E per non far torto a nessuno porto tutti i · l’idra, mostro a sette teste rappresentante i...

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Ehila ragazzi … sob! Le vacanze sono ormai un lontano ricordo!!! Come sempre il giornalino è ben fornito di articoli interessanti, curiosi e golosi! Per omaggiare l’articolo sul nostro Palio … beh mi sono vestito a puntino per l’occasione! E per non far torto a nessuno porto tutti i colori del Palio!!! Gheppio, presto lo stendardo per il tuo cavaliere! N. 9 ANNO 2015

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Ehila ragazzi … sob! Le vacanze sono ormai un lontano ricordo!!!

Come sempre il giornalino è ben fornito di articoli interessanti, curiosi e golosi!

Per omaggiare l’articolo sul nostro Palio … beh mi sono vestito a puntino per l’occasione!

E per non far torto a nessuno porto tutti i

colori del Palio!!! Gheppio, presto lo stendardo per il tuo cavaliere!

N. 9 ANNO 2015

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Il Palio di Ferrara è un’antichissima

tradizione oramai inscindibile della città

estense, capace di unire nell’insieme storia e

folklore. In questa giornata di festa, tra

bandiere e costumi, nella città si rivivono i

fasti di un tempo splendido, fatto di palazzi,

di letterati e pittori, di dame e di uomini di

potere.

Palio, in latino pallium, significa rettangolo di stoffa tessuta appositamente o dipinta. Nell’evo

antico questo drappo prezioso filettato d’oro con l’effige del santo, agganciato ad un asta, veniva

usato come offerta da una comunità cittadina che accoglieva pacificamente un ospite illustre, che

poteva essere un imperatore, un duca o il Papa. Successivamente il pallium rappresentò un premio

per le feste o gare che le città organizzavano nel giorno del santo patrono: ad esempio a Firenze si

correva il palio di San Giovanni Battista, a Bologna il palio di San Pietro e a Ferrara invece il palio

di San Giorgio. Se oggi il più celebre, per continuità ed organizzazione, rimane il palio di Siena,

quello di Ferrara è certamente il palio più antico del mondo. Parlare infatti del palio di San Giorgio

significa entrare nel vivo della storia della nostra città, una storia questa che risale a molti secoli fa

e che andrò a esplorare.

Le cronache ferraresi riferiscono che il popolo, per festeggiare la vittoria di Azzo VII “Novello

d’Este” (1205-1264) su Ezzelino III Da Romano, vicario dell’imperatore tedesco, nella famosa

battaglia al Ponte di Cassano sull'Adda, organizzasse per le vie della città manifestazioni sportive,

in particolare corse e tornei. Fin dal XII secolo, infatti, finte battaglie, giostre o corse dei cavalli

raccontavano, nelle strade delle città, l’importanza dei conflitti vinti, delle città prese e gli assedi.

Con gli Statuti Municipali del 1279, oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, la

tradizione alle corse del Palio fu codificata e fu stabilito il giorno in cui doveva aver luogo la

manifestazione, “In Festo Beati Georgi”, il percorso e i premi consistenti in un palio al primo, una

porchetta al secondo, un gallo al terzo.

Il successo e il richiamo per il palio, divenne così forte e importante a tal punto che venne ripetuto

per la festa della Vergine Assunta, il 15 agosto, e in occasione di festività eccezionali, quali nozze di

principi o visite di personaggi importanti. Effettuato fino agli anni dell’Unità d’Italia, il palio visse

i suoi momenti magici e splendidi durante il Ducato di Casa d’Este.

NON SOLO SORRISI . . . IL PALIO DI FERRARA

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Di quella viva testimonianza dell’antico palio di San Giorgio ne è rimasta memoria negli stupendi

affreschi, eseguiti da Francesco del Cossa, nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, dove sono

raffigurati uomini, dame e il duca Borso a cavallo circondato da principi e nobili che, dai balconi

dei loro palazzi assistono alle corse dei cavalli.

Francesco del Cossa, Aprile

(Particolare delle corse del palio, Salone dei Mesi, Palazzo Schifanoia)

Nel 1598 il glorioso dominio estense a Ferrara giunse al termine quando Alfonso II morì senza

lasciare eredi diretti e Papa Clemente VIII riunì il ducato ferrarese allo Stato della Chiesa. La città

perdeva così il suo status di capitale per divenire semplice città di confine. Dopo la devoluzione

dello stato estense alla Santa Sede, le feste continuarono ma erano più che altro legate ai

festeggiamenti del carnevale. Nel 1676 il cardinale Legato Chigi istituì per la festa di San Maurelio,

compatrono della città, oltre le normali corse al Palio, anche una corsa di barche che venne

effettuata nel Po di Volano. Nonostante la diminuita importanza di Ferrara sotto lo Stato

Pontificio, rispetto al florido periodo degli Estensi, nell’XVIII secolo la bella tradizione del palio è

ancora apprezzata.

Ma a partire dalla prima metà dell’Ottocento le corse del

palio divennero sempre più sporadiche fino ad essere,

dal 1860, definitivamente sospese e sostituite dalle

“corse dei sedioli” (carrozzelle a due ruote ad un posto

solo). Nel 1933 Angelo Facchini, dopo settantatre anni di

silenzio, riprese la tradizione estense del palio,

nuovamente interrotta a causa degli eventi bellici della

seconda guerra mondiale, per poi essere ripristinata

grazie all’impegno di Nino Franco Visentini, promotore del Palio dell’era moderna.

Oggi il Palio di Ferrara si corre l'ultima domenica di maggio in memoria dello straordinario Palio

corso nel 1471, quando l’allora marchese Borso d'Este, al ritorno da Roma, ricevette l'investitura a

primo Duca di Ferrara da Papa Paolo II. Ma come è organizzato il Palio e chi sono i partecipanti?

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A contendersi la vittoria nelle rispettive gare (corse delle Putte e dei Putti, corsa delle asine e infine

corsa dei cavalli) sono otto contrade cittadine suddivise in quattro Rioni, con territorio dentro le

mura (San Benedetto, Santa Maria in Vado, San Paolo e Santo Spirito) e quattro Borghi (San

Giacomo, San Giorgio, San Giovanni e San Luca).

Ogni contrada è contraddistinta da due colori e da un simbolo ripreso dagli antichi stemmi araldici

degli estensi che ricordano le virtù del Signore e gli effetti del suo buon governo. San Benedetto, di

colore bianco e azzurro, porta come insegna il diamante, simbolo di incorruttibilità e forza del

principe; San Giacomo che inalbera l’aquila bianca simbolo del potere e del mecenatismo estense, si

ammanta dei colori giallo e blu; San Giorgio che sventola i colori giallo e rosso ha per emblema

l’idra, mostro a sette teste rappresentante i sette vizi capitali. La lince è invece il simbolo della

contrada di San Giovanni, dai colori rosso e nero e ricorda la capacità di giudicare senza venire

influenzati, San Luca, i cui colori sono rosso e verde, si pregia dell’impresa dello steccato per

ricordare le grandi bonifiche attuate dagli estensi, Santa Maria in Vado, riconoscibile dai colori

giallo e viola innalza a propria insegna l’unicorno, simbolo dei lavori di risanamento promossi

dagli estensi. San Paolo veste i colori bianco e nero (che sono quelli propri dello stemma cittadino) e

si pregia del simbolo dell’aquila estense sulla ruota della fortuna, mentre Santo Spirito si identifica

nei colori giallo e verde e nell’impresa della granata svampante, emblema legittimo di Alfonso I.

Ma il Palio di Ferrara non è limitato solamente alle corse. Tutto il mese di maggio è scandito da

manifestazioni legate a rievocazioni storiche di un illustre passato, iniziando dalla suggestiva

Benedizione dei Ceri e dei Palii, che si svolge nella cattedrale di San Giorgio, per poi proseguire con

gli antichi giochi delle bandiere dove musici e sbandieratori delle otto contrade si contendono il

primato nelle specialità del singolo, della coppia

tradizionale e della piccola e grande squadra. Ma la

manifestazione sicuramente più rinomata è il corteo

storico che fa rivivere nella splendida cornice di Corso

Ercole d’Este il sontuoso corteo di Borso. Più di 1.200

figuranti tra dame, cavalieri, maghi, saltimbanchi,

popolani, sbandieratori e musici offrono uno

spettacolo altamente emozionante che culmina in Piazza Castello con rappresentazioni allegoriche

e teatrali e con la presentazione al duca Borso dei campioni che correranno le gare del Palio.

Per concludere, si può dire che oggi il Palio di Ferrara, grazie soprattutto all’impegno e al lavoro

volontario di molte persone, può essere considerato uno dei vanti della città di Ferrara e un valido

strumento sociale di associazione, trasmissione di valori, spirito di gruppo e conoscenza della

storia e delle tradizioni della nostra città.

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ALLEGRIA NEL PIATTO

IL PANE DI FERRARA

Quel pane definito « Il migliore del mondo» da Riccardo

Bacchelli, è sempre stato un gioiello della produzione culinaria

tipicamente ferrarese. Il motivo per cui il pane ferrarese sia

migliore del pane di altre zone rimane un mistero; alcuni

rivenditori, commercialisti, hanno provato, trapiantando anche

la mano d’opera, ma mai in altre regioni, si è raggiunto il sapore,

il profumo del nostro pane.

Dicono che il segreto non sia nel materiale che si può sempre usare, ma nella nostra aria, nella nostra acqua e

quindi nella lievitazione. Oggi, nonostante la meccanizzazione dei metodi di lavoro, i fornai di casa nostra

continuano a confezionare – orgogliosi di farlo – il famoso pane seguendo i dettami degli statuti medievali del

1287. infatti, prima del 1000, il pane era preparato semplicemente a forma di pagnotta, poi vennero imposte

regole ben precise per la confezione, per l’esposizione al pubblico e per il mantenimento di un alimento così

prezioso.

Per prima cosa venne imposto ai fornai del tempo di

confezionare il pane con «orletti» («Statuimus quod pistores

panes facere teneantur habentes oredellos…»). I forni

dovevano essere situati lontani dalla via pubblica, sia perché

le faville avrebbero potuto colpire i passanti, sia perché la

merce non si rovinasse con la polvere della strada.

Chi vendeva pane di peso scarso o insufficientemente cotto era condannato a pagare una multa; inoltre ogni

artigiano doveva apporre un sigillo con il proprio nome su ogni pagnotta, proprio come si fa con gli oggetti

preziosi. Il legislatore stabilì anche che la farina usata dovesse essere di una sola qualità, togliendo la crusca:

il nostro pane già allora era di sola farina ricavata dal frumento battuto sull’aia e macinato. Ora la forma

tipica del nostro pane è la classica ciupéta: per modellarla occorrono mani esperte. Forse la «ciupéta» nacque

in occasione di quel banchetto estense del carnevale del 1536, durante il quale fu presentato in tavola per la

prima volta, « un pane ritorto», che a noi piace identificare con i crostini («grustìn») della «Coppia».

Altre forme sono i riccioli (rizète), coppiettine con corna lunghe e ritorte, più eleganti ma meno gustose delle

coppie tradizionali; il kipfel (chifel) o panet è più sodo al centro con le estremità croccanti. Se prendiamo due

chifel e li uniamo insieme assomigliano quasi ad una coppietta; il panino (panin) ha una forma rotonda con

molta mollica all’interno e circondato da una crosta all’esterno.

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La nascita del pane, abbiamo già detto, risale a secoli e secoli, mentre la forma così squisitamente raggiunta è

un susseguirsi di migliorie nel tempo. Ancora oggi molti fornai eseguono a mano il pane tipico, preparando

l’impasto solamente con acqua, farina, sale e lievito. Fin dall’antichità, dunque, il pane era un’istituzione per

i ferraresi, i quali si tutelavano anche dagli eventuali «falsari».

Poiché un tempo il pane veniva preparato una volta alla settimana, la sua lavorazione rivela quanto di

funzionale esiste in questa produzione: mentre il corpo centrale rimane molle dentro, racchiuso dalla crosta, i

crostini restano croccanti; questo metodo consente una lunga conservazione. Con il pane raffermo ci sono

tante ricette di «riutilizzazione» ancora per sottolineare quanto i ferraresi amino il loro pane, per esempio i

passatelli, il pan cotto o il «budino di pane»

Per restare in tema eccovi una gustosa ricetta tratta dal libro Cucina e folclore ferrarese.

PREPARAZIONE

150 grammi di pane grattugiato, 200 grammi di forma ggio grana grattugiato, noce

moscata , sale, 3 uova

Rompere in una terrina le uova intere, grattugiarvi sopra un po’ di noce moscata,

mettere un pizzico di sale, sbattere le uova con un a forchetta, aggiungere il pane

grattugiato ed il grana; mescolare bene amalgamando alla perfezione gli ingredienti.

A lavoro ultimato l’impasto dovrà essere sodo; se i nvece fosse riuscito troppo

morbido, unire un poco di pane grattugiato, se trop po sodo un goccio di brodo.

Con l’apposito ferro per passatelli premere sull’im pasto e uscirà una pasta a forma

di vermicelli, che si faranno cadere poi nel brodo in ebollizione. Appena la pasta

affiora alla superficie versare la minestra nella z uppiera e servirla ben calda con

formaggio grattugiato.

INGREDIENTI

Buon appetito!

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REDAZIONE:

Direttore: Scrocchio Grafica: Marco Ardondi Correttore bozze: Paola Ferrari

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