caratteristica comune: quella di nonpoter essere appannaggio se non di un numero ristretto e di conferire, proprio perquesta ragione, a tutti coloro che li posseggono gusti distinti e idee esclusive; talibeni, perciò, costituiscono come altrettanti elementi aristocratici che separati oaccumulati nelle stesse mani si ritrovano presso tutti i popoli in ogni epocastorica”1.

Espressa in forma di legge universale delle società umane, questa sentenza diAlexis de Tocquivelle appare dischiudere in modo esemplare il tratto saliente diogni fenomenologia del “prestigio”: i beni simbolici per mezzo dei quali si palesala distinzione e la differenziazione sociale non sarebbero tali se non fosserolimitati e esclusivi, perdendo diversamente la loro caratteristica essenziale2. Ilprestigio, qualunque definizione di esso si voglia dare, non potrà eludere la ferrealegge che caratterizza i beni di distinzione, siano essi “materiali”, come laricchezza, o “convenzionali”, come la nobiltà e il sapere.

È utile sottolineare anche un secondo aspetto messo in evidenza dallo storicofrancese, cioè la progressiva differenziazione dei piani su cui diventa possibileesibire la distinzione sociale. L’accentramento dei simboli del prestigio presso ununico gruppo sociale comincia infatti a far spazio a un’articolazione sempre piùaccentuata, come dimostra il fatto che già “nel secolo XVIII molti ricchi nonerano nobili e molti nobili non erano più ricchi” (e lo stesso fenomeno siriscontrava “nei confronti della cultura”). In altre parole, quanto Tocquevilletiene a sottolineare è che se l’esistenza dei beni di distinzione (o aristocratici) èuniversale, non lo è il fatto che siano “accumulati nelle stesse mani”, potendoessere “separati” e distribuiti in gruppi sociali eterogenei. Da qui il fermento el’angoscia delle classi nobiliari: rappresentanti di un ordine sociale dovericchezza, status, potere e prestigio erano sempre apparsi come elementiindistinguibili, mostrano una crescente insofferenza nei riguardi della mobilitàdelle nuove ricchezze commerciali, dato il non velato timore “di decadere dalrango”, o di vedere “altri cittadini condividerne i privilegi”. Di fronte allaprospettiva della decadenza patrimoniale, vi era anche una certa ritrosia neiconfronti dei matrimoni d’interesse con i nuovi ceti, perché “questi matrimoni

1 A. DE TOCQUEVILLE, Political and Social Condition of France, “The London and

Westminster Review”, 1836, trad. it. in ID., L’antico regime e la rivoluzione, Einaudi,Torino, 1989, p. 15

2 È inutile sottolineare l’analogia con il concetto di “ricchezza oligarchica” – comedefinito da Roy Harrod in contrapposizione alla “ricchezza democratica”, accessibile atutti – poi ripreso nella celebre analisi di Fred Hirsch dei “beni posizionali” (cfr. F.HIRSCH, I limiti sociali allo sviluppo, trad. it. Bompiani, Milano, 1991).

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volgari, che arricchivano qualche membro della nobiltà, finivano col togliereall’intero corpo nobiliare il prestigio dell’opinione, l’unica cosa che gli fosserimasta”3.

Il fenomeno su cui Tocqueville concentra la propria analisi non è altro, insostanza, che l’allentamento del legame ricorrente tra il possesso della terra e laposizione o il prestigio sociale. L’elemento nuovo, il fattore disgregante di questomillenario ordine economico, è rappresentato dalla circolazione del denaro, ilmedium impersonale che si frappone tra le persone e le cose e che, in quanto tale,diventa alla portata di tutti. È infatti grazie alla diffusione dell’economiamonetaria che la proprietà perde la sua caratterizzazione “personale”, generandoquel progressivo avvicinamento tra i ceti che agli occhi Tocqueville appare comeil tratto più appariscente della società moderna. Non diversamente dal processoche sul piano delle relazioni politiche e sociali ha portato al fenomeno della“spersonalizzazione” dell’autorità, anche la diffusione del denaro pone dunque sunuove basi le condizioni di riproduzione del prestigio.

Non è un caso che, a qualche anno di distanza dalle osservazioni diTocqueville, un altro disincantato osservatore della società moderna, anch’egli diorigine aristocratica, ponga l’accento sulle nuove manifestazioni del prestigio,alla luce dei radicali cambiamenti prodotti dalla diffusione del denaro. Prendendoin considerazione ciò che è il simbolo dell’economia monetaria, cioè la Citylondinese, Walter Bagehot offre in un breve profilo l’immagine impressionisticadi una delle figure più autorevoli della società industriale, il governatore dellaBanca centrale. Alla prospettiva di rendere permanente tale carica, Bagehotrisponde sottolineando come il Governatore della Banca d’Inghilterra diverrebbein questo caso “one of the most powerful men in England. He would be a little‘monarch’ in the City; he would be far greater than the ‘Lord Mayor’ (...) Hewould be constantly clothed with an almost indefinite prestige”. L’attrattiva di unsimile prestigio sarebbe talmente forte da spingere numerosi uomini d’affari adaccettare la carica anche senza remunerazione, se non addirittura essere disposti apagare pur di ricoprire tale ruolo (ma la stessa cosa, aggiunge Bagehot, non sipotrebbe dire nel caso del vice-Governatore, una carica essenzialmente basatasulla “subordinazione” per la quale manca la medesima aspettativa legata alprestigio personale). Insomma, l’ufficio di Governatore della Banca d’Inghilterradimostra quanto potente possa essere il richiamo del prestigio, con tutti i pericoliconnessi all’eventualità che nella lotta per raggiungere tale posizione finiscanoper prevalere uomini mossi esclusivamente dal desiderio della vanità. Un rischiocapace di diventare ancora più incombente se per la carica di Governatore fosseprevista una ingente remunerazione, perché, sottolinea Bagehot, “a position withso much real power and so much apparent dignity would be intensely coveted (...)A very high pay of prestige is almost always very dangerous”4.

3 A. DE TOCQUEVILLE, Political and Social Condition of France, cit., p. 12-17.4 W. BAGEHOT, Lombard Street. A Description of the Money Market [1873], in The

Collected Works of Walter Bagehot, edited by N. St John-Stevas, The Economist,London, 1978, p. 161, corsivi aggiunti.

Economia e sociologia del prestigio 5

Tanto Tocqueville quanto Bagehot appaiano tra i primi studiosi, nel corsodell’Ottocento, a fare uso del termine prestigio nell’accezione moderna. Le loroosservazioni testimoniano il graduale passaggio semantico del prestigio, che daparola usata esclusivamente per designare “illusione”, “apparenza” o “artificio”,quelli tipici dei “giochi di prestigio”5, si trasforma lentamente in concettocaratterizzante distinzione, autorevolezza, reputazione6. Se Tocqueville descrivechiaramente, riferendosi a quei “beni convenzionali” che sono prerogativa digruppi sociali circoscritti e che trovano riconoscimento nell’“opinione”, gliaspetti essenziali di ogni manifestazione del prestigio, Bagehot richiamal’attenzione sul potere di alcune mansioni o occupazioni di possedere “prestigio”in quanto tali, indipendentemente dalle caratteristiche delle persone a esseadibite. Non si può negare, tuttavia, che le osservazioni sul prestigio dei duestudiosi siano alquanto incidentali, non essendo legate a una riflessionesistematica e organica sul nuovo significato associato alla parola prestigio. Dettoin altri termini, si potrebbe dire che se il “prestigio”, nella sua nuova accezione,era ormai un’acquisizione definitiva del linguaggio comune, non lo era ancora dalpunto di vista “teorico” o “concettuale”. Questa consapevolezza sembramanifestarsi non prima dell’ultimo decennio dell’Ottocento, quando il contributodi un eterogeneo gruppo di autori, diversamente distribuiti anche dal punto divista geografico, pone al centro del discorso sociale la questione del prestigio.Quasi indipendentemente l’uno dall’altro, Gabriel Tarde, George Simmel,Thorstein Veblen, John Hobson, Max Weber – i principali autori di cui ci sioccuperà in queste pagine – gettano le basi di una sorta di “economia e sociologiadel prestigio”, con contributi dai quali ancora oggi è difficile prescindere peravere lumi sull’argomento. L’obiettivo di queste pagine è appunto documentarel’interesse davvero singolare che gli autori sopra menzionati mostrano neiconfronti del prestigio, vocabolo che nelle loro opere ricopre non soltanto unruolo retorico ma acquista, seppure in modi diversi, una rilevanza teorica econcettuale di fondamentale importanza.

Moda, imitazione, distinzione e prestigio

Uno dei temi che sul finire dell’Ottocento appare tra i più fecondi nel favorirela discussione del prestigio, in quanto categoria interpretativa della realtà sociale,è senz’altro quello della “moda”. Sebbene la questione emerga in tutta la sua

5 È questo il significato che prevale ancora in tutto il Settecento, come dimostra la voce

dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alambert: “Prestige, illusion faite aux sense, parartifice. Moïse en transoformant sa verge en serpent, fit en miracle. Les magiciens entrasformant leurs baguettes en serpent, ne firent que des prestiges. C’est que le serpaintfait de la verge de Moïse étoit un vrai serpent. Et que les serpents faits des verges desmagiciens, n’en étoient que des apparences”, (Encyclopédie, ou dictionnaire raisonnédes sciences, des arts et des métiers, Second Edition, Lucca, 1769, t. XIII, p. 269).

6 Cfr. S. MAGNANI, Le dimensioni culturali del prestigio, tesi di laurea, Università degliStudi di Parma, relatore Prof. Marco Bianchini, anno accademico 1993-1994.

Economia e sociologia del prestigio6

complessità nell’opera di Herbert Spencer7, in queste pagine si è focalizzatal’attenzione soprattutto sull’ultimo decennio del secolo scorso. La scelta del1890, data di pubblicazione della Differenziazione sociale di George Simmel e deLe leggi dell’imitazione di Gabriel Tarde, come termine a quo della nostraricostruzione è dovuta al fatto che i due studiosi sembrano essere stati i primi,nell’ambito del dibattito sulla moda, a proporre delle griglie concettuali nel cuiambito comprendere il fenomeno del prestigio.

Nella Differenziazione sociale George Simmel delinea con precisione le lineedi un programma di ricerca sul quale ritornerà, con continui arricchimenti eintegrazioni, nelle opere successive. Il problema sollevato dallo studioso tedescoriguarda i complessi rapporti che intercorrono tra le prerogative del singolo, cioètutto ciò che fa capo all’individuo e alla sua libertà, e quelle della collettività,nelle diverse forme in cui questa esercita costrizioni sull’individuo. Si tratta diuna questione antichissima che ha una valenza non soltanto politica ma anche“scientifica” e “conoscitiva”. Essa, infatti, mette in campo l’una contro l’altra lecontrastanti metodologie di ricerca che si richiamo rispettivamenteall’individualismo e all’olismo: la spiegazione dei fatti sociali deve basarsi sullemotivazioni e sulle azioni individuali, essendo queste sufficienti a rendere contodei fenomeni, o deve partire dalle entità collettive, dando loro una vita autonomache preesiste agli individui? È inutile sottolineare quanto questo problema sia difondamentale importanza anche per descrivere e spiegare le manifestazioni delprestigio, fenomeno che si colloca sul crinale delle convenzioni sociali e dellemotivazioni individuali. Se da una parte il prestigio rimanda a regole prestabiliteattraverso le quali ogni società definisce le modalità di attribuzione della fama,del rispetto e della considerazione, dall’altra esso è una fonte di stima chepromana dal comportamento individuale. Inoltre, se da una parte il prestigiocontribuisce alla coesione e all’amalgama comunitario, dall’altro produce iprocessi antagonistici di differenziazione e distinzione individuale. Il dato dipartenza dell’analisi simmelliana è appunto una sorta di legge universale dellesocietà umane che si manifesta nell’eterno contrasto tra individuo e collettività:

L’identità con altri è certamente, sia come fatto che come tendenza, di importanza noninferiore alla differenziazione nei loro confronti: sono questi, nello loro forme più svariate,i due grandi principi di ogni evoluzione esterna ed interna, al punto che la storia dellaciviltà umana può essere concepita senz’altro come la storia della lotta e dei tentativi diconciliazione tra questi due principi. Ma per l’agire interno ai rapporti del singolo ladifferenza nei confronti degli altri è di un interesse di gran lunga maggiore dell’identitàcon essi. La differenziazione nei confronti di altri esseri umani è ciò che in massima partesollecita e determina la nostra attività8.

7 Cfr. D. SIMON, Moda e sociologia, Angeli, Milano, 1990.8 G. SIMMEL, La differenziazione sociale [1890], trad. it. a cura di B. Accarino, Laterza,

Bari, 1982, p. 84. Sui due poli dell’individualismo, in quanto espressione da una partedella differenza e dall’altra dell’identità con gli altri si veda la silloge di scritti di G.SIMMEL, La legge individuale e altri saggi, a cura di F. Andolfi, Pratiche, Parma,1995.

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Una delle forme concrete in cui si manifesta l’impellente bisogno delladifferenziazione è la ricerca continua della “rarità”. Il “raro”, infatti, per il solofatto di distinguersi dalla norma, “gode di un apprezzamento di valore legato allasua forma in quanto tale ed è largamente indipendente dal suo contenutospecifico”. Attraverso la distruzione delle istituzioni di antico regime vannoscomparendo le fonti tradizionali di distinzione, cioè il rango e lo status,sopraffatti dalla progressiva affermazione dell’eguaglianza di condizioni. Ilprincipio dell’identità con gli altri, prima limitato all’interno di gruppi omogeneie separati da invalicabili barriere, assume ora un valore universale, in quantoesteso all’intera società. Il bisogno di differenziazione, la ricerca di un privilegioo comunque di qualcosa di raro, essendo bisogno connaturato agli esseri umani,richiede pertanto nuovi criteri e nuove manifestazioni. Da qui il ricorso al“nuovo”, a tutto ciò che si differenzia “dalla massa dell’abituale” e che “in baseal contenuto appare come raro”9.

Nel libro del 1890, l’analisi di Simmel è rivolta al fenomeno delladifferenziazione da un punto di vista generale, senza che ancora venga postal’attenzione più da vicino sul problema del prestigio. Come si vede, tuttavia,emerge già un quadro concettuale particolarmente favorevole a recepire e darespiegazione del fenomeno del prestigio. Senza la rarità, come del resto avevasottolineato Tocqueville, non si potrebbe parlare di prestigio, in quanto una suadiffusione generalizzata lo priverebbe della caratteristica essenziale. Il problemaè che la società moderna, tramite il denaro, tende a rendere raggiungibili a molti ibeni materiali o convenzionali che definiscono il prestigio, tendenza rafforzatadalle azioni imitative messe in moto dai ceti subalterni. A parere di Simmell’imitazione rappresenta appunto un comportamento sociale “di una rilevanzagrandissima e non ancora sufficientemente sottolineata”. L’imitazione va di paripasso con lo differenziazione, e se la prima tende in ogni momento a unlivellamento, tramite la diffusione di simboli prima esclusivi e poi generalizzati(il fenomeno della moda) la seconda contribuisce a rigenerare il bisogno delnuovo, del raro e quindi la distinzione.

Si tratta di spunti che negli anni successivi, come vedremo, verrannomaggiormente messi a fuoco da Simmel, ma che nello stesso anno in cui vede laluce la Differenziazione sociale, nel 1890, vengono discussi, con ampiezza eprofondità, dal sociologo francese Gabriel Tarde. Il titolo stesso del suo libro, Leleggi dell’imitazione, testimonia immediatamente la comunanza, in quanto aproblemi e temi trattati, con lo studioso tedesco. L’imitazione si presenta infattiespressamente anche nell’opera di Tarde come il fondamento della società,mentre l’orientamento al nuovo e alla rarità sottolineato da Simmel vienericompreso entro la categoria dell’invenzione. L’aspetto più significativo è però ilfatto che oltre all’imitazione, la moda e l’invenzione subentra nello schemateorico di Tarde anche il prestigio, che assume forse per la prima volta unesplicito rilievo concettuale.

9 Ibidem, p. 83.

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“La società è imitazione, e l’imitazione è una specie di sonnambulismo”10.Questa sentenza sintetizza la convinzione del sociologo francese, per il quale lapsicologia offre la chiave di accesso tanto al meccanismo imitativo che reggel’interazione sociale quanto alla fenomenologia del prestigio. Secondo Tarde illegame tra gli individui è una sorta di stato ipnotico, molto simile a quello che sipresenta durante il sogno. Il sonnambulo, in particolare, compie azioni che sicredono spontanee e che avvengo in verità attraverso l’influsso di un comandoesterno. All’origine di tutto va posta una sorta di forza magnetica che esiste informa cristallizzata nella memoria e nei ricordi umani, che da forza potenziale sitrasforma in forza attuale quando un “magnetizzatore si trova in grado di aprirletale sbocco necessario”. Ecco allora manifestarsi in tutta la sua portata ilfenomeno del prestigio:

All’inizio di ogni società antica è occorso (...) un grande dispiegamento di autoritàesercitata da qualche uomo sovranamente imperioso ed affermativo. Hanno soprattuttoregnato, come viene affermato, con il terrore e l’impostura? No, questa spiegazione èmanifestamente insufficiente. Hanno regnato con il loro prestigio. Soltanto l’esempio delmagnetizzatore ci fa capire il senso profondo di questa parola. Il magnetizzatore non habisogno di mentire per essere creduto ciecamente dal magnetizzato; non ha bisogno diterrorizzare per essere passivamente obbedito. È prestigioso, questo dice tutto11.

Il prestigio come forza magnetica: è questa senza dubbio una potente metaforache getta nuova luce sul fenomeno in questione. Chi ha prestigio su qualcunodiventa una sorta di “magnetizzatore”, qualcosa che ha influsso e attrazione suglialtri corpi, e come tale “non ha neanche bisogno di parlare per essere creduto eper essere obbedito; gli basta agire, fare un gesto, per quanto impercettibile sia”.Questo mette in moto nel magnetizzato l’istinto imitativo, che lo porta ariprodurre i gesti e le azioni del magnetizzatore. Nella sua forma originaria ilprestigio si rivela quindi un vincolo emotivo che lega in modo unilaterale ilmagnetizzatore al magnetizzato: questi imita il primo senza che avvenga ilcontrario. Ma nello sviluppo della civiltà questo rapporto assumeprogressivamente la forma della reciprocità, tanto che le azioni magnetichelasciano spazio a una “muta imitazione, quel mutuo prestigio” che Adam Smithdefinisce simpatia. La necessità di porre il prestigio e non la simpatia alla base eall’origine della società, puntualizza Tarde, deriva comunque dal fatto che“l’unilaterale ha dovuto precedere il reciproco”12.

La reciprocità è appunto il tratto distintivo delle epoche moderne edemocratiche, caratterizzate dalla riduzione delle distanze che separano i diversiceti sociali. Il primo sintomo di questa trasformazione si può vedere nel fatto cheuna classe inferiore comincia a imitare una classe di molto superiore, e non soloquella immediatamente adiacente nella scala gerarchica. Questo è un segnaleesplicito che la distanza tra le due classi si è ridotta. Ma il passaggio ulteriore e

10 G. TARDE, Le leggi dell’imitazione [1890], trad. it. in ID., Scritti sociologici, a cura di

F. Ferrarotti, Utet, Torino, 1976, p. 13111 Ibidem, p. 121.12 Ibidem, p. 122

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più radicale avviene quando chi è imitato comincia in qualche modo a imitare“qualcuno dei suoi imitatori”:

Qualunque sia l’organizzazione della società, teocratica, aristocratica, democratica, ilcammino dell’imitazione segue sempre la stessa legge: prosegue a distanza uguale dalsuperiore all’inferiore ed, in questo, opera dall’interno all’esterno. Bisogna tuttavia notareuna differenza essenziale. Quando gli elementi di superiorità che conferiscono il tono sonotrasmessi per eredità (...) essi sono inerenti alla persona stessa vista sotto tutti i suoiaspetti. L’individuo giudicato superiore, viene imitato in tutto sembra non imitare nessunoal di sotto di lui (...) Il rapporto tra modello ed esemplare, è pressoché unilaterale. Maquando a questa aristocrazia, fondata sul legame vitale della filiazione, reale o fittizio, si èsostituita un’aristocrazia del tutto sociale nelle sue cause, scelta mediante elezionespontanea, il prestigio viene attribuito al particolare aspetto sotto il quale l’uomo messo inrilievo, appare. Viene imitato solo per questo verso e in nessuno degli altri (...)L’imitazione allora si è resa reciproca e specializzata, col generalizzarsi13.

Alla forza della consuetudine, che rimane comunque il principio basilaredell’integrazione sociale, si accompagna con sempre maggiore autoritàl’invenzione, che in alcuni luoghi o epoche storiche diventa così forte da tradursinel cosiddetto “prestigio della novità”. Come Simmel anche Tarde giudical’imitazione un processo sostanzialmente livellatore, che specie dopol’allentamento delle barriere di status di antico regime favorisce l’eguaglianza. Ilbisogno di distinzione e di differenziane è tuttavia sempre presente, richiedendonuove strade per farsi valere. L’invenzione, o la novità, rappresentanoprecisamente ciò che conferisce, seppure per periodi ristretti, il privilegio dellararità, cioè il motore fondamentale del prestigio.

Il punto è sempre questa continua polarizzazione verso le tendenze oppostedell’individualità, e quindi del cambiamento, e dell’identità collettiva con glialtri. Temi che attraversano, come abbiamo anticipato, l’intera riflessione diSimmel, e che trovano occasione di essere ulteriormente delucidati nei celebricontributi sulla moda che il sociologo e filosofo tedesco pubblica a partire dal189514. L’interazione tra imitazione e innovazione mette in moto un processocircolare che è stato definito “il carosello della moda”15. Quale che sia il suooggetto – abbigliamento, arte, cultura, politica, ecc. – la moda offre alla società lapossibilità di far coesistere al suo interno i poli contrastanti verso cui propendonole azioni individuali: “la tendenza all’eguaglianza sociale e quella alladifferenziazione individuale”. Il primo impulso tende continuamente a far sparire 13 Ibidem, pp. 251-252.14 Niente meglio dei titoli di saggi sulla moda pubblicati da Simmel testimoniano la sua

ambigua collocazione disciplinare. Zur Psychologie der Mode. Soziologische Studiedel 1895 è il titolo del primo saggio simmeliano sulla moda, ripubblicato nel 1905 conil titolo Philosophie der Mode. Senza altra qualificazione, ma con il semplice titoloDie Mode, l’opera confluisce nella raccolta del 1911 Philosophische Kultur.Gesammelte Essais (cfr. D. SIMON, Moda e sociologia, cit., p. 63). Nel seguito faremoriferimento alla traduzione italiana della raccolta di saggi del 1911; cfr. G. SIMMEL, Lamoda, in Saggi di cultura filosofica [1911], trad. it., Neri Pozza, Milano, 1998.

15 Cfr. B. NEDELMANN, Georg Simmel e la sua analisi dei processi autonomi: ilcarosello della moda, “Rassegna Italiana di Sociologia”, vol. 30, n. 4, 1989.

Economia e sociologia del prestigio10

le linee di demarcazione tra i ceti e le classi, e a ciò contribuisce appunto l’istintoimitativo che le classi inferiori manifestano per i costumi e i comportamenti delleclassi superiori; il secondo opera attraverso il tentativo, attuato per lo più dai cetisuperiori, di infrangere questa unità, abbandonando tutte quelle mode a cuiriescono ad avvicinarsi le classi inferiori. Il processo circolare è rotto ogni qualvolta l’invenzione16 introduce nuovi canoni di distinzione, che naturalmentemettono nuovamente in moto il “carosello della moda”:

Quanto più i ceti sono ravvicinati tra loro, tanto più diventa frenetica la cacciaall’imitazione in quelli inferiori e la fuga verso il nuovo in quelli superiori: l’interventodell’economia monetaria deve accelerare sensibilmente e rendere visibile questo processoperché gli oggetti della moda, come esteriorità della vita, sono particolarmente accessibilial puro possesso del denaro: in essi più che in tutti quei campi che richiedono ladimostrazione di capacità individuali non acquistabili con il denaro, si raggiunge piùfacilmente l’uguaglianza con lo strato superiore17.

L’importanza della moda, secondo Simmel, è che essa dimostra la valenzauniversale della duplice inclinazione cui è soggetta la natura umana: quella che laspinge a sfuggire la responsabilità delle scelte – un’incombenza che vienescaricata sul gruppo nel momento in cui il singolo è portato a seguire la “stradache tutti percorrono” – e quella che preme nella direzione del potenziamentoindividuale, cioè della sua autonomia e della sua identità. La moda, sotto questopunto di vista, è pertanto una particolare manifestazione del dominio – simbolicoo reale – che interessa, in generale, tutti i rapporti di subordinazione. Neiconfronti della subordinazione, scrive infatti Simmel nel 189618, ogni individuoha un duplice rapporto: “da un lato egli vuole essere dominato”, in quanto “lamaggior parte degli uomini non soltanto non possono esistere senza guida ma losentono anche, cercano il potere superiore che toglie loro la responsabilità di sé”;ma dall’altra “essi non hanno meno bisogno dell’opposizione verso questapotenza direttiva”, tendenza che dischiude alla formazione della personalità19. Èsu queste contrastanti inclinazioni che matura il momento dell’“autorità”.Nonostante venga solitamente associata alla coercizione e all’oppressione,l’autorità presuppone infatti a parere di Simmel “spontaneità e cooperazione delsoggetto subordinato” che non annullano la sua libertà. Il contenuto spontaneodel rapporto di subordinazione è ancora più forte in quella “sfumatura disuperiorità” che si distingue dall’autorità e “che si designa col nome di prestigio”.In questo caso – osserva lo studioso tedesco – “manca il momentodell’importanza sovra-oggettiva; per la posizione di guida è qui decisiva la forzapuramente individuale (...) Il prestigio emana dal puro punto della personalitànello stesso modo in cui l’autorità emana dall’oggettività di norme e di 16 È da notare l’analogia con la teoria dello sviluppo economico di Schumpeter.17 G. SIMMEL, La moda, cit., p. 33.18 Cfr. G. SIMMEL, Superiority and Subordination as Subject-matter for Sociology,

“American Journal of Sociology”, vol. II, 1896-97; il saggio è stato poi inserito daSimmel nella Sociologia [1908], trad. it. a cura di A. Cavalli, Comunità, Milano, 1989,cui faremo riferimento nel seguito.

19 Ibidem, pp. 125-16.

Economia e sociologia del prestigio 11

potenze”20. L’aspetto più eclatante che si manifesta nel momento in cui ilrapporto di subordinazione è regolato dal prestigio è quella “specie di omaggiospontaneo” con cui il soggetto si consegna al superiore. È forse vero che in talunecircostanze vi è una maggiore libertà nel riconoscimento dell’autorità “che nonnell’incantesimo da parte del prestigio di un principe o di un sacerdote, di uncapo militare o spirituale”; ma la condizione soggettiva, il sentimento che lega ilsubordinato al superiore è diverso: “contro l’autorità non possiamo opporci, malo slancio col quale seguiamo un prestigio contiene sempre una coscienza dellaspontaneità; proprio perché la dedizione vale qui soltanto nei confrontidell’elemento puramente personale, essa sembra anche sgorgare soltanto dalfondo delle personalità con la sua insopprimibile libertà”21.

Obiettivo di Simmel non è tanto quello di individuare l’essenza, o la naturanascosta del prestigio, né tanto meno di arrivare a un risultato sotto il profilodefinitorio, quanto di focalizzare l’attenzione su una certa tipologia di relazioniche caratterizzano i rapporti di subordinazione, e che solo per comodità oconvenzione linguistica vengo compresi sotto la dizione del prestigio22. Quelloche sembra interessante osservare, nell’uso qui proposto da Simmel, è il caratteresoggettivo che lega il possessore di prestigio a chi ne è sottomesso, uno statoemotivo per il quale è addirittura possibile parlare di una sorta di incantesimo chepromana da chi possiede prestigio, forse in omaggio all’antico significato deltermine. Questa particolare gradazione dell’autorità, che Simmel preferiscechiamare prestigio, sembra avere più di un punto di contatto, come avremo mododi vedere, con la tipologia weberiana del “carisma”.

A questo punto possiamo dire che all’inizio del nuovo secolo il prestigiocontinua a essere usato con sfumature e declinazioni leggermente diverse: comeforza magnetica che promana dalle qualità superiori di una personalità, comesuggeriscono Tarde e poi Simmel (prima che Weber traduca tutto ciò nellaformula del “carisma”); o come aurea di superiorità che circonda una classe o unceto sociale, che attraverso l’esibizione di alcuni simboli esteriori – i cosiddettibeni di distinzione o posizionali – stimola l’istinto imitativo delle classi inferiorie mette in moto il “carosello della moda”. Oltre a questo il prestigio comincia aessere utilizzato nel descrivere la rispettabilità che circonda alcune professioni,attività produttive o cariche pubbliche, in una accezione non diversa da quellamessa in evidenza dalla consistente letteratura novecentesca sul prestigio delleoccupazioni. È possibile documentare uno dei primi usi in questa direzione 20 Ibidem, p. 119.21 Ibidem, p. 120.22 “Qui – e analogamente in molti altri casi – non si tratta di definire il concetto di

prestigio, ma soltanto di constatare l’esistenza di una certa varietà di relazionireciproche tra gli individui, prescindendo completamente dalla loro denominazione.Spesso l’esposizione muove dal modo più opportuno da quel concetto che meglioconviene, secondo l’uso linguistico, a indicare il rapporto da scoprire, per accennaresolo inizialmente a questo. Ciò produce l’apparenza di un processo puramentedefinitorio, mentre qui non si deve assolutamente trovare il contenuto di un concetto,bensì descrivere un contenuto di fatto che soltanto qualche volta ha la possibilità divenire più o meno coperto da un concetto giù esistente” (ibidem, p. 120).

Economia e sociologia del prestigio12

attraverso un’opera di Gabriel Tarde del 1902, Psychologie économique, dovetroviamo il tentativo di ricondurre a una sorta di legge universale la gerarchiadelle diverse professioni. A questo proposito Tarde ritiene che il prestigio siaconnaturato a quelle occupazioni che mettono in atto “azioni inter-mentali”, comenel caso di chi esercita il comando, o svolge per professione una funzionepersuasiva nei confronti degli altri o, infine, di chi è in grado di esprimereattraverso l’arte sentimenti universali23. L’aspetto più interessante è come Tardesottolinei il carattere inter-mentale di queste attività, quasi a ricordare il suogiudizio sul prestigio come forza magnetica espresso nelle Leggi dell’imitazione.

L’emulazione e il prestigio pecuniario

Come si è visto, all’interno della complessa e variegata produzione teorica diSimmel e Tarde è possibile individuare un circoscritto campo d’indagine chemira a definire e a inserire in un quadro concettuale unitario il fenomeno delprestigio. In questo sforzo emerge immediatamente la difficoltà di collocarequesto oggetto di ricerca entro i confini di una specifica scienza sociale. Lariflessione sconfina nei territori della sociologia, dell’economia, della psicologia,dell’antropologia, senza che ognuna di queste discipline possa considerarsiautonoma e sufficiente nella delucidazione del fenomeno. Sotto molti punti divista, anche il percorso intellettuale di Thorstein Veblen sembra voler seguire letracce del programma di ricerca aperto da Simmel e Tarde. La teoria della classeagiata, pubblicata nel 1899, è del tutto avara di riconoscimenti intellettuali e diriferimenti bibliografici: l’influsso dei due studiosi sull’economista e sociologoamericano pare tuttavia un dato difficilmente contestabile.

La Classe agiata di Veblen si presenta come un’articolata risposta alladomanda posta da Tarde tra le pagine delle Leggi dell’imitazione: si tratta disapere – aveva osservato il sociologo francese – quali sono le qualità cheattribuiscono a qualche individuo posizioni di privilegio all’interno dei gruppiumani, esponendolo “all’ammirazione, all’invidia e all’imitazione circostanti”24.Il presupposto dal quale muove Veblen nell’affrontare la questione è che “leclassi superiori sono per tradizione esenti o escluse dalle occupazioni industriose

23 Cfr. G. TARDE, Psychologie éeconomique, Félix Alcan, Paris, 1902, vol. I, pp. 248-

249: “(...) les professions où l’0n exerce l’action inter-mentale le plus étendue ou lesplus profonde, ou les deux à la fois, sur les volontés, sur les intelligences, sur lessensibilités même, sont-elles les plus considérées, et d’autant plus que leur actions’étend ou s’approfondit davantage. De là le prestige: 1° des métiers où l’oncommande, où l’on comunique son vouloir au vouloir docile de ses semblables (armée,magistrature, administation publique); 2° des métieres où l’on enseigne, où l’oncommunique sa pensée par une sorte d’électrisation spirituelle à l’esprit d’autrui(clergé, professeurs, orateurs, grands publicistes); 3° des métiers, je veux dire des artsoù l’on émeut, où l’on fait vibrer les sensibilités étrangéres à l’unisson del sa propresensibilité (poètes, littérateurs, artistes)” .

24 G. TARDE, Le leggi dell’imitazione, cit., pp. 252-253.

Economia e sociologia del prestigio 13

e sono riservate a certi impieghi ai quali si annette un certo grado di onore”25. Inorigine, le occupazioni che conferiscono agli individui “onore”, “rispettabilità”,“reputazione”, “dignità” – tutte espressioni che nell’opera di Veblen equivalgonoa “prestigio” – nascono conformi a determinate qualità fisiche: la forza, il vigore,l’abilità bellica. Si tratta di qualità che rendono attuabili “gesta onorevoli” e“gloriose” e come tali capaci di conferire prestigio a chi le mette in opera: neglistadi primitivi della società sembra infatti “che “onorevole” non denoti altro cheun’affermazione di forza superiore. “Onorevole” vale “formidabile”; “degno”vale “prepotente”. Un atto onorifico è in ultima analisi poco o punto diverso daun atto di aggressione che si riconosca ben riuscito”26. L’istinto predatoriocostituisce pertanto il marchio d’origine della società umana, che tuttavia, anchenelle forme più evolute di civiltà, continua a giocare un ruolo di primo piano.L’obiettivo di Veblen è appunto quello di mostrare la trasformazione di questoistinto e le sue diverse manifestazioni nelle società che hanno abbandonato lebarbarie e avviato il processo di civilizzazione.

Nelle società evolute le gesta (e le qualità da cui esse promanano) cessano diessere il presupposto irrinunciabile dell’onore. Il conferimento del prestigio, inaltre parole, non segue più le azioni degli individui ma il loro avere, l’appartenerea determinati ceti o l’apparire in determinati modi. La matrice di questatrasformazione si trova nella proprietà e nella diffusione del denaro, le duecomponenti fondamentali di ciò che Veblen chiama “emulazione pecuniaria”27.Tra l’istinto predatorio e l’emulazione pecuniaria esiste tuttavia unafondamentale linea di continuità, che va ricercata nel fatto che entrambeconferiscono prestigio a chi è esente dalle occupazioni produttive:

Astenersi dal lavoro è non solo un atto onorifico e meritorio, ma diventa tosto unrequisito della rispettabilità. Durante i primi stadi dell’accumulazione della ricchezza siinsiste sulla proprietà come base della rispettabilità in modo ingenuo e imperioso.L’astensione del lavoro è la prova convenzionale della ricchezza ed è perciò il segnoconvenzionale del livello sociale; e questa insistenza sul merito della ricchezza porta a unapiù ostinata insistenza sul benessere28.

È inutile ricordare a questo punto l’insistenza di Veblen sull’“agiatezzavistosa” (cioè l’astensione dal lavoro produttivo) che si trasforma, coll’evolversidella società, nel “consumo vistoso” (diretto e derivato): in entrambi i casi citroviamo di fronte a forme di manifestazione dell’onorabilità e della rispettabilità.Quanto è utile sottolineare è la continuità, con riferimento ad alcune questioni, tral’analisi dell’economista americano e quelle di Tarde e Simmel. A questoproposito può essere interessante osservare come le categorie dell’imitazione edell’invenzione, su cui ci siamo soffermati in precedenza, vengano riunite, 25 T. VEBLEN, La teoria della classe agiata. Studio economico sullo istituzioni [1899],

trad. it. a cura di F. Ferrarotti, Eianudi, Torino, 1971, p. 5.26 Ibidem, p. 17.27 Il carattere emulativo innescato dalla genesi della proprietà è sottolineato da Veblen

anche in The Beginning of Ownership, “American Journal of Sociology”, vol. 4, 1898-9.

28 T. VEBLEN, La teoria della classe agiata, cit., p. 36.

Economia e sociologia del prestigio14

nell’opera di Veblen, entro il concetto più generale di emulazione. L’emulazioneracchiude tanto l’idea dell’imitazione che del confronto antagonistico, e quindidel bisogno del nuovo e del raro al fine di distinguersi e differenziarsi. Se da unaparte l’emulazione mette in gioco abiti mentali che favoriscono il “fattoredell’inerzia sociale” e quindi il “conservatorismo”29 – ciò che Tarde chiama laconsuetudine – dall’altra stimola il mutamento, prodotto dallo sforzo edall’ingegno di chi vuole elevarsi al di sopra della propria cerchia: “il criterio dispesa che comunemente guida i nostri sforzi” non è “l’ordinaria spesa media, giàraggiunta, ma un consumo ideale che si trova sempre un po’ oltre la nostracapacità – o che per arrivarci richieda qualche sforzo. Il motivo è l’emulazione: lostimolo derivato da un confronto antagonistico che ci spinge a superare quelli coiquali usiamo classificarci”30. Il principale obiettivo di Veblen è comunque quellodi dimostrare come l’evoluzione sociale sia saldamente vincolata dallapersistenza nel tempo degli abiti mentali, le istituzioni per eccellenzanell’accezione vebleniana. Anche nella valutazione del prestigio, questicontinuano a giocare un ruolo essenziale, grazie soprattutto alla facilità con cui siriproducono all’interno della classe agiata. L’effetto è la sopravvivenza di criteri“arcaici” nella valutazione del prestigio, come accade quando l’istinto predatorio,magari cammuffato dietro altri comportamenti sociali31, si ripresenta sulla scenaanche delle evolute società industriali:

Gli impieghi pecuniari hanno anche la sanzione della rispettabilità in un grado assaisuperiore che non gli impieghi industriali. In tal modo, i criteri di buona reputazione dellaclasse agiata vengono a sostenere il prestigio di quelle attitudini che servono allo scopoantagonistico; e perciò lo schema di vita decoroso della classe agiata fornisce anche ilsopravvivere e la cultura delle caratteristiche di rapina32.

Questo è uno dei rari brani in cui Veblen ricorre, nella Teoria della classeagiata, alla parola prestigio; la sua equivalenza, come abbiamo già ricordato, conespressioni come onore, rispettabilità, reputazione – che ricorrono con piùfrequenza nell’opera – è comunque palese. Al termine prestigio, come avremomodo di vedere, Veblen ricorrerà invece con più assiduità in alcune operesuccessive. Ma di fronte a questa varietà terminologica, sorge naturale il quesitose la gamma di vocaboli impiegati designino in definitiva uno stesso fenomeno ose invece connotino campi semantici con differenze significative. Già abbiamovisto che Simmel, nel 1896, aveva sottolineato la diversa gradazione che corre trai termini prestigio e autorità. Con la pubblicazione nel 1900 della Filosofia deldenaro, senz’altro la sua opera più famosa, lo studioso tedesco ha l’occasione,

29 Ibidem, p. 149.30 Ibidem, p. 82.31 “Con lo sviluppo dell’industria, l’attività predatoria si posta a poco a poco dalla

conquista di bottini e trofei all’accumulazione della ricchezza. Questa finisce persostituirsi ad essi, e diventa il segno del successo. Il solo fatto di detenere la ricchezza,in altre parole, a prescindere da come la si sia acquisita, diventa fonte d’onore” (M.VIANELLO, Thorstein Veblen, Comunità, Milano, 1961, p. 261).

32 T. VEBLEN, La teoria della classe agiata, cit., p. 178, corsivo aggiunto.

Economia e sociologia del prestigio 15

seppure in modo incidentale, di proporre ulteriori chiarimenti, che tra l’altrosembrano fortemente risentire, in alcuni passi, delle terminologia vebleniana.

La ricchezza si presenta nella concezione di Veblen come l’oggetto deldesiderio dell’emulazione pecuniaria non in quanto tale, ma per l’aurea dirispettabilità che conferisce. Nella terminologia della Filosofia del denaro ciò sitraduce in una sorta di “superadditum della ricchezza”, in quanto essa garantiscetutta una serie di vantaggi di cui il ricco può godere “che vanno al di là delgodimento di quello che può procurarsi concretamente con il proprio denaro”33.Frequentemente le persone benestanti pagano per alcuni tipi di merci più denarodi quanto paghino le classi inferiori, anche se in molti casi ciò non corrispondeeffettivamente a una reale differenza nella qualità del bene o del servizioacquistato. Nei tram di alcune città, ad esempio, “ci sono due classi che hannoprezzi diversi, senza che la prima classe offra un vantaggio oggettivo o dimaggiore comodità. Tuttavia, con il prezzo più alto, si compera la compagniaesclusiva di persone che lo pagano soltanto per essere separate da chi paga dimeno per viaggiare”. La maggiorazione del prezzo potrebbe apparire un aggravioper le classi superiori, dato che non ottengono dallo scambio utilità maggioririspetto al povero. Tuttavia proprio in simili circostanze si manifesta nella suaforma pura il superadditum del denaro, che conferisce a chi lo possiede lapossibilità di acquisire senza fatica la rispettabilità:

Il benestante ottiene il proprio vantaggio senza passare, indirettamente, attraverso unacosa, ed esclusivamente mediante il fatto che altri non possono spendere il denaro chespende lui. Anzi, la ricchezza ha valore anche come una specie di merito morale. Questonon si esprime soltanto nel concetto della respectability o nella definizione popolare dellagente abbiente come “rispettabile” o “migliore”, bensì anche nel fenomeno correlativo: ilpovero viene trattato come se si fosse reso colpevole di qualcosa, il mendicante vienecacciato con ira, anche persone di buon cuore si ritengono legittimate ad un ovvio senso disuperiorità nei confronti del povero34.

Ma in questo brano è forse possibile scorgere un’accezione della rispettabilitàche è probabilmente qualcosa di meno del prestigio, se non altro per il fatto chequest’ultimo non è così facilmente raggiungibile (nel senso che il puro possessodel denaro non è sufficiente a conferire prestigio). Una ulteriore declinazionesembra possedere l’onore: questo ultimo designa il senso di appartenenzacomunitario o di ceto, come verrà sottolineato qualche anno più tardi anche daWeber, che non necessariamente comporta degli elementi di distinzioneall’interno del gruppo. L’onore è un particolare stile di vita imposto a chi fa partedi un determinato ceto, il cui mancato rispetto si traduce in una scomunica dairimanenti componenti del gruppo. Questo particolare senso dell’onore costituiscela barriera tra coloro che appartengono al ceto e coloro che ne sono esclusi, e sipresenta come la sua stessa ragione d’essere. L’obiettivo di Simmel è però quellodi dimostrare le differenti modalità di conferimento dell’onore nei gruppi di piùpiccole dimensioni rispetti a quelli allargati. Fondamentale elemento 33 G. SIMMEL, La filosofia del denaro [1900], trad. it. a cura di A. Cavalli e L. Perucchi,

Utet, Torino, 1977, p. 317.34 Ibidem, p. 318.

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discriminatorio è da considerarsi il fatto che l’onore implichi o meno distinzioneper l’individuo:

L’onore che non implica un elemento di distinzione per l’individuo, vale soltantoall’interno di un gruppo abbastanza piccolo che, mediante la definizione precisa dellarispettabilità dei suoi membri, si mantiene chiuso, forte e intangibile nei confrontidell’ambiente: è questo l’onore degli ufficiali, dei commercianti, della famiglia, perfinoquello, spesso rilevato, dei furfanti. Ogni onore è originariamente onore di ceto sociale odi classe, e l’onore dell’uomo in genere o l’onore individuale richiedono al singolo soloquegli elementi su cui tutti i gruppi più piccoli concordano all’interno di un gruppo piùgrande35.

All’interno dei gruppi più ampi subentra una “reciproca estraneità” tra i suoimembri che si traduce in una declinazione dell’onore quale elemento didistinzione individuale. L’aspetto essenziale, il punto chiave di tutta l’opera diSimmel, è il contraddittorio ruolo del denaro nel promuovere questa distinzione:“l’uomo distinto è assolutamente personale”, il suo sentirsi diverso si fonda inmassima parte sulla sua personalità; “l’essenza del denaro”, diversamente, la suaforza per certi versi livellatrice, “distrugge nel modo più radicale quel fondarsi susé stessa che caratterizza la personalità distinta”. Nel momento in cui lavalutazione degli oggetti e delle persone è basata su “un’unità di misura esternaad esse”, le differenze diventano percepibili solo in quanto “differenzequantitative”, nulla di più distante da ciò che insegue il bisogno di distinzione nelsuo autentico significato36. Il denaro, quindi, nell’accorciare le distanze tra i cetie le classi rompe l’incantesimo che circonda l’onore: questi non è più intangibilee non è più impermeabile rispetto all’ambiente esterno. Diventa qualcosa diraggiungibile per chiunque, o almeno genera l’illusione che ciò sia possibile,alimentando quell’emulazione pecuniaria discussa da Veblen. È forse questo ilpassaggio fondamentale che dà sostanza al prestigio, in quanto rapporto disudditanza che trae il proprio alimento proprio dall’essere costantementeminacciato, dalla possibilità di essere redistribuito: “Quanto più un elementoposto in basso ed uno posto in alto si avvicinano – osserva infatti Simmel – tantopiù quest’ultimo accentuerà le differenze che ancora permangono, tantomaggiormente le valuterà”. Questo estremo tentativo di far valere la propriadifferenza nasce appunto dalla consapevolezza che quando le classi non sono più“separate da abissi invalicabili”, cioè “nel momento in cui la classe più bassa si èun po’ elevata, la classe più alta ha perso una parte del suo prestigio”, obbligandoad esempio il proprietario terriero a sentire “più fortemente la necessità didistinguersi dal mercante che traffica col denaro”37.

35 Ibidem, p. 497.36 Cfr. ibidem, pp. 556-561.37 Ibidem, p. 580.

Economia e sociologia del prestigio 17

Consumo e psicologia del prestigio

Agli inizi del Novecento il definitivo emergere del prestigio come specificocampo d’indagine è provato dalla pubblicazione, nel 1913, della primamonografia che discute in maniera esclusiva l’argomento38. Lewis Leopold poneal centro della sua ricostruzione il bisogno giudicato universale di esercitareinfluenza sul prossimo – ciò che Dante chiama lo gran desio dell’eccellenza –che ha due fondamentali manifestazioni: la prima, di tipo verticale, concerne lafenomenologia tipica dell’autorità, mentre la seconda, di tipo orizzontale, sitraduce appunto nel prestigio39. La proprietà essenziale del vincolo emotivo chelega il possessore di prestigio a chi ne subisce il fascino è il suo essere invisibilee intangibile. Leopold sottolinea come questo vincolo non nasca da un attointenzionale di colui che possiede prestigio, non trovando spiegazione né nellasua vanità e nemmeno nella sua ambizione. In termini generali, “prestige is apsychological situation, in which we are placed, which may be given according tothe suitability of our psychological values, in proportions to favourable chances,without any desire or intention on our part, even without our knowledge: it is notan essential element of any psychical quality of the possessor of prestige”40. Losforzo di Leopold è volto soprattutto a dimostrare la diversità del prestigiorispetto a manifestazioni della vita sociale che possono apparire simili, la paura,ad esempio, o la demagogia. La questione è sempre affrontata puntandodirettamente l’attenzione sui fattori psicologici che stanno dietro il prestigio,siano essi quelli di chi possiede prestigio, nelle sue diverse manifestazioni, che dicoloro che ne sono in qualche modo sottomessi. Non diversamente da Tarde,Leopold tende in definitiva a sottolineare l’esigenza di una “psicologia delprestigio”, che affianchi le impostazioni di natura sociologica.

Nella parte descrittiva dell’opera, Leopold si sofferma, come dice egli stesso,su “un’infinità di manifestazioni” che possono essere ricondotte al prestigio. Lasensazione, tuttavia, è che in questo sforzo enciclopedico egli sia arrivato alpunto di prendere in considerazione un numero talmente ampio di esempi dalsottrarre al fenomeno la specificità ricercata. Le esemplificazioni più interessantisono comunque quelle che rimandano all’esperienza della vita economica, doveanche Leopold tiene a sottolineare la forza posseduta dal denaro – visto come“the great apostle of equality” – nel mutare la prospettiva del prestigio. Matura inquesto contesto l’esigenza di un approccio teorico riconducibile a una sorta di“economia del prestigio”, un suggerimento che trova rispondenza in alcuni lavoripubblicati in questi stessi anni da John Hobson e, di nuovo, da Veblen.

Hobson, l’“eretico” economista inglese autore di celebri contributisull’imperialismo economico e sul sottoconsumo41, ricorre alla fenomenologia

38 L. LEOPOLD, Prestige. A Psychological Study of Social Estimates, T. Fisher Unwin,

London, 1913.39 Ibidem, p. 31.40 Ibidem, p. 87.41 La definizione di Hobson come economista eretico a torto trascurato dal mainstream

economico è di J.M. Keynes.

Economia e sociologia del prestigio18

del prestigio come chiave interpretativa della realtà economica soprattutto inun’opera del 1914, Work and Wealth: A Human Valuation. L’influsso di Veblen èdel tutto palese. Nonostante Hobson accusi l’economista americano di avercondotto l’analisi della classe agiata “with a half-humorous parade of pompousterminology”42, numerose delle innovazioni linguistiche di Veblen trovanoaccoglienza tra le pagine di Work and Wealth. Una parte consistente dell’opera diHobson è finalizzata ad analizzare i comportamenti di consumo della classeagiata, e gli effetti imitativi che essa produce. In perfetto stile veblenianol’economista inglese scrive che “Current Prestige, Tradition, Authority, Fashion,Respectability supplement or often displace the play of individual taste, good orbad, in moulding a class and family standard of consumption”. Tuttavia, aggiungeHobson, le componenti psicologiche e sociologiche che mettono all’opera questeforze imitative, che tra l’altro costituiscono anche la base di ogni mutamentonegli standard di consumo, sono ancora del tutto oscure.

Il dato di partenza è comunque l’influsso cruciale prodotto dal “prestigio” e ilfatto che ogni “conventional consumption is determined largely by valuationsimposed by the class possessing prestige”43. L’ascendente esercitato dalle classisuperiori non è evidentemente una novità, ma occorre tenere presente la diversavalenza che possiede in società rigidamente stratificate rispetto a quelle conmaggiore gradazione. Nelle prime le differenze di rango, o di casta, sono cosìmarcate da rendere impossibile il passaggio di abitudini e comportamenti da unaclasse all’altra; diversamente, nei paesi dove è diffusa l’industria e l’economiamonetaria si assiste a un progressivo avvicinamento tra uno strato sociale e l’altroche facilita l’assimilazione e l’imitazione degli standard di comportamento e diconsumo. In questo contesto “the process of Station by prestige is very rapid andgeneral”.

Come Veblen, anche Hobson intende però sottolineare il carattere puramenteillusorio del prestigio associato al consumo vistoso. Esso è spesso il surrogato diuna carenza di gusto e raffinatezza aristocratici, che nasconde una brama didistinzione che non è supportata da una effettiva superiorità intellettuale omorale. Il consumo ha lo scopo esclusivo dell’ostentazione, impressionareattraverso la sua “magnificenza” il maggior numero di persone, senza però chevia alcuna soddisfazione “of a real personal want, even a bad want. Futility is ofits essence”44. Il celebre “spreco” vebleniano fa così la sua comparsa anchenell’analisi di Hobson, preoccupato del fatto che l’imitazione di un fittizioprestigio aristocratico da parte delle classi inferiori conduca a una perdita dibenessere per la società:

To copy good examples, even if the copying is defective, is an elevating practice, andin as much as the essentials of humanity are found alike in all, thoughtless imitation ofone’s betters might raise one’s own standard. If in a society the men of light and leadingoccupied this place because they had discovered a genius for the art of noble living, the

42 J. HOBSON, Work and Wealth: A Human Valuation [1914], Routledge, London, 1992,

cap. X, §10.43 Ibidem, cap. X, §9.44 Ibidem, cap. X, § 10.

Economia e sociologia del prestigio 19

swift unconscious imitation of their mode of life, the morals and manners of thisaristocracy, would surely be the finest schooling for the whole people: the models of thegood, the true, the beautiful, which they afforded, would inform each lower grade,according to its capacity. But where the whole forces of prestige and imitation are set on asham aristocracy, copying as closely as possible their modes of consumption, their ways ofthought and feeling, their valuations and ideals, incalculable damage and waste mayensue45.

L’ascendenza di Veblen è riscontrabile anche dalla trattazione di Hobson delladiffusione delle pratiche sportive tra le classi agiate. Lo sport non è che unaforma di manifestazione dell’agiatezza vistosa. Per comprendere il prestigio checirconda molte pratiche sportive, infatti, non bisogna dimenticare che “thisconspicuous futility is at the root of the matter”. La possibilità che una personapossa dedicare “time, energy, and money to sport testifies to his possession ofindependent means. He can afford to be an idler, and the more obviously uselessand expensive the sport, the higher the prestige attaching to it”46. Il favore che losport riscuote tra le classi superiori è dovuto alla persistenza dell’istintobarbarico, cioè un criterio di superiorità associato alla forza e alla “gloria” delcomando. Ma, anche in questo caso, Hobson tiene a sottolineare l’effettoopprimente che questa concezione del prestigio esercita sul benessere sociale:“this maintenance of barbarian standards of values by the classes possessingsocial prestige is a great obstacle to the development of science, art, andliterature”47. Nell’opera di Hobson, in conclusione, pare trovare riscontro unaaccezione del prestigio che, se da una parte tende a mettere in evidenza la suaforza d’attrazione, in quanto attributo della distinzione e della superiorità socialee per questo oggetto d’imitazione, dall’altra non manca di privilegiare lacomponente “illusoria”, il fattore “fittizio” o “ingannevole” che lo accompagna.Si tratta di una concezione non diversa, come in parte abbiamo anticipato, daquella che caratterizza l’opera di Veblen.

Il fattore prestigio nella concorrenza economica

Sebbene dedicato alla realtà universitaria americana, The Higher Learning inAmerica. A Memorandum on the Conduct of University by Business Men (1918)di Veblen contiene senza dubbio, in alcuni suoi capitoli, una delle più compiuteelaborazioni “economiche” del prestigio. Per spiegare le tendenze in atto nelmondo accademico americano Veblen non solo ricorre al moventedell’emulazione pecuniaria ma lo affianca questa volta esplicitamente alprestigio, e non più ai canoni della rispettabilità o dell’onore come invece avevafatto nella Teoria della classe agiata. Se l’argomento principale del libro del1899 era il contrasto che si manifesta, nel corso dell’evoluzione sociale, tral’emulazione pecuniaria (erede dell’istinto predatorio dell’epoca barbarica) e

45 Ibidem, cap. X, § 9, corsivo aggiunto.46 Ibidem, cap. XI, §2.47 Ibidem, cap. XI, §3.

Economia e sociologia del prestigio20

l’istinto di operosità, nel suo nuovo contributo Veblen si sofferma sul contrastonon meno funesto che contrappone l’emulazione pecuniaria alla “conoscenzadisinteressata”.

L’incessante processo di trasformazione della società moderna e le mutatefinalità del sapere e della scienza hanno fatto sì che anche le università, luoghiper eccellenza adibiti a coltivare il desiderio di conoscenza, siano state investitedal fenomeno dell’emulazione pecuniaria. Nei consigli di amministrazionesiedono con sempre maggiore frequenza esponenti che provengono dal mondodegli affari, portando all’interno della realtà accademica i tipici criteri gestionalidi natura economico-quantitativa. In un mondo come quello americano dovepermane una concezione sostanzialmente privatistica dell’istruzione, tutto questosignifica una trasformazione in senso commerciale dell’istituzione accademica,che diventa a tutti gli effetti un mercato dove operano diverse università inpersistente concorrenza tra loro. Ma il peculiare “bene” offerto sul mercato dalleistituzione universitarie si presta difficilmente a una valutazione “oggettiva” daparte dei consumatori, innestando pertanto una competizione che si gioca più sulterreno del “prestigio” che di quello del contenuto specifico del servizio offerto.

Il processo, sottolinea Veblen, non interessa in verità solo il mondoaccademico, perché anche nella realtà economica vera e propria la crescenteconcorrenza obbliga le imprese a investire in prestigio, se vogliono mantenere illoro predominio. Da qui il fenomeno della pubblicità, che crea una sorta di“valore di prestigio” che circonda i prodotti:

The efficient salesman, and similarly the efficiently managed business concern, areenabled to add to their marketable goods an immaterial increment of “prestige value,” assome of the economists are calling it. A margin of prepossessions or illusions as to theirsuperior, but intangible and inexpensive, utility attaches to a given line of goods becauseof the advertiser’s or salesman’s work, – work spent not so much on the goods as on thecustomer’s sensibilities48.

L’abilità dei pubblicitari genera l’illusione di un valore superiore associato adalcuni beni, cioè la loro capacità di offrire un incremento di utilità, nonostantequesta sia del tutto intangibile. Non è in discussione, sottolinea Veblen, ilproblema se tale illusione sia più o meno fondata: agli effetti pratici importasoltanto che il consumatore sia persuaso dal prestigio che circonda il prodotto, eche l’illusione non si tramuti in cocente delusione. Il successo dell’azionepubblicitaria si trasforma così in un aumento complessivo del prestigio delmarchio d’impresa, qualcosa che in stretti termini economici viene normalmentemonetizzato tramite il cosiddetto “avviamento”. “In competitive business –osserva infatti Veblen – it is of the gravest importance to keep up the concern’sprestige, or “good will.” A business concern so placed must be possessed of suchprestige as will draw and hold a profitable traffic; otherwise the enterprise is in aprecarious case”49. La strada principale che permette di alzare questo “valore 48 T. VEBLEN, The Higher Learning in America. A Memorandum on the Conduct of

University by Business Men, Huebsch, New York, 1918, p. 65.49 Ibidem. L’idea che il “prestigio” sia una delle fonte principali dell’avviamento (“good-

will”), con il conseguente sforzo pubblicitario per generarlo, era stata esposta da

Economia e sociologia del prestigio 21

immateriale” associato al prestigio, o avviamento dell’azienda, è appuntol’investimento pubblicitario, soprattutto in quei settori economici che operano acontato di clienti impressionabili e suggestionabili.

Ma se il meccanismo del prestigio comincia ad assumere rilievo nelle azionitipiche dell’economia di mercato, a maggior ragione e in modo addirittura piùrilevante esso fa la sua comparsa nel mondo accademico. Quando le universitàsono costrette a concorrere sul mercato, esse devono fare affidamento a tutti imezzi per accaparrarsi i “clienti”, avendo quale unica arma di combattimentoappunto la dimostrazione del proprio prestigio:

Under existing circumstances of rivalry among these institutions of learning, there isneed of much shrewd management to make all the available forces of the establishmentcount toward the competitive end (...) The competition is for custom, and for such prestigeas may procure custom, and these potential customers on whom it is desirable to producean impression, especially as regards the undergraduate school, are commonly laymen whoare expected to go on current rumour and the outward appearance of things academic50.

L’emulazione pecuniaria diventa a questo punto l’orizzonte di riferimentodelle istituzioni accademiche. Immerse in una gara antagonistica in cui è difondamentale importanza manifestare il proprio “prestigio”, devono ricorre a quel“consumo vistoso” che è il comportamento caratteristico attribuito da Veblen allaclasse agiata. Gli strumenti con cui possono agire per realizzare tale obiettivosono naturalmente molti: dalla lotta per accaparrarsi i professori più prestigiosialla scelta architettonica degli edifici. “Lo scopo è, naturalmente, diimpressionare non il corpo accademico, bensì gli estranei e soprattutto il mondodegli affari; donde, appunto, l’aspetto medioevale, tipico delle universitàamericane, scelto per via della reverenza che ispirano gli edifici monastici edecclesiastici, oltre che dei preconcetti feudali tipici della leisure class.Nell’interno, però, si ritrovano tutti gli elementi di confort:: sala da concerto,

Veblen anche nella Theory of Business Enterprise del 1904: “Gli sforzi di tutti di tuttele imprese che mirano a una duratura esplicazione di attività sono rivolti ad instaurareil più vasto monopolio possibile. Tale situazione monopolistica può essere unasituazione legale stabilita, oppure può essere dovuta ad una posizione particolare o alcontrollo di risorse naturali, o può trattarsi di un monopolio di carattere meno definitobasato sulla consuetudine e sul prestigio (avviamento). I monopoli appartenenti aquest’ultima categoria non sono solitamente classificati come tali; anche se, per gradoe per natura, il vantaggio che essi forniscono è molto simile a quello dovuto ad unvantaggio differenziale in virtù della posizione o del controllo delle risorse. Il fine chesi propone la pubblicità sistematica dei più grossi complessi industriali è appunto unmonopolio del tal genere basato sulla consuetudine e sul prestigio. A volte questaforma di monopolio ha molto valore, e viene frequentemente venduta comeavviamento, marchi di fabbrica, insegne, eccetera. Si conoscono esempi in cui talimonopoli dovuti alla consuetudine a al prestigio e al pregiudizio sono stati venduti aprezzi dell’ordine di milioni” (T. VEBLEN, La teoria dell’impresa [1904], trad. it.,Angeli, Milano, 1970, pp. 77-78).

50 T. VEBLEN, The Higher Learning in America, cit., p. 79.

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caffè, nigh clubs, etc., che caratterizzano la vita della leisure class moderna. È intale clima di falsità, che lavorano gli studenti americani”51.

L’aspetto forse più interessante nell’uso da parte di Veblen del prestigio, sottoquesto aspetto molto vicino a Hobson, è il fatto che emerga una certa continuitàcon l’antico e originario significato di “giochi di prestigio”. Nel momento in cui idue economisti puntano l’attenzione sull’effetto “illusorio” generato dalprestigio, non fanno altro che richiamare una sorta di “incantesimo”, una forzamagica cui sono sottomessi gli osservatori. È evidentemente un giudiziodenigratorio che emerge in questo contesto. Tanto la rincorsa ai beni di prestigio,che la tendenza delle istituzioni universitarie, e in verità delle stesse impresecommerciali in generale, a puntare su questa entità immateriale e intangibile,appaiono sia agli occhi di Hobson che di Veblen degenerazioni della societàindustriale. L’attività pubblicitaria si risolve alla fine in un “gioco di prestigio”,uno sforzo compiuto da un “prestigiatore” che cerca di fare apparire le cosediversamente da quello che sono in realtà. Da questo punto di vista, dunque, ilprestigio associato alle cose e alle persone non è più il legittimo fondamento delbisogno di distinzione e di differenziazione ma appare come un illusione che siriversa su chi è più facilmente impressionabile.

Onore, prestigio e potere

Come si è visto, è possibile collocare nell’ultimo decennio del secolo scorso ladefinitiva acquisizione del termine prestigio all’interno del lessico delle scienzesociali. Quanto risulta dai testi compendiati è una sorta di consapevolezza“teorica” nell’uso del vocabolo, spesso dichiaratamente finalizzata a chiarirne ilsenso e sottolinearne le differenze semantiche rispetto a termini contigui. Questonon significa tuttavia che alle soglie del nuovo secolo la parola prestigio abbiaassunto un significato univoco: al contrario, come è emerso analizzando l’uso deltermine in alcune opere del primo Novecento, sembra di poter dire che continuiun uso polivalente, con sfumature di significato che variano anche sensibilmentenei diversi contesti.

Nemmeno la prima monografia che con una certa ampiezza e profonditàaffronta l’argomento, pubblicata da Lewis Leopold nel 1913, riesce aricomprendere in una prospettiva organica e unitaria il prestigio. Sembrerebbequasi, in definitiva, che le diverse articolazioni e gradazioni semantiche nefacciano un vocabolo, per usare le parole di Giacomo Leopardi, che continua apossedere più le caratteristiche della parola che del termine scientifico52. Una

51 M. VIANELLO, Thorstein Veblen, cit., p. 327.52 “Le parole (...) non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più

quando meno, immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di questeparole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, eperciò si chiamano termini perché determinano la cosa da tutte le parti (...) Sono coseben diverse la proprietà delle parole e la nudità o secchezza, e se quella dà efficacia edevidenza al discorso, questa non gli altro che aridità” (G. LEOPARDI, Zibaldone di

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circostanza confermata anche da una delle più ambiziose sintesi delle scienzesociali di inizio Novecento, Economia e società di Max Weber, pubblicatapostuma nel 1922 ma redatta negli anni immediatamente precedenti il primoconflitto mondiale. Weber dichiara espressamente l’esigenza che ogni indaginescientifica proceda preliminarmente a “differenziare i concetti con precisione”53,al fine di favorire un uso dei termini che sia univoco e rigoroso: tuttavia di fronteallo spettro di significati che attraversa la parola prestigio, lo studioso austriacorinuncia a proporne una definizione esaustiva, pur essendo la questione senz’altrorilevante nell’economia complessiva dell’opera.

In Economia e società lo spazio ricoperto dal prestigio si situa in un territorioindefinito intersecante gli ambiti dell’onore, della potenza e del potere (autorità).L’onore designa l’appartenenza di ceto, un collante che a differenza di quellodelle classi non è, o non è esclusivamente, di tipo economico.

In contrapposizione alla “situazione di classe” determinata in modo puramenteeconomico, definiamo “situazione di ceto” ogni componente tipica del destino di ungruppo di uomini, la quale sia condizionata da una specifica valutazione sociale, positiva onegativa, dell’“onore” che è legato a qualche qualità comune di una pluralità di uomini(...) Quanto al contenuto, l’onore di ceto si esprime normalmente soprattutto nell’esigereuna condotta di vita particolare da tutti coloro i quali vogliono appartenere a una datacerchia54.

Non diversamente dalle classi agiate di Veblen, anche i ceti privilegiatinell’accezione di Weber “considerano squalificante il lavoro manuale ordinario”.Nelle formazioni sociali fondate su un’organizzazione di tipo cetuale, infatti, vigesolitamente il disprezzo per le pratiche acquisitive. Diversamente, il “modo dicondotta della vita” che conferisce l’appartenenza al ceto si acquisisce perascrizione, “cioè in base alla pretesa di prestigio derivante dalla nascita”55. Inquesta accezione il prestigio assume una parvenza del tutto analoga all’“onoresociale” del ceto dominante, ed è in questo senso intimamente associato alla“potenza” posseduta dallo stesso gruppo dominante56. Ma potenza e prestigio (oonore sociale) non corrono per forza di cose paralleli. Molto spesso la potenza,soprattutto la potenza economica, viene perseguita “per sé stessa”, senzapreoccupazioni di sorta per quanto concerne il prestigio. Altre volte,diversamente, è invece l’onore sociale l’obiettivo cui si mira, non essendo lapotenza che strumentale al raggiungimento di tale fine. Non ogni potenza,pertanto, “conferisce onore sociale”. L’esempio prospettato da Weber è quello

pensieri, 109-110). Sulla monoreferenzialità dei termini del discorso scientifico si vedaM. GOTTI, I linguaggi specialistici, La Nuova Italia, Firenze, 1991.

53 M. WEBER, Economia e società (1922), trad. it., Edizioni di Comunità, Milano, 1995,vol. II, p. 93.

54 M. WEBER, Economia e società, cit., vol. IV, pp. 34-35.55 M. WEBER, Economia e società, cit., vol. I, p. 303.56 “Per “potenza” intendiamo qui in generale la possibilità, che un uomo o una pluralità

di uomini possiede, di imporre il proprio volere in un agire di comunità anche contro laresistenza di altri soggetti partecipi di questo agire” (M. WEBER, Economia e società,cit., vol. IV, p. 28).

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del “tipico boss americano” o del “tipico speculatore all’ingrosso”, come figuresociali che rinunciano consapevolmente al “prestigio” in nome della “potenza“semplicemente” economica”, cioè di quella ““nuda” forza del denaro che noncostituisce un fondamento riconosciuto di “onore” sociale”. In via del tuttogenerale, precisa Weber, è comunque vero che “la potenza costituisce ilfondamento dell’onore sociale” e, simmetricamente, “l’onore sociale (prestigio)può costituire – e spesso ha costituito – la base di una potenza anche di carattereeconomico”57.

Il dominio dell’onore non si riscontra tuttavia soltanto nelle organizzazioni diceto, ma può presentarsi anche come il tratto qualificante le organizzazionipolitiche e le nazioni:

Ogni “potenza” di formazioni politiche comporta una specifica dinamica: essa puòdiventare la base di una particolare pretesa di “prestigio” degli interessati, che influenza illoro atteggiamento verso l’esterno. L’esperienza insegna che le pretese di prestigio hannosempre avuto un’influenza molto sensibile – anche se difficile da stimare, e in genere nondeterminabile – sul sorgere di guerre (...) Questa aspirazione di “prestigio” costituisce unfenomeno diffuso nell’ambito di tutte le formazioni dirette in modo specifico verso lapotenza, e perciò anche di quelle politiche (...) Il puro prestigio di potenza come “onoredella potenza” significa praticamente l’onore della potenza manifestata nei confronti dialtre formazioni – e cioè l’espansione della potenza, anche se non sempre sotto forma diincorporazione o di assoggettamento58.

Oltre a quelli dell’onore e della potenza, il terzo territorio nel cui ambitosconfina la problematica del prestigio è quello del potere (o dell’autorità). Sitratta di un ambito decisivo per comprenderne il fenomeno in tutti i suoi aspetti,se si assume, come pare, che la genesi della nozione moderna di prestigio siafortemente legata al processo storico che ha portato alla “spersonalizzazione”dell’autorità. Come è noto Weber individua tre forme ideal-tipiche dell’autorità59.La prima è l’autorità tradizionale, la cui legittimità rimanda a ordinamenti epoteri “esistenti da sempre”. Il secondo tipo di autorità è connesso al poterelegale-razionale, in primo luogo delle istituzioni giuridiche. Infine il terzo tipo diautorità è quello che promana dal carisma, cioè dalla dedizione per una qualitàpersonale considerata straordinaria e che possiede il carattere della sacralità.

Mentre la seconda forma del potere, quello legale, è toccato solomarginalmente dal prestigio, la prima e la terza ne sono intimamente coinvolte.La prima per le ovvie ragioni più volte richiamate in queste note, e riprese ancheda Weber. Una delle forme tipiche del potere tradizionale è quella esercitata dai“notabili”, coloro cioè che “in virtù del loro prestigio” – derivante da unaspecifica “dignità sociale” che si riferisce “alla loro condotta di vita” – sono perciò stesso chiamati al potere60. Per quanto riguarda l’autorità carismatica, invece,occorrerebbe riflettere se questa non è, alla fine, qualcosa di mosto simile aquanto Simmel ha definito prestigio, cioè quella particolare sfumatura 57 M. WEBER, Economia e società, cit., vol. IV, p. 28.58 Ibidem, pp. 10-11.59 S. MAGNANI, Le dimensioni culturali del prestigio, cit.60 M. WEBER, Economia e società, cit., vol. IV, pp. 52-53.

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dell’autorità che attraverso una sorta di incantesimo magico genera la dedizione el’omaggio spontaneo dei seguaci nei confronti dell’autorità carismatica oprestigiosa.

Considerazioni conclusive

Nella moderna accezione del termine – come manifestazione cioè didistinzione, stima, rispetto, autorità – il prestigio fa la sua comparsa nel corso delSettecento. Nel secolo successivo, come dimostrano le considerazioni diTocqueville e Bagehot, riportate all’inizio di questo scritto, la nuova declinazionedella parola si può considerare a tutti gli effetti acquisita dal linguaggio corrente.Tuttavia i cultori di scienze sociali del XIX secolo non sembrano manifestare uninteresse specifico per i problemi e gli interrogativi legati al prestigio. Puressendo entrato nel lessico comune ormai da tempo, il nuovo significato delprestigio non si trasforma, per tutto l’Ottocento, in “oggetto teorico”, cioè incategoria interpretativa del comportamento sociale. Bisogna attendere la fine delsecolo e i primi decenni del Novecento perché all’interno di alcune eterodosseimpostazioni teoriche si manifesti il bisogno di ricorrere al prestigio non solo inchiave puramente retorica, ma con la consapevolezza di avere a che fare con unaspetto della realtà sociale degno di specifica considerazione. Come abbiamocercato di dimostrare, è sufficiente un arco temporale abbastanza circoscritto,poco più di un ventennio, perché si assista a un proliferazione di sforzi teoricifinalizzati a chiarire e interpretare i diversi aspetti del fenomeno “prestigio”.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto, il motivo dell’apparente ritardonell’acquisizione, da parte delle scienze sociali, del prestigio come fenomeno daindagare in un’ottica scientifica. Una questione su cui non si può, naturalmente,che provare ad azzardare delle ipotesi. Quella che qui si avanza è che le grandicorrenti di pensiero ottocentesche abbiano giudicato la società industriale emoderna come una realtà insensibile a quei moventi e a quegli ideali che sonostati ritenuti esclusivi delle arcaiche classi aristocratiche, le sole a essere investitedal desiderio di prestigio. Non deve sorprendere che la scienza sociale pereccellenza dell’Ottocento, l’economia politica, nello sforzo di ricondurre a leggiuniversali e oggettive le forze che muovono la nuova realtà capitalistica, sfuggadichiaratamente ogni tipo di analisi dei comportamenti dettati dal prestigio odall’onore. E un approccio non diverso, si deve aggiungere, caratterizza anche lasociologia di August Comte, nonostante questa volesse proporsi comecostruzione scientifica alternativa all’economia politica. Oggetto della scienzasociale comtiana è l’evoluzione lineare e irreversibile che caratterizza gli stadi disviluppo della società umana, un programma nel quale non trova spazio laconsiderazione dei micro-processi che regolano l’interazione sociale. Sulla scenadelle scienze sociali il prestigio tarda pertanto a presentarsi nelle vesti di unconcetto esplicativo il comportamento umano, ostacolato da approcci chetendono a privilegiare, da una parte, le dinamiche dei grandi aggregati sociali –classi, nazioni o addirittura epoche storiche – e, dall’altra, dopo la fine del secoloscorso, l’agire razionale dei soggetti economici.

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Per considerare rilevante il fenomeno del prestigio, e per poter renderne conto,si doveva probabilmente rinunciare a quella spaccatura che ha visto maturare, nelcorso dell’Ottocento, una contrapposizione tra discipline e approcci metodologicidiversi: economia vs. sociologia; metodo analitico vs. metodo storico;deduttivismo vs. induttivismo; individualismo vs. olismo. Una dellecaratteristiche principali degli autori affrontati in queste pagine è sembrata lavolontà di rinunciare a tali contrapposizioni, in quanto inclini a un impostazionemetodologica tendente a superarle. La necessità di considerare i moventiindividualistici – primo fra tutti il bisogno di distinzione – è apparsa del tuttoesplicita in tutti gli autori che hanno sentito il bisogno di affrontare il tema delprestigio; nello stesso tempo però la loro analisi ha puntato l’attenzione e hasottolineato il ruolo decisivo dei fattori storici che condizionano ilcomportamento individuale: convenzioni, abiti mentali, istituzioni, consuetudini,ecc., sono tutti fattori giudicati essenziali nel delineare e talvolta determinare lospazio d’azione degli individui. Grazie a questo approccio è emerso il rilievoattribuito al fattore “inerzia”, cioè alla persistenza, nel corso dell’evoluzionesociale, di abiti mentali appartenenti al passato, che ha favorito il bisogno diricorrere al prestigio per rendere conto di fenomeni che appaiono tipici nonsoltanto delle società di antico regime ma anche delle moderne società industriali.

Una seconda questione riguarda proprio questo bisogno di prestigio cheattraverserebbe le diverse epoche storiche. Si tratterebbe di capire, cioè, se allaluce della consistente elaborazione teorica che prende piede tra fine Otto e inizioNovecento, il prestigio emerga come una parola che designa un fenomeno socialesempre esistito – magari nominato in modi diversi – oppure se le nuove valenzeassunte dal vocabolo siano associate a manifestazioni della realtà altrettantonuove. In altre parole, partendo dal dato di fatto che nell’accezione moderna iltermine nasce solo nel Settecento, si pone il quesito se anteriormente aquell’epoca non esisteva il fenomeno in quanto tale, oppure se, pur esistendo, eranominato in modo diverso (onore, autorità, ecc.). La prima eventualità porta asostenere non solo che, dopo il XVIII secolo, la parola prestigio allarga il propriocampo semantico rispetto al passato, ma anche che tale allargamento avviene perdesignare manifestazioni della realtà sociale che risultano, in qualche misura,“nuove” (quindi diverse da quelle tradizionali dell’onore o dell’autorità).

Non sembra affatto che questa conclusione sia suffragata dalla letteraturapresa in considerazione. Tra le diversi declinazioni del prestigio che abbiamoincontrato, nessuna – se non l’idea del prestigio come equivalente del “good-will” aziendale proposta da Veblen – può ritenersi esclusiva della storia postSettecentesca. Sussiste tuttavia il problema di chiarire le differenze semantichecon concetti di più antica tradizione – come onore, stima, rispettabilità, autorità –che possiedono importanti analogie con il prestigio. Da questo punto di vista nonsi può negare che alcuni suggerimenti emergono dai contributi degli autori presiin considerazione.

Affermare che in antico regime il ceto aristocratico possedeva prestigio puòrisolversi, in molti casi, in una sorta di tautologia, o comunque in un’espressioneche non muta nella sostanza se al posto di prestigio si usassero parole come“onore”, “autorità”, “rispettabilità”, ecc.. Cosa può avere dunque di nuovo il

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prestigio rispetto a queste espressioni? Il fatto che non si riduca a un codice dicomportamento di ceto (onore e rispettabilità) o a un vincolo oggettivo ches’instaura nel rapporto di subordinazione (autorità), ma che comporti lapossibilità di diventare un “oggetto del desiderio”, l’aspirazione dicomportamenti imitativi o emulatori. Il prestigio dell’aristocrazia diventapalpabile nel momento in cui i nuovi ceti commerciali fanno di tutto per entrarnea far parte; si comincia a parlare del prestigio di alcuni beni di consumo allorchéla diffusione del mercato li rende potenzialmente acquistabili da chiunque. Lacondizione di queste manifestazioni della vita sociale è quindi che l’economiamonetaria abbia raggiunto un sufficiente grado di sviluppo (il che non è unfenomeno esclusivo del capitalismo) e che le barriere di status siano diventatesufficientemente malleabili. E l’opera di autori come Veblen o Simmel sembrapuntare proprio su questi aspetti. Tanto l’emulazione pecuniaria dell’economistaamericano che la moda del sociologo tedesco acquistano un particolaresignificato solo all’interno di un’economia monetaria a larga diffusione, quellarealtà appunto che rende osservabile il concreto potere “equalizzatore” deldenaro.