ECOLOGIAECOLOGIA ALPINA - Cai Seregno

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CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI SEREGNO SCUOLA DI ALPINISMO RENZO CABIATI ECOLOGIA ECOLOGIA ECOLOGIA ECOLOGIA ALPINA ALPINA ALPINA ALPINA MARZO 2005

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CLUB ALPINO ITALIANO

SEZIONE DI SEREGNO

SCUOLA DI ALPINISMO

RENZO CABIATI

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MARZO 2005

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"I monti sentono chi li ama."I monti sentono chi li ama."I monti sentono chi li ama."I monti sentono chi li ama. E regalano il loro incanto"E regalano il loro incanto"E regalano il loro incanto"E regalano il loro incanto"

J. KugyJ. KugyJ. KugyJ. Kugy

L'ALPINISTA TUTORE

DELL'AMBIENTE MONTANO?

Indice: • Cos'è l'ecologia • Ecologia ed alpinismo • L'alpinismo come abitudine di lettura del paesaggio • L'uomo fattore esogeno di modificazione ambientale: il caso dell'"homo alpinisticus" • Le regole d'oro dell'andare in montagna • La prospettiva futura: dallo statuto del CAI alla tutela come consapevolezza • Bibliografia e glossario ALLEGATI � Autoregolamentazione del CAI per le discipline sportive in montagna � I piani e le fasce altitudinali � Fattori climatici � Cenni sulla fauna montana � La vita dei rifiuti

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Premessa Per parlare di ecologia ed alpinismo innanzi tutto occorre interrogarsi sulle proprie aspettative riguardo all'alpinismo, su cosa si cerca e cosa ci appaga quando "facciamo alpinismo", perché se il nostro fine è semplicemente arrivare in cima presto, prima degli altri e fare una collezione di cime (questa l'ho fatta…. Questa mi manca …. Questa mi manca in invernale …. Questa in solitaria….), non solo questa chiacchierata annoierà enormemente ma anche - lasciatemelo dire- non abbiamo capito niente dell'andare in montagna. "La base dell'alpinismo deve essere sempre il puro amore della natura e dei suoi monti, un'intima penetrazione nella loro vita, nella loro anima…" (Julius Kugy) in altre parole, che allora non usavano, "ecologia"

Cos'è l'ecologia Nel titolo ho specificato ambiente montano e non alpino volutamente. L'alpinista, come disse Spiro Dalla Porta Xydias, è colui che "raggiunge la vetta", sia che lo faccia per via di roccia, sia per "via normale". In ogni caso, prima di raggiungere la fascia di "ambiente alpino" c'è la fase dell'avvicinamento: si attraversano boschi, prati, pascoli, a volte ghiaioni e cenge, prima di raggiungere l'attacco. E lo stesso in discesa. Forse che uno è alpinista solo nel momento in cui attacca la parete e cessa di esserlo appena sfila la corda dai chiodi alla fine? Non direi, anzi, come dice Cassin "Alpinismo ed escursionismo non sono scindibili, perché, per avvicinarsi alle grandi pareti verticali bisogna fare dell'escursionismo e più lontane sono le pareti da dove si calzano gli scarponi, più valore assume la salita." Se si vuole dare una definizione ECOLOGIA è propriamente la "scienza che si occupa dello studio dell'ambiente e degli organismi che ne fanno parte, delle reciproche relazioni tra di loro e con l'ambiente". Ecologia ed alpinismo

Cosa c'entra l'alpinismo con l'ecologia? Forse che l'alpinista deve diventare ecologista, nel senso di mettersi a studiare le relazioni di cui sopra? Sì e no. No, nel senso che non è necessario che entri nel merito specifico delle varie problematiche o tanto meno che cerchi di trovare le soluzioni teoriche o pratiche a problemi ecologici o ambientali. Sì, nel senso che in quanto essere vivente inserito in un ambiente anch'egli interagisce con esso e soprattutto ne diventa un fattore esogeno di modificazione; anzi un fattore che spesso disturba e distrugge. È pertanto necessario che l'alpinista conosca le influenze che il suo passaggio ed i suoi gesti determinano sull'ambiente e sia consapevole che in qualsiasi caso egli lascia una traccia ed entra così nel "sistema". Tra l'altro alpinisti ed ecologisti si sono trovati spesso in disaccordo a proposito dell'impatto e quindi dell'utilizzo di alcuni ambienti; i primi attriti risalgono all'inizio degli anni '80, ma non in una zona prettamente montana, bensì nella provincia di Trieste, dove nell'84 con un atto amministrativo vengono interdette all'arrampicata le falesie di Duino, pareti a picco sul mare dove nidifica il falco pellegrino. Non mancano però esempi di sensibilità da parte delle associazioni di arrampicata, come in Puglia dove recentemente da un accordo tra ambientalisti ed arrampicatori si giunge alla pubblicazione dei siti sconsigliati, mentre in Abruzzo, a Roccamorice, prima ancora di attrezzare le pareti, le parti si sono incontrate ed hanno studiato con rigore scientifico l'approccio di una "invasione antropica controllata". Il cerchio si chiude dove si è aperto, a Trieste, dove le parti trovano un accordo e scelgono come luogo per sperimentare la loro collaborazione uno dei siti storici dell'alpinismo, la Val Rosandra, dove arrampicava Comici, ed un rapace notturno, il gufo reale. Il periodo più delicato è quello riproduttivo, che dura poco più di un mese, una volta all'anno, in primavera,

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quando il rapace nidifica su qualche terrazzino sulle pareti o qualche anfratto. Ed ecco che inizia la collaborazione tra alpinisti e ambientalisti: dopo che l'animale ha scelto una zona, si decide di comune accordo di abbandonare per un breve periodo quel tratto di parete. Si tratta di alcune vie su centinaia di altre libere. E si vigila assieme. Dopo un mese di pazienza ecco nascere i piccoli, la parete torna libera e l'entusiasmo contagia tutti: il piccolo grande miracolo della natura che si rinnova ha ripagato del sacrificio.

Purtroppo mentalità consolidata in molti frequentatori della montagna, sia occasionali che abituali è quella di essere "amanti della montagna", quindi "amanti della natura", quindi di non avere per questo stesso motivo e come diretta conseguenza alcun comportamento errato nei confronti dell'ambiente.

Spesso tuttavia anche le stesse strutture del CAI, che servono di supporto ad alpinisti ed escursionisti possono essere un elemento di forte impatto ambientale. I rifugi ad esempio rischiano di essere sovradimensionati rispetto alla capacità di tolleranza dell'ambiente che li ospita, mentre i bivacchi negli ultimi decenni sono proliferati a volte senza controllo e senza reali necessità, comportando anche un costo per le sezioni proprietarie dovuto alla manutenzione. Oggi fortunatamente la tendenza è all'opposto di smantellare o spostare bivacchi inutili L'alpinismo come abitudine di lettura del paesaggio Quando si va ad arrampicare si è inevitabilmente anche escursionisti, come si è detto, e spesso si devono affrontare anche alcune ore di cammino per raggiungere la parete, attraversando diversi ambienti durante l'avvicinamento. Pur nelle molteplici variabili determinate da fattori sia naturali che umani1, la schematica e più diffusa successione degli ambienti è la seguente: Bosco di caducifoglie (faggio, castagno, quercia, con arbusti di noccioli e maggiociondoli)

Bosco misto (faggio e abete)

Prato a sfalcio

Bosco di conifere

Pascoli magri d'alta quota

Ghiaioni e rupi

Nevi perenni e ghiacciai

BOSCO DI CADUCIFOGLIE: formato prevalentemente da faggio, querce e castagno. Raggiunge circa i 1000 m. di altitudine. Il faggio predilige clima più umido e tiepido e pertanto si trova più spesso sui versanti a sud. È una pianta che in esemplari isolati può raggiungere anche dimensioni notevoli di altezza e tronco, regalando all’escursionista una piacevole frescura. Si accompagnano ai boschi di caducifoglie piante con portamento arbustivo come il nocciolo e il maggiociondolo, mentre il sottobosco fiorisce in primavera di mughetti, dente di cane e rosa di Natale. BOSCO MISTO (FAGGIO E ABETE): intorno al limite dei 1000 m. cominciano ad apparire i primi abeti, soprattutto nella varietà dell'abete rosso o peccio (picea abies), o più raramente dell’abete bianco; si ha quindi il bosco misto, che sfuma poi nella pecceta o nell’abetaia pura, ma più spesso in quella mista. PRATO A SFALCIO: non è un ambiente propriamente "naturale"; i prati che si trovano sotto la linea del bosco, sia che siano estesi come ad esempio nelle cosiddette "Alpi" (Alpe di Siusi, Alpe Devero….) sia che siano delle semplici piccole radure, sono in genere prati a sfalcio, utilizzati appositamente per la fienagione. Per questo motivo è bene non attraversarli al di fuori di sentieri eventualmente segnati, per non rovinare il manto erboso che servirà come alimento al bestiame 1 Si veda l'allegato sui principali fattori climatico-ambientali.

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prima e come riserva invernale, poi. In quelle zone dove la fienagione non è più praticata, sia su aree grandi che piccole, la natura riprende la sua evoluzione e si verifica l'avanzamento del bosco a danno del prato: con piante arbustive prima, e di prima grandezza poi, cominciando dalla betulla, la radura tenderà a sparire. Spesso queste zone sono caratterizzate – e hanno il loro fascino- da una vegetazione floristica molto diversificata e quindi sono importanti per la loro biodiversità. BOSCO DI CONIFERE: forse uno degli ambienti più caratteristici della montagna. Formato in genere dall'abete rosso (peccio, da cui pecceta per indicare il bosco puro di abete rosso) che si distingue dall'abete bianco soprattutto dai coni (pigne) rivolti verso il basso e dalla disposizione degli aghi sul ramo, circolarmente su tutto il rametto (a spazzola), mentre nell'abete bianco i coni sono rivolti verso l'alto e gli aghi disposti su un unico piano (a pettine); quest'ultimo è più raro rispetto al peccio, dal momento che esige clima oceanico con terreni profondi e più freschi, ma non umidi, ed ha una diffusione altitudinale leggermente inferiore (600-1600 m. circa). Il sottobosco è caratterizzato dai “piccoli frutti” come fragole e mirtilli, ove l’insolazione è sufficiente, e felci. Fino a circa i 2300/2500 m. circa, si trovano anche i larici, pianta di prima grandezza, di areale puramente europeo, unica aghifoglia a perdere gli aghi in autunno, come forma di adattamento per superare il periodo invernale. Cominciano ad apparire inframmezzati agli abeti intorno ai 1800-2000 m., ma la loro diffusione altitudinale varia dagli 800 –dove si associa con il faggio- ai 2500 m. sulle Alpi Occidentali e tra i 900 ed i 1900 m. delle Alpi Orientali. Fa parte in modo esclusivo della biocenosi del bosco di conifere il crociere (Loxia curvirostrata), un uccello poco più grande di un passero (ordine passeriformi, famiglia dei fringillidi) dal caratteristico richiamo –kip-kip-kip- e riconoscibile per due caratteristiche: i colori vivaci (rossiccio per il maschio e verde per la femmina) e il becco robusto ed incrociato, adatto a rompere le pigne per cavarne i semi di cui si nutrono. Alle quote superiori i larici formano boschi puri, a volte anche molto radi, che hanno una importante funzione di consolidamento e sono uno dei più significativi esempi di tenacia ed adattamento di cui è capace la flora alto-alpina. Insieme al larice alle alte quote si trova anche il pino cembro o cirmolo, dalla caratteristica chioma compatta e quasi ovale di un verde piuttosto scuro, se cresciuto in condizioni ottimali, molto contorta invece se in condizioni estreme. Spesso si trova in individui isolati, anche nei posti più impervi; questo è dovuto al principale sistema di diffusione di questa pianta, che “si serve” della nocciolaia (Nucifraga caryocatactes), uccello delle dimensioni di un piccolo corvo (ordine passeriformi, famiglia dei corvidi), con l'abitudine di creare delle dispense dei semi di conifere, soprattutto di cirmolo, per l'inverno; a volte non riesce a ritrovare i semi sepolti, che possono così far germogliare nuove piante. Si distingue anche per gli aghi lunghi riuniti in ciuffi di cinque (solitamente negli altri pini sono riuniti in ciuffi di due). Un'altra conifera che forma spesso boschi anche puri è il pino silvestre, frequente sui pendii di materiale incoerente, anch'esso con una importante funzione consolidatrice. Si riconosce per la chioma, in genere limitata alla parte alta del fusto, e per la corteccia squamosa tendente a un colore rossastro negli individui giovani. Amante della luce e del clima secco e soleggiato è specie autoctona delle vallate alpine ad andamento longitudinale (est-ovest) ed ha una diffusione altitudinale dai 2-300 m. (alta pianura lombarda) ai 2000 m. circa. Caratteristico ed importante biotopo presente nel bosco è il sottobosco, più sviluppato dove la copertura arborea non è eccessivamente chiusa. Anch'esso è determinato dal tipo di substrato e dalle associazioni vegetali presenti; tra gli arbusti più caratteristici si trovano spesso felci e mirtilli, fragole, uvaspina… È bene raccogliere con cautela questi frutti, che rappresentano una preziosa riserva di cibo per molti piccoli animali durante la stagione invernale. Nella zona di transizione tra il bosco ed il pascolo d’alta quota ed i ghiaioni si trovano due piante ad andamento arbustivo: il pino mugo e il rododendro. Importante ella transizione verso la zona dei ghiaioni la fascia del pino mugo, una conifera ad andamento prostrato è di notevole importanza per il consolidamento dei ghiaioni e dei pendii di materiale incoerente. Le infiorescenze che fioriscono nella tarda primavera ed in estate ed anche le pigne hanno proprietà mucolitiche e si usano per fare il mugolio. Il rododendro, invece, il caratteristico arbusto fiorito di montagna, è presente in due varietà: il rododendrum ferrugineum su terreni più acidi (più ricchi di silice, rocce e terreni ignei),

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riconoscibile per le macchie rossastre –una sorta di ruggine- sulla pagina inferiore delle foglie, soprattutto quelle più vecchie, ed il rododendrum hirsutum, tipico dei terreni basici (calcare e dolomia) e riconoscibile per la peluria delle foglie e dei fiori. PASCOLI MAGRI D'ALTA QUOTA: sopra il limite del bosco si stende la fascia di pascoli magri, che presenta spesso una notevole biodiversità floreale. Soprattutto dove è presente una malga, che sia o meno ancora in attività, per la presenza di zone dove viene concentrato il bestiame, si sviluppa una flora caratteristica, detta nitrofila, letteralmente "amante dell'azoto", ossia che necessita per vivere di un'abbondante quantità di azoto. Il percolamento del liquami, delle acque di lavaggio della stalla, e dei residui della lavorazione casearia, infatti, spargono sulle superfici adiacenti, a volte anche per un largo tratto, sostanze organiche e composti azotati, iperfertilizzando il suolo e dando luogo spesso a popolamenti monospecie di erbe molto alte, come il rumice o rabarbaro alpino (Rumex

alpinus) o il senecio alpino (Senecio alpinus) dai caratteristici fiori gialli, ma anche le due più diffuse varietà di aconitum, il napellus dalle spighe di fiori viola ad elmo, e vulparia, noto anche come luparia . Un biotopo caratteristico ed importante sotto vari aspetti è quello della torbiera, che spesso, ma non sempre, si trova alla quota dei pascoli alti; sono ambienti particolari che si creano in specifiche condizioni di umidità e temperatura per il progressivo interramento dei laghi o delle zone di ristagno in alta quota; il notevole sviluppo di flora igrofila determina, con la morte ed il ristagno sul fondo, condizioni di scarsa ossigenazione e formazione di torba. Si tratta di un ambiente piuttosto raro ma di grande importanza per lo studio delle specie vegetali e della loro evoluzione, dato che capita non di rado che conservi specie relitte e pollini antichi sedimentati in strati, che permettono di stabilire, con studi stratigrafici, la diffusione e lo sviluppo vegetazionale, e quindi la successione dei climi delle epoche passate. Spesso i pascoli magri d'alta quota si stendono su ampie superfici pressochè pianeggianti, che invitano a camminare spaziando dove le gambe portano; in realtà è assai dannoso per questi terreni e questa vegetazione molto fragile essere calpestata fuori dai sentieri, anche perché il passaggio indiscriminato stile "Attila" crea una miriade di altri sentieri paralleli a quello originario, che a loro volta vengono ripetutamente percorsi, destabilizzando il suolo. GHIAIONI E RUPI: ormai in vista della parete da attaccare e con gli occhi forse già pieni di tutte le piccole grandi meraviglie scoperte durante l'avvicinamento, l'ambiente delle rupi e dei ghiaioni rimane uno fra i più spettacolari sotto il profilo floristico, per la straordinaria resistenza e vitalità dei suoi esemplari. Dove infatti l'ambiente sembra più ostile alla vita si possono scoprire dei piccoli capolavori della natura. Sono le piante cosiddette rupicole, che hanno sviluppato un sofisticato sistema di adattamento, per far fronte al breve ciclo vegetativo e all'avversità delle condizioni di vita. Il discrimine principale tra le specie vegetali presenti è dato dal substrato, calcareo o siliceo, che dà luogo ad associazioni differenti. Alcune di queste piante, seppur piccole e in formazione a pulvino hanno una importante funzione consolidatrice del ghiaione; va da sé, allora, un comportamento adeguato anche su un ammasso roccioso apparentemente privo di vita, come questo. La pratica certo divertente e molto diffusa di scendere correndo per i ghiaioni, lasciandosi scivolare con parte del pietrame è quanto mai dannosa e traumatica per piccoli fiori che possono aver impiegato decenni per raggiungere le dimensioni attuali. Allo stesso modo, dal momento che alcune piante sono in grado di vivere abbarbicate nel più piccolo anfratto roccioso, purchè sussistano condizioni di base (presenza di poco terriccio, magari protezione dagli agenti esterni grazie a una particolare sporgenza, acqua, a volte garantita da un sottile rigagnolo o dal semplice trasudamento della roccia), l'alpinista ha il dovere, arrampicando di non modificare tali condizioni, evitando quindi ancora una volta di lasciare eccessive tracce del proprio passaggio (piantare chiodi o eliminare sporgenze o roccette anche mobili). Le piante, quindi, ma anche la forma delle valli e delle rocce, il colore delle pietre ci raccontano storie lontane della vita di quei luoghi e degli uomini che le hanno percorse, abitate e custodite prima di noi. Bisogna però aver voglia di ascoltarle; aver voglia di fermarsi a guardare.

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L'alpinismo, quindi, in questo modo, se associato all'ecologia intesa come conoscenza e rispetto dell'ambiente in senso lato, diventa abitudine di lettura del paesaggio se miriamo a cogliere anche da una scalata tutto quello che la montagna ci offre, di grande e di piccolo, prima, durante e dopo. È appunto una abitudine, una forma mentale che arricchisce il nostro andare per i monti.

L'uomo fattore esogeno di modificazione ambientale: il caso dell' homo alpinisticus In questa delicata complessità di ambiente l'uomo non riesce a passare senza lasciare traccia: è dunque anch'egli "fattore esogeno di modificazione ambientale". Tale fattore è di diversi tipi:

- homo gitans sottospecie domenicalis: il più difficile da estirpare, molto diffusi e facilmente riconoscibili; molto prolifici, si spostano spesso in grossi branchi con molti piccoli; tendenza a presentare anche in ambiente diverso i segni dello stress settimanale (fretta, ansia, nervosismo, alto tono di voce)

- homo gastronomicus: disposto anche a degli spostamenti a piedi per procurarsi il cibo, in genere necessita di un rifugio ed è particolarmente ghiotto di piatti tipici

- homo canens: non pericoloso né particolarmente dannoso; ha la caratteristica di non riuscire a camminare e spesso -nei casi più gravi- neanche a stazionare, senza cantare, ovviamente canzoni di montagna. In alcuni casi limite alcuni individui arrivano a portarsi appresso tamburi o chitarre. Per queste caratteristiche la sua diffusione altitudinale è limitata alle quote inferiori.

- homo fotograficus: si sposta in genere in individui isolati, ma con una cospicua attrezzatura fotografica; è in grado anche, in alcuni casi limite, di passare la notte all'aperto.

- homo florofilus e homo funghifilus: entrambe le specie frequentano l'ambiente montano alla ricerca chi di fiori, chi di funghi, che in ogni caso raccolgono senza pietà e con scarso discernimento.

- homo alpinisticus la specie più evoluta, in genere con una buona forma di adattamento all'ambiente (attrezzatura), si sposta in piccoli gruppi, ma si incontrano non di rado anche individui isolati e gruppi più consistenti. Alcuni di essi si ritengono o sono ritenuti i veri sovrani dell'ambiente alpino. Per la sua capacità di adattamento si ritrova in tutti gli ambienti e a qualsiasi altitudine, per questo può diventare uno dei più pericolosi fattori di danno alla flora e alla fauna e di modificazione ambientale.

Sono due le situazioni di maggiore danno e disturbo che l'uomo può arrecare all'ambiente: 1- l'uscire dai sentieri tracciati, anche solo per percorrere delle scorciatoie. Questo vale riguardo ai

ghiaioni, come già detto, nel bosco, dove si danneggia il sottobosco e si disturbano gli animali, ma anche riguardo all'alpinismo, riguardo alla "mania" di tracciare nuove vie, con il rischio di disturbare dei rapaci che nidificano su certe pareti, di distruggere le condizioni che hanno permesso lo sviluppo di certi fiori in una determinata posizione, ma anche l'aspetto meno considerato, di essere portatori di pollini di altri ambienti, che rischiano di alterare l'equilibrio originario di un ambiente, creando nuove associazioni vegetali.

2- la pratica dello sci alpinismo e dell’escursionismo invernale, sia per quanto detto riguardo all'escursionismo o all'alpinismo fuori dai tracciati, sia perché viene praticato in genere in una stagione particolarmente delicata per gli animali, soprattutto per ungulati e tetraonidi. Entrambi infatti sono debilitati dalla stagione invernale e dalla carenza di cibo ed uno spavento o una fuga precipitosa possono essere loro fatali. Gli ungulati in genere verso la primavera scendono alle quote più basse alla ricerca della prime erbe, mentre in inverno si spostano in zone particolari isolate, tranquille, di solito su ripiani e dove è meno accentuato il rischio di provocare valanghe (!), mente i tetraonidi, in particolare le pernici bianche, usano passare l'inverno in buche scavate sotto la neve, per ripararsi dal freddo, perciò il passaggio di uno sci alpinista, che ovviamente non li vede, li spaventa, facendoli scappare e rischiando persino di provocare loro la sterilità. Anche per le piante la fine dell’inverno e l’inizio della primavera è un periodo delicato, con i

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nuovi rami e gemme magari ancora nascosti sotto la neve ma assai delicati e sensibili ai danni delle lamine degli sci.

Infine un altro periodo critico è rappresentato dalla stagione degli amori, quando è necessario non disturbare gli animali; esso si colloca in autunno per alcuni mammiferi, come gli ungulati, in primavera per l'avifauna, in ogni caso nei tempi corretti affinché la prole nasca e si sviluppi con la bella stagione: quanto è attenta la natura con i suoi piccoli! Le due regole d'oro dell'andare in montagna La prima, cui abbiamo già più volte accennato è di NON LASCIARE TRACCIA DEL PROPRIO PASSAGGIO La seconda regola d'oro, che può rientrare nella prima è di NON TOCCARE (ed asportare) MAI NULLA. Importantissimo soprattutto non toccare cuccioli di animali, perché sarebbero sicuramente abbandonati dai genitori, ricordando tra l'altro che in alcune specie, come il capriolo, i piccoli restano immobili accucciati nell'erba in caso di pericolo, (e l'uomo lo è per loro), senza scappare. … e la terza non si dice: si tralascia infatti volutamente qualsiasi riferimento ai rifiuti e alla raccolta di piante e animali, per non offendere la vostra intelligenza.

La prospettiva futura: dallo statuto del CAI alla tutela come consapevolezza Il CAI è stato fondato nel 1863 da Quintino Sella, dopo un'ascesa sul Monviso. Lo scopo, ricordato anche nello statuto, è "l'alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale" (Art. 1 Statuto del CAI). Dunque già nell'atto di formazione dell'Associazione c'era questa idea di conoscenza e studio della montagna, formalizzata nel 1931 quando Ardito Desio fondò il Comitato Scientifico Centrale, Organo Tecnico Centrale (OTC) da cui in seguito si formarono altri OTC, come la TAM (Tutela Ambiente Montano). La conoscenza e conseguentemente anche la tutela sono pertanto nell'anima del CAI, e dovrebbero far parte del bagaglio che ogni homo alpinisticus si porta nello zaino; ma questo non significa certo che l'alpinista -o l'escursionista- si debbano sentire investiti da chissà quali responsabilità nella tutela e nella conservazione degli ambienti che percorrono - di competenza della TAM, in un certo senso "braccio operativo" del CSC. Piuttosto significa acquisire consapevolezza: sapere che ovunque si passa, in ogni caso, si lascia una seppur minima traccia (e dunque cercare di evitare di lasciarne di più consistenti!); consapevolezza che dietro a ogni paesaggio e a ogni "meraviglia" che la montagna ci offre c'è una spiegazione, una storia a volte molto lunga e un fragile equilibrio. Consapevolezza, infine, che siamo chiamati a comportarci non come padroni assoluti, ma come coinquilini - e direi anche coinquilini di minoranza, rispetto agli altri abitanti dell'ambiente montano -, che si prendono cura della propria casa nel rispetto di tutti gli altri abitanti.

"Quello che veramente occorre"Quello che veramente occorre"Quello che veramente occorre"Quello che veramente occorre

non sono nuovi strumentinon sono nuovi strumentinon sono nuovi strumentinon sono nuovi strumenti

ma occhi nuovi per guardare"ma occhi nuovi per guardare"ma occhi nuovi per guardare"ma occhi nuovi per guardare"

M. ProustM. ProustM. ProustM. Proust

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Bibliografia di riferimento

CAI - CAAI Ecologia ed Etica, collana I manuali del Club Alpino Italiano, n° 7, 19991 DALLA PORTA XIDIAS, S. Ecologia alpina, collana I quaderni di cultura del Club Alpino Italiano 2003 PETRETTI, F. (a cura di) Boschi di Montagna, collana La natura in tasca, Arnoldo Mondadori Editore1996 SCORTEGAGNA, U. Pillole per l'escursionista curioso, Duck Edizioni 2000 ZANETTI M. Ecosistema Dolomiti, Duck edizioni 2005 BREDA G. Tra i monti di corallo. Rocce, fiori, fauna e itinerari nelle Dolomiti, CAI Alto Adige 2001 DE BATTAGLIA F.- MARISALDI L. Enciclopedia delle Dolomiti, Zanichelli 2000 Per il piacere di leggere di monti e natura, imparando senza la pesantezza di un manuale si consigliano:

CORONA, M. La voce del bosco, Edizioni Biblioteca dell’Immagine 1998 RIGONI STERN, M. Uomini, boschi e api, Einaudi Tascabili RIGONI STERN, M., Arboreto selvatico Einaudi Tascabili RIGONI STERN, M., il bosco degli urogalli, Einaudi Tascabili Glossario Biocenosi: comunià vivente insediata in un certo ambiente, in un biotopo o in un ecosistema Biotopo: microambiente con un suo equilibrio interno e conchiuso, ospitando stabilmente una comunità vivente: ad esempio una siepe o un arbusto, con tutto l'insieme di erbe, vegetali e animali che vi afferiscono (insetti, piccoli roditori o uccelli che vi trovano rifugio), le sponde di un torrente, un laghetto alpino o una torbiera Eliofila (flora): "amante del sole ", flora che necessita una buona esposizione Escursione termica: somma algebrica tra la temperatura massima e minima durante la giornata (e.t. diurna) o nel corso dell'anno (e.t. annuale; si calcola la somma algebrica delle temperature medie mensili) Ignee (rocce) o magmatiche: rocce formatesi dal raffreddamento della lava; si distinguono in plutoniche se il raffreddamento avviene sotto la superficie terrestre e quindi più lentamente, e vulcaniche, se il raffreddamento avviene sopra la superficie terrestre e quindi più velocemente. Le rocce plutoniche sono più ricche di silicio –e quindi più acide-, dal momento che in occasione di una eruzione vulcanica parte del silicio evapora e si disperde con i gas dell’eruzione. Un tipo particolare di roccia ignea è il basalto, che si forma in genere in condizioni sottomarine. Igrofila (flora): "amante dell'acqua", flora che si sviluppa in ambiente acquatico Inversione termica: fenomeno per il quale la normale successione delle temperature e delle rispettive fasce climatiche è invertita (vedi infra appendice 1); in genere è un fenomeno transitorio, tipico della stagione invernale, ma a volte può essere una situazione permanente, come sull'altipiano del Cansiglio. Mesofila (flora): “amante di un clima tiepido”, specie floristica o vegetazionale che necessita condizioni mediane di luminosità, umidità e temperatura Metamorfiche (rocce): rocce formatesi dalla trasformazione di rocce ignee o sedimentarie in condizioni di elevatissime temperature e pressioni. Nitrofila (flora): "amante dell'azoto", flora che si sviluppa nei pressi di una malga, anche se non più in attività Orofila (flora): specie diffusa in ambiente montano (di) prima grandezza, pianta: albero con sviluppo in altezza superiore ai 10 m. circa. Sciafila (flora): specie vegetale che predilige ambienti ombreggiati e umidi (ad esempio il faggio) Sedimentarie (rocce): rocce formatesi dall’accumulo e dalla sedimentazione di materiali, in genere resti organici di microrganismi marini. Rappresentano la maggior parte delle rocce affioranti. Strobili: pigne Xerofila (flora): "amante del clima secco e arido", flora che si sviluppa in condizioni di scarsa presenza d'acqua

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APPENDICI:

LE "TAVOLE DELLA MONTAGNA" DI COURMAYEUR (1995) Codice di autoregolamentazione delle attività sportive in montagna

Considerazioni generali

Per autoregolamentazione si intende che la regola è posta dallo stesso soggetto che la deve rispettare. Le regole che seguono sono proposte - perché le rispettino - a due soggetti: la persona che pratica l'attività e l'associazione che la promuove e la organizza. Esse si basano su un inscindibile criterio etico-ambientale: protezione dell'ecosistema alpino e mantenimento di condizioni conformi alla natura e al significato dell'attività.

È necessario che la presenza dello sportivo in alta montagna sia sempre rispettosa della cultura e delle tradizioni locali. Non bisogna inoltre adattare l'ambiente dell'alta montagna alle esigenze degli sportivi, bensì adattare queste ultime alle realtà ambientali dell'alta montagna.

Premesse comuni a tutte le attività Le attività sportive a cui si riferisce il codice sono tutte da considerare in se stesse a debole impatto ambientale. Le facilitazioni che danno origine all'iperfrequentazione dell'alta montagna e al conseguente degrado ambientale (strade, funivie, alberghi, rifugi, vie ferrate ed attrezzate) non sono in generale indispensabili alla loro pratica, ma assai spesso imputabili a interessi estranei a un genuino spirito sportivo. Si richiede un impegno comune a tutti coloro che praticano tali attività nell'ambito delle loro associazioni, e di queste a livello organizzativo e politico-amministrativo, perché tali facilitazioni non vengano ulteriormente ampliate, ma se possibile ridotte, e perché venga limitato a casi di emergenza l'uso dei veicoli a motore (auto, motocross, motoslitte, elicotteri). Esse devono altresì opporsi alla costruzione di nuovi rifugi, all'ampliamento di quelli esistenti, alla trasformazione degli stessi in strutture di tipo alberghiero, recuperando la loro funzione originaria di ricettività essenziale in quota. Nell'ottica di contrastare l'iperfrequentazione si richiede alle associazioni l'impegno a qualificare il proselitismo, a non favorire la pubblicazione di guide a scopo prevalentemente commerciale e pubblicitario, a promuovere iniziative di sensibilizzazione ambientale; ai singoli si richiede l'impegno alla diversificazione e a una motivazione di tipo culturale nella scelta delle mete. A qualunque livello di frequentazione la protezione della natura alpina esige dai singoli l'impegno a un uso minimale e corretto delle strutture esistenti e all'uso preferenziale dei mezzi pubblici per l'avvicinamento, l'abitudine alla rimozione scrupolosa dei rifiuti e di ogni genere di traccia, il rispetto altrettanto scrupoloso della natura (flora e fauna) nelle diverse situazioni specifiche delle loro attività, e quindi un certo grado di conoscenza naturalistica della zona visitata. Stante la comunanza dei problemi ambientali, le associazioni operanti in tutti i paesi di area alpina si impegnano al reciproco rispetto dei vigenti codici di autoregolamentazione.

Regole speciali per le attività

Escursionismo Le associazioni si impegnano a controllare l'apertura di nuovi sentieri e reti sentieristiche ed a realizzare la segnaletica con tipologie di scarso impatto ambientale. Esse devono prendere definitivamente posizione contro l'installazione di nuove vie ferrate e attrezzate e, ovunque possibile, dismettere quelle esistenti, con la sola eccezione di quelle di rilevante valore storico. Gli escursionisti si impegnano a evitare scorciatoie su terreni non rocciosi per diminuire gli effetti del dilavamento delle acque e prevenire i dissesti del suolo; si impegnano inoltre a non abbandonare i sentieri, a ridurre l'inquinamento acustico nell'attraversamento di aree protette o biotopi di particolare rilevanza scientifica, e a valutare la capacità di carico degli ambienti attraversati. Mountain-bike Le regole precedenti valgono anche per chi usa la mountain-bike, con particolare riferimento all'astensione dall'uso dei mezzi di risalita, che riduce la bicicletta a un semplice attrezzo per la discesa. Si richiede inoltre alle associazioni di seguire e controllare la diffusione delle gare cercando di limitarne il proliferare; e ai singoli biker di seguire, in attesa della definizione di un codice di autoregolamentazione nazionale, le note e già sperimentate norme americane NORBA e IMBA da adattare alle differenti realtà territoriali.

Scialpinismo L'obiettivo è quello di limitare al massimo l'impatto ambientale e, in particolare, gli effetti negativi su flora e fauna. - Occorre rispettare la vegetazione in ogni sua forma, evitando in particolare di sciare nel bosco in fase di rinnovazione e nei rimboschimenti, limitando i danni provocati dalle affilate lamine degli sci, specie con neve polverosa e scarsa. - Rispettare la fauna selvatica, - particolarmente sensibile nella stagione invernale, caratterizzata da severi fattori ambientati, e durante il periodo riproduttivo.

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- Evitare rumori inutili nell'incontro con animali selvatici, non avvicinarli né inseguirli, in particolare, durante il periodo riproduttivo dei tetraonidi, specie fortemente a rischio, astenersi da qualunque azione di disturbo nei luoghi di corteggiamento (arene di canto). - Nel bosco, quando esistano, privilegiare le strade forestali, sia in salita che in discesa.

Scialpinismo competitivo Nell'organizzare competizioni le associazioni si impegnino a ridurre il numero delle manifestazioni e quello dei partecipanti per ciascuna di esse. Si evitino inoltre le aree a delicato equilibrio ambientate, specie sotto il limite della vegetazione arborea. Occorre poi astenersi da ogni modificazione dell'ambiente originario tramite la costruzione di strutture fisse di supporto alle competizioni, garantendo, al termine della manifestazione, il ripristino del percorso e delle aree adiacenti; regolamentare l'uso del mezzo meccanico di supporto, da utilizzare esclusivamente per eventuali interventi di soccorso; evitare l'uso di cariche esplosive per provocare il distacco di valanghe. In caso di pericolo, in mancanza di un sicuro percorso alternativo, sarà opportuno rinviare la manifestazione. Infine è necessario elaborare una strategia che consenta di ridurre al minimo l'impatto degli spettatori, utilizzando aree idonee e ben definite in cui sostare, limitando l'inquinamento visivo e acustico (striscioni e altoparlanti). Arrampicata in palestre naturali Si deve limitare l'apertura di nuove palestre, avendo cura di considerare - prima di farlo - l'impatto sulla flora e sulla fauna, attenendosi al parere di persone competenti e disinteressate, e del gruppo di lavoro istituito dal CAI. Nelle palestre esistenti, gli arrampicatori si impegnano al rispetto delle eventuali convenzioni vigenti e a un comportamento corretto per quanto riguarda l'asportazione dei rifiuti e il mantenimento della zona alla base delle rocce e dei sentieri di accesso. Anche l'arrampicata su cascate di ghiaccio può avere un impatto ambientale, recando disturbo alla fauna in un periodo assai delicato per la sua sopravvivenza. Pertanto è necessario che i praticanti si attengano alle indicazioni dei competenti. Alpinismo L'autoregolamentazione in alpinismo si riferisce al mantenimento, o al ripristino, di condizioni ambientati conformi all'essenza dello sport alpino (wilderness = solitudine in ambiente selvaggio), e questo a partire dalla collocazione dei bivacchi fissi. Estranei alla loro funzione originaria sono i bivacchi collocati a poca distanza dal fondovalle o da altri punti di appoggio, lungo le vie di salita o in prossimità della vetta. Le associazioni devono quindi attenersi al criterio originario nella collocazione di nuovi bivacchi e nel ripristino di quelli esistenti, procedendo alla graduale eliminazione di quelli che a tale criterio non rispondono; mantenere in efficienza i rifugi non custoditi e i locali invernali che sono punti di appoggio quasi esclusivamente alpinistici. Per quanto riguarda l'azione alpinistica propriamente detta, qualsiasi autoregolamentazione deve basarsi sull'accettazione di una priorità. Se per l'arrampicatore sportivo tale priorità è la performance tecnico-atletica ottenuta anche grazie alla limitazione del rischio soggettivo, per l'alpinista essa è la soluzione di un problema di scalata posto dalla natura della montagna, valendosi esclusivamente dei mezzi di protezione e di progressione che essa consente. Le regole che derivano da questo principio sono le seguenti. 1) La costruzione artificiale di itinerari di arrampicata mediante perforazione della roccia deve essere limitata alle pareti che già si sono prestate naturalmente all'esercizio dell'arrampicata sportiva perché situate in prossimità di punti d'appoggio, pur appartenendo a strutture della cresta alpina. Alla stessa stregua possono essere considerati quegli itinerari alpinistici la cui temporanea iperfrequentazione ha richiesto interventi speciali ai punti di sosta per ragioni di sicurezza. Si tratta di itinerari che - almeno temporaneamente - non consentono più una vera esperienza alpinistica. 2) Altrove l'apertura di nuovi itinerari di scalata deve essere basata sulla struttura naturale della montagna e sul rispetto degli itinerari esistenti. Uso dei mezzi artificiali che comportano la perforazione della roccia deve essere limitato a casi straordinari, simili a quelli in cui essi sono stati tradizionalmente tollerati, ossia ai casi in cui essi consentono il superamento di brevissime interruzioni della linea di salita naturale; e ai casi di emergenza. 3) Nella ripetizione di itinerari di scalata in arrampicata libera devono essere rispettate o ripristinate le protezioni disposte dai primi salitori o quelle riconosciute accettabili dopo un certo numero di ripetizioni.

Rispetto delle regole La presente autoregolamentazione impegna direttamente quanti, singoli e associazioni, le hanno approvate o vi aderiranno, previa ratifica degli organi competenti. Le associazioni firmatarie provvederanno a sollecitarne e curarne il rispetto da parte dei propri soci, mediante pubblicazioni, scuole e ogni utile iniziativa. Eventuali inadempienze o violazioni potranno essere considerate quali comportamenti in contrasto con lo spirito dell'associazione e, quindi, quali violazioni di disposizioni associative con possibilità di comminare sanzioni disciplinari.

Le relazioni presentate al Convegno di Courmayeur sono state pubblicate nella Rivista del CAI 1995 (novembre- dicembre, 13-18), 1996 (gennaio- febbraio, 82-88; marzo- aprile, 10-14; maggio- giugno, 23-26)

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I piani altitudinali Orizzonte alto alpino piante a pulvino, piante pioniere, (2100-2900 m. circa) muschi e licheni, flora rupicola

Piano culminale Orizzonte alpino pascoli magri d’alta quota, torbiere (1900-2600 m. circa)

----------------- Limite della vegetazione arborea-----------------------------------------

Orizzonte subalpino rododendro, pino mugo, pino cembro, (1600-2300 m. circa) larice

------------------Limite della vegetazione forestale:----------------------------------------

al di sopra si troveranno solo

piante isolate, (cembri e larici)

Piano montano Orizzonte montano superiore boschi di conifere, prati a sfalcio (1000-1800 m. circa) boschi misti Orizzonte montano inferiore boschi di faggio

(450-800/1000 m. circa)

Latifoglie sciafile Piano basale Orizzonte submontano boschi di querce, castagno, nocciolo (fino ai 450 m. circa)

Latifoglie eliofile

È chiaro che la transizione da un ambiente all’altro è graduale (per questo le quote si intersecano tra loro e non sono perfettamente consecitive) e dipende anche da altri fattori – si veda sotto: “I fattori climatici”. Ad una stessa quota infatti, come sulle nostre Prealpi, si possono trovare boschi di faggio sul versante nord, boschi di castagno e roverella a sud. In altre zone, come sulle Dolomiti, dove le temperature medie sono inferiori e le precipitazioni maggiori, estesi boschi di peccio si trovano già sui 6-700 metri. LIMITI ALTITUDINALI SULLE ALPI

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I fattori climatici

Gli orizzonti ed i piani altitudinali di cui sopra, ovviamente, non sono una divisione netta dell’ambiente montano, ma hanno transizioni graduali e soprattutto sono influenzati da diversi fattori. Il fattore principale che influenza il clima e che determina quindi la varietà floristica e faunistica è, appunto, l'altitudine, ossia l'altezza di un punto terrestre, misurata in metri e calcolata sul livello del mare. Si misura con l'altimetro che va tarato in un punto quotato (o dalla carta o in prossimità di una targa altimetrica). Parimenti importante è, però, l'esposizione, ossia l'ubicazione di un territorio o di un pendio, rispetto ai punti cardinali; ad esso si collega l'orientamento delle valli: nel caso di orientamento longitudinale con andamento est-ovest si distingue tra versante a solatìo, ossia esposto a sud, e versante a bacìo, ossia esposto a nord. Dipendenti da altitudine ed esposizione sono:

- temperatura, diminuisce con l'aumentare dell'altitudine, perché la maggiore rarefazione dell'aria, che quindi assorbe meno calore. In inverno, tuttavia, in condizioni di alta pressione (bel tempo stabile) ed in assenza di vento si può verificare il fenomeno dell'inversione termica: il maggiore irraggiamento solare alle quote più alte (vedi infra) determina una temperatura maggiore più in alto. L'alta pressione e l'assenza di vento fanno sì che l'aria riscaldata dal sole "ristagni".

- irraggiamento, quantità di raggi solari che colpiscono il suolo: aumenta con l'aumentare dell'altitudine. Combinata con la diminuzione della temperatura e quindi la mancata percezione del calore, può provocare gravi danni alla pelle e agli occhi

- pressione atmosferica, il peso di una colonna di aria sopra un cm2; diminuisce con l'altitudine. Si misura con il barometro. In montagna funzione di barometro esercita l'altimetro: dopo la taratura, nel caso in cui si riscontrino troppo brusche variazioni di altitudine, significa che la pressione atmosferica sta cambiando, portando brutto tempo (bassa pressione � si nota sull'altimetro un aumento troppo consistente dell'altitudine) o bel tempo (alta pressione � si nota sull'altimetro un abbassamento dell'altitudine)

- venti, spostamenti di masse d'aria calda o fredda, determinati di solito dalla tendenza a salire dell'aria calda. In particolari condizioni di pressione atmosferica costante, le perturbazioni che provengono dall'Atlantico o dal nord Europa e valicano le Alpi dopo aver scaricato parte dell'umidità sul versante settentrionale, possono provocare sulle Alpi occidentali il föhn, vento caldo particolarmente pericoloso per chi pratica lo sci alpinismo, per il rapido scioglimento delle nevi che esso determina. Anche differenze di pressione, determinate da improvvise e non infrequenti perturbazioni, possono determinare l'alzarsi di vento, mentre la morfologia del territorio ne influenza l'azione. Il vento ha molteplici effetti sul suolo, la flora e la fauna: diminuisce l'umidità, seccando l'aria, e la temperatura, ha un'azione meccanica sulle piante, che spesso assumono forme caratteristiche, e di modellamento ed erosione sul terreno. Altri venti caratteristici della montagna sono la “brezza di valle” che soffia dalla valle verso la cima, di giorno, quando le vette si sono riscaldate; l’aria calda tende a salire e a richiamare aria dal fondovalle. La “brezza di monte” , invece soffia dalla cima in basso, verso sera, quando il fondovalle è rimasto più caldo e l’aria salendo ne ha richiamata di più fresca dalle quote più alte.

- precipitazioni e umidità Altri fattori, non climatici, che determinano la flora, e quindi la fauna, di una zona sono: la latitudine (distanza dall’equatore: si tenga conto che 100 m. di altitudine corrispondono nella variazione della flora a circa 3° di latitudine), la distanza dal mare, l'orografia ed idrografia ed il substrato geologico.

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Cenni sulla fauna alpina

Come la flora, anche la fauna si distingue in base al piano altitudinale, sia in relazione alla flora presente che spesso costituisce alimento essenziale per alcune specie, sia per le condizioni ambientali generali. Fra i vertebrati le classi faunistiche più consistenti ed interessanti per l'area dolomitica sono quelle dei Rettili, degli Uccelli e dei Mammiferi, essendo meno significative quelle di Pesci e Anfibi2

Rettili In Italia sono presenti solo due ordini3 di rettili, gli Squamati ed i Testudinati; l'area montana è interessata tuttavia solo dall'ordine degli Squamati, divisi nei sottordini dei Sauri (lucertole) e dei Serpenti. I rettili svolgono una funzione molto importante nel mantenimento dell'equilibrio ambientale e nella catena alimentare: sono infatti tra i massimi predatori di topi ed altri roditori e ne riducono quindi la diffusione con i relativi danni a colture o alla salute dell'uomo e del bestiame provocati dalle malattie di cui spesso sono portatori. Compiono la stessa funzione anche nei confronti di vari tipi di insetti. Inoltre svolgono un ruolo importante nella selezione naturale di varie specie di vertebrati, predando individui malati o vecchi. Nel sottordine dei Serpenti sono da ricordare il Biacco (Coluber viridiflavus), molto comune, con una colorazione dal verde chiaro al giallo-arancio, punteggiata da macchie scure; altri tipi di Colubri; l'ugualmente comune biscia dal collare (Natrix natrix); alcune varietà di vipera: la Vipera comune o Aspide (Vipera aspis) ed il Marasso (Vipera berus), quasi esclusivamente alpino e più pericoloso della Vipera comune. Tra i Sauri, invece, si trovano diversi tipi di Lucertole, l'Orbettino (Anguis fragilis), completamente privo di zampe e quindi facilmente confondibile con un serpente. Il principale fattore limitante dei rettili è la temperatura minima, per cui la maggior parte delle specie è più diffusa nel piano montano, soprattutto nella fascia subalpina; questo ambiente, soprattutto sui versanti con migliore esposizione e dal suolo roccioso con presenza di arbusti che offrano riparo, rappresenta le condizioni ideali per molte specie di rettili, anche non strettamente montani. La loro pericolosità, in particolare quella delle vipere, va molto ridimensionata, rispetto alle credenze più diffuse: sono infatti animali molto timidi, che tendono a scappare, piuttosto che attaccare, ed aggrediscono solo quando si sentono disturbate e minacciate. È pertanto totalmente ingiustificata la persecuzione di cui spesso sono vittima ed è ugualmente inutile ucciderle se si incontrano sul proprio cammino; bastano invece poche precauzioni nel personale comportamento, primi fra tutti un abbigliamento adeguato e una certa attenzione negli ambienti da loro prediletti, per evitare spiacevoli incidenti.

Uccelli Gli uccelli sono la classe animale più diffusa con 8600 specie e numerose varietà, per cui in questa breve sintesi si farà cenno solo alle specie più caratteristiche e note. È da ricordare tuttavia l'importanza biologica dell'avifauna nell'equilibrio della catena alimentare, come predatori di insetti, serpenti, piccoli mammiferi e carnivori, ma anche, in alcune specie, come "spazzini dei boschi" insieme ad alcuni tipi di insetti. Si distinguono l'ordine dei Falconiformi, fra cui si ricordano l'Aquila reale, l'Astore, la Poiana, le diverse varietà di Falco, uccelli rapaci, che vivono in coppie isolate tra loro per dividersi l'area di caccia. L'ordine degli Strigiformi, dall'attività prevalentemente notturna o al più crepuscolare, che comprendono animali piuttosto noti dal Gufo reale e comune all'Allocco, dalla Civetta al

2 Anche sulle montagne meno ricche di acque si possono comunque fare degli incontri interessanti, dai due

tipi di salamandra, quella nera, che arriva fino a 3000m. e quella pezzata molto bella e delicata, che vive nei boschi, al più raro tritone alpino e a vari tipi di rane e di rospi. 3 Globalmente gli ordini della classe dei rettili sono quattro: Squamati, Testudinati (o Cheloni), Coccodrilli (o

Loricati) e Rincocefalidi.

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Barbagianni. L'ordine dei Passeriformi che annovera moltissime famiglie e specie, fra cui le più diffuse sono le diverse varietà di Cincie, Fringuelli, Tordi, Merli; dei Passeriformi fa parte anche la famiglia dei Corvidi, fra cui si ricordano, oltre alla Nocciolaia, già nominata a proposito del Pino cembro, la Ghiandaia, riconoscibile per le ali e la coda di un vivo color rosso-violaceo, il Corvo imperiale, ed il comune Gracchio, nelle varietà del Gracchio corallino con becco e zampe rosse e del Gracchio comune, con becco giallo, che si incontra facilmente negli ambienti rocciosi e sulle cime dolomitiche, ormai piuttosto abituato alla presenza umana. Ed infine l'ordine dei Galloniformi, entro i quali la famiglia più caratteristica relativamente all'ambiente montano è rappresentata sicuramente dai Tetraonidi

Tetraonidi: la famiglia dei Tetraonidi (Gallo cedrone, Gallo forcello, Francolino di monte e Pernice bianca), appartenente all’ordine dei galliformi, è –insieme agli Ungulati- una delle caratteristiche faunistiche peculiari dell’ambiente montano; in Italia sono presenti solo nelle Alpi, in zone particolarmente tranquille e ad elevata qualità ambientale, essendo molto sensibili al disturbo antropico. Sono uccelli tra i più primitivi, relitto dell’epoca glaciale, che come altre specie sia animali che vegetali, dopo il ritiro dei ghiacciai hanno trovato ugualmente condizioni favorevoli di vita sulle Alpi, anche mettendo in atto una serie di adattamenti: ad esempio in difesa delle basse temperature hanno sviluppato del piumaggio anche sulle narici e sulle zampe, mentre per ovviare alla scarsità di cibo in inverno sono in grado di ingerire e digerire anche gemme ed aghi di conifere, che vengono prima triturati nello stomaco grazie a sassolini molto duri e ingoiati appositamente, e poi vengono decomposti ed assimilati con l’ausilio di batteri intestinali. D’estate, invece, si cibano di gemme, germogli, foglie e frutta. I pulcini nelle prime settimane di vita, si cibano prevalentemente di insetti, per il maggiore fabbisogno proteico. Altra forma di difesa e di adattamento al clima rigido è l'abitudine di scavarsi un rifugio sotto la neve, dal quale escono solo per alimentarsi, mentre nella bella stagione il nido è sul terreno, ma ben nascosto per tutelare la cova, ulteriormente protetta dal mantello mimetico della femmina. In caso di necessità e di pericolo, tuttavia, accade che il maschio si faccia notare o che la femmina si finga ferita, per attirare l'attenzione e proteggere la prole dal predatore che si sta avvicinando troppo al nido e facendo da esca lo porti lontano da esso. Un altro adattamento morfologico è dato dalla forma delle ali e delle zampe: mentre le prime infatti sono corte e arrotondate, tali da sviluppare un volo rumoroso e a battiti alari forti e frequenti, le zampe robuste si sono adattate a consentire spostamenti piuttosto agili e veloci sul terreno. Caratteristica tipica dei Tetraonidi - eccezion fatta per la Pernice bianca- sono i corteggiamenti e le parate, finalizzati agli accoppiamenti, che avvengono tra la fine dell'inverno e la primavera in quelle che sono definite "arene di canto"; le uova vengono deposte in primavera e covate tra i 20 e i 30 giorni; i piccoli sono nidifughi, cioè in grado di abbandonare subito il nido e anche questo è un evidente adattamento del comportamento, per limitare i pericoli dati dai predatori ed aumentare la perpetuazione della specie, dato che il nido è privo di qualsiasi protezione. Il tasso di mortalità è comunque molto elevato: l'inverno è la stagione più critica, tanto che viene superato solo dai due terzi degli adulti e dalla metà dei piccoli giunti all'autunno. La situazione è aggravata dalle esigenze ecologiche di questa famiglia, che richiede ambienti incontaminati e tranquilli e che pertanto rimane notevolmente disturbata dal più piccolo intervento antropico; la progressiva alterazione e riduzione del loro habitat, oltre che la caccia, ne sta riducendo gravemente la popolazione.

Gallo cedrone o urogallo: il maggiore dei Tetraonidi, presenta un accentuato dimorfismo sessuale, essendo il maschio di maggiori dimensioni con la livrea grigio-nera e una caratteristica caruncola rossa sopra gli occhi, mentre la femmina notevolmente più piccola è brunastra, per essere più facilmente mimetizzabile durante la cova. I due sessi vivono separati fino all'accoppiamento, tra marzo e maggio, preceduto da spettacolari gare canore di diversi maschi nelle arene di canto. Il Gallo cedrone predilige boschi misti di conifere e latifoglie, alternati a radure e ricchi di arbusti fruttiferi.

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Gallo forcello o coturnice: anche il Gallo forcello presenta un notevole dimorfismo sessuale ed il maschio si distingue dalle altre specie per la caratteristica coda a forma di lira con sottocoda bianco; dotato anch'esso di caruncole rosse sopra gli occhi, è maggiore della femmina, che presenta anch'essa come quella del Gallo cedrone, un mantello mimetico; a differenza dell'altra specie, tuttavia, il Gallo forcello vive al limite superiore della vegetazione, in una fascia altitudinale più elevata rispetto al Gallo cedrone e caratterizzata da lariceto e da arbusti contorti come pino mugo e ontano verde. Il comportamento sessuale è simile a quello del Gallo cedrone, senza legame di coppia e con i corteggiamenti all'alba in primavera nelle arene di canto, seguiti da combattimenti ritualizzanti.

Pernice bianca: in una fascia altitudinale ancora più elevata, oltre il limite della vegetazione arborea ed arbustiva, vive la pernice bianca, che presenta come tratto maggiormente caratterizzante la muta del mantello, che diventa bianco in inverno, per aumentare il mimetismo e quindi la protezione in una stagione che è per tutta la fauna la più dura e pericolosa, per la riduzione del cibo e la conseguente minore disponibilità energetica, tanto che una situazione improvvisa di pericolo ed una fuga precipitosa -come quelle che possono essere causate da chi pratica sci fuori pista- possono portare anche alla sterilità. D'inverno cercano di immagazzinare calore durante il giorno con bagni di sole, forti del mimetismo sulla neve, mentre di notte riducono la dispersione termica scavando rifugi sotto la neve. Nella Pernice bianca il dimorfismo sessuale è molto limitato; il corteggiamento avviene attraverso grida e un volo altro per attirare la femmina; la Pernice bianca presenta legame di coppia ed ha un comportamento territoriale.

Mammiferi Tra i mammiferi troviamo nella fascia montana, dove prevale il bosco -misto o di conifere- e un ricco sottobosco, piccoli roditori, come toporagno, topo quercino, moscardino, ghiro, scoiattolo, che trovano in quest'ambiente nutrimento e rifugio, ed alcuni carnivori, che si nutrono di roditori, uccelli, insetti, oppure di giovani esemplari di caprioli, come la volpe, la martora, mustelide con abitudini arboricole, o la lince, poco diffusa, ma recentemente reintrodotta nelle Alpi orientali. Abitano i boschi del piano montano infatti, anche cervi e caprioli e recentemente è ricomparso anche l'orso, proveniente dalla Slovenia. Nella fascia subalpina e nelle praterie alpine, invece vivono la lepre alpina, l'ermellino e la marmotta, facilmente riconoscibile dal fischio lungo e prolungato che l'esemplare di sentinella lancia in caso di pericolo: e spesso l'escursionista è avvertito come tale, specie se il sentiero passa troppo vicino alle loro tane. Tra gli ungulati camosci e stambecchi vivono alle quote più elevate su rocce e dirupi, scendendo più in basso durante l'autunno, per trovare l'ultima erba, quando le cime sono già coperte di neve, ed in primavera, alla ricerca delle prime erbe della nuova stagione, dopo il disgelo. Tutti questi animali sono riservati e notturni; occorre pertanto tenere un comportamento rispettoso, evitando rumori inutili, sia per non disturbarli, sia per aumentare le possibilità di un avvistamento, anche se è da ricordare che le ore migliori sono le prime del mattino ed il crepuscolo.

Ungulati: insieme ai Tetraonidi rappresentano una dei gruppi faunistici più caratteristici dell'ambiente montano. Appartengono a tre famiglie:

- cervidi (cervo, cervo sardo, daino, capriolo) - bovidi (camoscio, camoscio d'Abruzzo, muflone, stambecco) - suidi (cinghiale)

Sono caratterizzati da un paio di zoccoli per arto, formati dallo sviluppo delle unghie del terzo e quarto dito; tranne il cinghiale che è onnivoro, sono tutti erbivori e dotati di stomaci complessi adatti alla masticazione e digestione delle componenti cellulosiche. Elemento peculiare che rende questi animali tanto affascinanti e caratterizzanti dell'ambiente montano è la presenza delle corna e

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dei palchi. Costituiti da tessuto osseo i palchi nei cervidi (per esempio cervo o capriolo) sono portate solo dai maschi4 e cadono annualmente tra l'inverno e la primavera, per ricrescere più lunghe e coperte da un tessuto vellutato, detto velluto, che viene eliminato dall'animale quando le corna si sono ossificate, mediante sfregamento contro alberi ed arbusti. Nei bovidi (camoscio e stambecco) le corna sono invece presenti in entrambi i sessi (si pensi alle mucche e alle capre), anche se in genere quelle delle femmine sono di dimensioni più ridotte; sono permanenti, non ramificate e formate da una sostanza cornea che si accumula annualmente.

Cervo: il maggiore degli ungulati presenti in Italia; il maschio presenta un palco di corna che cade in febbraio-marzo, ricresce subito e viene ripulito dal velluto in estate. Vive in mandrie matriarcali, formate dalle femmine e dai piccoli, ai quali si uniscono i maschi solo nella stagione degli amori, tra settembre ed ottobre, quanto è possibile udire all'alba e al tramonto, il caratteristico verso del cervo, il bramito, segno di sfida e riconoscimento individuale, cui seguono i combattimenti per il possesso delle femmine, che partoriscono uno o più raramente due cuccioli in maggio-giugno; il cervo ha attività crepuscolare notturna nei boschi della fascia montana, ma anche oltre il limite della vegetazione arborea, mentre in inverno si ritira nei boschi più tranquilli dei fondovalle.

Capriolo: ungulato selvatico di piccole dimensioni, ma a maggior diffusione in Italia, per la sua elevata adattabilità5; cervide con un palco di corna costituite al massimo da tre punte, portate solo dal maschio, cadono all'inizio dell'inverno, per ricrescere completamente entro maggio; in autunno-inverno vivono in piccoli gruppi famigliari, mentre in primavera i maschi assumono un comportamento solitario per marcare il territorio con segni visivi ed olfattivi, fino alla stagione degli amori in luglio-agosto, quando l'abbondante disponibilità di cibo supporta il notevole dispendio energetico. Il capriolo ha sviluppato una forma particolare di adattamento nella gestazione della prole, che si interrompe dopo le prime due settimane, per riprendere e completarsi a maggio-giugno, quando la femmina partorisce uno o due piccoli dal caratteristico mantello picchiettato di bianco; questa forma di adattamento permette così di far combaciare due importanti momenti del ciclo di riproduzione e perpetuazione della specie - accoppiamento e nascita/allattamento- con i periodi di maggior disponibilità di cibo e di migliori condizioni climatico ambientali. Le sue piccole dimensioni lo costringono ad assumere il cibo più volte al giorno, prediligendo e ricercando alimento energetici ma facilmente digeribili.

Camoscio: bovide dalla caratteristica struttura slanciata e dal tipico muso giallo pallido con fascia nera bilaterale; inconfondibili anche le corna ad uncino, presenti sia nella femmina, sia nel maschio, ove però sono più uncinate e divaricate. I camosci sono gregari e vivono in branchi , formati dalle femmine e dai giovani, mentre gli adulti maschi vivono da soli o riuniti tra loro in piccoli gruppi e si ricongiungono alle femmine nel periodo degli amori, ad autunno avanzato. Il diritto all’accoppiamento viene stabilito da aspre lotte fra i maschi adulti, dopo le quali non è infrequente che il vincitore insegua a lungo il vinto; il parto, di un solo cucciolo, avviene in primavera, mentre la maturità sessuale viene raggiunta dopo il secondo anno. Erbivoro il camoscio si è adattato a mangiare anche rametti di conifera, gemme e licheni nella stagione invernale, quando si sposta nel bosco o nei versanti più ripidi esposti a sud. In primavera scende nei verdi pascoli di fondovalle e poi in quelli d’alta quota seguendo l’avanzata del disgelo e le erbe nuove. In caso di pericolo i maschi adulti emettono un fischio acuto, mentre i giovani belano

Stambecco: bovide tipico della fascia alto alpina, che si è adattato alle ostili condizioni climatiche grazie alla costituzione robusta e al pelo folto, si caratterizza per le inconfondibili lunghe corna arcuate, che lo rendono meno agile del camoscio. Anch’esso vive in branchi di femmine e giovani

4 Fa eccezione la renna, nella quale la presenza del trofeo si riscontra anche nella femmina; non è presente

tuttavia sulle montagne italiane. 5 Vive infatti dal livello del mare sino a 3000 m. di quota

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Scuola di Alpinismo Renzo Cabiati

Ecologia Alpina

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durante l’estate, mentre i maschi hanno un comportamento simile a quello dei camosci e vivono in piccoli gruppi o solitari sulle rupi più alte, per ricongiungersi alle femmine in autunno, quando nel periodo degli amori si scontrano in aspri combattimenti per il diritto di accoppiamento, che si verifica tra dicembre e gennaio; i piccoli, di solito uno per femmina, nascono in giugno. In inverno si stabiliscono sui pendii ripidi e più esposti al sole, dove la neve non si accumuli e fonda velocemente, dal momento che si trova in difficoltà sul terreno innevato, per lo squilibrato rapporto tra il suo peso e la ridotta superficie di appoggio degli zoccoli Le rapide variazioni altimetriche, le differenti esposizioni, le varietà morfologiche, la molteplicità delle situazioni geolitologiche, pedologiche e idrologiche, le celeri successioni climatiche producono in spazi limitati una grande verietà di ambienti naturali ai quali devono adattarsi le diverse specie vegetali ed animali. Le forme di adattamento più comune all'ambiente ostile sono la pelliccia (sia l'infoltimento che la muta e la colorazione) e i cambiamenti nel metabolismo, per gli animali, le dimensioni e la morfologia (ad esempio le formazioni a cuscinetto), la pigmentazione, l'irsutismo e l'ispessimento delle foglie nei vegetali; una forma di adattamento e di protezione molto particolare, specie in presenza di piante antagoniste, è rappresentato dalla formazione di spine e dalla produzione di veleno, che garantiscono i vegetali dagli erbivori. La Vita dei Rifiuti Tasto dolente quello dei rifiuti. Se nessuno discute sulla plastica e le lattine, alcuni ancora confondono biodegradabile con riciclabile (si pensi al vetro) e molti – anche tra alpinisti ed escursionisti- hanno la convinzione che qualche buccia, chewin gum o cicca di sigaretta facciano poco male: tanto sono biodegradabili e al massimo se li mangiano i caprioli! Ma se è vero che i gracchi ormai gradiscono –e aspettano- bucce di mela e pezzi di pane, voi la mangereste una buccia di banana o di arancia? E perché un capriolo la dovrebbe mangiare? Vediamo allora quanto vivono i rifiuti che la nostra pigrizia ed ignoranza ci fa lasciare nell’ambiente: Torsolo di mela 2 mesi Scatole di cartone 2 mesi Fazzoletti di carta 3 mesi Giornali e carta da 4 a 12 mesi Gomme da masticare 5 anni Cicca di sigaretta con filtro 1 anno Cicca di sigaretta senza filtro 3 mesi Lattine 50 anni Sacchetto, bottiglia, piatti, bicchieri di plastica da 100 a 1000 anni Vetro 10.000 anni