E TRAVERSATA DEL PASSO AMPHULAPCHA 5850 M · autunnali si perdono a vista d’occhio. La salita per...

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88 - Avventure nel mondo 1 | 2018 Testo e foto di Vincenzo Cacace e Paolo Civera E il racconto di un viaggio alpinistico in Nepal. La meta è il Mera peak di 6.476 m. Una vetta considerata nei “trekking peaks” pertanto non difficile tecnicamente ma con una quota di rispetto. La parte senza dubbio più spettacolare di questo viaggio è l’attraversamento delle vallate isolate che portano al passo Amphulapcha. Un passo il cui superamento richiede tecniche alpinistiche. Il passo 5.850 m porta nel Kuhmbu proprio di fronte all’Island peak, un’altra vetta che supera i 6.000 m molto frequentata dai trekkinisti. Ci ero già stato nella primavera del 2014. Avevo percorso le prime tappe che avevo ancora ben presenti. Uno strappo muscolare mi aveva bloccato due giorni prima della salita alla vetta. Avevo dovuto rientrare a Katmandu in elicottero. Una meta a cui tenevo molto non potevo lasciarla in sospeso. Ogni anno ci riprovavo ma non si formava il gruppo per i motivi più svariati, non ultimo la lunghezza del viaggio. Dal viaggio Mera-Amphulacha gruppo Paolo Civera MERA PEAK 6476 M RACCONTI DI VIAGGIO | Nepal Trek http://www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/7615 E TRAVERSATA DEL PASSO AMPHULAPCHA 5850 M

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88 - Avventure nel mondo 1 | 2018

RACCONTI DI VIAGGIO | Iran

Testo e foto di Vincenzo Cacace e Paolo Civera

E ’ il racconto di un viaggio alpinistico in Nepal. La meta è il Mera peak di 6.476 m. Una vetta

considerata nei “trekking peaks” pertanto non difficile tecnicamente ma con una quota di rispetto. La parte senza dubbio più spettacolare di questo viaggio è l’attraversamento delle vallate isolate che portano al passo Amphulapcha. Un passo il cui superamento richiede tecniche alpinistiche. Il passo 5.850 m porta nel Kuhmbu proprio di fronte all’Island peak, un’altra vetta che supera i 6.000 m molto frequentata dai trekkinisti.Ci ero già stato nella primavera del 2014. Avevo percorso le prime tappe che avevo ancora ben presenti. Uno strappo muscolare mi aveva bloccato due giorni prima della salita alla vetta. Avevo dovuto rientrare a Katmandu in elicottero. Una meta a cui tenevo molto non potevo lasciarla in sospeso. Ogni anno ci riprovavo ma non si formava il gruppo per i motivi più svariati, non ultimo la lunghezza del viaggio.

Dal viaggio Mera-Amphulacha gruppo Paolo Civera

MERA PEAK 6476 M

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E TRAVERSATA DEL PASSO AMPHULAPCHA 5850 M

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Dal viaggio Mera-Amphulacha gruppo Paolo Civera

MERA PEAK 6476 M

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La cresta del passo Amphulapcha

Partiamo dall’Italia e con un lungo volo raggiungiamo il Nepal. Il viaggio inizia da Katmandu. Il tempo di ottenere i permessi e siamo di nuovo in aeroporto. Sappiamo che gli aerei per Lukla partono generalmente solo la mattina presto e che gli orari sono molto influenzati dal grado di visibilità in prossimità dell’arrivo. Infatti, nonostante le condizioni del tempo a Katmandu sembrino discrete, in montagna probabilmente è diverso. Partiranno soltanto un paio di piccoli aerei di cui uno solo torna indietro, peraltro senza atterrare. Da quel momento più nulla. Non abbiamo altra scelta se non quella di tornare in albergo, non prima di esserci riuniti col nostro corrispondente in ufficio. Ci chiediamo se sia il caso di partire il giorno successivo con l’elicottero sostenendo un sovrapprezzo di 250 € ciascuno. Sarebbe certamente una soluzione migliore piuttosto che ritardare di un altro giorno la nostra partenza. E’ inevitabile che ci siano imprevisti in questi viaggi, non sarebbero avventure altrimenti. Il corrispondente ha il problema del trasferimento della guida/cuoco locale, pertanto nella notte comincia un lungo lavoro diplomatico. Mentre facciamo un giro per le vie meno turistiche e più nascoste di questa città, mi sento agitato, sono impaziente, non ho mai amato visitare le città, anche se alla fine del viaggio il ricordo di questi meandri nascosti rivestirà una parte importante. In fin dei conti in questo momento ho voglia di montagna.Mentre il giorno successivo torniamo in aeroporto arriva una telefonata dal capo dell’agenzia locale: abbiamo un volo! Esultanti arriviamo al check in e ci mettiamo in fila. I vari viaggiatori o gruppi verranno chiamati dai loro corrispondenti da dietro le bilance per i bagagli in ordine sparso vanificando la coda che avevamo formato. C’è la netta sensazione che senza una persona che ci appoggi dietro le quinte le possibilità di partire siano quasi nulle. Ad un certo punto si temeva persino che il volo fosse una chimera, la mattinata scivolava via veloce. Ero già seduto a terra togliendomi i pesanti scarponi, forse mi ero persino addormentato sul mio borsone, quando improvvisamente i nostri bagagli vengono caricati frettolosamente sulle bilance. Siamo proiettati in sala d’attesa con un biglietto e il nostro numero di volo. Ci si aspetterebbe che l’ordine cronologico delle partenze corrisponda al numero crescente del volo, ma non sarà così. Quando, dopo un paio di delusioni, viene annunciato il nostro volo, ci precipitiamo in pista su un bus che a un certo punto si ferma e spegne il motore. Dopo venti muniti, provati dal caldo e privi di acqua, scendiamo per incamminarci verso il nostro aereo. C’è ancora da fare il carburante e ricaricare la batteria. E’ la prima volta in vita mia che dormirò su una pista di atterraggio per alcuni minuti. Una volta saliti a bordo il nostro aereo si accoda ad altri due percorrendo la pista a passo d’uomo. Al termine della pista, dopo una stretta virata, i due aerei partono uno dopo l’altro. Anche noi cominciamo la virata ma appena varcata la striscia che delimita la pista dove decolleremo, una inaspettata frenata ci fa sobbalzare e notiamo che il copilota solleva lo sguardo in alto a destra. Improvvisamente, senza essere annunciato da alcun rumore, un aereo di dimensioni significative atterra a venti metri dal

nostro. Solo quando si posiziona dalla parte opposta della pista si potrà partire. Mentre ci avviciniamo alle montagne cominciamo a preoccuparci perché le nubi aumentano. Notiamo che sul radar assumono diverse tonalità di colore, dal verde al giallo al rosso, in funzione della turbolenza provocata. Le rotte vengono modificate per evitare le zone rosse. Quando passiamo su quelle gialle i vuoti allo stomaco sono

già di un certo livello. Sembra che il radar piuttosto velocemente si stia colorando di rosso, come una macchia di sangue che si espande sul pavimento. Il velivolo si abbassa velocemente avvicinandosi ad un crinale di fitta foresta e ci troviamo di fronte ad un pendio dove una pista che pare cortissima corre in salita verso la montagna, siamo arrivati a Lukla. Scendiamo, mai stati più felici di mettere i piedi a terra. All’uscita ci sarà uno stuolo di locali in cerca di un ingaggio da portatore, sarà compito della nostra guida scegliere chi ingaggiare. Intanto ci sistemiamo al primo lodge fuori dall’aeroporto per un tè, il primo di una lunghissima serie. Attenderemo a lungo le borse con le tende e la cucina. Avrò tutto il tempo di andare a consegnare la merce che mi aveva dato uno Sherpa in Italia all’Alpine Lodge, verrà qualcuno da Namche nei prossimi giorni a ritirarla. Ci preoccupiamo di filtrare l’acqua con la pompa a filtro ceramico per avere da bere fino a stasera. Partiremo verso le 15:00. Scendiamo per un breve tratto costeggiando l’aeroporto e poi prendiamo la prima a sinistra. E’ un bel sentiero acciottolato che ricorda vagamente le borgate nelle sperdute valli piemontesi, circondato dalle buganvillea in fiore, un contrasto molto forte con l’aeroporto pochi metri più indietro. Supereremo una dorsale stupefatti dall’immense e fitta foresta che ci si apre davanti e dal paese che scompare alle nostre spalle. L’aria è umida e nebbiosa, qualche fiore dai colori sgargianti occhieggia a bordo sentiero. In leggera salita attraversiamo un paio di casa-fattorie ed un ponte di nuova fattura prima che la foresta intorno a noi si infittisca. E’ quasi buio quando arriviamo ad un lodge che è già al completo, proseguiamo la salita. Adesso il fiato corto si fa sentire maggiormente mentre la

Mera gruppo in vetta

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il campo a Setp Pokari

scarsa luce della luna mi permette di vedere sotto una sella qualcosa che sembra una postazione di artiglieria, credevo fossero le camere del lodge poste a sentinella della valle. Più avanti scopro che erano solo le bandierine che tipicamente adornano tutti i passi. Poco male, appena più avanti, dove il terreno spiana, è situato il lodge. Siamo già a 3460 m ed il freddo dopo il calar del sole è arrivato di soppiatto ma velocemente. Arriveranno le borse e prenderemo il posto nei bugigattoli che avremo come camere, ordineremo un tè, osserveremo le nubi che si diradano e che lasciano intravedere le montagne innevate e le fioche luci di Lukla più in basso. Attenderemo la cena fin dopo le 20:00. La colazione è fissata per le 6:30. Un povero ospite solitario accusa già pesantemente i sintomi del mal di montagna.Di notte uno scroscio breve ma intenso riesce persino a ridestarci dal torpore, ma il tepore del mio sacco a pelo nuovo non ci metterà molto a rimettermi nelle braccia di morfeo. Poco dopo, dagli spifferi tra le pietre che formano le pareti della stanza, filtra della

luce, ma il silenzio intorno a noi è assoluto, sono già le 6:30. In fretta rifacciamo zaino e borse, così da consegnarle ai portatori che si incamminano prima di noiLa partenza nell’umidità della foresta è spettrale.

Dopo aver attraversato un torrente su umidi tronchi di legno, il sentiero prende a salire decisamente. Si comincia a notare il diradamento della vegetazione verso i 3700 m. Un peccato che le nuvole ancora ci occultino il panorama lasciandoci intravedere solo Lukla, quasi mille metri più in basso. La salita su questo ripido versante è faticosa. Ci concede una breve pausa su uno stretto terrazzo in corrispondenza del quale sorge un piccolo villaggio con pochi lodge.I versanti boschivi dalle mille sfumature

autunnali si perdono a vista d’occhio. La salita per il passo è ancora ripida prima che il tracciato tagli a mezza costa e raggiunga il valico con una serie di alti grandini che mettono a dura prova le gambe dei più.Sul passo controlliamo le quote: a noi risultano inferiori a quanto scritto, ad ogni buon conto siamo a 4.400 m. La discesa verso Thury Kharka, 4100 m, si

svolge ripidamente su bel sentiero. Le nuvole lasciano intravedere una montagna sassosa alla nostra sinistra. Dopo tutta questa foresta assaporiamo il piacere di una vera montagna Quando usciamo allo scoperto fa freddo, il cielo è sorprendentemente limpido, il colore è quello di una lastra di acciaio. Le montagne, di cui si distinguono solo i contorni, hanno le sfumature della carta da zucchero. Le più vicine, sul versante opposto della vallata, sono a una distanza siderale da qui. Si capisce perché un trekking da queste parti non possa essere ricco di cime come quelli che si fanno a casa, ma ciò non toglie nulla né alla bellezza né alla soddisfazione del percorso. Ci incamminiamo quando la conca è ancora lontana dai raggi del sole che stanno appena cominciando a scendere dagli alti pendii. Sotto questi radenti e dorati raggi, con le ombre ancora lunghe, i colori autunnali della vegetazione dai fitti cespugli è particolarmente accesa.Superata la terza dorsale passiamo sotto le bandierine che evidenziano i valichi di una certa importanza, entriamo così ufficialmente nella valle del Mera. Da questa parte ci accoglie un ambiente più soleggiato con vegetazione più rigogliosa.Il sentiero, sempre evidente, prosegue in un’ampia conca. Ogni tanto uno sprazzo si apre tra le alte

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nubi e lascia scorgere la montagna che dà il nome al nostro viaggio. Da questo versante presenta uno spettacolare pendio/canale nevoso al centro di una parete sormontata da uno spesso strato glaciale. E’ molto suggestivo il contrasto tra la foresta tropicale, la parete di granito e il ghiacciaio. Già da qui si sentono le rapide del fiume che scorre molte centinaia di metri più in basso. Giungiamo all’ingresso nel parco e al controllo dei permessi. Un lungo corridoio di ciottoli fluviali ci accompagna lungo la valle costeggiata da morene sempre più alte. Già alle 9:00, prima di incontrare e superare un piccolo dosso ed approdare a Mosom Kharka, il cielo è completamente nuvoloso. Il terreno diventa più sabbioso. Attraversiamo un tratto ricco di rigagnoli. I cespugli si diradano, si nota immediatamente un’incredibile quantità di stelle alpine ovunque.A circa 4000 m si snoda una scalinata che risale brevemente il pendio a sinistra per giungere ad un monastero ricavato sotto una roccia che funge da tetto, la parte rimanente è stata eretta con muro a secco. Sul banco, impreziosito da tessuti scarlatti e dorati, incensiere e altri suppellettili. Dietro, un monaco che legge. Alla sua sinistra numerosi ceri ardono sotto la volta affrescata, luogo di preghiera per i visitatori. I sensi sembrano diventare più ricettivi in questo luogo.Poco dopo raggiungiamo Tangnang dove ci fermeremo due giorni per acclimatarci alla quota.Ci apprestiamo a percorrere il sentiero verso Kare ammirando ogni piccolo particolare: dagli spruzzi che si alzano dalle rapide inondati dalla luce dorata del primo mattino alle sfumature infinite dei fiori. Il Mera mostra tutto il suo splendore: il suo candido mantello e la sua vetta che da qui sembra un minuscolo bernoccolo innevato perso nella vastità della calotta glaciale. Manca ancora poco per giungere alla destinazione della tappa odierna.Giunti a Kare perfezioneremo il nostro acclimatamento per la salita di dopodomani, tutti temiamo il mal di montagna per il quale non ci sarebbe soluzione se non ridiscendere e rinunciare alla vetta.Saliremo ancora circa 300 m sopra Karka per raggiungere un cucuzzolo panoramico sul quale ci fermeremo a consumare il nostro picnic e ad ammirare il panorama di montagne.Ci incuriosisce specialmente una vallata morenica costellata di piccoli laghetti dai colori sorprendentemente diversi. Stiamo bene e siamo fiduciosi nel successo del viaggio.

Oggi è il giorno della verità, affronteremo la notte più

alta che la maggior parte di noi abbia mai provato e le incognite sono tante. Se il nostro fisico non dovesse rispondere bene la cima diventerebbe un grande rimpianto, questa è l’unica certezza. Prima di colazione separiamo il materiale strettamente necessario per l’ascensione da quello che servirà per proseguire il viaggio. Alle 8:00 siamo tutti pronti per partire. Risaliamo una costa che si rimonta con uno zig zag. Un breve tratto non molto ripido è il preludio ad un lungo pendio di sassi accatastati solcato da un ottima traccia. Cerchiamo tutti di non andare subito fuori giri. Siamo in vista del fronte del ghiaccio e del passo “Mera La”, poco sotto si trova il primo campo che saltiamo. Saliamo il ghiacciaio dal basso più dolcemente possibile. Con un pendio moderatamente ripido, ma non tanto da richiedere l’uso della piccozza, raggiungiamo il passo e poi seguiamo la poco pronunciata dorsale circondata dai primi crepacci. La traccia è evidente e sicura, non sembra che possa nascondere insidie. La vera insidia è il caldo dovuto al sole dei 5.000 m che rapidamente ci prosciuga le energie. Il cielo è coperto da una coltre di nubi bianche, nessuno ne parla, ma questi sono segni inequivocabili di ciò che verrà. Dietro ogni dosso nevoso sembra non arrivare mai lo sperone roccioso che emerge solitario dal ghiacciaio sotto il quale è ubicato il campo alto del Mera. Finalmente, raggiunta la quota di 5700 m in un ambiente straordinario, proseguiamo in piano verso quello che sembra la roccaforte di un castello. Rimettiamo brevemente piede sulla roccia e aggirando lo sperone giungiamo al campo su una cengia larga una ventina di metri sulla quale sono piazzate sette o otto tende. Da questo inusuale balcone si domina un grande ghiacciaio che scorre circa 200 m sotto e una seraccata che dal bacino superiore raggiunge quello inferiore passando a pochi metri dalle nostre tende. Riusciamo ad ammirarlo soltanto brevemente, ormai le nuvole avvolgono ogni cosa sopra e sotto di noi. L’umidità ci fa percepire il freddo più intenso. Ispezioniamo la tenda-cucina, ci faranno un tè caldo ed è come se avessimo trovato la pietra filosofale. Stare fuori dalla tenda cucina è inospitale. Ci rifugiamo direttamente nel sacco a pelo, nella nostra tenda da due. Passeranno a servici la frugale zuppa d’aglio alle 16:30. Comincia a cadere qualche fiocco di neve. Voci di corridoio parlano di una schiarita tra le 6:30 e le 9:00 dell’indomani. Aleggia un cauto ottimismo nel gruppo. Il timore del freddo intenso e di non riuscire ad addormentarsi o, peggio ancora, di sentirsi male, si riveleranno infondati anche se la notte sembrerà lunghissima. E’ notte e sento il leggerissimo ticchettio, percettibile soltanto per il grande silenzio che qui regna sovrano, della neve sulla tenda. Già da ieri lo sapevamo, ma constatarlo è diverso.

Suona la sveglia, è l’una del mattino. Quando apro la

tenda la neve scivola davanti all’ingresso, la luce della frontale fa brillare i fiocchi fitti e sottili che stanno cadendo. Ci mettiamo in marcia alle 2 in punto e una volta rimesso piede sul ghiacciaio, a non più di trenta metri dalla tenda, seguiamo una traccia che svolta seccamente a sinistra passando sopra la seraccata che domina il campo. Mi accordo con Thilapka per fare il passo al gruppo: lo farò io col proposito di essere lento tanto da non dover effettuare soste per l’affanno. Il terreno ha una pendenza moderata e regolare il che ci aiuta molto nel controllare respiro e battito cardiaco. Ognuno si chiude nel suo mondo, resta in ascolto del proprio corpo. Dietro si vedono appena le luci delle altre cordate, molto lontane. A circa 150 m dalla vetta si percepisce un flebile chiarore intorno a noi. Sono circa le sei meno un quarto. Siamo stati più veloci del previsto. Purtroppo la visibilità è scarsa. Il prestigioso panorama a 360° che offre il Mera ce lo potremo solo sognare. Chissà... si parlava di schiarite dopo le 06.30. Con l’aiuto della piccozza superiamo il murettino per mettere piede sul piattone sommitale. Dieci passi siamo sulla sommità, sono le 6:15. Fa freddo boia.

Liberiamo le bandierine da un cumulo di neve e facciamo le foto. Alcuni soffrono freddo alle mani. Di schiarite non se ne vedono, giocoforza iniziare a scendere. Incontreremo la prima cordata appena sotto alla vetta. Brancoliamo nel bianco totale essendosi cancellate le tracce. Si scende lentamente ponendo attenzione per evitare di finire in un’area crepacciata. Al campo ci aspetta una tazza di tè, poi, preparati i bagagli, ci incamminiamo verso il Mera La. Aumenta la visibilità

tanto da non aver più problemi di rotta. Dal passo scendiamo nella valle dell’Honggu Khola. La neve rende il percorso scivoloso. Si deve prestare molta attenzione. Direzione esattamente nord verso il passo Amphulapcha. In un paio d’ore raggiungiamo la piana di Komadine situata a circa 4700 m. Non nevica, la visibilità ora non manca. Siamo soddisfatti per la riuscita della salita ma rammaricati per aver incappato nel solo giorno senza visibilità di tutto il viaggio. Da ora in poi avremo costantemente cieli blu per tutto il giorno. Cena in giacca a vento e pantaloni pesanti, poi tutti a nanna.

Il tempo è bellissimo. Tutto intorno la spruzzata di neve resiste ancora, come lo zucchero a velo su un dolce. La montagna che catalizza il nostro sguardo è di fronte a noi sul versante opposto della valle dell’Hunku. E’ il Chamlang 7264 m secondo la nostra cartina, l’ennesima parete glaciale che sembra disegnata da un artista geniale. Da questa parte un anfiteatro roccioso chiude la valle salendo all’improvviso dalla piana alluvionale. E’ a causa di questa parete che non potremo godere del tepore del sole finché non ci incammineremo. Dopo aver preparato i bagagli facciamo una buona colazione a base di pancake e miele. Oggi abbiamo anche la

sullo sfondo il Baruntze

Stefania e Michele sulla vetta del Mera

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cioccolata liofilizzata, una piacevole sorpresa dopo tanti tè o caffè. Quando muovo il primo passo sentirò un brivido, avrò la sensazione che sto per affrontare il cuore del viaggio, il nostro mondo perduto. Il sentiero è una sottile striscia di erba leggermente più chiara della circostante color ruggine che si avvicina lentamente alla sponda sinistra della valle. Giunto sotto di essa la risale ripidamente. Passata la dorsale entriamo ufficialmente nella valle dell’Hunku. Ci troviamo sulle sponde di un lago dal colore blu intenso che dà l’impressione di essere molto profondo a dispetto dell’esigua superficie. Su questo pianoro le fioriture sono abbondanti, la vista sulla catena di montagne dall’altra parte della grande vallata è superlativa. Il sentiero continua in mezzacosta da questa parte, serpeggiando tra terrazzi erbosi e terreno sassoso in corrispondenza degli sbocchi delle vallate laterali.Da alcuni punti numerose nuove cime si schiudono alla vista, tra tutte l’imponente mole del Makalù.

Anche oggi la giornata è splendida. Questa, che nel programma figurava come una semplice tappa di trasferimento nella media valle, si rivelerà una delle più suggestive del giro. Mi alzo presto malgrado la colazione fosse fissata soltanto per le 7:00. Siamo attorniati da vette ardite, si vede l’Ama Dablan da un angolazione insolita, poi laghi, morene e pendii da superare. Siamo completamente soli in questo paradiso d’alta quota. Ognuno va col proprio passo e siamo spesso a distanze di 500 m l’uno dall’altro. Ci piace così: un’immersione totale nella natura selvaggia.Nei luoghi dove posiamo lo sguardo c’è sempre una baita di sassi a vista, spesso col tetto realizzato con un telo impermeabile affrancato ai lati. Verrà utilizzata come cucina e come mensa. Noi metteremo le tende e approfitteremo per un momento di relax.A Panch Pokari siamo proprio sotto al passo Amphulapcha di 5.850m. Si vede una bastionata di seracchi che preoccupano. Si sale per un lungo tratto a zig zag su un ripido pendio. Sulla nostra sinistra si susseguono seracchi sistemati a formare una gigantesca scala verso il cielo. Tutti sono caratterizzati da una serie di sottili e frequenti stalattiti di ghiaccio che ricordano i fanoni di una balena. La nostra traccia rimane sulla destra passando sopra una calotta nevosa. La cengia si restringe e ci troviamo nel punto dove scendono le corde fisse su placche rocciose, calziamo i ramponi e l’imbrago.Uno alla volta saliamo tenendo la corda con una mano per sicurezza. Alcuni mettono un Jumar.Si aggira il salto sulla destra passando sopra il seracco su una striscia di neve dall’apparenza sottile che presenta un salto sia a destra che a sinistra. Adesso percorriamo brevemente un altro tratto innevato pianeggiate e ci troviamo all’altezza del valico che,

a parte la quota - evidentemente la più bassa della dorsale - non ha nulla che lasci pensare che qui si trovi un passaggio. La cresta sembra essere sempre piuttosto affilata alternando tratti rocciosi a tratti con belle cornici di neve. Lasciamo il tratto nevoso per percorrere un tratto roccioso piuttosto esposto proprio sopra il nostro campo e dopo venti metri ci troviamo a cavallo dello spartiacque. Incredibilmente bello guardare questa meravigliosa cresta da questo particolare punto di vista a 5850 m di altezza. Di

là c’è un breve traverso in leggera discesa. Raggiungiamo un terrazzino dove non ci staremo tutti. Comincio a scendere per la traccia scalinata, occorre prestare la massima attenzione, pochi metri sotto c’è un salto verticale. Poco prima di arrivarci, spostandoci ancora un po’ a destra, c’è un secondo terrazzino dove è attrezzata la nostra doppia. Sono circa 70 m nel baratro con un nodo da superare. In sei persone ci impiegheremo quasi un’ora. Finalmente le difficoltà alpinistiche sono superate: un sentiero a tornanti scende deciso nella valle. L’anfiteatro

di montagne presenta, di fronte a noi, l’Island peak, probabilmente la montagna più salita di tutto il Khumbu. Ma la regina è la parete sud del Lhotse su cui è scomparso Jerczy Kukuczka nel tentativo solitario alla prima salita della parete.Ormai distrutti continuiamo per inerzia, il panorama alle nostre spalle ritrae sempre la dorsale di confine col Tibet tra l’Everest a occidente e il Makalù a oriente. Non ho parole per descrivere la grandiosità di queste pareti alte in alcuni punti più di 3000 m dalla nostra quota, sembra di camminare tra le montagne di un altro pianeta. Dopo questo lungo tratto pianeggiante, saliamo sull’ennesima poco pronunciata morena e ne seguiamo il filo. Il paese di Chhunkung si trova alla fine del filo che va a morire sulla più grande morena della valle principale. Su di essa si estende un rigoglioso pascolo ricco di yak, incontriamo i primi turisti da diversi giorni. Arriviamo così a destinazioni accolti dal giovane gestore e all’esposizione dei certificati delle cime conquistate come sherpa. Di spicco : tre volte la vetta dell’Everest e due quella dell’Ama Dablan.

La grande avventura si è ormai conclusa, siamo tornati nel mondo del trek-consumismo. Il giorno seguente, salendo al Kalapattar per ammirare la vetta dell’Everest, incontreremo probabilmente più di 1000 turisti. E’ sorprendente come la presenza di tante persone sembri sottrarre bellezza ai luoghi. Probabilmente il senso di solitudine e di selvaggio viene annullato, si percepiscono altre sensazioni. La valle e le montagne restano sempre belle ma noi abbiamo ancora nel cuore le sensazioni uniche che ci ha regalato la nostra avventura. Scenderemo la valle del Khumbu con facilità trovando man mano sempre più comfort. Prima Tienboche, poi Namche Bazar e quindi Lukla. Non ci sono intoppi: voli regolari. Ci concederemo un paio di giorni a Bhaktapur prima di rientrare in Italia.

salendo le rocce sotto il passo Amphulapcha

Mera la vetta