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Anno 116 DOMENICA 28 APRILE 2013 e Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di Pistoia Direzione, Redazione e Amministrazione: PISTOIA Via Puccini, 38 Tel. 0573/308372 Fax 0573/28616 e_mail: [email protected] www.settimanalelavita.it Abb. annuo e 45,00 (Sostenitore e 65,00) c/cp n. 11044518 Pistoia 17 V ita La G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,10 dal 1897 La Vita è on line clicca su www.settimanalelavita.it apa Francesco continua la sua catechesi con l’aderenza e la semplici- tà di un parroco che ri- chiama i suoi fedeli alla coerenza e scava nel loro animo per purificare la loro fede e perché il volto della chiesa risplenda sempre più luminoso, a testimonianza di quel mondo nuovo di cui essa an- nuncia e segna l’inizio nel tempo. Sol- tanto se sarà credibile, afferma con- tinuamente il Papa, essa potrà venire ascoltata e presa in considerazione dagli uomini del nostro mondo seco- larizzato. L’evangelizzazione nasce dalla coerenza della vita. Francesco sta diventando ogni giorno di più il parroco del mondo. Ascoltarlo è insie- me una gioia e un incentivo. Nella cornice solenne della basi- lica di san Paolo fuori le mura, egli ha intanto richiamato l’attenzione sul tema biblico per eccellenza degli idoli, perché, secondo le Scritture, la vera alternativa alla fede non è tanto l’ateismo quanto l’idolatria, il peccato capitale che ha seguito come un’ombra l’intero cammino del popo- lo di Dio. Quanti idoli anche l’uomo di oggi (degno continuatore dei suoi predecessori) ha eretto intorno a sé con le sue stesse mani. L’idolo della ricchezza, del successo, della cele- brità, del piacere, della sessualità, del potere e, sul piano collettivo, l’assolutizzazione di realtà come la razza, la patria, la classe, la tecnica, il progresso: tutte quante espressioni, se vogliamo, dell’idolo fondamenta- le che è l’Ego personale e collettivo. Una sfida continuata alla signoria di Dio, che rinnova l’esito tragico della prima ribellione dell’uomo all’inizio della sua storia. La conseguenza è sempre la stessa: la rovinosa caduta dal trono su cui ci si è seduti al posto di Dio. Tutte quante le crisi, qualsiasi nome gli uomini usino per designarle, partono dalle stesse premesse e por- tano alle stesse conclusioni. La Bibbia è molto severa nel giu- dizio sugli idoli e nella condanna dell’idolatria. Per essa, l’idolo è som- mamente esigente e chiama in causa l’intero potenziale dell’uomo. A lui tutto viene sacrificato: energie, atten- zione, tempo, intelligenza, volontà, senso morale, non di rado anche gli affetti più cari. La fiducia totale che in esso viene riposta è però destinata alle delusioni più cocenti, alle scon- fitte più clamorose. “Infelici coloro che, riponendo le loro speranze in ciò che è morto, chiamarono dei l’ope- ra di mani d’uomo”, afferma il libro della Sapienza (13, 10). Si cercava la felicità, alla fine ci si ritrova in mano un pugno di mosche. Gli idoli sono strutturalmente incapaci di riempire il cuore dell’uomo, in cui è stato scavato un vuoto troppo profondo per essere riempito dalle sue inconsistenti e vane costruzioni. Addirittura il Primo Te- stamento arriva a pronunciare parole di condanna, si direbbe senza pietà e senza remissione, come fa il Salmo 113 con le note affermazioni: “Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno radici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla bocca non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confi- da”. Ma forse, più che una condanna, il salmista fa una constatazione: di fatto, gli adoratori di idoli si riducono nelle stesse condizioni delle loro cre- ature, pure parvenze e vani fantasmi senza consistenza e senza vita, veri e propri cadaveri ambulanti. Un linguaggio troppo duro, una prospettiva eccessivamente tragica? La Bibbia parla dell’idolatria in senso stretto, di quella forma di religione che non pochi popoli hanno scelto nel corso della loro storia. Forse il lin- guaggio biblico può essere applicato al nostro caso soltanto in un senso analogico. I nostri idoli usuali, quelli di cui parla il Papa, non meritano del tutto una condanna così pesante. Un discorso al limite, si direbbe, eviden- temente per mettere in guardia dal pericolo mortale che gli idoli nascon- dono sempre al loro interno. Del re- sto, anche ai nostri giorni, non man- cano certo esempi di vere e proprie schiavitù generate e mantenute in vita dal culto di qualche idolo: si pen- si all’avaro, come l’ha descritto per esempio il grande Molière, al patriot- tismo distorto come l’abbiamo cono- sciuto nei decenni del nostro passato, alla ricerca della bellezza che può portare fino a una radicale distru- zione del proprio corpo, alla ricerca spasmodica della ricchezza alla quale si sacrificano anche le esigenze più fondamentali della giustizia, alla ses- sualità sfrenata che priva della stessa capacità di amare… L’elenco potreb- be ancora continuare, includendovi magari in qualche modo anche l’idolo dello sport, forse il più innocuo e meno pericoloso di tutti. Ma anche se ci riferiamo agli idoli nel senso di peccati usuali, di schia- vitù di carattere ordinario, l’invito a liberarsi dai loro lacci è ugualmente pressante e urgente. La vita spiritua- le del cristiano è in questo senso una lotta contro l’idolatria, un cammino dagli idoli morti al Dio vivente, una continua purificazione del proprio animo e della propria vita. Le realtà terrene non devono affatto essere disprezzate (come magari si pensava in un passato nemmeno lontano), ma vanno vissute con quello spirito di pa- dronanza e di distacco che troviamo bene espresso dalle preghiere post- conciliari della liturgia della chiesa. Giordano Frosini P Papa Francesco contro gli idoli di oggi DON TONINO BELLO NEL VENTESIMO DELLA SUA MORTE L’eredità di una chiesa secondo il Concilio Vaticano II PAGINA 2 SEGNI POSITIVI PER IL CAMMINO ECUMENICO Il cardinale Walter Kasper, per molto tempo a capo della segreteria del movimento ecumenico, riassume i segni di Papa Francesco in linea con le attese degli ideali delle diverse chiese PAGINA 4 UN FORTE DISCORSO DEL PRESIDENTE NAPOLITANO Un piglio deciso e giovanile quello che ha sorretto il rinnovato Presidente della Repubblica nel suo messaggio programmatico al Parlamento italiano PAGINA 13 UN RINNOVATO NO AL MERCATO SENZA REGOLE PAGINA 13 L’ONU SPUNTA LE ARMI AL TRAffICO DI MISSILI E CANNONI Primo passo delle Nazioni Unite per il controllo del commercio internazionale PAGINA 15 Il vitello d’oro che il popolo ebreo costruì e adorò nel deserto, mentre Mosè era a colloquio con Dio, rimane il simbolo di tutti i culti idolatrici che hanno punteggiato in continuità la storia dell’uomo

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Anno 116

DOMENICA28 APRILE 2013

e 1,10

Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p.D.L. 353/2003 (conv. inL. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di PistoiaDirezione, Redazionee Amministrazione:PISTOIA Via Puccini, 38Tel. 0573/308372 Fax 0573/28616e_mail: [email protected]. annuo e 45,00(Sostenitore e 65,00)c/cp n. 11044518 Pistoia

17VitaLaG I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O e 1,10

dal 1897

La Vita è on lineclicca su

www.settimanalelavita.it

apa Francesco continua la sua catechesi con l’aderenza e la semplici-tà di un parroco che ri-chiama i suoi fedeli alla coerenza e scava nel

loro animo per purificare la loro fede e perché il volto della chiesa risplenda sempre più luminoso, a testimonianza di quel mondo nuovo di cui essa an-nuncia e segna l’inizio nel tempo. Sol-tanto se sarà credibile, afferma con-tinuamente il Papa, essa potrà venire ascoltata e presa in considerazione dagli uomini del nostro mondo seco-larizzato. L’evangelizzazione nasce dalla coerenza della vita. Francesco sta diventando ogni giorno di più il parroco del mondo. Ascoltarlo è insie-me una gioia e un incentivo.

Nella cornice solenne della basi-lica di san Paolo fuori le mura, egli ha intanto richiamato l’attenzione sul tema biblico per eccellenza degli idoli, perché, secondo le Scritture, la vera alternativa alla fede non è tanto l’ateismo quanto l’idolatria, il peccato capitale che ha seguito come un’ombra l’intero cammino del popo-lo di Dio. Quanti idoli anche l’uomo di oggi (degno continuatore dei suoi predecessori) ha eretto intorno a sé con le sue stesse mani. L’idolo della ricchezza, del successo, della cele-brità, del piacere, della sessualità, del potere e, sul piano collettivo, l’assolutizzazione di realtà come la razza, la patria, la classe, la tecnica, il progresso: tutte quante espressioni, se vogliamo, dell’idolo fondamenta-le che è l’Ego personale e collettivo. Una sfida continuata alla signoria di Dio, che rinnova l’esito tragico della prima ribellione dell’uomo all’inizio della sua storia. La conseguenza è sempre la stessa: la rovinosa caduta dal trono su cui ci si è seduti al posto di Dio. Tutte quante le crisi, qualsiasi nome gli uomini usino per designarle,

partono dalle stesse premesse e por-tano alle stesse conclusioni.

La Bibbia è molto severa nel giu-dizio sugli idoli e nella condanna dell’idolatria. Per essa, l’idolo è som-mamente esigente e chiama in causa l’intero potenziale dell’uomo. A lui tutto viene sacrificato: energie, atten-zione, tempo, intelligenza, volontà, senso morale, non di rado anche gli affetti più cari. La fiducia totale che in esso viene riposta è però destinata alle delusioni più cocenti, alle scon-fitte più clamorose. “Infelici coloro che, riponendo le loro speranze in ciò che è morto, chiamarono dei l’ope-ra di mani d’uomo”, afferma il libro della Sapienza (13, 10). Si cercava la felicità, alla fine ci si ritrova in mano un pugno di mosche. Gli idoli sono strutturalmente incapaci di riempire il cuore dell’uomo, in cui è stato scavato un vuoto troppo profondo per essere riempito dalle sue inconsistenti e vane costruzioni. Addirittura il Primo Te-stamento arriva a pronunciare parole di condanna, si direbbe senza pietà e senza remissione, come fa il Salmo 113 con le note affermazioni: “Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno radici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla bocca non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confi-da”. Ma forse, più che una condanna, il salmista fa una constatazione: di fatto, gli adoratori di idoli si riducono nelle stesse condizioni delle loro cre-ature, pure parvenze e vani fantasmi senza consistenza e senza vita, veri e propri cadaveri ambulanti.

Un linguaggio troppo duro, una prospettiva eccessivamente tragica? La Bibbia parla dell’idolatria in senso stretto, di quella forma di religione

che non pochi popoli hanno scelto nel corso della loro storia. Forse il lin-guaggio biblico può essere applicato al nostro caso soltanto in un senso analogico. I nostri idoli usuali, quelli di cui parla il Papa, non meritano del tutto una condanna così pesante. Un discorso al limite, si direbbe, eviden-temente per mettere in guardia dal pericolo mortale che gli idoli nascon-dono sempre al loro interno. Del re-sto, anche ai nostri giorni, non man-cano certo esempi di vere e proprie schiavitù generate e mantenute in vita dal culto di qualche idolo: si pen-si all’avaro, come l’ha descritto per esempio il grande Molière, al patriot-tismo distorto come l’abbiamo cono-sciuto nei decenni del nostro passato, alla ricerca della bellezza che può portare fino a una radicale distru-zione del proprio corpo, alla ricerca spasmodica della ricchezza alla quale si sacrificano anche le esigenze più fondamentali della giustizia, alla ses-sualità sfrenata che priva della stessa capacità di amare… L’elenco potreb-be ancora continuare, includendovi magari in qualche modo anche l’idolo dello sport, forse il più innocuo e meno pericoloso di tutti.

Ma anche se ci riferiamo agli idoli nel senso di peccati usuali, di schia-vitù di carattere ordinario, l’invito a liberarsi dai loro lacci è ugualmente pressante e urgente. La vita spiritua-le del cristiano è in questo senso una lotta contro l’idolatria, un cammino dagli idoli morti al Dio vivente, una continua purificazione del proprio animo e della propria vita. Le realtà terrene non devono affatto essere disprezzate (come magari si pensava in un passato nemmeno lontano), ma vanno vissute con quello spirito di pa-dronanza e di distacco che troviamo bene espresso dalle preghiere post-conciliari della liturgia della chiesa.

Giordano Frosini

P

Papa Francesco contro gli idolidi oggi

DON TONINO BELLO NEL VENTESIMODELLA SUA MORTEL’eredità di una chiesa secondo il Concilio Vaticano II

PAGINA 2

SEGNI POSITIVI PER IL CAMMINOECUMENICOIl cardinale Walter Kasper, per moltotempo a capo dellasegreteria delmovimento ecumenico, riassume i segni di Papa Francesco in linea con le attese degli ideali delle diverse chiese

PAGINA 4

UN FORTE DISCORSO DEL PRESIDENTENAPOLITANOUn piglio deciso e giovanile quello che ha sorretto il rinnovato Presidente della Repubblica nel suomessaggio programmatico al Parlamento italiano

PAGINA 13

UN RINNOVATO NO AL MERCATO SENZA REGOLE

PAGINA 13

L’ONU SPUNTA LE ARMI AL TRAffICO DI MISSILI E CANNONIPrimo passo delleNazioni Uniteper il controllo del commercio internazionale

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Il vitello d’oro che il popolo ebreo costruì e adorò nel deserto, mentre Mosè era a colloquio con Dio, rimane il simbolo di tutti i culti idolatrici che hanno punteggiato in continuità la storia dell’uomo

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2 n. 17 28 Aprile 2013 LaVita

di Serena Noceti

l modello ecclesiologico è un tema-sottofondo di tutto il pensiero e l’azione di don Tonino. Parlo appositamente di “modello” come insieme

dei tratti essenziali per pensare e interpretare la “Chiesa”.

Per cogliere tale modello ec-clesiologico è essenziale riferirsi da un lato agli scrini occasionali e alle scelte pastorali compiute da don Tonino, dall’altro dare ampio rilievo al suo progetto pastorale. Il modello ecclesiologico serve non solo per descrivere o per capire la Chiesa, così come essa è oggi o come essa è nei suoi elementi portanti e “permanenti” ma serve a delineare un modello “per”, cioè un modello che ha in sé la capacità trasforma-tiva e generatrice. Un modello che permette di vivere nella logica del “frammento anticipante” il volto ul-timo di Chiesa desiderato e sognato.

Una Chiesa Che asColta

Il cuore del modello ecclesiolo-gico di don Tonino, dinamico e quali-ficato dalla storia, è nell’ecclesiologia di comunione, la stessa che tutta la Chiesa italiana degli anni Ottanta stava recuperando come proprio orizzonte complessivo. Questo aspetto del pensiero di don Tonino è stato ampiamente studiato, soprat-tutto nei suoi fondamenti trinitario ed eucaristico alla pari dell’immagine di “convivialità delle differenze” che è nome della pace e dovrebbe quindi essere anche “nome di Chiesa” oriz-zonte e sfondo è la Lumen Gentium, in un ricordo conciliare che neces-sita nuovo vigore e nuova memoria attualizzante.

Un primo elemento rilevante del suo modello del “fare e farsi chiesa”, è nella struttura del piano pastorale che ci permette di cogliere il princi-pio fondativo della Chiesa: la Parola, annunciata, celebrata, testimoniata.

È la Parola del Vangelo, la Parola del Regno di Dio, che fa nascere la “Chiesa per il regno, totalmente relativa al regno e al mondo”. È una Chiesa che parte dalla comunica-zione, intesa come valore, come strumento di crescita. Una comu-nicazione multidirezionale, non più da chi sa a chi non sa, dal vescovo al prete, al laico, ma da uno all’altro, da ognuno a tutti. È comunicazione capace di ridare a ognuno la dignità della parola, come espressione di quella dignità di cui ciascuno è se-gnato e come parola necessaria per comprendere il Vangelo e il mondo, la profezia e la poesia, la forza delle immagini, delle metafore, ma anche il racconto del bisogno, l’intuizione di ciascuno, l’ascolto continuo di tutti e la parola di parrhesia.

È comunicazione in parole pro-nunciate, in scritti offerti, in ascolto attento. È comunicazione in segni forti, parola formativa, che ha come soggetto tutti i cristiani comunicazio-ne che chiede al vescovo di parlare, ma anche - prima di ascoltare. Que-sto è perfettamente conforme alla Lumen Gentium in cui si prospetta una Chiesa profetica: è opportuno conoscere i linguaggi del mondo di

primo piano

I

RICORDO DI DON TONINO BELLO NEL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE

Fare chiesa insieme

oggi per poter meglio annunciare il Vangelo e per poterlo meglio com-prendere.

Un saCerdozio ComUne

La comunicazione della fede ha bisogno di un linguaggio nuovo, non più stantio, né “ovviamente religio-so”, ma radicalmente umano, che richiama a esperienze e a sensazioni vissute, perché sia possibile, come diceva il suo motto episcopale, che “ascoltino gli umili e si rallegrino”. A tale elemento si aggiunge la ricerca di porre “segni di Chiesa” segni del soggetto collettivo “Chiesa” profezia collettiva.

Solo un soggetto collettivo può essere segno della comunione del regno. Solo un certo modo diverso di vivere i rapporti e il potere può provocare le altre istituzioni sociali. Logica conseguenza è poi la scelta del mondo, o meglio il riconosci-mento del mondo, come luogo fatto proprio di Dio e quindi luogo della Chiesa, modello di Chiesa nella sto-ria: “La Chiesa planava dai cieli della sua disincarnata grandezza e sceglie-va di collocare definitivamente il suo domicilio sul cuore della terra” (LG).

Non posso non richiamare questo aspetto, lungamente studiato, dell’ecclesiologia di Tonino Bello, ma vorrei riaccostarmi a esso da un altro punto di vista: quello del recupero del sacerdozio comune “regale”, come sacerdozio dei fatti, della vita, dell’esistenza quotidiana, prima di ogni sacerdozio dei riti e delle liturgie, che svuota di signi-ficato qualsiasi contrapposizione religiosa tra sacro e profano. Il sa-cerdozio comune è nella “Chiesa del grembiule”, nella “stola e grembiule”: “La cosa più importante non è intro-durre il grembiule nell’armadio dei paramenti sacri, ma comprendere che stola e grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale, sono come l’altezza e la larghezza di un unico piano di servizio”. Il richiamo alla diaconia del Cristo vive di questa nuova prospettiva del Gesù-laico, sacerdote nel dono di se stesso.

La Chiesa cattolica recupera questo volto di Gesù dopo 1500 anni di oblio, in LG 10-11. Anche a tal

volti riconoscibili, di nomi, di grandi e piccole storie di ciascuno e dei gruppi sociali e umani a cui ognuno appartiene. È il volto di una Chiesa comunità, una forma di aggregazione in cui le relazioni umane sono reali, primarie, in cui si dà riconoscimento a ciascuno, possibilità di partecipazio-ne autentica; un soggetto collettivo che si può riconoscere sul piano del segno significativo di comunione e sul piano dell’azione profetica. È una Chiesa·popolo, non Chiesa d’élite, non di perfetti, non comunità-setta di rifugiati impauriti dal mondo, ma popolo che cammina nella storia, immagine della tenda che ritorna.

È la definizione preziosa di Chie-sa che il Concilio ha consegnato in LG 9: “In ogni tempo e in ogni nazio-ne è accetto a Dio chiunque lo teme e opera per la giustizia. Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santi-tà”. Essa delinea un popolo “nuovo” segnato da una missione messianica: servire la pace, la lotta per la giustizia e per i diritti che hanno segnato la vita e la prassi episcopale di Tonino Bello sono in questa logica.

Infine, il modello di “Chiesa po-vera”. Penso che sia il punto forza, il punto chiave del suo modello, quello che fa la differenza rispetto a una pur ribadita “opzione per i poveri” della Chiesa italiana. Non è una comunione qualsiasi quella ecclesiale, è comunione di un po-polo, il popolo di Dio che sceglie un modo particolare di essere nella storia: sta dalla parte dei poveri, in loro ascolto: “Si tratta di scegliere la strada battuta dagli ultimi come il luogo da dove parte la liberazione operata dal Signore”. La Chiesa si fa povera, proprio come Gesù: “Cristo da ricco si dice povero: così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria sulla terra, ma per diffondere, anche con il suo esempio, umiltà e abnegazione” (LG 8).

Sono parole dimenticate dalla Chiesa di oggi, che fa di tutto per apparire, che vuole continuamente affermare i propri diritti, che sceglie mezzi potenti, che cerca l’alleanza dei forti e non si sforza di animare processi collettivi di formazione delle coscienze al senso critico, all’impegno fedele che sa accettare le sconfitte che infliggono i potenti ai ribelli, alla responsabilità per il bene comune.

Appare il volto di una Chiesa che non sa più riconoscere nella speranza ciò che lo Spirito opera nella storia. Quella che don Tonino voleva era, invece, una Chiesa “del grembiule” che “non totalizza indici altissimi di consenso... Occorre ri-prendere la strada del servizio, che è la strada della condiscendenza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri”.

Leggendo i testi di questo vesco-vo ho avvertito nostalgia e un grande desiderio di sentire la mia Chiesa parlare ancora così e motivare gesti profetici: perché i gesti evangelici creano interruzione, generano dislo-cazione, interrompono le abitudini consolidate del religioso e ci portano nei terreni inesplorati della vita e del mondo tanto più grande.

proposito il post-Concilio rischia di sostituire questo tratto con il volto di un laicato cattolico sempre più trat-tato dalla longa manus della gerarchia, sulla base di principi indicati da papa e vescovi e di un ministero ordinato e riproposto nella linea dell’interme-diario tra Dio e il popolo” (Pastores dabo vobis, Ratzinger).

Una Chiesa poveraQuanto ai soggetti, essi sono

a un tempo soggetti individuali e collettivi: i due piani sono sempre ben presenti, connessi, correlati, non riducibili l’uno all’altro, entrambi necessari. È una Chiesa di persone concrete, plurale, “fatta” di molti

La stola e il grembiuledi don Tonino Bello

«Il Vangelo di Giovanni, per la prima messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di un panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di samisdoro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento.La cosa più importante, comunque, non è introdurre il grembiule nell’armadio dei paramenti sacri, ma comprendere che la stola e il grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio; il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo.La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile. Nel Vangelo di Giovanni c’è una triade di verbi scarni, essenziali, pregnantissimi, che basterebbero da soli a sostenere il peso di tutta la teologia del servizio, e che illustrano la complementarità della stola e del grembiule. Il tre verbi sono: “Si alzò da tavola”, “depose le vesti”, “si cinse un asciugatoio”.“Si alzò da tavola” significa che l’eucaristia non sopporta la sedentarietà. Non tollera la siesta. Ci sollecita all’azione. Se non ci si alza da tavola, l’eucaristia rimane un sacramento incompiuto.Ma significa anche un’altra cosa: che gli altri due verbi “deporre le vesti” e “cingersi i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza solo se partono dall’eucaristia. Se prima non si è stati a tavola, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo.Chi poi si alza dalla tavola dell’eucaristia, deve deporre le vesti. Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della co-munione. Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza. Le vesti del dominio, dell’arroganza, dell’egemonia, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà.Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare «la chiesa del grembiule», con quel cencio ai fianchi, quel catino nella destra e quella brocca nella sinistra.Cari fratelli, riprendiamo la strada del servizio, che è la strada della condiscen-denza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri. È una strada difficile, ma solo se avremo servito, potremo parlare e saremo creduti. Riprendiamo, allora, dal servizio: solo se avremo servito potremo parlare e saremo creduti. L’unica porta che ci introduce oggi nella casa della credibilità è la porta del servizio.Dovremmo agire proprio come Gesù. Egli parlò soltanto dopo aver servito.Altrimenti la gente non crederà alle nostre parole. Conta di più un gesto di servizio che tutte le prediche e le omelie! Se esse, infatti, non sono sorrette da un’esemplarità forte, non producono nulla.»

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328 Aprile 2013 n. 17VitaLa cultura

Friedrich Hölderlin, JorgeLuis Borges e Papa Francesco

di Mario Agnoliapa Francesco, come risulta da alcune note bio-grafiche, ha apprezzato le opere dei poeti Hölder-lin (1770 -1843) e Borges (1899-1986).Hölderlin, poeta tedesco, ritenuto portatore di un

nuovo messaggio della Poesia come fondazione del mondo nella parola e come diretta manifestazione dell’essere. Dalla raccolta “Poesie” di Höderlin tradotto da Giorgio Vigolo (Einau-di Editore -1958, si riporta La poesia «Linee della vita…» “Le linee della vita sono diverse,/Come vie sono, e come crinali dei monti./Ciò che noi siamo qui, di là potrà compierlo un dio/Con armonie e premio eterno e pace./.Borges, poeta e scrittore argentino, “uno spirito sottile, inquie-to, singolarmente attento all’accento profondo della cultura e alle inflessioni dell’intelligenza: intelligenza e cultura sentite come manifestazioni di una superiore realtà” (Francesco Ten-tori Montalto in “Paragrafi sull’ultimo Borges”).Per gli accosti a Buenos Aires, città di provenienza del Papa Francesco, questo intervento è limitato a Borges e, in partico-lare, al suo libro “ Elogio dell’ombra “(nei Tascabili Einaudi - ed. 1998). Buenos Aires è, in “Abbozzo autobiografico”, racchiusa nella poesia Llaneza (nella traduzione Montalto, come per ogni altra poesia qui ripresa in tutto o in parte).“…Non ho bisogno di parlare/ né di mentire privilegi/ bene mi conoscono quelli che mi attorniano,/bene sanno le mie ansie e le mie debolezze./Ciò è raggiungere il più alto,/quello che forse ci darà il Cielo:/non ammirazioni né vittorie/ma

semplicemente essere ammessi/come parte di una Realtà innegabile,/ come le pietre e gli alberi./”.Borges ha creduto che questa poesia “illustri abbastanza bene quello che io cercavo.”“Elogio dell’ombra” segna, come in sinossi “un momento di insuperata intensità nella vicenda poetica e umana di Borges” ed è, appunto, per questo motivo che è stata scelta per i fini suddetti.“Buenos Aires” è una poesia compresa tra le poesie di “Elogio dell’ombra”: “Che sarà Buenos Aires?/È la Piazza di Maggio alla quale tornarono, dopo aver guerreggiato nel continen-te, uomini stanchi e felici. È il dedalo crescente di luci che scorgiamo dall’aeroplano e sotto il quale sono la terrazza, il marciapiede, l’ultimo cortile, le cose quiete” E oltre, nell’ulti-mo verso, con la stessa malinconia: “Buenos Aires è l’ultima strada, quella che non ho calpestata, è il centro segreto degli isolati, dei cortili estremi, è ciò che le facciate nascondono, è il mio nemico, se ne ho uno, è la persona cui danno fastidio i miei versi (dan fastidio anche a me), è la modesta libreria nella quale forse siamo entrati e che abbiamo dimenticata, è il brano di milonga fischiato che non riconosciamo e che ci commuove, è quanto si è perduto e quanto sarà il successivo, l’altrui, ciò ch’è posto di lato, il quartiere che non è tuo né mio, quanto ignoriamo e amiamo.”.La poesia entra nel cuore dell’uomo e vi rimane anche per rendere più dolce, più bella, la vita…

P

econdo Voltaire, ri-preso da Sciascia, da un libro ne possono germinare tanti altri.

Così è accaduto per Le Can-dide. E lo stesso si potrebbe ripetere per questo Sicilia la fabbrica del mito di Matteo Collura appena uscito per Longanesi (pagg. 220 € 18).

Il libro, con i precedenti: In Sicilia e L’isola senza ponte forma una trilogia sull’odio-samata isola dall’emigrato’ Collura, e dalle moltitudini di emigrati al nord o all’estero che, fuggiti dalla Sicilia, con-tinuano a covare di lontano per tutta la vita la nostalgia del ritorno.

Ma come per Sciascia, Vit-torini, Quasimodo e Consolo e Brancati e Verga e Pirandello e Bonaviri e…i capolavori degli scrittori siciliani non sarebbero nati senza Sicilia e senza le sue contraddizioni, i suoi misteri, i suoi miti, con l’eccezione forse di Gesualdo Bufalino, il meno siciliano, let-terariamente parlando, di tutti.

Tanti i libri, quanti i capitoli (i misteri) di questo inquietan-te e coinvolgente testo, che, come gli altri suoi precedenti, della cronaca fa storia e della storia fa palpitante cronaca.

Scrittore colto e con-trollato e giornalista di razza, Collura comunica al lettore il diletto della pagina scritta, che è pari al suo evidente piacere di scriverla.

Dunque Sicilia del mito, dei miti, la terra dei misteri. Tanti, molti e di ognuno Col-lura, sa enucleare l’essenza dei fatti, indagandone i motivi che li hanno originati, la psicologia dei protagonisti, senza pre-

S Un escursus inquietantesui misteri dell’isoladi Giuseppe Cantavenere

cilia” L’interesse a conoscere quest’isola ha sempre animato artisti, scrittori di ogni tempo: Goethe, Guy De Maupassant, Dumas padre, Mario Praz. Una terra dove tutto assurge a mito. Mito è nell’iconografia popolare il brigante Salvatore Giuliano, un bracciante analfa-beta, finito, ingenuo pupo, nelle mani di esperti potenti pupari. Gli misero in testa il sogno di una Sicilia separata dall’Italia, sarebbe stata, la Sicilia, la 49° stella dell’America. Gli armarono le mani per mas-sacrare un pacifico raduno di contadini che chiedevano le terre da coltivare (la strage di Portella della Ginestra). Tragica morte l’aspettava a opera del cognato, il famigera-to Gaspare Pisciotta, ucciso a sua volta da una tazza di caffè nel carcere dell’Ucciardone. Come, parecchi anni dopo, Sindona, il bancarottiere di Messina. I misteri di Sicilia. Matteo Collura ha mano felice nell’estrarre dalla cronaca i misteri della sua terra e farne storia, ariosa narrazione.

Ippolito Nievo, il giovane garibaldino, autore de Le confessioni di un italiano, scomparso nel braccio di mare di Gaeta mentre tornava a bordo del piroscafo Ercole, dalla Sicilia portando con sé una cassa di documenti segreti che avrebbero svelato il mistero, i misteri, intorno alla spedizione dei Mille: un branco di scanarzati morti di fame, che prodigiosamente furono capaci di rovesciare il poderoso governo borbonico di Sicilia. Carte che non dove-vano arrivare a destinazione. Come non doveva arrivare

MATTEO COLLURA

“Sicilia, la fabbrica del mito”

a destinazione il petroliere Enrico Mattei. Un mistero anche la morte dello scrittore Raymond Roussel, trovato senza vita su un materasso steso a terra, all’Hotel delle Palme di Palermo; e il “Conte” di Cagliostro, al secolo Giusep-pe Balsamo, nato a Palermo nel quartiere Ballarò, “grande alchimista, guaritore, veggente, grande esempio di falsità asso-luta”, come lo definì Thomas Carlyle. E lo stravagante Prin-cipe di Palagonia, circondato da mostri di pietra nella villa di Bagheria, meta obbligata di turisti.

La funzione della donna in Sicilia. “Ovunque nel mondo la donna rimane parte integrante degli archetipi fondanti le civil-tà. Ma in Sicilia la presenza fem-minile ha qualcosa di ossessivo, un idolo di cui diffidare, tranne che per la madre.” Con ric-chezza di particolari, Collura ci racconta del precoce musi-cista Vincenzo Bellini, geniale autore de La Norma, I puritani, idolo consacrato della sua città natale, Catania, eccezionale seduttore di donne, morto a Parigi, povero e solo. Così per Antonello da Messina, cui fu attribuita fama di donnaiolo. “Quel siciliano ci sa fare” detto da Donizzetti per Bellini. Dovrà venire Brancati, che con l’ironia malinconica che caratterizza i suoi romanzi, demolirà il mito del maschio siciliano.

E la mafia, i mafiosi? Col-lura scaglia parole di fuoco contro la mala pianta, mafia e mafiosi, spogliandoli dell’alone del mito, riportando i capi

storici, Genco Russo, Proven-zano, ridotti a vivere in abituri sotterranei, come talpe, cir-condati da santini con addosso la fredda presenza della morte.

Tra i misteri della Sicilia, opportuna e emblematica, è la ricostruzione della inquietante vicenda dei monaci mafiosi di Mazzarino, francescani, che a loro discolpa dall’accusa di estortori, adducono la sinistra presenza dell’ortolano del convento, Carmelo Lo Bartolo, che, ideatore delle estorsioni, li costringeva a fare da tramite tra gli ignoti mandanti e le vit-time, benestanti e proprietari terrieri costretti a vendere i loro beni dietro minaccia di morte, puntualmente eseguita se la richiesta restava insod-disfatta.

Una clamorosa affaire ma-fiosa -giudiziaria che occupò oltre un decennio di indagini e processi, dal 1956 al 1969, conclusasi con condanne miti a carico dei frati e, a suggello di uno dei tanti misteri isolani, con la morte nel carcere di Caltanissetta del Lo Bartolo, impiccatosi con un lenzuolo legato a un chiodo ad altezza inferiore a quella del “suicida”. C’è un episodio all’interno di questa fosca vicenda, che dice del terrore, della ferocia che i pii fraticelli seminavano per convincere i malcapitati a pagare. Un uomo anziano, padre di un bambino, resisteva al ricatto. Uno dei monaci, incontrandoli, padre e figlio, si avvicina al bambino, e tenera-mente carezzandolo, fa questo complimento: “Quant’è bello! Pare vivo.”

concetti, ma restituendone la verità effettuale entro i limiti dell’imperativo manzoniano, posto a epigrafe di quest’ope-ra che sorprende non solo i siciliani.

“E se quei luoghi son quelli dove siam nati, c’è forse in tali memorie qualcosa di più aspro e pungente.”

Collura è animato nel suo lodevole lavoro di ricerca dal desiderio di comprendere, della stessa “speranza” dello scrittore Jean Louis Curier: “Voglio vedere la patria di Proserpina, e sapere perché il diavolo ha preso moglie proprio in quel paese”. Il mito di Proserpina – la greca Per-sefone- rapita da Ade, signore dell’Oltretomba. Il ratto nella mitologia, ‘a fuitina nella realtà siciliana, una pratica consueta in tempi più recenti: di due ragazzi, lei sui 16 anni, lui qualcuno in più che, osteggiati dalle famiglie, si allontanavano (fuggivano) da casa per rea-lizzare il loro sogno d’amore. Esemplare ‘a fuitina di Elio Vittorini e Rosa Quasimodo, entrambi figli di capistazione a Siracusa, lui diciannovenne, lei di 22 anni, che scavalcata la ringhiera del terrazzino che divideva le loro case, fuggirono riparando in una locanda di Siracusa.

Bastava una notte, e sem-pre seguiva il matrimonio riparatore. Beninteso tra veri innamorati. Ma se la ragazza era dissenziente, lo scopo

veniva raggiunto mediante la violenza, lo stupro, ché col matrimonio riparatore il reato non era punibile. L’assurda e primordiale supremazia del maschio sulla femmina cessò finalmente con la L. n.66/96, che considera il reato di vio-lenza sessuale non più di ca-rattere morale ma personale: la donna non più oggetto ma soggetto.

Un caso tra tutti, che meri-ta di passare alla storia: Franca Viola, una ragazza di 16 anni di Alcamo, rapita da dodici sgherri del suo spasimante, Filippo Melodia, e da questi stuprata; una vera eroina che ebbe il coraggio di spezzare questa barbara pratica mafiosa rifiutando il matrimonio ripa-ratore e facendo condannare il suo turpe stupratore.

E quattro secoli prima, in Lombardia, la storia rac-contata dal Manzoni, di Lucia Mondella e Renzo Tramaglino, il cui matrimonio è osteggiato dalle minacce del signorotto Don Rodrigo. Non è anche questa una storia di sopruso, di mafia? Dal ‘600 ad oggi. Una donna pakistana, Mukthar Mai, stuprata da una banda di tredici uomini, prosciolti dalla Corte Suprema di Islamabad, che anziché suicidarsi secon-do il barbaro costume del suo paese, continua a vivere lasciata sola come un’appe-stata. “La Sicilia metafora del mondo. Non si può capire l’Italia, se non si conosce la Si-

Le parole dei poetiIl mattino respirafra le foglie.Sorride il silenzioMarciapiedi tiepidi di primavera.Steli di ventofioriscono.Cori di profumate viole.Le parole dei poeti,il vento debole del tempole trascina nei campidella vita.Si apre la zolla generosa,germoglieranno un giornoe crescerà gioia per il cuoree preghiera al Signore. Lalla Calderoni

Poeti Contemporanei

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4 n. 17 28 Aprile 2013 LaVitaattualità ecclesiale

n solo mese di pontificato. Eppure Papa Francesco in questi primi giorni ha saputo costellare il suo

agire di significativi “segni ecumeni-ci” che “fanno sperare”. È il giudizio, sicuramente ponderato, del cardinale Walter Kasper, che al dialogo ecu-menico ha dedicato anni della sua vita prendendo nel 2001 la guida del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e tenendo le redini vaticane del dialogo per 9 anni, fino al 2010 quando per motivi di età ha lasciato il testimone al cardinale svizzero Kurt Koch. Il suo nome, poi, ha fatto recentemente il “giro del mondo”, perché nel suo primo Angelus, Papa Francesco lo ha citato per il suo libro sulla misericordia. Dunque i gesti ecumenici del Papa visti dal cardinale del dialogo: da quel suo primo pre-sentarsi al popolo di Dio come “ve-scovo di Roma” alla scelta del nome Francesco, il santo del dialogo. Venuto a Roma per incontrare il Papa, anche il presidente della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), il pastore e teo-logo Nikolaus Schneider, ha confidato ai giornalisti di essere rimasto colpito dalle parole con cui il Pontefice si è presentato sulla loggia delle benedi-zioni, definendosi “vescovo di Roma”. “Rivelano – ha detto - come da su-bito il Papa abbia messo in secondo piano l’imponenza del suo ministero sottolineando la dimensione di ser-vizio che svolge il ruolo: a servizio degli altri, a servizio degli uomini”. È poi di pochi giorni fa, la decisione di nominare una rosa di cardinali (scelti anche per provenienza geografica) con il compito di “consigliarlo” nel governo della Chiesa e “studiare” la riforma della Curia. Un atto che va sotto il segno della collegialità, altro tema particolarmente caro al dialogo con le Chiese. Ne parliamo con il cardinale Walter Kasper.

Quanto è importante la definizione del ministero petrino come “vescovo di Roma” per il dialogo ecu-menico?

“Il titolo di ‘vescovo di Roma’ è, fra tutti i titoli del Papa, quello teologicamente fondamentale. Da

RITRATTO DI VESCOVO

Soffia in Franciail “vento” di FrancescoRicostruiamo il profilo ecclesiale e personale del nuovo presidente dei vescovi

francesi, monsignor Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia.“Il nostro ruolo di cristiani è quello di uscire dai rapporti di forza e promuovere

una cultura in cui le divergenze sono vissute nel dialogo e soprattuttoper il bene di tutti”. E ancora: “Non possiamo annunciare

il Vangelo senza farci prossimi dei più piccoli, dei più poveri”.di Maria Chiara Biagioni

omo del dialogo, della mediazione, dell’impegno a favore delle persone più svantaggiate, in nome

e in difesa della loro umanità. Mon-signor Georges Pontier, arcivesco-vo di Marsiglia, è il nuovo presiden-te dei vescovi francesi. Prenderà il testimone lasciato dal cardinale André Vingt-Trois il 1 luglio. A sce-glierlo sono stati i vescovi di Fran-cia riuniti dal 16 al 18 aprile in as-semblea plenaria. La sua presidenza cade in momento estremamente delicato per la Francia scossa su più fronti: dal dibattito sul “mariage pour tous” che sta profondamen-te dividendo la società civile alla recessione economica che si sta abbattendo anche in questo paese, con aziende costrette a chiudere o a ridimensionare i posti di lavoro, ed un tasso di disoccupazione che da mesi aumenta. Più volte anche il ministro dell’Interno Manuel Valls ha parlato di una radicalizza-zione dei movimenti di protesta, soprattutto dell’estrema destra. E nel chiudere l’assemblea plenaria anche il cardinale parigino Vingt-Trois nel suo ultimo discorso presidenziale ha invitato i cristiani di Francia ad adoperarsi per la co-esione sociale.

Uomo del dialogo e della mediazione“Far rivivere nella vita repubblicana la parola fraternità”. Mons. Pontier si presenta con questa parola. Se-gno di un uomo che si lascia inter-rogare dalle sfide del Paese perché – dice – “la Chiesa ha un messag-gio di speranza e di saggezza, di difesa della dignità dell’uomo”. E la Francia, come del resto anche l’Eu-ropa, ha bisogno di uomini capaci di costruire ponti, di mediare tra posizioni diverse. “Non può esiste-re una società monocolore e non possiamo essere unanimi su tutte

U

le questioni, ma nello stesso tempo è impensabile credere che non sia possibile dialogare o che restiamo prigionieri in conflitti ideologici, incapaci di ricercare il meglio per la Nazione, e il meglio per le persone. Il nostro ruolo di cristiani è dun-que quello di uscire dai rapporti di forza e promuovere una cultura in cui le divergenze sono vissute nel dialogo e soprattutto per il bene di tutti”.

le periferieL’onda lunga di Papa Francesco sembra essere arrivato come un vento di novità anche qui in Fran-cia. E il suo invito ad uscire da se stessi per andare verso le periferie anche esistenziali dove vivono le persone, è stato accolto “con grande gioia”. Mons. Pontier parla subito della città di cui è vescovo: Marsiglia. Qui le periferie non si trovano all’esterno della zona ur-bana, ma all’interno della città, con quartieri molto diversi tra loro. “Le difficoltà maggiori – aggiunge - sono quelle legate alla disoccupa-zione, alla mancanza di lavoro, alle difficoltà per la casa e l’educazione dei figli, e quindi tutti fattori che mettono a dura prova e in crisi la famiglia”. Marsiglia –fa notare l’ar-

civescovo– ha una lunga tradizione di cattolicesimo sociale che si è sviluppato molto attivamente nel XX secolo. Nella sua lettera pa-storale scritta per la Pasqua 2011, mons. Pontier scriveva alla sua diocesi: “Non possiamo annunciare il Vangelo senza farci prossimi dei più piccoli, dei più poveri”. E la storia della Chiesa di Marsiglia è ricca di esempi di prossimità. Tra le tante iniziative, il vescovo parla del centro di accoglienza gestito dai Frére Saint Jean de Dieu che ogni notte accoglie e dà da mangiare a 300/500 persone. Uomini e donne che le difficoltà della vita hanno gettato in mezzo ad una strada. Altro fronte di impegno “molto forte” – dice mons. Pontier – è quello per la popolazione Rom. Quella minoranza etnica tra le più discriminate in Europa. “Da noi a Marsiglia –racconta il vescovo- si contano tra i 2 e 3 mila rom”. L’im-pegno si concretizza nella chiesa di Saint-Pierre che ha accolto e sta accompagnando un gruppo di queste famiglie, nonostante la gente si opponga a questo tipo di solidarietà. Il vescovo ha allora più volte affermato che la Chiesa ha a cuore “la sorte di queste persone, migranti tra noi” invocando per

loro soluzioni “ragionevoli” e so-prattutto “umane”.

“le parvis des gentils”Ma le periferie di mons. Pontier sono anche quelle culturali, quelle abitate da uomini e donne di pen-siero lontane dalla Chiesa cattolica. In collaborazione con il Pontificio Consiglio per la cultura, si svol-gerà a Marsiglia – capitale della cultura europea 2013 – il Cortile dei Gentili dal 6 al 9 giugno. Un appuntamento fissato per mettere in dialogo Chiesa e società, intellet-tuali cristiani e non sul tema “Uma-nismo e religioni”. L’appuntamento futuro? Sicuramente – risponde l’arcivescovo di Marsiglia - l’incon-tro in programma a Lourdes dal 9 all’11 maggio dal titolo “Diaconia 2013: serviamo la fraternità. Vivere una Chiesa con i poveri”. Sono attese 10mila persone da tutto il Paese di cui 2.500 in situazione di precarietà. “Un momento di pre-ghiera e fraternità con le persone svantaggiate dalla situazione di cri-si”. Un gesto di prossimità da parte di una Chiesa che nel rispondere all’invito di Papa Francesco “esce da se stessa per andare nelle pe-riferie”.

U

Parla il cardinale Walter Kasper sulle

prospettivedel dialogo: “Con il titolo di vescovo di

Roma, PapaFrancesco ha posto

un fondamentocondiviso, da cuipossiamo partire

nei dialoghi”.In particolare con

gli ortodossie i luterani.

E ancora: la scelta del nome Francesco “implica la rinuncia a tutto ciò che puòassimilare a una corte imperiale”

di Maria Chiara Biagioni

PRIMO MESE DI PONTIFICATO

“Segni ecumeniciche fanno sperare”

vescovo di Roma il Papa è succes-sore di Pietro e come tale pastore universale della Chiesa. Soprattutto per gli ortodossi tale titolo è impor-tante. Perché s’innesta nella comune tradizione dell’Est e dell’Ovest che, secondo Ignazio di Antiochia (secon-do secolo), citato da Papa Francesco quando si è affacciato sulla Loggia, vede la Chiesa di Roma presiedere nell’agape (amore). Anche per i luterani il titolo ‘vescovo di Roma’ va bene. Martin Lutero cita e rico-nosce questo titolo negli ‘Articoli di Schmalkalden’ (1537), che del resto sono molto polemici. Così esiste almeno un fondamento condiviso, da cui possiamo partire nei dialoghi”.

La scelta del nome Fran-cesco è piaciuta al mondo intero. Come è stata recepita in ambito ecumenico? E quale indicazione dà al dialogo?

“L’eco all’elezione di Papa Fran-cesco è stata molto positiva sia in ambito ortodosso sia in quello pro-

direzione di una maggiore collegialità?

“Oggi l’epoca dell’eurocentri-smo è definitivamente passata. Però il nostro mondo globalizzato e in rapidissimi cambiamenti è molto complesso. Così il Papa per il suo governo ha bisogno di consultori autorevoli di tutti i continenti con le sue culture molto diversificate. Bisogna adesso realizzare più espres-samente l’idea della collegialità e dell’unità nella molteplicità, come l’ha espressa il Concilio Vaticano II”.

Tra la gente, in questi giorni, si respira una ritrova-ta “amicizia” con la Chiesa, un entusiasmo nuovo che non si vedeva forse dagli anni del Concilio. Lei è d’accordo con questa visione di speran-za per la Chiesa di oggi?

“Decisamente sì. Ho sperimen-tato il Conclave come un evento profondamente spirituale; c’era la sensazione di uno soffio dello Spi-rito Santo, che adesso si è allargato al popolo di Dio. C’è una visione di speranza per la Chiesa. D’altra parte non siamo ingenui. Il Vangelo incontrerà sempre opposizione e così - ne sono sicuro - anche questo Papa sarà ben presto bersaglio di attacchi. Perciò il Papa ha bisogno del sostegno e delle preghiere di tutte le persone di buona volontà”.

testante. Il nome Francesco esprime tutt’un programma. Evoca, cioè, il ritorno al Vangelo e la prospettiva di ricominciare dal Vangelo di Cristo, come hanno voluto san Francesco e sant’Ignazio di Loyola e, in un altro modo, anche Lutero. Ciò implica la rinuncia a tutto ciò che può assimi-lare a una corte imperiale, come ha indicato Papa Francesco dal primo momento del suo pontificato. Sicuro, finora sono solo segni, ma segni che

ci fanno sperare”.

I cardinali sono andati a “prendere il Papa alla fine del mondo”. E tra i primi atti, Francesco ha nominato un gruppo ristretto di otto car-dinali dei cinque continenti, per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e per la ri-forma della Curia. Ritiene che sia un gesto che vada nella

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528 Aprile 2013 n. 17VitaLa

a carità come banco principale di prova del cristiano è una tematica che ricorre spesso nella liturgia, ma questo avviene con ancor maggior

frequenza, ovviamente, nel tempo pasquale.Esso è infatti espressamente dedicato alla cele-brazione del dono totale, ben raffigurato nell’im-molazione dell’agnello pasquale, che Cristo fa di sé indistintamente per tutti gli uomini e che da lui viene proposto come il modo non soltanto ideale, ma unico possibile di rapportaci con tutti gli altri esseri umani che dobbiamo considerare fratelli: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (lettura evangelica, Gv 13,34). Quanto alla misura, Gesù non lascia spazio al calcolo. Seguitando il suo discorso, infatti, Gesù poco dopo non soltanto ribadisce lo stesso concetto: «Questo è il mio comanda-mento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi», ma stabilisce la misura dell’amore con il sancire che la misura giusta è l’assenza di ogni misura: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15, 12-13). Gesù non parlava soltanto del dono totale di sé che si accingeva a fare, ma, al tempo stesso, proponeva la stessa regola, senza sconti, ai suoi apostoli e a tutti quelli che, attraverso loro, lo avrebbero accettato come maestro e guida. È esattamente per questo che la colletta propria dell’anno C ci fa pregare: «Fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita

il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami». Nel dire questa preghie-ra, dovremmo renderci conto della radicalità di ciò che stiamo chiedendo: assumere come “sta-tuto della nostra vita” una disponibilità senza alcun tipo di riserva nei confronti dei nostri fra-telli, esattamente come ha fatto Gesù. Pregando così, cioè, chiediamo di essere pronti a dare per loro la nostra vita. Tanti santi lo hanno fatto, come per esempio Massimiliano Kolbe, che, “im-provvisando”, si offre per morire al posto di un suo compagno di prigionia perché questi possa continuare a vivere con la speranza di rivedere moglie e figli, ma prima ancora, perché convinto e condizionato nella sua scelta dall’insegnamen-to e dall’esempio di Gesù.La stessa colletta aggiunge una seconda consi-derazione, strettamente connessa alla prima: «E così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito». Questo non significa ricerca di gesti spettacolari, ma piuttosto convinzione che vale, in questo caso, il principio dei vasi comu-nicanti: tutte le volte che viviamo l’amore per Dio con la riprova dell’amore verso il prossimo, aumenta nella Chiesa il capitale di grazia, an-che se nessuno apparentemente se ne accorge, mentre quando siamo infedeli, anche se di nascosto, questo capitale diminuisce. In altre

parole, io non posso mai dire: “Che io viva in un modo o in un altro, sono fatti miei e agli altri non deve interessare”, perché ogni mia scelta è destinata ad avere un influsso o positivo o nega-tivo su tutti i miei fratelli, o, restando all’esempio dei vasi comunicanti, a fare innalzare o abbas-sare il livello di grazia nella Chiesa.Che l’efficacia dei nostri gesti non dipenda dalla loro visibilità, è Gesù stesso che lo afferma: «Mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vo-stro che è nei cieli. Dunque, […] mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,1-4).Questa ricompensa non consiste solo nel pre-mio personale della beatitudine eterna, ma anche nella forza di trascinamento nei confronti dei fratelli, magari ignorata da chi la esercita. Spesso la Chiesa, nello scegliere i suoi santi, ha messo in evidenza l’efficacia straordinaria dell’azione di chi ha vissuto la legge dell’amore senza cercare pubblicità. Due esempi per tutti: il peruviano Martín de Porres e la francese Teresa

di Gesù Bambino. Martín de Porres (1579-1639), volendo entrare nel convento dei do-menicani di Lima, viene accolto sì, ma, essendo mulatto, in un primo tempo solo come terziario e non come religioso con i voti, con compiti per-lopiù di inserviente e spazzino. Ne è contento e ama mostrarsi brandendo una scopa (verrà chiamato el santo de la escoba) e, quando lo irridono perché mulatto, vedendo malconce le finanze del convento, propone seriamente ai superiori: «Vendete me come schiavo». Mai si sarebbe immaginato che nel 1962 Giovanni XXIII lo avrebbe proclamato santo e che lo avrebbe additato a tutta la chiesa come mo-dello importante di servizio nella carità. Teresa di Gesù Bambino (1873-1897) mai si sarebbe aspettata di venir proclamata patrona delle missioni senza aver fatto mai fatto la missiona-ria, ma grazie, invece, alla sua vita trascorsa nel segno dell’amore all’interno del suo monastero di Lisieux. Dio stesso, cioè, mette sul candelabro coloro che, senza porsi problemi di visibilità, anzi sicuri di non essere notati da alcuno, vivono l’imitazione di Cristo servo di tutti per amore.Purtroppo è vero anche il contrario: un cristiano che non vive la carità, primo ed insostituibile banco di prova del suo essere cristiano, non danneggia solo se stesso, ma tutta la Chiesa e la sua opera di evangelizzazione, facendo ripe-tere a chissà quanti, con ragione in questo caso, la celebre frase di Gandhi: «I like Christ, but not Christians (mi piace Cristo, ma non mi piacciono i cristiani)».

Don Umberto Pineschi

La Parola e le paroleV Domenica Di Pasqua - anno cAt 14, 21-27; Sal 144; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33. 34-35

attualità ecclesiale

L

laici come “cartina al tornasole” della qualità della fede e della capacità del cristianesimo di avere a che fare con l’uomo di oggi. Ne ha parlato il Papa, che

in una delle ormai abituali Messe mattutine a Casa Santa Marta ha pronunciato un secco “no” a una Chiesa “baby sitter”, che “cura il bambino per farlo addormentare”, esortando i fedeli laici a riscoprire la forza del loro battesimo per an-nunciare il Vangelo nella società. Nella Messa di oggi, Papa Francesco ha denunciato il pericolo di un “Dio spray”, che “è un po’ dappertutto e non si sa cosa sia”. Ne abbiamo parlato con la sociologa Giulia Paola Di Nicola, condirettrice della rivista “Prospettiva persona”.

I laici hanno “una grande respon-sabilità”, ha detto il Papa: “Annuncia-re Cristo, portare avanti la Chiesa”. È un invito al protagonismo?

“Certo, ma non nel senso di ambire a posti di potere, in un senso molto più sostanziale. I laici sono quelli che annunciano Cristo nella realtà, testimoniandola: una realtà viva, non inserita in una struttura. Il magistero dei sa-cerdoti corre sempre il rischio di trasformarsi in una struttura, di esserne appesantito, è una legge sociologica nota a tutti. Già Hegel, ne ‘Lo spirito del cristianesimo e il suo desti-no’, parlava del cristianesimo come di una speranza meravigliosa e sublime, che quando poi si allarga all’esterno diventa una struttura.

Mentre chi è dentro questa struttura deve combattere per organizzarla, o all’occorrenza per difenderla gerarchicamente, i laici sono liberi nel loro compito di portare Gesù vivo nella storia, non solo il Gesù sacramentale. È questa la vita per cui cammina la Chiesa: grazie ai testimoni, in gran parte laici. Se i preti, infatti, in teoria possono svolgere un ‘ruolo’ anche senza essere testimoni, per la grazia di stato che agisce in loro, noi laici abbiamo una sola forma di testimonianza possibile: quella verifica-ta dalla vita, messa alla prova dalle circostanze dell’esperienza quotidiana. O Cristo vive in noi, o non portiamo niente”.

La radicalità della fede esige il co-raggio: come quello, ricorda il Papa, dei cristiani perseguitati, che hanno lasciato le loro case, portando con sé poche cose, eppure hanno saputo fare miracoli...

“È così che la Chiesa ha camminato: i do-dici apostoli si presentavano come laici. Gesù è un sacerdote perché è la dottrina che ce lo presenta così, ma ‘conquista’ perché si presenta da laico, perché era un laico: il fatto che fosse figlio di Dio veniva fuori dalle opere, dalla testimonianza, da ciò che lui era realmente. Da una parte, la testimonianza del laico può sembrare la più debole, ma dall’altra ci si abitua a giocare la carta della vita vera: o sei, o non sei. Dov’è che incontriamo Cristo? Dove qualcu-no si comporta in un certo modo, è sollecito verso l’altro, non sta dietro solo alla carriera: è lì, nella ferialità dei nostri luoghi quotidiani, che uno vede cosa è il cristianesimo, e la te-stimonianza del laico è ancora più importante oggi, in un tempo in cui i peccati della Chiesa - basti pensare alla pedofilia - si sono resi più evidenti. È sulla vicinanza, sulla prossimità che si gioca la testimonianza e il futuro stesso del cristianesimo”.

Non è proprio la Chiesa “baby sitter”, invece, che la maggior parte dei fedeli laici cerca?

“Fare il laico è rischioso: talvolta il pericolo è rimanere soli, anche rispetto alla Chiesa, nessuno ti difende. Penso, ad esempio, alla mia esperienza in università. Il laico risponde in prima persona rispetto alle numerosissime scelte che la vita gli impone: nessuno ti fa da garante, la vita è un mare aperto, se va male le paghi tutte, senza sconti. A volte vorremmo un appoggio, e questo appoggio non c’è. Nelle nostre comunità ecclesiali, inoltre, molti laici aspettano la bacchetta del direttore: non si muovono se prima non interviene il parroco. È anche vero che, se si comportano così, è perché sono stati educati in questo modo. Ma il cristianesimo è la religione dell’amore, e soprattutto i laici devono avere uno sguardo diverso sulle cose: ad esempio, devono essere capaci di credere, in un tempo di crisi, che problemi come quello della povertà possono essere risolti non solo da chi sa far quadrare i conti - pur necessario - ma dalla potenza di un Gesù che moltiplica i pani e i pesci”.

Se i laici riscoprono la forza del loro battesimo, “la Chiesa diventa una madre che genera figli”. Cosa ne pensa di questa espressione?

“È senza dubbio un’affermazione opportu-na, a patto però che non si traduca nel ‘ghet-tizzare’ la donna. Il Papa, da parte sua, è molto chiaro: la maternità - intesa come potenza gene-rativa propria di chiunque agisce, e dunque non solo come appannaggio del genere femminile - è l’essenza del cristianesimo, in quanto legato alla sua natura trinitaria. L’atteggiamento generativo è anzitutto di Cristo, che dalla Croce ha gene-rato la Chiesa, e poi dell’essere umano che in quanto tale è un essere relazionale: ciascuno di noi fa esistere l’altro, lo fa crescere. In questa prospettiva, la maternità è un paradigma, un

Credere nella forza del proprio battesimo vuol

dire anche fare “miracoli”, nella ferialità

del quotidiano.La sociologa Giulia

Paola Di Nicola:“Noi laici abbiamouna sola forma di

testimonianza possibile: quella verificata

dalla vita”di M. Michela Nicolais

codice etico, umano ed ecclesiale estensibile a tutti, benché inscritto dal punto di vista fisico nel corpo della donna”.

“Dio non è uno spray”, ha am-monito oggi Papa Francesco, Dio è “persona”. Come contrastare questa tendenza, molto diffusa, a una sorta di “evanescenza”?

“Prendendo coscienza della vera natura della persona, che è ‘essere in relazione’ solo se non punta a sfruttare l’altro, ma a farlo esistere per farlo essere se stesso e, in questo modo, restituirci qualcosa di sé, arricchirci con la propria umanità, in un’ottica di reciprocità. Se penso al paradigma del laico, mi vengono in mente Maria ed Elisabetta: due donne che sperimentano che Gesù è tra di loro, perché viene generato e fa sussultare il grembo dell’altra persona. Due laici, quando la Chiesa non è stata ancora istituita, due persone che ricevono un nuovo spunto dal fatto che Gesù è tra di loro. Se riusciamo a fare questo tra le persone, educandole a far esistere Gesù fra di noi, possiamo dire che realizziamo la nostra vocazione di laici”.

I

IL PAPA E I LAICI

Giocare la cartadella vita vera

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6 n. 17 28 Aprile 2013 LaVita

n occasione della 50ª Gior-nata mondiale di preghiera per le vocazioni, che ha per tema “Le vocazioni segno

della speranza fondata sulla fede”, stamattina Papa Francesco ha ordina-to 10 sacerdoti, nella messa celebrata nella basilica di San Pietro. Alle 12, il Pontefice ha recitato il Regina Cæli con i fedeli a piazza San Pietro.

I

Ecco l’invito rivolto da Papa Francesco ai tanti giovani pre-senti in piazza San Pietro per il Regi-na Caeli. E loro gli hanno risposto in

coro. Nella basilica, durante la messa, ha ordinato dieci sacerdoti romani. Dietro e prima di

ogni vocazione al sa-cerdozio o alla vita consacrata - ha pre-cisato - “c’è sempre la preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una ma-dre, di un padre, di

una comunità...”

GIORNATA MONDIALE DELLE VOCAZIONI

“Mettete in gioco la vostra giovinezza”

pastori, non fUnzionari

Il Santo Padre, nell’omelia, ha invitato a riflettere “attentamente” a “quale ministero saranno elevati nella Chiesa” questi “nostri fratelli e figli” che “sono stati chiamati all’ordine del presbiterato”. In par-ticolare, il Signore sceglie alcuni tra i suoi discepoli perché “esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini” continuino “la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore”. Rivolgendosi agli ordinandi, Francesco ha detto: “Dispensate a tutti quella Parola di Dio che voi stessi avete ricevuto con gioia. Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede… il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore, per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato”. Il Papa, poi, ha ammonito: “La Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio”. Sia, dunque, “nutrimento al Po-polo di Dio la vostra dottrina; gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo

o alla vita consacrata, ha aggiunto, “c’è sempre la preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una madre, di un padre, di una comunità…”. Dunque, “le vocazioni nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frut-to”. Ai fedeli che lo acclamavano, ha detto: “Grazie tante per il saluto, ma anche salutate Gesù, gridate Gesù, Gesù forte”.

della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edificate la casa di Dio, che è la Chiesa”. Il Pontefice ha ricor-dato: “Con il battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il sacramento della penitenza rimette-rete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericor-diosi. Con l’olio santo darete sollievo agli infermi e anche agli anziani: non abbiate vergogna di avere tenerezza con gli anziani”. Ancora un invito agli ordinandi: “Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costitu-iti in loro favore per attendere alle cose di Dio esercitate in letizia e in carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete pastori, non funzionari! Siete mediatori, non intermediari!”. Infine, il Santo Padre ha invitato ad avere “sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire e per cercare di sal-vare ciò che era perduto”.

Una voCe UniCa Al Regina Cæli Francesco ha

osservato che nel “Vangelo del Buon Pastore” c’è “tutto il messaggio di Gesù”, che “vuole stabilire con i suoi

amici una relazione che sia il riflesso di quella che Lui stesso ha con il Padre: una relazione di reciproca appartenenza nella fiducia piena, nell’intima comunione”. Per espri-mere “questo rapporto di amicizia” Gesù usa “l’immagine del pastore con le sue pecore: lui le chiama ed esse riconoscono la sua voce, rispondono al suo richiamo e lo seguono”. In realtà, “la voce di Gesù è unica! Se impariamo a distinguerla, Egli ci guida sulla via della vita, una via che oltrepassa anche l’abisso della morte”. A proposito delle vocazio-ni, rivolgendosi ai giovani presenti in piazza, ha in-staurato un dialogo con loro chiedendo: “Qual-che volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invita-va a seguirlo più da vici-no? Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per grandi ideali. Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso!”. Dietro e prima di ogni vocazione al sacerdozio

L’ultimo “Maritain”

Giovedì 11 aprile in seminario è stata presentata una serata con il titolo “Buddismo e cristianesimo: è possibile un’intesa?”.

Si può pensare solo ad una pos-sibile limitata intesa, restringendo il concetto riguardo al temo ed al fine. La religione cristiana cerca Dio ed il bene soprannaturale. Il Buddismo solo la felicità naturale, la beatitudine naturale “Nirvana”, perché anche inteso come ingresso della vita in una dimensione totalmente differente è sempre felicità naturale. Il Buddismo non è una religione perché tutto quello che insegna è frutto di ricerca con la semplice intelligenza umana.

Il Buddismo insegna la verità della vita e la pratica per raggiungere la fe-licità naturale, la beatitudine naturale poggiandosi sulla ragione.

Il Buddismo non è una religione , ma accettato come filosofia di vita, come induismo e confucianesimo.

Il fine principale ultimo sopran-naturale del cristianesimo limita e determina la possibilità di una intesa col Buddismo.

Non si può fare a meno di man-dare i missionari in oriente. Forse il relatore don Luciano, missionario per venti anni in Giappone, è venuto via per fondare una associazione “Van-gelo e zen”, avrà notato la differenza. Il missionario che ho incontrato a Tokyo all’aereoporto nel 1985, mi ha parlato delle difficoltà delle missioni con i buddisti e gli altri movimenti.

Il cartoncino di invito parlava di esperienze. Voglio ricordare la mia esperienza. Di quello che ho veduto

in occidente (le nostre chiese), anche in alcuni paesi in Africa, anche nella stessa India nel Kerala, alle missioni e nei templi Buddisti e Induisti. Quello che ho veduto in Cina, Nepal e altro-ve, da noi la religione si esprime in atti di comunità partecipata (messe, processioni, sacramenti) tutte azioni festose, comuni; mi piace la messa vista in Africa, dove si porta il vangelo processionando e tutti cantano, fanno danza di gioia, la messa dura delle ore. A Campala (Uganda) tre ore per l’ordinazione dei preti. Mi piace meno il tempo della Moschea dove si entra, si tolgono le scarpe perché ci sono i tappeti e tutti distesi per terra si ascolta il canto del Muezzin, in silenzio.

Nei paesi citati sopra si va sin-golarmente, c’è silenzio, si bruciano bastoncini di incenso, non ho visto momenti di comunità. Si passa davanti alla statua di Budda, si bruciano i ba-stoncini di incenso, si toccano i piccoli tamburi (ruota della vita) con i Veda, e vai avanti. In un tempio in India, a Jaipur, fatto come un lungo corridoio, si entra e cammini passando davanti a cinquanta figure di Budda e silenzio.

Questa diversità è dovuta all’in-dole dei popoli, alla storia, alla geogra-fia, o anche al percorso del momento religioso?

Come si può concludere nel gior-nale della Vita “Morale della serata: si può essere buddisti e cristiani? Conclusione poco raccomandabile.

Leonardo Giacomelli

Riflessioni sulle linee pastorali di papa Francesco

Nelle ultime affermazioni di papa Francesco si parla di una chiesa pove-ra per i poveri. Bisogna però sempre valutare realmente cosa si intende per povertà, così come bisogna sempre specificare cosa si intende quando si parla di testimoniare Cristo crocifisso (mentre è indiscutibile il concetto di custodire il Creato e le persone).

Per quanto riguarda il concetto di povertà bisogna chiarire che esiste una povertà “fine a se stessa”, definita dalla mancanza dei beni materiali per la sopravvivenza (lavoro, salute, previdenza, cultura, casa, denaro per soddisfare i bisogni primari delle persone, della famiglia e della prole). La mancanza di questi beni richia-ma ad un disvalore, poiché annulla la dignità umana. Il vangelo infatti dice: “beati i poveri in spirito”; cioè sottolinea l’importanza del distacco affettivo dai beni materiali, che non vanno considerati come feticci e fini, ma utilizzati per conseguire il bene comune dei propri fratelli. Si veda, in tal senso, l’episodio della conversione di Zaccheo e quello del giovane ricco: “vai, vendi i tuoi beni e dalli ai poveri, poi vieni e seguimi”.

Altra considerazione riguarda la sede del Vaticano, dove risiedono il Papa e il suo entourage/governo della chiesa cattolica universale: il Vaticano anche uno Stato civile, con tutti i risvolti annessi e connessi, di oneri e bisogni economici per soddisfare le necessità della comunità, per le mis-sioni ad gentes, per il personale civile e religioso etc. Non a caso c’è anche l’obbligo, per ogni fedele cattolico per sostenere economicamente la propria chiesa.

Oltre alle considerazioni sulla “povertà materiale”, occorre parlare della lotta verso le altre dimensioni della povertà: morale, spirituale, civile, culturale (e penso che il Papa volesse alludere a questi aspetti, altrimenti, prendendolo alla lettera, si cade in una sorta di pauperismo demagogico).

Infine, riguardo alla testimonianza di Gesù crocifisso e della croce per-sonale, vanno fatte ulteriori distinzio-ni di merito. La croce come sacrificio supremo e redentivo di Cristo ha un valore ontologico e antropologico in-discutibile, ma questo non “autorizza” a dire a coloro che sono disoccupati, sfrattati, malati, o privi di coperture previdenziali od economiche e cado-no perciò in depressione, che chi più soffre più meriti ha per il paradiso… mentre Papa Francesco esorta ad essere sereni, non facendosi rubare la speranza.

Concludendo, si può affermare che la croce non va subita, ma fintanto che si può va combattuto il male con

tutte le nostre facoltà.Come Gesù ci insegna nelle bea-

titudini e nelle opere di misericordia, se vogliamo raggiungere il premio eterno, solo quando non c’è più speranza di lotta va offerta la nostra immolazione/rassegnazione.

A me sembra che queste consi-derazioni sull’insegnamento di Papa Francesco dovessero essere fatte, anche per adempiere al programma pastorale che lui ci ha indicato e cioè: camminare, custodire, costruire, con-fessare, edificare il Regno e visitare le periferie dei più poveri, con tenerezza, carità e misericordia.

Mauro Manetti

La storia del chewingum

Carlo direttore, gli antichi greci ed i Maya dell’America centrale fu-rono i primi masticatori di gomma, ma… non era chewing-gum! La “cicca”, la “dubble bubble” che per-mette di “fare le bolle” ai masticatori contemporanei, compie ora 85 anni. Ancora prima, nel 1869-71 era stata brevettata una miscela di caucciù zucchero e aromi. Il chewing-gum fu prodotto nel 1928 a Philadelphia, gradevole al gusto e morbido. Nel tempo la “gomma americana” è diffusa con più gusti: dalla liquirizia alla cannella, dalle erbe balsamiche alla frutta e centinaia di varietà di aromi. Il chewing-gum è antistress, può ridurre il ritmo di consumo della sigarette, proteggere lo smalto dei denti, mantenere il ph naturale della bocca favorendo la produzione di saliva. Sembra anche accertato che migliori la capacità di concentrazione.

B.p. Barni

Lettere in redazione

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PistoiaSetteN. 17 28 Aprile 2013

al 3 al 5 maggio circa 350 delegati provenienti dalle 17 diocesi toscane, si danno appuntamento

a Pistoia per la prima Settimana sociale dei cattolici toscani.

Fondate dal beato Giuseppe Toniolo, le Settimane sociali dei cattolici italiani costituiscono un momento formativo, un “luogo qualificato di espressione e di crescita dei fedeli laici, capace di promuovere, ad un livello alto, il loro specifico contributo al rinno-vamento dell’ordine temporale” (Compendio della dottrina sociale della Chieda, 2004, n.532).

L’ultima Settimana sociale na-zionale si è tenuta a Reggio Cala-bria, nel 2010.. All’appuntamento la chiesa giungeva dopo un cammino preparatorio lungo, serio e parte-cipato. Ma il “cantiere” della Setti-mana sociale è rimasto aperto. Ela-borato dal Comitato scientifico e organizzatore, agli inizi del 2012 è stato pubblicato il documento con-clusivo della 46° Settimana sociale dei cattolici italiani. Il titolo, signifi-cativo, è nel segno della continuità: Un cammino che continua… dopo Reggio Calabria.

Un Cammino Che ContinUa...in tosCana

Proprio lungo quest’ultima traiettoria si è mosso, su impulso dell’Ufficio regionale della pastora-le sociale e del lavoro, un gruppo di sacerdoti, religiosi e laici, membri dei rispettivi uffici diocesani e re-duci dalla Settimana sociale reggina. Ne è scaturita la volontà, pron-tamente accolta dai vescovi delle diocesi della regione, di portare vicino al territorio, nelle associa-zioni e movimenti, nelle stesse par-rocchie, i tanti spunti e i frutti della Settimana sociale, per farli ancora maturare lì dove vivono le persone e le famiglie.

Un Camminoin 3 tappe

1. La prima, costituita dalla presentazione del documento con-clusivo della 46° Settimana Sociale e dalla celebrazione eucaristica, si è tenuta a Firenze, nella Basilica di San Lorenzo, il 17 marzo 2012. “

2. All’indomani di questo mo-mento celebrativo, in cui interven-nero tutti i vescovi delle diocesi toscane è iniziato un tempo di discernimento ecclesiale, un lavoro capillare su temi e problemi che hanno bisogno di essere valutati e confrontati con la complessa realtà economica e sociale dei nostri territori.

Si ricorderà che l’agenda di Reggio Calabria, si incentrava su cinque aree tematiche, qui ripropo-ste con gli stessi titoli e con alcuni

tamenti che stanno segnando in modo pesante le famiglie, la politi-ca, l’economia, il lavoro, la cultura e soprattutto i giovani e il futuro, e dobbiamo con più forza rispon-dere alla responsabilità che ci viene dal vangelo di annunciare Speranza viva.

Dal momento che, come cri-stiani, siamo chiamati ad essere portatori di un vangelo incarnato, in occasione di questo evento l’invito è a cercare di creare, nella chiesa di Pistoia, una rinnovata sensibilità sui temi socio-politici-economici che, proprio in tempo di crisi provocano sofferenze e ango-sce per la vita delle persone che non riescono a vedere futuro.

Sulle indicazioni della enciclica “Caritas in veritate”, occorre che come cristiani, ci impegniamo a riscoprire come importante forma di carità quella dell’impegno volto a perseguire e realizzare il “bene comune”.

Dal punto di vista operativo, in preparazione ai lavori della Setti-mana sociale di Pistoia, si tratterà comunque di muoversi su due fronti: da un lato l’approfondimen-to, soprattutto attraverso il Do-cumento conclusivo, dei contenuti dell’ultima Settimana sociale nazio-nale di Reggio Calabria, dall’altro la presa di coscienza della realtà economica e sociale della Toscana nel mondo che cambia. L’ufficio diocesano della Pastorale sociale è a disposizione dei vicariati, delle parrocchie singole, dei gruppi, degli operatori pastorali per organiz-zare momenti di riflessione e per programmare eventuali percorsi di studio e di approfondimento.

il programmaOspitati in un luogo simbolico

(un grande capannone industriale costruito all’inizio del novecento –comunemente chiamato “cattedra-le”– per le officine ferroviarie della fabbrica pistoiese “San Giorgio” poi “Breda”) i lavori avranno inizio nel pomeriggio di venerdì 3 maggio con la relazione introduttiva affi-data ad Adriano Fabris, ordinario di filosofia morale all’Università di Pisa.

Il giorno successivo, dopo la presentazione della sintesi su quanto fatto nelle singole diocesi e in base a una relazione introdut-tiva dell’economista Luigino Bruni (ordinario di economia politica all’Università di Milano-Bicocca) i

delegati si divideranno in 5 gruppi di lavoro (coordinati da Giovanni Tarli, Emanuele Rossi, Enrico Fiori, Paolo Nepi, Stefano Biondi). Nel pomeriggio gli interventi di Anto-nio Maria Baggio(ordinario di filo-sofia politica nell’Istituto Universi-tario “Sophia”) e del vescovo Gian-carlo Maria Bregantini (presidente Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace). L’appuntamento si conclude la domenica con il vescovo di Mas-sa Carrara-Pontremoli Giovanni Santucci e con la Messa presieduta dal cardinale Giuseppe Betori.

“Uno dei contributi che po-tranno venire da Pistoia –sottoli-nea Adriano Fabris– sarà aiutare a ripensare i motivi che stanno alla base dei legami sociali e mostrare i luoghi in cui questi legami si rea-lizzano attraverso rapporti fecondi: la famiglia, le piccole comunità, le relazioni fra persone”.

Per il direttore dell’Ufficio che nella chiesa toscana segue la pasto-rale sociale e i problemi del lavoro, padre Antonio Airò, il convegno intende ricordare che i cristiani toscani “in permanente processo di conversione vogliono fare fino in fondo la loro parte per affrontare i problemi complessi e cercare le soluzioni più autentiche in questo tempo difficile per il Paese e per la regione”.

i delegatiI delegati a Pistoia delle 17 dio-

cesi presenti nella chiesa toscana saranno 345 e un terzo di loro, tassativamente, dovrà essere under 40: la ripartizione è legata alla di-mensione delle diocesi.

Le tre diocesi più piccole, quan-to a numero di abitanti (sotto i 100 mila: Volterra; Pitigliano-Sovana-Orbetello; Montepulciano-Chiusi-Pienza) avranno diritto a 15 dele-gati per ciascuna; le 10 al di sotto dei 300 mila abitanti porteranno, ognuna, 20 delegati mentre le quat-tro over 300 mila abitanti (Firenze, Pisa, Lucca, Arezzo-Cortona-San-sepolcro) porteranno 25 delegati ciascuna.

Ai 345 delegati si aggiungeran-no, anch’essi con delega, i rappre-sentanti regionali di tutte le asso-ciazioni ecclesiali e dei movimenti laicali. A Pistoia sono dunque attese circa 400 persone. Nei due dopo-cena (il venerdì e il sabato) la dio-cesi ospitante organizza altrettanti eventi. Fortemente raccomandato -in particolare per i delegati che risiedono non lontano da Pisto-ia- l’uso del treno anche perché la “cattedrale” in cui sono ospitati i lavori è a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Un segnale di sostenibi-lità ambientale.

Edoardo BaroncelliSelma Ferrali

D Un’agenda di speranza per la Toscana

I cattolici toscani verso la loro 1a Settimana sociale

richiami ai contenuti in esse sottesi.a) Intraprendere – (crisi eco-

nomica, finanza, mercato del lavoro, leva fiscale dal lavoro e dagli inve-stimenti verso le rendite, politiche familiari, ambiente).

b) Educare – (soggetti e luoghi dell’educare, il ruolo educativo de-gli adulti, scuola pubblica e privata, la questione giovanile e generazio-nale, ruolo dis-educativo dei media, educare i cattolici alla politica).

c) Includere – (il fenomeno mi-gratorio, la cittadinanza, l’inclusione, diritti e doveri degli immigrati, ruo-lo delle comunità ecclesiali).

d) Slegare la mobilità sociale – (la dinamica slegare/legare, universi-tà, professioni, ruolo della Chiesa).

e) Completamento della transizione e della riforma isti-tuzionale – (salvaguardia della democrazia,democrazia nei partiti, legge elettorale, forma di governo, federalismo e sussidiarietà).

Già questi punti possono for-nire la scaletta per “leggere” la criticità e la potenzialità dei nostri territori.

In ogni diocesi ,tra gli argomenti richiamati ci si potrà concentrare volta a volta sui singoli problemi a cominciare dai più sentiti a livello locale, ma certamente la chiesa non perderà occasione per riporre al centro della riflessione la questione antropologica che, alla luce del van-

gelo, precede e spiega tutte le altre.3. All’esito di tale percorso, si

raccoglieranno i risultati. Si ter-rà una tre giorni, una Settimana sociale in chiave locale, che darà l’occasione ai cattolici di offrire il loro contributo per il bene comune della Toscana e del Paese intero.

la settimanasoCiale dei CattoliCitosCani

La prima settimana sociale dei cattolici toscani si terrà a Pistoia: i lavori avranno inizio nel pomerig-gio di venerdì 3 maggio e termine-ranno con la Messa alle 12 del 5 maggio.

Ogni diocesi della Toscana no-minerà un numero di delegati -da 15 a 25- in proporzione al numero di abitanti.

Cosa fareIn merito ai contenuti la dio-

cesi di Pistoia si è mossa, in questo anno preparatorio con due grossi “filoni” di impegno : il Progetto Po-licoro per affrontare le tematiche del lavoro/giovani, il Tavolo con le categorie economiche per capire la crisi e facilitare le opportunità di superarla.

Noi cristiani, pur consapevoli del tempo difficile in cui stiamo vivendo non dobbiamo sentirci smarriti davanti alla crisi e ai mu-

Giuseppe Toniolo con Nicolò Rezzara

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8 n. 17 28 Aprile 2013 LaVitacomunità ecclesialel corso di formazione del Cesvot “Noi. Minori e inter-cultura”, che si sta svolgendo all’associazione San Martino

de Porres e che coinvolge quest’ul-tima, come capofila, insieme all’asso-ciazione Portaperta e l’associazione Camposampiero, è nato dal bisogno di fornire al volontariato strumenti per la comprensione e per il servi-zio nei contesti dove siano presenti minori: doposcuola, centro socio-educativi, oratori. Il punto di partenza è l’idea che sia ci sia la necessità di una “revisione” dell’approccio alla realtà educativa in ordine, appunto, ad una prospettiva interculturale. Il corso è un percorso attraverso bi-sogni e risorse dei minori che segue il filo rosso dell’intercultura.

Ne parliamo con Francesca Me-oni, progettista e formatrice della Caritas diocesana e rlelatrice del corso Noi Minori e interculttura .

Che cosa s’intende per prospettiva interculturale?

Quando pensiamo all’incontro tra culture siamo, spesso, abituati a pensare che semplicemente dovrem-mo conoscere le altre culture, che nell’impegno sociale diventa l’idea di approfondire la conoscenza delle culture presenti sul territorio al fine di capire gli altri, i loro atteggiamenti, le loro scelte. Questa idea è certo un bisogno, ma non chiarisce la questio-ne di fondo sull’incontro tra culture. Una conoscenza approfondita non dà indicazioni sull’approccio di fondo, non dà indicazioni rispetto a quello che vogliamo raggiungere nella pro-spettiva di un futuro della società in cui viviamo. La prospettiva intercul-turale ci mette nella condizione di interpretare la cultura non come

UN CORSO PER VOLONTARI

“Minori e intercultura”Iidentità culturale, ma come pro-cesso, divenire, contaminazione che avviene in qualsiasi momento e che ci cambia continuamente. Assumere una prospettiva è fondamentale, ma prima di tutto è fondamentale essere consapevoli che i nostri pensieri sono frutto di visioni del mondo che danno indirizzo alla società stesso. Non è in-differente assumere una prospettiva multiculturale o interculturale, non è indifferente pensare seguendo l’idea

dell’evoluzionismo sociale poiché ogni prospettiva costruisce i nostri progetti determina le nostre scelte, sociali, urbanistiche,ecc.

Che cosa significa questo divenire?

Dovremmo chiederci prima di tutto, che cosa significa cultura? Po-tremmo forse stilare una lista di ciò (che fa parte della “nostra” cultura: piatti, tradizioni, riti, feste, modi di

dire, ecc.. in una sorta di inventario, ma infinito. Nel frattempo, tuttavia, probabilmente nostro figlio/nipote/cugino sta mangiando un Kebab perché questa sera gli è venuta una gran voglia, mentre qualcun altro ha messo in forno a scaldare il ke-bab surgelato che ha comprato al supermercato, perché una volta la settimana lo mangia, come una volta la settimana mangia la pizza. Che cosa facciamo con il Kebab lo mettiamo

Unitalsi recente-mente ha fatto un dono alla scuola elementare di Va-

lenzatico. Di che si tratta?Oltre ad essere un punto di ri-

ferimento per i pellegrinaggi verso i santuari mariani, l’Unitalsi da sempre si è posta la domanda di come con-tribuire ad una migliore integrazione sociale dei “diversamente abili”.

Partendo da questo punto, circa 20 anni fa abbiamo dato mandato al gruppo giovani di dar sfogo alla loro naturale intraprendenza e voglia di vivere. Il frutto è stato una serie di partecipazioni a concerti, rappre-sentazioni teatrali e manifestazioni sportive. Ma ai nostri giovani non mancano la fantasia e l’iniziativa e così sono nate ulteriori iniziative identificate con ‘Unitalsi di sera’. Ab-biamo realizzato feste di carnevale, feste di primavera e autunno, feste di fine anno e cene varie. Il tutto con due obiettivi: stare insieme, condivi-dendo passioni e gioie; raccogliere fondi per i nostri pellegrinaggi e per una scuola a Teresina, in Brasile, che è gestita dalle suore minime di Poggio a Caiano.

Ormai la nostra “collaborazione” dura da circa 15 anni e addirittura sia-mo riusciti tramite skype a metterci in contatto con loro durante alcune delle nostre serate per cercare di entrare ancora di più in condivisione.

Quest’anno quando ci siamo messi a pensare al tema per all’an-nuale festa di carnevale ci è venuta in mente l’arca di Noè.

Abbiamo realizzato quest’arca

UNITALSI

L’arca di Noè in dono alla scuola elementare

di ValenzaticoA colloquio con Giovanni Giacomelli,responsabile dell’Unitalsi di Pistoia

L’

di circa 5 metri di larghezza per 4 di altezza grazie all’aiuto della fale-gnameria Pg la quale ci ha donato il legno necessario per la realizzazione.

Su su che i lavori andavano avanti ci rendevamo conto che stavamo costruendo qualcosa di bello che dovevamo trovargli una destinazione futura... Abbiamo immediatamente pensato ai bambini e conseguente-mente ad una scuola (visto la nostra unione con la scuola di Teresina).

Il sogno era farla arrivare in Brasile ma oggettivamente non era possibile. Dunque abbiamo proposto alla scuola elementare di Valenzatico, in considerazione del fatto che le nostre attività si svolgono spesso nel salone del circolo Mcl di Valenzatico.

Grazie all’interessamento delle maestre della scuola e principalmente la referente Chiara Rossetti, siamo riusciti dopo 2 mesi a far sì che la nostra Arca facesse bella mostra di sée all’interno della sala mensa della scuola...

Non sappiamo, se e cosa le mae-stre hanno raccontato ai bambini di

questo dono ma ci piacerebbe che quest’Arca facesse capire ai nostri bambini che esistono dall’altra parte del mondo altrettanti bambini che studiano giocano e vivono all’interno di una scuola...

In altre parole cerchiamo di gene-rare amicizie condivisioni e relazioni perché solo cosi riusciremo domani ad avere una società in grado di accettare i diversamente abili come persone normali.

Quali sono i prossimi pel-legrinaggi che l’associazione ha in programma?

La nostra associazione partecipa al prossimo pellegrinaggio regionale a Loreto dal 25 al 28 aprile, al pelle-grinaggio a Lourdes “Famiglie e bam-bini” dal 18 al 24 giugno e a quello nazionale a Lourdes dal 23 al 29 set-tembre, integrato dalla nuova grande avventura del ciclo-pellegrinaggio che partirà da Valdibrana il 14 settembre e raggiungerà pedalando con Andrea (il figlio della nostra presidente) fino a Lourdes, dove arriveranno nella

giornata del 25 settembre dopo circa 1200 km

Inoltre organizziamo un mini pellegrinaggio a Boccadirio per il 28-30 giugno e partecipiamo a tutte le iniziative della cattedrale.

L’associazione sta per-correndo la vita buona del Vangelo? C’è qualche avveni-mento che vorresti ricordare?

Sono entrato nell’Unitalsi a 16 anni (ora ne ho 48) e dal primo giorno mi è stato insegnato che dob-biamo camminare insieme aiutandoci a vicenda.

Avvenimenti da ricordare ne avrei tantissimi, ma uno mi fa ancora venire i bordoni a distanza di quasi vent’anni.

Eravamo in Terrasanta, la prima volta con i “diversamente abili”; ogni giorno affrontavamo mille ostacoli ma niente pareva fermarci, andavamo avanti perseguendo il nostro itinera-rio sapendo che ‘Dove noi anche loro, insieme nella gioia’.

Scendemmo nella grotta della na-

tività a Betlemme, don Cesare fece la sua introduzione, la sua preghiera, la sua riflessione e noi li tutti insieme a capo chino in assoluto silenzio, riflet-tendo sulle parole e guardando quelli scalini disformi, difficili da scendere e ancor più da salire.

Quando fu il momento di risalire iniziammo, con una carrozzina dopo l’altra (erano 9) e alla fine scoppiò un abbraccio con relativa commozione fra tutti i barellieri con don Cesare. È stato in quel momento che abbiamo preso coscienza dell’unicità del no-stro pellegrinaggio, della nostra fede, del vivere con l’altro, invece che per me singola persona individualistica.

Questo è stato per me il momen-to in assoluto più bello del bello, e ti garantisco che in 32 anni di momenti unici e irripetibili ne ho vessuti tanti.

L’Unitalsi nei mesi scorsi

aveva incontrato Benedetto XVI. Incontrerete anche Pa-dre Francesco?

Cercheremo di incontrare Papa Francesco quanto prima. È chiaro che quando decidiamo di spostarci dobbiamo avere una pianificazione ad hoc ma credo che nell’arco di questo 2013 ci recheremo di nuovo in Vaticano.

A riguardo dell’anno della fede ci soffermiamo a riflettere e pregare tutti gli ultimi mercoledì del mese presso il santuario di Valdibrana dove il nostro assistente don Cesare Tognelli ci regala momenti di vera crescita e formazione cristiana.

D.R.

o no? Certo diremo di no, non fa parte della nostra cultura ed allora la nostra lista è davvero attinente alla realtà? E lo stesso processo accade alle altre culture, potremmo chiedere a tante famiglie straniere se da quando sono in Italia si sono modificate, ad esempio, le loro abi-tudini alimentari. Al di là di ciò che diciamo o pensiamo, quindi, siamo in una prospettiva interculturale di fatto, non riconoscerla significa sola-mente aumentare i conflitti sociali e quindi aumentare la sofferenza delle persone, perché di questo abbiamo il dovere di parlare.

Qual è l’obiettivo, quindi, di una prospettiva intercul-turale?

Prendere atto e coscienza della realtà in cui siamo immersi, significa prendersi la responsabilità di alle-viare tante sofferenze, tanti conflitti. Se penso alle seconde generazioni partendo dal concetto d’identità culturale mi scontrerò con una sorta di assenza di identità, che spesso diventa una “nevrosi” culturale, se invece prendo una prospettiva interculturale mi troverò a gestire, ad esempio in quanto educatore, un divenire che interessa tutti i minori, senza distinzione tra italiani e stranieri, che mi circondano in un universo culturale che apre le porte al mondo intero. Un corso, quindi, che parte da una prospettiva interculturale dovrà fornire stru-menti per una visione ottimistica dell’incontro, per dotare i bambini ed i giovani di strumenti nuovi di lettura della società. L’obiettivo? La convivenza pacifica, una società che interessa ed interessi tutti.

Daniela Raspollini

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928 Aprile 2013 n. 17VitaLanche i disturbi, nel loro piccolo, si aggiornano. L’allerta “salute psichica” nell’età di Internet è ai

massimi livelli di guardia e gli editori del DSM-V, ultimo aggiornamento del Manuale diagnostico e statisti-co dei disturbi mentali, hanno già ordinato ai tipografi nuove risme di carta per poter incorporare tutta la nuova pato-fenomenologia digitale. Per primo venne lo IAD (Internet Addiction Disorder), sindrome di confusione o nebulosità nell’ordine mentale dovuta ad un’esposizione eccessiva al computer, quella insom-ma che (secondo l’approccio meno tecnico di Paul Virilio) ti riduce «la coscienza a un ciarpame» e la memoria a «una discarica di sacchi di immagini, frammenti, spezzoni di frasi di ogni provenienza e privi di logica» (La bomba informatica). Il simbolo di tale assuefazione potreb-be essere il ragazzino che cammina, parla con i genitori, ascolta il mae-stro e affronta tutto il resto con il capo reclino, per non spostare lo sguardo dal suo game boy e conti-nuare a premere con le piccole dita sui pulsanti.

Ecco la vera finalità evolutiva dei pollici opponibili! Linus “versione 2000” ha barattato la sua insepa-rabile coperta con un’ipnotizzante console portatile. Lo psicologo dell’infanzia Donald Winnicott ri-conosceva nella coperta di Linus l’emblema dell’oggetto transizionale nel passaggio dall’infanzia all’età adulta; il game boy potrebbe se-gnare la transizione dallo IAD allo IADD, dove la doppia lettera “D” finale trasforma l’acronimo in In-ternet Attention Deficit Disorder, difficoltà cronica a conservare la concentrazione per più di qualche minuto a causa dell’ambientamento in quello che Cory Doctorow chia-ma «ecosistema delle tecnologie dell’interruzione» (Writing in the Age of Distraction).

La lettura ipertestuale doveva servire a portare nell’alveare della mente il polline di tutti i fiori del prato della cultura e invece, attratti dal colore del fiore un po’ più oltre, le api finiscono per perdere la via di casa. Sì, perché ogni clic su un link è un soldino a Google e un filo si-

comunità ecclesiale

A TECNOLOGIA

Psicopatologia della vita internettiana

I

naptico che si spezza. «Google è nel business della distrazione», dichiara Nicholas Carr nel suo Internet ci rende stupidi? Nei tredici secondi medi in cui un utente sosta sulla stessa pagina di Internet poi è stata rilevata una nuova, sospetta, strategia di lettura.

Esperimenti di eye tracking, con telecamere che registrano il movi-mento delle pupille dei lettori, hanno scoperto la tendenziosa “lettura ad F”: si seguono interamente le prime righe, poi si scorre velocemente giù, ci si sofferma su qualche brano centrale e si scende fino al termine della pagina. Come leggono gli utenti sul Web? si è chiesto nell’articolo omonimo Jakob Nielsen e la risposta è inequivocabile: essi fanno qualcosa che richiama vagamente la lettura, ma, in pratica, «non leggono». V’è an-che un risvolto neurologico in tutto questo e qui il tono si fa ancora più inquietante. Appurato che i nostri cervelli vengono riconfigurati dalla frequentazione di Internet, negli ulti-mi mesi sono stati pubblicati gli studi di Uri Nitzan dell’Università di Tel Aviv, che ha rilevato una serie di casi di psicosi legati alla comunicazione mediata dal computer, con Facebook indiziato numero uno.

A esso fa eco il protocollo di un team dell’Università di Bonn che ha riscontrato una variazione nel gene CHRNA4 (coinvolto nella genera-zione della dopamina e al centro di stati di ansia e dipendenza dalla nicotina) in utenti problematici di Internet, soprattutto di sesso femmi-nile. Con un rigurgito di lamarkismo internettiano, si paventano modifica-zioni irreversibili a livello genetico e neurale.

A puntellare definitivamente il teorema accusatorio ha pensato poi l’attenta analisi sociologica. Un inte-ro bestiario è stato scomodato per l’analogia graffiante. C’è chi, dopo le ricerche del neurologo Jaak Pank-sepp, paragona i navigatori estremi di

Internet a quei topini che, scoperta la levetta che provoca lievi scariche elettriche nei centri cerebrali del pia-cere, si consumano nel cliccare senza requie. Al loro pari, gli internauti si trasformano in «fagottini pieni di gioia» artificiale, effimera, insensata. Altri preferiscono l’immagine dei polli d’allevamento: come questi, gli informivori (i divoratori di informa-zioni) si lascerebbero ingozzare con l’imbuto da Internet di dati e notizie, rinunciando volontariamente al salu-bre razzolare libero all’aperto. Kent Berridge solleva l’umiliante paragone con il cane di Pavlov: ogni segnalazio-ne acustica o vibratoria di mail, sms, messaggi vari in arrivo lavorerebbe, nel nostro sistema di gratificazione, come il campanello del leggendario laboratorio di Medicina sperimentale di San Pietroburgo che provocava, condizionatamente, la secrezione delle ghiandole salivari nell’animale. E a non meglio identificati «animali dagli occhi duri e secchi» la scrit-trice Remedios Zafra in Sempre connessi (Giunti, 2012) assimila i “seguaci” (follower) di Twitter e di ogni network, «esseri senza lacrime», deprivati, per non sottrarre tempo allo schermo, anche di quel batter di ciglia che rappresenta la distanza dalla notizia per poterla elaborare

e acquisire. Questo conduce solo, come concorda Richard Foreman, permettendosi una variazione dalla zoologia al culinario, a trasformare l’umanità in «pancake people» (per-sone frittelle), piatte, sottili, prive di sostanza.

Se tutto questo si confermerà vero, o anche solo la metà, non ci do-vremo meravigliare se, per premura dello Stato verso i cittadini o per au-to-tutela delle aziende, un’etichetta in bella evidenza “Nuoce gravemente alla salute (psichica)” risalterà sulle confezioni dei computer, come su quelle delle sigarette. Forse, però, anche un certo eccesso di appren-sione è frutto della psicopatologia della nostra vita quotidiana ai tempi di Internet. O forse è solo un retaggio del nostro arcaico istinto di sopravvi-venza che, nella miriade di percezioni che ci tempestano, ci fa notare con più acutezza le minacce e i pericoli, anziché il buono. Freud, come epigra-fe al suo celebre saggio, aveva scelto un verso del Faust: «L’aria or così di sortilegi pullula/ Che nessun più sa come li eviti». Sicuramente Goethe non parlava di Internet. E neppure Freud. Un omaggio al detto: «cam-biano le parole, ma la musica resta la stessa». E uno, ancora più ossequioso alla massima: in medio stat virtus.

l 16 aprile si è ricordata Santa Bernadette e, in attesa del terzo pellegrinaggio promos-so dall’associazione Amici

di Lourdes, con Il diacono Luciano Bani, che da molti anni in diocesi ha promosso la devozione mariana e organizzato e guidato numerosi pellegrinaggi, ripercorriamo gli eventi legati al mistero delle apparizioni.

Ci può raccontare il miste-ro delle apparizioni?

“Le apparizioni della Madonna a Lourdes iniziarono l’11 febbraio del 1858, quando una ragazza di quattor-dici anni, Bernadette Soubirous, reca-tasi a raccogliere legna nei pressi della grotta di Massabielle, lungo la riva del fiume Gave, sentì come un colpo di vento provenire dall’ interno delle rocce. La fanciulla vide una signora

vestita di bianco, con un velo bianco, una cintura blu e una rosa gialla su ciascuno dei suoi piedi.

Tra le apparizioni più significative ricordiamo la terza, avvenuta il 18 febbraio quando la signora si rivolse a Bernadette con queste parole: ‘Vo-lete farmi la grazia di venire qui per quindici giorni?... pregate Dio per i peccatori, baciate la terra per la con-versione dei peccatori’. Poi seguono le apparizioni del 25 febbraio, del 2 marzo, del 25 marzo, giorno in cui la visione le svelò il proprio nome: ‘Io sono l’immacolata concezione’. In aprile si verificò il miracolo del cero: durante l’apparizione, la veggente teneva in mano una candela accesa, la cui fiamma rimase a contatto dell’altra mano per tutto il tempo dell’estasi. Nei pressi della grotta si trovava quel giorno un medico che

poté constatare subito l’evento, la mano che la ragazza aveva tenuto sulla fiamma per tutto il tempo della apparizione non aveva il minimo se-gno di scottatura. Quattro anni dopo le apparizioni nel 1862, monsignor Laurence Vescovo di Tarbes dichiarò che Maria Immacolata era realmente apparsa a Bernadette Soubiros. Dopo le apparizioni Bernadette prese i voti nel 1866, presso la Congregazione delle Suore della Carità di Nevers, dove rimase per tredici anni fino al giorno della sua morte avvenuta il 16 aprile 1879”.

Come si è articolo nel tempo questo flusso dei fede-li? Ci sono stati cambiamenti da quando per la prima volta è andato a Lourdes?

“In 56 anni sono stati tanti i cam-

biamenti dovuti anche al continuo aumento di pellegrini sani e malati. Lourdes è sempre un cantiere aperto sia materialmente che spiritualmente, perché i pellegrini possano vivere questo momento di grazia sotto lo sgaurdo di Maria e fortificare la propria fede”.

Quando si svolgerà il pros-simo pellegrinaggio?

“Si terrà dal 22 al 26 giugno. Sarà il terzo pellegrinaggio, al quale ne seguiranno altri due, nella prima setti-mana di agosto e l’ultima settimana di settembre. Siamo nell’anno della fede e Lourdes è ‘una porta per la fede’, pertanto la nostra catechesi sarà per una riscoperta e una conferma della propria fede da vivere ogni giorno con l’ aiuto di Maria”.

Daniela Raspollini

IN VISTA DEL PROSSIMO PELLEGRINAGGIO

La riscoperta di Lourdes,come porta della fede

PARROCCHIA SPEDALINO

Messa post-restauriUna grande folla di fedeli ha parte-cipato alla Messa celebrata a chiu-sura della settimana di eventi dedi-cata all’inaugurazione dei restauri dell’antica Chiesa parrocchiale, di Santa Maria Assunta a Spedalino. La funzione è stata officiata dal vescovo Mansueto Bianchi e conce-lebrata da alcuni sacerdoti tra cui il parroco di Spedalino, don Anthony Mennem.Con l’occasione della Messa ha avuto luogo anche il conferimento del ministero dell’accolitato a Ro-berto Meoni e Roberto Pierattini, due parrocchiani, da anni stretti collaboratori del sacerdote.

CASTELLINA A SERRAVALLE

Restauro del complessoecclesiastico dei SS. Filippoe GiacomoIl 24 aprile alle 16,45 saranno inaugurati i restauri del complesso parrocchiale della Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo a Castellina di Serravalle Pistoiese, alla presenza di monsignor Mansueto Bianchi ve-scovo di Pistoia, Alessandra Marino soprintendente ai beni architet-tonici per Firenze Pistoia e Prato, Ivano Paci presidente Fondazione Caripit, Patrizio Mungai sindaco di Serravalle pistoiese, Simona Querci vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Serravalle pistoiese.L’intervento di restauro è stato finanziato con l’essenziale contri-buto della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia per la somma di 60.000 euro, del Co-mune di Serravalle Pistoiese per la somma di 24.500,00 euro, della Conferenza episcopale Italiana per la somma di 70.000 euro e della comunità parrocchiale di Ponte di Serravalle.

CONVEGNI MARIACRISTINA

Incontro alleMantellateMartedì 30 aprile alle 16,30 presso il convento delle Mantellate, i Con-vegni Maria Cristina organizzano un incontro su: “La figura di Gesù in-terroga il nostro tempo”. Relatore sarà padre Alessandro Cortesi op.

I NARRANTI

UltimapièceSabato 27 aprile alle 21.15 la Compagnia Teatrale I Narranti – Città di Pistoia invita la cittadinanza alla Chiesa dell’Immacolata – Via Antonelli per la rappresentazione conclusiva del suo programma in-vernale. Si rappresenterà ‘… E se fosse tutto vero, mio caro imperatore…’, il viaggio di un inviato romano alla ricerca del corpo di Gesù, tra un alternarsi di testimoni del passato e del presente che cercano di dare una risposta al grande mistero della Resurrezione.

di Andrea Vaccaro

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10 n. 17 28 Aprile 2013 LaVita

conti ed agevolazioni sulle spese quotidiane. Ecco, ciò che potranno ottenere gli iscritti alla Misericordia di

Pistoia, con il semplice utilizzo della nuova Dominocard. La nuova card della Misericordia, ritirabile gratui-tamente presso la sede della Mise-ricordia in via del Can Bianco, 35 (il mercoledì e il sabato dalle 9 alle 12) e al Poliambulatorio in via Bonellina, 1 (il lunedì, martedì, giovedì e venerdì dalle 15 alle 17), permetterà a tutti i possessori della medesima non solo di beneficiare di alcuni sconti, ma anche di accumulare dei punti a fronte di ogni spesa effettuata, i

quali potranno essere convertiti in buoni sconto presso tutte le attività convenzionate. Molte realtà commer-ciali hanno già aderito all’iniziativa, che è stata estesa persino ad alcuni professionisti (avvocati, dentisti etc.) ed artigiani (es:elettricista, idraulico..), anch’essi facenti parte del circuito Dominocard. E’ inoltre possibile, utilizzare i punti accumulati sulla card usufruendo dei servizi erogati dalla Misericordia, ottenendo così sconti a fronte di una visita medica o di altre prestazioni sanitarie. Una card in più nel vostro portafoglio, ma utile a dif-ferenza di tante altre nelle esigenze della vita quotidiana.

comunità e territorioSANITà

Ospedali a misuradi disabile

COMUNE DI PISTOIA

Al via il nuovoRegolamentoUrbanistico

pprovato nei giorni scorsi il nuovo Regolamento Urbanistico. Il Consiglio Comunale lo ha deliberato con 21 voti favorevoli appartenenti alla maggioranza e 6 contrari mentre i consiglieri appartenenti al Movimento Cinque Stelle sono usciti dall’aula al

momento della votazioneImportanti le modifiche apportate; innanzitutto è stata eliminata la intangi-bilità degli edifici costruiti prima del 1953; riconosciuta la facoltà di edificare annessi agricoli e rurali adatti alla natura ed alla dimensione dell’azienda mentre sono state eliminate le tanto contestate aree a macchia di leopardo con il loro divieto di coltivazione a vasetteria.Soddisfatta la Federazione della Sinistra in quanto l’approvazione del Re-golamento Urbanistico si è potuta realizzare anche grazie all’accoglimento di numerosissime osservazioni presentate.La lista Insieme per Pistoia ha sottolineato come “l’aver approvato il Nuovo Regolamento offra ora la possibilità di intervenire su delle impor-tanti scelte urbanistiche al fine di essere pronti per le prossime sfide che saranno messe in campo dal Fondo Sociale Europeo e il Fondo Europeo dello Sviluppo Regionale.”Di parere contrario il Pdl che ha espresso voto contrario in quanto nono-stante le buone intenzioni e gli sforzi compiuti il Piano Urbanistico resta impostato su un Piano Strutturale anacronistico e superato, quindi non rispondente alle esigenze della città. “Ci auguriamo – ha detto la capo-gruppo Annamaria Celesti – che prima possibile si imposti il nuovo Piano Strutturale e di conseguenza si vada poi a modificare tutto il Regolamento Urbanistico, in modo che sia più pertinente alla città.”Contrario anche il voto di Pistoia Futura per il quale sono rimaste irrisolte alcune importanti questioni come la storicizzazione degli edifici prima del 1953 e il recupero fisiologico che renderanno in molti casi il riutilizzo del vecchio.Il Movimento Cinque Stelle è come detto invece uscito dall’aula in quanto hanno ritenuto di non avere avuto il tempo sufficiente per dare una corretta valutazione di tutta la documentazione necessaria.

Edoardo Baroncelli

A

S

I quattro nuovinosocomi in corsodi ultimazione in Toscana non avranno alcun tipo di barriera

di Patrizio Ceccarelli

T

opo i 70 anni quanti pasti si devono fare al giorno? Qual è la dieta più corretta da seguire: meglio la carne o frutta

e verdura? È necessario pesarsi regolarmente? E ancora: un anziano deve mangiare meno di un giovane? A queste ed altre domande rispon-de la guida «Mangiare bene dopo i 70 anni», che fornisce consigli pratici e semplici sull’alimentazione della terza età.

La guida è frutto di uno studio-pilota promosso dall’Asl 3 di Pi-stoia.

Per la realizzazione del proget-to è stato fondamentale il sostegno economico, pari a 50 mila euro, della Fondazione Cassa di Rispar-mio di Pistoia e Pescia.

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SALUTE

L’importanza di una corretta alimentazione nella terza età

Da uno studio svolto dalla Asl nelle Rsa del territorio pistoiese nasce una guida sulla prevenzione a tavola

utti i piani accessibili alle carrozzine, mappe tattili per gli ipovedenti, arredi compatibili con l’altezza

delle carrozzine, servizi igienici per i disabili, porte e ascensori di dimen-sioni adeguate, all’interno; parcheggi auto per disabili, attraversamenti pe-donali a raso, percorsi dotati di guida tattile all’esterno. I 4 nuovi ospedali di Prato, Pistoia, Lucca e delle Apua-ne vengono costruiti interamente a misura di disabile, senza alcun tipo di barriere architettoniche, sensoriali,

culturali e della comunicazione.«È stato doveroso nella fase di

costruzione garantire fin da subito la piena accessibilità all’Ospedale da parte di tutti i cittadini – è stato il commento del direttore generale della Asl3 di Pistoia Roberto Abati, che ha firmato in Regione, insieme agli altri tre direttori generali degli ospedali di Lucca, Prato e Massa il protocollo “L’ospedale a misura di disabili”.

Per Abati non solo è stato ri-spettato un diritto sancito dalla

Nelle 12 pagine dell’opuscolo si trovano suggerimenti sulla corretta assunzione dei pasti e sull’impor-tanza di fare attività fisica. Non mancano i consigli per gli anziani single e pertanto l’invito ad evitare una “cucina triste” che genera inap-petenza, cercando invece di prefe-rire colori e sapori e la compagnia di familiari ed amici per “stimolare” l’appetito.

La guida si inserisce in un pro-getto iniziato nel 2007 e che si è fin qui concentrato sulle Rsa (residen-ze sanitarie assistenziali) della zona/distretto pistoiese, rilevando le situazioni a rischio nutrizionale in tutti gli ospiti anziani, per poi intro-durre menù alternativi, naturali, ric-chi di sapore, facilmente digeribili e arricchiti nel contributo energetico,

che hanno già portato ad una ridu-zione dei più gravi profili di rischio.

Tutto nasce da un dato di fatto: a Pistoia si vive sempre più a lungo. Quindi, come ha sottolineato il vice direttore sanitario della Asl3, Chiara Gherardeschi, il 23% della popolazione che ha più di 65 anni ha una speranza vita che è di 18,5 anni per gli uomini e di 22,3 anni per le donne.

In cinque anni (dal 2007 al 2012) sono stati osservati e valu-tati complessivamente 800 anziani ospiti delle Rsa e formati 125 ope-ratori attualmente “responsabili del processo assistenziale della nutri-zione”. In sostanza nelle Rsa è stata introdotta la “cura” del cibo come buona pratica.

P.C.

MISERICORDIA DI PISTOIAArriva la Dominocard

la frontiera del risparmiodi Matteo Pieracci

Costituzione ma realizzando un ospedale che facilita l’accesso anche agli utenti più svantaggiati è stata operata una scelta lungimirante in quanto in questo modo è sicuramen-te garantito l’accesso e la fruibilità veramente a tutti.

“Nello stesso tempo – ha aggiun-to - prevedere in fase di costruzione e meglio ancora di progettazione l’assenza di barriere di ogni tipo architettoniche, sensoriali, di co-municazione riduce notevolmente i costi sociali ed anche economici di interventi correttivi successivi con risultati spesso non soddisfacenti”.

La Regione aveva incaricato Massimo Toschi, consigliere del presidente per la difesa dei diritti delle persone disabili, di “testare” il rispetto di tutte le norme in materia

di abbattimento di barriere di ogni tipo nella progettazione e costru-zione dei 4 nuovi ospedali. Toschi ha svolto le verifiche su un ospedale campione, quello di Lucca (il pro-getto e l’impianto dei 4 ospedali è unico). Coadiuvato dalla presidenza del Sior (Sistema integrato ospedali regionali) e dalla direzione della Asl 2 di Lucca, ha esaminato il progetto del nuovo ospedale e le sue princi-pali caratteristiche, espondendo poi i risultati dell’indagine alle federazioni regionali di Fish (Federazione italiana superamento handicap) e Fand (Fe-derazione delle associazioni nazionali delle persone con disabilità). I risul-tati di questa attività sono contenuti nel documento “L’ospedale a misura di disabili”, approvato da un proto-collo condiviso.

Roberto Abati

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1128 Aprile 2013 n. 17VitaLa

“I cento annidel Comunedi Agliana”

n occasione del Centenario della nascita del Comune di Agliana l’amministrazione locale ha organizzato un convegno dal titolo “I cento anni del Comune di Agliana”, svoltosi nei giorni scorsi al tea-tro Moderno.

E’ stata l’occasione per presentare le ricerche storiche portate avanti da studiosi e appassionati, che si sono rivelate particolarmente preziose per la ricostruzione dei fatti e delle vicende dei primi cinquanta anni del Co-mune, fino ad ora erano rimasti in ombra. Sono infatti intervenuti il dot-tor Massimo Nardini, ricercatore in storia alla facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Firenze, che ha approfondito il processo di formazione del Comune e l’evolversi di una volontà di indipendenza dal Comune di Montale. Un importante intervento quello di Marco Giunti, sindaco del Comune di Agliana dal 1980 al 1999 e studioso della storia del territorio. Spazio anche per Arnaldo Nesti, ex professore di Socio-logia all’Università di Firenze, la cui ricerca e riflessione si è concentrata sulla società cattolica di Agliana ed il ruolo che questa ha avuto nella co-struzione del tessuto sociale. Infine l’intervento di Renato Risaliti, storico, professore universitario, che ha rivolto i suoi studi all’attività di associa-zionismo ad Agliana nella sua storia. Il Comune, grazie al contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia organizzerà diverse iniziative nell’ambito del Giugno aglianese, come l’esibizione della fanfara dei Carabinieri, occasione in cui il Comune consegnerà la cittadinanza onoraria all’Arma. Verranno inoltre allestite, grazie alla grande partecipa-zione della cittadinanza che ha fornito molto materiale, tre mostre foto-grafiche che ripercorreranno la cultura e le tradizioni del luogo. L’associazione PortAperta preparerà degli incontri per riflettere sul cam-biamento antropologico del volto di Agliana, dalla sua nascita ad ora, sia rispetto all’inserimento di diversi gruppi etnici, sia sul piano urbanistico. Sempre nell’ambito dell’associazionismo “La bottega delle maschere” ha avviato un laboratorio sugli antichi mestieri con gli alunni della scuola elementare “Gianni Rodari”, stimolando la curiosità dei bambini ad effet-tuare interviste ai più anziani sui mestieri del passato. Infine il 18 dicem-bre, giorno del centenario, si terrà un consiglio comunale rievocativo del primo, che ebbe luogo in una casa in via della Cinquilla.

M.B.

I

comunità e territorio

orna “Vestire il Paesaggio” e quest’anno sarà il verde sostenibile il tema della nuova edizione dell’evento interna-

zionale, promosso e organizzato dalla Pro-vincia di Pistoia e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, con il con-tributo della Regione Toscana, del Comune di Pistoia e della Camera di Commercio di Pistoia. La manifestazione è stata illustrata, nel corso di una conferenza stampa, dalla presidente della Provincia Federica Fratoni, dal presidente della Fondazione Caript Ivano Paci e dal dirigente della Provincia Renato Ferretti.

“La Produzione del Distretto Vivaistico Ornamentale di Pistoia incontra i paesag-gisti, i progettisti e i costruttori del Verde”, è l’evento in programma dal 26 al 28 giugno a Pistoia, con l’obbiettivo di mettere in relazione chi il verde lo produce con chi lo utilizza e promuovere la produzione vivaistica ornamentale del territorio. Quella di quest’anno sarà la terza edizione, dopo quelle del 2007 e del 2010 (l’evento, infatti, ha cadenza triennale) e avrà come scenario l’ex Convento di Giaccherino, ma si svilupperà anche a Palazzo De Rossi, con la settima edizione del Premio Pietro Porcinai e del premio Angelo Tosi. Tre giornate ricche di appuntamenti, fra

VIVAISMO

Tutto pronto per la terza edizione di

Vestire il paesaggioL’obiettivo della manifestazione (26-28 giugno) è di mettere in relazione

chi produce il verde lo con chi lo utilizza di Patrizio Ceccarelli

T

iposerà d’ora in poi sotto uno dei suoi fiori, tema caro e ricorren-te nell’opera di Alfredo

Fabbri, che con il suo tocco agile e leggero sapeva rivestire di poesia l’universo delle piccole cose quoti-diane. Proprio da una delle litografie acquarellate del maestro, in un giallo vivido e splendente - cromia brillante, omaggio anch’essa ai colori frequente-mente usati dall’artista nei Notturni e nelle Marine - il figlio Marcello, sotto la guida della madre Mary e della sorella, ha ripreso infatti il disegno che ornerà d’ora innanzi la tomba eterna, con la quale la città di Quarrata ha reso omaggio, a tre anni dalla scomparsa, ad uno dei suoi più illustri concittadini.“Siamo orgogliosi di conferire questo riconoscimento ad un artista che è stato assoluto protagonista della vita culturale e artistica della città, nonché un vanto per tutta la comunità. Il legame tra Alfredo Fabbri e Quarrata è sempre stato molto forte” - ha chiarito il sindaco Marco Mazzanti, durante la cerimonia ufficiale, sabato 20 aprile al cimitero della Ferruccia, ricordando come proprio i volti ed i paesaggi campestri dell’amato Barba siano stati spesso protagonisti assoluti delle opere di Alfredo Fabbri.“E’ stato un lungo e difficile lavoro, durato circa tre mesi” - ha dichiarato

R

Al cimitero della Ferruccia la tomba del pittore

Alfredo Fabbriil figlio Marcello, supportato nella re-alizzazione dell’opera commemorativa da Vanni Melani, nel cui laboratorio Officinae ad Agliana sono state cotte le piastrelle in maiolica, che rivestono la tomba - “Le ho dipinte come se fosse stato mio padre in persona a realizzarle, e credo che lui ne sarebbe

felice”. Pesante ben cinquecento chili e protetta da una lastra di cristallo temprato, l’opera è stata infine com-posta con abilità dai marmisti Attucci di Quarrata, per essere quindi deposta nel cimitero della Ferruccia, alla com-mossa presenza di numerosi parenti ed amici dell’artista.

confronti, mostre tematiche, visite ai vivai e alle eccellenze paesaggistiche del territorio, per un evento che si rivolge agli addetti ai lavori (paesaggisti, progettisti, produttori del verde, esperti e stampa di settore), ma vuole essere anche di divulgazione culturale, proponendo un nuovo modo di pensare gli spazi e la qualità della vita, a partire dalla presenza del verde.

“Il valore di questa iniziativa, è con-fermato dall’attenzione e dalla domanda crescente di qualità ambientale che viene dalla realtà contemporanea – sottolinea la presidente della Provincia, Federica Fratoni - dove il paesaggio è sempre più avvertito come rappresentazione del sociale e iden-tità di un luogo. Vestire il Paesaggio nasce con l’idea di promuovere il patrimonio di esperienze e di eccellenze del territorio

pistoiese, dove le attività vivaistiche e floro-vivaistiche rivestono un ruolo fondamentale, in un contesto internazionale, che coinvolge il mondo scientifico e professionale, pun-tando allo sviluppo, all’innovazione e alla ricerca”.

“Vestire il Paesaggio torna puntualmen-te secondo la cadenza fin dall’inizio prevista – dice il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Ivano Paci - A dispetto della crisi, che attanaglia ormai da troppo tempo la vita economica e sociale del nostro territorio, insieme a quella dell’in-tero paese, l’Amministrazione Provinciale e la Fondazione Cassa di Risparmio hanno voluto tener ferma questa iniziativa, come espressione di fiducia e di determinazione a fronteggiare in modo positivo l’attuale situazione”.

di Silvia Mauro

ALLA BIBLIOTECA SAN GIORGIO

“La nuova grammaticaper comunicare”unedì 29 aprile alle 17, alla biblioteca San Giorgio di Pistoia, Katia Raspollini presenta il volume “La nuova grammatica per comunicare”.Katia Raspollini, che è una delle autrici di questo nuovo “eserci-

ziario grammaticale”, è impegnata da anni su progetti di intercultura ed è docente dell’ Università per stranieri di Siena.Alla presentazione del libro interverranno anche l’assessore alle politiche di inclusione e promozione sociale del Comune di Pistoia Tina Nuti e Tiziana Michelagnoli, della cooperativa Il pozzo di Giacobbe.

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PAPA CLEMENTE IX ROSPIGLIOSIArte e magnificenzatra Pistoia e RomaIl convegno, a cura di Francesca Rafanelli e Carla Michelli Giaccone, è articola-to in due pomeriggi (sabato 27 aprile 2013 a Pistoia e sabato 11 maggio 2013 a Roma) avrà come oggetto delle diverse relazioni, a cura di storici dell’arte di larga attività scientifica, lo studio delle molteplici committente artistiche e devozionali di Papa Clemente IX, al secolo Giulio Rospigliosi. Sulla base di partenza della storia pistoiese si procederà a delineare un vero e proprio ponte culturale e spirituale, creato dalla volontà di papa Clemente IX e dei suoi familiari, tra Pistoia e Roma. Saranno messi in evidenza le diverse per-sonalità artistiche (architetti, organari, pittori, musicisti) che hanno operato in territorio romano e pistoiese in un momento storico particolarmente florido di scambi culturali per la presenza al soglio pontificio del pistoiese Giulio Rospigliosi.Pistoia, Biblioteca Comunale ForteguerrianaSabato 27 aprile, ore 15.30: Francesca Rafanelli, Per servirla sempre di core. Le lettere di Giulio Rospigliosi nella Biblioteca Fabroniana di Pistoia; Carla Michelli, La pittura fiamminga nella collezione Rospigliosi: un paesaggio di Paul Brill; Angela Negro, La collezione Rospigliosi; Iacopo Cassigoli, L’iconografia della Madonna dell’Umiltà nelle committenze Rospigliosi. A seguire, ore 18 visita al Museo Clemente Rospigliosi, Palazzo di Ripa del SaleRoma, Antico Hotel RospigliosiSabato 11 maggio ore 15.30: Francesca Rafanelli, Il sogno artistico di Bati Rospigliosi. L’omaggio di Pistoia a Clemente IX; Carla Michelli, La pittura fiam-minga nella collezione Rospigliosi. Nuovi contributi; Marco di Lenola, Monumenti dell’arte organaria tra Pistoia e Roma; Sebastiano Roberto, Bernini e Clemente IX; Perla Cappellini-Laura Dominici, Feste per l’elezione di papa Clemente IX.Domenica mattina, visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore

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12 n. 17 28 Aprile 2013 LaVita

Calcio - Basket

Tempi Supplementaridi Enzo Cabella

l Pistoia Basket si prepara per i playoff. Possibilmente vuole arrivarci da prima in classifica. Lo è anche adesso, ma solo virtualmente, perché l’altra capofila

Barcellona, che pure ha gli stessi punti della formazione pistoiese, in realtà è prima per aver vinto entrambi gli incontri diretti con la squadra di Moretti. Ma che la società bianco-rossa abbia serissime intenzioni di affrontare al meglio i playoff lo dimostra il fatto che ha ingaggiato il lungo Diego Fajardo, 37 anni, alto 208, spagnolo naturalizzato italiano. Giocatore di grande esperienza, profondo conoscitore del basket nostrano (ha giocato in ben dieci squadre italiane), Fajardo va a rafforzare il reparto lunghi della squadra biancorossa, alternandosi con i senatori Toppo e Galanda e il giovane Borra. Dopo le sconfitte con Trento e Barcellona, il Pistoia Basket è tornata a vincere, anzi a stravincere, superando Jesi di venti punti. Mancano, alla fine della ‘regular season’, tre partite: giovedì 25 la squadra biancorossa ha giocato a Bre-scia, domenica 28 ospiterà al PalaCarrara la squadra siciliana di Capo d’Orlando e poi il 5 maggio andrà a Veroli. Tre partite che saranno un testa a testa tra Pistoia e Barcellona, da cui Moretti e i suoi si propongono di uscire con il primo posto assoluto. La Pistoiese ha continuato il suo periodo d’oro che l’ha portata a conquistare la quarta

piazza della zona playoff. Eppure, domenica scorsa contro la Bagnolese ultima in classifica, la squadra arancione ha rischiato addirittura di perdere. Fino al minuto 27 del secondo tempo il punteggio vedeva la squadra emi-liana in vantaggio per 3-2. Poi sono esplosi il brasiliano Toledo e l’ex bulgaro Floriano che hanno ribaltato il risultato a favore della squadra di Morgia. Che cosa era successo per aver rischiato così tanto? Dopo un inizio brillante, la Pistoiese ha smesso di giocare, accusando psicologicamente le tre reti che la Bagnolese ha segnato nel giro di 14 minuti. Una pazza Pistoiese che è passata dalla gioia allo sconcerto per l’imprevedibile rimonta della squadra ospite fino alla goduria per le reti di Toledo e Floriano. Il risultato di 4-3 ha portato con sé un urlo liberatorio che ha cancellato la paura (l’incubo?) di una sconfitta che ha pesato minacciosa sulla squadra e i tifosi. La causa di questo preoccupante calo di rendimento? Mancanza di concentrazione, stress e fatica che cominciano a pesare sulla mente e sui muscoli, convinzione di aver fa-cilmente ragione della cenerentola emiliana, presunzione? Probabile che si sia trattato di una miscela di tutto questo. Fatto sta che, a due giornate dal termine, non deve più succe-dere, proprio ora che la squadra è vicinissima a guadagnarsi i playoff.

è anche monsignor Giordano Frosini (nella foto), illustre e stimato teologo nonché direttore de “La Vita”, tra i premiati del “Memorial Giampaolo

Bardelli”. Un riconoscimento più che meritato a chi ha vissuto per i valori, che oggi mancano nella nostra società ma sono perseguiti dal prestigioso premio. Il “Memorial”, giunto alla 29° edizione, sta cambiando, come si è appreso nel corso della conferenza stampa del “Gruppo Sportivo Giampaolo Bardelli per lo sport etico”, organizzatore dell’evento. La cerimonia di premiazione 2013 si terrà sabato 1° giugno all’Hotel Villa Cappugi di Pistoia: inizierà alle 9, alla presenza, tra gli altri, del presidente della Regione Tosca-na Enrico Rossi e del sindaco della città Samuele Bertinelli, del presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini e del rettore dell’Università di Firenze, Alberto Tesi da Lamporecchio, con l’attribuzione dei premi alle “Eccellenze Pistoiesi”: l’Ansaldo Breda, con l’amministratore delegato Manfellotto, l’av-vocato Giampiero Ballotti, il poeta Roberto Carifi, lo scrittore Alberto Cipriani, l’Ecm dei fratelli Mario e Roberto Cappellini, la presidente della Provincia Fratoni, la Fondazione Cassa di Risparmio di Pi-stoia e Pescia con il presidente Ivano Paci, l’attrice Laura Galigani, il docente universitario Giorgio Pe-tracchi, il vivaista Vannino Vannucci, Antonio Vermigli, inventore della “Marcia della pace e per la Giu-stizia” e monsignor Frosini appunto, elogiato pubblicamente dall’organizzatore Renzo Bardelli. Non più un Memorial solo premio a chi compie atti tangibili nella lotta al doping, ma pure a chi ha dato lustro a Pistoia. Saranno insignite anche le associazioni Dynamo Camp, “Un raggio di luce”, “Voglia di vivere” e “Oltre l’orizzonte”. Alle 15 si passerà al “Memorial” vero e proprio, che avrà inizio con un commosso ricordo della “freccia del Sud” Pietro Paolo Mennea, e con il filmato della premiazione a Coverciano del ct dell’Italcalcio Cesare Prandelli. Per lo sport pulito la popolare brocca andrà ad Antonio Costantino e Carlo Delfino, medici di Reggio Calabria e Varazze, Cristiano Gatti, giornalista, Alfredo Martini, “monumento” dello sport del pedale, Vincenzo Nibali, ciclista, Stefano Palazzi, pm della Figc, e Filippo Simeoni, ex corridore. Premiati Salvatore Cultrera ed Ettore Biagini dei Veterani dello Sport toscani, i ciclisti 80enni Sante Ranucci, Loriano Sgherri e Modiano Freschi e il Comune di Calci, col sindaco Bruno Possenti, per “La pedalata della legalità”.

Gianluca Barni

INIZIATIVE

Don Frosini insignito del “Memorial Bardelli”

C’ I

spor t pistoiese

re palazzine composte da cinquan-tadue appartamenti, uno sportello bancario, il bar, una parrucchiera, un grande parco verde dove i

bambini potranno giocare, un campo da bocce, il supermercato vicino, la confinante Chiesa della Vergine e tanta solidarietà. Que-sto è il progetto della Cittadella Solidale che, al Parco della Vergine, vedrà il suo concretiz-zarsi nel giro di due anni. I lavori iniziati alla fine dello scorso anno, dopo che la grande tettoia di cemento è stata demolita, stanno procedendo e il sogno del presidente della Misericordia Cav. Aligi Bruni giorno dopo giorno sta diventando una realtà. Molti sono i protagonisti che hanno voluto ed hanno con-tribuito al realizzarsi di questa opera: il segre-tario della Misericordia Roberto Fratoni, gli architetti Filippo Alessi e Alessio Alessi, il ge-ometra Paolo Benedetti, l’imprenditore edile Giancarlo Giusti ed infine, ma non ultimo, il presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio che ha contribuito alla realizzazio-ne della Citta-della stanziando un importo considerevole, quattro milioni di euro, su di un totale di spesa che è stato pre-ventivato per nove milioni. Un

progetto che riempie di orgoglio tutti coloro che lo stanno realizzando, anche perché la struttura non offre soltanto la possibilità di affittare un appartamento a canone conven-zionato, e quindi molto accessibile, ma avere da parte della Misericordia aiuti concreti come quello di mangiare alla mensa insieme a coloro che fanno servizio di volontariato. Tutte soluzioni che servono a non sentirsi soli e a socializzare. Gli appartamenti saran-no riservati a coppie giovani e a persone anziane che hanno superato i 65 anni con redditi compresi tra 14 e 36 mila euro annui. Un progetto sociale realizzato pensando al “prossimo” e che sembra non essere simile a nessun altro nel panorama nazionale. In un momento in cui la crisi economica attanaglia molte famiglie, questa meritevole iniziativa edilizia ha tutte le carte in regola per essere considerata una vera e propria opera di mi-sericordia.

La “Cittadella solidale” della Misericordia

di Pistoiadi Alessandro Orlando

T

a redazione del settimanale “La Vita” si associa al dolore della famiglia Benesperi, per la prematura scomparsa di Chiara.Figlia del grande ufficiale Renzo Benesperi, conosciutissimo per il suo impegno nell’ambito del vivaismo, Chiara ha dedicato la sua vita al lavoro sociale e all’assisten-

za dei diversamente abili.Diplomata operatore dei servizi sociali all’istituto Morante di Firenze, Chiara aveva infatti lavo-rato per diversi anni in una cooperativa sociale di Galceti, assistendo i bambini con disabilità.Il suo ultimo gesto di amore per gli altri è stato compiuto dalla stessa famiglia che, seguendo una precisa volontà di Chiara, ha donato i suoi organi.

Vicini al doloredella famiglia Benesperi

L

critta a Pistoia la pri-ma tesi di master de-dicata all’immigrazio-ne cinese in Italia, da

parte di Christina Monique Themar, 34 anni, originaria del Wisconsin ma quasi pistoiese d’adozione, in quanto ha sposato l’architetto Stefano Tronci di Serravalle pistoiese. La tesi è stata discussa a Pe-chino alla Tsinghua University, l’ateneo più importante in Cina, equivalente di Harward per l’America, ottenendo il massimo dei voti. La giovane coppia vive da alcuni anni a Pechino, dove Stefano segue importanti progetti e dove Christina è intenzionata a lavorare nell’ambito della cooperazione internazionale dell’Onu. Laureata in Usa in Relazioni internazionali e

ORGOGLIO ARANCIONE

Da Pistoia un’americanaracconta la Cina

Scienze politiche, Christina ha lavorato in Giordania e Mongolia, oggi parla sei lingue compreso il cinese.

Il lavoro svolto è consisti-to in una ricerca conoscitiva per raccontare in Cina come vivono i loro connazionali e gli immigrati irregolari, con interviste a cittadini cinesi e non, realizzate a Prato, Firen-ze e Milano: 41 gli stranieri complessivamente intervistati,

39 italiani fra professionisti, volontari, giornalisti, ma anche nove clandestini. Al lavoro di tesi è stata allegata una ricca documentazione legislativa, per la quale la dottoressa Themar ha ricevuto l’apporto della questura di Pistoia. Nel lavoro si parla anche del com-plesso sistema per riuscire a trovare un lavoro regolare in Italia.

Leonardo Soldati

S

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1328 Aprile 2013 n. 17VitaLa dall’Italia

ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO

Concorrenza mitigata da regole

di Costantino Coros

ompetitività e compe t en z a . Quale crescita per l’Europa del

futuro?” è stato il tema, dibattuto il 17 aprile a Roma presso l’Università Lateranense.

prima la persona“L’insegnamento sociale della Chie-sa manifesta a più riprese alcune riserve circa la concorrenza”, ha detto, nel suo intervento introdut-tivo, Giovanni Manzone, ordinario di dottrina sociale presso la Pon-tificia Università Lateranense. “Per esempio, la ‘Quadragesimo Anno’ di Pio XI (1931) afferma che entro certi limiti è giusta e certamente vantaggiosa”, ma sottolinea “che non può essere un adeguato principio di controllo degli affari economi-ci”. “Lo stesso pensiero - spiega il docente - si trova nella ‘Mater et Magistra’ (1961) di Giovanni XXIII, dove si dice che non può essere presa come legge suprema che regola le relazioni economiche tra gli uomini”. Il medesimo concetto è ribadito da Paolo VI, nella “Populo-rum Progressio” del 1968 “quando critica alcuni aspetti del capitalismo liberale includendo la competizione come la legge suprema della teoria economica”. Questi pronunciamenti non sono una diretta condanna della concorrenza, ma evidenziano il bisogno che ci siano dei limiti, specialmente nella competizione internazionale dove i Paesi più po-

veri sono maggiormente penalizzati. Infatti, “già nella ‘Mater et Magistra’, Giovanni XXIII affermava che la libera concorrenza senza limiti è assolutamente contraria alla natura umana e alla concezione cristiana della vita”. Nelle encicliche, si parla e si mettono in guardia le persone, da quella forma di concorrenza senza limiti che esclude ogni considerazio-ne del bene comune e del servizio al prossimo, come affermato nella “Quadragesimo Anno” dove si dice che “forme distorte di concorrenza eliminano i principi più nobili del vivere quali: la giustizia e la carità so-ciale”. Per Manzone, il problema della concorrenza può essere sintetizzato richiamando quanto viene riportato nella ‘Populorum Progressio’, preci-samente dove viene detto che “non è che si debba o voglia prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza, si vuole soltanto dire che occorre mantenerlo entro limiti che lo rendono giusto e morale, cioè umano”.

servono regole“Una componente essenziale

dell’economia sociale di mercato è la concorrenza”, ha detto Katja Christina Plate, direttrice della rappresentanza italiana della Fon-dazione Konrad-Adenauer-Stiftung. “Il concetto di concorrenza è ricco di sfaccettature” e la Fondazione Adenauer “la intende come una condizione governata da regole” proprio per evitare il rischio di tro-varsi di fronte a situazioni di “con-correnza totalmente sfrenata, incline a pratiche scorrette, che gravano sul consumatore attraverso cartelli e monopoli”. Invece “la concorrenza va intesa come garanzia di libertà”.

valori e merCatoConsiderando la concorrenza come un dato di fatto, Nicola Rossi, ordi-nario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha affermato che “la regola è un limite al potere, sia che prenda la forma del sovrano o del monopolista, non all’esercizio del cittadino delle pro-prie attività. Le leggi, che tutelano la concorrenza, se sono ben fatte, non impediscono a me di farla, ma impe-discono ad altri d’impedirmi di farla”.

Per Enzo Di Nuoscio, ordinario di filosofia della scienza all’Università del Molise, “la concorrenza può diventare il più potente fattore di produzione della conoscenza, in-centivo all’innovazione, benessere sociale e soprattutto di solidarietà verso i più poveri a condizione che ci sia uno stato di diritto forte in grado di porre delle regole. Tutto questo ruota intorno ai principi di libertà, solidarietà e legalità”. Dario Antiseri, membro del Comitato scientifico della Scuola Internazionale Alti Studi del Collegio San Carlo di Modena, ci-tando il pensiero di Wilhelm Röpke, uno dei padri fondatori dell’econo-mia sociale di mercato, ha ricordato che “il mercato è una macchina che si può rompere se non è sorretta da valori che si trovano al di fuori di esso che sono: autodisciplina, senso di giustizia, onestà, cavalleria, spirito di colleganza, moderazione, saldo va-lore morale, rispetto dignità umana. Tutte qualità che gli uomini devono già possedere quando fanno il mer-cato e provvedono alla concorrenza. Detti valori si formano nella famiglia, nella Chiesa e nelle comunità”.

“C

Felicitazionidella Chiesa

italianacco il messaggio inviato dalla Presidenza della Conferen-za Episcopale Italiana al Presidente della Repubblica

Italiana Giorgio Napolitano, in occasione della sua rielezione a Capo dello Stato.

Signor Presidente,Le esprimiamo di cuore le nostre felicitazioni nel momento in cui Lei, avendo dato la Sua esemplare di-sponibilità da molti richiesta, è stato confermato Capo dello Stato.Nel farLe sentire la nostra vicinanza e partecipazione avvertiamo il peso della responsabilità che l’incarico con-feritoLe porta con sé, specialmente in quest’ora della storia. Sono, infatti, molteplici gli elementi che sembrano oggi indebolire il riconoscimento del senso della comune appartenenza.La gente e le famiglie vivono la crisi economica che, a sua volta, rimanda a una crisi più profonda e generale; essa tocca le radici stesse dell’uomo. È crisi sociale ed è crisi politica, che emerge in contrapposizioni radicali, nella scarsa partecipazione e nella fatica a raggiungere consenso. Tutto ciò fa di questo un tempo di scelte impegnative, che richiedono la consapevolezza e la capacità di co-gliere le risorse e le reali opportunità per sviluppare una rapida e incisiva ripresa. Del resto, la misura dell’au-tentica politica si riconosce nella sua capacità di interpretare la società e di ragionare in termini di sviluppo stori-co e non all’insegna della contingenza, restituendo priorità alla riflessione pacata, al confronto, alla mediazione alta; nell’affrontare seriamente quanto ha a che fare con la vita quotidiana della nostra gente.La risposta migliore alla stanchezza e alla disillusione passa dal rispetto della democrazia e, quindi, dalla fedeltà ai principi della Costituzione, che ha il suo cardine nella centralità della persona e impegna a garantire a tutti lavoro, speranza e dignità.L’esperienza cristiana ha sempre avuto una dimensione e una valenza pubbli-ca: i valori del Vangelo, incarnati nella partecipazione attiva di tanti fedeli laici alla vita pubblica, hanno contribu-ito a costruire una società più umana, oltre che ad arricchire il tessuto della Comunità nazionale, portando frutti di cultura, di carità, di sostegno dei diritti fondamentali della persona.All’uomo, infatti, è diretto il servizio della Chiesa come quello dello Stato, nella piena distinzione e autonomia, nonché nella reciproca e leale collabo-razione per il bene dell’intero Paese. Come abbiamo ribadito in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, la coesione politica e istituzionale include un’unità interiore e spirituale che merita di essere perseguita come contributo vitale offerto a tutta la Nazione. Il nostro cordiale augurio è che, sotto la Sua rinnovata Presidenza, il Paese possa crescere nell’autentico progresso, in una stagione di effettiva e corale disponibilità, avendo come supremo obiettivo quello di servire il bene comune.Signor Presidente, Le siamo vicini con la nostra preghiera, confermando il leale e generoso contributo della Chiesa che vive nell’amata Italia.

RIELEZIONE DI NAPOLITANO

Il messaggio fortee commosso al Parlamento

a sua rielezione, scandisce chiaro Napolitano, non è un lieto fine ma l’ennesima delicatissima stazione del

calvario in cui s’è avvitato il Paese: «Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale», spiega, «perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di emer-genza che l’Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente».

«Politica sterile» - La diagnosi tracciata da Napolitano è chiara: «Convenienze, tatticismi e strumen-talismi» da parte di tutti i partiti han-no condannato «alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento». «Imperdonabile», usa proprio questa parola, «resta la mancata riforma della legge elettorale che ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare». Stesso richiamo sulle riforme costituzionali: «Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Co-stituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo

soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale».

Ai grillini: «Guai a contrapporre la piazza al Parlamento» – C’è n’è anche per il Movimento 5 Stelle. Il Capo dello Stato apprezza l’ impe-gno per il cambiamento dei grillini ma indica loro la giusta via, che è quella, spiega, di una «feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può, d’altronde, reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali sto-ricamente sono da ben più di un se-colo e ovunque i partiti». Napolitano “smonta”, in parte, anche il mito di Internet come base della nuova de-mocrazia: «La rete», spiega, «fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democra-tica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vin-colare all’imperativo costituzionale del “metodo democratico”».

Antonio Sanfrancesco(Sintesi dal sito

di “Famiglia Cristiana”)

LE

paritario». Nessun’alternativa alle larghe

intese – Criticati i partiti, ora è tempo di guardare avanti. Per Napolitano quelli dei “saggi” sono «documenti di cui non si può negare, se non per gusto di polemica intellettuale, la serietà e concretezza». Ed è da quei documenti, scandisce, che bisogna ripartire per un governo basato «tassativamente sull’intesa tra forze diverse». Come dire, mettetevi in cuore il pace, non c’è alternativa alle larghe intese e io, nei limiti dei miei poteri, lavorerò in questa direzione. Poi precisa: «Sulla base dei risultati elettorali, di cui non si può non pren-dere atto, piacciano oppur no non

c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospet-tiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni». «Essi indicano tassa-tivamente - aggiunge Napolitano - la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascu-rando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare

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14 n. 17 28 Aprile 2013 LaVitadall’italiaItalia ha perso negli ultimi 20 anni il 15% della terra coltivata per effetto della ce-

mentificazione e dell’abbandono provocato da un modello di svi-luppo sbagliato che ha costretto a chiudere 1,2 milioni di aziende agricole nello stesso arco di due decenni. Inoltre, nel 2012, si regi-stra un aumento del 9% (rispetto al 2011) delle famiglie che hanno chiesto aiuto per mangiare: circa 3,7 milioni di persone assistite con pacchi alimentari e pasti gratuiti nelle varie mense (Caritas e altre organizzazioni di solidarietà). Sono gli allarmi lanciati dalla Coldiretti in occasione della 43ª Giornata mon-diale della terra che si è celebrata il 15 aprile in tutto il mondo. Abbiamo intervistato Sergio Ma-rini, presidente nazionale della Coldiretti.

La popolazione mondia-le aumenta, insieme alla temperatura globale, con gravi danni per l’agricoltura e l’alimentazione. Perché è importante celebrare la Giornata della Terra?

“Da agricoltori che vivono la terra in primissima persona pen-siamo che la difesa della terra sia fondamentale, non solo dal punto di vista ecologico ma anche sociale. Tra una ventina d’anni mancherà cibo nel mondo. Dobbiamo porci il problema da un punto di vista economico e sociale. Il tema delle emissioni di CO2 è affrontato, discusso ma mai risolto. Poi ri-schiamo di giocarci la biodiversità. Perciò è fondamentale che si cele-bri una Giornata che aumenta for-temente la sensibilità dei cittadini in tutto il mondo, sperando che anche le politiche rispondano a questa nuova attenzione. In questo senso ho l’impressione che si sia un po’ persa, purtroppo a causa della crisi economica globale, la voglia di rimettere al centro questo tema”.

In 20 anni l’Italia ha per-so il 15% delle terre coltiva-bili: quali ripercussioni?

“L’Italia importa il 40% del cibo che consuma, sarebbe un’operazio-ne un po’ criminale perdere altro terreno fertile. In una prospettiva globale in cui mancherà il cibo, perché aumenterà la popolazione mondiale e i Paesi emergenti con-sumeranno di più, o perché ci sarà la contrapposizione dell’uso di col-tivazioni per fini alimentari o per le bioenergie, i prezzi saliranno. I Pae-si come l’Italia, abituati a importare, avranno dei problemi. La cementi-ficazione è poi un danno anche per gli aspetti di rischio idrogeologico, frutto di una mancata cura del territorio. Si sono perse terre coltivabili anche a causa dell’abban-dono per mancanza di convenienza economica. In aree fortemente marginali, dove mancano i servizi, è difficile fare agricoltura. In quelle situazioni sarebbe invece impor-tantissima la presenza di persone, famiglie, imprese che garantiscano la manutenzione del territorio”.

Però, allo stesso tempo, si sta verificando un ritorno dei giovani all’agricoltura: può essere un potenziale

GIORNATA DELLA TERRA

Rimettere al centroquesta attenzione

uello che ci preme di più è ribadire che, special-mente nei

momenti di crisi economica, è necessario avere il coraggio e la lucidità d’investire in educazione, ricerca e innovazione”. Sono parole di Rolf-Dieter Heuer, direttore generale del Cern di Ginevra, il Centro europeo per la ricerca nucleare, vero luogo di sperimentazione e innovazione, il più grande laboratorio mondiale di fisica fondamentale e “una delle più alte intuizioni di un’Europa che voleva riemergere dal disa-stro della seconda guerra attra-verso un cammino comune di co-noscenza”, come spiega sempre Dieter Heuer.Un articolo del direttore del Cern è ospitato sul “Corriere della Sera” di lunedì 15 aprile, per riflettere sull’utilità o meno di una grande scoperta scientifica come quella del Bosone di Higgs. È in questo contesto - nel quale si accenna al fatto che talvolta la ricaduta delle innovazioni nella vita quotidiana non è immediata e tuttavia l’impatto della ricerca sul

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In 20 anni l’Italia ha perso il 15% delle terre coltivabili. Sergio Marini, presidente

nazionale della Coldiretti: “È fondamentale che si celebri una

Giornata che aumenta fortemente la sensibilità dei cittadini in tutto il mondo,

sperando che anche le politiche rispondano a questa nuova attenzione”. In futuro

“i Paesi come l’Italia, abituati a importare, avranno dei problemi”

di Patrizia Caiffa

tati, almeno una volta, da 21 milioni di italiani. È già un fenomeno di massa. La cultura della sana e cor-retta alimentazione, del valore del territorio e dell’ambiente che sta dietro al nostro progetto sta diven-tando un fenomeno diffuso”.

Di contro, voi denun-ciate l’aumento di famiglie costrette a chiedere aiuti alimentari. Un dato molto grave...

“Il cibo è purtroppo un misu-ratore inquietante delle difficoltà delle famiglie. Ci preoccupa la maggiore richiesta. Se le famiglie si rivolgono sempre di più ad as-sociazioni che operano in questo settore è evidente che il problema è serio. Ci sono troppe famiglie senza una fonte di reddito, pensioni troppo basse, troppi disoccupati. Il tessuto sociale che rimediava a inefficienze e iniquità dello Stato rischia di essere messo in discus-sione. Stiamo diventando un’Italia con tanta differenza tra i ceti so-ciali, una differenza che si fa sentire molto perché ci sono poveri veri”.

Come valuta l’azione complessiva dell’ambienta-lismo cattolico?

“Penso che oggi il tema sociale abbia un po’ preso il sopravvento su quello ambientale. Questo è un peccato, perché i due temi sono collegati. Probabilmente i cattolici dovrebbero e potrebbero fare molto di più sull’ambiente che è il tema del futuro, importante quanto il tema sociale, che riguarda invece la nostra generazione”.

CONTRO LA CRISI

Investire sull’intelligenzaRicette convergenti dal direttore del Cern e dai “saggi”

di Alberto Campoleoni

mondo sociale e sulla qualità della vita delle persone è inevitabile - che si trova la sottolineatura sulla necessità d’investire in educazio-ne, ricerca, innovazione. Un invito più che mai attuale nella nostra società, dove talvolta si affronta la necessità di economizzare, di evitare gli sprechi, con poca at-tenzione proprio agli aspetti “im-materiali”, dei quali non si vedono vantaggi immediati. Per questo non servirebbero, se ne può fare a meno... tagliamo!Il direttore del Cern ricorda, invece, che il futuro di una socie-tà dipende dalla sua capacità di guardare proprio gli aspetti imma-teriali, di puntare su educazione e scuola, sulla possibilità d’innovare e trasformare - domani, preva-lentemente - le strutture faticose della quotidianità.Un altro passo nella stessa di-

rezione è suggerito dal recente documento dei cosiddetti “saggi” voluti dal presidente Napolitano, documento che muove dall’emer-genza economico-finanziaria dell’Italia, ma non dimentica i temi dell’istruzione Tra l’altro sottoli-nea: “Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecno-logie, per favorire l’innovazione e l’aumento della produttività. Di conseguenza, migliorare le per-formance dei sistemi d’istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese”. Da qui a indicare il “come fare”, ci passa molto, anche

se i saggi qualche suggerimento lo danno (a cominciare dalla lotta all’abbandono scolastico promuo-vendo maggiormente il tempo pieno e dall’aumento “consisten-te” dei fondi per il diritto allo studio), tuttavia non sfugge l’im-portanza della presa di posizione, che rilancia il settore educativo/scolastico e della ricerca come strategico per il Paese, bisognoso di investimenti e non di ulteriori tagli di risorse.Massimi sistemi, verrebbe da dire. Ma non scontati, viste le sofferen-ze patite proprio da scuola e uni-versità negli ultimi anni. In attesa che l’Italia si sblocchi dalla crisi anzitutto politica che la immobi-lizza, la riflessione del direttore del Cern, come i suggerimenti dei saggi, potrebbero risultare prezio-si “cartelli indicatori” per la strada da seguire in vista della ripresa.

motore di sviluppo?“È vero. Nelle aree tradizionali

dove non ci sono disagi particolari si nota un ritorno all’agricoltura perché in momenti di crisi l’eco-nomia reale conta di più. In Italia sta saltando il modello di sviluppo fondato sulle grandi industrie, sulle economie di scala, sulle produzioni a basso prezzo per competere. Prende piede, invece, il modello dell’Italia che fa l’Italia, mettendosi in competizione con prodotti di grande qualità fortemente ancorati al territorio. Sappiamo quali sono i punti di forza del Paese: territorio, cultura, storia, paesaggio, cibo e creatività. Questi aspetti creano un nuovo paradigma dello sviluppo dove c’è più cibo e più agroalimen-tare. Non a caso il cibo, dal punto di vista dell’esportazione, dell’oc-cupazione, del fatturato, dà risultati soddisfacenti, perché è rappresen-tativo di un nuovo potenziale di sviluppo del Paese”.

Materie prime a Km zero, orti domestici... questi nuovi modelli salveranno l’Italia?

“Questi nuovi modelli aiutano molto a comprendere il valore del cibo come bene comune, cultura, territorio, tradizione, identità e ambiente. Km zero significa alimen-tarsi meglio, creare lavoro e occu-pazione nel territorio, spendere di meno per i trasporti e inquinare di meno. C’è un concetto di qualità della vita e di sostenibilità molto più ampio. È un modello di vita che cerca di coniugare crescita, sviluppo, con la qualità e il benes-sere. Utilizzare prodotti non Ogm

significa mantenere la biodiversità, un’ancora lanciata verso il futuro. Sono modi per rappresentare

un’Italia diversa che ce la può fare, iniziando dalle piccole cose. I nostri farmer market sono stati frequen-

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1528 Aprile 2013 n. 17VitaLa

Dal mondo

dall’estero

ella cattedrale anglicana di St. Paul’s, a Londra, il 12 aprile, mon-

signor Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e primate cattolico d’Inghil-terra e Galles, ha parlato del bene comune come via di uscita dalla crisi finan-ziaria. Il suo intervento, il primo di una serie di tre, è stato organizzato dal dipar-timento di educazione della cattedrale.

il Cristianesimoper UsCire dalla CrisiÈ da tempo che il mondo della City cerca nel cristiane-simo una via di uscita dalla crisi del 2008. Per questo, il 18 settembre scorso, durante un convegno a Londra, la Chiesa cattolica ha lanciato l’iniziativa “A blue print for better business”, “Un progetto per il mondo degli affari”, (www.blueprintforbusiness.org), che propone l’idea del bene comune come soluzio-ne dei problemi di oggi. Nel primo dei tre incontri è stato affrontato il tema del “Ruolo delle persone di buona vo-lontà”. Dopo l’arcivescovo di Westminster, sono intervenuti

INGHILTERRA E GALLES

Il bene comuneirrompe nella City

Il primate cattolico, Nichols, affronta la crisi finanziariadi Silvia Guzzetti

anche Tracey McDermott, responsabile per il settore criminalità della “Financial Standards Authority”, l’ente pubblico che regola, in Gran Bretagna, il settore finan-ziario; l’avvocatessa Helena Kennedy e l’ex vescovo di Worcester Peter Selby.

li organizzala Cattedrale di st. paUl’sLa serie di tre incontri sono stati organizzati dal St. Paul’s Institute, il dipartimento che si occupa del settore educa-zione nella cattedrale anglica-na. Il prossimo appuntamento sarà il 7 maggio, dedicato al tema dei “Buoni soldi” ovvero dell’influenza positiva o nega-tiva del denaro. A intervenire saranno l’economista Robert Skidelsky, il banchiere Andrew Bailey, l’esperta di economia Ann Pettifor e il consulente

di finanza islamica Tareq El Diwany.

parlerà anChe il primateangliCanoIl 12 giugno a intervenire sul tema di “Buone banche” sarà l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, che con un pas-sato di manager nell’industria del petrolio è un esperto di questa materia. Alla di-scussione che seguirà le sue parole parteciperanno Shirley Williams, baronessa, tra le fondatrici del partito social-democratico e Antony Jenkins, direttore generale del gruppo bancario Barclays.

la Crisi Come opportUnitàNel suo intervento del 12 aprile, l’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, ha analizzato le ragioni

della crisi economica che andrebbero ritrovate nella perdita del bene comune come obbiettivo di leaders e aziende. Il crollo finanziario offre, secondo Nichols, l’op-portunità di recuperare quei valori cristiani così da guidare gli individui e, di conseguen-za, anche le comunità alle quali appartengono, verso una convivenza dove fiorisca il benessere di tutti. Come esseri umani, ha ricordato l’arcivescovo, ci realizziamo in rapporto agli altri e a Dio che è, a sua volta, una comu-nione di persone. Una realtà centrale nella visione giudai-co-cristiana dell’umanità.

il bene ComUne tradito dalla nostra epoCaQuesto ideale è stato tra-dito dall’epoca nella quale viviamo che celebra, al con-

N

L’Onu spunta le armial traffico di missili

e cannonistata definita una misura storica, in realtà è solo un primo passo verso

un mondo con meno violen-za. Ma comunque un passo importante quello dell’As-semblea delle Nazioni Unite che, con una schiacciante maggioranza (154 Paesi a favore, tre contrari e 23 aste-nuti), ha adottato il primo Trattato internazionale sulla compravendita delle armi convenzionali.

Di rilievo e forse davvero storico è il sostegno fornito dagli Stati Uniti, tra i pro-motori del documento con altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza come Francia e Gran Bretagna, il cui via libera è arrivato so-prattutto grazie alla svolta impressa dal presidente Ba-rack Obama. A salutare con particolare soddisfazione la positiva conclusione delle trattative all’Onu è l’Italia, che ha definito l’accordo “forte, equilibrato e realistico”.

Lo sforzo globale per regolamentare il multimi-liardario commercio delle armi aveva subito una battuta d’arresto negli ultimi giorni prima del voto delle Nazioni

È

Unite, quando Iran, Corea del Nord e Siria hanno impedito il raggiungimento di un accor-do unanime. Senza sorprese quindi il no dei tre Paesi, moti-vato con il fatto che il trattato sarebbe discriminatorio nei loro confronti. Tra gli astenuti invece ci sono i principali esportatori, come Russia e Cina, e Paesi compratori come Cuba, Venezuela e Bolivia.

Il documento – la cui ado-zione è stata salutata dall’As-semblea Generale con un lungo applauso – definisce per la prima volta gli standard internazionali per la compra-vendita delle armi, legandoli al rispetto dei diritti umani: non controlla l’uso domestico, ma richiede che gli Stati membri si

dotino di normative nazionali sul trasferimento delle armi convenzionali, tra cui carri armati, aerei e navi da guerra, veicoli da combattimento, artiglieria, elicotteri, missili, razzi a lunga gittata, ma anche fucili, pistole e munizioni. È previsto inoltre il divieto, per gli Stati che ratificano il tratta-to, di trasferire armi in caso di violazione di un embargo, atti di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Per autorizzare o meno l’esportazione, il testo sta-bilisce che ogni Paese dovrà valutare se le armi potrebbero essere usate per violare i diritti umani o utilizzate da terroristi o membri della cri-minalità organizzata.

Primo passodelle Nazioni

Unite peril controllo

del commerciointernazionale

di Angela Carusone

I l segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha accolto con favore l’adozione del trattato, affermando che “è una vittoria per la gente nel mondo”.Il documento, ha sottolineato, “renderà più difficile l’utilizzo di armi letali da parte di criminali, terro-risti e signori della guerra”. “Sarà uno strumento nuovo e potente per prevenire gravi violazioni dei diritti umani e fornirà la necessaria spinta verso il disarmo globale e la non proliferazione”, ha ag-giunto, congratulandosi con gli Stati membri “per la loro disponibilità a giungere a un compromesso su una serie di questioni complesse renden-do cosi’ possibile la stesura di un testo equilibrato e ro-busto”, ma soprattutto per la società civile per il ruolo fon-damentale svolto nelle lunghe trattative che hanno portato all’approvazione del testo.

Gli Stati ratificheranno il trattato a partire dal mese di giugno, e il documento entrerà in vigore con la firma di almeno cinquanta Paesi. A salutare positivamente gli atti-visti di Amnesty International, secondo cui il trattato votato dall’Onu “dimostra come la

gente comune che ha a cuore la tutela dei diritti umani può combattere per fermare la lobby delle armi e salvare tan-te vite”. Tra i massimi opposi-tori del documento c’é infatti la National Rifle Association (Nra), potentissima lobby statunitense, che ha definito il trattato un attentato al diritto sancito nel secondo emenda-mento della Costituzione Usa, quello che garantisce a tutti il possesso di pistole e fucili per la legittima difesa. “La voce della ragione ha trionfato sugli scettici, e ora chiediamo al presidente Obama di essere il primo a firmare il documento, il prossimo 3 giugno”, hanno affermato ancora gli attivisti di Amnesty International in un comunicato.

Per gli esperti tuttavia è difficile dire che impatto avrà il trattato sul commercio globale delle armi, soprattutto nel breve periodo. In situa-zioni di conflitto come quella attualmente in corso in Siria, ad esempio, è improbabile che il testo avrà effetto sulla fornitura di armi al governo di Damasco, proveniente in gran parte dall’Iran, che si è opposto al documento, e dalla Russia, che si è astenuta.

trario, la libertà individuale volta a perseguire il proprio interesse, pur dentro i confini della legge. In realtà - e la crisi economica ne è stata la dimostrazione lampante – la concentrazione sul tornaconto individuale ha portato all’atro-fizzazione dei beni comuni che una volta guidavano il mondo degli affari e ha inde-bolito istituzioni importanti e intermedie come la famiglia, che si trovavano a metà stra-da tra il mercato e lo Stato.

Come si pUòCambiare?“All’indomani della crisi come possiamo non ripetere questi errori del passato?”, si è chie-sto l’arcivescovo di Westmin-ster. Il primate cattolico ha così parlato della necessità di rafforzare le istituzioni della società che promuovo-no le virtù cristiane e che ci aiutano a diffondere il bene, come famiglia e scuola, e ha detto che anche il mondo del commercio può promuovere il carattere delle persone, se guidato dai valori giusti. Perché questo avvenga sono necessari leader ricchi di quel-le virtù cristiane che promuo-vano, anche nelle aziende, il bene comune.

londra e gli immigratiGli immigrati provenienti dall’Unione europea e giunti nel Regno Unito saranno privati dei sussidi di disoccupazione se non troveranno un impiego nel tempo di sei mesi dall’arrivo sull’isola, inoltre, dopo sei mesi anche i diritti per ottenere prestazioni dalla sanità pub-blica saranno ridotti in misura ragguardevole. Il premier David Cameron ha dichiarato che gli europei immigrati in Gran Bretagna dovranno dare prova che la loro intenzione di trovare lavoro e di contribuire alla cre-scita dell’economia britannica “è genuina” chi li proteggerà (affittacamere, chi dà lavoro in nero...) rischierà sanzioni. David Cameron ha aggiunto che “i tempi dei metodi dolci dei laburisti sono finiti” e che, d’ora in poi, anche i test sulla conoscenza dell’inglese avran-no più rigida applicazione.

sCozia e referendUmIl primo ministro della regione autonoma di Scozia, Alex Sal-mond, ha reso ufficiale la data del referendum sul distacco dalla corona londinese: il 18 settembre 2014 gli scozzesi decideranno se intendono rimanere nel Regno Unito, oppure uscirne per abbracciare l’indipendenza. Qualunque sia il risultato del voto, i rischi per le due parti sono grandi. La Gran Bretagna rischia di perdere una regione ricca di petrolio ed importante militarmente, per la presenza della base di sottomarini nucleari di Faslane; la Scozia corre il pericolo di indebolirsi economicamente, soprattutto se sarà costretta ad adottare l’euro. Salmond invita alla riflessione gli scoz-zesi perché sia ben valutato “il privilegio che ha questa nazio-ne... e questa generazione nello scegliere il proprio futuro”.

impianto solare ad abU dhabiIl più grande impianto solare termodinamico del mondo, capace di soddisfare il fabbi-sogno di ventimila abitazioni, nasce ad Abu Dhabi. Gli Emirati Arabi Uniti intendono sfruttare la loro seconda e più cospicua risorsa dopo l’oro nero, il sole, investendo oltre cinquecento-mila dollari: questo progetto nasce dalla collaborazione fra società che si occupano di fonti rinnovabili, l’araba Masdar, la spagnola Solar e la francese To-tal. Questa terra riceve il 10% dell’intera radiazione solare terrestre, fonte energetica natu-rale che soppianterà la risorsa petrolifera ormai destinata ad esaurirsi nel giro di qualche decennio. All’impianto Shams (sole, in arabo), sono riservati due chilometri e mezzo nel deserto alle porte della capi-tale Abu Dhabi, nella località di Madinat Zayed.

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16 musica e spettacolo n. 17 28 Aprile 2013 LaVita

LaV itaSettimanale cattolico toscano

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FOTOCOMPOSIZIONE: Graficamente Pistoia tel. 0573.308372

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CHIUSO IN TIPOGRAFIA: 23 APRILE 2013

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Sostienin alcuni salotti te-levisivi il fenomeno (degenerativo) è evi-dente più che in altri,

ma è fuori di dubbio che lo scontro verbale sia una delle cifre caratteristiche del dibattito politico che va in scena nella televisione di questi tempi. Il modello del talk-show ha preso piede ormai da anni, estendendo-si e contaminando anche i generi tradizionali. Al punto tale che anche le trasmis-sioni che si qualificano come spazi di approfondi-mento informativo riesco-no a buttare in chiacchiera e - spesso - in caciara o addirittura in rissa anche i dibattiti potenzialmente più interessanti.I conduttori televisivi, pur essendo spesso giornalisti (quindi operatori del siste-ma mediatico che più di altri hanno l’obbligo morale di fornire ai telespettatori un servizio pubblico, anche quando esercitano la loro professione al soldo di un’emittente privata) sono legati all’Auditel come qua-lunque altro protagonista del piccolo schermo. Per questo lasciano che i toni degli astanti salgano e, se ci scappa il battibecco, non pochi di loro si fregano addirittura le mani per la soddisfazione.Anche la scelta degli ospiti non è fatta a caso, anzi di frequente sembra orien-tata a favorire proprio lo scontro fra i leader politici. Sono loro in prima persona o i rispettivi portaparola a sedersi sui divanetti “Porta a porta” (Rai1), sulle sedie di “Ballarò” (Rai3) o sulle poltrone di “Piazzapulita”

I DENTRO LA TV

E li chiamanosalotti...

Gli ospiti si accomodano su un ring,pronti a prenderle e soprattutto a darle

di Marco Deriu

l 1960 cinematografico americano si apre con un film che sconvol-ge le platee di tut-to il mondo. Stiamo

parlando di “Psycho” di Al-fred Hitchcock, il genio della suspense, il regista inglese trapiantato in America che proprio negli Stati Uniti aveva trovato la sua consacrazio-ne. Con “Psycho” Hitchcock realizza un nuovo tipo di thriller: a basso budget, in bianco e nero, con attori poco conosciuti, con uno sguardo inedito sui lati bui e perversi dell’essere umano. Gli ameri-cani e gli spettatori di tutto il mondo erano, invece, abituati a vedere film hitchcockiani a colori, con grandi star, ad alto budget, divertenti e pieni di ritmo.

Cosa aveva portato il ma-estro del thriller a realizzare una pellicola così differen-te dalle sue precedenti, un

I

CINEMA

Film racconta filmÈ il caso di “Hitchcock”

che narra la nascitadi un capolavoro come “Psycho”

di Paola Dalla Torre

Il film si muove su due pia-ni: da una parte, la lavorazione del film (che diventerà il futu-ro successo commerciale del regista), la vita sul set; dall’altra, invece, la vita privata del ma-estro inglese e, in particolar modo, il rapporto con sua mo-glie. Mentre nella ricostruzio-ne della produzione e regia del film i fatti sono storicamente acclamati, per quel che riguar-da la vita privata può darsi che Gervasi e il suo sceneggiato-re abbiano romanzato non poco fatti e intenzioni, specie nell’ipotizzare la sbandata di Alma per Whitfield Cook e la conseguente crisi di gelosia del famoso consorte, ma non è affatto male il modo in cui questa crisi viene impastata con il momento più rischioso della carriera di Hitchcock. Soprattutto perché le tensioni private e quelle professionali si assommano in un crescendo che culmina nella realizzazione

vero e proprio azzardo nel mondo del cinema classico? “Hitchcock”, diretto da Sacha Gervasi e interpretato dal grande Anthony Hopkins, ci svela tutto questo. Ispirato al libro di Stephen Rebello “Come Hitchcock ha realizza-to Psycho”, la pellicola raccon-ta come nel 1960 il maestro del brivido Alfred Hitchcock, dopo “Intrigo Internazionale”, sia alla ricerca di un soggetto diverso, di qualcosa di nuovo, e si appassiona al romanzo di Robert Bloch che trae ispirazione dalla vicenda di un pluriomicida del Wiscon-sin, Ed Gein. La Paramount, con cui Hitchcock è sotto

contratto, non ne vuole sa-pere di produrre “Psycho”, giudicandolo troppo horror e respingente, ma il regista è convinto al punto da auto-prodursi il film, girando negli studi Universal con la troupe della sua serie televisiva per abbattere i costi. A sostenerlo, in questo azzardo come in ogni altro momento della sua carriera, è la moglie Alma Re-ville, sceneggiatrice di talento, responsabile della revisione di tutti i copioni del marito e sua paziente spalla, esclusa dai riflettori così come dalle sue note infatuazioni per le algide bionde che scritturava come attrici.

(La7) come se si accomo-dassero su un ring, pronti a prenderle e soprattutto a darle. Ancor più marcato è questo atteggiamento se la scena è quella di “Servizio pubblico” (La7).Nell’era della politica-spet-tacolo, il dibattito si è spo-stato dai luoghi istituzionali alle arene mediatiche e i capipartito sanno che il successo elettorale si con-quista più a colpi di slogan che con le argomentazioni. Queste ultime, per quanto interessanti e necessarie, non contribuiscono certo a innalzare l’audience da parte di un pubblico che, dal canto suo, sembra più in cerca di emozioni che di spiegazioni.Già, perché anche noi spettatori abbia-mo le nostre responsabilità di fronte al “teatrino della politica” formato tv: se continuiamo a premiare con la nostra attenzione i momenti di litigio e gli scontri verbali più accesi, tanto i protagonisti quanto i conduttori non faranno altro che creare nuove oc-casioni di scontro.E così la politica, già in debito di rappresentanza agli occhi dei cittadini per i troppi scandali e per i privilegi di casta che anco-

della scena della doccia, dando molto ritmo e suspense a tutta la pellicola. Il film non è certo un capolavoro ma, anche grazie alla bravura dei suoi interpreti (oltre Hopkins bisogna citare anche la “mo-

glie” interpretata da Helen Mirren e Scarlett Johansson nei panni di “Janet Leigh”), è un bel film che racconta un pezzo importante della storia del cinema e di uno dei suoi maestri indiscussi.

ra segnano in buona parte il funzionamento, perde ulteriormente credibilità attraverso leader che si atteggiano a star dello spettacolo e che a tutto pensano fuorché ad aiutare i cittadini a capire meglio.In questo momento post-elettorale, in cui il confron-to sul presente e sul futuro dell’Italia passa attraverso l’elezione del nuovo pre-sidente della Repubblica e l’insediamento di un nuovo Governo, sarebbe impor-tante che il popolo italiano fosse messo in grado non di sapere chi è contro chi, ma qual è la posta in gioco e come si può risollevare il paese dalla crisi.

Paradossalmente (ma, forse, neanche tanto), alcune fra le analisi politiche più lu-cide arrivano attraverso la satira, pronta a farci sorri-dere -a volte amaramente- sulle storture della politica e a farci cogliere gli aspetti meno appariscenti e spetta-colari del confronto.In questo senso, alcune del-le parodie di Crozza, tanto per citarne uno, colgono nel segno evidenziando non soltanto i modi di dire dei protagonisti della scena ma anche i loro modi di fare, ovvero le modalità con cui gestiscono non soltanto la propria immagine pubblica ma anche le proprie deci-sioni.

Antony Hopkins