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226/8 EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® TEORIA GENERALE DEL DIRITTO 226/8 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI ELEMENTI DI • Stato e diritto • Ordinamento giuridico • Fonti del diritto • Norma giuridica • Giuscibernetica TEORIA GENERALE DEL DIRITTO Estratto della pubblicazione

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    di lettura e i concetti fondamentali.

    Estratto della pubblicazione

  • TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Vietata la riproduzione anche parziale

    Finito di stampare nel mese di marzo 2008dalla «Officina Grafica Iride» Via Provinciale Arzano-Casandrino, VII trav., 24 - Arzano (NA)

    per conto della Esselibri S.p.A. - Via Ferdinando Russo 33/D - 80123 - Napoli

  • PREMESSA

    Questo testo introduttivo alla teoria generale del diritto costitui-sce un primo approccio per il giurista a questa complessa, ma affa-scinante disciplina che analizza i fondamenti del diritto, della normae dell’ordinamento giuridico.

    Nella stesura del lavoro si è tenuto conto delle potenziali difficol-tà ermeneutiche dei neo-giuristi nei confronti di concetti che si ri-chiamano a problematiche di filosofia del diritto e di dogmaticagiuridica.

    Il lavoro analizza i capisaldi del sapere giuridico: dal concetto didiritto a quello di ordinamento, dalle norme alle fonti, dalla giustiziaall’analogia chiudendo con un breve capitolo sulla giuscibernetica.

    Questo testo, dunque, favorisce un approccio iniziale allo studiodel diritto e si presenta di particolare interesse ed utilità per gli stu-denti universitari che, in tempi rapidi, necessitano di uno strumentoagile e sistematico (come si rivela nei glossari posti a fine capitolo)per raggiungere una preparazione ottimale all’esame.

  • Estratto della pubblicazione

  • CAPITOLO PRIMO

    LO STUDIO DELLA TEORIAGENERALE DEL DIRITTO

    Sommario: 1. Nozione, oggetto, funzione. - 2. Rapporto tra teoria generale del dirittoe sociologia del diritto. - 3. Rapporto tra teoria generale del diritto e filosofia deldiritto. - 4. Metodi di studio della teoria generale del diritto.

    1. NOZIONE, OGGETTO, FUNZIONE

    La teoria generale del diritto è la disciplina che ha ad oggetto lo stu-dio degli aspetti generali del diritto e che mira a definire concettualmentealcune figure o espressioni giuridiche di uso comune, anche mediante lacomparazione tra diversi ordinamenti giuridici (JORI-PINTORE, CATA-NIA).

    Dunque, è proprio all’uso generalizzato di determinate espressioni, cioèall’impiego di queste in tutti gli ordinamenti giuridici, che si riferisce iltermine «generale» attribuito alla materia in esame (CATANIA).

    Si parla in questo senso della teoria generale del diritto anche come «te-oria strutturale», in quanto studia la struttura e la matrice del diritto edegli ordinamenti giuridici (JORI-PINTORE).

    Quali sono le espressioni giuridiche oggetto di studio della teoria genera-le del diritto?Tradizionalmente, oggetto di studio della teoria generale del diritto sono, ad esempio, i concet-ti fondanti come quelli di diritto, norma giuridica, ordinamento, ordinamenti, legge, validità,efficacia, sanzione, fonte del diritto ecc.

    Per quanto riguarda l’ambito di operatività della disciplina è costituitodallo studio del diritto positivo, cioè quello vigente ed operativo, e ciò,come fra breve si vedrà, secondo parte della dottrina, costituisce una delledifferenze più importanti con la filosofia del diritto.

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  • Capitolo Primo6

    2. RAPPORTO TRA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO E SO-CIOLOGIA DEL DIRITTO

    La sociologia del diritto è la scienza che studia il rapporto tra diritto esocietà, il diritto come modalità dell’azione sociale.

    La sociologia del diritto in sostanza analizza, da un lato, l’influenza deldiritto sui comportamenti degli individui nell’ambito della società in gene-rale, dall’altro, viceversa, l’influenza che la prima ha sul diritto stesso (se-condo la brillante definizione di Treves «la società nel diritto»).

    Quale è l’ambito di operatività della sociologia del diritto?La sociologia del diritto, ha ad oggetto lo studio: 1) del sistema giuridico in generale (diritto)in relazione alla comunità; 2) del rapporto tra diritto, azioni e comportamenti e della definizio-ne di liceità o illiceità delle une e degli altri; 3) delle istituzioni giuridiche nel contesto sociale(governo, famiglia, etc.); 4) dei ruoli professionali interessati dall’applicazione del diritto (le-gislatori; giudici; avvocati; organi della polizia); 5) delle opinioni dei singoli individui neiconfronti del diritto e sui valori che vi sono sottesi (FERRARI, TREVES).

    La differenza tra sociologia del diritto e teoria generale del diritto varavvisata, quindi, nel diverso oggetto di studio delle due discipline.

    Fermo restando, infatti, quanto accennato nel paragrafo precedente sul-la nozione, l’oggetto e la funzione della teoria generale del diritto, si deveconsiderare che, a differenza di questa, la sociologia del diritto ha ad og-getto, in generale, tutto ciò che concerne la produzione e l’attuazione dellenorme giuridiche (TREVES, CARBONNIER) e, in particolare, lo studiodell’agire sociale in relazione al diritto.

    Secondo altra parte della dottrina (CATANIA), se la teoria generale deldiritto studia il significato che comunemente è attribuito alle più comuniespressioni giuridiche e, quindi, ha ad oggetto lo studio della validità diuna norma giuridica, la sociologia del diritto analizza l’efficacia della nor-ma stessa, in relazione all’impatto di essa, dal punto di vista fenomenologi-co, sul comportamento dei consociati.

    Da ciò consegue che le due discipline in esame, pur differenziandosi, sonoallo stesso tempo complementari, in quanto l’effettività del diritto e, quindi, lasua attuazione, è condizione essenziale per poter discutere della validità dellostesso, secondo il noto brocardo: intanto vi è diritto, in quanto venga attuato.

    Tale opinione, come si vedrà nei capitoli seguenti, non è però condivisada altra parte della dottrina (BOBBIO), secondo la quale l’effettività (cioè

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  • 7Lo studio della teoria generale del diritto

    l’efficacia sociale) delle norme giuridiche, intesa come comportamento del-l’individuo orientato dal diritto, costituisce una condizione essenziale, manon sufficiente, per poter considerare una norma giuridica come valida: va-lidità, efficacia e applicabilità del diritto, infatti, discendono da un altrofattore legittimante.

    3. RAPPORTO TRA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO E FILO-SOFIA DEL DIRITTO

    Il problema del rapporto tra la teoria generale del diritto e la filosofiadel diritto va analizzato tenendo presente, da un lato, l’evoluzione storicadelle due discipline, dall’altro, la differenza tra le stesse dal punto di vistasoprattutto dell’approccio e dell’oggetto di studio.

    Qual è la differenza tra teoria e ideologia?La teoria è un atteggiamento conoscitivo che l’uomo assume rispetto ad un problema da cuiscaturiscono giudizi di fatto (vero, falso) al fine di informare gli altri su una determinatarealtà in modo neutrale.L’ideologia, invece, è un atteggiamento valutativo che si oggettiva in giudizi di valore (giusto,ingiusto) con lo scopo di influire nella realtà al fine di cambiare la stessa.

    Parte della dottrina (JORI-PINTORE) ha posto in evidenza come le duematerie inizialmente si fossero sviluppate in contrapposizione reciproca, atte-so che ambedue miravano ad occuparsi dello studio del diritto in generale ma,mentre la teoria generale era espressione degli studi dei «giuristi positivi», lafilosofia del diritto era il frutto degli studi dei «filosofi del diritto».

    Dunque, la prima differenza va ravvisata nel diverso approccio al dirittoda parte dei giuristi, da un lato, e dei filosofi del diritto dall’altro.

    Prima, tuttavia, di spiegare la differenza tra filosofi e giuristi, occorre introdurre e analizza-re il concetto di giurisprudenza.Con il termine «giurisprudenza» si indica generalmente «l’attività di chi si occupa deldiritto in maniera continuativa e professionale» (JORI-PINTORE).

    Per giurisprudenza, in generale, si intende:

    — la giurisprudenza giudiziaria (dei giudici);— la giurisprudenza dottrinale (degli studiosi del diritto in generale) dei cd. «giurisperiti».

    Dal concetto citato di giurisprudenza che è positiva, si differenzi la metagiurisprudenza, ecioè «il discorso che si occupa della giurisprudenza» o mediante la «descrizione» dell’attivi-

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  • Capitolo Primo8

    tà dei giuristi (cd. metagiurisprudenza descrittiva) o mediante «la prescrizione di un modellodi discorso giuridico» (metagiurisprudenza prescrittiva): quest’analisi è riservata, prevalen-temente, ai filosofi che la indirizzano ai giuristi (1) (JORI-PINTORE).

    Qual è la differenza tra giuristi e filosofi del diritto?La differenza tra giuristi e filosofi del diritto va ravvisata nel fatto che, mente i primi si sonosempre preoccupati dello studio del diritto positivo ed hanno un atteggiamento prevalentemen-te avalutativo, i secondi sono storicamente impegnati nella ricerca di un diritto «giusto» chespesso viene identificato con il diritto naturale: la filosofia del diritto è «filosofia del dirittonaturale» (CATANIA).Quindi, una prima distinzione tra le due discipline in esame va ravvisata nel fatto che, mentrela teoria generale del diritto si occupa del «problema ontico del diritto», e cioè dell’esi-stenza del diritto positivo (dell’«essere»), attraverso l’analisi dei concetti generali ad essoinerenti, l’approccio della filosofia del diritto, allo studio del diritto stesso, ha sempre avutoun taglio di tipo «deontologico», mirando prevalentemente, tramite i giudizi di valore, allaricerca di un diritto giusto (del «dover essere»).In questo senso, si parla anche di una contrapposizione tra diritto reale-positivo, da un lato, e didiritto ideale-naturale dall’altro.A tal proposito si è ritenuto che la differenza tra filosofi e giuristi potesse essere ravvisata nelladiversa forma mentis: i primi, quando hanno parlato di diritto, sono partiti dai diritti soggettivi,in quanto hanno privilegiato uno studio della realtà «a parte subiecti», i secondi «a parteobiecti», cioè si sono concentrati sul diritto oggettivo (ordinamento giuridico) (LEVI).

    Esiste un collegamento tra le due materie in termini di complementarie-tà, atteso che, indipendentemente dal diverso oggetto di studio, la filosofiadel diritto si occupa di concetti presupposti dal diritto positivo e necessariai fini dello studio dello stesso.

    4. METODI DI STUDIO DELLA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO

    Sono due i metodi attraverso i quali la teoria generale del diritto puòstudiare il diritto:

    a) procedimento a posteriori: consistente nel confronto tra i singoli diritti;

    (1) La dottrina tedesca ha identificato due tipi di giurisprudenza:— la giurisprudenza concettuale (Begriffsjurisprudenz) che dà prevalenza ai concetti giuridici

    astratti e alle deduzioni logiche da essi derivanti senza considerare la realtà sociale che è dentrotali forme (approccio formalista-normativo);

    — la giurisprudenza degli interessi (Interessenjurisprudenz) che, al contrario, interpreta il dirittoalla luce dei rapporti sociali che è chiamata a regolare, respingendo i soli ragionamenti di logica(approccio fenomenologico)

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  • 9Lo studio della teoria generale del diritto

    b) procedimento a priori: consistente nell’individuazione degli aspetti es-senziali dei diritti.

    I diversi metodi implicano il ricorso a due diversi approcci teoretici:

    — se si parte dalla realtà del corpo sociale (realismo) o da dati oggettivi (positivismo) e dalconfronto tra le singole posizioni giuridiche, si traggono regole generali e si adotta unprocedimento induttivo a posteriori;

    — se, invece, si parte dalla ragione umana (giusnaturalismo) o da una «metanorma» come lenorme base (normativismo) e da esse si fa derivare la ratio dell’ordinamento vigente (na-zionale, internazionale), si adotta un processo deduttivo a priori.

    GlossarioDiritto positivo: il diritto positivo è il diritto effettivamente vigente; è il complesso dinorme giuridiche che, in un dato momento storico e in un dato ordinamento giuridico,regolano la vita dei membri di una società allo scopo di assicurarne la pacifica convivenza.

    Diritto naturale: si intende un diritto eterno ed immutabile, che trova fondamento, aseconda delle differenti teorie, nell’uomo, in Dio, nella natura.Trattasi di un diritto che, quindi, censura le norme «ingiuste» come nulle, perché contra-rie al comune senso di giustizia (così, ad esempio, i giudici tedeschi, dopo la secondaguerra mondiale hanno disapplicato molte norme dell’ordinamento nazista perché ritenute«ingiuste» e quindi inapplicabili malgrado fossero state vigenti ed operative).

    Estratto della pubblicazione

  • CAPITOLO SECONDO

    IL DIRITTO E L’ORDINAMENTO GIURIDICO (1)

    Sommario: 1. Il concetto di diritto: teorie generali del diritto. - 2. La teoria normati-vistica. - 3. La teoria istituzionalistica. - 4. La teoria relazionale (o teoria del rapportogiuridico) (Kant - Del Vecchio - Levi). - 5. I rapporti tra ordinamento statale e interna-zionale. - 6. Il diritto oggettivo: rapporti con il diritto soggettivo. - 7. Il giusnaturali-smo e il giuspositivismo. - 8. Il realismo giuridico.

    1. IL CONCETTO DI DIRITTO: TEORIE GENERALI DEL DIRIT-TO

    Ai fini dell’individuazione di una corretta definizione di ordinamentogiuridico, la dottrina ha tentato varie strade.

    Occorre chiarire che sono tre le più note teorie sul concetto di diritto:

    a) la teoria normativistica;b) la teoria istituzionalistica;c) la teoria relazionale (o teoria del rapporto giuridico).

    Ciascuna delle teorie in esame, ancora la definizione generale di diritto,rispettivamente, ai concetti primari e fondamentali, di norma giuridica (odi ordinamento giuridico), di istituzione, di rapporto giuridico e da essiricava il concetto di ordinamento giuridico.

    2. LA TEORIA NORMATIVISTICA

    Secondo questa teoria, il diritto è un insieme di norme giuridiche, dispostesecondo un rigido ordine gerarchico e facente capo ad un’unica norma fonda-mentale (cd. grundnorm), diritto e norma giuridica, dunque, coincidono.

    Principale sostenitore di questa concezione fu il giurista austriaco Hans Kelsen (1881-1973) fondatore della scuola di Vienna (che definì il diritto come «ordinamento del comporta-

    (1) Diritto e ordinamento giuridico sono in genere utilizzati come sinonimi solo se consideratinella loro oggettività. Il diritto, però, nel momento in cui viene attivato dal singolo individuo prendeil nome di «diritto soggettivo» e perde l’identificazione con il concetto di «ordinamento».

  • 11Il diritto e l’ordinamento giuridico

    mento umano») seguito dal filosofo italiano Norberto Bobbio (1909-2004) e dal filosofo bri-tannico Herbert Hart (1907-1922).

    Kelsen, in particolare, fa derivare il diritto da un norma base (grund-norm) che è il vertice di una piramide rovesciata e attribuisce vigenza a tuttele altre di grado inferiore, in un unico ordinamento (monismo) che parte daldiritto internazionale e, via via, segue con il diritto interno, etc.

    Questa concezione è tuttora maggiormente condivisa dalla dottrina ita-liana (CATANIA, BOBBIO; JORI-PINTORE), perché ha il merito di con-siderare il diritto nel suo complesso, cioè come ordinamento giuridico,come insieme di precetti obbligatori nella sua unità formale e non comesingola norma.

    Occorre tenere presente come gli studiosi si siano più volte chiesti se fosse più giustopervenire alla definizione di diritto tramite l’analisi della singola norma giuridica o, al contra-rio, privilegiare quella relativa all’ordinamento giuridico nel complesso, come insieme di nor-me. In altri termini, la domanda che ci si pone è la seguente: per diritto si deve intendere lasingola norma giuridica o il complessivo ordinamento giuridico?

    La dottrina considera per lo più questa seconda impostazione, avendo ritenuto infruttuoso,ai fini della definizione del diritto, lo studio della norma giuridica singola.

    Risale a Kelsen la distinzione tra teoria della norma giuridica e teoriadell’ordinamento giuridico: in una delle sue principali opere, Teoria generaledel diritto e dello Stato, in particolare, l’autore viennese ha intitolato la partededicata allo studio della singola norma giuridica, Nomostatica, quella relati-va all’insieme di norme dell’ordinamento giuridico, Nomodinamica.

    In linea con l’insegnamento di Kelsen, BOBBIO condivide l’idea secondo la quale, ai finidella definizione di diritto, sia necessario prendere in considerazione l’ordinamento giuridiconel suo complesso.

    Il filosofo italiano, infatti, ritiene che non sia concepibile un ordinamento costituito da una solanorma (la norma base), a meno che non la si ritenga in grado di disciplinare tutte le azioni degliuomini secondo le formule, del «tutto è permesso», «tutto è proibito» o «tutto è comandato»: ciònon è attuabile, attesa l’eterogeneità dei comportamenti che i soggetti possono porre in essere.

    Lo stesso BOBBIO, comunque, nella sua «Teoria generale del diritto», ha trattato unita-riamente la teoria della norma e la teoria dell’ordinamento giuridico, nell’ottica di uno studiocompleto della teoria generale del diritto; quindi se, da un lato, ha analizzato la norma dalpunto di vista formale-strutturale, dall’altro ha, per così dire, «integrato» tale analisi con quel-la dell’ordinamento giuridico.

    Caratteristica della teoria normativista è di aver preso in considerazionesolo le norme giuridiche che, come tali, fanno parte di un solo e unicoordinamento giuridico (in tal senso si parla di teoria monista), che si fra-

    Estratto della pubblicazione

  • Capitolo Secondo12

    ziona, poi, in tanti ordinamenti inferiori, che fanno tutti capo alla normabase (vedi capitoli seguenti), che ad essi conferisce validità ed efficacia.

    A) Norme giuridiche e principi giuridici

    Un aspetto molto importante, strettamente connesso alla teoria normati-vistica, è quello relativo alla rilevanza dei principi giuridici.

    Un limite della teoria normativistica consisterebbe, infatti, nel fatto che,quando si parla di diritto come «insieme di norme giuridiche», in realtà,sembra farsi riferimento solo alle norme giuridiche espresse e cioè a quelleche sono dotate di formulazione linguistica.

    In realtà, indipendentemente dalla forma espressa delle norme giuridi-che, ciò che risulta importante è che sia rispettato il cd. principio di espri-mibilità, secondo il quale deve sempre «essere possibile esprimere con pa-role i significati normativi» (JORI-PINTORE).

    Dunque, rientrano nel concetto di «norma» anche i principi ad essa sot-tesi, i cd. principi impliciti.

    I principi di un ordinamento giuridico, infatti, costituiscono quel com-plesso di valori fondanti che sono alla base di ogni norma giuridica chefa parte di quell’ordinamento: quando si parla di «ratio» o «fondamento» diuna norma giuridica, proprio ai principi in essa espressi si fa riferimento e lacui individuazione è possibile tramite un procedimento induttivo, simile aquello costituito dal quel tipo di analogia definita «iuris» (vedi infra).

    Tuttavia, accanto ai principi impliciti, sono individuabili anche principiespressi, come ad esempio quelli costituzionali.

    Principale esempio è quello dell’implicito pacta sunt servanda (si devono rispettare gliimpegni assunti) dal quale deriva la norma a tutela del creditore, dello Stato e di qualsiasisoggetto che ha assunto un obbligo nei confronti di un altro soggetto.

    3. LA TEORIA ISTITUZIONALISTICA

    Secondo la teoria istituzionalistica il diritto non può ridursi solo ad un«mero insieme di norme» ma è, invece, un fenomeno più complesso che facapo all’«istituzione», cioè all’«organizzazione».

    È questa la definizione di diritto del noto giurista italiano Santi Romano (1875-1947),nella sua grandiosa opera «L’ordinamento giuridico».

    Altro sostenitore della teoria in esame è il giurista francese Maurice Hauriou (1856-1929) nell’opera «Teoria dell’istituzione e della fondazione» che esalta il primato dell’orga-nizzazione «sulla norma».

    Estratto della pubblicazione

  • 13Il diritto e l’ordinamento giuridico

    Secondo Santi Romano (che introduce il «momento sociologico» nelladefinizione di ordinamento) intanto un ordinamento può qualificarsi come«giuridico», in quanto risulta organizzato.

    Il giurista, in sostanza, parte dall’antico aforisma latino «ubi societas ibiius, ubi ius ibi societas»(dove c’è società c’è diritto, dove c’è diritto c’èsocietà), per illustrare la sua concezione del diritto. Il diritto, dunque, èorganizzazione, per cui non è concepibile una società senza diritto, unasocietà che, cioè, non sia organizzata: il diritto coincide con l’organizza-zione, con «la struttura della stessa società in cui si svolge e che esso costi-tuisce come unità, come ente per sé stante».

    Il concetto di diritto, dunque, deve contenere già in sé l’idea di «ordinesociale» e, come tale, escludere qualsiasi arbitrio o forza non preordinataal bene dei consociati.

    Secondo SANTI ROMANO tre sono i caratteri salienti del diritto:

    1) la società, considerata la contestura umana in cui il diritto viene all’esi-stenza;

    2) l’ordine normativo, cioè un insieme di norme a cui il diritto è finalizza-to;

    3) l’organizzazione, come strumento per attuare l’ordine, che nasce quandouna società si dà un ordine normativo, cioè, si «istituzionalizza» (2).

    Per individuare le caratteristiche fondamentali della teoria in esame e ledifferenze con quella normativistica, si noti che, a differenza di quest’ulti-ma, che ravvisa l’essenza della giuridicità di una società nell’insieme dinorme giuridiche, la teoria istituzionalistica ritiene che le norme (cioè l’or-dine normativo) siano solo strumentali all’organizzazione della società stessae non esauriscono da sole il concetto di «diritto».

    Il diritto nasce nel momento in cui un gruppo sociale disomogeneo si autorganizza ordina-tamente: tale passaggio crea l’«istituzione» (vedi ante n. 3).

    Fuori dal quadro dell’istituzione, l’individuo non ha uno status giuridico, cioè, non ha obbli-ghi e diritti, è l’«istituzione», dunque, che legittima lo «status» dell’appartenente ad essa.

    Ciò significa che esistono più «istituzioni», cioè più ordinamenti giuridici (internazionale,nazionale, regionale, etc.) e si afferma, così, il pluralismo giuridico, in contrasto con il moni-smo Kelseniano.

    (2) In presenza dei tre elementi indicati, infatti, è possibile considerare come ordinamento giuri-dico anche la Chiesa cattolica, l’organizzazione interna di un’azienda, o addirittura una società acarattere «delinquenziale».

  • Capitolo Secondo14

    Nello stesso senso, peraltro, si è ritenuto che, alla base della teoria istitu-zionalistica, vi sia la concezione secondo la quale «le norme giuridiche ven-gono in rilievo solo in un momento successivo alla nascita dell’ordinamen-to giuridico» il quale, anzi, «preesiste» ad esse (JORI-PINTORE).

    Si è inoltre osservato che, a differenza della teoria normativistica, quellaistituzionalistica si caratterizzerebbe per il fatto di prendere in considera-zione non soltanto le norme giuridiche dello Stato, ma anche tutte quellecollegate, in un modo o in un altro, all’organizzazione dell’ordinamento diriferimento (v. nota (2)).

    In questo senso, la teoria di Santi Romano è detta pluralista, in quantoritiene che ciascuna istituzione o formazione sociale (famiglia, scuola, so-cietà, etc.) abbia un ordinamento proprio, anche se gerarchicamente sotto-posto ad uno superiore.

    Parte della dottrina ha osservato (BOBBIO e CATANIA) che questa con-cezione del diritto finisce per attribuire il carattere della giuridicità a qualsi-asi tipo di società, anche quelle come la famiglia che si basano anche suregole non giuridiche.

    BOBBIO sostiene, invece, che le norme non seguono, ma precedono l’istitu-zione in quanto nello svolgimento del processo di istituzionalizzazione occorrefissare i fini e le regole e, quindi, le norme, che sono alla base dell’istituzione.

    4. LA TEORIA RELAZIONALE (O TEORIA DEL RAPPORTO GIU-RIDICO) (KANT - DEL VECCHIO - LEVI)

    Secondo questa teoria il diritto è rapporto intersoggettivo, un fenomenosociale che trova origine nella società.

    Il diritto è, dunque, ravvisabile nel rapporto tra due soggetti soltanto, dacui scaturisca un diritto (cioè una potestà giuridica) per l’uno ed un obbligoper l’altro (es.: da un’obbligazione discendono diritti e doveri che leganol’obbligato al creditore).

    Il filosofo tedesco Emanuele Kant nella sua «Dottrina del diritto» (1797)ravvisava nel rapporto tra soggetti che hanno diritti e doveri reciproci un«rapporto giuridico» che, a sua avviso, da solo è l’espressione più salientee genuina del diritto.

    Il «diritto», per KANT, costituisce «l’insieme delle condizioni per mez-zo delle quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio dell’altrosecondo una legge universale di libertà».

    Estratto della pubblicazione

  • 15Il diritto e l’ordinamento giuridico

    È facile cogliere la differenza con la teoria precedente: per la teoriarelazionale non è necessario, perché si possa parlare di diritto, che il rappor-to tra due soggetti sia compreso in un sistema più ampio di rapporti, costitu-ito da una società organizzata.

    BOBBIO rileva, però, che non si possa comunque prescindere dalla con-cezione normativistica, in quanto un rapporto tra due soggetti può esserequalificato come giuridico, solo se l’ordinamento giuridico tale qualificagli attribuisca. Infatti, si evidenzia, prima del riconoscimento giuridico, sipuò parlare solo di «rapporto di fatto» e non di rapporto giuridico.

    Tale assunto non è stato però condiviso da altra parte della dottrina, inparticolare da Alessandro Levi, noto sostenitore della teoria relazionale.

    Nella sua Teoria generale del diritto (1953), infatti, Levi non ha ritenutoche un rapporto tra due soggetti possa essere qualificato come giuridicosolo se riconosciuto come tale da una norma giuridica, ma ha osservato chenon vi è «comportamento umano del quale non sia predicabile la giuridici-tà quando lo si consideri nel suo aspetto intersoggettivo – non vi è relazionetra soggetti la quale non sia anche un rapporto giuridico».

    Levi, in sostanza, identifica la giuridicità con la socialità, ritenendoche così come ogni rapporto giuridico è anche rapporto sociale, anche ognirapporto sociale, in un certo senso, può definirsi giuridico, se si analizza laquestione tenendo presente che ogni rapporto fra due soggetti è comunquecollegato a norme che lo considerano lecito o illecito.

    Ciò comporta un «allargamento» del concetto di diritto, nonché del con-cetto di «positività» (del diritto) in quanto è necessario «considerare comenorma giuridica ogni norma, da chiunque posta e da chiunque osservata,dalla quale discenda una disciplina intersoggettiva di comportamenti». Èproprio tale intersoggettività (reciprocità e complementarietà tra obbligogiuridico e pretesa al mantenimento dell’obbligo) che caratterizza l’uni-verso giuridico ovvero il momento giuridico dello spirito umano.

    Dello stesso avviso è altra parte della dottrina (CICALA), secondo laquale «nessun momento della vita fisica o psichica dei consociati può dirsigiuridicamente indifferente, perché in nessun caso può far difetto nell’ordi-namento giuridico una norma che ad esso si riferisca, o espressamente re-golandolo, o riguardandolo indirettamente con un comando o un divietogenerale».

    La teoria relazionale è stata criticata dai sostenitori della teoria istituzionalistica sarebbeispirata ad una concezione del diritto estremamente «individualistica» e intersoggettiva.

  • Capitolo Secondo16

    A differenza, infatti, della teoria istituzionalistica, secondo la quale il diritto costituisce unprodotto della società, la concezione relazionale privilegia sempre e comunque la volontà «deisingoli individui».

    Occorre infine mettere in evidenza che mentre la teoria relazione ha il suo fulcro nel-l’esperienza giuridica privatistica, nella quale la vita giuridica si presenta come un insieme dirapporti, dei quali l’autonomia dei privati ne è il contenuto precettivo; le altre due poggiano,invece, su una base pubblicistica (l’idea di istituzione si attaglia in pieno alla dimensionepubblica e collettiva della vita; come l’idea di norma riporta all’idea di una autorità che regolai comportamenti dei consociati).

    Qual è il rapporto tra le tre teorie?Le tre teorie sono tra loro complementari, nel senso che ognuna di esse conferisce impor-tanza ad un aspetto sicuramente diverso, ma comunque fondamentale, del diritto (BOB-BIO):a) quella normativa, privilegia il diritto come «regola giuridica»;b) quella istituzionalistica evidenzia il punto di vista «organizzativo»;c) quella relazionale focalizza l’attenzione sull’aspetto intersoggettivo.

    Anche per BOBBIO (teoria normativista) LEVI si contraddice in quanto, riducendo l’es-senza dell’ordinamento al rapporto diritto-dovere, dimentica che alla base di esse vi è il mo-mento normativo: il diritto soggettivo, infatti, altro non è che il riflesso di una norma autoriz-zativa, mentre il dovere è il riflesso di una norma imperativa.

    Diritti e doveri, dunque, si rifanno sempre e comunque a regole di condotta, cioè allenorme giuridiche.

    5. I RAPPORTI TRA ORDINAMENTO STATALE E INTERNAZIO-NALE

    I normativisti (in quanto monisti) tendono a ridurre ad unità i rapportitra ordinamento interno ed ordinamento internazionale.

    I seguaci di tale concezione, a loro volta, si dividono in due categorie:

    — sostenitori del primato dell’ordinamento internazionale, che affermanoche gli ordinamenti statali derivano la loro legittimazione dall’ordina-mento internazionale, il quale determinerebbe la loro competenza e por-rebbe vincoli ai lori poteri (KUNZ-VERDROSS);

    — sostenitori del primato dell’ordinamento interno, che ritengono che ildiritto internazionale sia fondato sul principio di autobbligazione degliStati e negano l’esistenza di un ordinamento internazionale distinto edautonomo da quello dei singoli Stati (JELLINEK).

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    Estratto della pubblicazione

  • 17Il diritto e l’ordinamento giuridico

    Gli istituzionalisti sono, invece, dualisti e separatisti, in quanto consi-derano l’ordinamento interno e quello internazionale come distaccati, reci-procamente coordinati, in condizioni di parità.

    Per ROMANO, l’ordinamento giuridico internazionale è un’istituzione, ma ciò deriva dal-l’indagine sulla presenza nella comunità degli Stati di quei caratteri essenziali di ogni sistemadi diritto, sopra detti.

    L’avversa dottrina negava questi caratteri, affermando che la società internazionale non èuna società giuridicamente organizzata, perché manca di un potere centrale cui siano sottopo-sti i singoli Stati. Questa tesi, è oggi molto affievolita per il peso, sempre maggiore, che leNazioni Unite fanno sentire sulla comunità internazionale.

    Il concetto di organizzazione, nota ROMANO, non implica necessariamente un rapportodi superiorità e di correlativa subordinazione.

    Un esempio è l’accordo normativo, fonte del diritto internazionale, il quale produce unavolontà unica e superiore a quella dei singoli Stati (cioè quando il diritto internazionale acqui-sta il carattere di ius supra partes), tutto ciò implica un’organizzazione, anche semplice, dellacomunità interstatuale, la quale, anche se non dispone di organi propri, dovrà riconoscere unaposizione di subordinazione di tutti gli Stati membri verso un potere non soggettivo, imperso-nale, che determina l’esistenza della comunità.

    È questo il senso da dare all’espressione «organizzazione», per rendere il concetto di isti-tuzione nel diritto internazionale.

    6. IL DIRITTO OGGETTIVO: RAPPORTI CON IL DIRITTO SOG-GETTIVO

    Nel termine «diritto», normalmente, si comprendono sia le «norme giu-ridiche» (cd. diritto oggettivo), sia il complesso di situazioni giuridichesoggettive da questo riconosciute (cd. diritto soggettivo). Diritto oggettivoe diritto soggettivo costituiscono «i due lati o aspetti del concetto di diritto,inteso nella sua accezione integrale» (LEVI).

    Come già osservato, però, per definire l’ordinamento giuridico ci si rife-risce al diritto oggettivo, in quanto «insieme di norme», avendo poco ri-lievo in questa sede lo studio dei diritti soggettivi, manifestazioni dinami-che del diritto oggettivo cui ricorrono i singoli soggetti.

    CARBONNIER qualifica il diritto oggettivo «grande diritto» in con-trapposizione al «piccolo diritto», costituito dai diritti soggettivi.

    Che si intende per diritto soggettivo?Trabucchi definisce il diritto soggettivo come «il potere attribuito alla volontà del soggetto diagire (cd. facultas agendi, cioè «facoltà dell’agire») per il soddisfacimento dei propri interes-si, potere riconosciuto e garantito dall’ordinamento giuridico (diritto cd. oggettivo).

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    Estratto della pubblicazione

  • Capitolo Secondo18

    La dottrina tradizionale divide i diritti soggettivi in:A) assoluti: hanno efficacia erga omnes (verso tutti) come i diritti della personalità, il diritto

    alla vita, alla salute, alla libertà personale ecc.; il diritto di proprietà (il proprietario ha ildiritto soggettivo di godere del suo bene);

    B) relativi: sono i diritti di credito, definiti come la pretesa del creditore ad un determinatocomportamento da parte del soggetto obbligato, e cioè il debitore, in tal caso il diritto sidice relativo perché non può essere fatto valere erga omnes, ma solo nei confronti del

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    debitore.

    Parte della dottrina osserva come altro problema, relativamente al rap-porto tra diritto soggettivo e diritto oggettivo, sia quello relativo all’indivi-duazione di quale di essi abbia priorità rispetto all’altro e cioè se sia il dirit-to oggettivo (positivo) ad individuare il diritto soggettivo o se, al contrario,sia quest’ultimo a preesistere al diritto oggettivo e sia da questo soltantotutelato.

    Si osserva, a tal proposito, che le opzioni interpretative sono due e sonole conclusioni delle diverse correnti filosofiche: il giusnaturalismo ritieneche ogni uomo ha in se l’idea di giusto e che ad esso impronta in primis ilsuo comportamento (diritto soggettivo), mentre il giuspositivismo attribui-sce valore prioritario all’ordinamento (diritto oggettivo) a prescindere daogni giudizio umano.

    7. IL GIUSNATURALISMO E IL GIUSPOSITIVISMO

    Il giusnaturalismo (3) fu una corrente di pensiero compiutamente teo-rizzata nel 1600 dal filosofo e politologo olandese Ugo Grozio.

    Idea centrale del pensiero giusnaturalista è quella secondo la quale «co-stituisce legge solo il dettato giuridico conforme a giustizia»: questo è ildiritto naturale.

    Contrapposto al giusnaturalismo fu il giuspositivismo, corrente di pen-siero che si affermò alla fine dell’Ottocento, secondo la quale l’unico dirittoesistente è quello vigente, costituito dalle norme giuridiche.

    Contrariamente al giusnaturalismo, il giuspositivismo ritiene che il di-ritto, solo per il fatto di essere vigente, è efficace ed applicabile a prescinde-re da qualsiasi giudizio di valore sulla giustizia o meno delle sue norme.

    (3) L’idea della ragione umana come fonte primaria del diritto naturale (recta ratio, quod omniaanimalia docuit, cioè quello che ragionevolmente tutti gli essere animali pensano) è molto antica erisale, tra gli altri, ad Aristotele e Cicerone.

    Estratto della pubblicazione

  • 19Il diritto e l’ordinamento giuridico

    Importante sostenitore di questa corrente di pensiero fu il filosofo ingle-se Thomas Hobbes (1588-1679).

    Thomas Hobbes nella sua opera «Leviatano» (mostro marino con il viso femminile e le cuisquame rappresentano i cittadini) teorizza l’egoismo e lo spirito di sopraffazione come istintinaturali dell’uomo nella formula «homo homini lupus», istinto che la politica stimola e accresce.

    Secondo HOBBES l’unico criterio di valutazione del giusto e dell’ingiusto è data dallalegge positiva, il «comando del sovrano» («è giusto ciò che è comandato, per il solo fatto cheè comandato»).

    HOBBES giunge così a questa conclusione: per uscire dallo «stato di natura» (stato intol-lerabile, poiché non esistono leggi in cui agisce secondo i propri interessi, non c’è criterio attoa distinguere il giusto e l’ingiusto, tranne l’arbitrio del singolo) gli uomini stipulano un accor-do (pactum subiectionis) in cui rinunciano ai diritti che avevano in natura, per trasmetterli adun sovrano: tra questi diritti c’è anche quello di decidere ciò che è giusto e ingiusto.

    Questa è una concezione convenzionale della giustizia, secondo cui non esiste un giustoper natura, ma solo un giusto per convenzione).

    Per HOBBES, dunque, la validità e la giustizia di una norma non si distinguono, poichéquando sorge lo Stato nasce la giustizia, ma nasce ad un tempo col diritto positivo, cioè insie-me con la validità.

    Conseguenza della teoria di HOBBES è la riduzione della giustizia alla forza, poiché,dato che non esiste altro criterio di giustizia che quello del comando del sovrano, bisognaaccettare come giusto ciò che piace al più forte e il sovrano, fra tutti, è certamente il più forte(anche se non è detto che sia il più giusto).

    Il motivo per il quale la questione relativa al rapporto tra diritti soggetti-vi e diritto oggettivo sia legata alle correnti di pensiero citate tiene contodella concezione che entrambe hanno avuto del diritto oggettivo:

    — per i giusnaturalisti: il diritto vigente, cioè il diritto costituito dallanorme emanate dal Legislatore e statuito dalle sentenze dei giudici, co-stituisce la positivizzazione di principi immutabili.Per questa corrente di pensiero, cioè, esiste da sempre un coacervo didiritti naturali, imprescindibilmente legati alla «retta» ragione umana,presente in ogni individuo e necessariamente riconosciuti dal diritto og-gettivo: intanto un diritto può dirsi vigente, in quanto ha come fine direndere positivi i diritti naturali.Questi diritti (soggettivi) sono definiti, quindi, naturali, in quanto pree-sistono al diritto oggettivo e da questo devono essere osservati senzaeccezione: siffatta visione del diritto soggettivo viene definita «sinteti-ca» (JORI-PINTORE).Secondo i giusnaturalisti, dunque, sono i diritti soggettivi, connatu-rati alla natura dell’individuo, a preesistere al diritto oggettivo;

  • Capitolo Secondo20

    — per i giuspositivisti: il diritto vigente non necessariamente deve costi-tuire la positivizzazione dei diritti naturali: e ciò significa che il dirittooggettivo deve essere considerato «positivo» anche se «calpesta i dirittinaturali».Il diritto soggettivo è individuato, dunque, dal diritto positivo e dallatutela che questo decide di riconoscergli e non preesiste ad esso.Questa visione del diritto soggettivo viene definita atomistica (JORI-PIN-TORE).Secondo i giuspositivisti, dunque, è il diritto oggettivo a preesistereai diritti soggettivi (cd. «priorità logica» del diritto oggettivo).

    8. IL REALISMO GIURIDICO

    Alle correnti di pensiero appena trattate si affianca anche il realismogiuridico, con il quale si intende far riferimento sia alla corrente di pensierostatunitense sia a quella scandinava (scuola di Uppsala), in Italia seguitadal compianto Rolando Quadri.

    Trattasi di una corrente di pensiero, che, al contrario del giusnaturali-smo e del giuspositivismo, privilegia l’efficacia delle norme giuridiche,soprattutto in riferimento alla realtà sociale e alla volontà del corpo sociale,che assurge a principale protagonista della vita dell’ordinamento che, con lasua volontà, determina il diritto positivo: il diritto per il realismo è «lo spi-rito del popolo», in quanto le azioni umane formulano le regole di condottacui i consociati si adeguano.

    Il diritto, quindi, non è unico, ma esistono tanti diritti, sia in relazione aidiversi popoli, sia in relazione ai diversi momenti storici di un medesimopopolo.

    Il realismo contrasta, quindi, sia con il giusnaturalismo che con il giu-spositivismo:

    — con il primo perché privilegia un diritto reale contro un diritto ideale(giusnaturalismo), quello che deriva dalla effettiva volontà del corposociale;

    — con il secondo perché considera il diritto non dal punto di vista formale(giuspositivismo), ma concreto ed effettivo, in relazione alle statuizionie ai principi dettati dal corpo sociale ed al diritto effettivamente applica-to nella società.

    Estratto della pubblicazione

  • 21Il diritto e l’ordinamento giuridico

    Il vero diritto è, dunque, quello che viene elaborato ed effettivamenteapplicato in Tribunale dai giudici (cd. diritto giudiziario) (4) o quello che lavolontà del corpo sociale reitera con comportamenti costanti e concludenti(diritto consuetudinario).

    Si è, infatti, sostenuto che è soltanto il giudice colui che «crea» il diritto: CATANIA osser-va come ciò comporti «l’eliminazione del dualismo essere-dover essere». Se si considera, in-fatti, che al «dover essere del diritto» è collegato il concetto di legge (norma giuridica) eall’«essere del diritto» è collegato il concetto di diritto applicato effettivamente dai giudici,per i sostenitori del realismo, in particolare di quello americano, questa differenza tra legge ediritto applicato non sussiste più, in quanto è il giudice ad essere il vero «creatore» del dirittonel momento in cui applica concretamente la legge.

    È in questo senso che il realismo parla di diritto cd. vivente che, per poter essere conside-rato valido, oltre che efficace, è necessario che sia applicato dai giudici.

    Il diritto vivente è «fatto o serie di fatti da cui il giudice trae la cono-scenza delle aspirazioni giuridiche che si vengono formando nella società»(CATANIA).

    Sono i giudici che, nel loro ruolo, conferiscono validità ad un dirittoche, prima di quel momento, è soltanto efficace.

    Tuttavia tale impostazione ha creato una certa perplessità in quanti han-no evidenziato come, in tal modo, venga ad essere minato il fondamentaleprincipio della certezza del diritto. Infatti, attribuendo al giudice il poteredi decidere ogni volta in modo diverso, dandogli la possibilità di «crearediritto», sicuramente non è più possibile prevedere con certezza le conse-guenze giuridiche di una determinata condotta, in quanto oggetto di «statui-zioni» diffuse, cioè adottate da differenti giudici.

    Per quanto riguarda la consuetudine, il pensiero realista ritiene che rispon-da meglio alle esigenze del corpo sociale di cui è la più genuina espressione.

    Attribuire tanta importanza al cd. «diritto giudiziario» ed alla consuetu-dine ha imposto una «revisione» delle fonti del diritto: ciò spiega perché ilrealismo giuridico ha avuto maggior fortuna nei paesi di common law, comenegli Stati Uniti d’America e nei paesi anglosassoni.

    Dunque, il realismo giuridico conferisce importanza alla validità dellenorme e ritiene che l’efficacia costituisca un presupposto della validitàstessa.

    (4) Il diritto giuridico è la più genuina manifestazione del diritto vivente, per il continuo adatta-mento delle statuizioni emanate dai giudici in conformità ai rapporti sociali e ai bisogni concretidella società.

    Estratto della pubblicazione

  • Capitolo Secondo22

    Cosa è la consuetudine?La consuetudine è tradizionalmente considerata come «un comportamento costantementeripetuto dai membri di un gruppo nella convinzione di osservare una norma giuridica o,comunque, nella previsione che anche gli altri assumano un comportamento analogo».Essa si compone quindi di due elementi fondamentali: uno oggettivo e l’altro soggettivo.L’elemento oggettivo si identifica con la cd. diuturnitas o l’usus, cioè con la costante ripetiti-vità di un determinato comportamento nel tempo, mentre l’elemento soggettivo con la cd.opinio iuris ac necessitatis, cioè con la convinzione, da parte di coloro che osservano la con-suetudine, che tale comportamento sia obbligatorio.Non necessariamente una consuetudine efficace è anche valida, in quanto l’efficacia è datadalla ripetizione nel tempo di un determinato comportamento ma, perché la consuetudine siaanche valida, occorre qualcosa in più.

    Qual è il fondamento della consuetudine come fonte del diritto?La «giuridicità» delle consuetudini viene differentemente spiegata:— per la dottrina che si rifà al diritto romano e canonico, la consuetudine si identifica con la legge.

    Entrambe, infatti, sono il frutto dell’accordo tra Stato e cittadini e la differenza è solo nellatecnica di stipulazione: modo formale ed espresso per la legge, modo tacito per la consuetudine;

    — per la dottrina anglo-americana (AUSTIN) il fondamento della consuetudine risiede nelpotere del giudice che la accoglie per risolvere una controversia: quando il giudice applicala consuetudine liberamente essa diventa legge;

    — per la scuola storica (SAVIGNY-PUCHTA) la consuetudine ha carattere giuridico indi-pendentemente dal legislatore o dal potere giudiziario, in quanto si basa sulla volontàpopolare che permette di distinguere le consuetudini dalla semplice usanza.

    Cosa occorre perché una consuetudine efficace sia anche valida?Perché una consuetudine sia valida, oltre che efficace, è necessario che a quel comportamentoripetuto venga conferito dall’ordinamento giuridico il carattere della giuridicità (CATANIA).Se, infatti, oltre alla diuturnitas, per poter parlare di consuetudine, è necessaria anche la convin-zione della obbligatorietà di un certo comportamento, tale convinzione sarà possibile solo se visia una norma, nell’ordinamento giuridico di riferimento, che tale obbligatorietà gli attribuisca.

    GlossarioAntinomia: (vedi cap. IV).

    Norma giuridica: è il comando generale ed astratto rivolto a tutti i consociati, con il qualesi impone ad essi una determinata condotta, sotto la minaccia di una determinata reazione(sanzione).

    Analogia: è il procedimento attraverso il quale vengono risolti i casi non previsti dallalegge, estendendo ad essi la disciplina prevista per i casi simili (cd. analogia legis) o, se ilcaso resta ancora dubbio, ricorrendo ai principi generali del diritto (cd. analogia iuris).

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  • 23Il diritto e l’ordinamento giuridico

    Il ricorso all’analogia è possibile quando:— il caso in questione non sia previsto da alcuna norma;— tra la fattispecie prevista dalla legge e quella non prevista vi siano similitudini riguar-

    danti gli elementi della fattispecie prevista, nei quali si ritrovi la giustificazione stessadella disciplina legislativa (eadem ratio).

    Società: aggregazione di individui diversi, accomunati da modelli culturali omogenei tra-smessi di generazione in generazione e soggetti a innovazioni.Gli individui formano una società quando:a) rappresentano una collettività stabile;b) condividono la stessa cultura;c) sono consapevoli di appartenere ad uno stesso gruppo e si identificano con esso.

    Estratto della pubblicazione

  • CAPITOLO TERZO

    LE FONTI DEL DIRITTO

    Sommario: 1. Ordinamenti giuridici semplici e complessi. - 2. Le fonti del diritto:fonti di produzione e fonti sulla produzione. - 3. Principali fonti dell’ordinamentocostituzionale.

    1. ORDINAMENTI GIURIDICI SEMPLICI E COMPLESSI

    La dottrina distingue gli ordinamenti giuridici in semplici e complessi:

    — ordinamenti giuridici semplici: sono quelli costituiti da una sola fontedel diritto (esempio: il sovrano, il legislatore, ecc.);

    — ordinamenti giuridici complessi: sono caratterizzati, al contrario, dallapresenza di una pluralità di fonti.

    Normalmente, gli ordinamenti contemporanei appartengono al secondotipo e sono caratterizzati da una pluralità di fonti di diversa provenienza.

    Due sono i mezzi tramite i quali si producono norme giuridiche:

    a) la «recezione» di norme preesistenti e derivanti da altri ordinamenti (cd. fonti riconosciute);b) la «delegazione» della capacità normativa da parte dell’autorità superiore ad organi infe-

    riori (cd. fonti delegate).

    Esempio di recezione è costituito dalla consuetudine in quanto, nel momento in cui illegislatore rinvia a questa non fa altro che «accogliere», nell’ordinamento giuridico, norme diuso comune ad esso preesistenti.

    Un esempio di delegazione si ritiene, invece, ravvisabile nei regolamenti che sono posti inessere da organi amministrativi nel rispetto della legge (vedi paragrafi successivi).

    Entrambi queste fonti sono definite dalla dottrina come derivate o indirette e si pongonoaccanto alla fonte primaria diretta (la legge).

    Il nostro ordinamento giuridico rientra negli ordinamenti complessi, inquanto caratterizzato dalla presenza di una pluralità di fonti (es.: fonti de-rivanti da ordinamenti sovranazionali – Comunità europee – fonti di sog-getti autonomi dell’ordinamento – Regioni –.

    Alle Regioni, secondo la vigente Costituzione, spetta una parte della «So-vranità» che consente ad esse di essere titolari di un potere di legislazioneesclusiva) oltre alle fonti di secondo grado (atti di autorità amministrativa).

    Estratto della pubblicazione

    CAPITOLO PRIMO LO STUDIO DELLA TEORIA GENERALE DEL DIRITTOCAPITOLO SECONDO IL DIRITTO E L’ORDINAMENTO GIURIDICO (1)CAPITOLO TERZO LE FONTI DEL DIRITTO