È qui dentro

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Manuel Crepaldi, ragazzi 8+. In una terra abitata da creature fantastiche, Sofia vive insieme ai suoi amici: Alex il leone bruno, Maya il sol, Rufus il pellicano e Adele la ranocchia. Quando però si accorge di essere l'unica umana al mondo, la ragazza matura il desiderio di incontrare qualcuno simile a lei. L'impresa non è semplice: per poter realizzare il suo obiettivo Sofia farà un patto con la Luna, l'astro più antico e potente di tutti, e partirà per un viaggio alla scoperta di se stessa e della realtà che la circonda.

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In uscita il 30/4/2014 (14,00 euro)

Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2014 (3,99 euro)

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MANUEL CREPALDI

È QUI DENTRO

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È QUI DENTRO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-707-0 Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Aprile 2014 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

Questo romanzo è opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a personaggi viventi è da ritenersi puramente casuale

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Ad Angelo e Sofia

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-0- Uno strano fagotto danzava lentamente sull’acqua e la luce fioca della Luna lo illuminava debolmente, abbastanza però da essere notato dal grosso felino. Alex chiamò Rufus che volò a esaminare il piccolo involto: «E’ qui dentro! E’ qui dentro!» urlò il pellicano ai suoi amici; era una neonata, avvolta in un lenzuolo bianco. Sulla stoffa un unico ricamo: il nome “Sofia”.

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-1- Tredici cicli di Luna dopo, Sofia era seduta sulla spiaggia, intenta a leggere un libro trasportato dalle onde qualche marea prima. «Stai ancora guardando quel libro?» Maya tramontava lentamente, ma non smetteva un secondo di vegliare su di lei. «Ci sono un sacco di figure strane. Rufus ha detto che viene dal “Mondo”.» Adele le si avvicinò a rapidi balzi. «Il pellicano ha ragione, ma ti ha raccontato che cosa intendeva?» «Hm-hm» mugugnò Sofia scuotendo la testa. La ranocchia le si accovacciò di fianco. «Questa in cui viviamo è un’isola, un ritaglio di terra in mezzo al mare, vedi quella?» disse indicando una figura sul libro. «Noi siamo lì, sullo “Scoglio buio”.» «Perché si chiama così?» Adele scambiò un rapido sguardo con Maya. «Oh, non è una bella storia e poi non è importante, piuttosto fai attenzione al resto della cartina, quel continente è ciò che Rufus intendeva con “Mondo”.»

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«E’ molto più grande della nostra isola.» «Sì, lì è da dove proveniamo tutti.» «Anche io?» «Sinceramente... non lo sappiamo.» Sofia si specchiò nell’acqua limpida della riva, poi guardò il sol e la ranocchia. Ripensò ai cicli passati su quell’isola insieme a quella che considerava la propria famiglia. Per quanto ancora fosse giovane, era sveglia e intelligente e i suoi amici l’avevano istruita bene. «In questo libro non c’è nessuna creatura che mi somigli, a parte una... » «Non è necessario che ti preoccupi di queste cose!» tuonò Alex. Il leone bruno si era avvicinato lento e silenzioso, come sempre, e nessuna delle due si era accorta del suo arrivo. «Ma Alex... » «Sofia, come ti abbiamo già detto ti abbiamo trovata la notte del nuovo anno, quando la Luna appare in cielo. Stanotte è il tuo compleanno, non rovinarlo con futili preoccupazioni.» Le si avvicinò, strusciandole affettuosamente il muso addosso e facendosi accarezzare la criniera. «Va bene» rispose Sofia con un sussurro. Ma non lo pensava veramente. Maya tramontò, come tutte le sere, ma quella notte il sol lasciò il posto alla Luna, argentea e misteriosa,

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probabilmente la creatura più antica e saggia di tutte. I tre amici, il pellicano, la ranocchia e il leone bruno, festeggiavano sempre con gioia il nuovo ciclo, ricorrenza che segnava anche l’anniversario dell’arrivo di Sofia sull’isola. Quell’anno però la ragazzina non era serena, dubbi le assillavano la mente. Stringendo il libro a cui tanto teneva si sedette su una piccola altura e guardò il cielo. Forse poteva chiedere alla Luna? Si alzò e decise di tentare, rivolgendosi a essa nella maniera più rispettosa che conoscesse. «Luna, tu dovresti essere antica e saggia, le storie di questo libro raccontano dei tuoi viaggi fra i mondi, di creature mitiche che potresti aver incontrato e di un posto a cui potrei appartenere. Dimmi dunque, cosa sono io?» Tutto tacque per un istante e poi, nonostante non lo credesse possibile, la Luna parve avvicinarsi, farsi più grande e sulla sua faccia comparvero due occhi smeraldo. Poi una voce, vellutata ma imponente:

«Giovane creatura, tu non appartieni a quest’isola maledetta, né a nessuna delle cinque terre. Tu discendi dalla stirpe generatrice, coloro che sono partiti tanto tempo fa. Tutto ciò che ne rimane sono i “Simili”. Per caso sei giunta qui, un varco, una porta, il destino. «Tu sei un’umana.» Un’umana. Questa parola non aveva nessun significato per Sofia,

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tuttavia iniziava a capire. I “Simili” venivano descritti come coloro che avevano perso la capacità di vivere in armonia con la natura, coloro che erano “più vicini”, coloro che “somigliavano di più”. Nessuno ricordava più a cosa fossero vicini o a chi somigliassero, ma ora appariva abbastanza chiaro: agli umani. A lei. Adesso sapeva. E quindi? Cosa comportava quella consapevolezza? Cosa cambiava? «Voglio vedere il mio mondo.» Le parole le erano uscite d’istinto, fino a quel momento non aveva mai riflettuto molto su sé stessa, sulle proprie origini, eppure la semplice conoscenza della verità aveva scatenato in lei una convinzione e un desiderio mai provato prima: trovare un luogo a cui sentisse di appartenere veramente. Quant’era determinata? Non lo sapeva. Si guardò attorno e vide quella che era stata la sua casa per molto tempo. Vide la sua “famiglia” avvicinarsi. «La voce della Luna si è sentita in tutta l’isola» disse tristemente Alex. La ranocchia le saltellò incontro e si fece cingere tra le braccia. «Che cosa vuoi fare ora che sai la verità?» «Io... vi voglio bene» la sua voce si spezzò, «ma... » «Vuoi conoscere il luogo da cui provieni» concluse Rufus. Sofia annuì, piangendo.

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«Che cosa deve fare?» chiese Alex alla Luna.

«Soltanto io possiedo il potere necessario. Colui che lo desidera dovrà recarsi nel mio tempio portando con sé le chiavi delle cinque terre. Nella notte del nuovo ciclo io gli darò udienza ed esaudirò un suo desiderio.» «Le chiavi delle cinque terre?» farfugliò Sofia. «Sono dei talismani» spiegò il leone. «Antiche reliquie dagli strani poteri. Una per ogni terra… sei davvero sicura di volerlo fare?» Si guardò attorno, indecisa. «Quanto tempo ho per decidere?» chiese dunque alla Luna.

«Soltanto io posso e dunque soltanto in una notte come questa è possibile.» Soltanto la Luna aveva quel potere, quindi soltanto una volta ogni ciclo era possibile partire. «D’accordo allora. Io... non posso aspettare altre dodici maree.» Si voltò verso gli altri e li guardò uno a uno. Rufus, il vecchio pellicano, si era appollaiato su una roccia, forse anche lui stava ripensando alle giornate in cui le aveva insegnato a leggere e a fare di conto, quanta pazienza aveva avuto. Adele saltellava ancora, sembrava incapace di controllarsi quando era nervosa, i momenti in cui era più calma erano quelli in cui stavano assieme, giocando a scavare canali e a fare costruzioni nella sabbia. Sofia non smetteva mai di stupirsi di quanto l’amica fosse agile nonostante l’aspetto goffo e le dimensioni della sua

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specie, che può raggiungere anche il metro di altezza. Alex era accovacciato per osservare meglio la Luna, il suo sguardo sarebbe risultato indecifrabile ai più, ma la fanciulla riusciva a vedere la preoccupazione sul suo muso. Lui le aveva insegnato cos’erano il coraggio e la determinazione, proprio come Maya le aveva fatto comprendere la pazienza e la compassione. Il sol aveva sopportato i capricci, aveva ascoltato le preoccupazioni, era sempre presente per lei. Ma adesso doveva decidere da sola. I suoi amici annuirono, restituendole lo sguardo. «Voi siete consapevoli di cosa questo comporti, giusto?» «Lo siamo» rispose il leone, scambiandosi un’occhiata d’intesa con gli altri. «Di cosa sta parlando?» gli si rivolse perplessa la ragazzina. «Non ti preoccupare» sorrise, «sento che ci rivedremo presto.» Sofia si protese verso la Luna, quasi si aspettasse di essere presa per le mani, il cuore le batteva fortissimo mentre pensava a tutto quello che stava lasciando. Tornerò e li rivedrò tutti di nuovo, pensò fra sé. «Sono pronta» disse infine.

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-2- Aprì gli occhi e le parve di non essersi mai spostata. Stesa sulla spiaggia, veniva cullata dal suono delle onde e dai raggi tiepidi del sol. «Maya?» Questi però non le rispose, sembrava piccolo e lontano e la riva, al contrario della sua piccola isola, si estendeva senza fine all’orizzonte. «Chi sei tu?» Una flebile voce la raggiunse. Sofia si voltò, scrutando oltre la piccola spiaggia, fra l’erba; poi, vide spuntare un grigio esserino. «Chi sei tu?» ripeté la creatura. Non era più grande di una mano della fanciulla, contando anche le due piccole antenne alla sommità del capo. Mentre avanzava, delle alette sbattevano velocissime emettendo un lieve ronzio, gli occhi neri come il carbone la fissavano, luccicanti e un po’ sporgenti, dalla testa triangolare; nella minuscola manina stringeva una piccola lancia. «Mi chiamo Sofia» rispose lei, incerta su cosa aggiungere. «Sei un simile? E’ raro vedervi da queste parti.»

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«No, io... sono una viaggiatrice» improvvisò Sofia. «Vengo da un luogo lontano. Tu sei un bulboide, giusto?» «Certo! Di sicuro non sono un serpoide! Mi chiamo Quatlov. Cosa ti porta da queste parti, viaggiatrice?» «Io cerco la chiave di questa terra, il talismano.» Quatlov emise un gemito svolazzando nell’aria, senza controllo. «Nessuno può prendere la chiave delle paludi! Se è quello che cerchi faresti meglio ad andartene!» e scappò via, nascondendosi fra l’erba. Cominciamo bene, si lamentò Sofia tra sé e sé, e decise di incamminarsi. Non sapeva bene da che parte andare, ma sperava di imbattersi nella via che collegava le cinque terre: la “Strada maestra”. Dopo un po’, però, pensò di dirigersi verso l’unico punto di riferimento che le sembrava di scorgere: un albero, un unico gigantesco albero in mezzo a quella pianura erbosa. Più si avvicinava e più si rendeva conto delle sue reali dimensioni e di cosa fosse in realtà: quella doveva essere la città dei bulboidi. Piccole costruzioni spuntavano tra il fogliame e ai piedi del grosso tronco le sembrava di scorgere del movimento. Al tramonto raggiunse l’enorme pianta, ai piedi della quale piccole costruzioni di rametti e misteriose pietre azzurre formavano quella che a suo avviso doveva essere un incrocio tra grossi cespugli e piccole abitazioni o nidi. Decine di bulboidi vi entravano e vi uscivano, portando a volte dei piccoli sacchi simili a zaini, o ceste di rami

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intrecciati. Sofia era spaventata e, soprattutto dopo l’incontro con Quatlov, non sapeva cosa aspettarsi dai suoi simili. La fame e la sete però ebbero il sopravvento sulla paura, perciò si fece coraggio e provò a chiedere aiuto. «Scusate, mi sono persa, qualcuno potrebbe darmi dell’acqua o del cibo?» Si sentiva male all’idea di mendicare in un mondo sconosciuto, in una città che le sembrava ostile. La maggior parte degli abitanti la ignorò, allontanandosi, altri le dissero di andarsene e gli unici che le prestarono ascolto non si rivelarono amichevoli. Erano in quattro e indossavano un elmetto e vestiti uguali, particolarmente elaborati, forse delle divise; alla cinta portavano una piccola spada. «Chi sei tu? Cosa ci fai in questa città?» le chiese il bulboide alla sua sinistra. «Sono una viaggiatrice e mi sono persa, non ho né acqua né cibo, se foste così gentili da aiutarmi me ne andrò per la mia strada.» I quattro presero a confabulare, sbattendo le alucce ancora più velocemente. «Che ne dici Zist? Ti sembra che dica la verità?» «Non lo so Agor, potrebbe essere una spia delle serpi, non avrai scordato che fra tre giorni inizia una marea?» Una marea? pensò Sofia; quanto tempo era realmente passato dalla notte del nuovo ciclo?

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«Lo so benissimo che il giorno del Consiglio è vicino» replicò il primo, «non possiamo correre dei rischi.» Poi si rivolse alla fanciulla. «Ci dispiace» esclamò con un tono per nulla dispiaciuto, «ma devi venire con noi.» Sofia osservò i quattro e le loro piccole armi, più perplessa che spaventata e pensò, vista la situazione, di non avere molta scelta. Fu accompagnata in una costruzione molto grande, quasi sotto il gigantesco albero. Da lì notò un sistema molto complesso di carrucole e cesti, che probabilmente servivano per trasportare merci tra la cima dell’albero e i suoi piedi. «Siamo arrivati» esclamò Agor. «Ti porteremo da mangiare, ma dovrai rimanere qui per tre giorni.» «Sono prigioniera?» «Riteniamo solamente preferibile che tu rimanga qui. Fra tre giorni sarai scortata sino al Consiglio, dove potrai raccontare la tua storia.» Sofia fu quindi rinchiusa in una cella di legno e foglie, mentre due bulboidi rimasero fuori a fare la guardia. Sì, sono prigioniera, dedusse. Pochi minuti dopo le venne portato del cibo: un piatto con della frutta e una specie di gelatina dorata; la fissò con diffidenza. «E’ miele non raffinato, gli Apidi non sono gli unici in

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grado di produrlo» le spiegò il carceriere. La ragazzina ne assaggiò un po’. Era delizioso. «Tu sei uno dei quattro di prima?» riconobbe la divisa e i lineamenti un po’ più paffutelli di uno dei due bulboidi che erano rimasti in silenzio per tutto il tempo. «Sì, il mio nome è Ren.» «Io sono Sofia.» Ren le volò più vicino, acuendo il lieve ronzio a cui ormai si era abituata. «Tu... non sei un simile, giusto?» Sofia trasalì, indecisa su cosa rispondere. «No» disse semplicemente, «non lo sono.» Il bulboide annuì. «Quando ero piccolo mia nonna mi raccontava spesso di quelli come te, ma non è rimasto nulla a parte qualche favola o leggenda. Ma dimmi, come sei arrivata qui?» Sofia decise di fidarsi di quell’esserino, che sembrava più gentile dei suoi simili, e gli raccontò la propria storia. «Vieni dall’Isola dell’oblio? Lo Scoglio buio?» chiese incredulo Ren. «Credo di sì, perché?» «Beh... » il bulboide sembrava incerto su come proseguire, «nessun sol illumina quella terra maledetta, perennemente avvolta dall’oscurità, inoltre è impossibile arrivarci con una barca; lì vivono solo quelli che vengono rinnegati.» «Rinnegati?»

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«Sì, non so bene come succeda, ma sembra ci finisca chi si macchia di qualche grave crimine.» Grave crimine? Di cosa stava parlando? Sofia non poteva crederci. Significava forse che i suoi amici, coloro che l’avevano cresciuta e amata erano dei criminali? Non poteva essere vero, doveva essere solo una credenza popolare e decise di non pensarci e di cambiare discorso. «Cos’è il “Consiglio” di cui parlavate?» Ren sembrò raccogliersi per un istante, come a riordinare le idee, poi iniziò: «Il Consiglio è un’assemblea tra i rappresentanti delle tre razze della Terra delle paludi; si tiene ogni tre maree e grazie al Consiglio queste mantengono i contatti, stabilizzano accordi commerciali e trattano questioni relative alla Terra delle paludi in generale; la sua funzione principale però è quella di consultare la chiave e chiederle a chi spetta il diritto di sfruttare la foce del Fiume di cristallo.» «In che senso?» Ren le si avvicinò ancora. «Il Fiume di cristallo scorre tra la regione dei bulboidi, la Terra delle basse felci, e le terre dei Serpoidi e delle Ranocchie, ovvero le Rocce puntute e Gli acquitrini; il fiume ha una caratteristica unica in tutte le cinque terre: alla sua foce si trovano dei cristalli che fendono il buio con il loro splendore, emettendo una luce propria. Una leggenda narra che il fiume trasporti la luce della Luna e

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la trasformi in pietra a contatto con il mare; questi cristalli vengono usati per illuminare le case, le strade o usati come merce di scambio con le altre terre. «In passato furono combattute molte guerre per il controllo della foce finché non si scoprì una peculiarità della chiave delle paludi: un saggio si accorse che, interrogando la pietra, essa è in grado di indicare una direzione con una delle sue facce; fu quindi incastonata in un piedistallo al centro del palazzo del Consiglio e ogni tre maree il talismano viene interrogato su quale delle razze potrà raccogliere i cristalli del fiume.» Sofia rifletté: «Non sarebbe più semplice fare a turno?» «Purtroppo non è così semplice, se lo sfruttamento della foce fosse deciso arbitrariamente ci sarebbe sempre qualcuno in disaccordo. In passato i serpoidi e noi bulboidi abbiamo preteso una maggiore quantità di cristalli in quanto la foce del fiume divide i nostri paesi; le ranocchie, in risposta, hanno minacciato di costruire una diga con l’aiuto dei loro vicini dentoidi. La scelta della Chiave, seppur non sempre equilibrata, viene rispettata in quanto espressione di una qualche volontà superiore.» «Ho capito» disse Sofia qualche secondo dopo. «Tuttavia ci deve essere una soluzione migliore, un’alternativa.» «Se in questi tre giorni riuscirai a trovarla potrai provare a esporla al Consiglio» concluse Ren. Il bulboide gentile se ne andò e lasciò la fanciulla da sola con i propri pensieri. Cosa avrebbe potuto mai fare lei per

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quelle genti? E il talismano di quella terra? Vista la situazione non gliel’avrebbero mai dato spontaneamente. Dopo un solo giorno di viaggio Sofia si trovava prigioniera, senza una sola idea su come prendere la prima chiave e senza sapere cosa ne sarebbe stato di lei. Si sedette in un angolo della sua cella e pianse, fino allo sfinimento, ripensando alla sua piccola isola; per la prima volta nella sua vita provò qualcosa che poteva essere paragonato alla disperazione. Cullata dalla luce tenue dei cristalli azzurri cadde in un sonno senza sogni. Si svegliò che il sole era già alto nel cielo. «Buongiorno!» le disse Ren portandole un pasto. «Buongiorno» rispose Sofia con scarso entusiasmo, ancora mezza addormentata. Quindi, constatò, sembra non sia stato solo un brutto sogno. Poi, ripensando al giorno prima, si accorse di una cosa di cui non si era resa conto, persa nei dubbi sul da farsi. Decise di chiedere conferma al piccolo bulboide. «Ren, ieri mi hai detto che il Consiglio si tiene ogni tre maree e che dopodomani ce ne sarà uno... » L’esserino annuì, seguendo il filo del discorso. «... io ho lasciato l’isola la notte della Luna, all’alba del nuovo anno. Mi vuoi forse dire che sono passati ventotto giorni da allora?» «Non saprei dirti come ciò sia possibile, ma la notte del nuovo anno è stata quasi tre maree fa, per l’esattezza sono

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passati ottantotto giorni.» La ragazzina accusò un capogiro, ma non si permise di cedere di nuovo allo sconforto. Provò a concentrarsi e a riesaminare la situazione: non conosceva quasi nulla di quel mondo, tutta la sua conoscenza era riassunta in qualche decina di pagine sul suo vecchio libro regalatole dal mare. Cercò di riportare alla mente tutto quello che poté riguardo le tre razze: i bulboidi, piccole creature laboriose e instancabili, abitavano a sud ed erano organizzate in una rigida gerarchia sociale con un gruppo di anziani membri al vertice. Avevano antenati in comune con gli apidi e ne condividevano alcuni aspetti culturali, come la venerazione per le piante e i fiori, e non, come l’abilità di estrarre il nettare e produrre miele. I serpoidi vivevano tra le rocce, a nord, e l’attività a cui si dedicavano maggiormente era la caccia; nessun’altra creatura vantava la loro velocità sui terreni irregolari, ma la forza e la velocità non erano le loro uniche abilità: secoli passati tra la dura pietra li aveva portati a sviluppare avanzate apparecchiature e particolari tecniche di scavo che utilizzavano per costruire le loro tane in una terra per altri inospitale. Le ranocchie si erano stanziate a est, negli acquitrini, dove la loro principale fonte di cibo, insetti e simili, non scarseggiava mai; erano organizzate in tribù, ciascuna con un proprio capo, tuttavia non entravano quasi mai in conflitto tra di loro, anzi, spesso collaboravano quando si rendeva necessario.

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Sofia indugiò su quest’ultimo pensiero, riandando con la mente alle ore passate con Adele, la sua amica ranocchia, alle chiacchierate e ai giochi sulla spiaggia. Cosa stavano facendo ora tutti quanti? Avrebbero sentito la sua mancanza?

Quel continente è ciò che Rufus intendeva con “Mondo”. Questa frase le balzò alla mente e la ragazzina, soprappensiero, prese un rametto, si accucciò e iniziò a disegnare ai suoi piedi la sagoma del continente in cui si trovava ora, con tutti i particolari della Terra delle Paludi. «Ren!» disse poi, «la Terra delle Paludi è fatta in questo modo, giusto?» Il bulboide osservò per qualche istante la cartina improvvisata. «Complimenti, è molto precisa.» Un’alternativa, pensò Sofia. Che cos’era in fondo, un’alternativa? Rufus gliel’avrebbe spiegato con lunghi giri di parole, come suo solito, probabilmente con qualcosa non dissimile da: “Possibilità di scelta tra più soluzioni, di cui ognuna adottabile”. Prese un sassolino e lo fece scorrere sul disegno, sopra la linea che rappresentava il Fiume di cristallo. Immaginò la pietra illuminarsi di una fioca luce azzurra e scivolare, tra acque limpide e dolci. «Una soluzione alternativa. Forse, Ren, l’ho trovata.» Sofia passò il poco tempo che le rimaneva a perfezionare

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la propria idea e a scegliere le parole migliori da usare, sempre che gliene venisse data la possibilità. Infine, la mattina di marea nuova, Ren entrò nella cella svegliandola. «E’ ora!» esclamò. La ragazzina annuì, accodandosi a un corteo di bulboidi, circa una trentina, e partì verso nord. In coda e in testa alle file svolazzavano quelli che sembravano essere soldati o guardie, al centro invece sette bulboidi vestiti in maniera molto elaborata avanzavano in groppa a delle grosse lumache senza guscio. «Quelli sono gli anziani» le sussurrò Ren indicandoli. «Secondo me faresti meglio a lasciar perdere e cercare semplicemente di convincerli a lasciarti andare.» La fanciulla non rispose, non poteva arrendersi senza nemmeno tentare. Dopo qualche ora, raggiunsero una grande costruzione circolare con il tetto a cupola. Sembrava essere fatta interamente di marmo bianco e se non fosse stato per la situazione probabilmente Sofia l’avrebbe trovata incredibilmente suggestiva. L’unica sensazione che riusciva a provare al momento però era una forte ansia. Fu scortata al centro di una grande sala, anch’essa circolare. Da una parte vi erano tre spalti, ciascuno dei quali venne occupato dai rappresentanti delle tre razze,

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dall’altra solamente un piccolo piedistallo con uno strano oggetto, della cui forma geometrica non conosceva il nome, ma altro non era che un tetraedro perfettamente regolare. Poco innanzi a lei, di fronte agli spalti, una struttura rialzata sembrava fare da podio. «Sofia!» Completamente immersa nei propri pensieri, Sofia non si era resa conto che un altro prigioniero era entrato dopo di lei e ora le si avvicinava circondato da alcune ranocchie armate. «Adele?!» La ragazzina si bloccò dallo stupore, avrebbe voluto tempestare l’amica di domande, ma non ebbe tempo di riprendersi dallo shock in quanto uno degli anziani bulboidi si era fatto avanti, salendo sul piccolo palco e iniziando a parlare: «Un saluto a tutti i rappresentanti, per chi non mi conosce il mio nome è Trochilide. Come ogni tre maree siamo qui riuniti per interrogare il talismano, relativamente allo sfruttamento del fiume di cristallo. «In quanto scelti nel precedente Consiglio tocca a noi bulboidi gestire l’assemblea; prima di passare al punto principale però, abbiamo un paio di altre questioni da affrontare. Lascio la parola al capo della tribù del nord degli acquitrini: Asavin.» Una vecchia ranocchia, rugosa ancor più delle altre,

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raggiunse Trochilide, aiutandosi con un bastone e trascinando un lungo mantello. Un lieve brusio si diffuse tra gli spalti a sinistra, nella zona dei serpoidi, come se qualcuno di loro non si aspettasse questo intervento. Sofia ebbe un brutto presentimento, cercò Adele con lo sguardo e le lanciò delle occhiate interrogative; quest’ultima però, nonostante poco prima l’avesse chiamata per nome, ora fissava il pavimento, silenziosa. «Buongiorno a tutti. Immagino sarete tutti impazienti di interrogare la chiave delle paludi. Tuttavia, pochi giorni dopo l’inizio di questo ciclo, è accaduto un avvenimento molto importante di cui tutti vorrete essere messi a conoscenza: il ladro è stato catturato!» La sala cadde nel caos, voci infuriate, accompagnate da espressioni di rabbia e di stupore, si levarono da ogni parte. «Silenzio! Silenzio!» intimò Asavin, tentando di riportare l’ordine. «Come da tradizione l’accusato potrà parlare in propria difesa. La ranocchia si faccia avanti!» Lentamente, Sofia vide Adele farsi avanti. Non sapeva più cosa pensare, le mancava il fiato. «Ranocchia Adele, quindici cicli or sono diversi testimoni ti hanno vista prendere il talismano e fuggire nella vegetazione. Come rispondi a queste accuse?» Adele si voltò indietro e, per la prima volta dopo averla chiamata per nome, guardò la fanciulla in volto, poi rivolse lo sguardo alla platea e con voce spezzata disse:

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«Sono colpevole.» Di nuovo i rappresentanti esplosero in una cacofonia di insulti, calmandosi solo alle intimidazioni di Asavin e dell’anziano bulboide. «Quindici cicli fa facevo parte della guardia del mio capo-tribù. Ero giovane e... ricordo ancora quelle sensazioni, quell’audacia che mi pervase quando la vidi... tutti i miti e le leggende del mio popolo su quel talismano mi tornarono alla mente e mi chiesi: Perché limitarsi a

interrogarlo una volta ogni tre maree? Perché coltivare questo astio tra le nostre razze? La chiave delle paludi unito al potere della Luna può fare qualsiasi cosa, anche cambiare il mondo. «Così decisi di prenderla; interrogandola le chiesi di mostrarmi una strada per il monte della Luna che vi facesse perdere le mie tracce e, incredula io stessa, giunsi al cospetto della creatura millenaria.» La ranocchia si interruppe. «E?» la incalzò l’anziano capo-tribù. «Quello che successe dopo non ha importanza» continuò Adele, «non ai fini di questo processo almeno. Io sono responsabile di ciò che mi accusate, non oso pensare alle conseguenze del mio gesto, al caos che possa aver generato. Ho avuto molto tempo per pensarci, posso solo dire che mi dispiace.» Fine anteprima.