E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio...

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Sebastiano TimpanaroScritti liberisti

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Scritti liberistiAUTORE: Timpanaro, Sebastiano <1888-1949>TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Scritti liberisti / Seb. Timpanaro. - Na-poli : Libreria della Diana, 1919. - 167 p. ; 19 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 27 maggio 2020

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard

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TRATTO DA: Scritti liberisti / Seb. Timpanaro. - Na-poli : Libreria della Diana, 1919. - 167 p. ; 19 cm.

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2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:LIT000000 CRITICA LETTERARIA / GeneralePHI019000 FILOSOFIA / Politica

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Oliva, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Liber Liber

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4L’IMITAZIONE DEGLI UCCELLI...............................7ANTISCIENZA............................................................12PAPINI..........................................................................21LA GUERRA................................................................36IL CAVALIEREDELLO SPIRITO SANTO...........................................43GLI EROI SILENZIOSI...............................................53CONTRO HAECKEL..................................................59VINCENZO CARDARELLI.......................................71CULTURA E VITA MORALE.....................................83L’IDOLATRIA DELLA RETTA..................................94REPUBBLICA E MONARCHIA..............................100SHELLEY POETA PLATONICO..............................106IL GIORNALE DELLAGRANDE CRONACA...............................................117MUSICA DESCRITTIVAE MUSICA PURA......................................................121NON SONO TURBATO............................................126COLLABORAREALLA GUERRA........................................................132LA SCIENZA COMEESPERIENZA ASSOLUTA.......................................136

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4L’IMITAZIONE DEGLI UCCELLI...............................7ANTISCIENZA............................................................12PAPINI..........................................................................21LA GUERRA................................................................36IL CAVALIEREDELLO SPIRITO SANTO...........................................43GLI EROI SILENZIOSI...............................................53CONTRO HAECKEL..................................................59VINCENZO CARDARELLI.......................................71CULTURA E VITA MORALE.....................................83L’IDOLATRIA DELLA RETTA..................................94REPUBBLICA E MONARCHIA..............................100SHELLEY POETA PLATONICO..............................106IL GIORNALE DELLAGRANDE CRONACA...............................................117MUSICA DESCRITTIVAE MUSICA PURA......................................................121NON SONO TURBATO............................................126COLLABORAREALLA GUERRA........................................................132LA SCIENZA COMEESPERIENZA ASSOLUTA.......................................136

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SEB. TIMPANARO

Scritti liberisti

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SEB. TIMPANARO

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L’IMITAZIONE DEGLI UCCELLI

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L’IMITAZIONE DEGLI UCCELLI

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Nel 1905, quando gli studenti torinesi rumoreggiaro-no il professor Billia perchè nella sua prolusione avevaosato parlare di cristianesimo, Giuseppe Prezzoliniscrisse nel Leonardo così: «Capirei una dimostrazionedi studenti se i teatri rialzassero i prezzi, i sigari costas-sero di più e i posti governativi diminuissero; ma, in fat-to d’idee, che c’entrano questi candidati al filisteismo?Quando hanno avuto i loro diplomi coi quali lo Stato liautorizza a squartare, strozzare, avvelenare uomini e be-stie, a ingannare destramente o scioccamente, ad anneri-re carta bollata – cosa chiedono di più? Del vino per fin-gere la giovinezza che non hanno, qualche donnetta nontroppo costosa per fingere l'amore che ignorano, qualchestrappo ben rattoppato alle vesti per fingere la bohèmeche non vivono. E poi mi pare che basti. Per le idee,quando han speso cinque centesimi per un giornale poli-tico, ne hanno in serbo per un pezzo e adatte a loro».

Queste parole del Prezzolini son vere ancora. Noi stu-denti siamo ancora dei pagliacci senza coltura e senzaideali, ma la colpa è tutta quanta di quel mostruoso isti-tuto d’erudizione coercitiva che è la scuola.

La scuola addormenta, corrompe, schiaccia.Per tutti i giovani dall’anima vulcanica, la vita scola-

stica è una continua tormentosa rinunzia agli ideali da-vanti alla quale la rinunzia che il Carducci, arriso dal

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Nel 1905, quando gli studenti torinesi rumoreggiaro-no il professor Billia perchè nella sua prolusione avevaosato parlare di cristianesimo, Giuseppe Prezzoliniscrisse nel Leonardo così: «Capirei una dimostrazionedi studenti se i teatri rialzassero i prezzi, i sigari costas-sero di più e i posti governativi diminuissero; ma, in fat-to d’idee, che c’entrano questi candidati al filisteismo?Quando hanno avuto i loro diplomi coi quali lo Stato liautorizza a squartare, strozzare, avvelenare uomini e be-stie, a ingannare destramente o scioccamente, ad anneri-re carta bollata – cosa chiedono di più? Del vino per fin-gere la giovinezza che non hanno, qualche donnetta nontroppo costosa per fingere l'amore che ignorano, qualchestrappo ben rattoppato alle vesti per fingere la bohèmeche non vivono. E poi mi pare che basti. Per le idee,quando han speso cinque centesimi per un giornale poli-tico, ne hanno in serbo per un pezzo e adatte a loro».

Queste parole del Prezzolini son vere ancora. Noi stu-denti siamo ancora dei pagliacci senza coltura e senzaideali, ma la colpa è tutta quanta di quel mostruoso isti-tuto d’erudizione coercitiva che è la scuola.

La scuola addormenta, corrompe, schiaccia.Per tutti i giovani dall’anima vulcanica, la vita scola-

stica è una continua tormentosa rinunzia agli ideali da-vanti alla quale la rinunzia che il Carducci, arriso dal

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suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol dimaggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena albadi primavera siciliana.

In certi giorni in cui siamo usciti di casa con l’animadi Enjolras e vorremmo che la scuola ci alimentassel’incendio che ci divampa dentro, l’aula scolastica ci dàil freddo e la nausea di un cimitero in cui si traffichino,a brandelli, i cadaveri. Invece della patria, troviamol’esilio della nostra spiritualità, la palude in cui si spen-gono i nostri sogni e le nostre energie; e nel professorenon vediamo l’animatore, il centro della nostra vita piùalta, ma il venditore di libriciattoli e di dispense, il buro-cratico pedante e aguzzino che secca per un anno interolitaniando nenie inutili e poi boccia e promuove. E cidobbiamo rassegnare a essere facchini dello studio enon laboratorii di verità in azione continua come laChiesa di Benedetto Maironi.

Non è che la scuola debba essere più facile, come ri-tengono gli sgomenti del surmenage, o più difficile,come quelli che credono di poter preparare i giovani avincere le difficoltà della vita rendendo la scuola diffici-le come la vita. La scuola non è nè difficile nè facile: èassurda e perciò è inutile tentare di riformarla con criteriquantitativi. La riforma dev’essere radicale. Della scuo-la di oggi non deve rimanere più traccia. Bisogna cheall’istituto di erudizione coercitiva si sostituisca un cen-tro libero di cultura. La scuola attuale è fatta per svilup-pare il superficialismo chiaccherone dei gazzettieri cheparlano di libri che non hanno letto e discutono teorie

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suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol dimaggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena albadi primavera siciliana.

In certi giorni in cui siamo usciti di casa con l’animadi Enjolras e vorremmo che la scuola ci alimentassel’incendio che ci divampa dentro, l’aula scolastica ci dàil freddo e la nausea di un cimitero in cui si traffichino,a brandelli, i cadaveri. Invece della patria, troviamol’esilio della nostra spiritualità, la palude in cui si spen-gono i nostri sogni e le nostre energie; e nel professorenon vediamo l’animatore, il centro della nostra vita piùalta, ma il venditore di libriciattoli e di dispense, il buro-cratico pedante e aguzzino che secca per un anno interolitaniando nenie inutili e poi boccia e promuove. E cidobbiamo rassegnare a essere facchini dello studio enon laboratorii di verità in azione continua come laChiesa di Benedetto Maironi.

Non è che la scuola debba essere più facile, come ri-tengono gli sgomenti del surmenage, o più difficile,come quelli che credono di poter preparare i giovani avincere le difficoltà della vita rendendo la scuola diffici-le come la vita. La scuola non è nè difficile nè facile: èassurda e perciò è inutile tentare di riformarla con criteriquantitativi. La riforma dev’essere radicale. Della scuo-la di oggi non deve rimanere più traccia. Bisogna cheall’istituto di erudizione coercitiva si sostituisca un cen-tro libero di cultura. La scuola attuale è fatta per svilup-pare il superficialismo chiaccherone dei gazzettieri cheparlano di libri che non hanno letto e discutono teorie

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che non hanno studiato. Non s’insegna nelle nostrescuole la storia della letteratura senza la letteratura sic-chè si è costretti a parlare di autori che nemmeno i com-pilatori del libro di testo hanno letto, e non solo di autoridi secondo ordine ma di geni come Leonardo, Galileo,Vico?

Ma non c'è una materia che non venga insegnata su-perficialmente e meccanicamente. È che si bada al pos-sesso materiale della scienza e non allo spirito scientifi-co e perciò si dà l’ostracismo a tutte le idee direttive perlasciare il posto alla minutaglia donferrantesca. L’azionedella nostra scuola si potrebbe paragonare a un idiotache perdesse i giorni a imparare in un enorme catalogoil numero delle sillabe delle singole parole, senza pensa-re che potrebbe acquistare molto di più, senza fatica esenza perdita di tempo, imparando semplicemente acontare. La nostra scuola, per continuare l'immagine, faimparare con mezzucci mnemonici il numero delle silla-be d'un esercito di parole, ma non insegna a calcolare lesillabe di tutte parole reali e possibili.

Per salvare la scuola, occorre eliminare i programmistereotipati e imposti dal di fuori e dare invece modo aognuno di sviluppare il meglio possibile la propria men-talità e la propria iniziativa. Forse così non avremo più idottori in una scienza sterminata, ma avremo specialistiche nel loro campo, sia pur minimo, saranno dominatorie coscienti. Invece del dottore in matematica ci sarà ildottore in geometria analitica delle coniche, ma questominuscolo dottore non dovrà arrossire se gli domandere-

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che non hanno studiato. Non s’insegna nelle nostrescuole la storia della letteratura senza la letteratura sic-chè si è costretti a parlare di autori che nemmeno i com-pilatori del libro di testo hanno letto, e non solo di autoridi secondo ordine ma di geni come Leonardo, Galileo,Vico?

Ma non c'è una materia che non venga insegnata su-perficialmente e meccanicamente. È che si bada al pos-sesso materiale della scienza e non allo spirito scientifi-co e perciò si dà l’ostracismo a tutte le idee direttive perlasciare il posto alla minutaglia donferrantesca. L’azionedella nostra scuola si potrebbe paragonare a un idiotache perdesse i giorni a imparare in un enorme catalogoil numero delle sillabe delle singole parole, senza pensa-re che potrebbe acquistare molto di più, senza fatica esenza perdita di tempo, imparando semplicemente acontare. La nostra scuola, per continuare l'immagine, faimparare con mezzucci mnemonici il numero delle silla-be d'un esercito di parole, ma non insegna a calcolare lesillabe di tutte parole reali e possibili.

Per salvare la scuola, occorre eliminare i programmistereotipati e imposti dal di fuori e dare invece modo aognuno di sviluppare il meglio possibile la propria men-talità e la propria iniziativa. Forse così non avremo più idottori in una scienza sterminata, ma avremo specialistiche nel loro campo, sia pur minimo, saranno dominatorie coscienti. Invece del dottore in matematica ci sarà ildottore in geometria analitica delle coniche, ma questominuscolo dottore non dovrà arrossire se gli domandere-

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Page 11: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

te cosa siano i postulati, l'infinito matematico, che valo-re abbia l'opera di Cartesio; e vi dimostrerà i teoremicon procedimenti razionali e non con balbettii meccani-ci.

Trasformazione rivoluzionaria anche degli esami. Gliesami attuali sono l'apoteosi dello sforzo e dello sforzoirrazionale, precario, vano. L’esame serve a constatareche un individuo possiede un’istruzione che ha potutobenissimo imparare in quindici giorni di studio pazzescoe che dopo quindici giorni dimenticherà per sempre.L’esame invece dovrebbe misurare la potenzialità dina-mica, vitale dell’intelligenza, la cultura perenne; e perfar questo occorrerebbe che fosse continuo e non istan-taneo e fosse per il candidato non la vergognad’un’inquisizione ma la gloria d’un’elevata autopresen-tazione spirituale. Così maestri e discepoli sarebberoamici collaboratori, non aguzzini e schiavi; la culturasarebbe non un caos di cognizioni tenute insieme mec-canicamente ma un’armonia, e gli studenti non sarebbe-ro più il riscontro dei preti per forza e delle signore diMonza, ma uomini di fede.

Non voglio concludere alla diserzione scolastica. I di-sertori – tranne quando si chiamino Rapisardi, Croce,Bracco – sono, in fondo, dei vinti e dei deboli. Noi inve-ce dobbiamo superare incontaminati il pantano dellascuola burocratica, per poter poi preparare l'avventod'una nuova scuola che licenzi i suoi figli non quando liha caricati alla meglio d'un immane bagaglio, ma, comefanno gli uccelli, quando li ha resi atti alla vita e al volo.

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te cosa siano i postulati, l'infinito matematico, che valo-re abbia l'opera di Cartesio; e vi dimostrerà i teoremicon procedimenti razionali e non con balbettii meccani-ci.

Trasformazione rivoluzionaria anche degli esami. Gliesami attuali sono l'apoteosi dello sforzo e dello sforzoirrazionale, precario, vano. L’esame serve a constatareche un individuo possiede un’istruzione che ha potutobenissimo imparare in quindici giorni di studio pazzescoe che dopo quindici giorni dimenticherà per sempre.L’esame invece dovrebbe misurare la potenzialità dina-mica, vitale dell’intelligenza, la cultura perenne; e perfar questo occorrerebbe che fosse continuo e non istan-taneo e fosse per il candidato non la vergognad’un’inquisizione ma la gloria d’un’elevata autopresen-tazione spirituale. Così maestri e discepoli sarebberoamici collaboratori, non aguzzini e schiavi; la culturasarebbe non un caos di cognizioni tenute insieme mec-canicamente ma un’armonia, e gli studenti non sarebbe-ro più il riscontro dei preti per forza e delle signore diMonza, ma uomini di fede.

Non voglio concludere alla diserzione scolastica. I di-sertori – tranne quando si chiamino Rapisardi, Croce,Bracco – sono, in fondo, dei vinti e dei deboli. Noi inve-ce dobbiamo superare incontaminati il pantano dellascuola burocratica, per poter poi preparare l'avventod'una nuova scuola che licenzi i suoi figli non quando liha caricati alla meglio d'un immane bagaglio, ma, comefanno gli uccelli, quando li ha resi atti alla vita e al volo.

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ANTISCIENZA

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ANTISCIENZA

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Page 13: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

Giambattista Vico, nella sua autobiografia scrive così:«Però osservando il Vico così da Aristotile come da

Platone usarsi assai sovente pruove mattematiche per di-mostrare le cose che essi ragionavano di filosofia, egliin ciò si vide difettoso a poter bene intendergli; ondevolle applicarsi alla geometria e inoltrarsi fino alla quin-ta proposizione di Euclide. E riflettendo che in quelladimostrazione si conteneva insomma una congruenza ditriangoli, esaminata partitamente per ciascun lato ed an-golo di triangolo, che si dimostra con egual distesa com-baciare con ciascun lato ed angolo dell'altro, pruovavain se stesso cosa più facile l'intender quelle minute veri-tà tutte insieme, come in un genere metafisico di quelleparticolari quantità geometriche. E a suo costo speri-mentò che alle menti già dalla metafisica fatte universalinon riesce agevole quello studio propio degl'ingegni mi-nuti, e lasciò di seguitarlo siccome quello che poneva inceppi ed angustie la sua mente già avvezza col moltostudio di metafisica a spaziarsi nell’infinito dei generi; ecolla spessa lezione di oratori, di storici e di poeti dilet-tava l'ingegno di osservare tra lontanissime cose nodiche in qualche ragione comune le stringessero insieme,che sono i bei nastri dell’eloquenza che fanno dilettevo-le l'acutezza. «Talchè con ragione gli antichi stimaronostudio propio da applicarsi i fanciulli quello della geo-

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Giambattista Vico, nella sua autobiografia scrive così:«Però osservando il Vico così da Aristotile come da

Platone usarsi assai sovente pruove mattematiche per di-mostrare le cose che essi ragionavano di filosofia, egliin ciò si vide difettoso a poter bene intendergli; ondevolle applicarsi alla geometria e inoltrarsi fino alla quin-ta proposizione di Euclide. E riflettendo che in quelladimostrazione si conteneva insomma una congruenza ditriangoli, esaminata partitamente per ciascun lato ed an-golo di triangolo, che si dimostra con egual distesa com-baciare con ciascun lato ed angolo dell'altro, pruovavain se stesso cosa più facile l'intender quelle minute veri-tà tutte insieme, come in un genere metafisico di quelleparticolari quantità geometriche. E a suo costo speri-mentò che alle menti già dalla metafisica fatte universalinon riesce agevole quello studio propio degl'ingegni mi-nuti, e lasciò di seguitarlo siccome quello che poneva inceppi ed angustie la sua mente già avvezza col moltostudio di metafisica a spaziarsi nell’infinito dei generi; ecolla spessa lezione di oratori, di storici e di poeti dilet-tava l'ingegno di osservare tra lontanissime cose nodiche in qualche ragione comune le stringessero insieme,che sono i bei nastri dell’eloquenza che fanno dilettevo-le l'acutezza. «Talchè con ragione gli antichi stimaronostudio propio da applicarsi i fanciulli quello della geo-

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metria e la giudicarono come logica propia di quella te-nera età, che quanto apprende bene i particolari e sa filfilo disporgli tanto difficilmente comprende i generi del-le cose; ed Aristotile medesimo, quantunque esso dalmetodo usato dalla geometria avesse estratto l’arte sillo-gistica, pur vi conviene ove afferma che ai fanciulli deb-bono insegnarsi le lingue, le istorie, la geometria, comemateria più propia da esercitarsi la memoria, la fantasiae l’ingegno....» Scoverto che egli ebbe tutto l'arcano delmetodo geometrico contenersi in ciò, di prima diffinirele voci con le quali si abbia a ragionare, di poi stabilirealcune massime comuni, nelle quali colui che vi ragionavi convenga; finalmente, se bisogna, domandare discre-tamente cosa che per natura si possa concedere, affine dipoter uscire i ragionamenti che senza una qualche posi-zione non verrebbero a capo e con questi principii daverità più semplici dimostrate procedere fil filo alle piùcomplete e le composte non affermare se non prima siesaminino partitamente le parti che le compongono, sti-mò soltanto utile aver conosciuto come procedevano neiloro ragionamenti i geometri, perchè se mai a lui abbiso-gnasse alcuna volta quella maniera di ragionare, il sa-pesse...

Ho creduto di riportar per intero, invece di sunteg-giarlo, questo passo alquanto lungo dell'autobiografiavichiana sul quale voglio fare qualche osservazione cri-tica, per timore di alterarlo e perchè, riportare così inte-gralmente, dimostra meglio l’importanza ch'esso ha nel-la storia della vita e del pensiero di Giambattista Vico.

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metria e la giudicarono come logica propia di quella te-nera età, che quanto apprende bene i particolari e sa filfilo disporgli tanto difficilmente comprende i generi del-le cose; ed Aristotile medesimo, quantunque esso dalmetodo usato dalla geometria avesse estratto l’arte sillo-gistica, pur vi conviene ove afferma che ai fanciulli deb-bono insegnarsi le lingue, le istorie, la geometria, comemateria più propia da esercitarsi la memoria, la fantasiae l’ingegno....» Scoverto che egli ebbe tutto l'arcano delmetodo geometrico contenersi in ciò, di prima diffinirele voci con le quali si abbia a ragionare, di poi stabilirealcune massime comuni, nelle quali colui che vi ragionavi convenga; finalmente, se bisogna, domandare discre-tamente cosa che per natura si possa concedere, affine dipoter uscire i ragionamenti che senza una qualche posi-zione non verrebbero a capo e con questi principii daverità più semplici dimostrate procedere fil filo alle piùcomplete e le composte non affermare se non prima siesaminino partitamente le parti che le compongono, sti-mò soltanto utile aver conosciuto come procedevano neiloro ragionamenti i geometri, perchè se mai a lui abbiso-gnasse alcuna volta quella maniera di ragionare, il sa-pesse...

Ho creduto di riportar per intero, invece di sunteg-giarlo, questo passo alquanto lungo dell'autobiografiavichiana sul quale voglio fare qualche osservazione cri-tica, per timore di alterarlo e perchè, riportare così inte-gralmente, dimostra meglio l’importanza ch'esso ha nel-la storia della vita e del pensiero di Giambattista Vico.

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Senonchè, appunto perchè il passo di cui ci occupiamo èassai importante, occorre che cerchiamo di valutarlo nelmodo più rigoroso. La nostra valutazione, diciamolo su-bito, è di pieno dissenso, ma noi crediamo di dare cosìun’opera altamente vichiana perchè il Vico, come diceBenedetto Croce, alle autorità non intendeva appoggiar-si, ma neppur le disprezzava; dovendo l’autorità farciconsiderati a investigare le cagioni che mai potessero gliautori, e massimamente gravissimi, indurre a questo o aquello opinare, e perchè il culto dei grandi non consistesoltanto nello svolgere i germi fecondi contenuti nellaloro opera ma anche nel trarre dalle loro opinioni più ca-duche motivi eterni di vero.

Quali sono le ragioni che hanno indotto il Vico aquell'opinione intorno alla matematica? Il passo che ab-biamo riportato risponde abbastanza bene alla nostra do-manda. È che il Vico si è messo a studiare la geometriacon criteri filosofici. Davanti alle verità matematiche,che gli dovevano servire per l'intelligenza di alcuni luo-ghi di Platone e di Aristotile, egli era, in sostanza, per-fettamente indifferente; e perciò se, prima di risolversi aprendere in mano il trattato di geometria, si fosse con-sultato con un buon matematico, questi gli avrebbe con-sigliato, piuttosto che la lettura di una geometria, quelladi una filosofia della geometria. Ma è bene che sia statocosì; perchè, se no, non avremmo avuto questa paginache illustra così bene i caratteri antimatematici e antipo-sitivi della mentalità vichiana analizzati da Fausto Nico-lini nella sua prefazione alla Scienza nuova. È male solo

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Senonchè, appunto perchè il passo di cui ci occupiamo èassai importante, occorre che cerchiamo di valutarlo nelmodo più rigoroso. La nostra valutazione, diciamolo su-bito, è di pieno dissenso, ma noi crediamo di dare cosìun’opera altamente vichiana perchè il Vico, come diceBenedetto Croce, alle autorità non intendeva appoggiar-si, ma neppur le disprezzava; dovendo l’autorità farciconsiderati a investigare le cagioni che mai potessero gliautori, e massimamente gravissimi, indurre a questo o aquello opinare, e perchè il culto dei grandi non consistesoltanto nello svolgere i germi fecondi contenuti nellaloro opera ma anche nel trarre dalle loro opinioni più ca-duche motivi eterni di vero.

Quali sono le ragioni che hanno indotto il Vico aquell'opinione intorno alla matematica? Il passo che ab-biamo riportato risponde abbastanza bene alla nostra do-manda. È che il Vico si è messo a studiare la geometriacon criteri filosofici. Davanti alle verità matematiche,che gli dovevano servire per l'intelligenza di alcuni luo-ghi di Platone e di Aristotile, egli era, in sostanza, per-fettamente indifferente; e perciò se, prima di risolversi aprendere in mano il trattato di geometria, si fosse con-sultato con un buon matematico, questi gli avrebbe con-sigliato, piuttosto che la lettura di una geometria, quelladi una filosofia della geometria. Ma è bene che sia statocosì; perchè, se no, non avremmo avuto questa paginache illustra così bene i caratteri antimatematici e antipo-sitivi della mentalità vichiana analizzati da Fausto Nico-lini nella sua prefazione alla Scienza nuova. È male solo

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che il Vico non si sia reso conto che era lui e non la ma-tematica che aveva torto e abbia dato un giudizio asso-lutamente erroneo cioè che la geometria sia uno studioproprio degl’ingegni minuti e da applicarsi i fanciulli.Naturalmente però, piuttosto che demolire la geometria,non ha fatto che uno sfogo lirico.

Perchè, a voler giudicare un’opera qualsiasi dalle pri-me due o tre pagine, anche un ingegno scadente capisceche si rischia di commettere errori madornali; e il Vicodoveva essere convinto che con la lettura delle primepagine dell'Etica di Spinoza e della stessa sua Scienzanuova si potevano benissimo giudicare quelle grandiopere con la stessa severità con la quale egli giudicava ilcapolavoro di Euclide. Quel trovare più facile l’intende-re le minute verità geometriche tutt’insieme come in ungenere metafisico potrebbe sembrare alla prima effettodi profondità di vedute, ma tutti i principianti credonoche le dimostrazioni siano superflue. Nè si può credereche qui il Vico applichi felicemente il metodo d’intui-zione del Bergson. Perchè si può ammettere che, peresempio, a dar l’intuizione di Bologna siano insuffi-cienti tanto le idee che le immagini e sia necessario in-vece vedere attualmente o con uno sforzo d’immagina-zione la simpatica città ricca di portici, di toni e di bellefanciulle; ma l’intuizione non si può applicare a un og-getto astratto come un teorema e chi crede di poterlofare è perchè, dopo conosciuta la dimostrazione di unteorema, può, con uno sforzo mentale, pensare somma-riamente e rapidamente la dimostrazione stessa, però

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che il Vico non si sia reso conto che era lui e non la ma-tematica che aveva torto e abbia dato un giudizio asso-lutamente erroneo cioè che la geometria sia uno studioproprio degl’ingegni minuti e da applicarsi i fanciulli.Naturalmente però, piuttosto che demolire la geometria,non ha fatto che uno sfogo lirico.

Perchè, a voler giudicare un’opera qualsiasi dalle pri-me due o tre pagine, anche un ingegno scadente capisceche si rischia di commettere errori madornali; e il Vicodoveva essere convinto che con la lettura delle primepagine dell'Etica di Spinoza e della stessa sua Scienzanuova si potevano benissimo giudicare quelle grandiopere con la stessa severità con la quale egli giudicava ilcapolavoro di Euclide. Quel trovare più facile l’intende-re le minute verità geometriche tutt’insieme come in ungenere metafisico potrebbe sembrare alla prima effettodi profondità di vedute, ma tutti i principianti credonoche le dimostrazioni siano superflue. Nè si può credereche qui il Vico applichi felicemente il metodo d’intui-zione del Bergson. Perchè si può ammettere che, peresempio, a dar l’intuizione di Bologna siano insuffi-cienti tanto le idee che le immagini e sia necessario in-vece vedere attualmente o con uno sforzo d’immagina-zione la simpatica città ricca di portici, di toni e di bellefanciulle; ma l’intuizione non si può applicare a un og-getto astratto come un teorema e chi crede di poterlofare è perchè, dopo conosciuta la dimostrazione di unteorema, può, con uno sforzo mentale, pensare somma-riamente e rapidamente la dimostrazione stessa, però

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questo sforzo non supera la dimostrazione, ma le restainferiore come una formola alla ricerca che l'ha origina-ta. È poi evidente che quell’argomento preso da Aristo-tile, secondo il quale ai fanciulli bisogna insegnare in-sieme alla geometria e alle lingue anche la storia, porta-va implicita la critica dell’opinione vichiana, giacchè èda ingegni minuti non quella storia sulla quale il Vicostese tanta ala ma le raccolte scolastiche di aneddoti. Se-nonchè in questo punto il Vico è un seguace non di Ari-stotile ma dell’aristotelismo medievale. Affermandol’universalità contro la particolarità, il genere metafisicocontro la verità minuta, egli avversa, più che la sola ma-tematica, tutte le scienze positive; e come s'è stancatodelle proposizioni euclidee, si sarebbe ugualmente stan-cato dello scritto del Galilei sulla Bilancetta e invecedelle ricerche che condussero al barometro avrebbe pre-ferito la formola: La natura aborre dal vuoto.

Ma nell'affermazione che la scienza sia propriadegl’ingegni minuti, non solo c’è il disconoscimento delmetodo positivo, ma si viene anche a negare che lascienza sia essenzialmente sistematica, verità che il Vicoavrebbe trovato, se li avesse letto per intero, negli stessiElementi di Euclide che sono un organismo e nonun’accozzaglia incoerente di proposizioni. In tutte lescienze positive c’è largo posto per la sintesi: basta pen-sare allo sviluppo che hanno avuto i concetti di funzionee di limite nell’analisi algebrica e infinitesimale, quellodi corrispondenza nella geometria proiettiva, descrittivae analitica, quello di energia in fisica, e all’organicità

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questo sforzo non supera la dimostrazione, ma le restainferiore come una formola alla ricerca che l'ha origina-ta. È poi evidente che quell’argomento preso da Aristo-tile, secondo il quale ai fanciulli bisogna insegnare in-sieme alla geometria e alle lingue anche la storia, porta-va implicita la critica dell’opinione vichiana, giacchè èda ingegni minuti non quella storia sulla quale il Vicostese tanta ala ma le raccolte scolastiche di aneddoti. Se-nonchè in questo punto il Vico è un seguace non di Ari-stotile ma dell’aristotelismo medievale. Affermandol’universalità contro la particolarità, il genere metafisicocontro la verità minuta, egli avversa, più che la sola ma-tematica, tutte le scienze positive; e come s'è stancatodelle proposizioni euclidee, si sarebbe ugualmente stan-cato dello scritto del Galilei sulla Bilancetta e invecedelle ricerche che condussero al barometro avrebbe pre-ferito la formola: La natura aborre dal vuoto.

Ma nell'affermazione che la scienza sia propriadegl’ingegni minuti, non solo c’è il disconoscimento delmetodo positivo, ma si viene anche a negare che lascienza sia essenzialmente sistematica, verità che il Vicoavrebbe trovato, se li avesse letto per intero, negli stessiElementi di Euclide che sono un organismo e nonun’accozzaglia incoerente di proposizioni. In tutte lescienze positive c’è largo posto per la sintesi: basta pen-sare allo sviluppo che hanno avuto i concetti di funzionee di limite nell’analisi algebrica e infinitesimale, quellodi corrispondenza nella geometria proiettiva, descrittivae analitica, quello di energia in fisica, e all’organicità

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che s'è conseguita in algebra con l'introduzione dei nu-meri negativi, irrazionali e complessi, in geometria congli elementi all'infinito e immaginari e nelle scienze fisi-che con l'applicazione della matematica che le ha fattoentrare in una fase superiore. Anzi – lo dico per inciden-za – io sono convinto che anche la fase matematica dellescienze fisiche sia provvisoria e per conto mio faròqualche tentativo per preparare una fisica razionale chesia rispetto alla fisica matematica quello che la fisicamatematica è rispetto alla fisica sperimentale. L'opinio-ne sostenuta dal Vico può sorgere in chi legga i sommari(scadenti), nei quali la scienza è cristallizzata e morta: edel resto i manuali di filosofia e i sunti dei poemi fannoun’impressione peggiore. Ma, per poter valutare giusta-mente la scienza, occorre nuotare liberamente ed entu-siasticamente nell'oceano della ricerca; e questo può far-si o studiando polemicamente i sommari eccellenti, sot-to la guida di maestri che della scienza abbiano più cheil possesso materiale il sentimento ardente, o megliostudiando direttamente la storia della scienza. Ed è per-ciò che, secondo me, la migliore critica dell’opinione vi-chiana potrebbe farla un editore che pubblicasse il corpodei classici della scienza insieme a una buona bibliotecadi cultura scientifica. In Italia c’è adesso un notevole ri-sveglio culturale di cui sono esponenti le belle collezio-ni editoriali in corso di pubblicazione e quelle che sipreparano; ma è un risveglio filosofico-letterario. Per lascienza in esso non c’è posto. La scienza, anzi, se si pre-scinde dagli specialisti, è abbandonata. Certo

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che s'è conseguita in algebra con l'introduzione dei nu-meri negativi, irrazionali e complessi, in geometria congli elementi all'infinito e immaginari e nelle scienze fisi-che con l'applicazione della matematica che le ha fattoentrare in una fase superiore. Anzi – lo dico per inciden-za – io sono convinto che anche la fase matematica dellescienze fisiche sia provvisoria e per conto mio faròqualche tentativo per preparare una fisica razionale chesia rispetto alla fisica matematica quello che la fisicamatematica è rispetto alla fisica sperimentale. L'opinio-ne sostenuta dal Vico può sorgere in chi legga i sommari(scadenti), nei quali la scienza è cristallizzata e morta: edel resto i manuali di filosofia e i sunti dei poemi fannoun’impressione peggiore. Ma, per poter valutare giusta-mente la scienza, occorre nuotare liberamente ed entu-siasticamente nell'oceano della ricerca; e questo può far-si o studiando polemicamente i sommari eccellenti, sot-to la guida di maestri che della scienza abbiano più cheil possesso materiale il sentimento ardente, o megliostudiando direttamente la storia della scienza. Ed è per-ciò che, secondo me, la migliore critica dell’opinione vi-chiana potrebbe farla un editore che pubblicasse il corpodei classici della scienza insieme a una buona bibliotecadi cultura scientifica. In Italia c’è adesso un notevole ri-sveglio culturale di cui sono esponenti le belle collezio-ni editoriali in corso di pubblicazione e quelle che sipreparano; ma è un risveglio filosofico-letterario. Per lascienza in esso non c’è posto. La scienza, anzi, se si pre-scinde dagli specialisti, è abbandonata. Certo

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quest’abbandono non è dovuto soltanto alla sopravvi-venza dell’opinione di Vico che abbiamo discusso, madipende anche dal successo della teoria nominalistico-economica della scienza della quale il Vico è un precur-sore, dal discredito che il positivismo ha gettato sullascienza gabellando per scienza i suoi castelli metafisici,dall’ordinamento delle nostre scuole secondarie dove lascienza viene insegnata affrettatamente su manuali pes-simi e delle università dove nella facoltà di scienze nonc’è posto per la filosofia e nella facoltà di filosofia nonc’è posto per la scienza, dall’isolamento degli scienziatie dall’ignoranza in materia di scienza dei filosofi e degliartisti e sopratutto dall’indole ultraumanistica degl’ita-liani i quali si sono accorti dell’esistenza di Galileo maperchè i suoi libri sono anche letterariamente eccellentie per fare qualche declamazione sul suo processo che,piuttosto che un fenomeno di pensiero (lotta tra la scien-za positiva e l’aristotelismo medievale), è sembrato unbel pretesto per gridare l’eterno rettorico Eppur si muo-ve! del quale ci siamo tanto ubbriacati che perfino il Fa-varo, nel suo profilo del Galilei, ha creduto di doverloricordare e definire sublime.

Ma se verrà quell’editore che abbiamo augurato ec’indurremo finalmente a metterci in comunione con leopere scientifiche, ci accorgeremo che la scienza coinci-de con la sua storia (anzi, in grandissima parte, con lastoria senz’altro) e che quindi essa possiede i caratteri dislancio vitale, di ascensione, di lotta, di disinteresse chericonosciamo alla filosofia, all’arte e alla fede. Allora

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quest’abbandono non è dovuto soltanto alla sopravvi-venza dell’opinione di Vico che abbiamo discusso, madipende anche dal successo della teoria nominalistico-economica della scienza della quale il Vico è un precur-sore, dal discredito che il positivismo ha gettato sullascienza gabellando per scienza i suoi castelli metafisici,dall’ordinamento delle nostre scuole secondarie dove lascienza viene insegnata affrettatamente su manuali pes-simi e delle università dove nella facoltà di scienze nonc’è posto per la filosofia e nella facoltà di filosofia nonc’è posto per la scienza, dall’isolamento degli scienziatie dall’ignoranza in materia di scienza dei filosofi e degliartisti e sopratutto dall’indole ultraumanistica degl’ita-liani i quali si sono accorti dell’esistenza di Galileo maperchè i suoi libri sono anche letterariamente eccellentie per fare qualche declamazione sul suo processo che,piuttosto che un fenomeno di pensiero (lotta tra la scien-za positiva e l’aristotelismo medievale), è sembrato unbel pretesto per gridare l’eterno rettorico Eppur si muo-ve! del quale ci siamo tanto ubbriacati che perfino il Fa-varo, nel suo profilo del Galilei, ha creduto di doverloricordare e definire sublime.

Ma se verrà quell’editore che abbiamo augurato ec’indurremo finalmente a metterci in comunione con leopere scientifiche, ci accorgeremo che la scienza coinci-de con la sua storia (anzi, in grandissima parte, con lastoria senz’altro) e che quindi essa possiede i caratteri dislancio vitale, di ascensione, di lotta, di disinteresse chericonosciamo alla filosofia, all’arte e alla fede. Allora

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non sarà più possibile di rappresentare nel nome diGiambattista Vico la parte del Simplicio galileano; ma,invece, liberati i grandi scienziati dai loro ergastoli, limetteremo insieme agli altri grandi (siano filosofi o arti-sti o eroi) con i quali essi hanno in comune la genialità ela ricchezza.

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non sarà più possibile di rappresentare nel nome diGiambattista Vico la parte del Simplicio galileano; ma,invece, liberati i grandi scienziati dai loro ergastoli, limetteremo insieme agli altri grandi (siano filosofi o arti-sti o eroi) con i quali essi hanno in comune la genialità ela ricchezza.

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PAPINI

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Un’osservazione assai acuta intorno a Papini è questa«notizia meravigliosa» pubblicata in un numero delLeonardo del '904 probabilmente dal Prezzolini o dalPapini stesso: «Gian Falco ha abolito il pronome io neipropri scritti». Infatti Giovanni Papini parla sempre disè. Tutti i suoi scritti sono i capitoli d'una sola opera cheè la sua autobiografia. È impossibile fare una distinzio-ne rigorosa tra un capitolo dell’Uomo finito o dell’Altrametà, del Tragico quotidiano o di 24 cervelli. Il Papiniha coscienza di questa sua qualità e vi scrive nelle prefa-zioni ai suoi libri di pensiero che essi non sono libri dipensiero ma libri di mala fede, di passione, d’ingiusti-zia, ineguali, parziali, senza scrupoli, violenti, contrad-ditori e insolenti come i libri di tutti quelli che amano eodiano a viso aperto: libri in un certo senso lirici e noncritici che possono interessare sopratutto quelli che ten-gono a conoscere lui attraverso quello che dice degli al-tri; – mentre parlandovi dei suoi libri di novelle ve li de-finisce come favole filosofiche, come espressioni in for-ma fantastica e paradossistica di quel tanto di lirismo fi-losofico che non ha trovato sbocchi d’altra parte; anzi vidice addirittura che contengono una teoria del mondo edella vita.

Certo, quando s'è detto che Papini è uno scrittore au-tobiografico s’è detto ben poco; ma s’è indicato il punto

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Un’osservazione assai acuta intorno a Papini è questa«notizia meravigliosa» pubblicata in un numero delLeonardo del '904 probabilmente dal Prezzolini o dalPapini stesso: «Gian Falco ha abolito il pronome io neipropri scritti». Infatti Giovanni Papini parla sempre disè. Tutti i suoi scritti sono i capitoli d'una sola opera cheè la sua autobiografia. È impossibile fare una distinzio-ne rigorosa tra un capitolo dell’Uomo finito o dell’Altrametà, del Tragico quotidiano o di 24 cervelli. Il Papiniha coscienza di questa sua qualità e vi scrive nelle prefa-zioni ai suoi libri di pensiero che essi non sono libri dipensiero ma libri di mala fede, di passione, d’ingiusti-zia, ineguali, parziali, senza scrupoli, violenti, contrad-ditori e insolenti come i libri di tutti quelli che amano eodiano a viso aperto: libri in un certo senso lirici e noncritici che possono interessare sopratutto quelli che ten-gono a conoscere lui attraverso quello che dice degli al-tri; – mentre parlandovi dei suoi libri di novelle ve li de-finisce come favole filosofiche, come espressioni in for-ma fantastica e paradossistica di quel tanto di lirismo fi-losofico che non ha trovato sbocchi d’altra parte; anzi vidice addirittura che contengono una teoria del mondo edella vita.

Certo, quando s'è detto che Papini è uno scrittore au-tobiografico s’è detto ben poco; ma s’è indicato il punto

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di vista dal quale bisogna guardare la sua opera per po-terla capire, cioè s'è detto che il vero Papini non è il Pa-pini filosofo o il Papini poeta, ma il Papini uomo. E ilPapini uomo – diciamolo subito – non è affatto comequalche ingenuo lettore di Lacerba lo immagina. Il Pa-pini uomo non è un rivoluzionario e tanto meno un futu-rista, ma un perfetto conservatore. Fiorentino di nascitae d’elezione, come si chiama più volte, i veneti o i napo-letani gli son quasi estranei. Non ci sta bene insieme, lisente, piuttosto che fratelli, lontani da lui come certibarbari. Ha elogiato la rivoluzione ma perchè è necessa-ria all'equilibrio sociale e ha dichiarato espressamenteche se in Italia ci fosse troppo spirito rivoluzionario, eglifarebbe il conservatore, allo stesso modo che – dicevanel Leonardo – se il Croce fosse diventato pragmatistaegli sarebbe diventato hegeliano. Ha detto che la suamissione debba essere quella stessa del diavolo nelmondo di Dio: negare, spingere al male, al falso,all'assurdo, all’abisso, alle tenebre, ma non per vocazio-ne. Si sobbarca alla parte di diavolo come vittima, comeuna specie di Cristo espiatorio, poichè c’è bisogno delnulla di Mefistofele perchè un Faust possa trovarci ilsuo tutto. Sta nel no perchè qualche altro possa trovarcinuovi sì. Ora dal momento che, come osserva giusta-mente il Papini stesso, non si può chiamare vero delin-quente chi delinque per bisogno, per vendetta o per avi-dità ma soltanto chi fa il male per il male, è chiaro che ilPapini può aver diritto tutt'al più al titolo filisteo di buondiavolo.

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di vista dal quale bisogna guardare la sua opera per po-terla capire, cioè s'è detto che il vero Papini non è il Pa-pini filosofo o il Papini poeta, ma il Papini uomo. E ilPapini uomo – diciamolo subito – non è affatto comequalche ingenuo lettore di Lacerba lo immagina. Il Pa-pini uomo non è un rivoluzionario e tanto meno un futu-rista, ma un perfetto conservatore. Fiorentino di nascitae d’elezione, come si chiama più volte, i veneti o i napo-letani gli son quasi estranei. Non ci sta bene insieme, lisente, piuttosto che fratelli, lontani da lui come certibarbari. Ha elogiato la rivoluzione ma perchè è necessa-ria all'equilibrio sociale e ha dichiarato espressamenteche se in Italia ci fosse troppo spirito rivoluzionario, eglifarebbe il conservatore, allo stesso modo che – dicevanel Leonardo – se il Croce fosse diventato pragmatistaegli sarebbe diventato hegeliano. Ha detto che la suamissione debba essere quella stessa del diavolo nelmondo di Dio: negare, spingere al male, al falso,all'assurdo, all’abisso, alle tenebre, ma non per vocazio-ne. Si sobbarca alla parte di diavolo come vittima, comeuna specie di Cristo espiatorio, poichè c’è bisogno delnulla di Mefistofele perchè un Faust possa trovarci ilsuo tutto. Sta nel no perchè qualche altro possa trovarcinuovi sì. Ora dal momento che, come osserva giusta-mente il Papini stesso, non si può chiamare vero delin-quente chi delinque per bisogno, per vendetta o per avi-dità ma soltanto chi fa il male per il male, è chiaro che ilPapini può aver diritto tutt'al più al titolo filisteo di buondiavolo.

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È facile trovare negli scritti di Papini degli spunti ma-rinettiani; ma, se si osserva bene, essi non solo costitui-scono le scorie e non l’essenza del suo carattere, masono marinettiani nella lettera e non nello spirito. Il fu-turismo proclama il disprezzo del libro e della donna esi potrebbero trovare delle frasi papiniane contro il libroe la donna; ma, in sostanza, il Papini adora tanto il libroche la donna. Il Papini è uno degli uomini più appassio-nati dei libri che esistono. Le poche gioie che ha avutosono gioie libresche. I più caldi elogi che ha fatto sonorivolti ai geni. Rinnegare i geni significa per lui rinnega-re tutto sè stesso e il meglio della sua vita. Egli si sentebene con loro soltanto e vede il mondo attraverso i loroocchi di veggenti; gli sono necessari come il cielo, comel'acqua, come tutte le cose belle, pure, ottime che sonoassolutamente indispensabili alla vita; li ama più d'unadonna bella – perdutamente, forsennatamente, immode-ratamente. Dante, Leopardi, Shelley, Baudelaire, Heine,Walt Whitman, Carducci, Shakespeare, Goethe, Cervan-tes, Dostojevski, Stendhal, Carlyle, Poe, Novalis, Plato-ne, Berkeley, Schopenhauer, Nietzsche, Stirner, Hegel,Leonardo, Alberti, Vailati, Vannicola, Farinelli, Tolstoi,ecc. ecc.; ecco gli amori – non sempre, per dir la verità,molto sentimentali – di Giovanni Papini. Diventar ge-nio: ecco il suo massimo desiderio. Quanto alla donna,chi ha presente il capitolo Io e l’amore dell’Uomo finito,sa bene che le idee del Papini a questo riguardo sonoproprio l’opposto di quelle marinettiane. Il Marinetti di-sprezza la donna ideale, il Papini adora la donna ideale.

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È facile trovare negli scritti di Papini degli spunti ma-rinettiani; ma, se si osserva bene, essi non solo costitui-scono le scorie e non l’essenza del suo carattere, masono marinettiani nella lettera e non nello spirito. Il fu-turismo proclama il disprezzo del libro e della donna esi potrebbero trovare delle frasi papiniane contro il libroe la donna; ma, in sostanza, il Papini adora tanto il libroche la donna. Il Papini è uno degli uomini più appassio-nati dei libri che esistono. Le poche gioie che ha avutosono gioie libresche. I più caldi elogi che ha fatto sonorivolti ai geni. Rinnegare i geni significa per lui rinnega-re tutto sè stesso e il meglio della sua vita. Egli si sentebene con loro soltanto e vede il mondo attraverso i loroocchi di veggenti; gli sono necessari come il cielo, comel'acqua, come tutte le cose belle, pure, ottime che sonoassolutamente indispensabili alla vita; li ama più d'unadonna bella – perdutamente, forsennatamente, immode-ratamente. Dante, Leopardi, Shelley, Baudelaire, Heine,Walt Whitman, Carducci, Shakespeare, Goethe, Cervan-tes, Dostojevski, Stendhal, Carlyle, Poe, Novalis, Plato-ne, Berkeley, Schopenhauer, Nietzsche, Stirner, Hegel,Leonardo, Alberti, Vailati, Vannicola, Farinelli, Tolstoi,ecc. ecc.; ecco gli amori – non sempre, per dir la verità,molto sentimentali – di Giovanni Papini. Diventar ge-nio: ecco il suo massimo desiderio. Quanto alla donna,chi ha presente il capitolo Io e l’amore dell’Uomo finito,sa bene che le idee del Papini a questo riguardo sonoproprio l’opposto di quelle marinettiane. Il Marinetti di-sprezza la donna ideale, il Papini adora la donna ideale.

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Dev’essere – dice – una portentosa meraviglia cotestaelevatrice e sublimatrice di uomini. A Papini la donnaideale è mancata, ma egli ne sente acuta e tormentosa lanostalgia.

Nelle sue novelle, ha idealizzato più volte la donna eha saputo cogliere con rara penetrazione certe finezzefemminili. Ricordate la fanciulla di Una vita in due cheattende, contando i minuti coi battiti del suo piccolocuore? E quella della Prima e la seconda che s’abban-dona alla povera e amara gioia d’avere visto l’amato dalontano? Una delle pagine più sentite di Parole e san-gue è d’amore: Se ti guardo e penso che potresti moriree che non avrei più il dolore di guardarti e l’uggia diascoltare il tuo pianto tranquillo e il desiderio di soffo-carti con le mie mani – allora ecco che i tuoi occhi si ve-lano e tu cadi in terra come morta – e diventi, ad un trat-to, fredda come chi è morto da ore, da lunghe ore dipioggia e di noia. – Ma in quell’istante medesimo iopiango la tua fine troppo veloce e la mia noiosa potenzae ripenso al tuo riso squillante dietro le porte e alla caldamorbidezza della tua pelle e al tuo povero passato epiango e piango su di me e su di te e penso che tu potre-sti rinascere ad un tratto e alzarti sana e bella come pri-ma e ridermi con gli occhi e ridermi con la bocca e ri-dermi coi riccioli castagni svolazzanti nelle tempie. Edecco che appena ho pensato questo tu sei di nuovo di-nanzi a me calda, dolce, sorridente, senza neppure unalacrima tra i peli dei cigli e appena ti stringo la magramanina tu mi abbracci e mi stringi col petto palpitante.

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Dev’essere – dice – una portentosa meraviglia cotestaelevatrice e sublimatrice di uomini. A Papini la donnaideale è mancata, ma egli ne sente acuta e tormentosa lanostalgia.

Nelle sue novelle, ha idealizzato più volte la donna eha saputo cogliere con rara penetrazione certe finezzefemminili. Ricordate la fanciulla di Una vita in due cheattende, contando i minuti coi battiti del suo piccolocuore? E quella della Prima e la seconda che s’abban-dona alla povera e amara gioia d’avere visto l’amato dalontano? Una delle pagine più sentite di Parole e san-gue è d’amore: Se ti guardo e penso che potresti moriree che non avrei più il dolore di guardarti e l’uggia diascoltare il tuo pianto tranquillo e il desiderio di soffo-carti con le mie mani – allora ecco che i tuoi occhi si ve-lano e tu cadi in terra come morta – e diventi, ad un trat-to, fredda come chi è morto da ore, da lunghe ore dipioggia e di noia. – Ma in quell’istante medesimo iopiango la tua fine troppo veloce e la mia noiosa potenzae ripenso al tuo riso squillante dietro le porte e alla caldamorbidezza della tua pelle e al tuo povero passato epiango e piango su di me e su di te e penso che tu potre-sti rinascere ad un tratto e alzarti sana e bella come pri-ma e ridermi con gli occhi e ridermi con la bocca e ri-dermi coi riccioli castagni svolazzanti nelle tempie. Edecco che appena ho pensato questo tu sei di nuovo di-nanzi a me calda, dolce, sorridente, senza neppure unalacrima tra i peli dei cigli e appena ti stringo la magramanina tu mi abbracci e mi stringi col petto palpitante.

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Page 26: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

Di amore, di amore appassionato è anche una bella li-rica: Perchè vuoi amarmi? che analizzeremo più oltre.Come si può dunque parlare di disprezzo della donna aproposito di Giovanni Papini? Il futurismo inoltre esaltala macchina; invece Papini ha esaltato l'interiorità con-tro la civiltà a tipo militare dei nazionalisti e ha sostenu-to che il progresso consiste in una crescente interiorità.Davanti all’invenzione di Marconi, si domandava: Ilmandar dei dispacci senza fili, che ai grossi uomini sem-bra cosa divina, cos’è se non sostituzione di mezzi ma-teriali a mezzi materiali? e proseguiva affermando chele date veramente importanti sono quelle dei capolavorie delle grandi idee.

Dicendo che Giovanni Papini è un conservatore nonl'abbiamo ancora definito. La qualità di conservatore ètroppo generica ed è affatto insufficiente a spiegare dasola l'opera papiniana. Ebbene, me ne dispiace per tuttiquelli che prendendo il Papini sulla parola lo credono unateo perfetto, ma la verità è che Giovanni Papini, oltreche un borghese, è principalmente un mistico immagi-noso e sentimentale che si tormenta nella ricerca semprevana dell’assoluto. Alla luce di quest’idea, cercheròadesso di criticare gli scritti che costituiscono il diariospirituale di questo fiorentino pallido e inquieto.

Non li esaminerò tutti quanti a uno a uno, non soloperchè non è consentito dai limiti che mi sono imposto,ma sopratutto perchè del Papini si può dire quello che ilPapini stesso diceva di Eucken: ha pubblicato moltissi-mi scritti ma non per questo si deve credere che abbia

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Di amore, di amore appassionato è anche una bella li-rica: Perchè vuoi amarmi? che analizzeremo più oltre.Come si può dunque parlare di disprezzo della donna aproposito di Giovanni Papini? Il futurismo inoltre esaltala macchina; invece Papini ha esaltato l'interiorità con-tro la civiltà a tipo militare dei nazionalisti e ha sostenu-to che il progresso consiste in una crescente interiorità.Davanti all’invenzione di Marconi, si domandava: Ilmandar dei dispacci senza fili, che ai grossi uomini sem-bra cosa divina, cos’è se non sostituzione di mezzi ma-teriali a mezzi materiali? e proseguiva affermando chele date veramente importanti sono quelle dei capolavorie delle grandi idee.

Dicendo che Giovanni Papini è un conservatore nonl'abbiamo ancora definito. La qualità di conservatore ètroppo generica ed è affatto insufficiente a spiegare dasola l'opera papiniana. Ebbene, me ne dispiace per tuttiquelli che prendendo il Papini sulla parola lo credono unateo perfetto, ma la verità è che Giovanni Papini, oltreche un borghese, è principalmente un mistico immagi-noso e sentimentale che si tormenta nella ricerca semprevana dell’assoluto. Alla luce di quest’idea, cercheròadesso di criticare gli scritti che costituiscono il diariospirituale di questo fiorentino pallido e inquieto.

Non li esaminerò tutti quanti a uno a uno, non soloperchè non è consentito dai limiti che mi sono imposto,ma sopratutto perchè del Papini si può dire quello che ilPapini stesso diceva di Eucken: ha pubblicato moltissi-mi scritti ma non per questo si deve credere che abbia

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messo fuori moltissime idee. Si è ripetuto infinite volte.Gran parte dell’Uomo finito, per esempio, non è che unsommario di quello che aveva detto e ridetto nelle suepubblicazioni precedenti.

I futuristi l’hanno chiamato da principio filosofo, poiantifilosofo. Cominciamo dunque col vedere quali sonoi rapporti del Papini con la filosofia. A questo proposito,rovesciando un giudizio papiniano sugli scrittori delLeonardo – Noi siamo dei filosofi che vogliono usciredalla filosofia – si può dire che Papini è un non filosofoche vuole per forza occuparsi di filosofia. Nel periodoleonardiano la sua idea fissa era quella di diventar Dio.Convinto che il pensiero non è che un mezzo d’azione,egli licenziò la filosofia (e anche, in grandissima parte,l’arte, la scienza e la religione) e diventò il profeta dellapragmatica o taumaturgia con la quale si doveva riuscirea cambiare il mondo istantaneamente e senza sforzo: sidoveva, in altri termini, acquistare la volontà creatrice,l’onnipotenza. Senonchè, invece di limitarsi a predicarequesta sua religione magica, egli credette opportuno dicombattere punto per punto Kant, Hegel, Schopenhauer,Comte, Spencer, Nietzsche, cioè di licenziare la filosofiaper mezzo della filosofia. Ed è appunto per questa con-tradizione che davanti al Crepuscolo dei filosofi il Crocesi domandava: È un libro serio o uno scherzo?

Il Crepuscolo dei filosofi è il libro più filosofico diGiovanni Papini, ma si può recisamente affermare che ilsuo valore filosofico è molto scarso. È un libro spiglia-to, chiaro, acuto, brioso, ma, sebbene non sia una com-

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messo fuori moltissime idee. Si è ripetuto infinite volte.Gran parte dell’Uomo finito, per esempio, non è che unsommario di quello che aveva detto e ridetto nelle suepubblicazioni precedenti.

I futuristi l’hanno chiamato da principio filosofo, poiantifilosofo. Cominciamo dunque col vedere quali sonoi rapporti del Papini con la filosofia. A questo proposito,rovesciando un giudizio papiniano sugli scrittori delLeonardo – Noi siamo dei filosofi che vogliono usciredalla filosofia – si può dire che Papini è un non filosofoche vuole per forza occuparsi di filosofia. Nel periodoleonardiano la sua idea fissa era quella di diventar Dio.Convinto che il pensiero non è che un mezzo d’azione,egli licenziò la filosofia (e anche, in grandissima parte,l’arte, la scienza e la religione) e diventò il profeta dellapragmatica o taumaturgia con la quale si doveva riuscirea cambiare il mondo istantaneamente e senza sforzo: sidoveva, in altri termini, acquistare la volontà creatrice,l’onnipotenza. Senonchè, invece di limitarsi a predicarequesta sua religione magica, egli credette opportuno dicombattere punto per punto Kant, Hegel, Schopenhauer,Comte, Spencer, Nietzsche, cioè di licenziare la filosofiaper mezzo della filosofia. Ed è appunto per questa con-tradizione che davanti al Crepuscolo dei filosofi il Crocesi domandava: È un libro serio o uno scherzo?

Il Crepuscolo dei filosofi è il libro più filosofico diGiovanni Papini, ma si può recisamente affermare che ilsuo valore filosofico è molto scarso. È un libro spiglia-to, chiaro, acuto, brioso, ma, sebbene non sia una com-

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pilazione, non è affatto originale. I suoi precedenti, senon storici, logici e i precedenti dei saggi posteriorisono nei nominalisti medievali, in Locke, in Hume, inStuart Mill e nei pragmatisti. La conoscenza è dualità,dunque gli universali monistici sono assurdi; tutto è fe-nomeno, le essenze non sono che astrazioni ipostatizza-te, la conoscenza vera e completa consiste nel possessointegrale del particolare, quindi niente arte, niente scien-za, nient’affatto filosofia: la filosofia è un illecito pro-lungamento della generalizzazione scientifica. Pare im-possibile, ma il Papini non s’è mai accorto che se le sueargomentazioni avevano un valore, il pensiero logico re-stava completamente riabilitato. Finchè parlano – dicelui stesso nell'Altra metà – anche i pluralisti sono dei se-dicenti pluralisti: sol accettando il principio d’identitàpossiamo discorrere del diverso. Ma non si è anche plu-ralisti stabilendo che il linguaggio è essenzialmente er-roneo? Non è evidente, dunque, che il vero pluralismonon è pensiero nè ricco nè povero, ma opinione, gusto,capriccio? Per questo suo ostinato antirazionalismo, ilPapini non è riuscito a scoprire l’unità di scienza e filo-sofia che ha quasi formulato completamente. Nella suarecensione del saggio del Croce su Hegel, ha dimostratol’identità tra i concetti dei filosofi e i così detti pseudo-concetti degli scienziati; nello studio «La religione stada sè» diceva che la filosofia deve cedere davanti aqualcosa di più grande di lei, al pensiero umano;nell’undecimo capitolo dell'Altra metà affermava chenon bisogna fermarsi al pragmatismo, che non bisogna

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pilazione, non è affatto originale. I suoi precedenti, senon storici, logici e i precedenti dei saggi posteriorisono nei nominalisti medievali, in Locke, in Hume, inStuart Mill e nei pragmatisti. La conoscenza è dualità,dunque gli universali monistici sono assurdi; tutto è fe-nomeno, le essenze non sono che astrazioni ipostatizza-te, la conoscenza vera e completa consiste nel possessointegrale del particolare, quindi niente arte, niente scien-za, nient’affatto filosofia: la filosofia è un illecito pro-lungamento della generalizzazione scientifica. Pare im-possibile, ma il Papini non s’è mai accorto che se le sueargomentazioni avevano un valore, il pensiero logico re-stava completamente riabilitato. Finchè parlano – dicelui stesso nell'Altra metà – anche i pluralisti sono dei se-dicenti pluralisti: sol accettando il principio d’identitàpossiamo discorrere del diverso. Ma non si è anche plu-ralisti stabilendo che il linguaggio è essenzialmente er-roneo? Non è evidente, dunque, che il vero pluralismonon è pensiero nè ricco nè povero, ma opinione, gusto,capriccio? Per questo suo ostinato antirazionalismo, ilPapini non è riuscito a scoprire l’unità di scienza e filo-sofia che ha quasi formulato completamente. Nella suarecensione del saggio del Croce su Hegel, ha dimostratol’identità tra i concetti dei filosofi e i così detti pseudo-concetti degli scienziati; nello studio «La religione stada sè» diceva che la filosofia deve cedere davanti aqualcosa di più grande di lei, al pensiero umano;nell’undecimo capitolo dell'Altra metà affermava chenon bisogna fermarsi al pragmatismo, che non bisogna

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semplicemente rivelare e tanto meno accentuare la ten-denza utilitaria della conoscenza, ma che dobbiamo in-vece rendere questa sempre più disinteressata; – maquest’uomo che pure ha elogiato Giovanni Vailati di cuisi è professato anzi discepolo, è rimasto sempre un ado-ratore del particolare e non si è saputo elevare a una for-ma di conoscenza nella quale la scienza e la filosofiafossero tutt’uno e anzi ha sostenuto che il vero scopodella filosofia è quello di riconoscere il carattere utilita-rio alla scienza e a molte filosofie passate per giungere auna conoscenza pura e disinteressata, naturalmente suigeneris.

È inutile continuare quest’analisi fastidiosa. Le ideefilosofiche di Giovanni Papini sono povere e sterili ap-punto perchè l’interesse del Papini non è per la cono-scenza ma per il possesso della realtà. Tutte le elucubra-zioni del Papini significano soltanto che egli non è riu-scito ancora a possedere la realtà e basta. Se si prescindequindi da qualità di second’ordine, le qualità del volga-rizzatore, che il Papini possiede in grado eminente, – ciòche rende attraentissimi i suoi saggi di pura volgarizza-zione, gli articoli di giornale, – i suoi libri filosofici han-no valore soltanto come documenti mistici. Nel Crepu-scolo dei filosofi, il capitolo veramente papiniano èl’ultimo, quello in cui si profetizza la pragmatica. Di-ventar Dio. Quest’idea è l’anima di tutti i saggi leonar-diani, in parte raccolti nel volume sul Pragmatismo; e iresidui di quest’idea animano l'Altra metà, le ultime pa-gine dell’Uomo finito e altri scritti minori. Veramente

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semplicemente rivelare e tanto meno accentuare la ten-denza utilitaria della conoscenza, ma che dobbiamo in-vece rendere questa sempre più disinteressata; – maquest’uomo che pure ha elogiato Giovanni Vailati di cuisi è professato anzi discepolo, è rimasto sempre un ado-ratore del particolare e non si è saputo elevare a una for-ma di conoscenza nella quale la scienza e la filosofiafossero tutt’uno e anzi ha sostenuto che il vero scopodella filosofia è quello di riconoscere il carattere utilita-rio alla scienza e a molte filosofie passate per giungere auna conoscenza pura e disinteressata, naturalmente suigeneris.

È inutile continuare quest’analisi fastidiosa. Le ideefilosofiche di Giovanni Papini sono povere e sterili ap-punto perchè l’interesse del Papini non è per la cono-scenza ma per il possesso della realtà. Tutte le elucubra-zioni del Papini significano soltanto che egli non è riu-scito ancora a possedere la realtà e basta. Se si prescindequindi da qualità di second’ordine, le qualità del volga-rizzatore, che il Papini possiede in grado eminente, – ciòche rende attraentissimi i suoi saggi di pura volgarizza-zione, gli articoli di giornale, – i suoi libri filosofici han-no valore soltanto come documenti mistici. Nel Crepu-scolo dei filosofi, il capitolo veramente papiniano èl’ultimo, quello in cui si profetizza la pragmatica. Di-ventar Dio. Quest’idea è l’anima di tutti i saggi leonar-diani, in parte raccolti nel volume sul Pragmatismo; e iresidui di quest’idea animano l'Altra metà, le ultime pa-gine dell’Uomo finito e altri scritti minori. Veramente

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Page 30: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

l’idea centrale dell'Altra metà dovrebbe essere quella«divina» legge dei contrari che ricorre nelle Memoried'Iddio nell’articolo su Michelstaedter, in Una mortementale e nell’Uomo finito. La legge sarebbe questa:Ogni cosa genera la sua contraria. Cioè: Ogni cosa pro-viene dalla sua contraria. Il Papini ci dice subito chequesta legge non è universale, ma è evidente che questapretesa legge non è che il povero ed empirico luogo co-mune, che il popolo ha formulato nei proverbi: Ogni ec-cesso è vizio, il troppo stroppia, gli estremi si toccano.La legge dei contrari – dice ingenuamente il Papini stes-so – è adombrata anche nel pensiero comune e cita i det-ti: Non tutto il male viene per nuocere, chi troppo ab-braccia nulla stringe, dal sublime al ridicolo c’è un pas-so. Nel mondo astratto – continua – vediamo: dal nullasorge il mondo, il tutto (dogma della creazione). È chia-ro che questo è il dogma dell’assurdità e non il dogmadella creazione. Quale creazionista ha mai sostenuto chel’essere è una modificazione dal nulla? Ma lo strano èche il Papini crede di potersi appoggiare, oltre che aimisteri e alla assurdità, anche alla scienza. Il principiodella conservazione dell’energia e della materia – dice –non è più sicuro; oggi si comincia a parlare di annienta-mento della materia; e via di seguito. Dove si vede chemetafisici, positivisti e pragmatisti, in materia di scienzasi equivalgono. Il Papini non sa che le nuove vedute in-torno alla natura della materia non hanno che vedere colnulla perchè con queste vedute la materia diventa non ilnulla ma una modificazione dell’etere, il quale divente-

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l’idea centrale dell'Altra metà dovrebbe essere quella«divina» legge dei contrari che ricorre nelle Memoried'Iddio nell’articolo su Michelstaedter, in Una mortementale e nell’Uomo finito. La legge sarebbe questa:Ogni cosa genera la sua contraria. Cioè: Ogni cosa pro-viene dalla sua contraria. Il Papini ci dice subito chequesta legge non è universale, ma è evidente che questapretesa legge non è che il povero ed empirico luogo co-mune, che il popolo ha formulato nei proverbi: Ogni ec-cesso è vizio, il troppo stroppia, gli estremi si toccano.La legge dei contrari – dice ingenuamente il Papini stes-so – è adombrata anche nel pensiero comune e cita i det-ti: Non tutto il male viene per nuocere, chi troppo ab-braccia nulla stringe, dal sublime al ridicolo c’è un pas-so. Nel mondo astratto – continua – vediamo: dal nullasorge il mondo, il tutto (dogma della creazione). È chia-ro che questo è il dogma dell’assurdità e non il dogmadella creazione. Quale creazionista ha mai sostenuto chel’essere è una modificazione dal nulla? Ma lo strano èche il Papini crede di potersi appoggiare, oltre che aimisteri e alla assurdità, anche alla scienza. Il principiodella conservazione dell’energia e della materia – dice –non è più sicuro; oggi si comincia a parlare di annienta-mento della materia; e via di seguito. Dove si vede chemetafisici, positivisti e pragmatisti, in materia di scienzasi equivalgono. Il Papini non sa che le nuove vedute in-torno alla natura della materia non hanno che vedere colnulla perchè con queste vedute la materia diventa non ilnulla ma una modificazione dell’etere, il quale divente-

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rebbe la materia vera e propria (la sostanza). Del resto letre terne di saggi (troppa simmetria in un romantico in-curabile) sui concetti ontologici (nulla, diverso, impossi-bile), i concetti cronologici (ignoranza, errore, pazzia) ei concetti pratici (non fare, male, inutile), non dimostra-no affatto che per capire il sì occorre studiare il no, percapire l’essere occorre studiare il non essere, e per capi-re il diritto il rovescio.

Se in essi si prescinde dal puro e semplice buon sen-so, non resta se non quella speranza mistica espressacon questa frase che è il ritmo del libro: «Forse le tene-bre c’illumineranno». L'Altra metà dunque non è un li-bro di filosofia ma una pagina dolorosa del giornale inti-mo papiniano. Molte espressioni sembrano singhiozzi. Èevidente che questo libro sotto l’apparenza di uno stu-dio, è il documento di una nobile tragedia spirituale.Parrebbe che si trattasse d’una fede, della fede nel nulla,di cui sarebbero anticipazioni, secondo Papini, Dio,l’infinito, l’ineffabile dei mistici. La nostra professionedi fede eccola qui, dice il Papini. La scrisse un uomoche fu pazzo trent’anni: Noi siamo nati per Nulla, amia-mo Nulla, crediamo in un Nulla, lavoriamo per Nulla etutto questo per andare un giorno nel Nulla. Manell’ultimo capitolo «Rimorsi», il Papini nega recisa-mente ogni fede. Mi pare – dice – che a ogni mia certez-za si possa contrapporre un dubbio; e un dubbio a ognimia certezza; e un sì a ogni mio no; e una scappellaturaa ogni mio sberleffo e una più sconsolata disperazione aogni ironizzata malinconia. La vera fede di Papini è in-

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rebbe la materia vera e propria (la sostanza). Del resto letre terne di saggi (troppa simmetria in un romantico in-curabile) sui concetti ontologici (nulla, diverso, impossi-bile), i concetti cronologici (ignoranza, errore, pazzia) ei concetti pratici (non fare, male, inutile), non dimostra-no affatto che per capire il sì occorre studiare il no, percapire l’essere occorre studiare il non essere, e per capi-re il diritto il rovescio.

Se in essi si prescinde dal puro e semplice buon sen-so, non resta se non quella speranza mistica espressacon questa frase che è il ritmo del libro: «Forse le tene-bre c’illumineranno». L'Altra metà dunque non è un li-bro di filosofia ma una pagina dolorosa del giornale inti-mo papiniano. Molte espressioni sembrano singhiozzi. Èevidente che questo libro sotto l’apparenza di uno stu-dio, è il documento di una nobile tragedia spirituale.Parrebbe che si trattasse d’una fede, della fede nel nulla,di cui sarebbero anticipazioni, secondo Papini, Dio,l’infinito, l’ineffabile dei mistici. La nostra professionedi fede eccola qui, dice il Papini. La scrisse un uomoche fu pazzo trent’anni: Noi siamo nati per Nulla, amia-mo Nulla, crediamo in un Nulla, lavoriamo per Nulla etutto questo per andare un giorno nel Nulla. Manell’ultimo capitolo «Rimorsi», il Papini nega recisa-mente ogni fede. Mi pare – dice – che a ogni mia certez-za si possa contrapporre un dubbio; e un dubbio a ognimia certezza; e un sì a ogni mio no; e una scappellaturaa ogni mio sberleffo e una più sconsolata disperazione aogni ironizzata malinconia. La vera fede di Papini è in-

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vece la fede in un assoluto ch’egli non riesce mai a tro-vare e di cui ha un invincibile bisogno. Papini ha dettodi essere stato sempre irreligioso – io sono un uomo peril quale Dio non è mai esistito –: la verità e il contrario.Se la religione è, come dice lui stesso, conoscenza imi-tativa e non descrittiva o esplicativa, azione immedesi-mata con la conoscenza di un mondo speciale e cono-scenza che ha significato nell’azione rispetto a questomondo speciale; se, in una parola, religione significavita in Dio e irreligione vita nel finito in quanto finito,Papini è stato sempre religioso.

Come si vede, noi riconosciamo al Papini l’individua-lità etica che molti gli hanno negato. Costoro hanno vi-sto in Papini quell’Amico Ditè che si definiva così: Iosono un uomo comune, un uomo terribilmente comuneche vuol fare a tutti i costi, una vita non comune, unavita assolutamente straordinaria. Hanno trovato il suodesiderio di grandezza piccino, geometrico, egoistico.Certo non si può negare che nel Papini c'è ancora troppamaterialità e anche dell’istrionismo; non si può negareche egli somiglia a molti uomini che ha disprezzato: almieloso e piagnucoloso Pascoli e al lamentoso sonettaiodel Petrarca. Certe sue pagine troppo femminee – il pri-mo capitolo dell’Uomo finito, per esempio, che è unaserie alquanto puerile di variazioni del motivo: Io nonsono mai stato bambino – possono sembrare in troppostridente contrasto con chi ha esaltato la pietra contro ilmiele, la maschilità contro la femminilità. Ed è anche

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vece la fede in un assoluto ch’egli non riesce mai a tro-vare e di cui ha un invincibile bisogno. Papini ha dettodi essere stato sempre irreligioso – io sono un uomo peril quale Dio non è mai esistito –: la verità e il contrario.Se la religione è, come dice lui stesso, conoscenza imi-tativa e non descrittiva o esplicativa, azione immedesi-mata con la conoscenza di un mondo speciale e cono-scenza che ha significato nell’azione rispetto a questomondo speciale; se, in una parola, religione significavita in Dio e irreligione vita nel finito in quanto finito,Papini è stato sempre religioso.

Come si vede, noi riconosciamo al Papini l’individua-lità etica che molti gli hanno negato. Costoro hanno vi-sto in Papini quell’Amico Ditè che si definiva così: Iosono un uomo comune, un uomo terribilmente comuneche vuol fare a tutti i costi, una vita non comune, unavita assolutamente straordinaria. Hanno trovato il suodesiderio di grandezza piccino, geometrico, egoistico.Certo non si può negare che nel Papini c'è ancora troppamaterialità e anche dell’istrionismo; non si può negareche egli somiglia a molti uomini che ha disprezzato: almieloso e piagnucoloso Pascoli e al lamentoso sonettaiodel Petrarca. Certe sue pagine troppo femminee – il pri-mo capitolo dell’Uomo finito, per esempio, che è unaserie alquanto puerile di variazioni del motivo: Io nonsono mai stato bambino – possono sembrare in troppostridente contrasto con chi ha esaltato la pietra contro ilmiele, la maschilità contro la femminilità. Ed è anche

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troppo contraddittorio quel disprezzare i poeti e scrivereuna cinquantina di novelle e una sessantina di sonetti.

Ma d’altra parte non si può negare che l’aspirazione auna vita più nobile e più alta è stata costante in Giovan-ni Papini e che sotto quella stessa megalomania chesembra ripugnante c’è una sete insaziata di assoluto. Sefosse una megalomania puramente egoistica, sarebberoaffatto incomprensibili i due ultimi libri dell’Uomo fini-to. Quella disperazione a cui si abbandona dopo l’insuc-cesso del suo sogno taumaturgico, non si può spiegarese non ammettendo che, piuttosto che la realizzazione diun sogno egoista, Papini cercava Dio senza saperlobene. Il grido accorato: Un po’ di certezza! ha valore re-ligioso perchè il Papini possiede infinite altre verità, tut-te le verità del buon senso di cui ha dato poi, con mera-viglia dei critici, molti esempi che spesso si sono ridottipurtroppo a chiacchiere da caffè degne della turba chelegge Lacerba, ma indegne di chi aveva chiamato la ple-be nemica e aveva scritto: I tempi si avvicinano in cui ilLeonardo dovrà scomparire per sempre. La sua popola-rità diviene ogni giorno più inquietante. Troppa gentecomincia ad occuparsi di noi, troppi battezzieri e troppiapostoli sorgono ai nostri fianchi.

Non abbiamo ancora parlato del Papini lirico, ma ab-biamo implicitamente affermato che il Papini lirico nonè che una manifestazione secondaria del cercatore senzafrutto dell’assoluto. Abbiamo già accennato che il Papi-ni, dominato dalla sua volontà d’azione, oltre che la fi-losofia ha negato anche l’arte, l’ha concepita soltanto

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troppo contraddittorio quel disprezzare i poeti e scrivereuna cinquantina di novelle e una sessantina di sonetti.

Ma d’altra parte non si può negare che l’aspirazione auna vita più nobile e più alta è stata costante in Giovan-ni Papini e che sotto quella stessa megalomania chesembra ripugnante c’è una sete insaziata di assoluto. Sefosse una megalomania puramente egoistica, sarebberoaffatto incomprensibili i due ultimi libri dell’Uomo fini-to. Quella disperazione a cui si abbandona dopo l’insuc-cesso del suo sogno taumaturgico, non si può spiegarese non ammettendo che, piuttosto che la realizzazione diun sogno egoista, Papini cercava Dio senza saperlobene. Il grido accorato: Un po’ di certezza! ha valore re-ligioso perchè il Papini possiede infinite altre verità, tut-te le verità del buon senso di cui ha dato poi, con mera-viglia dei critici, molti esempi che spesso si sono ridottipurtroppo a chiacchiere da caffè degne della turba chelegge Lacerba, ma indegne di chi aveva chiamato la ple-be nemica e aveva scritto: I tempi si avvicinano in cui ilLeonardo dovrà scomparire per sempre. La sua popola-rità diviene ogni giorno più inquietante. Troppa gentecomincia ad occuparsi di noi, troppi battezzieri e troppiapostoli sorgono ai nostri fianchi.

Non abbiamo ancora parlato del Papini lirico, ma ab-biamo implicitamente affermato che il Papini lirico nonè che una manifestazione secondaria del cercatore senzafrutto dell’assoluto. Abbiamo già accennato che il Papi-ni, dominato dalla sua volontà d’azione, oltre che la fi-losofia ha negato anche l’arte, l’ha concepita soltanto

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Page 34: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

come una ricostruzione di un mondo migliore. Per i poe-ti in quanto poeti assai difficilmente ha avutodell’ammirazione. In Dante, piuttosto che l'artista haammirato il vicario di Dio giudice e come vati più checome poeti ha esaltato Withman e Carducci. Le ideeestetiche che ha esposto (distinzione di arte plebea e artesignorile, arte interna e arte esterna) non hanno nessunvalore scientifico: ma bisogna riconoscere che nei suoilibri lirici c’è molta arte. Se non ha fatto la filosofia, hafatto spesso la poesia dell’altra metà. Le sue pagine mi-gliori artisticamente sono nei due libri del periodo leo-nardiano, il periodo aureo del Papini, cioè nel TragicoQuotidiano e nel Pilota cieco; ma son molto belli anchealcuni capitoli dell’Uomo finito: Un milione di libri,Lui, Ribollimento, Il discorso notturno, Io e l’amore. InParole e Sangue invece di arte abbiamo spesso dellapsichiatria; mediocre è anche la Vita di nessuno e soloqualche pagina è bella nelle Memorie d’Iddio. Una dellepiù belle prose papiniane è la prefazione ai poeti dellaprima edizione del Tragico Quotidiano, non ristampataperchè era una prefazione!

Per ragioni di spazio, devo affrettarmi alla conclusio-ne. Avrei esaminato assai volentieri parecchie prose liri-che, specialmente l'Elegia per ciò che non fu e Due im-magini in una vasca. Esaminerò soltanto, anche perchèl’ho promesso, ma assai rapidamente, Perchè vuoiamarmi? È una scena drammatica tra il poeta e una fan-ciulla. La fanciulla non parla nè ci vien presentata dalpoeta ma da tutto il discorso ci si rileva come una delle

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come una ricostruzione di un mondo migliore. Per i poe-ti in quanto poeti assai difficilmente ha avutodell’ammirazione. In Dante, piuttosto che l'artista haammirato il vicario di Dio giudice e come vati più checome poeti ha esaltato Withman e Carducci. Le ideeestetiche che ha esposto (distinzione di arte plebea e artesignorile, arte interna e arte esterna) non hanno nessunvalore scientifico: ma bisogna riconoscere che nei suoilibri lirici c’è molta arte. Se non ha fatto la filosofia, hafatto spesso la poesia dell’altra metà. Le sue pagine mi-gliori artisticamente sono nei due libri del periodo leo-nardiano, il periodo aureo del Papini, cioè nel TragicoQuotidiano e nel Pilota cieco; ma son molto belli anchealcuni capitoli dell’Uomo finito: Un milione di libri,Lui, Ribollimento, Il discorso notturno, Io e l’amore. InParole e Sangue invece di arte abbiamo spesso dellapsichiatria; mediocre è anche la Vita di nessuno e soloqualche pagina è bella nelle Memorie d’Iddio. Una dellepiù belle prose papiniane è la prefazione ai poeti dellaprima edizione del Tragico Quotidiano, non ristampataperchè era una prefazione!

Per ragioni di spazio, devo affrettarmi alla conclusio-ne. Avrei esaminato assai volentieri parecchie prose liri-che, specialmente l'Elegia per ciò che non fu e Due im-magini in una vasca. Esaminerò soltanto, anche perchèl’ho promesso, ma assai rapidamente, Perchè vuoiamarmi? È una scena drammatica tra il poeta e una fan-ciulla. La fanciulla non parla nè ci vien presentata dalpoeta ma da tutto il discorso ci si rileva come una delle

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più pure fanciulle di Dante, di Shekespeare, di Shelley.C’è veramente, domanda il poeta, ma con le immaginipiù fresche e più suggestive, qualcuno che mi ama? Pen-sa, pensa bene! Non aver pietà di me. È proprio possibi-le che qualcuno mi ami? Non rispondermi ancora. Pensaalla stranezza di questo fatto se fosse vero. Com’è possi-bile che mi ami veramente un essere diverso da me cheprima non mi conosceva? Io ricordo, sì, di avere appog-giato la mia testa alla sua spalla e di aver strette insiemele sue fragili mani venate, e di aver baciato tante volte lasua bocca e di aver ascoltato per ore intere la pianissimamusica del suo fiato; ma era proprio io in quei momen-ti? Perchè dunque dovrebbe esser vera una cosa così im-possibile? Che merito ho io? Che interesse posso pre-sentare? Lasciatemi tranquillo. Non so che farmene deivostri sospiri e delle vostre facce sentimentali.

C’è in questa prima parte, per quanto assai bella,qualche lungaggine, ma la conclusione è quasi perfetta.La fanciulla è ancora là e il poeta la investe con frasid'una tenerezza commovente – Perchè i tuoi capelli sonocosì fini e perchè alcune ciocche sono quasi bionde? – econclude invitandola con divine parole a baciarlo e achiudergli con i baci gli occhi fino a che senta soltanto ilpiccolo cuore frenetico della fanciulla che batte e chebatte per lui.

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più pure fanciulle di Dante, di Shekespeare, di Shelley.C’è veramente, domanda il poeta, ma con le immaginipiù fresche e più suggestive, qualcuno che mi ama? Pen-sa, pensa bene! Non aver pietà di me. È proprio possibi-le che qualcuno mi ami? Non rispondermi ancora. Pensaalla stranezza di questo fatto se fosse vero. Com’è possi-bile che mi ami veramente un essere diverso da me cheprima non mi conosceva? Io ricordo, sì, di avere appog-giato la mia testa alla sua spalla e di aver strette insiemele sue fragili mani venate, e di aver baciato tante volte lasua bocca e di aver ascoltato per ore intere la pianissimamusica del suo fiato; ma era proprio io in quei momen-ti? Perchè dunque dovrebbe esser vera una cosa così im-possibile? Che merito ho io? Che interesse posso pre-sentare? Lasciatemi tranquillo. Non so che farmene deivostri sospiri e delle vostre facce sentimentali.

C’è in questa prima parte, per quanto assai bella,qualche lungaggine, ma la conclusione è quasi perfetta.La fanciulla è ancora là e il poeta la investe con frasid'una tenerezza commovente – Perchè i tuoi capelli sonocosì fini e perchè alcune ciocche sono quasi bionde? – econclude invitandola con divine parole a baciarlo e achiudergli con i baci gli occhi fino a che senta soltanto ilpiccolo cuore frenetico della fanciulla che batte e chebatte per lui.

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LA GUERRA

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Quella forma di pacifismo da cui eravamo ammalatiprima dello scoppio della guerra libica, piuttosto che pa-cifismo – vale a dire aspirazione a una pace fondata sul-la giustizia – era quietismo, cioè l’effetto di una tenden-za al quieto vivere e alla viltà. Accasciati dal ricordodella sconfitta che il primo marzo del '96, Menelik ciaveva inflitto nella conca d’Adua, quei pacifisti pensa-vano che il nostro esercito e la nostra marina non fosse-ro buoni a nulla; e si credeva per conseguenza che l’Ita-lia dovesse tollerare tutte le umiliazioni che credevanoopportuno d’infliggerle le altre nazioni; e si trovava na-turale che, come disse il Pascoli, agl’italiani all’esteronon fosse lecito dir sì come Dante, dir terra come Co-lombo, dire avanti! come Garibaldi.

La guerra libica non ha distrutto totalmente il pacifi-smo quietista. Esso vive ancora in una teoria che appa-rentemente ne è la negazione: la teoria nazionalista. Ilnazionalismo esalta la guerra, mentre il quietismo la de-nigra e la teme; ma il fondo del nazionalismo è, comequello del quietismo, la passività. La differenza è solo inquesto, che il nazionalismo si lascia andare in balìa dellaguerra; ma, evidentemente, non diventa per questo undominatore. È un vinto insincero. Somiglia a uno cheabbandonato in un torrente impetuoso alla deriva, gri-dasse con entusiasmo: Avanti! avanti! Se si analizza

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Quella forma di pacifismo da cui eravamo ammalatiprima dello scoppio della guerra libica, piuttosto che pa-cifismo – vale a dire aspirazione a una pace fondata sul-la giustizia – era quietismo, cioè l’effetto di una tenden-za al quieto vivere e alla viltà. Accasciati dal ricordodella sconfitta che il primo marzo del '96, Menelik ciaveva inflitto nella conca d’Adua, quei pacifisti pensa-vano che il nostro esercito e la nostra marina non fosse-ro buoni a nulla; e si credeva per conseguenza che l’Ita-lia dovesse tollerare tutte le umiliazioni che credevanoopportuno d’infliggerle le altre nazioni; e si trovava na-turale che, come disse il Pascoli, agl’italiani all’esteronon fosse lecito dir sì come Dante, dir terra come Co-lombo, dire avanti! come Garibaldi.

La guerra libica non ha distrutto totalmente il pacifi-smo quietista. Esso vive ancora in una teoria che appa-rentemente ne è la negazione: la teoria nazionalista. Ilnazionalismo esalta la guerra, mentre il quietismo la de-nigra e la teme; ma il fondo del nazionalismo è, comequello del quietismo, la passività. La differenza è solo inquesto, che il nazionalismo si lascia andare in balìa dellaguerra; ma, evidentemente, non diventa per questo undominatore. È un vinto insincero. Somiglia a uno cheabbandonato in un torrente impetuoso alla deriva, gri-dasse con entusiasmo: Avanti! avanti! Se si analizza

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bene il nazionalista, si trova che egli, in fondo, è losconfitto di Adua come il quietista. Basta pensare aglientusiasmi istericamente iperbolici che avevano i nazio-nalisti all’annunzio di una qualsiasi scaramuccia italia-na. La caduta di un turco o d’un arabo faceva subito in-nalzare un inno alla Vittoria e rievocare le aquile roma-ne. Il Corradini parlando delle vittorie tripoline, dicevastupito: Eravamo e non lo sapevamo, eravamo e non locredevamo.

Le due teorie intransigenti della guerra, la polemista ela pacifista, per quanto opposte, hanno la radice comu-ne. Il loro torto sta nel concepire la guerra come fine asè stessa e non come un mezzo. La guerra invece, piut-tosto che essere l’espressione di un bisogno bellico cheavrebbe l’uomo come ne ha uno estetico e uno logico,vien fatta, sotto lo stimolo di cause molteplici, per con-seguire qualche finalità. È nell’analisi di queste cause edi questa finalità che si deve trovare la valutazione dellaguerra. Non si può quindi dire che la guerra è un benesommo, come vorrebbe il Moltke, o un infame reato,come vorrebbe il Tolstoi; ma bisogna far distinzione traguerre legittime e guerre illegittime. Una operazionechirurgica, per esempio l’amputazione di un braccio, èun bene o un male? La domanda è mal fatta perchèl'amputazione del braccio non può giudicarsi indipen-dentemente dal fine che la determina e a seconda di quelfine può essere giustificata e ingiustificata; giustificatase è necessaria a salvare il malato dalla morte, ingiustifi-cata se il braccio potrebbe guarire con mezzi pacifici.

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bene il nazionalista, si trova che egli, in fondo, è losconfitto di Adua come il quietista. Basta pensare aglientusiasmi istericamente iperbolici che avevano i nazio-nalisti all’annunzio di una qualsiasi scaramuccia italia-na. La caduta di un turco o d’un arabo faceva subito in-nalzare un inno alla Vittoria e rievocare le aquile roma-ne. Il Corradini parlando delle vittorie tripoline, dicevastupito: Eravamo e non lo sapevamo, eravamo e non locredevamo.

Le due teorie intransigenti della guerra, la polemista ela pacifista, per quanto opposte, hanno la radice comu-ne. Il loro torto sta nel concepire la guerra come fine asè stessa e non come un mezzo. La guerra invece, piut-tosto che essere l’espressione di un bisogno bellico cheavrebbe l’uomo come ne ha uno estetico e uno logico,vien fatta, sotto lo stimolo di cause molteplici, per con-seguire qualche finalità. È nell’analisi di queste cause edi questa finalità che si deve trovare la valutazione dellaguerra. Non si può quindi dire che la guerra è un benesommo, come vorrebbe il Moltke, o un infame reato,come vorrebbe il Tolstoi; ma bisogna far distinzione traguerre legittime e guerre illegittime. Una operazionechirurgica, per esempio l’amputazione di un braccio, èun bene o un male? La domanda è mal fatta perchèl'amputazione del braccio non può giudicarsi indipen-dentemente dal fine che la determina e a seconda di quelfine può essere giustificata e ingiustificata; giustificatase è necessaria a salvare il malato dalla morte, ingiustifi-cata se il braccio potrebbe guarire con mezzi pacifici.

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Risulta però da questa considerazione che l'opinionepessimista sulla guerra è più vicina alla verità dell’opi-nione ottimista: l’operazione chirurgica, anche quando èpienamente giustificata, non cessa di essere in sostanzaun male.

L’imperialismo sostiene la legittimità della guerra perimporre la civiltà. Imperialista è stato, per esempio,Maometto che ha ordinato ai suoi discepoli di diffonde-re la fede musulmana anche con le armi. Il motivo divero di questa dottrina è l’affermazione dell’attività con-tro l’indifferentismo. Nessuna fede, sia religiosa o poli-tica o scientifica o etica, può essere indifferente. Ognifede ha la tendenza ad affermarsi e quindi a combatterele fedi avversarie. Questa tendenza è pienamente legitti-ma, ma la diffusione delle fedi deve farsi col pensiero(parola, stampa) e non con le armi.

Guglielmo Ferrero, nel suo libro sul militarismo, haesaminato la guerra dal punto di vista del problema del-la felicità e ha cercato di dimostrare che la guerra è con-traria alla felicità umana. Il Ferrero ci ha fatto passaredavanti i grandi conquistatori, da Attila a Napoleone,mettendone in rilievo il loro carattere amletico. Attila,per esempio, in un banchetto nel quale tutti si divertono,se ne sta in disparte serio e taciturno; e solo quando gliconducono il figlio destinato a succedergli al trono, loguarda con occhi dolci accarezzandogli la guancia. IlFerrero crede di spiegare l'infelicità dei conquistatoricon l'idea che la gioia è data dalla creazione e non dalladistruzione, dall’amore quindi e non dalla guerra.

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Risulta però da questa considerazione che l'opinionepessimista sulla guerra è più vicina alla verità dell’opi-nione ottimista: l’operazione chirurgica, anche quando èpienamente giustificata, non cessa di essere in sostanzaun male.

L’imperialismo sostiene la legittimità della guerra perimporre la civiltà. Imperialista è stato, per esempio,Maometto che ha ordinato ai suoi discepoli di diffonde-re la fede musulmana anche con le armi. Il motivo divero di questa dottrina è l’affermazione dell’attività con-tro l’indifferentismo. Nessuna fede, sia religiosa o poli-tica o scientifica o etica, può essere indifferente. Ognifede ha la tendenza ad affermarsi e quindi a combatterele fedi avversarie. Questa tendenza è pienamente legitti-ma, ma la diffusione delle fedi deve farsi col pensiero(parola, stampa) e non con le armi.

Guglielmo Ferrero, nel suo libro sul militarismo, haesaminato la guerra dal punto di vista del problema del-la felicità e ha cercato di dimostrare che la guerra è con-traria alla felicità umana. Il Ferrero ci ha fatto passaredavanti i grandi conquistatori, da Attila a Napoleone,mettendone in rilievo il loro carattere amletico. Attila,per esempio, in un banchetto nel quale tutti si divertono,se ne sta in disparte serio e taciturno; e solo quando gliconducono il figlio destinato a succedergli al trono, loguarda con occhi dolci accarezzandogli la guancia. IlFerrero crede di spiegare l'infelicità dei conquistatoricon l'idea che la gioia è data dalla creazione e non dalladistruzione, dall’amore quindi e non dalla guerra.

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Io accetto pienamente la tesi del Ferrero: credo cioèche la guerra sia in antitesi con la felicità umana. Ma leragioni del Ferrero sono insufficienti. Il Ferrero conce-pisce la guerra come un’industria. Ora il concetto dellaguerra-industria se è vero per i popoli primitivi non èpiù sostenibile per i popoli moderni. In certe guerre ilcarattere industriale manca completamente o quasi, peresempio nella nostra guerra nazionale: e Garibaldi neitempi moderni (o meglio Goffredo Mameli) e GiulioCesare negli antichi non possono affatto paragonarsi,come ha visto lo stesso Ferrero, nè ad Attila nè a Napo-leone o meglio a Gengis-kan o a Timur-Lenk.

Certi guerrieri ci appaiono sottoposti alla legge deltutto per nulla che, secondo il Corradini, è la legge delsoldato: il massimo sacrificio: morire; per il minimo diricompensa: nulla. È vero che questa legge è troppo ele-vata per poter credere col Corradini che ad essa ubbidi-scano tutti i soldati: basta pensare per convincersene allestragi fatte dai turco arabi sugli italiani e, pur troppo, aquelle degl’italiani sui turco-arabi. Quello che è indiscu-tibile è che la guerra si fa sempre più civile. Essa non èpiù indipendente dal diritto: nei tempi moderni non èpiù lecito guerreggiare alla maniera dei vandali. E poiquella legge del tutto per nulla che il Corradini ha cre-duto ingenuamente già praticata, si va sempre più dif-fondendo per il progresso del senso del dovere e delsenso umanitario e anche perchè, come ha notato il Cat-taneo, nella guerra a poco a poco l'uomo riconosce nelsuo nemico il suo simile. Ma a mano a mano che la leg-

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Io accetto pienamente la tesi del Ferrero: credo cioèche la guerra sia in antitesi con la felicità umana. Ma leragioni del Ferrero sono insufficienti. Il Ferrero conce-pisce la guerra come un’industria. Ora il concetto dellaguerra-industria se è vero per i popoli primitivi non èpiù sostenibile per i popoli moderni. In certe guerre ilcarattere industriale manca completamente o quasi, peresempio nella nostra guerra nazionale: e Garibaldi neitempi moderni (o meglio Goffredo Mameli) e GiulioCesare negli antichi non possono affatto paragonarsi,come ha visto lo stesso Ferrero, nè ad Attila nè a Napo-leone o meglio a Gengis-kan o a Timur-Lenk.

Certi guerrieri ci appaiono sottoposti alla legge deltutto per nulla che, secondo il Corradini, è la legge delsoldato: il massimo sacrificio: morire; per il minimo diricompensa: nulla. È vero che questa legge è troppo ele-vata per poter credere col Corradini che ad essa ubbidi-scano tutti i soldati: basta pensare per convincersene allestragi fatte dai turco arabi sugli italiani e, pur troppo, aquelle degl’italiani sui turco-arabi. Quello che è indiscu-tibile è che la guerra si fa sempre più civile. Essa non èpiù indipendente dal diritto: nei tempi moderni non èpiù lecito guerreggiare alla maniera dei vandali. E poiquella legge del tutto per nulla che il Corradini ha cre-duto ingenuamente già praticata, si va sempre più dif-fondendo per il progresso del senso del dovere e delsenso umanitario e anche perchè, come ha notato il Cat-taneo, nella guerra a poco a poco l'uomo riconosce nelsuo nemico il suo simile. Ma a mano a mano che la leg-

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Page 41: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

ge eroica del tutto per nulla si verrà applicando, l’antite-si tra la guerra e la felicità umana sostenuta in modo su-perficiale dal Ferrero acquisterà un significato più pro-fondo e una tragicità senza fine, la quale sarà la più for-midabile critica della guerra; e contro di essa si spunte-ranno, tutti i sofismi dei polemisti a ogni costo. Il com-battente vedrà allora la guerra come una contradizionetormentosa. Perchè il nemico al quale avrà il dovere dinuocere il più possibile gli apparirà realmente com’è,cioè eroico come lui. Egli sentirà che il nemico combat-te anche lui per ubbidire alla legge del tutto per nulla,sentirà che il nemico che sfida la morte ha come lui la-sciato la patria, ha come lui lasciato sua madre e forseuna fanciulla sulle cui labbra s’è spento il sorriso. Comeuccidere un uomo ch’è degno della più grande ammira-zione?

L'idea della tragicità della guerra sembrerà ai nazio-nalisti pericolosissima: così Luigi Valli ha definito latesi che pur ritenendo la guerra riprovevole, l’ammettequand'è necessaria. Com’è possibile, dice il Valli, cheuno combatta con slancio quando sa che la guerra è unmale? Il Valli, evidentemente, vorrebbe esaltare la guer-ra non perchè è buona ma perchè non esaltandola si de-prime lo spirito combattivo, vale a dire in nome delprincipio oscurantista delle bugie vitali. Ma il patriotti-smo non ha bisogno di bugie per sostenersi e chi lo so-stiene con le bugie appartiene a quella morale egoisticache il Corradini chiama la morale dell’uomo socialista.Il nazionalismo ci appare così pervaso non solo di quie-

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ge eroica del tutto per nulla si verrà applicando, l’antite-si tra la guerra e la felicità umana sostenuta in modo su-perficiale dal Ferrero acquisterà un significato più pro-fondo e una tragicità senza fine, la quale sarà la più for-midabile critica della guerra; e contro di essa si spunte-ranno, tutti i sofismi dei polemisti a ogni costo. Il com-battente vedrà allora la guerra come una contradizionetormentosa. Perchè il nemico al quale avrà il dovere dinuocere il più possibile gli apparirà realmente com’è,cioè eroico come lui. Egli sentirà che il nemico combat-te anche lui per ubbidire alla legge del tutto per nulla,sentirà che il nemico che sfida la morte ha come lui la-sciato la patria, ha come lui lasciato sua madre e forseuna fanciulla sulle cui labbra s’è spento il sorriso. Comeuccidere un uomo ch’è degno della più grande ammira-zione?

L'idea della tragicità della guerra sembrerà ai nazio-nalisti pericolosissima: così Luigi Valli ha definito latesi che pur ritenendo la guerra riprovevole, l’ammettequand'è necessaria. Com’è possibile, dice il Valli, cheuno combatta con slancio quando sa che la guerra è unmale? Il Valli, evidentemente, vorrebbe esaltare la guer-ra non perchè è buona ma perchè non esaltandola si de-prime lo spirito combattivo, vale a dire in nome delprincipio oscurantista delle bugie vitali. Ma il patriotti-smo non ha bisogno di bugie per sostenersi e chi lo so-stiene con le bugie appartiene a quella morale egoisticache il Corradini chiama la morale dell’uomo socialista.Il nazionalismo ci appare così pervaso non solo di quie-

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tismo, ma anche di materialismo. E veramente esso, siriduce a una semplice variazione del socialismo: mentreil socialismo sostiene l’interesse di classe, il nazionali-smo sostiene l’interesse nazionale.

La patria e l’umanità sono, tanto per il socialista cheper il nazionalista, in antitesi irriducibile, senonchèmentre il socialismo opta per l’umanità, il nazionalismoopta per la patria. Per superare il dualismo, occorre so-stituire all’interesse di classe o di nazione, il diritto deipopoli. Così la nostra concezione della pace, cioè laconcezione d'una pace che neghi tanto il quietismo cheil guerrafondismo e sia essenzialmente attività e giusti-zia, ci appare come il terreno più fertile in cui la patria el’umanità possano prosperare.

Quando la pace venga intesa nel modo che abbiamodetto, non esclude affatto la preparazione militare anzila impone. Se a una pace che va a detrimento della giu-stizia dobbiamo preferire la guerra, dobbiamo pure ave-re la possibilità di fare la guerra quand’è necessario.

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tismo, ma anche di materialismo. E veramente esso, siriduce a una semplice variazione del socialismo: mentreil socialismo sostiene l’interesse di classe, il nazionali-smo sostiene l’interesse nazionale.

La patria e l’umanità sono, tanto per il socialista cheper il nazionalista, in antitesi irriducibile, senonchèmentre il socialismo opta per l’umanità, il nazionalismoopta per la patria. Per superare il dualismo, occorre so-stituire all’interesse di classe o di nazione, il diritto deipopoli. Così la nostra concezione della pace, cioè laconcezione d'una pace che neghi tanto il quietismo cheil guerrafondismo e sia essenzialmente attività e giusti-zia, ci appare come il terreno più fertile in cui la patria el’umanità possano prosperare.

Quando la pace venga intesa nel modo che abbiamodetto, non esclude affatto la preparazione militare anzila impone. Se a una pace che va a detrimento della giu-stizia dobbiamo preferire la guerra, dobbiamo pure ave-re la possibilità di fare la guerra quand’è necessario.

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IL CAVALIEREDELLO SPIRITO SANTO

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IL CAVALIEREDELLO SPIRITO SANTO

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Page 44: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

Nelle pagine più felici di questo suo libro, Guido daVerona si rivela, secondo me, un’impressionista ironicoe sentimentale che ha intuito la vita moderna come qual-cosa di mediocre, di noioso, di filisteo e tuttavia di ma-linconico: come un immenso caffè pieno di fumo e ditristezza. Per illuminare la mia veduta, isolerò e analiz-zerò rapidamente queste pagine più felici.

Lo spegnitore di lampioni, dopo dichiarato che ogninotte verso quell’ora capita fuori il giorno, si domandase una mattina per caso non possa far buio e continuadicendo che è un peccato che la vita sia così regolare,perchè alla lunga ci si fa l’abitudine e secca di morireanche quando s’è poveri e conclude osservando che percampare la vita un povero cristo deve saperne quanto unprofessore d’università. È una macchietta riuscita; e riu-scito è anche l’accenditore di lampioni che dice questeparole: «Non è davvero possibile che una notte percaso...» Figure tutt'e due comiche e malinconiche.

Il filantropo dichiara che, dove si ride, lui non è puntonecessario e ch’egli si sente felice soltanto quando capi-ta una disgrazia. Perchè – conclude (cito letteralmente)– il male degli altri è il mio mestiere: sono un filantropo,cioè un uomo che ha bisogno di vedere soffrire. Notia-mo di sfuggita che quest’ultimo pensiero (sono un filan-tropo...) è ozioso e che è stato messo, sforzando il qua-

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Nelle pagine più felici di questo suo libro, Guido daVerona si rivela, secondo me, un’impressionista ironicoe sentimentale che ha intuito la vita moderna come qual-cosa di mediocre, di noioso, di filisteo e tuttavia di ma-linconico: come un immenso caffè pieno di fumo e ditristezza. Per illuminare la mia veduta, isolerò e analiz-zerò rapidamente queste pagine più felici.

Lo spegnitore di lampioni, dopo dichiarato che ogninotte verso quell’ora capita fuori il giorno, si domandase una mattina per caso non possa far buio e continuadicendo che è un peccato che la vita sia così regolare,perchè alla lunga ci si fa l’abitudine e secca di morireanche quando s’è poveri e conclude osservando che percampare la vita un povero cristo deve saperne quanto unprofessore d’università. È una macchietta riuscita; e riu-scito è anche l’accenditore di lampioni che dice questeparole: «Non è davvero possibile che una notte percaso...» Figure tutt'e due comiche e malinconiche.

Il filantropo dichiara che, dove si ride, lui non è puntonecessario e ch’egli si sente felice soltanto quando capi-ta una disgrazia. Perchè – conclude (cito letteralmente)– il male degli altri è il mio mestiere: sono un filantropo,cioè un uomo che ha bisogno di vedere soffrire. Notia-mo di sfuggita che quest’ultimo pensiero (sono un filan-tropo...) è ozioso e che è stato messo, sforzando il qua-

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dretto che era finito, solo per soddisfare a una velleitàgrammaticale.

Un’altra macchietta riuscita è il cenciaiolo il quale,nonostante che abbia le gambe gonfie come un barile, èstato espulso dall’ospedale perchè gli hanno detto che ènato fuori del Comune. Santa Maria! – esclama – che ta-lento aveva mia madre, a non sapere nemmeno fin dovearrivasse il dazio!

Il medico dice che se gli ospedali dovessero contene-re tutti i malati, la città non sarebbe che una sterminatainfermeria e dichiara che è un pregiudizio credere che sifaccia il medico per un apostolico amore dell’infermitàe non per sbarcare scientificamente il lunario; chel’essenziale non è che i malati guariscano, ma che su diessi si possano studiare le malattie e che il malato èquello che paga mentre gli altri sono dei pazienti, cioègente che deve aver pazienza ad aspettare che guariscada sè.

Il coro delle minorenni traviate comincia così: Quelgiorno soffiava sì forte, – che la gonnella s'alzò; e conti-nua dicendo che chi soffiava era il vento che esse senti-vano venir su per le gambe curioso curioso... E ancorain tono malizioso e lezioso: Nelle giornate di vento sa-rebbe meglio non lasciare la mano della mammina, per-chè nelle giornate di vento è molto facile cadere... sì, ca-dere su l'erba, o cadere dovechessia... Badate, bambinepiccine, alle giornate di vento! – Adesso camminanosulla punta dei piedi per non svegliare le mammine chenon vogliono vedere sulla veste nè pieghe nè fili di pa-

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dretto che era finito, solo per soddisfare a una velleitàgrammaticale.

Un’altra macchietta riuscita è il cenciaiolo il quale,nonostante che abbia le gambe gonfie come un barile, èstato espulso dall’ospedale perchè gli hanno detto che ènato fuori del Comune. Santa Maria! – esclama – che ta-lento aveva mia madre, a non sapere nemmeno fin dovearrivasse il dazio!

Il medico dice che se gli ospedali dovessero contene-re tutti i malati, la città non sarebbe che una sterminatainfermeria e dichiara che è un pregiudizio credere che sifaccia il medico per un apostolico amore dell’infermitàe non per sbarcare scientificamente il lunario; chel’essenziale non è che i malati guariscano, ma che su diessi si possano studiare le malattie e che il malato èquello che paga mentre gli altri sono dei pazienti, cioègente che deve aver pazienza ad aspettare che guariscada sè.

Il coro delle minorenni traviate comincia così: Quelgiorno soffiava sì forte, – che la gonnella s'alzò; e conti-nua dicendo che chi soffiava era il vento che esse senti-vano venir su per le gambe curioso curioso... E ancorain tono malizioso e lezioso: Nelle giornate di vento sa-rebbe meglio non lasciare la mano della mammina, per-chè nelle giornate di vento è molto facile cadere... sì, ca-dere su l'erba, o cadere dovechessia... Badate, bambinepiccine, alle giornate di vento! – Adesso camminanosulla punta dei piedi per non svegliare le mammine chenon vogliono vedere sulla veste nè pieghe nè fili di pa-

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glia, tranne alcune, anzi molte, che hanno loro spiegatocos'è il vento e hanno aperto la mano per far loro pren-dere le pieghe. Giocano con le bambole, ma qualcunadeve regalare la bambola al suo fantolino piccino; qual-che altra preferisce rompere la bambola prima che nascail fantolino così che la mammina la chiama birichina. –Mammina, bambina piccina, fantolino birichino: quantesdolcinature! Ma è indiscutibile che queste sdolcinaturesono necessarie alla particolare intuizione che lo scritto-re ha avuto di queste fanciulle maliziose e false ma infe-lici, come si vede meglio dalla chiusa che è proprio bel-la. Tutte noi – dicono – siamo persuase che mai più sa-remo buone, mai più felici, e che il vento sia la rovinadelle bambine piccine, ma... quel giorno soffiava sì forte– che la gonnella s’alzò. Se invece che con le immaginilibertine del vento e della gonnella che si alza, la lorocaduta fosse stata espressa in termini severi come fa laFrancesca da Rimini di Dante, le fanciulle traviate sa-rebbero apparse sotto una luce grandiosamente tragicache sarebbe stata una vera stonatura; ma com’è malinco-nico, sebbene non grandioso, anche sotto questa forma,il pensiero della caduta fatale!

La maestrina d’asilo è perfettamente scolpita in pocheparole: I miei numeri sono: uno, due, tre; perchè vede,in tutte le cose io sono rimasta all'a-b-c. La vita degli al-tri, i bambini degli altri... e vengono i capelli grigi. Chefare? piangere, no; sorridere, nemmeno; continuiamo: a-b-c... – Anche qui ritroviamo, espressi artisticamente,l’umorismo, il filisteismo, la malinconia.

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glia, tranne alcune, anzi molte, che hanno loro spiegatocos'è il vento e hanno aperto la mano per far loro pren-dere le pieghe. Giocano con le bambole, ma qualcunadeve regalare la bambola al suo fantolino piccino; qual-che altra preferisce rompere la bambola prima che nascail fantolino così che la mammina la chiama birichina. –Mammina, bambina piccina, fantolino birichino: quantesdolcinature! Ma è indiscutibile che queste sdolcinaturesono necessarie alla particolare intuizione che lo scritto-re ha avuto di queste fanciulle maliziose e false ma infe-lici, come si vede meglio dalla chiusa che è proprio bel-la. Tutte noi – dicono – siamo persuase che mai più sa-remo buone, mai più felici, e che il vento sia la rovinadelle bambine piccine, ma... quel giorno soffiava sì forte– che la gonnella s’alzò. Se invece che con le immaginilibertine del vento e della gonnella che si alza, la lorocaduta fosse stata espressa in termini severi come fa laFrancesca da Rimini di Dante, le fanciulle traviate sa-rebbero apparse sotto una luce grandiosamente tragicache sarebbe stata una vera stonatura; ma com’è malinco-nico, sebbene non grandioso, anche sotto questa forma,il pensiero della caduta fatale!

La maestrina d’asilo è perfettamente scolpita in pocheparole: I miei numeri sono: uno, due, tre; perchè vede,in tutte le cose io sono rimasta all'a-b-c. La vita degli al-tri, i bambini degli altri... e vengono i capelli grigi. Chefare? piangere, no; sorridere, nemmeno; continuiamo: a-b-c... – Anche qui ritroviamo, espressi artisticamente,l’umorismo, il filisteismo, la malinconia.

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Gl’impiegati che hanno per ritornello: Il nostro santoPatrono è il 27 del mese! sono davvero i mediocri manon è vero che tocchino la felicità. I fannulloni cantanoil ritornello: Noi facciamo girare il pollice destro soprail sinistro: sotto il sinistro il destro; hanno l’occupazione– spesso faticosa – di non far nulla, occupazione che è lapiù naturale dell’uomo; sono convinti che v’è una gioiagrande nel pensare che si potrebbe fare la tal cosa senzafarla e una gioia più grande nel vedere, stando in quiete,che gli altri sudano e dimagrano. Il ladro osserva cheoggigiorno con le serrature americane ai ladri occorredella cultura e della genialità; ed è per questo che onestinel vero senso della parola rimangono solamente i creti-ni. Egli ruba solo per istinto perchè il guadagno che ri-cava con la sua professione di ladro lo potrebbe ricavarecon un’altra onorata e senza pericoli. Il re consideracome la sua maggiore disgrazia la marcia reale che sisente strombettare negli orecchi venti, trenta volte algiorno e sempre la medesima e dice che sarebbe grato achi glie ne scrivesse un'altra, purchè, per l’amor di Dio,non somigliasse alla marsigliese.

Il giubilato, che entra in scena con la processione del-le amanti, rievoca tutti i suoi amori e le sue categoried’amori, dall’amante schopenhaueriana, all'incorregibi-le, alla romantica, alla lussuriosa, – all’indimenticabile:quella che si diede così, d’improvviso, con una sinceritàche parve una rivelazione, senza pudore, senza terrore,ma in silenzio; e conclude dicendo che ora ch'è giubila-to, pensa di continuo sotto i suoi capelli bianchi a questa

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Gl’impiegati che hanno per ritornello: Il nostro santoPatrono è il 27 del mese! sono davvero i mediocri manon è vero che tocchino la felicità. I fannulloni cantanoil ritornello: Noi facciamo girare il pollice destro soprail sinistro: sotto il sinistro il destro; hanno l’occupazione– spesso faticosa – di non far nulla, occupazione che è lapiù naturale dell’uomo; sono convinti che v’è una gioiagrande nel pensare che si potrebbe fare la tal cosa senzafarla e una gioia più grande nel vedere, stando in quiete,che gli altri sudano e dimagrano. Il ladro osserva cheoggigiorno con le serrature americane ai ladri occorredella cultura e della genialità; ed è per questo che onestinel vero senso della parola rimangono solamente i creti-ni. Egli ruba solo per istinto perchè il guadagno che ri-cava con la sua professione di ladro lo potrebbe ricavarecon un’altra onorata e senza pericoli. Il re consideracome la sua maggiore disgrazia la marcia reale che sisente strombettare negli orecchi venti, trenta volte algiorno e sempre la medesima e dice che sarebbe grato achi glie ne scrivesse un'altra, purchè, per l’amor di Dio,non somigliasse alla marsigliese.

Il giubilato, che entra in scena con la processione del-le amanti, rievoca tutti i suoi amori e le sue categoried’amori, dall’amante schopenhaueriana, all'incorregibi-le, alla romantica, alla lussuriosa, – all’indimenticabile:quella che si diede così, d’improvviso, con una sinceritàche parve una rivelazione, senza pudore, senza terrore,ma in silenzio; e conclude dicendo che ora ch'è giubila-to, pensa di continuo sotto i suoi capelli bianchi a questa

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favola triste, meravigliosa indefinibile, che si chiamal’amore.

La canzonettista si compiace di dire qualche frasepiccante senza nascondere le sue belle gambe: nota cheil caffè-concerto è un luogo intermedio tra l'arte e laprostituzione che quindi raduna i vantaggi di tutt’e due;e che quando entra in scena sente con piacere per tuttala sala scoppiettare un picchiettio d’accenti sull’i.

Alle più belle figure appartiene la zitella la quale haaspettato, aspettato, per l’intera giovinezza e finalmentecrede che non attende più. Le sembra di essere rimastadieci anni al cancello di un giardino, ed è diventata leistessa il cancello che la chiude. L'amore è una lunga sto-ria che finisce quasi brutalmente. Un giorno lo specchioo l’anima dicono: basta. Fu innamorata, oltre che di sèstessa, di tutti gl'innamorati che nella sua vita grigiacome polvere vide amare un’altra. Le pareva di essere,languente di sperdimento, in una stanza buia e di guar-dare, attraverso le persiane dell’uscio, in una grandeinebbriante sala da ballo, tutta fiori lascivie musica ebaci. Ma ora tutto è finito. – Questa zitella è una figurache non si dimentica, è un’immagine veramente ispirataquindi viva (concreta) e nello stesso tempo simbolica(tipica); ma la chiusa è rettorica. Il poeta si è voluto in-dugiare in descrizioni romantiche e ha voluto finire conquesta metafora lambiccata e erudita: la storia d'una ra-gazza vecchia è sempre un’immagine, perchè le sue vo-luttà non furono che sogni.

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favola triste, meravigliosa indefinibile, che si chiamal’amore.

La canzonettista si compiace di dire qualche frasepiccante senza nascondere le sue belle gambe: nota cheil caffè-concerto è un luogo intermedio tra l'arte e laprostituzione che quindi raduna i vantaggi di tutt’e due;e che quando entra in scena sente con piacere per tuttala sala scoppiettare un picchiettio d’accenti sull’i.

Alle più belle figure appartiene la zitella la quale haaspettato, aspettato, per l’intera giovinezza e finalmentecrede che non attende più. Le sembra di essere rimastadieci anni al cancello di un giardino, ed è diventata leistessa il cancello che la chiude. L'amore è una lunga sto-ria che finisce quasi brutalmente. Un giorno lo specchioo l’anima dicono: basta. Fu innamorata, oltre che di sèstessa, di tutti gl'innamorati che nella sua vita grigiacome polvere vide amare un’altra. Le pareva di essere,languente di sperdimento, in una stanza buia e di guar-dare, attraverso le persiane dell’uscio, in una grandeinebbriante sala da ballo, tutta fiori lascivie musica ebaci. Ma ora tutto è finito. – Questa zitella è una figurache non si dimentica, è un’immagine veramente ispirataquindi viva (concreta) e nello stesso tempo simbolica(tipica); ma la chiusa è rettorica. Il poeta si è voluto in-dugiare in descrizioni romantiche e ha voluto finire conquesta metafora lambiccata e erudita: la storia d'una ra-gazza vecchia è sempre un’immagine, perchè le sue vo-luttà non furono che sogni.

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Notevole, e sempre secondo il nostro punto di vista, ilsocio della Lega per la protezione degli animali; e anchelo spadaccino che dice soltanto così: Sissignore! Le hocamminato sui piedi, le ho dato due schiaffi, adesso lesputo in faccia, e se non le accomoda mi mandi due pa-drini!

Il giovane marchese sa che la gente lo crede un imbe-cille e quasi quasi lo crede anche lui; ma non è intelli-gente perchè non ha mai sentito il bisogno di esserlo.Per lui, lo scopo della vita è questo: godere per abitudi-ne, con noia, con facilità; ma non avendo ben deciso inche consista il godimento, qualche volta prova quasi latentazione che gli capiti una disgrazia, per godere il do-lore, l’unica gioia che non ha sofferto mai.

Gl’incompresi notano che il nostro è il tempo dei me-diocri, qualche volta degl’infimi; e che riescono i corti-giani del pubblico: ma continuano guastando tutto, conun’osservazione da grammatici perchè notano che, men-tre il loro valore non è riconosciuto, si celebra l’immor-talità d’un poeta che scrisse perfino un endecasillabocon dodici piedi. Qualche spunto felice c’è nel coro deicritici: il ritornello (microscopio: lente; – siringa: tana-glia da dente), l’accenno alla filosofia dell’immanenza ea quella del Bergson (per giudicare un sonetto occorreper lo meno conoscere la scienza del finito nell’infinitoe dell’infinito nel finito, nonchè saper mettersinell’intuizione come in una comodissima frottola chegiri a meraviglia da sè).

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Notevole, e sempre secondo il nostro punto di vista, ilsocio della Lega per la protezione degli animali; e anchelo spadaccino che dice soltanto così: Sissignore! Le hocamminato sui piedi, le ho dato due schiaffi, adesso lesputo in faccia, e se non le accomoda mi mandi due pa-drini!

Il giovane marchese sa che la gente lo crede un imbe-cille e quasi quasi lo crede anche lui; ma non è intelli-gente perchè non ha mai sentito il bisogno di esserlo.Per lui, lo scopo della vita è questo: godere per abitudi-ne, con noia, con facilità; ma non avendo ben deciso inche consista il godimento, qualche volta prova quasi latentazione che gli capiti una disgrazia, per godere il do-lore, l’unica gioia che non ha sofferto mai.

Gl’incompresi notano che il nostro è il tempo dei me-diocri, qualche volta degl’infimi; e che riescono i corti-giani del pubblico: ma continuano guastando tutto, conun’osservazione da grammatici perchè notano che, men-tre il loro valore non è riconosciuto, si celebra l’immor-talità d’un poeta che scrisse perfino un endecasillabocon dodici piedi. Qualche spunto felice c’è nel coro deicritici: il ritornello (microscopio: lente; – siringa: tana-glia da dente), l’accenno alla filosofia dell’immanenza ea quella del Bergson (per giudicare un sonetto occorreper lo meno conoscere la scienza del finito nell’infinitoe dell’infinito nel finito, nonchè saper mettersinell’intuizione come in una comodissima frottola chegiri a meraviglia da sè).

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L'uomo che cerca le chimere tenta di quadrare il cir-colo e di trovare il moto perpetuo. È un paranoico vivis-simo. Ragiona, nel suo campo chiuso, benissimo ed ègustosa la sua uscita – dopo fatta la domanda: Vi parepossibile che una certa quantità possa contenersi nellaforma rotonda e non nella quadrata? –: Se ne siete certi,mi dispiace per voi o microcefali!

L’erudito ci tiene a dichiarare che un certo motto è diHebbel e non di Nietzsche e fa le sue considerazioni in-torno all’ortografia e al significato del nome di Nie-tzsche e crede utile aggiungere che Hebbel – con due b– è nato ecc. ecc., verso – pare – le nove di sera. Quelgiorno – (anzi quella sera) – nevicava.

Il coro delle ragazze notturne, che si apre con dei ver-si cretini, ha pur molti spunti riusciti (Il nostro scopo èdi salire la nostra scala buia fredda angusta, con un ceri-no fra le dita, mentre un uomo silenzioso viene dietro enel salire ci tasta i polpacci; fin che abbiamo venticin-que anni ci lasciamo vedere di faccia, sotto un lampio-ne; poi di profilo, a testa bassa, dove la strada è buia). Ela malinconia della loro vita di malvage creaturesenz’amici nel mondo, la cui unica gioia è l'amante cheè evocato con particolari tenerissimi, è espressa bene.

Viva è la sartina col suo problema da risolvere, il pro-blema dell’amante, imbarazzata nella scelta ma che sedovesse cominciare comincerebbe da uno chauffeurmolto elegante che chiamano Toby, il quale quand’escecol suo pelliccione è bello da morire.

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L'uomo che cerca le chimere tenta di quadrare il cir-colo e di trovare il moto perpetuo. È un paranoico vivis-simo. Ragiona, nel suo campo chiuso, benissimo ed ègustosa la sua uscita – dopo fatta la domanda: Vi parepossibile che una certa quantità possa contenersi nellaforma rotonda e non nella quadrata? –: Se ne siete certi,mi dispiace per voi o microcefali!

L’erudito ci tiene a dichiarare che un certo motto è diHebbel e non di Nietzsche e fa le sue considerazioni in-torno all’ortografia e al significato del nome di Nie-tzsche e crede utile aggiungere che Hebbel – con due b– è nato ecc. ecc., verso – pare – le nove di sera. Quelgiorno – (anzi quella sera) – nevicava.

Il coro delle ragazze notturne, che si apre con dei ver-si cretini, ha pur molti spunti riusciti (Il nostro scopo èdi salire la nostra scala buia fredda angusta, con un ceri-no fra le dita, mentre un uomo silenzioso viene dietro enel salire ci tasta i polpacci; fin che abbiamo venticin-que anni ci lasciamo vedere di faccia, sotto un lampio-ne; poi di profilo, a testa bassa, dove la strada è buia). Ela malinconia della loro vita di malvage creaturesenz’amici nel mondo, la cui unica gioia è l'amante cheè evocato con particolari tenerissimi, è espressa bene.

Viva è la sartina col suo problema da risolvere, il pro-blema dell’amante, imbarazzata nella scelta ma che sedovesse cominciare comincerebbe da uno chauffeurmolto elegante che chiamano Toby, il quale quand’escecol suo pelliccione è bello da morire.

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Bello qualche pensiero del profumo del glicine, que-sto per esempio: Mi piace sentire il passo di una ragazzaturbata camminare nel tappeto che le faccio coi mieigrappoli cadenti e, nei crepuscoli quasi morti, con lamia morta persona. – E anche questo del profumo del ti-glio: E voi venite a passeggiare sotto i miei rami prima-verili, nelle sere dei giorni di festa, o innamorati poveridella Città. Venite, quando sul laghetto color di piomboi cigni dondolanti s’addormentano con la testa sottol’ala, mentre le bambinaie scordevoli radunano in frettai bimbi con iracondo strillare. Per voi, lentissimi inna-morati, rendo soave l'aria della Città che rimane senzamaggio, della Città tutta pietra e ciottolo, dove un fild'erba è primavera. Camminate parlandovi piano; la vo-stra obliqua ombra s’insinua fra i miei tronchi e spare.

Oltre i passi analizzati, non c’è quasi null’altro dibuono in questo libro di Guido da Verona; dunque laparte caduca del libro supera e di molto la parte buona.Il da Verona non ha saputo essere solamente se stesso;ma il male è che non poteva esserlo. Perchè appartieneanche lui a questa nostra vita piccola, vuota e pur triste;perciò, da un lato, spesso passa dalla rappresentazioneestetica all'affermazione polemica (e per ragioni polemi-che, specialmente, è stata costruita tutta l’architetturafalsamente grandiosa della rivista con gli uggiosissimiCompari e col Cavaliere dello Spirito Santo dal quale èsignificativo che essa si intitoli); dall’altro, molte voltedall’intuizione lirica passa alla chiacchiera da caffè.Moltissime macchiette, anche di quelle che abbiamo lo-

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Bello qualche pensiero del profumo del glicine, que-sto per esempio: Mi piace sentire il passo di una ragazzaturbata camminare nel tappeto che le faccio coi mieigrappoli cadenti e, nei crepuscoli quasi morti, con lamia morta persona. – E anche questo del profumo del ti-glio: E voi venite a passeggiare sotto i miei rami prima-verili, nelle sere dei giorni di festa, o innamorati poveridella Città. Venite, quando sul laghetto color di piomboi cigni dondolanti s’addormentano con la testa sottol’ala, mentre le bambinaie scordevoli radunano in frettai bimbi con iracondo strillare. Per voi, lentissimi inna-morati, rendo soave l'aria della Città che rimane senzamaggio, della Città tutta pietra e ciottolo, dove un fild'erba è primavera. Camminate parlandovi piano; la vo-stra obliqua ombra s’insinua fra i miei tronchi e spare.

Oltre i passi analizzati, non c’è quasi null’altro dibuono in questo libro di Guido da Verona; dunque laparte caduca del libro supera e di molto la parte buona.Il da Verona non ha saputo essere solamente se stesso;ma il male è che non poteva esserlo. Perchè appartieneanche lui a questa nostra vita piccola, vuota e pur triste;perciò, da un lato, spesso passa dalla rappresentazioneestetica all'affermazione polemica (e per ragioni polemi-che, specialmente, è stata costruita tutta l’architetturafalsamente grandiosa della rivista con gli uggiosissimiCompari e col Cavaliere dello Spirito Santo dal quale èsignificativo che essa si intitoli); dall’altro, molte voltedall’intuizione lirica passa alla chiacchiera da caffè.Moltissime macchiette, anche di quelle che abbiamo lo-

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dato, sono spesso sciupate con frasi oziose e morte e tut-ta la parte del libro che non abbiamo analizzato e chenon analizzeremo perchè non abbiamo nessuna passioneper l’autopsia – è morta. Guido da Verona, ingegnoframmentario e d’ispirazione limitata alla parodia e alsentimentalismo, ha voluto per forza mettersi sotto laprotezione di Aristofane e darci la rivista moderna, nellaquale ha voluto che figurassero tutti i personaggi dellavita attuale, anche quelli che per lui erano muti. S’è cosìreso schiavo di un universalismo meccanico e non hacapito che sarebbe stato veramente universale trattando ipersonaggi che l’ispiravano in frammenti liberi da ogniimpalcatura architettonica. E, purtroppo, il personaggioche più interessa a Guido da Verona è l’infelicissimoCavaliere dello Spirito Santo, perchè il da Verona nons’è reso conto ch’egli consegue la massima liricità neipersonaggi più oggettivi – per esempio negli uomini deilampioni, nella zitella, nel cav. Aristofane al quale ave-vo dimenticato di accennare – e che invece i personaggipiù freddi, i personaggi nati morti, sono quelli nei qualiquesto fratello di Palazzeschi, di Gozzano, di Papini, havoluto per forza rappresentare sè stesso e ha rappresen-tato non il sè stesso eterno ma il sè stesso erudito, retto-rico, superficiale.

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dato, sono spesso sciupate con frasi oziose e morte e tut-ta la parte del libro che non abbiamo analizzato e chenon analizzeremo perchè non abbiamo nessuna passioneper l’autopsia – è morta. Guido da Verona, ingegnoframmentario e d’ispirazione limitata alla parodia e alsentimentalismo, ha voluto per forza mettersi sotto laprotezione di Aristofane e darci la rivista moderna, nellaquale ha voluto che figurassero tutti i personaggi dellavita attuale, anche quelli che per lui erano muti. S’è cosìreso schiavo di un universalismo meccanico e non hacapito che sarebbe stato veramente universale trattando ipersonaggi che l’ispiravano in frammenti liberi da ogniimpalcatura architettonica. E, purtroppo, il personaggioche più interessa a Guido da Verona è l’infelicissimoCavaliere dello Spirito Santo, perchè il da Verona nons’è reso conto ch’egli consegue la massima liricità neipersonaggi più oggettivi – per esempio negli uomini deilampioni, nella zitella, nel cav. Aristofane al quale ave-vo dimenticato di accennare – e che invece i personaggipiù freddi, i personaggi nati morti, sono quelli nei qualiquesto fratello di Palazzeschi, di Gozzano, di Papini, havoluto per forza rappresentare sè stesso e ha rappresen-tato non il sè stesso eterno ma il sè stesso erudito, retto-rico, superficiale.

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GLI EROI SILENZIOSI

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GLI EROI SILENZIOSI

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I piagnistei che vanno litaniando intorno alla guerralibica certi giornali democratici non ci piacciono. Quelrivangare i nostri errori, le nostre mistificazioni e i duemiliardi che abbiamo speso, ci sembra pettegolo e vol-gare. La guerra libica oramai è fatta e non si può disfare.Occorreva non farla. Va benissimo; ma oramaiquest’osservazione è un perditempo da letteratucoli.Anzi, purtroppo, essa significa che quella rinascita spiri-tuale magnificata dai nazionalisti come l'effetto più bel-lo della guerra è stata un fuoco fatuo.

E doveva esser così. Quei piccoli uomini senza corag-gio che dopo la giornata di Adua affermarono libidino-samente tutta la loro vigliaccheria e si credettero abiettie accettarono senza ribellione l’asservimento, non sonoancora scomparsi. Eran loro i nazionalisti di ieri che ma-gnificavano quella guerra alla quale prima avevano vi-gliaccamente abdicato e andavano in brodo di aquile ro-mane se un nostro soldato sparava una cartuccia; sonloro i democratici antitripolini di oggi che tentano dimascherare la loro impotenza davanti al problema deiferrovieri e degli altri impiegati e davanti agli altri pro-blemi di politica interna e specialmente di politica esteracon i comodi alibi della rettorica antitripolina e dellaprecedenza del matrimonio civile.

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I piagnistei che vanno litaniando intorno alla guerralibica certi giornali democratici non ci piacciono. Quelrivangare i nostri errori, le nostre mistificazioni e i duemiliardi che abbiamo speso, ci sembra pettegolo e vol-gare. La guerra libica oramai è fatta e non si può disfare.Occorreva non farla. Va benissimo; ma oramaiquest’osservazione è un perditempo da letteratucoli.Anzi, purtroppo, essa significa che quella rinascita spiri-tuale magnificata dai nazionalisti come l'effetto più bel-lo della guerra è stata un fuoco fatuo.

E doveva esser così. Quei piccoli uomini senza corag-gio che dopo la giornata di Adua affermarono libidino-samente tutta la loro vigliaccheria e si credettero abiettie accettarono senza ribellione l’asservimento, non sonoancora scomparsi. Eran loro i nazionalisti di ieri che ma-gnificavano quella guerra alla quale prima avevano vi-gliaccamente abdicato e andavano in brodo di aquile ro-mane se un nostro soldato sparava una cartuccia; sonloro i democratici antitripolini di oggi che tentano dimascherare la loro impotenza davanti al problema deiferrovieri e degli altri impiegati e davanti agli altri pro-blemi di politica interna e specialmente di politica esteracon i comodi alibi della rettorica antitripolina e dellaprecedenza del matrimonio civile.

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Ma più dell’Italia politica rettorico-giolittiana a noisecca l’Italia che stampa, non solo perchè è priva diogni valore (è una vera Italia da caffè) ma specialmenteperchè protezionista e quindi stantia. La modernità nonconsiste nell’immanenza come vuole il Prezzolini nènello scetticismo come vorrebbe Papini, ma nel liberi-smo nel quale crediamo noi dell'Arduo. Royce è moder-no e concepisce il Logos come trascendente e alla tra-scendenza assoluta (a quella di S. Tommaso d’Aquino)credono che conduca l’immanenza Blondel e T. Neal: edel resto, se ne persuada una buona volta GiuseppePrezzolini, la religione (il contatto estatico con l’assolu-to) è conciliabile con la più rigida immanenza, comel'ateismo (l’egoismo di cui parla l'autore della DeutscheTheologie) può essere praticato anche da uno che accettiil catechismo cristiano. Zaratustra è religioso; gran partedei cattolici italiani sono atei. Lo scetticismo è uno statod’animo qualche volta pienamente giustificabile; peròquando viene assunto come dogma è una forma d’oscu-rantismo perchè non tollera la discussione. Nel liberi-smo è la modernità, nel liberismo che sostiene che sol-tanto il pensiero può giudicare il pensiero e che non èsolo la più alta affermazione di Cartesio ma l’anima ditutto il movimento intellettuale dalla preistoria ad oggi.

Un organo liberista, o ch’è lo stesso, di pensiero, se siprescinde da questo nostro minuscolo Arduo, in Italianon c’è. Abbiamo giornali socialisti, giornali liberali,giornali massoni, giornali cattolici, giornali futuristi eantifuturisti, giornali idealisti e egelianeggianti e mili-

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Ma più dell’Italia politica rettorico-giolittiana a noisecca l’Italia che stampa, non solo perchè è priva diogni valore (è una vera Italia da caffè) ma specialmenteperchè protezionista e quindi stantia. La modernità nonconsiste nell’immanenza come vuole il Prezzolini nènello scetticismo come vorrebbe Papini, ma nel liberi-smo nel quale crediamo noi dell'Arduo. Royce è moder-no e concepisce il Logos come trascendente e alla tra-scendenza assoluta (a quella di S. Tommaso d’Aquino)credono che conduca l’immanenza Blondel e T. Neal: edel resto, se ne persuada una buona volta GiuseppePrezzolini, la religione (il contatto estatico con l’assolu-to) è conciliabile con la più rigida immanenza, comel'ateismo (l’egoismo di cui parla l'autore della DeutscheTheologie) può essere praticato anche da uno che accettiil catechismo cristiano. Zaratustra è religioso; gran partedei cattolici italiani sono atei. Lo scetticismo è uno statod’animo qualche volta pienamente giustificabile; peròquando viene assunto come dogma è una forma d’oscu-rantismo perchè non tollera la discussione. Nel liberi-smo è la modernità, nel liberismo che sostiene che sol-tanto il pensiero può giudicare il pensiero e che non èsolo la più alta affermazione di Cartesio ma l’anima ditutto il movimento intellettuale dalla preistoria ad oggi.

Un organo liberista, o ch’è lo stesso, di pensiero, se siprescinde da questo nostro minuscolo Arduo, in Italianon c’è. Abbiamo giornali socialisti, giornali liberali,giornali massoni, giornali cattolici, giornali futuristi eantifuturisti, giornali idealisti e egelianeggianti e mili-

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Page 56: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

tanti e sopratutto giornali grammaticali (l’Italia è la terradel padre Cesari e di Filippo Tommaso Marinetti) – magiornali di pensiero non ce ne sono. Non si capisce nem-meno cosa significhino non essendocene nemmeno maistati. Si capisce press’a poco cos’è un giornale di mate-matica o di fisica o di altri rami di pensiero (il filosoficoescluso, perchè la filosofia anche i razionalisti la conce-piscono medievalmente!) ma un giornale di pensieronon si capisce ancora.

Qualcuno pensa che si tratti di quella sciocca formadi milesgloriosismo che è la mania del superamento cri-ticata dal Croce. Si crede che il giornale di pensiero siaindifferente alle affermazioni e che ami, letterariamente,la ricerca che non vuole concludere; ma il pensiero è at-tività, è lotta, è moto e se, in omaggio alla sua spirituali-tà, nega la formola staccata dal processo a cui appartie-ne (nega la grammatica), d’altra parte sostiene la formo-la che è punto d’arrivo e di partenza insieme, un gradinodella scala doppiamente infinita della conoscenza, appli-cando a ogni formola, per rigettarla o convalidarla, ladiscussione e la discussione soltanto. Il giornale di pen-siero è dunque la negazione del giornale protezionista eanche di quelle disorganiche raccolte d’articoli (come laVoce nel suo periodo di decadenza) che Prezzolini chia-ma giornale-convegno e qualche altro, più propriamen-te, giornale-albergo.

Tutti i giovani originali e d’ingegno, i giovanidell’Italia che conta, dovrebbero concentrarsi con impe-to rivoluzionario in questo nostro Arduo per seppellire

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tanti e sopratutto giornali grammaticali (l’Italia è la terradel padre Cesari e di Filippo Tommaso Marinetti) – magiornali di pensiero non ce ne sono. Non si capisce nem-meno cosa significhino non essendocene nemmeno maistati. Si capisce press’a poco cos’è un giornale di mate-matica o di fisica o di altri rami di pensiero (il filosoficoescluso, perchè la filosofia anche i razionalisti la conce-piscono medievalmente!) ma un giornale di pensieronon si capisce ancora.

Qualcuno pensa che si tratti di quella sciocca formadi milesgloriosismo che è la mania del superamento cri-ticata dal Croce. Si crede che il giornale di pensiero siaindifferente alle affermazioni e che ami, letterariamente,la ricerca che non vuole concludere; ma il pensiero è at-tività, è lotta, è moto e se, in omaggio alla sua spirituali-tà, nega la formola staccata dal processo a cui appartie-ne (nega la grammatica), d’altra parte sostiene la formo-la che è punto d’arrivo e di partenza insieme, un gradinodella scala doppiamente infinita della conoscenza, appli-cando a ogni formola, per rigettarla o convalidarla, ladiscussione e la discussione soltanto. Il giornale di pen-siero è dunque la negazione del giornale protezionista eanche di quelle disorganiche raccolte d’articoli (come laVoce nel suo periodo di decadenza) che Prezzolini chia-ma giornale-convegno e qualche altro, più propriamen-te, giornale-albergo.

Tutti i giovani originali e d’ingegno, i giovanidell’Italia che conta, dovrebbero concentrarsi con impe-to rivoluzionario in questo nostro Arduo per seppellire

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senza funerali e senza pietà l’Italia che stampa, la vec-chia Italia.

Ho accennato agli eroi silenziosi, all’altra metàdell’Italia, alla vera Italia.

Quasi tutti credono che abbia importanza soltantoquello che desta l’interesse dei soliti storici e che fa la-vorare i tipografi. Bisogna liberarsi risolutamente daquesto pregiudizio, bisogna diventare più idealisti. Cisono madri e fanciulle, ricercatori e poeti che vivono nelsilenzio una vita assai più intensa di Giacomo Casanovae di Giolitti, del cavalier Marino e del troppo ammiratoaviatore-acrobata Manissero, di Erberto Spencer e diRoberto Ardigò – e dei geni più grandi anche. E io sonoconvintissimo che, se quella parte dell’Italia contempo-ranea che solo vedono la folla e i piccoli epigoni di Car-lyle è piccolissima, c’è nell’Italia silenziosa qualcosa digrande. All'Italia silenziosa dunque noi dobbiamo riat-taccarci per progredire, essa dobbiamo cercare di mette-re alla luce nella misura, sia pure minima, che è possibi-le e di svolgere quanto più si può. Qualcuno di questieroi silenziosi potrebbe venire a collaborare con noi quinell’Arduo e noi saremmo assai lieti di poterci attenuaredavanti alla sua grandezza fino a scomparire del tutto.Ma, dal momento che il destino della quasi totalità diquesti eroi è il silenzio (o sono grandi inconsapevolmen-te; o, tormentati dietro un ideale infinito, preferisconoalla solita fama il silenzio; o disdegnano, per istinto ari-stocratico, la folla e il chiasso), noi ci accontenteremmodi avere solamente da loro, di quando in quando, una

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senza funerali e senza pietà l’Italia che stampa, la vec-chia Italia.

Ho accennato agli eroi silenziosi, all’altra metàdell’Italia, alla vera Italia.

Quasi tutti credono che abbia importanza soltantoquello che desta l’interesse dei soliti storici e che fa la-vorare i tipografi. Bisogna liberarsi risolutamente daquesto pregiudizio, bisogna diventare più idealisti. Cisono madri e fanciulle, ricercatori e poeti che vivono nelsilenzio una vita assai più intensa di Giacomo Casanovae di Giolitti, del cavalier Marino e del troppo ammiratoaviatore-acrobata Manissero, di Erberto Spencer e diRoberto Ardigò – e dei geni più grandi anche. E io sonoconvintissimo che, se quella parte dell’Italia contempo-ranea che solo vedono la folla e i piccoli epigoni di Car-lyle è piccolissima, c’è nell’Italia silenziosa qualcosa digrande. All'Italia silenziosa dunque noi dobbiamo riat-taccarci per progredire, essa dobbiamo cercare di mette-re alla luce nella misura, sia pure minima, che è possibi-le e di svolgere quanto più si può. Qualcuno di questieroi silenziosi potrebbe venire a collaborare con noi quinell’Arduo e noi saremmo assai lieti di poterci attenuaredavanti alla sua grandezza fino a scomparire del tutto.Ma, dal momento che il destino della quasi totalità diquesti eroi è il silenzio (o sono grandi inconsapevolmen-te; o, tormentati dietro un ideale infinito, preferisconoalla solita fama il silenzio; o disdegnano, per istinto ari-stocratico, la folla e il chiasso), noi ci accontenteremmodi avere solamente da loro, di quando in quando, una

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conversazione o una lettera privata perchè la marea del-la piccola Italia rumorosa non ci vincesse.

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conversazione o una lettera privata perchè la marea del-la piccola Italia rumorosa non ci vincesse.

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CONTRO HAECKEL

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CONTRO HAECKEL

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Il libro che il professor Ernesto Haeckel ha dedicatoal problema dell’universo e che costituisce il suo testa-mento filosofico non ha nessun valore come opera dipensiero appunto perchè non è un'opera di pensiero, maun insieme di affermazioni arbitrarie di cui gli storicidella filosofia e della scienza non sentiranno mai il biso-gno di occuparsi troppo sul serio. Haeckel ha tentato dirisolvere il dualismo che purtroppo esiste ancora fra lascienza e la filosofia ma è riuscito piuttosto a inasprirlo.Egli non si è accorto che la ragione è implicita tanto nel-le ricerche positive che in quelle speculative e perciò,invece di considerare la scienza e la filosofia come dueconquiste della ragione che hanno quindi nella ragionela loro unità, ha finito col subordinare la filosofia allascienza o, per dir meglio, a una scienza complicatad'intermediazioni arbitrarie. Haeckel non si è per nullapreoccupato d’indagare il valore della scienza, ma hapreferito di dare alla scienza un valore assoluto e così siè creduto autorizzato a gabellare per conquista scientifi-ca quel ridicolo baraccone metafisico che è il suo moni-smo evoluzionista e meccanico.

Il quale non è che una variazione del positivismo. Ilpositivismo ha constatato che per certe conoscenze nonè adatto il metodo speculativo, ma occorre invece il me-todo positivo; e impensierito degli errori nei quali face-

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Il libro che il professor Ernesto Haeckel ha dedicatoal problema dell’universo e che costituisce il suo testa-mento filosofico non ha nessun valore come opera dipensiero appunto perchè non è un'opera di pensiero, maun insieme di affermazioni arbitrarie di cui gli storicidella filosofia e della scienza non sentiranno mai il biso-gno di occuparsi troppo sul serio. Haeckel ha tentato dirisolvere il dualismo che purtroppo esiste ancora fra lascienza e la filosofia ma è riuscito piuttosto a inasprirlo.Egli non si è accorto che la ragione è implicita tanto nel-le ricerche positive che in quelle speculative e perciò,invece di considerare la scienza e la filosofia come dueconquiste della ragione che hanno quindi nella ragionela loro unità, ha finito col subordinare la filosofia allascienza o, per dir meglio, a una scienza complicatad'intermediazioni arbitrarie. Haeckel non si è per nullapreoccupato d’indagare il valore della scienza, ma hapreferito di dare alla scienza un valore assoluto e così siè creduto autorizzato a gabellare per conquista scientifi-ca quel ridicolo baraccone metafisico che è il suo moni-smo evoluzionista e meccanico.

Il quale non è che una variazione del positivismo. Ilpositivismo ha constatato che per certe conoscenze nonè adatto il metodo speculativo, ma occorre invece il me-todo positivo; e impensierito degli errori nei quali face-

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va incorrere il metodo speculativo quand’era adoperatoa sproposito, cioè nel campo sperimentale (gli errori de-gli aristotelici medievali), impensierito della cattivascienza, licenziò (verbalmente), sotto il nome di metafi-sica, non la cattiva scienza ma addirittura la ragione.Fece come chi constatando che per vedere un certo og-getto sono necessari degli occhiali speciali, negassel’occhio e proclamasse l’autonomia assoluta e la neces-sità assoluta degli occhiali. Il monismo haeckeliano dif-ferisce in questo dal positivismo: che mentre il positivi-smo sostiene che quei tali occhiali del metodo sperimen-tale hanno la capacità di vedere soltanto il mondodell'osservazione e dell’esperienza e non il metafisicodel quale è quindi vano occuparsi, il monismo di Haec-kel sostiene che nel campo visivo di quegli occhiali c’èanche il mondo metafisico e confessa quindi francamen-te il suo carattere metafisico.

Non essendo (come abbiamo detto) il libro di ErnestoHaeckel un libro di pensiero, non meriterebbe affattol'onore della discussione; senonchè Oliviero Lodge havoluto prendere a pretesto l’Enigma dell’Universo perscrivere un libro ed è riuscito a scrivere un bel libro:Vita e materia. Il Lodge si è indotto a scrivere questo li-bro in forma polemica oltre che per ragioni pedagogiche(per opporre un antidoto alla parte metafisica dell’operamolto diffusa dell’Haeckel) principalmente forse perchèegli accetta il concetto vichiano dell’autorità. Non è asupporsi – dice a questo proposito Oliviero Lodge – chele ipotesi di un uomo eminente siano senza base e che

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va incorrere il metodo speculativo quand’era adoperatoa sproposito, cioè nel campo sperimentale (gli errori de-gli aristotelici medievali), impensierito della cattivascienza, licenziò (verbalmente), sotto il nome di metafi-sica, non la cattiva scienza ma addirittura la ragione.Fece come chi constatando che per vedere un certo og-getto sono necessari degli occhiali speciali, negassel’occhio e proclamasse l’autonomia assoluta e la neces-sità assoluta degli occhiali. Il monismo haeckeliano dif-ferisce in questo dal positivismo: che mentre il positivi-smo sostiene che quei tali occhiali del metodo sperimen-tale hanno la capacità di vedere soltanto il mondodell'osservazione e dell’esperienza e non il metafisicodel quale è quindi vano occuparsi, il monismo di Haec-kel sostiene che nel campo visivo di quegli occhiali c’èanche il mondo metafisico e confessa quindi francamen-te il suo carattere metafisico.

Non essendo (come abbiamo detto) il libro di ErnestoHaeckel un libro di pensiero, non meriterebbe affattol'onore della discussione; senonchè Oliviero Lodge havoluto prendere a pretesto l’Enigma dell’Universo perscrivere un libro ed è riuscito a scrivere un bel libro:Vita e materia. Il Lodge si è indotto a scrivere questo li-bro in forma polemica oltre che per ragioni pedagogiche(per opporre un antidoto alla parte metafisica dell’operamolto diffusa dell’Haeckel) principalmente forse perchèegli accetta il concetto vichiano dell’autorità. Non è asupporsi – dice a questo proposito Oliviero Lodge – chele ipotesi di un uomo eminente siano senza base e che

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egli sia stato condotto per una via totalmente erroneaalla sua opinione su quanto egli ritiene essere la verità;le sue convinzioni intuitive devono essere rispettate, es-sendo basate sopra esperienze e sopra cognizioni di fattodi gran lunga più estese di quelle della media degli uo-mini: e per la media degli uomini il credere probabileche le convinzioni di un grande specialista non abbianoalcun fondamento, è altrettanto stolto quanto il supporreprobabile che esse siano certe e infallibili, o che debba-no essere accettate senza critica anche in campi estraneialla sua competenza. Questo principio è perfettamentegiusto. L’affermazione d’un uomo ragionevole non puòessere priva d'ogni valore. Una verità non cessa di esse-re una verità perchè non è dimostrata; nè sempre una ve-rità dimostrata è più evidente di una non dimostrata. Iteoremi matematici, per esempio, dal momento che pre-suppongono i postulati, non possono mai avere un’evi-denza maggiore dei postulati. Ma, quanto a ErnestoHaeckel, mi pare che si possa liquidarlo in maniera assaispiccia perchè, come abbiamo visto, e come vedremomeglio oltre, si può dimostrare facilmente che le sue af-fermazioni sono arbitrarie. Del resto, ho già detto che ilcarattere polemico del libro di Lodge è soltanto un pre-testo. Questo libro agita infatti problemi che si potevanotrattare oggettivamente.

Il libro di Oliviero Lodge, nonostante che non siaun’opera grande, è un bel libro, non solo perchè è vera-mente un’opera di pensiero (esso ci mette davanti unuomo che ragiona, che indaga, che critica, che crea delle

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egli sia stato condotto per una via totalmente erroneaalla sua opinione su quanto egli ritiene essere la verità;le sue convinzioni intuitive devono essere rispettate, es-sendo basate sopra esperienze e sopra cognizioni di fattodi gran lunga più estese di quelle della media degli uo-mini: e per la media degli uomini il credere probabileche le convinzioni di un grande specialista non abbianoalcun fondamento, è altrettanto stolto quanto il supporreprobabile che esse siano certe e infallibili, o che debba-no essere accettate senza critica anche in campi estraneialla sua competenza. Questo principio è perfettamentegiusto. L’affermazione d’un uomo ragionevole non puòessere priva d'ogni valore. Una verità non cessa di esse-re una verità perchè non è dimostrata; nè sempre una ve-rità dimostrata è più evidente di una non dimostrata. Iteoremi matematici, per esempio, dal momento che pre-suppongono i postulati, non possono mai avere un’evi-denza maggiore dei postulati. Ma, quanto a ErnestoHaeckel, mi pare che si possa liquidarlo in maniera assaispiccia perchè, come abbiamo visto, e come vedremomeglio oltre, si può dimostrare facilmente che le sue af-fermazioni sono arbitrarie. Del resto, ho già detto che ilcarattere polemico del libro di Lodge è soltanto un pre-testo. Questo libro agita infatti problemi che si potevanotrattare oggettivamente.

Il libro di Oliviero Lodge, nonostante che non siaun’opera grande, è un bel libro, non solo perchè è vera-mente un’opera di pensiero (esso ci mette davanti unuomo che ragiona, che indaga, che critica, che crea delle

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verità e in tutto procede con bonarietà e con prudenza,non scambiando mai l’ipotesi con la verità dimostrata),ma è un bel libro sopratutto perchè in esso il Lodge rea-lizza la più completa unità tra la scienza e la filosofia.C’è qualche accenno alla speculazione che sembra dapositivista perchè la speculazione viene consideratacome qualcosa d’incerto, di non rigoroso, di puramenteipotetico: e quest’atteggiamento è dovuto al fatto che ilLodge è uno scienziato e non un filosofo; ma nel suo li-bro gli argomenti scientifici e gli argomenti speculativisi fondono armonicamente, essendo ugualmente pervasidalla ragione. Non che il pensiero del Lodge, special-mente nei punti più strettamente speculativi, non si pre-sti alle critiche; ma quello che è notevole è che con que-sto libro il Lodge s'è messo risolutamente sulla via dellaverità mentre Ernesto Haeckel è fuori strada.

Tra le idee centrali di Haeckel primeggia quella chelui chiama legge della sostanza e che crede uno dei piùgrandi e più incontrovertibili trionfi della scienza mo-derna. È una combinazione della veduta monistica haec-keliana con le due leggi della conservazione della mate-ria e della conservazione dell'energia. Secondo questapretesa legge, lo spirito è una delle energie materiali(veduta meccanica) e la materia e l’energia sono eterna-mente esistite ed esisteranno eternamente (evoluzioni-smo anticreazionista).

Il Lodge critica la legge della sostanza considerandoseparatamente la legge della conservazione dell’energiae quella della materia. Perchè la legge della conserva-

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verità e in tutto procede con bonarietà e con prudenza,non scambiando mai l’ipotesi con la verità dimostrata),ma è un bel libro sopratutto perchè in esso il Lodge rea-lizza la più completa unità tra la scienza e la filosofia.C’è qualche accenno alla speculazione che sembra dapositivista perchè la speculazione viene consideratacome qualcosa d’incerto, di non rigoroso, di puramenteipotetico: e quest’atteggiamento è dovuto al fatto che ilLodge è uno scienziato e non un filosofo; ma nel suo li-bro gli argomenti scientifici e gli argomenti speculativisi fondono armonicamente, essendo ugualmente pervasidalla ragione. Non che il pensiero del Lodge, special-mente nei punti più strettamente speculativi, non si pre-sti alle critiche; ma quello che è notevole è che con que-sto libro il Lodge s'è messo risolutamente sulla via dellaverità mentre Ernesto Haeckel è fuori strada.

Tra le idee centrali di Haeckel primeggia quella chelui chiama legge della sostanza e che crede uno dei piùgrandi e più incontrovertibili trionfi della scienza mo-derna. È una combinazione della veduta monistica haec-keliana con le due leggi della conservazione della mate-ria e della conservazione dell'energia. Secondo questapretesa legge, lo spirito è una delle energie materiali(veduta meccanica) e la materia e l’energia sono eterna-mente esistite ed esisteranno eternamente (evoluzioni-smo anticreazionista).

Il Lodge critica la legge della sostanza considerandoseparatamente la legge della conservazione dell’energiae quella della materia. Perchè la legge della conserva-

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zione dell'energia sia vera, dice, è necessario che sianogeneralizzate sotto lo stesso titolo cose distinte l’unadall’altra come la luce, il calore, il suono, la rotazione,la vibrazione, lo sforzo elastico, la separazione gravitati-va, le correnti elettriche e l'affinità chimica. Finchè il ca-lore non era compreso nella lista delle energie, la leggenon poteva essere enunciata in maniera generale; e dalmomento che attualmente le categorie dell’energia nonsono certo esaurite (basterebbe citare la vita che, se peril Lodge non va compresa nella categoria delle energie,per altri ci va compresa) e che possono essere sco- pertenuove forme d’energia, la legge della conservazionedell’energia come sta ora, e fino a che quelle nuove for-me non siano scoperte, può in qualche caso non esserestrettamente vera. Senonchè il Lodge non trae tutte leconclusioni da queste sue giustissime critiche. Credendoche la conservazione dell’energia sia una generalizza-zione – della cui verità egli, d’altra parte, non dubita –egli si limita a dire che se nuove forme d’energia vengo-no scoperte, allora la legge dovrà esser ripresa in esame;e soggiunge che, alla fin fine, questo non ha grande im-portanza e che l’errore serio che si può commettere in-torno a questa legge è di credere che essa neghi la possi-bilità di una guida o regola o di un agente direttivo, valea dire la possibilità di un’influenza cosciente dello spiri-to sulla materia, di Dio sul mondo. Le obiezioni delLodge colpiscono invece la legge della sostanza assaipiù efficacemente di quanto creda il Lodge stesso, per-chè con esse si viene a dimostrare che la legge della

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zione dell'energia sia vera, dice, è necessario che sianogeneralizzate sotto lo stesso titolo cose distinte l’unadall’altra come la luce, il calore, il suono, la rotazione,la vibrazione, lo sforzo elastico, la separazione gravitati-va, le correnti elettriche e l'affinità chimica. Finchè il ca-lore non era compreso nella lista delle energie, la leggenon poteva essere enunciata in maniera generale; e dalmomento che attualmente le categorie dell’energia nonsono certo esaurite (basterebbe citare la vita che, se peril Lodge non va compresa nella categoria delle energie,per altri ci va compresa) e che possono essere sco- pertenuove forme d’energia, la legge della conservazionedell’energia come sta ora, e fino a che quelle nuove for-me non siano scoperte, può in qualche caso non esserestrettamente vera. Senonchè il Lodge non trae tutte leconclusioni da queste sue giustissime critiche. Credendoche la conservazione dell’energia sia una generalizza-zione – della cui verità egli, d’altra parte, non dubita –egli si limita a dire che se nuove forme d’energia vengo-no scoperte, allora la legge dovrà esser ripresa in esame;e soggiunge che, alla fin fine, questo non ha grande im-portanza e che l’errore serio che si può commettere in-torno a questa legge è di credere che essa neghi la possi-bilità di una guida o regola o di un agente direttivo, valea dire la possibilità di un’influenza cosciente dello spiri-to sulla materia, di Dio sul mondo. Le obiezioni delLodge colpiscono invece la legge della sostanza assaipiù efficacemente di quanto creda il Lodge stesso, per-chè con esse si viene a dimostrare che la legge della

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conservazione dell’energia non può essere mai dimo-strata scientificamente in modo rigoroso. Le categoriedell’energia non sono necessariamente esaurite nè sa-ranno mai necessariamente esaurite, dunque la leggenon potrà mai avere una formulazione definitiva se sivuole dimostrarla con mezzi puramente positivi. E nonpotrà mai averla per un'altra ragione detta dal Lodgestesso in un altro capitolo di Vita e materia, per la ragio-ne cioè che le affermazioni scientifiche non sono rigoro-se in maniera assoluta, giacchè esse prescindono da ogniagente non positivo. Ora questa semplificazione è piena-mente legittima nel campo positivo come è lecito tratta-re la dinamica dei corpi rigidi escludendo la fluidità el’elasticità, ma se vogliamo dare alle affermazioni dellascienza un valore incondizionato, il carattere della ne-cessità assoluta, non dobbiamo trascurare nessun ele-mento, nemmeno gli elementi estrapositivi. Questo si-gnifica che per introdurre nella legge della conservazio-ne dell’energia il concetto d’eternità, come fa Haeckel, ènecessario prima risolvere negativamente il problema diDio. Il Lodge non è arrivato a queste conclusioni chesono, come si vede, dei corollari immediati del suo ra-gionamento perchè, come abbiamo detto, egli ritieneche la legge della conservazione dell’energia – alla qua-le, nonostante le sue critiche, sente di credere profonda-mente – sia una generalizzazione scientifica. Il Lodgecrede di provare questa sua opinione osservando che lalegge, piuttosto che essere di per se stessa evidente,sembra anzi contraddetta dalle esperienze più comuni

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conservazione dell’energia non può essere mai dimo-strata scientificamente in modo rigoroso. Le categoriedell’energia non sono necessariamente esaurite nè sa-ranno mai necessariamente esaurite, dunque la leggenon potrà mai avere una formulazione definitiva se sivuole dimostrarla con mezzi puramente positivi. E nonpotrà mai averla per un'altra ragione detta dal Lodgestesso in un altro capitolo di Vita e materia, per la ragio-ne cioè che le affermazioni scientifiche non sono rigoro-se in maniera assoluta, giacchè esse prescindono da ogniagente non positivo. Ora questa semplificazione è piena-mente legittima nel campo positivo come è lecito tratta-re la dinamica dei corpi rigidi escludendo la fluidità el’elasticità, ma se vogliamo dare alle affermazioni dellascienza un valore incondizionato, il carattere della ne-cessità assoluta, non dobbiamo trascurare nessun ele-mento, nemmeno gli elementi estrapositivi. Questo si-gnifica che per introdurre nella legge della conservazio-ne dell’energia il concetto d’eternità, come fa Haeckel, ènecessario prima risolvere negativamente il problema diDio. Il Lodge non è arrivato a queste conclusioni chesono, come si vede, dei corollari immediati del suo ra-gionamento perchè, come abbiamo detto, egli ritieneche la legge della conservazione dell’energia – alla qua-le, nonostante le sue critiche, sente di credere profonda-mente – sia una generalizzazione scientifica. Il Lodgecrede di provare questa sua opinione osservando che lalegge, piuttosto che essere di per se stessa evidente,sembra anzi contraddetta dalle esperienze più comuni

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(la pila di Volta, per esempio, parrebbe che la smentisse)e che si son dovute fare delle misurazioni e delle provesperimentali assai accurate per dimostrarla. Senonchèquest’opinione non regge alla critica. Come ha osserva-to A. F. Holleman nella sua Chimica inorganica, nulla èpiù inesatto dell’opinione che quella legge (l’Hollemanparla veramente della legge di Lavoiser, ma quello chelui dice si può ripetere identicamente per il principiodella conservazione dell’energia) nulla è più inesattoche il pensare ch’essa sia stata stabilita sperimentalmen-te. Al contrario noi impariamo a conoscere l’esattezzadelle nostre determinazioni sperimentali in quanto essesi accordano con quella legge. Se, per esempio, si ossidail rame (e si potrebbe fare un esempio analogo relativa-mente all’energia), si riconosce che il peso del rame piùl’ossigeno non è completamente uguale a quellodell’ossido di rame formato. Ripetendo più volte l’espe-rienza si hanno sempre delle deviazioni che sono certodovute all’imperfezione dei mezzi di misura di cui di-sponiamo, tant’è vero che a mano a mano che essi ven-gono perfezionati ci avviciniamo sempre più all’ugua-glianza, ma il fatto è che all’uguaglianza assoluta nonarriviamo mai. Alla legge noi crediamo per ragioni teo-riche e indipendentemente dal fatto di saperla applicarepraticamente (nella qual cosa unicamente consiste il me-rito della scienza): ci crediamo perchè a noi come agliantichi riesce evidente che il nulla non può essere tra-sformato in essere e che l'essere non può essere trasfor-mato in nulla e che quindi nei fenomeni fisico-chimici

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(la pila di Volta, per esempio, parrebbe che la smentisse)e che si son dovute fare delle misurazioni e delle provesperimentali assai accurate per dimostrarla. Senonchèquest’opinione non regge alla critica. Come ha osserva-to A. F. Holleman nella sua Chimica inorganica, nulla èpiù inesatto dell’opinione che quella legge (l’Hollemanparla veramente della legge di Lavoiser, ma quello chelui dice si può ripetere identicamente per il principiodella conservazione dell’energia) nulla è più inesattoche il pensare ch’essa sia stata stabilita sperimentalmen-te. Al contrario noi impariamo a conoscere l’esattezzadelle nostre determinazioni sperimentali in quanto essesi accordano con quella legge. Se, per esempio, si ossidail rame (e si potrebbe fare un esempio analogo relativa-mente all’energia), si riconosce che il peso del rame piùl’ossigeno non è completamente uguale a quellodell’ossido di rame formato. Ripetendo più volte l’espe-rienza si hanno sempre delle deviazioni che sono certodovute all’imperfezione dei mezzi di misura di cui di-sponiamo, tant’è vero che a mano a mano che essi ven-gono perfezionati ci avviciniamo sempre più all’ugua-glianza, ma il fatto è che all’uguaglianza assoluta nonarriviamo mai. Alla legge noi crediamo per ragioni teo-riche e indipendentemente dal fatto di saperla applicarepraticamente (nella qual cosa unicamente consiste il me-rito della scienza): ci crediamo perchè a noi come agliantichi riesce evidente che il nulla non può essere tra-sformato in essere e che l'essere non può essere trasfor-mato in nulla e che quindi nei fenomeni fisico-chimici

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la legge sia verificata. Ma esistono soltanto fenomeni fi-sico-chimici? Potrebbe darsi benissimo, ma non si puòcerto accettare quest’idea come assiomatica.

Altre belle osservazioni fa il Lodge intorno alla leggedella conservazione della materia. Sono interessanti, perquanto non molto originali, le critiche che lui fa ai con-cetti di peso e d’inerzia e le sue considerazioni suglielettroni che lo fanno venire alla conclusione che la di-struzione e la creazione della materia sono già adessonel campo del pensabile e saran forse domani nel camposperimentale. Con questo però non veniamo ad aggiun-gere nulla d’importante a quello che abbiamo detto.

Ma allora è completamente priva di significato la leg-ge della sostanza? Sembra esservi ragione – rispondeOliviero Lodge – di supporre che ogni cosa che effetti-vamente esiste debba essere in uno o in altro modo per-petua, che l’esistenza reale non è una proprietà capric-ciosa. Si può dunque ammettere la persistenza dellecose esistenti o meglio (nonostante che il Lodge critichialtrove senza ragione l'idea di sostanza) la persistenzadelle sostanze: delle sostanze e non della sostanza per-chè non si può ammettere senza prova che ve ne sia unasola. Pare che nel mondo materiale solo l’etere persista,l’etere con tali stati di vuoto o di tensione quali essoeternamente possiede, ma non si può ammettere chenull’altro esista tranne l’etere. La vita non può anche es-sere preesistente, per quanto non sia possibile, nello sta-to attuale della scienza, di dare una risposta rigorosa aquesta domanda? E il Lodge si ferma molto a lungo a

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la legge sia verificata. Ma esistono soltanto fenomeni fi-sico-chimici? Potrebbe darsi benissimo, ma non si puòcerto accettare quest’idea come assiomatica.

Altre belle osservazioni fa il Lodge intorno alla leggedella conservazione della materia. Sono interessanti, perquanto non molto originali, le critiche che lui fa ai con-cetti di peso e d’inerzia e le sue considerazioni suglielettroni che lo fanno venire alla conclusione che la di-struzione e la creazione della materia sono già adessonel campo del pensabile e saran forse domani nel camposperimentale. Con questo però non veniamo ad aggiun-gere nulla d’importante a quello che abbiamo detto.

Ma allora è completamente priva di significato la leg-ge della sostanza? Sembra esservi ragione – rispondeOliviero Lodge – di supporre che ogni cosa che effetti-vamente esiste debba essere in uno o in altro modo per-petua, che l’esistenza reale non è una proprietà capric-ciosa. Si può dunque ammettere la persistenza dellecose esistenti o meglio (nonostante che il Lodge critichialtrove senza ragione l'idea di sostanza) la persistenzadelle sostanze: delle sostanze e non della sostanza per-chè non si può ammettere senza prova che ve ne sia unasola. Pare che nel mondo materiale solo l’etere persista,l’etere con tali stati di vuoto o di tensione quali essoeternamente possiede, ma non si può ammettere chenull’altro esista tranne l’etere. La vita non può anche es-sere preesistente, per quanto non sia possibile, nello sta-to attuale della scienza, di dare una risposta rigorosa aquesta domanda? E il Lodge si ferma molto a lungo a

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mettere in luce che la vita non è nè materia, nè energia,nè una funzione della materia o dell’energia; che essapuò dirigere la forza materiale; che essa è dipendentedalla materia nella sua apparenza fenomenica, che è cioèsoggetta a tutte le leggi meccaniche di cui è un comple-mento e non la negazione; che essa è indipendente, con-tinua e permanente nella sua esistenza essenziale e cheforse è soggetta a una legge di progresso sia nello statofenomenico che in quello trascendente.

Non è necessario, dati i limiti e lo scopo del nostrosaggio, che noi seguiamo il Lodge nelle sue interessantispeculazioni. Accennerò soltanto a un’idea: alla tesidell’erroneità dell’aforisma che tutte le proprietà appar-tenenti all’intero devono necessariamente appartenerealle parti di cui è composto. Una pietra meteorica – diceil Lodge – può sembrare differente da un pianeta solonelle dimensioni, ma questa differenza di dimensioniimplica, tra l’altro, il fatto che il corpo più grande puòtrattenere intorno a sè un’atmosfera, ciò ch’è della piùgrande importanza per l’esistenza della vita alla sua su-perficie. La differenza riguardo all’abitabilità tra un pa-lazzo e un tugurio è di gran lunga minore di quella cheesiste tra un tugurio e una delle cavità di un mattone o diun pezzo di formaggio o di pane. E come non si puòdire che il pianeta generi l’atmosfera e il mattone l’abi-tabilità, così non si può dire che l’organismo generi lospirito, ma che è il veicolo e la base materiale dello spi-rito. A quanto pare però (e il lettore deve averlo notato aproposito di alcune citazioni fatte più su) Oliviero Lod-

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mettere in luce che la vita non è nè materia, nè energia,nè una funzione della materia o dell’energia; che essapuò dirigere la forza materiale; che essa è dipendentedalla materia nella sua apparenza fenomenica, che è cioèsoggetta a tutte le leggi meccaniche di cui è un comple-mento e non la negazione; che essa è indipendente, con-tinua e permanente nella sua esistenza essenziale e cheforse è soggetta a una legge di progresso sia nello statofenomenico che in quello trascendente.

Non è necessario, dati i limiti e lo scopo del nostrosaggio, che noi seguiamo il Lodge nelle sue interessantispeculazioni. Accennerò soltanto a un’idea: alla tesidell’erroneità dell’aforisma che tutte le proprietà appar-tenenti all’intero devono necessariamente appartenerealle parti di cui è composto. Una pietra meteorica – diceil Lodge – può sembrare differente da un pianeta solonelle dimensioni, ma questa differenza di dimensioniimplica, tra l’altro, il fatto che il corpo più grande puòtrattenere intorno a sè un’atmosfera, ciò ch’è della piùgrande importanza per l’esistenza della vita alla sua su-perficie. La differenza riguardo all’abitabilità tra un pa-lazzo e un tugurio è di gran lunga minore di quella cheesiste tra un tugurio e una delle cavità di un mattone o diun pezzo di formaggio o di pane. E come non si puòdire che il pianeta generi l’atmosfera e il mattone l’abi-tabilità, così non si può dire che l’organismo generi lospirito, ma che è il veicolo e la base materiale dello spi-rito. A quanto pare però (e il lettore deve averlo notato aproposito di alcune citazioni fatte più su) Oliviero Lod-

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ge concepisce la vita e la materia come eterne, ciò chelui non ha affatto nemmeno tentato di provare (e la pro-va era necessaria perchè la persistenza o costanza dellecose non ha niente che vedere con la loro eternità). Que-sta concezione è anche in contrasto col cristianesimoche il Lodge professa e che – è bene notarlo – non in-tralcia poi per nulla la sua speculazione, allo stessomodo che in lui sono armoniche scienza e filosofia.

Qualche punto di Vita e materia è notevole dal puntodi vista artistico. Sembra talvolta, dice per esempio ilLodge, che resti immedesimato in un vecchio abitoqualche cosa della personalità del suo possessore scom-parso. Le pieghe e le curve rimaste sono vivamente sug-gestive della nostra reminiscenza. Io non oserei sostene-re che una bambola a cui si è prodigato molto affetto ab-bia a rimanere inerte e materiale. Più di un pensatore,meditando sui fenomeni della natura, ha sentito che essirappresentano il pensiero di una mente ignota e sovrana,parzialmente incarnata in essi. (Quest’idea costituiscel’ispirazione del bel racconto papiniano I muti).

La critica del Lodge è sommamente urbana. OlivieroLodge pratica anche la giustizia più grande verso le opi-nioni dell’avversario che cerca d’interpretare nella ma-niera più benigna riconoscendo lealmente il motivo divero che contengono. Tuttavia la posizione di ErnestoHaeckel non gli sfugge. Egli – dice – è per così dire unavoce sopravvissuta della metà del secolo scorso. Eglirappresenta opinioni abbandonate, sicchè la sua voce èquella di uno che parla al deserto, ma non come quella

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ge concepisce la vita e la materia come eterne, ciò chelui non ha affatto nemmeno tentato di provare (e la pro-va era necessaria perchè la persistenza o costanza dellecose non ha niente che vedere con la loro eternità). Que-sta concezione è anche in contrasto col cristianesimoche il Lodge professa e che – è bene notarlo – non in-tralcia poi per nulla la sua speculazione, allo stessomodo che in lui sono armoniche scienza e filosofia.

Qualche punto di Vita e materia è notevole dal puntodi vista artistico. Sembra talvolta, dice per esempio ilLodge, che resti immedesimato in un vecchio abitoqualche cosa della personalità del suo possessore scom-parso. Le pieghe e le curve rimaste sono vivamente sug-gestive della nostra reminiscenza. Io non oserei sostene-re che una bambola a cui si è prodigato molto affetto ab-bia a rimanere inerte e materiale. Più di un pensatore,meditando sui fenomeni della natura, ha sentito che essirappresentano il pensiero di una mente ignota e sovrana,parzialmente incarnata in essi. (Quest’idea costituiscel’ispirazione del bel racconto papiniano I muti).

La critica del Lodge è sommamente urbana. OlivieroLodge pratica anche la giustizia più grande verso le opi-nioni dell’avversario che cerca d’interpretare nella ma-niera più benigna riconoscendo lealmente il motivo divero che contengono. Tuttavia la posizione di ErnestoHaeckel non gli sfugge. Egli – dice – è per così dire unavoce sopravvissuta della metà del secolo scorso. Eglirappresenta opinioni abbandonate, sicchè la sua voce èquella di uno che parla al deserto, ma non come quella

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del pioniere, all’avanguardia di un’armata che si avanza,ma piuttosto come il grido di disperazione di un alfiereancora ardito e imperterrito ma abbandonato dai suoicommilitoni, che, chiamati da nuovi comandi, si rivol-gono verso una direzione nuova e più idealistica.

Come mi pare d’aver fatto vedere, il pioniere di avan-guardia è invece Oliviero Lodge, il cui libro vorrei chefosse ben meditato dai giovani, in modo che si tenesserougualmente lontani da tutte le varietà di positivismo chestanno al fondo della mentalità della maggior parte degliscienziati e da quelle teorie che negano alle verità posi-tive il carattere scientifico col fatuo pretesto ch’essesono astrazioni. Come se il sangue delle formole scienti-fiche (e Vita e materia lo dimostra) non fosse quellostesso pensiero che palpita nelle filosofiche; come seGiorgio Fano non avesse dimostrato che l’astrazione èimmanente in ogni forma di conoscenza, dal concettospeculativo all'immagine poetica.

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del pioniere, all’avanguardia di un’armata che si avanza,ma piuttosto come il grido di disperazione di un alfiereancora ardito e imperterrito ma abbandonato dai suoicommilitoni, che, chiamati da nuovi comandi, si rivol-gono verso una direzione nuova e più idealistica.

Come mi pare d’aver fatto vedere, il pioniere di avan-guardia è invece Oliviero Lodge, il cui libro vorrei chefosse ben meditato dai giovani, in modo che si tenesserougualmente lontani da tutte le varietà di positivismo chestanno al fondo della mentalità della maggior parte degliscienziati e da quelle teorie che negano alle verità posi-tive il carattere scientifico col fatuo pretesto ch’essesono astrazioni. Come se il sangue delle formole scienti-fiche (e Vita e materia lo dimostra) non fosse quellostesso pensiero che palpita nelle filosofiche; come seGiorgio Fano non avesse dimostrato che l’astrazione èimmanente in ogni forma di conoscenza, dal concettospeculativo all'immagine poetica.

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VINCENZO CARDARELLI

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VINCENZO CARDARELLI

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Chi viene a conoscere personalmente Vincenzo Car-darelli, dopo d’averne letto gli scritti, se non ha moltosenso critico, deve rimanere assai deluso. Il Cardarelligli sembrerà assolutamente diverso da come l'aveva im-maginato. Aveva pensato che fosse un uomo eminente-mente serio ed elevato e lo trova invece piccolo e fili-steo. Se gli si era sentito fraterno, ne trova odiosa lacompagnia, perchè non si può adattare ai suoi discorsisuperficiali e ai suoi atti insignificanti o banali.

A chi abbia senso critico, tutto riesce perfettamentespiegabile; anzi a lui il Cardarelli della vita quotidianaappare la chiave di volta del Cardarelli scrittore. Quelloche colpisce di più nel Cardarelli scrittore è il caratteredi poeta meditativo ed è naturale che nei discorsi im-provvisati il Cardarelli non riveli la sua personalità piùprofonda: discorsi privati sono estemporanei e per nullalirici. Si spiega pure con questo criterio la frivolezza delCardarelli uomo privato, ma è chiaro che questa spiega-zione è ancora troppo superficiale. Se si riflette meglio,il Cardarelli privato e il Cardarelli scrittore appaionotutt'uno. Quelle qualità che avevamo creduto soltantonegative ci si scoprono penetrate delle altre qualità bendiverse che avevamo notato negli scritti e d’altra partela vera natura degli scritti ci si rivela pienamente; sicchèuna conversazione privata e la lettura d’uno scritto ci la-

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Chi viene a conoscere personalmente Vincenzo Car-darelli, dopo d’averne letto gli scritti, se non ha moltosenso critico, deve rimanere assai deluso. Il Cardarelligli sembrerà assolutamente diverso da come l'aveva im-maginato. Aveva pensato che fosse un uomo eminente-mente serio ed elevato e lo trova invece piccolo e fili-steo. Se gli si era sentito fraterno, ne trova odiosa lacompagnia, perchè non si può adattare ai suoi discorsisuperficiali e ai suoi atti insignificanti o banali.

A chi abbia senso critico, tutto riesce perfettamentespiegabile; anzi a lui il Cardarelli della vita quotidianaappare la chiave di volta del Cardarelli scrittore. Quelloche colpisce di più nel Cardarelli scrittore è il caratteredi poeta meditativo ed è naturale che nei discorsi im-provvisati il Cardarelli non riveli la sua personalità piùprofonda: discorsi privati sono estemporanei e per nullalirici. Si spiega pure con questo criterio la frivolezza delCardarelli uomo privato, ma è chiaro che questa spiega-zione è ancora troppo superficiale. Se si riflette meglio,il Cardarelli privato e il Cardarelli scrittore appaionotutt'uno. Quelle qualità che avevamo creduto soltantonegative ci si scoprono penetrate delle altre qualità bendiverse che avevamo notato negli scritti e d’altra partela vera natura degli scritti ci si rivela pienamente; sicchèuna conversazione privata e la lettura d’uno scritto ci la-

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sciano in fondo la stessa immagine. I discorsi che ci di-spiacciono di più son quelli nei quali il Cardarelli espri-me dei giudizi critici e specialmente filosofici; quandoparla di qualcosa in cui ha indiscutibilmente della com-petenza, il suo difetto fondamentale è l’infelicità di pa-rola; le osservazioni morali che potete fare alla sua vitaprivata, v’accorgete che sono in perfetta armonia con lasua arte.

Come si vede e come adesso cercherò di dimostrare,quello che nel Cardarelli interessa principalmente è ilpoeta; e il poeta stesso, per quanto notevolissimo, non èperfetto.

L’unico scritto filosofico del Cardarelli è quello sulmetodo estetico, ma idee estetiche se ne trovano spessoanche nei suoi saggi critici. Possiamo affermare tran-quillamente che tutta questa parte dell’attività cardarel-liana vale, come teoria, ben poco. Il Cardarelli ha credu-to di poter confutare il Croce prescindendo completa-mente dal fatto che il Croce è un idealista assoluto; ecriticando l'estetica crociana ha creduto di poter trascu-rare del tutto, nonostante che abbia citato i Problemi diestetica, lo scritto più importante di questo volume, cioèla conferenza di Heidelberg sull’intuizione pura e il ca-rattere lirico dell’arte nella quale si sostiene – e, dalpunto di vista dell’idealismo assoluto, indiscutibilmente– che intuizione è liricità. Tutto l'arrovellio quindi delCardarelli per dimostrare che la critica deve superaretanto la pura esteticità che la pura biografia, ch’essa cioènon deve staccare la personalità d’uno scrittore dalle sue

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sciano in fondo la stessa immagine. I discorsi che ci di-spiacciono di più son quelli nei quali il Cardarelli espri-me dei giudizi critici e specialmente filosofici; quandoparla di qualcosa in cui ha indiscutibilmente della com-petenza, il suo difetto fondamentale è l’infelicità di pa-rola; le osservazioni morali che potete fare alla sua vitaprivata, v’accorgete che sono in perfetta armonia con lasua arte.

Come si vede e come adesso cercherò di dimostrare,quello che nel Cardarelli interessa principalmente è ilpoeta; e il poeta stesso, per quanto notevolissimo, non èperfetto.

L’unico scritto filosofico del Cardarelli è quello sulmetodo estetico, ma idee estetiche se ne trovano spessoanche nei suoi saggi critici. Possiamo affermare tran-quillamente che tutta questa parte dell’attività cardarel-liana vale, come teoria, ben poco. Il Cardarelli ha credu-to di poter confutare il Croce prescindendo completa-mente dal fatto che il Croce è un idealista assoluto; ecriticando l'estetica crociana ha creduto di poter trascu-rare del tutto, nonostante che abbia citato i Problemi diestetica, lo scritto più importante di questo volume, cioèla conferenza di Heidelberg sull’intuizione pura e il ca-rattere lirico dell’arte nella quale si sostiene – e, dalpunto di vista dell’idealismo assoluto, indiscutibilmente– che intuizione è liricità. Tutto l'arrovellio quindi delCardarelli per dimostrare che la critica deve superaretanto la pura esteticità che la pura biografia, ch’essa cioènon deve staccare la personalità d’uno scrittore dalle sue

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opere e viceversa, non ha niente che fare col Croce teo-rico. Quella critica colpisce invece il Croce storico,dove colpisce – ma il Cardarelli dichiara espressamentech’egli intende discutere l’estetica del Croce come sel'opera critica crociana non esistesse –; e dove colpiscerimane inferiore a quello che contro il Croce critico ave-va detto il Prezzolini nella sua monografia crociana.

Il male è che il più delle volte il Cardarelli non colpi-sce affatto, come abbiamo già fatto capire. Secondo ilCardarelli, per esempio, quello che lui chiama il criticoestetico per vedere se un’opera d’arte abbia o no rag-giunto la propria espressione non ha altro mezzo se nondi paragonarla alla propria immagine ideale e di risusci-tare quindi il genere. Ora è chiaro che si può vedere seun'opera d’arte sia perfetta o no per mezzo del gusto emettendosi in quel punto di vista dell’artista che il Car-darelli non ha capito. L’artista non ha punti di vista, diceil Cardarelli. L’artista è un cieco e non è un ingegnere.Ma cosa c’entra l’ingegnere? Mettersi nel punto di vistadell’artista vuol dire per il Croce capire l’artista, vuoldire mettersi nelle condizioni di spirito in cui si trovaval’artista quando creava la sua opera in modo da ottener-ne la viva impressione, vuol dire insomma fare quellonel quale poi il Cardarelli fa consistere, in fondo, il suometodo e farlo senza abdicare al gusto e alla valutazionedell’opera d'arte. Dobbiamo vedere le opere dell’artista,dice il Cardarelli, non separate da lui, ma così piene dilui che sapere che cosa ha fatto equivalga a sapere chi èe viceversa. Questo va benissimo: è un corollario del

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opere e viceversa, non ha niente che fare col Croce teo-rico. Quella critica colpisce invece il Croce storico,dove colpisce – ma il Cardarelli dichiara espressamentech’egli intende discutere l’estetica del Croce come sel'opera critica crociana non esistesse –; e dove colpiscerimane inferiore a quello che contro il Croce critico ave-va detto il Prezzolini nella sua monografia crociana.

Il male è che il più delle volte il Cardarelli non colpi-sce affatto, come abbiamo già fatto capire. Secondo ilCardarelli, per esempio, quello che lui chiama il criticoestetico per vedere se un’opera d’arte abbia o no rag-giunto la propria espressione non ha altro mezzo se nondi paragonarla alla propria immagine ideale e di risusci-tare quindi il genere. Ora è chiaro che si può vedere seun'opera d’arte sia perfetta o no per mezzo del gusto emettendosi in quel punto di vista dell’artista che il Car-darelli non ha capito. L’artista non ha punti di vista, diceil Cardarelli. L’artista è un cieco e non è un ingegnere.Ma cosa c’entra l’ingegnere? Mettersi nel punto di vistadell’artista vuol dire per il Croce capire l’artista, vuoldire mettersi nelle condizioni di spirito in cui si trovaval’artista quando creava la sua opera in modo da ottener-ne la viva impressione, vuol dire insomma fare quellonel quale poi il Cardarelli fa consistere, in fondo, il suometodo e farlo senza abdicare al gusto e alla valutazionedell’opera d'arte. Dobbiamo vedere le opere dell’artista,dice il Cardarelli, non separate da lui, ma così piene dilui che sapere che cosa ha fatto equivalga a sapere chi èe viceversa. Questo va benissimo: è un corollario del

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principio che l’arte è liricità, fantasia e non immagina-zione (capriccio, arbitrio); ma non implica affatto cheper valutare l'opera d'arte occorra un giudizio di purocontenuto come vorrebbe il Cardarelli, il quale parlandodell’Inquiète paternité di Schlumberger arriva a dire cheun critico estetico non avrebbe nulla da ridire perchèl'artista s’è espresso perfettamente e che tuttavia èdall’esame morale che si può avere una valutazione se-ria di quel libro. Ora io credo che un’opera d’arte nonsia esclusivamente d’arte – essa è un’opera in cui pre-valgono gli elementi artistici, ma che possiede ancheelementi logici, etici, religiosi – ed è quindi legittimoche essa venga giudicata anche con criteri etici; ma peril giudizio estetico dell’opera d’arte basta ch’essa siaespressa, che sia cioè manifestazione d’una personalità:ed è per mezzo del gusto che si determinerà se un’operaè o no d’arte quando l’opera stessa sia stata pienamentecapita. Senonchè se un’opera è d’arte non può essereimmorale. Immoralità è particolarismo. L’arte – come ilpensiero, la vita morale e la vita religiosa – è negazionedel particolarismo (fotografismo, aliricità). Chi ammettedunque la liricità dell’arte – e il Croce l’ammette (inteoria l’ammette) – non può ammettere, come vorrebbeil Cardarelli, che il libro di Schlumberger sia perfetta-mente espresso e possa nello stesso tempo essere svalu-tato in considerazione della qualità e della natura deisentimenti che lo animano.

Tutti quelli che concepiscono la critica come soffiettoo stroncatura, penseranno a questo punto che le conside-

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principio che l’arte è liricità, fantasia e non immagina-zione (capriccio, arbitrio); ma non implica affatto cheper valutare l'opera d'arte occorra un giudizio di purocontenuto come vorrebbe il Cardarelli, il quale parlandodell’Inquiète paternité di Schlumberger arriva a dire cheun critico estetico non avrebbe nulla da ridire perchèl'artista s’è espresso perfettamente e che tuttavia èdall’esame morale che si può avere una valutazione se-ria di quel libro. Ora io credo che un’opera d’arte nonsia esclusivamente d’arte – essa è un’opera in cui pre-valgono gli elementi artistici, ma che possiede ancheelementi logici, etici, religiosi – ed è quindi legittimoche essa venga giudicata anche con criteri etici; ma peril giudizio estetico dell’opera d’arte basta ch’essa siaespressa, che sia cioè manifestazione d’una personalità:ed è per mezzo del gusto che si determinerà se un’operaè o no d’arte quando l’opera stessa sia stata pienamentecapita. Senonchè se un’opera è d’arte non può essereimmorale. Immoralità è particolarismo. L’arte – come ilpensiero, la vita morale e la vita religiosa – è negazionedel particolarismo (fotografismo, aliricità). Chi ammettedunque la liricità dell’arte – e il Croce l’ammette (inteoria l’ammette) – non può ammettere, come vorrebbeil Cardarelli, che il libro di Schlumberger sia perfetta-mente espresso e possa nello stesso tempo essere svalu-tato in considerazione della qualità e della natura deisentimenti che lo animano.

Tutti quelli che concepiscono la critica come soffiettoo stroncatura, penseranno a questo punto che le conside-

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razioni che ho fatto adesso intorno all’estetica cardarel-liana siano una vera e propria stroncatura. Me ne dispia-ce tanto per loro. La critica è per me pensiero, risoluzio-ne di problemi, spiegazione: e ho insistito sulle ideeestetiche del Cardarelli perchè se il loro valore teorico èassai scarso esse sono assai importanti per l'intelligenzae la valutazione dell’opera cardarelliana, della quale delresto non costituiscono affatto un ramo secco che possaservirci tutt'al più per fare una piccola luminaria. Il Car-darelli conclude la sua trattazione estetica sostenendoche criticare è ricordare filosoficamente e che la criticasi fa a libro chiuso, a distanza, giacchè le opere di un ar-tista devono liquefarsi e sparire nella mente del criticocome oggetti di metallo usato nel cavo d’una fondita perpoi ricolare in forme nuove. La conclude, cioè, enun-ciando il criterio vichiano della verità. Ma è chiaro chequesto criterio applicato a questo modo è adatto meglioper le opere di pensiero che non per le opere d’arte nellequali la liricità è la stessa forma linguistica e che è, piut-tosto che un criterio di critica, un criterio d’intelligenza.Ora per capire un’opera d’arte basta intuirla, basta leg-gerla mettendosi nel punto di vista dell’autore, basta in-somma l’intuizione bergsoniana che è del criterio vi-chiano un semplice corollario: il corollario più opportu-no per la conoscenza del particolare e quindi dell’arte.Ma il Cardarelli, sostenendo per l’arte, in generale quel-la veduta adatta alla critica delle formole concettuali, ciindica la via per intendere la sua produzione. Se si riflet-te bene, le sue idee estetiche sono, meglio che una teoria

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razioni che ho fatto adesso intorno all’estetica cardarel-liana siano una vera e propria stroncatura. Me ne dispia-ce tanto per loro. La critica è per me pensiero, risoluzio-ne di problemi, spiegazione: e ho insistito sulle ideeestetiche del Cardarelli perchè se il loro valore teorico èassai scarso esse sono assai importanti per l'intelligenzae la valutazione dell’opera cardarelliana, della quale delresto non costituiscono affatto un ramo secco che possaservirci tutt'al più per fare una piccola luminaria. Il Car-darelli conclude la sua trattazione estetica sostenendoche criticare è ricordare filosoficamente e che la criticasi fa a libro chiuso, a distanza, giacchè le opere di un ar-tista devono liquefarsi e sparire nella mente del criticocome oggetti di metallo usato nel cavo d’una fondita perpoi ricolare in forme nuove. La conclude, cioè, enun-ciando il criterio vichiano della verità. Ma è chiaro chequesto criterio applicato a questo modo è adatto meglioper le opere di pensiero che non per le opere d’arte nellequali la liricità è la stessa forma linguistica e che è, piut-tosto che un criterio di critica, un criterio d’intelligenza.Ora per capire un’opera d’arte basta intuirla, basta leg-gerla mettendosi nel punto di vista dell’autore, basta in-somma l’intuizione bergsoniana che è del criterio vi-chiano un semplice corollario: il corollario più opportu-no per la conoscenza del particolare e quindi dell’arte.Ma il Cardarelli, sostenendo per l’arte, in generale quel-la veduta adatta alla critica delle formole concettuali, ciindica la via per intendere la sua produzione. Se si riflet-te bene, le sue idee estetiche sono, meglio che una teoria

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filosofica sull’arte, un chiarimento della sua produzionee un programma. Esse vanno quindi giudicate in modoanalogo alle idee estetiche di Marinetti. Le idee esteti-che di Marinetti, se si giudicano come una teoriadell’arte, sono prive d’ogni valore; ma il loro valoreconsiste nell’essere il tentativo di un’epica della vitamoderna, il tentativo, fino al momento fallito, di un ul-trapascolismo. Anche gli scritti del Cardarelli sono iltentativo, in parte riuscito, di un’epica: un’epica riflessi-va di singole figure umane. Il giudizio ch’egli dà intornoagli studi critici del Cecchi – le sintesi che il Cecchi cioffre non sono critiche ma pittoriche – si applica assaimeglio al Cardarelli, purchè sia modificato nel sensodella definizione dei suoi scritti che abbiamo dato ades-so.

Se giudichiamo, cardellianamente, a distanza lo stes-so scritto sul metodo estetico vediamo che quasi tutte leidee si attenuano fino ad annullarsi, ma che persiste nel-la nostra coscienza l’immagine d’un uomo serio e medi-tativo. I saggi e le liriche hanno valore poetico ugual-mente, ma la loro poesia non può essere raggiunta senon quando si giudichino a distanza dimenticando com-pletamente le parole. Nei suoi saggi migliori il Cardarel-li non fa altro che metterci innanzi una figura umana,non con mezzi puramente poetici, ma per mezzo di ri-flessioni che bisogna sforzare perchè possiamo avere lavisione viva della figura. Il Cardarelli «discorre» sem-pre, medita, riflette; ma non risolve mai problemi: con-templa. Egli, vale a dire, ci dà sempre, in maniera non

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filosofica sull’arte, un chiarimento della sua produzionee un programma. Esse vanno quindi giudicate in modoanalogo alle idee estetiche di Marinetti. Le idee esteti-che di Marinetti, se si giudicano come una teoriadell’arte, sono prive d’ogni valore; ma il loro valoreconsiste nell’essere il tentativo di un’epica della vitamoderna, il tentativo, fino al momento fallito, di un ul-trapascolismo. Anche gli scritti del Cardarelli sono iltentativo, in parte riuscito, di un’epica: un’epica riflessi-va di singole figure umane. Il giudizio ch’egli dà intornoagli studi critici del Cecchi – le sintesi che il Cecchi cioffre non sono critiche ma pittoriche – si applica assaimeglio al Cardarelli, purchè sia modificato nel sensodella definizione dei suoi scritti che abbiamo dato ades-so.

Se giudichiamo, cardellianamente, a distanza lo stes-so scritto sul metodo estetico vediamo che quasi tutte leidee si attenuano fino ad annullarsi, ma che persiste nel-la nostra coscienza l’immagine d’un uomo serio e medi-tativo. I saggi e le liriche hanno valore poetico ugual-mente, ma la loro poesia non può essere raggiunta senon quando si giudichino a distanza dimenticando com-pletamente le parole. Nei suoi saggi migliori il Cardarel-li non fa altro che metterci innanzi una figura umana,non con mezzi puramente poetici, ma per mezzo di ri-flessioni che bisogna sforzare perchè possiamo avere lavisione viva della figura. Il Cardarelli «discorre» sem-pre, medita, riflette; ma non risolve mai problemi: con-templa. Egli, vale a dire, ci dà sempre, in maniera non

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compiuta, quell’epica riflessiva di cui abbiamo parlato,sia nei suoi due saggi su Péguy che in quelli sul Tassouomo e su Assunta Spina (son particolarmente significa-tivi a questo proposito il secondo saggio su Péguy che,per quanto assai ampio, non fa nemmeno il tentativo dirisolvere problemi, differisce insomma essenzialmenteda questo mio saggio – e quello su Assunta Spina nelquale si trascurano completamente tutti gli altri perso-naggi del dramma digiacomiano e non si tentano nessitra questi personaggi e Assunta Spina e tra tutti i perso-naggi del dramma e la personalità del Di Giacomo); edesempi di epica riflessiva sono anche (per quanto in essisi affermi, timidamente, qualche tentativo di spiegazio-ne) i saggi sulla Giuditta di Hebbel e sugli Studi criticidel Cecchi, poichè in essi ciò che prevale è uno statod’animo, non una valutazione. E i saggi meno riuscitisono quelli su Caterina Sforza, l’eresia francescana, Ga-ribaldi, nei quali il Cardarelli, non avendo vive intuizio-ni e non potendo quindi fare dell’arte, non è riuscito afare della vera storia, ma quasi solo dell’erudizione pas-siva.

Tutte le considerazioni svolte finora ci conducono asostenere che la produzione cardarelliana raggiunge ilsuo culmine nella poesia Adolescente. La divinitàdell’adolescente è espressa con immagini mirabili. Lostato d’animo che determina tutta la poesia consistenell’atto che questa fanciulla ch’è come la mandorlanuda; che passa con la chioma sciolta e tutta la personaastata; nel cui lume di sangue onde si accende sul volto

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compiuta, quell’epica riflessiva di cui abbiamo parlato,sia nei suoi due saggi su Péguy che in quelli sul Tassouomo e su Assunta Spina (son particolarmente significa-tivi a questo proposito il secondo saggio su Péguy che,per quanto assai ampio, non fa nemmeno il tentativo dirisolvere problemi, differisce insomma essenzialmenteda questo mio saggio – e quello su Assunta Spina nelquale si trascurano completamente tutti gli altri perso-naggi del dramma digiacomiano e non si tentano nessitra questi personaggi e Assunta Spina e tra tutti i perso-naggi del dramma e la personalità del Di Giacomo); edesempi di epica riflessiva sono anche (per quanto in essisi affermi, timidamente, qualche tentativo di spiegazio-ne) i saggi sulla Giuditta di Hebbel e sugli Studi criticidel Cecchi, poichè in essi ciò che prevale è uno statod’animo, non una valutazione. E i saggi meno riuscitisono quelli su Caterina Sforza, l’eresia francescana, Ga-ribaldi, nei quali il Cardarelli, non avendo vive intuizio-ni e non potendo quindi fare dell’arte, non è riuscito afare della vera storia, ma quasi solo dell’erudizione pas-siva.

Tutte le considerazioni svolte finora ci conducono asostenere che la produzione cardarelliana raggiunge ilsuo culmine nella poesia Adolescente. La divinitàdell’adolescente è espressa con immagini mirabili. Lostato d’animo che determina tutta la poesia consistenell’atto che questa fanciulla ch’è come la mandorlanuda; che passa con la chioma sciolta e tutta la personaastata; nel cui lume di sangue onde si accende sul volto

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il cosmo fa le sue risa come nell’occhio nero della ron-dine; le cui mani bianche non sanno il madore umiliantedei contatti; questa bocca di sorgiva è inconsapevoledella sua divinità la quale è destinata a rimanere un teso-ro sepolto sotto i mari –, perchè il poeta ci rinunzia vin-to dalla vertigine, ma qualcuno che non lo saprà, un pe-scatore di spugne, scoprirà l’ostrica rara, ma gli saràgrazia e fortuna il non averla cercata e non sapere chi èe non poterla godere con la sottile coscienza che offendeil geloso Iddio. – Tuttavia nemmeno questa bella poesiaè perfetta. Il Cardarelli passa qualche volta dall’epica ri-flessiva alla chiosa filologica e gnomica. Dopo l’ultimafrase, per esempio, (Gli sarà grazia e fortuna...) egli con-tinua con questa dichiarazione superflua ed enfatica:«Oh sì, l'animale sarà – abbastanza ignaro – per nonmorire prima di toccarti». Quest’ultima idea era eviden-temente implicita in quel «gli sarà grazia e fortuna...». Enonostante che la poesia fosse in quel contrasto di cuiabbiamo parlato, nel fatto che tanta divinità passerà in-consumata e sarà invece sciupata capricciosamente eciecamente col primo che capiterà, il Cardarelli l’ha vo-luto finire con una sentenza bella quanto si vuole mache non era per nulla necessaria. Ma il difetto essenzialedi Adolescente e di tutta la produzione cardarelliana èquello che corrisponde a quella infelicità di parola cheabbiamo notato nel Cardarelli della vita quotidiana, ilquale parlandomi giorni fa di alcuni progetti di lavoricon cui vuol fare un volume diceva malinconicamente:Ma queste non son cose che si dicono. Si scrivono – se

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il cosmo fa le sue risa come nell’occhio nero della ron-dine; le cui mani bianche non sanno il madore umiliantedei contatti; questa bocca di sorgiva è inconsapevoledella sua divinità la quale è destinata a rimanere un teso-ro sepolto sotto i mari –, perchè il poeta ci rinunzia vin-to dalla vertigine, ma qualcuno che non lo saprà, un pe-scatore di spugne, scoprirà l’ostrica rara, ma gli saràgrazia e fortuna il non averla cercata e non sapere chi èe non poterla godere con la sottile coscienza che offendeil geloso Iddio. – Tuttavia nemmeno questa bella poesiaè perfetta. Il Cardarelli passa qualche volta dall’epica ri-flessiva alla chiosa filologica e gnomica. Dopo l’ultimafrase, per esempio, (Gli sarà grazia e fortuna...) egli con-tinua con questa dichiarazione superflua ed enfatica:«Oh sì, l'animale sarà – abbastanza ignaro – per nonmorire prima di toccarti». Quest’ultima idea era eviden-temente implicita in quel «gli sarà grazia e fortuna...». Enonostante che la poesia fosse in quel contrasto di cuiabbiamo parlato, nel fatto che tanta divinità passerà in-consumata e sarà invece sciupata capricciosamente eciecamente col primo che capiterà, il Cardarelli l’ha vo-luto finire con una sentenza bella quanto si vuole mache non era per nulla necessaria. Ma il difetto essenzialedi Adolescente e di tutta la produzione cardarelliana èquello che corrisponde a quella infelicità di parola cheabbiamo notato nel Cardarelli della vita quotidiana, ilquale parlandomi giorni fa di alcuni progetti di lavoricon cui vuol fare un volume diceva malinconicamente:Ma queste non son cose che si dicono. Si scrivono – se

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si scrivono. – Questa frase esprime mirabilmente lamanchevolezza della produzione cardarelliana, la qualeper essere veramente intesa ha bisogno di quel contattointelligente e paziente che secondo il Cecchi è necessa-rio per potere intendere i Miei discorsi. Epica riflessiva,abbiamo detto. Forse sarebbe meglio dire riflessione –difettosa quanto si vuole – ma fortemente pervasa diepicità. Pare che ci troviamo davanti a delle mediocritraduzioni di opere di vera poesia. Quel giudizio che ilCardarelli esprimeva a proposito del Péguy, secondo ilquale la nostra parola è indizio non forma del nostropensiero, si può ripetere per il Cardarelli, ma è natural-mente un giudizio prevalentemente negativo: segnalaun’imperfezione. Un'imperfezione soltanto, perchè –nonostante questo difetto – la poesia c’è. Le opere delCardarelli sono realmente come, secondo lui, le operedel Péguy: spiragli di luce sopra una realtà interiore chedev'esser creduta. Ma questa realtà interiore è molto so-lida?

Alla prima può sembrare che il difetto della poesiacardarelliana sia un difetto di sola musicalità e che siadovuto a una causa estrinseca: al fatto che questa poesiaandava scritta non in versi ma in forma di prosa; ma sesi osserva bene si vede che il suo difetto è la sua stessaessenza e che perciò la scrittura in prosa, per quanto ve-ramente assai più opportuna – ci sono dei versi che, inquanto versi, sono delle vere stonature – attenuerebbequasi insensibilmente questo difetto. Il Cardarelli, nelsaggio sull’Inquiète paternité, dice che gli stessi giudizi

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si scrivono. – Questa frase esprime mirabilmente lamanchevolezza della produzione cardarelliana, la qualeper essere veramente intesa ha bisogno di quel contattointelligente e paziente che secondo il Cecchi è necessa-rio per potere intendere i Miei discorsi. Epica riflessiva,abbiamo detto. Forse sarebbe meglio dire riflessione –difettosa quanto si vuole – ma fortemente pervasa diepicità. Pare che ci troviamo davanti a delle mediocritraduzioni di opere di vera poesia. Quel giudizio che ilCardarelli esprimeva a proposito del Péguy, secondo ilquale la nostra parola è indizio non forma del nostropensiero, si può ripetere per il Cardarelli, ma è natural-mente un giudizio prevalentemente negativo: segnalaun’imperfezione. Un'imperfezione soltanto, perchè –nonostante questo difetto – la poesia c’è. Le opere delCardarelli sono realmente come, secondo lui, le operedel Péguy: spiragli di luce sopra una realtà interiore chedev'esser creduta. Ma questa realtà interiore è molto so-lida?

Alla prima può sembrare che il difetto della poesiacardarelliana sia un difetto di sola musicalità e che siadovuto a una causa estrinseca: al fatto che questa poesiaandava scritta non in versi ma in forma di prosa; ma sesi osserva bene si vede che il suo difetto è la sua stessaessenza e che perciò la scrittura in prosa, per quanto ve-ramente assai più opportuna – ci sono dei versi che, inquanto versi, sono delle vere stonature – attenuerebbequasi insensibilmente questo difetto. Il Cardarelli, nelsaggio sull’Inquiète paternité, dice che gli stessi giudizi

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che valgono per gli uomini valgono per i poeti inquan-tochè da un tronco secco e mutilato non può germoglia-re poesia. Il motivo di vero di quest’osservazione è que-sto, che non ci può essere nessuna poesia se non si supe-ra il particolarismo appunto perchè la poesia non è foto-grafismo ma liricità. Ora io credo che l’osservazionemorale che si fa studiando il Cardarelli della vita priva-ta, il fatto cioè che la sua spiritualità non è abbastanzalibera di scorie, non è abbastanza intensa, spieghi il di-fetto della sua produzione. La quale non è abbastanzaispirata. Il Cardarelli non ammira per nulla GiovanniPapini (il Papini che conta, non quello di Lacerba), ma èindiscutibile che l’ansia papiniana per l’assoluto è assaipiù intensa dell’afflato lirico del Cardarelli. A questosoltanto e non a quella misteriosa rivalità ch’egli ritro-vava in Hebbel si deve l’imperfezione espressiva delCardarelli. Il Cardarelli ha bisogno di temprarsi nellasolitudine. Se passasse al futurismo, lo potremmo consi-derare inesistente. Nel futurismo tutte le sue cattive qua-lità trionferebbero, facendo naufragare nel nulla le suebelle qualità di poeta.

A ogni modo, qualunque sia l’avvenire del Cardarelli,noi siamo lieti d’aver parlato di lui perchè la produzioneche ci ha dato finora merita d’esser conosciuta. E se inItalia gli editori non fossero commercianti e se quelliche s’inducono a pubblicare qualche libro con criterinon commerciali non fossero protezionisti, se in Italiaesistesse cioè l’editore uomo di pensiero che l’Arduoforse va preparando, gli scritti del Cardarelli dovrebbero

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che valgono per gli uomini valgono per i poeti inquan-tochè da un tronco secco e mutilato non può germoglia-re poesia. Il motivo di vero di quest’osservazione è que-sto, che non ci può essere nessuna poesia se non si supe-ra il particolarismo appunto perchè la poesia non è foto-grafismo ma liricità. Ora io credo che l’osservazionemorale che si fa studiando il Cardarelli della vita priva-ta, il fatto cioè che la sua spiritualità non è abbastanzalibera di scorie, non è abbastanza intensa, spieghi il di-fetto della sua produzione. La quale non è abbastanzaispirata. Il Cardarelli non ammira per nulla GiovanniPapini (il Papini che conta, non quello di Lacerba), ma èindiscutibile che l’ansia papiniana per l’assoluto è assaipiù intensa dell’afflato lirico del Cardarelli. A questosoltanto e non a quella misteriosa rivalità ch’egli ritro-vava in Hebbel si deve l’imperfezione espressiva delCardarelli. Il Cardarelli ha bisogno di temprarsi nellasolitudine. Se passasse al futurismo, lo potremmo consi-derare inesistente. Nel futurismo tutte le sue cattive qua-lità trionferebbero, facendo naufragare nel nulla le suebelle qualità di poeta.

A ogni modo, qualunque sia l’avvenire del Cardarelli,noi siamo lieti d’aver parlato di lui perchè la produzioneche ci ha dato finora merita d’esser conosciuta. E se inItalia gli editori non fossero commercianti e se quelliche s’inducono a pubblicare qualche libro con criterinon commerciali non fossero protezionisti, se in Italiaesistesse cioè l’editore uomo di pensiero che l’Arduoforse va preparando, gli scritti del Cardarelli dovrebbero

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essere raccolti in volume. Tutti quanti. Non abbiam vi-sto che è ozioso distinguerli in teorici, critici e poetici?Tutti sono poetici; anzi alcuni di quelli così detti criticisono superiori ad alcuni poetici. I migliori saggi, peresempio, sono certamente superiori ai due «discorsi»che il Cardarelli ha dedicato a Rosso di San Secondo ead Angiolo Orvieto.

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essere raccolti in volume. Tutti quanti. Non abbiam vi-sto che è ozioso distinguerli in teorici, critici e poetici?Tutti sono poetici; anzi alcuni di quelli così detti criticisono superiori ad alcuni poetici. I migliori saggi, peresempio, sono certamente superiori ai due «discorsi»che il Cardarelli ha dedicato a Rosso di San Secondo ead Angiolo Orvieto.

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CULTURA E VITA MORALE

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CULTURA E VITA MORALE

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Questo volume non è il prodotto d'una volontà cheabbia avuto il Croce di fare una trattazione sul tema«Cultura e vita morale»: è una raccolta d’articoli giàpubblicati nella Critica, nella Voce, nell’Unità e altrove.

Contro le raccolte d’articoli si fa spesso un’obiezionepregiudiziale. Un libro (si dice) non si può fare metten-do insieme degli scritti vari. Per fare un libro, occorreprima di tutto avere l'intenzione di farlo. Ma quest’obie-zione non ha valore. Perchè se gli scritti che si mettonoinsieme sono dei capolavori, resteranno lo stesso dei ca-polavori e il libro sarà così costituito, invece che da uncapolavoro, da un insieme di capolavori; se gli scrittisono scadenti, restano scadenti allo stesso modo, sia chesi pubblichino raccolti in volume, sia che si pubblichinoa parte e perciò il fatto di costituire una raccolta nonc’entra con la loro svalutazione. Sarebbe sciocco deni-grare i canti del Leopardi soltanto perchè sono una rac-colta, oppure magnificare un cattivo poema per il solofatto che è un poema. – Le raccolte d’articoli sono an-che condannate, assai più giustamente, per un’altra ra-gione, perchè, essendo gli articoli scritti d’occasione,perdono ogni valore appena passata la circostanza che liha determinati. Senonchè gli scritti di pensiero (arte,concetto) anche se vengono pubblicati nei quotidiani,non diventano mai scritti d’occasione. Gli scritti d’occa-

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Questo volume non è il prodotto d'una volontà cheabbia avuto il Croce di fare una trattazione sul tema«Cultura e vita morale»: è una raccolta d’articoli giàpubblicati nella Critica, nella Voce, nell’Unità e altrove.

Contro le raccolte d’articoli si fa spesso un’obiezionepregiudiziale. Un libro (si dice) non si può fare metten-do insieme degli scritti vari. Per fare un libro, occorreprima di tutto avere l'intenzione di farlo. Ma quest’obie-zione non ha valore. Perchè se gli scritti che si mettonoinsieme sono dei capolavori, resteranno lo stesso dei ca-polavori e il libro sarà così costituito, invece che da uncapolavoro, da un insieme di capolavori; se gli scrittisono scadenti, restano scadenti allo stesso modo, sia chesi pubblichino raccolti in volume, sia che si pubblichinoa parte e perciò il fatto di costituire una raccolta nonc’entra con la loro svalutazione. Sarebbe sciocco deni-grare i canti del Leopardi soltanto perchè sono una rac-colta, oppure magnificare un cattivo poema per il solofatto che è un poema. – Le raccolte d’articoli sono an-che condannate, assai più giustamente, per un’altra ra-gione, perchè, essendo gli articoli scritti d’occasione,perdono ogni valore appena passata la circostanza che liha determinati. Senonchè gli scritti di pensiero (arte,concetto) anche se vengono pubblicati nei quotidiani,non diventano mai scritti d’occasione. Gli scritti d’occa-

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sione sono quelli pratici, oppure sono scritti difettosiimpropriamente detti d’occasione: sono studi intorno aqualche fenomeno della vita quotidiana che non son riu-sciti a cogliere scientificamente il fenomeno stesso: sonrimasti cronaca e non si son elevati alla storia. Ora èstrano che il Croce che aveva così ben distinti gli artico-li di giornale, per esempio, del De Sanctis dagli articolisuperficiali scritti così senza competenza tanto per riem-pire qualche colonna libera, non abbia tenuto presentequesto criterio compilando questa raccolta che presentaal pubblico come composta di scritti proporzionati allavita breve del giornale o della rivista e perciò destinati aperdere assai presto efficacia e significato. Il fatto è chealcuni di questi scritti sono veri e propri scritti di pensie-ro, altri sono già invecchiati perchè dovevano essere ri-fatti in modo da esporre rigorosamente ed esauriente-mente le buone idee che contengono mescolate con tan-te scorie d’occasione. Anzi, dal momento che il Croce,invece di fare degli studi storici intorno ai vari fenomenipiù o meno erronei della vita intellettuale e morale con-temporanea, prende quei fenomeni a puro pretesto perdelle considerazioni di carattere teorico, se avesse rifattoi suoi scritti trasformandoli decisamente in vere e pro-prie trattazioni teoriche, ne avrebbe eliminato tutti i di-fetti che ne hanno messo in luce, a proposito dell’artico-lo «Pretese di bella letteratura nella storia della filoso-fia» – escluso, con lodevole pensiero, da questa raccol-ta, ma che le appartiene idealmente – dal Borgese e perl' articolo «Amori con le nuvole» dal Boine, il nome del

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sione sono quelli pratici, oppure sono scritti difettosiimpropriamente detti d’occasione: sono studi intorno aqualche fenomeno della vita quotidiana che non son riu-sciti a cogliere scientificamente il fenomeno stesso: sonrimasti cronaca e non si son elevati alla storia. Ora èstrano che il Croce che aveva così ben distinti gli artico-li di giornale, per esempio, del De Sanctis dagli articolisuperficiali scritti così senza competenza tanto per riem-pire qualche colonna libera, non abbia tenuto presentequesto criterio compilando questa raccolta che presentaal pubblico come composta di scritti proporzionati allavita breve del giornale o della rivista e perciò destinati aperdere assai presto efficacia e significato. Il fatto è chealcuni di questi scritti sono veri e propri scritti di pensie-ro, altri sono già invecchiati perchè dovevano essere ri-fatti in modo da esporre rigorosamente ed esauriente-mente le buone idee che contengono mescolate con tan-te scorie d’occasione. Anzi, dal momento che il Croce,invece di fare degli studi storici intorno ai vari fenomenipiù o meno erronei della vita intellettuale e morale con-temporanea, prende quei fenomeni a puro pretesto perdelle considerazioni di carattere teorico, se avesse rifattoi suoi scritti trasformandoli decisamente in vere e pro-prie trattazioni teoriche, ne avrebbe eliminato tutti i di-fetti che ne hanno messo in luce, a proposito dell’artico-lo «Pretese di bella letteratura nella storia della filoso-fia» – escluso, con lodevole pensiero, da questa raccol-ta, ma che le appartiene idealmente – dal Borgese e perl' articolo «Amori con le nuvole» dal Boine, il nome del

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quale però non figura più nell'articolo. Il Borgese ha di-mostrato, tra l'altro, assai bene le deficienze del Crocestorico e si è lamentato che il Croce non sia rimastocome nel '903 quando, letti gli articoli borgesiani delLeonardo in cui non c’era traccia di crocismo, ne lodavala ponderatezza e la penetrazione, mostrando che alloraper lui i giovani valevano per la loro volontà di capire edi fare e non per il loro crocismo. Il Boine, oltre le con-siderazioni dirette contro il valore storico del giudiziodato dal Croce su di lui, giudizio che non era certo rigi-damente oggettivo, dichiarava che il Croce, inquisendomoralisticamente e stizzosamente contro di lui, commet-teva una vera immoralità; e che era, oltre che immorale,antifilosofico definire mistico o trascurare il pensierovivo, nuovo, sostanzioso, per quanto non del tutto cro-ciano, quello dell’Amendola, per esempio, che si agita-va in Italia e scalmanarsi tanto per quelle che lui crede-va inezie. E certo dispiace, leggendo questo volume, ve-dere che il Croce ha ristampato degli scritti senza tenerconto degli studi contrari alle sue idee che si son fattidopo, specialmente intorno alla religione e alla scienza.A proposito della scienza però, dopo di aver enunciatola tesi dell’eterogeneità di scienza e filosofia e di averconfuso scienza e tecnica, dice che i fatti positivi devo-no essere, come quelli storici, compenetrati, più diquanto non si faccia adesso, di pensiero filosofico. Èun’idea giustissima propugnata da tanti cultori di scien-za positiva ma che acquista tutta la sua importanza

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quale però non figura più nell'articolo. Il Borgese ha di-mostrato, tra l'altro, assai bene le deficienze del Crocestorico e si è lamentato che il Croce non sia rimastocome nel '903 quando, letti gli articoli borgesiani delLeonardo in cui non c’era traccia di crocismo, ne lodavala ponderatezza e la penetrazione, mostrando che alloraper lui i giovani valevano per la loro volontà di capire edi fare e non per il loro crocismo. Il Boine, oltre le con-siderazioni dirette contro il valore storico del giudiziodato dal Croce su di lui, giudizio che non era certo rigi-damente oggettivo, dichiarava che il Croce, inquisendomoralisticamente e stizzosamente contro di lui, commet-teva una vera immoralità; e che era, oltre che immorale,antifilosofico definire mistico o trascurare il pensierovivo, nuovo, sostanzioso, per quanto non del tutto cro-ciano, quello dell’Amendola, per esempio, che si agita-va in Italia e scalmanarsi tanto per quelle che lui crede-va inezie. E certo dispiace, leggendo questo volume, ve-dere che il Croce ha ristampato degli scritti senza tenerconto degli studi contrari alle sue idee che si son fattidopo, specialmente intorno alla religione e alla scienza.A proposito della scienza però, dopo di aver enunciatola tesi dell’eterogeneità di scienza e filosofia e di averconfuso scienza e tecnica, dice che i fatti positivi devo-no essere, come quelli storici, compenetrati, più diquanto non si faccia adesso, di pensiero filosofico. Èun’idea giustissima propugnata da tanti cultori di scien-za positiva ma che acquista tutta la sua importanza

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Page 87: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

quando si neghi tanto la concezione positivista che laconcezione crociana del pensiero.

Nonostante tutte le riserve che si possono fare intornoa questo volume, è indiscutibile che esso contiene mol-tissime idee alle quali bisogna assentire con ammirazio-ne. Sono assai belle le osservazioni intorno al supera-mento. Il superamento, dice il Croce, non può essere unfine che si persegua per se stesso come non è un fine lamoralità in astratto. La moralità consiste nello sforzo as-siduo e inconsapevole contro piccoli ostacoli. Così lavittoria, nella sua genericità, non è il fine del soldato madel miles gloriosus. Le memorie militari son lì a inse-gnare che i soldati mettevano tutti i loro sforzi nel far ta-cere un pezzo d’artiglieria postato su d’un’altura o nelgiungere a un pozzo o in altri fini concreti. Nel campodel pensiero, dunque, quello che importa è la soluzionedel problema che si ha innanzi senza preoccuparsi di su-perare ma cercando soltanto di veder chiaro in quel pro-blema: e si può star sicuri che ogni verità conquistatacon uno sforzo personale è sempre nuova. Proponendosiinvece il superamento per se stesso, c’è pericolo di nonconquistare nessuna verità nemmeno vecchia, acquistan-do soltanto il gesto dannunzianeggiante del superatore.

Questa critica del concetto di superamento conduce,come si vede, a sostenere che un periodico di pensiero,un periodico cioè il cui ideale è la verità non deve canta-re sterilmente le lodi della dea Verità ma deve agitaresingoli problemi e quindi, se deve essere liberista, devepure essere antiquietista, giacchè le idee sostenute da

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quando si neghi tanto la concezione positivista che laconcezione crociana del pensiero.

Nonostante tutte le riserve che si possono fare intornoa questo volume, è indiscutibile che esso contiene mol-tissime idee alle quali bisogna assentire con ammirazio-ne. Sono assai belle le osservazioni intorno al supera-mento. Il superamento, dice il Croce, non può essere unfine che si persegua per se stesso come non è un fine lamoralità in astratto. La moralità consiste nello sforzo as-siduo e inconsapevole contro piccoli ostacoli. Così lavittoria, nella sua genericità, non è il fine del soldato madel miles gloriosus. Le memorie militari son lì a inse-gnare che i soldati mettevano tutti i loro sforzi nel far ta-cere un pezzo d’artiglieria postato su d’un’altura o nelgiungere a un pozzo o in altri fini concreti. Nel campodel pensiero, dunque, quello che importa è la soluzionedel problema che si ha innanzi senza preoccuparsi di su-perare ma cercando soltanto di veder chiaro in quel pro-blema: e si può star sicuri che ogni verità conquistatacon uno sforzo personale è sempre nuova. Proponendosiinvece il superamento per se stesso, c’è pericolo di nonconquistare nessuna verità nemmeno vecchia, acquistan-do soltanto il gesto dannunzianeggiante del superatore.

Questa critica del concetto di superamento conduce,come si vede, a sostenere che un periodico di pensiero,un periodico cioè il cui ideale è la verità non deve canta-re sterilmente le lodi della dea Verità ma deve agitaresingoli problemi e quindi, se deve essere liberista, devepure essere antiquietista, giacchè le idee sostenute da

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Page 88: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

ogni collaboratore a proposito di un certo argomentodifferiranno spessissimo da quelle degli altri se non altroalmeno per questo, perchè saranno in grado più o menogrande inquinate da errori perchè saranno in errore glialtri. Per eliminare la discussione, occorrerebbe che tuttienunciassero sempre delle verità definitive assolutamen-te evidenti e questo è impossibile.

Tra gli scritti migliori di questa raccolta vi è quellosul partito come giudizio e come pregiudizio, i generipolitici, dice benissimo il Croce, corrispondono ai gene-ri letterari della rettorica e meritano tutta la diffidenzadei generi letterari. Com'è ozioso discutere sulla veratragedia e la falsa tragedia o sull’essenza del romanzo odell’ode, così è ozioso fare le stesse dispute a propositodei partiti. Sotto i vari nomi politici (aristocrazia, demo-crazia, progressismo, liberalismo) gli uomini di buonavolontà vogliono tutti lo stesso, mentre, sotto qualunquedi quei nomi, i disonesti vogliono il loro tornaconto enient’altro. Non è che i partiti non siano nulla: il lorovalore è un valore pratico. Come il poeta, nel concretarein determinate condizioni storiche, la sua ispirazionenon può fare a meno del linguaggio tradizionale, deimetri, della disposizione per strofe o capitoli, cosìl'uomo politico per concretare i suoi desideri è costrettoa entrar nel meccanismo dei partiti. Ma come il poetanon deve falsare la sua ispirazione per asservirla ai ge-neri, così l’uomo politico non deve asservire le sue ideeal partito, ma deve o creare un nuovo partito o modifica-re opportunamente quello più adatto alle sue idee. Con-

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ogni collaboratore a proposito di un certo argomentodifferiranno spessissimo da quelle degli altri se non altroalmeno per questo, perchè saranno in grado più o menogrande inquinate da errori perchè saranno in errore glialtri. Per eliminare la discussione, occorrerebbe che tuttienunciassero sempre delle verità definitive assolutamen-te evidenti e questo è impossibile.

Tra gli scritti migliori di questa raccolta vi è quellosul partito come giudizio e come pregiudizio, i generipolitici, dice benissimo il Croce, corrispondono ai gene-ri letterari della rettorica e meritano tutta la diffidenzadei generi letterari. Com'è ozioso discutere sulla veratragedia e la falsa tragedia o sull’essenza del romanzo odell’ode, così è ozioso fare le stesse dispute a propositodei partiti. Sotto i vari nomi politici (aristocrazia, demo-crazia, progressismo, liberalismo) gli uomini di buonavolontà vogliono tutti lo stesso, mentre, sotto qualunquedi quei nomi, i disonesti vogliono il loro tornaconto enient’altro. Non è che i partiti non siano nulla: il lorovalore è un valore pratico. Come il poeta, nel concretarein determinate condizioni storiche, la sua ispirazionenon può fare a meno del linguaggio tradizionale, deimetri, della disposizione per strofe o capitoli, cosìl'uomo politico per concretare i suoi desideri è costrettoa entrar nel meccanismo dei partiti. Ma come il poetanon deve falsare la sua ispirazione per asservirla ai ge-neri, così l’uomo politico non deve asservire le sue ideeal partito, ma deve o creare un nuovo partito o modifica-re opportunamente quello più adatto alle sue idee. Con-

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Page 89: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

siderato così il partito come un puro strumento pratico, èchiaro che chi vuole entrare nella vita politica, non sideve domandare se sarà democratico o aristocratico oprogressista ma se promuoverà o combatterà questa oquella veduta rispetto a singoli problemi e in base a que-sto programma più o meno transitorio aderirà, fino a chequel programma sarà vivo, al partito in cui quel pro-gramma potrà essere realizzato, se ci sarà; se no, forme-rà un partito nuovo. I partiti insomma devono conside-rarsi come una conseguenza e non come una premessadell'azione politica e quindi per svolgere una vera azio-ne politica bisogna sempre mirare alla salute della patria(o meglio alla giustizia) e non a quella del partito.

Molte altre idee dovremmo esporre per fare uno stu-dio completo di questo volume; anzi, non trattandosid’un volume organico (non intendo dire che sia un’anto-logia del tutto meccanica: il libro è uno perchè ne è unol'autore), bisognerebbe fare uno studio speciale per ognisaggio. Ma non posso fare a meno di citare un bel passodello scritto in cui si dimostra che la pietra di paragonedelle filosofie è la possibilità o meno delle costruzionistoriche e si viene quindi a screditare il materialismo. Siha un bel negare – dice il Croce – i valori dello spirito eproclamare vera e unica realtà la materia e il meccani-smo: la storia, essa, proclama, a ogni suo moto ed atto,il valore dello spirito; e chi si fa a raccontarla, è costret-to a prendere come punto di riferenza quel valore, sevuol dare al suo racconto una configurazione qualsiasi.L’eroismo è miraggio dell’egoismo? E la storia vi mo-

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siderato così il partito come un puro strumento pratico, èchiaro che chi vuole entrare nella vita politica, non sideve domandare se sarà democratico o aristocratico oprogressista ma se promuoverà o combatterà questa oquella veduta rispetto a singoli problemi e in base a que-sto programma più o meno transitorio aderirà, fino a chequel programma sarà vivo, al partito in cui quel pro-gramma potrà essere realizzato, se ci sarà; se no, forme-rà un partito nuovo. I partiti insomma devono conside-rarsi come una conseguenza e non come una premessadell'azione politica e quindi per svolgere una vera azio-ne politica bisogna sempre mirare alla salute della patria(o meglio alla giustizia) e non a quella del partito.

Molte altre idee dovremmo esporre per fare uno stu-dio completo di questo volume; anzi, non trattandosid’un volume organico (non intendo dire che sia un’anto-logia del tutto meccanica: il libro è uno perchè ne è unol'autore), bisognerebbe fare uno studio speciale per ognisaggio. Ma non posso fare a meno di citare un bel passodello scritto in cui si dimostra che la pietra di paragonedelle filosofie è la possibilità o meno delle costruzionistoriche e si viene quindi a screditare il materialismo. Siha un bel negare – dice il Croce – i valori dello spirito eproclamare vera e unica realtà la materia e il meccani-smo: la storia, essa, proclama, a ogni suo moto ed atto,il valore dello spirito; e chi si fa a raccontarla, è costret-to a prendere come punto di riferenza quel valore, sevuol dare al suo racconto una configurazione qualsiasi.L’eroismo è miraggio dell’egoismo? E la storia vi mo-

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stra eroi senza codesti miraggi, le cui azioni sono perfet-tamente trasparenti nel loro carattere antiegoistico, dipieno sacrificio dell’individualità. Le forme logichesono risultato dell’abitudine e dell'eredità, del meccani-smo fisiologico e psichico? E la storia ci mostra la lottaper la scienza, le ansie e i giubili degli scopritori di veri-tà, l’efficacia meravigliosa delle loro scoperte in tutte leparti della vita sociale. La santità è isterismo e malattia?E la storia vi offre lo spettacolo di codesti pretesi istericie malati, che conquistano anime, raccolgono folle di di-scepoli, fondano istituti duraturi, si ripercuotono nei se-coli, trasformano più o meno profondamente la società:cose tutte, che non accadono ai puri e semplici malati, iquali, per quel che se ne sa, mettono in moto soltanto imedici e gli infermieri.

Se questo libro, pur non essendo fondamentalenell’opera crociana e per quanto certi capitoli siano qua-si di pura volgarizzazione, ha grandi pregi come libroteorico, ha pregi notevolissimi dal punto di vista lettera-rio. Non che sia senza difetti da questo punto di vista, ilCroce si è tenuto sempre lontano dalla scienza positiva(nella quale certo, date le sue eminenti qualità di logicoe di studioso oltre che di sistematico, egli si sarebbe po-tuto affermare forse meglio che nella filosofia) e perciòil suo linguaggio risente di quella verbosità caratteristicadei nostri scrittori di filosofia e che secondo il Vailati sideve attribuire alla mancanza di educazione scientificach'esige sopratutto ordine, rigore e sobrietà. Ma quantipregi compensano questo difetto! Anche certi aneddoti

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stra eroi senza codesti miraggi, le cui azioni sono perfet-tamente trasparenti nel loro carattere antiegoistico, dipieno sacrificio dell’individualità. Le forme logichesono risultato dell’abitudine e dell'eredità, del meccani-smo fisiologico e psichico? E la storia ci mostra la lottaper la scienza, le ansie e i giubili degli scopritori di veri-tà, l’efficacia meravigliosa delle loro scoperte in tutte leparti della vita sociale. La santità è isterismo e malattia?E la storia vi offre lo spettacolo di codesti pretesi istericie malati, che conquistano anime, raccolgono folle di di-scepoli, fondano istituti duraturi, si ripercuotono nei se-coli, trasformano più o meno profondamente la società:cose tutte, che non accadono ai puri e semplici malati, iquali, per quel che se ne sa, mettono in moto soltanto imedici e gli infermieri.

Se questo libro, pur non essendo fondamentalenell’opera crociana e per quanto certi capitoli siano qua-si di pura volgarizzazione, ha grandi pregi come libroteorico, ha pregi notevolissimi dal punto di vista lettera-rio. Non che sia senza difetti da questo punto di vista, ilCroce si è tenuto sempre lontano dalla scienza positiva(nella quale certo, date le sue eminenti qualità di logicoe di studioso oltre che di sistematico, egli si sarebbe po-tuto affermare forse meglio che nella filosofia) e perciòil suo linguaggio risente di quella verbosità caratteristicadei nostri scrittori di filosofia e che secondo il Vailati sideve attribuire alla mancanza di educazione scientificach'esige sopratutto ordine, rigore e sobrietà. Ma quantipregi compensano questo difetto! Anche certi aneddoti

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che sono delle pure digressioni sono raccontati con tantaarte che noi non sapremmo affatto consigliarne la sop-pressione. E in alcuni di questi scritti, in alcuni di quellipropriamente storici, se il Croce non riesce del tuttocome storico, riesce mirabilmente come umorista. Spes-so l'umorismo è conseguito in maniera aristocratica seper aristocrazia s’intende col Croce il compiere senzasforzo apparente quello che agli altri riesce impossibileo riesce possibile attraverso una gran fatica. Così a pro-posito della critica del concetto di creazione estetica fat-ta dal Fanciulli il quale sosteneva che l'uomo non era exnihilo poichè «tutt'al più è un filtro o un crogiuolo mera-viglioso», il Croce dice: Chiameremo, da ora in poi,l'attività sintetica e creatrice «crogiuolo meraviglioso» esaremo d’accordo.

C’è chi nega al Croce le qualità artistiche, ma si trattadi quei letteratini sentimentali che non riconosconoBoccaccio e Manzoni o di quelli che, opachi completa-mente al pensiero, non sanno ammirare se non le operedi fantasia e valutano le opere di pensiero in ragione deiloro pregi fantastici, sicchè per loro quasi tutti i filosofie gli scienziati sono equivalenti allo zero.

Questo volume di Croce, dunque, dimostra che per ilCroce si può ripetere il giudizio ch’egli dava a propositodi Hegel: se la critica riuscirà a distruggere il metafisico,resterà sempre il filosofo e lo scrittore; e che, in ognicaso, Croce come Hegel, merita quella «sepoltura cri-stiana» che finora gli è stata negata. Noi crediamo cioèche si debba essere anticrociani ma a patto di non appar-

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che sono delle pure digressioni sono raccontati con tantaarte che noi non sapremmo affatto consigliarne la sop-pressione. E in alcuni di questi scritti, in alcuni di quellipropriamente storici, se il Croce non riesce del tuttocome storico, riesce mirabilmente come umorista. Spes-so l'umorismo è conseguito in maniera aristocratica seper aristocrazia s’intende col Croce il compiere senzasforzo apparente quello che agli altri riesce impossibileo riesce possibile attraverso una gran fatica. Così a pro-posito della critica del concetto di creazione estetica fat-ta dal Fanciulli il quale sosteneva che l'uomo non era exnihilo poichè «tutt'al più è un filtro o un crogiuolo mera-viglioso», il Croce dice: Chiameremo, da ora in poi,l'attività sintetica e creatrice «crogiuolo meraviglioso» esaremo d’accordo.

C’è chi nega al Croce le qualità artistiche, ma si trattadi quei letteratini sentimentali che non riconosconoBoccaccio e Manzoni o di quelli che, opachi completa-mente al pensiero, non sanno ammirare se non le operedi fantasia e valutano le opere di pensiero in ragione deiloro pregi fantastici, sicchè per loro quasi tutti i filosofie gli scienziati sono equivalenti allo zero.

Questo volume di Croce, dunque, dimostra che per ilCroce si può ripetere il giudizio ch’egli dava a propositodi Hegel: se la critica riuscirà a distruggere il metafisico,resterà sempre il filosofo e lo scrittore; e che, in ognicaso, Croce come Hegel, merita quella «sepoltura cri-stiana» che finora gli è stata negata. Noi crediamo cioèche si debba essere anticrociani ma a patto di non appar-

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tenere al blocco anticrociano. Quelli del blocco hanno,accentuati, tutti i difetti del Croce senz’averne i meriti.Sono quei piccoli uomini armati di chitarra o di schedacontro i quali egli ha esercitato la sua fine ironia – oppu-re quei pretesi eroi dell’azione e del pensiero, che sonoimpotenti dell’azione e del pensiero, oziosi che disde-gnano tutte le conquiste particolari come meschine mache non sono capaci di far nulla nè di grande nè di pic-colo. Certo un eroe può trovare alquanto filisteo questouomo che consiglia la lettura di Giannetto, ma quelliche chiamano filisteo il Croce sono in generale dei sub-filistei, degl'individui il cui legittimo ideale sarebbequello di fare in silenzio la loro parte di buoni filistei eche preferiscono atteggiarsi a superuomini.

Il Croce non è un temperamento rivoluzionario, nellasua filosofia non ci sono incertezze, il suo ottimismo èeccessivo. A lui manca inoltre, quasi per smentire la suateoria della religione, l’afflato religioso. Basta parago-nare «Cultura e vita morale» (e anche il saggio su Hegele la trilogia) con l'Action di Maurice Blondel per accor-gersene. Il Bergson è stato accusato da qualcuno di esse-re non un filosofo ma un artista; ma nessuno oserebbedire che Blondel non sia un filosofo, ma soltanto un mi-stico. È un filosofo ma la sua filosofia è altamente reli-giosa. Nel Croce, invece, il sentimento religioso è deltutto assente e sarà sempre assente. Egli ha detto pocotempo fa che è insuperabile perchè si supera sempre;questo suo ultimo libro dimostra che in certi punti, ri-spetto al problema della vita, per esempio, egli non si

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tenere al blocco anticrociano. Quelli del blocco hanno,accentuati, tutti i difetti del Croce senz’averne i meriti.Sono quei piccoli uomini armati di chitarra o di schedacontro i quali egli ha esercitato la sua fine ironia – oppu-re quei pretesi eroi dell’azione e del pensiero, che sonoimpotenti dell’azione e del pensiero, oziosi che disde-gnano tutte le conquiste particolari come meschine mache non sono capaci di far nulla nè di grande nè di pic-colo. Certo un eroe può trovare alquanto filisteo questouomo che consiglia la lettura di Giannetto, ma quelliche chiamano filisteo il Croce sono in generale dei sub-filistei, degl'individui il cui legittimo ideale sarebbequello di fare in silenzio la loro parte di buoni filistei eche preferiscono atteggiarsi a superuomini.

Il Croce non è un temperamento rivoluzionario, nellasua filosofia non ci sono incertezze, il suo ottimismo èeccessivo. A lui manca inoltre, quasi per smentire la suateoria della religione, l’afflato religioso. Basta parago-nare «Cultura e vita morale» (e anche il saggio su Hegele la trilogia) con l'Action di Maurice Blondel per accor-gersene. Il Bergson è stato accusato da qualcuno di esse-re non un filosofo ma un artista; ma nessuno oserebbedire che Blondel non sia un filosofo, ma soltanto un mi-stico. È un filosofo ma la sua filosofia è altamente reli-giosa. Nel Croce, invece, il sentimento religioso è deltutto assente e sarà sempre assente. Egli ha detto pocotempo fa che è insuperabile perchè si supera sempre;questo suo ultimo libro dimostra che in certi punti, ri-spetto al problema della vita, per esempio, egli non si

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supererà mai. C’è in lui da questo lato troppa certezzaperchè possa avere quella crisi che è necessaria per unanuova sintesi. Ma questa certezza del Croce è senza finesuperiore, eticamente e intellettualmente, alla piccolacertezza dilettantesca degli anticrociani.

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supererà mai. C’è in lui da questo lato troppa certezzaperchè possa avere quella crisi che è necessaria per unanuova sintesi. Ma questa certezza del Croce è senza finesuperiore, eticamente e intellettualmente, alla piccolacertezza dilettantesca degli anticrociani.

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L’IDOLATRIA DELLA RETTA

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L’IDOLATRIA DELLA RETTA

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Studierò questo pregiudizio nella sua forma intellet-tuale e in quella etica.

Nella forma intellettuale, consiste nel credere, anti-manzonianamente, che tutto ciò che vien dopo è pro-gresso. È un pregiudizio simpatico agli hegeliani. Spi-noza supera Cartesio, Kant supera Spinoza, Hegel supe-ra Kant e Croce Hegel: – dopo Spinoza tornare a Carte-sio è da ritardatari, dopo Hegel non c’è più nulla da im-parare da Kant e così via. Il dovere di un filosofo, oggi,in Italia, sarebbe quello di elaborare la filosofia del Cro-ce. (E perchè non quella del Gentile o del Bergson o delRoyce?)

Il motivo di verità di questa teoria sta in questo, che ilpensiero d'ogni uomo pone dei problemi che chi studiaquel pensiero in parte affronta e risolve. Così è vero cheHegel non si spiega senza Kant, e che Croce avrebbepensato diversamente se non avesse studiato Hegel; eRighi non sarebbe stato possibile senza Hertz ZeemanHall. Ma, d’altra parte, è pure indiscutibile che da Hegelnon si passa necessariamente a Croce perchè si può an-che passare a Gentile o a Royce e anche a Blondel; eche non tutti i problemi posti da Hertz sono stati risoltida Righi. È, in altri termini, indiscutibile che la storiadel pensiero non è lineare, che cioè l'opera d’un filosofoo d’uno scienziato non destano in tutti gli stessi proble-

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Studierò questo pregiudizio nella sua forma intellet-tuale e in quella etica.

Nella forma intellettuale, consiste nel credere, anti-manzonianamente, che tutto ciò che vien dopo è pro-gresso. È un pregiudizio simpatico agli hegeliani. Spi-noza supera Cartesio, Kant supera Spinoza, Hegel supe-ra Kant e Croce Hegel: – dopo Spinoza tornare a Carte-sio è da ritardatari, dopo Hegel non c’è più nulla da im-parare da Kant e così via. Il dovere di un filosofo, oggi,in Italia, sarebbe quello di elaborare la filosofia del Cro-ce. (E perchè non quella del Gentile o del Bergson o delRoyce?)

Il motivo di verità di questa teoria sta in questo, che ilpensiero d'ogni uomo pone dei problemi che chi studiaquel pensiero in parte affronta e risolve. Così è vero cheHegel non si spiega senza Kant, e che Croce avrebbepensato diversamente se non avesse studiato Hegel; eRighi non sarebbe stato possibile senza Hertz ZeemanHall. Ma, d’altra parte, è pure indiscutibile che da Hegelnon si passa necessariamente a Croce perchè si può an-che passare a Gentile o a Royce e anche a Blondel; eche non tutti i problemi posti da Hertz sono stati risoltida Righi. È, in altri termini, indiscutibile che la storiadel pensiero non è lineare, che cioè l'opera d’un filosofoo d’uno scienziato non destano in tutti gli stessi proble-

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mi, che da un concetto o da una scoperta possono avereorigine infiniti pensieri diversi. Perciò è lecito studiareHegel, S. Tommaso e Aristotile anche dopo Croce; sipossono studiare con frutto Hertz, Newton, Volta o an-che Gilbert anche dopo Lord Kelvin, J. J. Thomson eRighi. – Si può bene proseguire la speculazione del Cro-ce, ma si ha il pieno diritto di criticare il pensiero delCroce e tutto ciò che è supposto dal pensiero del Crocee quindi di abbandonare certe idee che il Croce credevadefinitive per accettarne altre da lui ritenute superate. Lastoria non sarà più rettilinea: tanto meglio!

L’idolatria della retta, mentre apparentemente è l'esal-tazione della storia perchè sostiene che ogni pensierodeve partire da un pensiero formatosi storicamente, infondo è la negazione della storia e del pensiero. Perchèse la storia è scienza, dal momento che il giudizio chemi formo io, oggi, di Hegel sarà in generale, diverso daquello che se n'è formato Croce nel '906, il pregiudiziodella retta naufraga. E se il pensiero non può non essereconvalidato se non dal pensiero, non è lecito costruireun sistema assumendo senza critica certi principî soltan-to perchè furon trovati veri da altri pensatori. Tuttodev’essere soggetto a critica. Nell’hegelismo c’è impli-cita una critica della scolastica e del platonismo; ma noi,se vogliamo continuare Hegel, non possiamo accettaresupinamente quella critica. Dobbiamo convalidare quel-la critica facendo uno studio diretto della scolastica e diPlatone ed è chiaro che potremo pervenire a conclusioniantihegeliane.

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mi, che da un concetto o da una scoperta possono avereorigine infiniti pensieri diversi. Perciò è lecito studiareHegel, S. Tommaso e Aristotile anche dopo Croce; sipossono studiare con frutto Hertz, Newton, Volta o an-che Gilbert anche dopo Lord Kelvin, J. J. Thomson eRighi. – Si può bene proseguire la speculazione del Cro-ce, ma si ha il pieno diritto di criticare il pensiero delCroce e tutto ciò che è supposto dal pensiero del Crocee quindi di abbandonare certe idee che il Croce credevadefinitive per accettarne altre da lui ritenute superate. Lastoria non sarà più rettilinea: tanto meglio!

L’idolatria della retta, mentre apparentemente è l'esal-tazione della storia perchè sostiene che ogni pensierodeve partire da un pensiero formatosi storicamente, infondo è la negazione della storia e del pensiero. Perchèse la storia è scienza, dal momento che il giudizio chemi formo io, oggi, di Hegel sarà in generale, diverso daquello che se n'è formato Croce nel '906, il pregiudiziodella retta naufraga. E se il pensiero non può non essereconvalidato se non dal pensiero, non è lecito costruireun sistema assumendo senza critica certi principî soltan-to perchè furon trovati veri da altri pensatori. Tuttodev’essere soggetto a critica. Nell’hegelismo c’è impli-cita una critica della scolastica e del platonismo; ma noi,se vogliamo continuare Hegel, non possiamo accettaresupinamente quella critica. Dobbiamo convalidare quel-la critica facendo uno studio diretto della scolastica e diPlatone ed è chiaro che potremo pervenire a conclusioniantihegeliane.

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Come si vede io non intendo sostenere, futuristica-mente, che chi vuole trattare un argomento deve trascu-rare tutto quello che s'è pensato intorno all’argomento.Tutt’altro. Io so benissimo che chi tratta un argomentotrascinandone la letteratura, s’espone al pericolo di sfon-dare usci aperti e in ogni caso si priva di mezzi che glipotrebbero facilitare immensamente la ricerca: idee giu-ste e confutazioni di errori nei quali potrebbe incorrere.Io sostengo invece che chi studia un argomento non solodeve conoscere la letteratura di quell'argomento, ma an-che la letteratura presupposta dall’argomento. Chi vuolestudiare la filosofia del Croce non solo deve studiare ilibri del Croce e quelli intorno al Croce, ma gli scritti aiquali il Croce si riattacca; chi vuole fare una ricercad’elettrologia non solo deve studiare le memorie intornoall'argomento della ricerca, ma deve conoscere bene tut-ta l'elettrologia, anzi tutta la fisica e oltre.

Nella sua forma etica, l’idolatria della retta è forse piùdegna d’esser criticata, anche perchè in questa forma èassai più popolare. In questa forma, consiste nel ritenereche lo scopo della vita sia quello di realizzare un pro-gramma, di camminare, senza fermarsi, per una via di-ritta. È la teoria della vita di quegli studenti che si pro-pongono di laurearsi entro un dato tempo, e che, perconseguire quest’ideale trascurano ogni dovere; è la teo-ria della vita di quei professori che, pur di pubblicaretanti articoli all'anno e tanti libri ogni decennio, non fan-no lezione; ed è purtroppo, spesso, la teoria della vita di

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Come si vede io non intendo sostenere, futuristica-mente, che chi vuole trattare un argomento deve trascu-rare tutto quello che s'è pensato intorno all’argomento.Tutt’altro. Io so benissimo che chi tratta un argomentotrascinandone la letteratura, s’espone al pericolo di sfon-dare usci aperti e in ogni caso si priva di mezzi che glipotrebbero facilitare immensamente la ricerca: idee giu-ste e confutazioni di errori nei quali potrebbe incorrere.Io sostengo invece che chi studia un argomento non solodeve conoscere la letteratura di quell'argomento, ma an-che la letteratura presupposta dall’argomento. Chi vuolestudiare la filosofia del Croce non solo deve studiare ilibri del Croce e quelli intorno al Croce, ma gli scritti aiquali il Croce si riattacca; chi vuole fare una ricercad’elettrologia non solo deve studiare le memorie intornoall'argomento della ricerca, ma deve conoscere bene tut-ta l'elettrologia, anzi tutta la fisica e oltre.

Nella sua forma etica, l’idolatria della retta è forse piùdegna d’esser criticata, anche perchè in questa forma èassai più popolare. In questa forma, consiste nel ritenereche lo scopo della vita sia quello di realizzare un pro-gramma, di camminare, senza fermarsi, per una via di-ritta. È la teoria della vita di quegli studenti che si pro-pongono di laurearsi entro un dato tempo, e che, perconseguire quest’ideale trascurano ogni dovere; è la teo-ria della vita di quei professori che, pur di pubblicaretanti articoli all'anno e tanti libri ogni decennio, non fan-no lezione; ed è purtroppo, spesso, la teoria della vita di

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Page 98: E-book campione Liber Liber...suo sogno di gloria, faceva alle vergini danzanti al sol di maggio suscita l’immagine nostalgica d’una serena alba di primavera siciliana. In certi

molti uomini che son considerati eroi, per dirla col Car-lyle, cioè grandi.

Questa concezione della vita sorge qualche voltacome superamento del dilettantismo. L’infinito – si dice– non si trova disperdendosi in estensione, perseguendomille ideali, ma scendendo in profondità, dandosi conassoluta dedizione a un solo ideale. E ci sono individuiche in questo modo superano veramente il dilettantismoe conseguono la grandezza. Ma ce ne sono altri che per-seguono con animo filisteo una meta filistea e allora re-stano assai al disotto, eticamente, di certi dilettanti: diquei dilettanti la cui volubilità è l'effetto della fede in unideale al quale si dedicherebbero con eroismo ma chesfugge loro eternamente, – uomini tragici il cui destino èdi cercare invano il proprio destino.

Ora gl'idolatri della retta non solo esaltano i filisteirettilinei come eroi, anche se immorali e denigrano queidilettanti di cui ho parlato adesso e che, evidentemente,sono dilettanti soltanto di nome, ma rifiutano di ricono-scere come eroi tutti quegli uomini che hanno sacrifica-to la linearità al dovere. Tra il professore che manda as-siduamente alle riviste i suoi articoli e stampa libri rego-larmente, non facendo lezione e quello che dà tutta lasua attività, silenziosamente, alla scuola, gl’idolatri del-la retta scelgono il primo e lo chiamano eroe, chiaman-do imbecille il secondo.

Contro questa enorme ingiustizia bisogna protestare;e non sarà male, visto che l’idolatria della retta è moltodiffusa, eccedere in senso contrario, cioè diffidare dei

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molti uomini che son considerati eroi, per dirla col Car-lyle, cioè grandi.

Questa concezione della vita sorge qualche voltacome superamento del dilettantismo. L’infinito – si dice– non si trova disperdendosi in estensione, perseguendomille ideali, ma scendendo in profondità, dandosi conassoluta dedizione a un solo ideale. E ci sono individuiche in questo modo superano veramente il dilettantismoe conseguono la grandezza. Ma ce ne sono altri che per-seguono con animo filisteo una meta filistea e allora re-stano assai al disotto, eticamente, di certi dilettanti: diquei dilettanti la cui volubilità è l'effetto della fede in unideale al quale si dedicherebbero con eroismo ma chesfugge loro eternamente, – uomini tragici il cui destino èdi cercare invano il proprio destino.

Ora gl'idolatri della retta non solo esaltano i filisteirettilinei come eroi, anche se immorali e denigrano queidilettanti di cui ho parlato adesso e che, evidentemente,sono dilettanti soltanto di nome, ma rifiutano di ricono-scere come eroi tutti quegli uomini che hanno sacrifica-to la linearità al dovere. Tra il professore che manda as-siduamente alle riviste i suoi articoli e stampa libri rego-larmente, non facendo lezione e quello che dà tutta lasua attività, silenziosamente, alla scuola, gl’idolatri del-la retta scelgono il primo e lo chiamano eroe, chiaman-do imbecille il secondo.

Contro questa enorme ingiustizia bisogna protestare;e non sarà male, visto che l’idolatria della retta è moltodiffusa, eccedere in senso contrario, cioè diffidare dei

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così detti eroi, magnificando quelli che saran ricono-sciuti come veri e propri eroi, ma giudicando con la piùspietata severità i cacciatori più o meno fortunati di glo-ria. E principalmente, insieme al culto degli eroi carly-liani, bisogna promuovere il culto degli eroi silenziosi,di questi uomini che vollero non avere storia perchèl’umanità che amavano fosse più degna.

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così detti eroi, magnificando quelli che saran ricono-sciuti come veri e propri eroi, ma giudicando con la piùspietata severità i cacciatori più o meno fortunati di glo-ria. E principalmente, insieme al culto degli eroi carly-liani, bisogna promuovere il culto degli eroi silenziosi,di questi uomini che vollero non avere storia perchèl’umanità che amavano fosse più degna.

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REPUBBLICA E MONARCHIA

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REPUBBLICA E MONARCHIA

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Nel suo articolo «La monarchia è una forma protezio-nista?», il mio amico Giunio Martinelli sostiene che ilcapo dello Stato monarchico può opporsi all'azione delgruppo dominante e fare l’interesse generale; mentre ilcapo dello Stato repubblicano è costretto a fare l’interes-se del gruppo dominante che coincide col proprio, op-primendo la minoranza.

Per dimostrare questa sua veduta, Martinelli ricorre apremesse e ad argomenti ch’io credo del tutto inaccetta-bili. Nessuno potrà negare – dice – che l’uomo abbiastretto il contratto sociale per ragioni utilitarie e che per-ciò egli aspirerà sempre a condizioni di privilegio e agi-rà in maniera assolutamente egoistica.

Martinelli non dà di questa teoria materialistica dellavita politica nè una dimostrazione nè una giustificazio-ne. Se vi si fosse provato, si sarebbe accorto che la vitapolitica è fatta non solo d’interessi ma anche d’ideali; eche, in ogni caso, bisogna far di tutto perchè gl’interessie gl’ideali non siano in contrasto ma in piena armonia:bisogna anzi fare in modo che i così detti interessi sianodegli ideali sicchè la vita politica sia un gioco d’idealidiversi.

Meno solidi della premessa sono gli argomenti con iquali Martinelli crede di dimostrare la sua veduta. Se-condo lui, il capo della monarchia può fare l'interesse

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Nel suo articolo «La monarchia è una forma protezio-nista?», il mio amico Giunio Martinelli sostiene che ilcapo dello Stato monarchico può opporsi all'azione delgruppo dominante e fare l’interesse generale; mentre ilcapo dello Stato repubblicano è costretto a fare l’interes-se del gruppo dominante che coincide col proprio, op-primendo la minoranza.

Per dimostrare questa sua veduta, Martinelli ricorre apremesse e ad argomenti ch’io credo del tutto inaccetta-bili. Nessuno potrà negare – dice – che l’uomo abbiastretto il contratto sociale per ragioni utilitarie e che per-ciò egli aspirerà sempre a condizioni di privilegio e agi-rà in maniera assolutamente egoistica.

Martinelli non dà di questa teoria materialistica dellavita politica nè una dimostrazione nè una giustificazio-ne. Se vi si fosse provato, si sarebbe accorto che la vitapolitica è fatta non solo d’interessi ma anche d’ideali; eche, in ogni caso, bisogna far di tutto perchè gl’interessie gl’ideali non siano in contrasto ma in piena armonia:bisogna anzi fare in modo che i così detti interessi sianodegli ideali sicchè la vita politica sia un gioco d’idealidiversi.

Meno solidi della premessa sono gli argomenti con iquali Martinelli crede di dimostrare la sua veduta. Se-condo lui, il capo della monarchia può fare l'interesse

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generale perchè, non è espressione di nessun gruppo,cioè perchè non deve a nessuno in particolare il suomandato, mentre il capo della repubblica deve agireegoisticamente perchè è l’espressione di un gruppo vin-citore, cioè perchè deve il suo mandato a un gruppo delquale fa parte.

Il debole di questo ragionamento sta principalmentein quelle identità che Martinelli pone con i suoi sveltis-simi cioè, dimenticando il principio a cui s'inspira l’arti-colo 41 del nostro Statuto (I deputati rappresentano laNazione in generale e non le sole Provincie in cui furo-no eletti. Nessun mandato imperativo può darsi loro da-gli elettori). Ora quello che lo Statuto dice per i deputatideve a maggior ragione applicarsi al capo dello Stato. IlPresidente d’una repubblica deve rappresentare la re-pubblica e non il repubblicanismo o il liberalismo o ilclericalismo o il socialismo; e se non rappresenta tuttaquanta la nazione al difuori d’ogni nepotismo è un diso-nesto e quindi dev’esser combattuto. Secondo Martinel-li, il nepotismo verrebbe ad essere un fenomeno piena-mente legittimo! Ecco che il materialismo della premes-sa inquina anche gli argomenti. I quali restano distruttiquindi della semplice negazione del materialismo politi-co oltre che da quel principio di diritto moderno cheMartinelli, non si sa perchè, ha voluto trascurare.

Martinelli potrà obiettarmi che, in pratica, ogni elettosi sentirà spinto a favorire i propri elettori; ma questo si-gnifica solo che, in pratica, l’uomo è nepotista e perciònoi dobbiamo fare una campagna assidua contro il nepo-

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generale perchè, non è espressione di nessun gruppo,cioè perchè non deve a nessuno in particolare il suomandato, mentre il capo della repubblica deve agireegoisticamente perchè è l’espressione di un gruppo vin-citore, cioè perchè deve il suo mandato a un gruppo delquale fa parte.

Il debole di questo ragionamento sta principalmentein quelle identità che Martinelli pone con i suoi sveltis-simi cioè, dimenticando il principio a cui s'inspira l’arti-colo 41 del nostro Statuto (I deputati rappresentano laNazione in generale e non le sole Provincie in cui furo-no eletti. Nessun mandato imperativo può darsi loro da-gli elettori). Ora quello che lo Statuto dice per i deputatideve a maggior ragione applicarsi al capo dello Stato. IlPresidente d’una repubblica deve rappresentare la re-pubblica e non il repubblicanismo o il liberalismo o ilclericalismo o il socialismo; e se non rappresenta tuttaquanta la nazione al difuori d’ogni nepotismo è un diso-nesto e quindi dev’esser combattuto. Secondo Martinel-li, il nepotismo verrebbe ad essere un fenomeno piena-mente legittimo! Ecco che il materialismo della premes-sa inquina anche gli argomenti. I quali restano distruttiquindi della semplice negazione del materialismo politi-co oltre che da quel principio di diritto moderno cheMartinelli, non si sa perchè, ha voluto trascurare.

Martinelli potrà obiettarmi che, in pratica, ogni elettosi sentirà spinto a favorire i propri elettori; ma questo si-gnifica solo che, in pratica, l’uomo è nepotista e perciònoi dobbiamo fare una campagna assidua contro il nepo-

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tismo e a favore del patriottismo e della giustizia – e ba-sta. E il patriottismo e la giustizia non stanno certo nellalegge salica o in altre leggi simili. Ammettendo conMartinelli che l'uomo sia essenzialmente nepotista, sideve ammettere che anche il monarca sarà nepotista ap-punto perchè avrà anche lui delle idee politiche che cer-cherà di far trionfare. E poi, ammettendo che per eserci-tare con giustizia il potere bisogna averlo per via eredi-taria e non per via elettiva, bisognerebbe logicamenteabolire in modo assoluto l'elettorato; cioè anche i depu-tati, e anche i ministri, dovrebbero avere il potere pereredità, e bisognerebbe anche sostituire l’eredità all’ele-zione nel campo amministrativo e altrove.

Martinelli, vuol proprio abolire il voto per l’eredità?Ecco. Io non ho grandi simpatie per le maggioranze,anzi sono ostile al criterio della maggioranza numericaperchè sono convinto che gli uomini, anche in politica,non abbiano tutti lo stesso valore: credo che se si poneuguale a uno l’uomo perfetto, ci sono uomini che valgo-no assai meno d’un millesimo, e che perciò è ingiustoche tutti siano considerati come uguali a uno. Tuttavianon mi pare possibile che si possa assegnare a ogniuomo un numero che sia indice della sua capacità politi-ca. Non trovo un criterio col quale procedere aquest’assegnazione. La capacità politica non è una fun-zione nè del censo nè di titoli di studio. Non è nemmenopossibile fare una distinzione tra uomini e donne in basealla capacità politica, perchè ci sono donne più capacipoliticamente di certi uomini e perciò – diciamolo di

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tismo e a favore del patriottismo e della giustizia – e ba-sta. E il patriottismo e la giustizia non stanno certo nellalegge salica o in altre leggi simili. Ammettendo conMartinelli che l'uomo sia essenzialmente nepotista, sideve ammettere che anche il monarca sarà nepotista ap-punto perchè avrà anche lui delle idee politiche che cer-cherà di far trionfare. E poi, ammettendo che per eserci-tare con giustizia il potere bisogna averlo per via eredi-taria e non per via elettiva, bisognerebbe logicamenteabolire in modo assoluto l'elettorato; cioè anche i depu-tati, e anche i ministri, dovrebbero avere il potere pereredità, e bisognerebbe anche sostituire l’eredità all’ele-zione nel campo amministrativo e altrove.

Martinelli, vuol proprio abolire il voto per l’eredità?Ecco. Io non ho grandi simpatie per le maggioranze,anzi sono ostile al criterio della maggioranza numericaperchè sono convinto che gli uomini, anche in politica,non abbiano tutti lo stesso valore: credo che se si poneuguale a uno l’uomo perfetto, ci sono uomini che valgo-no assai meno d’un millesimo, e che perciò è ingiustoche tutti siano considerati come uguali a uno. Tuttavianon mi pare possibile che si possa assegnare a ogniuomo un numero che sia indice della sua capacità politi-ca. Non trovo un criterio col quale procedere aquest’assegnazione. La capacità politica non è una fun-zione nè del censo nè di titoli di studio. Non è nemmenopossibile fare una distinzione tra uomini e donne in basealla capacità politica, perchè ci sono donne più capacipoliticamente di certi uomini e perciò – diciamolo di

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passaggio – è assurdo che le donne siano escluse dalvoto. Inoltre la capacità politica, come la genialità (anziassai meglio della genialità), non è una qualità perma-nente: in certe circostanze si ha in grado massimo, incerte altre in grado minimo; in alcuni aumenta, in altridiminuisce. Tutto questo conduce a sostenere che la dif-fidenza pienamente giustificata verso il criterio dellamaggioranza numerica si deve tradurre, piuttosto che inuno sforzo per l’abolizione di questo criterio, in provve-dimenti opportuni perchè esso sia meno nocivo ch'è pos-sibile. A quest’idea m’ispiravo io stesso quando suggeri-vo nell'Arduo alcune riforme alla nostra legge elettoraletra le quali l’abolizione dello scrutinio uninominale.

In fondo alla simpatia di Martinelli per la via eredita-ria ritroviamo quel materialismo che abbiamo visto in-quinare le sue argomentazioni. Perchè il criteriodell’eredità sostenuto da Martinelli non ha niente chevedere con quello medievale. Quello medievale era unaffidarsi alla volontà di Dio: il medievale credeva che ilmonarca fosse eletto da Dio; quello di Martinelli è inve-ce non affidarsi al caso. Ora a me non pare, tra l’altro,dignitoso per un uomo preferire il voto del caso a quel-lo, imperfetto quanto si vuole, della maggioranza. Mipare invece che occorra sforzarsi perchè la maggioranzanumerica diventi una maggioranza ideale. E per farequesto è necessario sopratutto liberarsi dall’ultra carlyli-smo: bisogna concepire l’eroismo come una virtù chetutti possediamo e che si deve soltanto sviluppare. Glieroi non sono esseri soprannaturali, ma uomini della no-

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passaggio – è assurdo che le donne siano escluse dalvoto. Inoltre la capacità politica, come la genialità (anziassai meglio della genialità), non è una qualità perma-nente: in certe circostanze si ha in grado massimo, incerte altre in grado minimo; in alcuni aumenta, in altridiminuisce. Tutto questo conduce a sostenere che la dif-fidenza pienamente giustificata verso il criterio dellamaggioranza numerica si deve tradurre, piuttosto che inuno sforzo per l’abolizione di questo criterio, in provve-dimenti opportuni perchè esso sia meno nocivo ch'è pos-sibile. A quest’idea m’ispiravo io stesso quando suggeri-vo nell'Arduo alcune riforme alla nostra legge elettoraletra le quali l’abolizione dello scrutinio uninominale.

In fondo alla simpatia di Martinelli per la via eredita-ria ritroviamo quel materialismo che abbiamo visto in-quinare le sue argomentazioni. Perchè il criteriodell’eredità sostenuto da Martinelli non ha niente chevedere con quello medievale. Quello medievale era unaffidarsi alla volontà di Dio: il medievale credeva che ilmonarca fosse eletto da Dio; quello di Martinelli è inve-ce non affidarsi al caso. Ora a me non pare, tra l’altro,dignitoso per un uomo preferire il voto del caso a quel-lo, imperfetto quanto si vuole, della maggioranza. Mipare invece che occorra sforzarsi perchè la maggioranzanumerica diventi una maggioranza ideale. E per farequesto è necessario sopratutto liberarsi dall’ultra carlyli-smo: bisogna concepire l’eroismo come una virtù chetutti possediamo e che si deve soltanto sviluppare. Glieroi non sono esseri soprannaturali, ma uomini della no-

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stra stessa stoffa. L’uomo politico perfetto non è l'antite-si misteriosa dell’uomo che vende, per un birra, il pro-prio voto, ma una sua fase superiore.

Tutto questo discorso non vuole essere in nessunmodo, come potrebbe credere chi non conosca le mieidee in materia di politica e certi miei metodi di polemi-ca, un’apologia della repubblica e una denigrazione del-la monarchia. Io ho inteso soltanto criticare Giunio Mar-tinelli e questa mia critica può essere accettata da uomi-ni d’ogni partito perchè è fatta unicamente alla luce del-la ragione e quindi indipendentemente da ogni pregiudi-ziale di partito. Anzi, quanto a me, dal momento ch’ioaccetto la teoria crociana dei partiti, – generi politici checorrispondono ai generi letterari della rettorica e chehanno valore soltanto come puri strumenti pratici, comei mezzi più adatti per svolgere l’azione politica che sicrede più giusta, – ritengo che in Italia la questione isti-tuzionale sia oggi di pochissima importanza e che con larepubblica l’Italia continuerebbe ad andare press'a pocomale come con la monarchia. Noi non abbiamo coscien-za repubblicana come non abbiamo coscienza monarchi-ca appunto perchè non abbiamo coscienza politica. Danoi la politica non si capisce se non come parassitismo enepotismo. I grandi problemi della vita nazionale ci la-sciano indifferenti. Lo stesso principio unitario non è af-fatto vivo, specialmente nel settentrione. Ma per liberar-ci da questi mali bisogna combattere ogni materialismo,da quello dei socialisti e dei nazionalisti a quello di Giu-nio Martinelli.

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stra stessa stoffa. L’uomo politico perfetto non è l'antite-si misteriosa dell’uomo che vende, per un birra, il pro-prio voto, ma una sua fase superiore.

Tutto questo discorso non vuole essere in nessunmodo, come potrebbe credere chi non conosca le mieidee in materia di politica e certi miei metodi di polemi-ca, un’apologia della repubblica e una denigrazione del-la monarchia. Io ho inteso soltanto criticare Giunio Mar-tinelli e questa mia critica può essere accettata da uomi-ni d’ogni partito perchè è fatta unicamente alla luce del-la ragione e quindi indipendentemente da ogni pregiudi-ziale di partito. Anzi, quanto a me, dal momento ch’ioaccetto la teoria crociana dei partiti, – generi politici checorrispondono ai generi letterari della rettorica e chehanno valore soltanto come puri strumenti pratici, comei mezzi più adatti per svolgere l’azione politica che sicrede più giusta, – ritengo che in Italia la questione isti-tuzionale sia oggi di pochissima importanza e che con larepubblica l’Italia continuerebbe ad andare press'a pocomale come con la monarchia. Noi non abbiamo coscien-za repubblicana come non abbiamo coscienza monarchi-ca appunto perchè non abbiamo coscienza politica. Danoi la politica non si capisce se non come parassitismo enepotismo. I grandi problemi della vita nazionale ci la-sciano indifferenti. Lo stesso principio unitario non è af-fatto vivo, specialmente nel settentrione. Ma per liberar-ci da questi mali bisogna combattere ogni materialismo,da quello dei socialisti e dei nazionalisti a quello di Giu-nio Martinelli.

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SHELLEY POETA PLATONICO

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SHELLEY POETA PLATONICO

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Secondo Emilio Cecchi, Shelley è grande perchè èuno dei maggiori profeti della poesia panica, di quellapoesia che ha avuto la sua espressione più compiuta nel-le liriche naturalistiche del Carducci (Canto di marzo,Mattino alpestre,...) e maggiormente nelle Terze Laudidi Gabriele D’ Annunzio; e anche – possiamo aggiunge-re noi – nelle Poesie religiose e in molti luoghi dei poe-mi di Mario Rapisardi.

Quest’interpretazione di Shelley è molto discutibile,tanto che il Cecchi stesso dichiara che quella pretesapoesia panica si manifesta in movimenti la cui sostanzaquasi ci sfugge, essendo un perenne desiderio e non maiun possesso, anzi, più che un desiderio cosciente, unatendenza della quale lo Shelley stesso non si rese maiconto, giacchè (sempre secondo il Cecchi) egli morì pri-ma di essersi messo a fronte del proprio segreto.

A me veramente non pare che i poeti abbiano dei se-greti e credo che, per poter valutarli, più che l'indagineassai problematica su un preteso loro segreto, giovi lostudio delle opere che essi ci han lasciato; e nel casopresente, non vedo che cosa si potrebbe concludere an-che ammettendo che il fondo dell’anima shelleyana fos-se il nuovo ellenismo. Non bisogna confondere l’auto-biografia con la liricità. I poeti son poeti non in quanto

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Secondo Emilio Cecchi, Shelley è grande perchè èuno dei maggiori profeti della poesia panica, di quellapoesia che ha avuto la sua espressione più compiuta nel-le liriche naturalistiche del Carducci (Canto di marzo,Mattino alpestre,...) e maggiormente nelle Terze Laudidi Gabriele D’ Annunzio; e anche – possiamo aggiunge-re noi – nelle Poesie religiose e in molti luoghi dei poe-mi di Mario Rapisardi.

Quest’interpretazione di Shelley è molto discutibile,tanto che il Cecchi stesso dichiara che quella pretesapoesia panica si manifesta in movimenti la cui sostanzaquasi ci sfugge, essendo un perenne desiderio e non maiun possesso, anzi, più che un desiderio cosciente, unatendenza della quale lo Shelley stesso non si rese maiconto, giacchè (sempre secondo il Cecchi) egli morì pri-ma di essersi messo a fronte del proprio segreto.

A me veramente non pare che i poeti abbiano dei se-greti e credo che, per poter valutarli, più che l'indagineassai problematica su un preteso loro segreto, giovi lostudio delle opere che essi ci han lasciato; e nel casopresente, non vedo che cosa si potrebbe concludere an-che ammettendo che il fondo dell’anima shelleyana fos-se il nuovo ellenismo. Non bisogna confondere l’auto-biografia con la liricità. I poeti son poeti non in quanto

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si ritraggono genericamente o aneddoticamente nelleloro opere, ma in quanto creano delle sintesi fantastiche.

Tuttavia crediamo che il contenuto della poesia shel-leyana sia stato colto con più esattezza da Giovanni Boi-ne. Il Boine, celebrando il concetto universale concretodi Hegel – secondo il quale il mondo si gonfia di tutta larealtà esiliata al di là degli antichi confini suoi – esce inquesta invettiva ch’io non intendo però giustificare:Dico che Shelley è un ebbro malato perchè canta che«terra ed oceano sembrano dormire l'una nelle bracciadell’altro e sognare di onde, di fiori, di nuvole, di bo-schi, di rupi e di tutto ciò che noi leggiamo nei loro sor-risi e che chiamiamo realtà». Dico che è un ebbro per-chè vi è in lui attraverso un perpetuo sognare una colpe-volmente insoddisfatta aspirazione di irreale realtà; per-chè ogni cosa, ogni musicale sua cosa è, secondo la pa-rola sua, «prenatale sogno». Ma io sono nato e non so-gno: io vivo, io sono reale, io ho in me tutto l'universoreale.

Come si vede, il Boine accusa lo Shelley di non esse-re un poeta panico e di essere invece l’opposto: un poetaplatonico. Il rimprovero che per questo crede di doverglifare non è certo giustificato. I poeti non hanno affatto ildovere di diventare hegeliani. Essi devono invece crearedelle immagini artistiche prendendo l'ispirazione dovemeglio credono. Il contenuto, preso astrattamente, nonsignifica nulla: dall’artista dobbiamo volere che un con-tenuto qualsiasi sia diventato arte. Pare impossibile, maanche gli spiriti più colti non si sono ancora decisi ad

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si ritraggono genericamente o aneddoticamente nelleloro opere, ma in quanto creano delle sintesi fantastiche.

Tuttavia crediamo che il contenuto della poesia shel-leyana sia stato colto con più esattezza da Giovanni Boi-ne. Il Boine, celebrando il concetto universale concretodi Hegel – secondo il quale il mondo si gonfia di tutta larealtà esiliata al di là degli antichi confini suoi – esce inquesta invettiva ch’io non intendo però giustificare:Dico che Shelley è un ebbro malato perchè canta che«terra ed oceano sembrano dormire l'una nelle bracciadell’altro e sognare di onde, di fiori, di nuvole, di bo-schi, di rupi e di tutto ciò che noi leggiamo nei loro sor-risi e che chiamiamo realtà». Dico che è un ebbro per-chè vi è in lui attraverso un perpetuo sognare una colpe-volmente insoddisfatta aspirazione di irreale realtà; per-chè ogni cosa, ogni musicale sua cosa è, secondo la pa-rola sua, «prenatale sogno». Ma io sono nato e non so-gno: io vivo, io sono reale, io ho in me tutto l'universoreale.

Come si vede, il Boine accusa lo Shelley di non esse-re un poeta panico e di essere invece l’opposto: un poetaplatonico. Il rimprovero che per questo crede di doverglifare non è certo giustificato. I poeti non hanno affatto ildovere di diventare hegeliani. Essi devono invece crearedelle immagini artistiche prendendo l'ispirazione dovemeglio credono. Il contenuto, preso astrattamente, nonsignifica nulla: dall’artista dobbiamo volere che un con-tenuto qualsiasi sia diventato arte. Pare impossibile, maanche gli spiriti più colti non si sono ancora decisi ad

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abbandonare del tutto l'estetica del contenuto, nonostan-te che essa sia stata confutata dai teorici più opposti, iquali convengono oramai che l'arte non è nè un passa-tempo o un mezzo pedagogico come credevano gli edo-nisti e i moralisti, nè uno strumento scientifico comecredeva Cecco d’Ascoli, ma è arte pura, arte senz’altro.In pratica l'estetica del contenuto rimane più viva chemai. Anche Ardengo Soffici, che si professa ultracubi-sta, mentre dice di sostenere il principio della pitturapura, crede poi, in virtù di questo principio, di dover se-parare recisamente la pittura dalla poesia e accusa la pit-tura tradizionale di letterarietà solo perchè le sue imma-gini sono verosimili mentre egli vorrebbe che le imma-gini della pittura mancassero di verosimiglianza, vale adire che avessero un contenuto speciale.

A ogni modo, tornando allo Shelley, è indiscutibileche il contenuto delle sue poesie è non panico ma plato-nico, come abbiamo detto. Lo Shelley ha vivissimo ilsenso della trascendenza, dell’idealità che non passa,della caducità dalle cose; e nel Giuliano e Maddalo ac-cenna con malinconia a questa terra dov'è così poco ditrascendente; e nella Maga dell'Atlante parla di pensierifelici di speranza troppo dolci per durare; e una profon-da mestizia e un acuto desiderio di un mondo più bellopervade l'Alastor e l'Epipsychidion; sicchè con ragioneil Bardi ritiene che l’essenza della poesia shelleyana siadefinita dal distico del Carducci: L’ora presente è invano: non fa che percuotere e fugge. Sol nel passato è ilbello, sol nella morte è il vero. (Senonchè, invece che

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abbandonare del tutto l'estetica del contenuto, nonostan-te che essa sia stata confutata dai teorici più opposti, iquali convengono oramai che l'arte non è nè un passa-tempo o un mezzo pedagogico come credevano gli edo-nisti e i moralisti, nè uno strumento scientifico comecredeva Cecco d’Ascoli, ma è arte pura, arte senz’altro.In pratica l'estetica del contenuto rimane più viva chemai. Anche Ardengo Soffici, che si professa ultracubi-sta, mentre dice di sostenere il principio della pitturapura, crede poi, in virtù di questo principio, di dover se-parare recisamente la pittura dalla poesia e accusa la pit-tura tradizionale di letterarietà solo perchè le sue imma-gini sono verosimili mentre egli vorrebbe che le imma-gini della pittura mancassero di verosimiglianza, vale adire che avessero un contenuto speciale.

A ogni modo, tornando allo Shelley, è indiscutibileche il contenuto delle sue poesie è non panico ma plato-nico, come abbiamo detto. Lo Shelley ha vivissimo ilsenso della trascendenza, dell’idealità che non passa,della caducità dalle cose; e nel Giuliano e Maddalo ac-cenna con malinconia a questa terra dov'è così poco ditrascendente; e nella Maga dell'Atlante parla di pensierifelici di speranza troppo dolci per durare; e una profon-da mestizia e un acuto desiderio di un mondo più bellopervade l'Alastor e l'Epipsychidion; sicchè con ragioneil Bardi ritiene che l’essenza della poesia shelleyana siadefinita dal distico del Carducci: L’ora presente è invano: non fa che percuotere e fugge. Sol nel passato è ilbello, sol nella morte è il vero. (Senonchè, invece che

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nel passato, io credo che dovrebbe dirsi tanto nel passa-to che nel futuro, cioè nel non presente). Ma il platoni-smo dello Shelley è vigorosamente affermato nel piùdolce dei suoi canti, nella Sensitiva che noi adesso ana-lizzeremo, valendoci della traduzione del Sanfelice, permettere in luce non che esso esiste (essendo lo Shelleyun poeta, per quello che abbiamo detto, questo importapochissimo), ma che si è trasformato in una creazioneeminente lirica e originale.

La Sensitiva si apre con la descrizione di un giardino,ma non con la descrizione che potrebbe fare un botanicoe tanto meno con un inventario o con una fotografia: ifiori vengono colti nella loro vita o meglio in un loro rit-mo ideale che si può significare con le parole dellaChiesa di Polenta del Carducci: Una di flauti lenta me-lodia – passa invisibile tra la terra e il cielo: – spiriti for-se che furon, che sono – e che saranno? – Un oblio lenede la faticosa – vita, un pensoso sospirar quiete – unasoave volontà di pianto – l’anima invade. – La Sensitivacresce nel giardino e i giovani venti la nutriscono di ar-gentea rugiada ed essa apre alla luce le sue foglie a ven-taglio e le chiude sotto i baci della notte. E la primaverasi leva come lo spirito d’amore onnipresente e ognipianta si desta dai sogni del suo riposo invernale. I fiorisono animati. Fremono e palpitano di felicità e mescola-no il loro alito al fresco odore delle zolle erbose come lavoce allo strumento; fissano gli occhi in fondo al ruscel-lo fino a che muoiono della lor cara bellezza: e il giacin-to vibra dalle sue campanule un dolce mormorio di mu-

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nel passato, io credo che dovrebbe dirsi tanto nel passa-to che nel futuro, cioè nel non presente). Ma il platoni-smo dello Shelley è vigorosamente affermato nel piùdolce dei suoi canti, nella Sensitiva che noi adesso ana-lizzeremo, valendoci della traduzione del Sanfelice, permettere in luce non che esso esiste (essendo lo Shelleyun poeta, per quello che abbiamo detto, questo importapochissimo), ma che si è trasformato in una creazioneeminente lirica e originale.

La Sensitiva si apre con la descrizione di un giardino,ma non con la descrizione che potrebbe fare un botanicoe tanto meno con un inventario o con una fotografia: ifiori vengono colti nella loro vita o meglio in un loro rit-mo ideale che si può significare con le parole dellaChiesa di Polenta del Carducci: Una di flauti lenta me-lodia – passa invisibile tra la terra e il cielo: – spiriti for-se che furon, che sono – e che saranno? – Un oblio lenede la faticosa – vita, un pensoso sospirar quiete – unasoave volontà di pianto – l’anima invade. – La Sensitivacresce nel giardino e i giovani venti la nutriscono di ar-gentea rugiada ed essa apre alla luce le sue foglie a ven-taglio e le chiude sotto i baci della notte. E la primaverasi leva come lo spirito d’amore onnipresente e ognipianta si desta dai sogni del suo riposo invernale. I fiorisono animati. Fremono e palpitano di felicità e mescola-no il loro alito al fresco odore delle zolle erbose come lavoce allo strumento; fissano gli occhi in fondo al ruscel-lo fino a che muoiono della lor cara bellezza: e il giacin-to vibra dalle sue campanule un dolce mormorio di mu-

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sica così delicata, dolce e intensa che vien percepitacome un odore; e alcuni fiorellini, languendo col langui-re stesso del giorno, cadono in padiglioni di vario colorea riparare la lucciola dalla rugiada della sera. Il ruscello,ornato dalla luce che viene, dorata e verde, di tra il cielodei rami fioriti, e lieto di ninfee e di bottoni acquatici,scivola e danza con un moto sonoro e luminoso. I fiori, iquali sono paragonati agli occhi del fanciullo che si de-sta e sorride alla madre, splendono al cielo e colgonogioia ognuno compenetrato dalla luce e dalla fragranzadel vicino, come amanti che la giovinezza e l’amorefanno intimi l'uno all'altro. In quest’immacolato paradi-so dove le ore passano come le nuvole sopra un cielo te-nero e senza vento, la Sensitiva che non è bella e nonpuò dare agli altri la gioia dell’amore che la pervade tut-ta è il centro affettivo di tutti i fiori e di tutto il mondocircostante che lo Shelley evoca con le immagini piùmusicali. E quando – lasciamo senz’altro la parola alpoeta senza immiserirla con i nostri sunti – quandoscendea la sera dal cielo e la terra era tutto riposo, el'aria era tutta amore, e il «diletto» benchè meno lumi-noso, era assai più profondo, e il velo del giorno cadevadalla regione del sonno, e gli animali e gli uccelli egl’insetti erano immersi in un oceano di sogni senza unsuono; le cui onde non lasciano tracce benchè impronti-no sempre la lieve sabbia che ne copre il fondo, la co-scienza (solo in alto il soave usignuolo cantava semprepiù soavemente quanto più declinava il giorno e ondatedel suo canto elisio si mescevano al sogno della Sensiti-

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sica così delicata, dolce e intensa che vien percepitacome un odore; e alcuni fiorellini, languendo col langui-re stesso del giorno, cadono in padiglioni di vario colorea riparare la lucciola dalla rugiada della sera. Il ruscello,ornato dalla luce che viene, dorata e verde, di tra il cielodei rami fioriti, e lieto di ninfee e di bottoni acquatici,scivola e danza con un moto sonoro e luminoso. I fiori, iquali sono paragonati agli occhi del fanciullo che si de-sta e sorride alla madre, splendono al cielo e colgonogioia ognuno compenetrato dalla luce e dalla fragranzadel vicino, come amanti che la giovinezza e l’amorefanno intimi l'uno all'altro. In quest’immacolato paradi-so dove le ore passano come le nuvole sopra un cielo te-nero e senza vento, la Sensitiva che non è bella e nonpuò dare agli altri la gioia dell’amore che la pervade tut-ta è il centro affettivo di tutti i fiori e di tutto il mondocircostante che lo Shelley evoca con le immagini piùmusicali. E quando – lasciamo senz’altro la parola alpoeta senza immiserirla con i nostri sunti – quandoscendea la sera dal cielo e la terra era tutto riposo, el'aria era tutta amore, e il «diletto» benchè meno lumi-noso, era assai più profondo, e il velo del giorno cadevadalla regione del sonno, e gli animali e gli uccelli egl’insetti erano immersi in un oceano di sogni senza unsuono; le cui onde non lasciano tracce benchè impronti-no sempre la lieve sabbia che ne copre il fondo, la co-scienza (solo in alto il soave usignuolo cantava semprepiù soavemente quanto più declinava il giorno e ondatedel suo canto elisio si mescevano al sogno della Sensiti-

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va), la Sensitiva era la prima a raccogliersi nel seno delriposo; dolce fanciullo stanco del suo piacere, il più de-bole eppure il prediletto, cullato nell’abbraccio dellanotte.

Non siamo, come si vede, in un guardino reale, manell'anima melanconica e dolce del poeta ch’è naufraga-to nel mare di Viareggio. Un critico superficiale, parle-rebbe di antropomorfismo e di panpsichismo, ma quisiamo invece in presenza di una lirica. Nella quale siposson trovare facilmente, volendo cercare dei concetti,l’antropomorfismo e il panpsichismo e meglio ancora ilplatonismo perchè tutti gli affetti che vengono attribuitialle cose inanimate son considerati – lo vedremo frapoco – come appartenenti a un mondo più vivo e più du-raturo del nostro; senonchè non bisogna dimenticare checi troviamo di fronte non a idee ma a immagini: non c'ènemmeno l’ombra d’un ragionamento o d'una formula-zione qualsiasi in tutto quello che abbiamo ricordato,servendoci assai largamente – si noti bene – delle paroledello Shelley, che abbiamo, anzi, in parte, tradotto inlinguaggio concettuale.

Ma è nella seconda parte del poemetto che si rileva intutta la sua grandezza l’arte shelleyana. Il giardino non èabbandonato. Vi era un potere in questo luogo soave,un’Eva in questo Eden, una Grazia dominatrice, che eraai fiori, vegliassero essi o sognassero, come Iddio almondo delle stelle. Questa Dama, miracolo della suaspecie, senza nessun compagno di stirpe mortale, maforse sposa di qualche lucente spirito che per amor suo

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va), la Sensitiva era la prima a raccogliersi nel seno delriposo; dolce fanciullo stanco del suo piacere, il più de-bole eppure il prediletto, cullato nell’abbraccio dellanotte.

Non siamo, come si vede, in un guardino reale, manell'anima melanconica e dolce del poeta ch’è naufraga-to nel mare di Viareggio. Un critico superficiale, parle-rebbe di antropomorfismo e di panpsichismo, ma quisiamo invece in presenza di una lirica. Nella quale siposson trovare facilmente, volendo cercare dei concetti,l’antropomorfismo e il panpsichismo e meglio ancora ilplatonismo perchè tutti gli affetti che vengono attribuitialle cose inanimate son considerati – lo vedremo frapoco – come appartenenti a un mondo più vivo e più du-raturo del nostro; senonchè non bisogna dimenticare checi troviamo di fronte non a idee ma a immagini: non c'ènemmeno l’ombra d’un ragionamento o d'una formula-zione qualsiasi in tutto quello che abbiamo ricordato,servendoci assai largamente – si noti bene – delle paroledello Shelley, che abbiamo, anzi, in parte, tradotto inlinguaggio concettuale.

Ma è nella seconda parte del poemetto che si rileva intutta la sua grandezza l’arte shelleyana. Il giardino non èabbandonato. Vi era un potere in questo luogo soave,un’Eva in questo Eden, una Grazia dominatrice, che eraai fiori, vegliassero essi o sognassero, come Iddio almondo delle stelle. Questa Dama, miracolo della suaspecie, senza nessun compagno di stirpe mortale, maforse sposa di qualche lucente spirito che per amor suo

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lasciava il cielo quando le stelle vegliano, attendeva algiardino da mattina a sera nel sorriso e nella gioia di tut-ta la natura. Il suo passo aereo sembrava aver pietàdell’erba che premeva la cui orma leggera era subitocancellata dalla sua lunghissima capigliatura, sicchè ifiori gioivano al suono dei suoi piedi gentili. Ai fioriessa dedicava le sue cure più tenere fino a svuotare i ca-lici di quelli appesantiti dalla pioggia. Se fossero stati isuoi propri bimbi – dice il poeta – non avrebbe potutocurarli più teneramente. E mentre faceva i suoi angeliservitori delle api e delle farfalle, portava via gli animalinocivi in un canestro d'indiana tessitura pieno di erbe edi fiori silvestri, i più freschi che le sue mani gentili po-tessero cogliere per i poveri animali banditi, la cui inten-zione benchè facessero del male, era innocente. Questacreatura bellissima fu l'anima del giardino fino all’estatee, innanzi che la prima foglia ingiallisse, morì.

Intorno alla persona fisica di questa donna non sap-piamo quasi nulla. Essa non somiglia affatto a una diquelle donne esuberanti di vita che sono l’ideale del pa-nismo. Più che una donna, anzi, essa è uno spirito; emuore prima che sopraggiunga l’autunno perchè la suavita terrena è coordinata a quella delle foglie delle suepiante amatissime. Questa donna è il simbolo più puro epiù vivo dell’eterno femminino shelleyano, ma non è diquesto mondo. Ci rimane impressa nella memoria comeuna persona familiare e cara supremamente, ma non sisente la necessità d’immaginarla bruna o bionda, alta obassa. È un sorriso, una carezza; ma un sorriso e una ca-

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lasciava il cielo quando le stelle vegliano, attendeva algiardino da mattina a sera nel sorriso e nella gioia di tut-ta la natura. Il suo passo aereo sembrava aver pietàdell’erba che premeva la cui orma leggera era subitocancellata dalla sua lunghissima capigliatura, sicchè ifiori gioivano al suono dei suoi piedi gentili. Ai fioriessa dedicava le sue cure più tenere fino a svuotare i ca-lici di quelli appesantiti dalla pioggia. Se fossero stati isuoi propri bimbi – dice il poeta – non avrebbe potutocurarli più teneramente. E mentre faceva i suoi angeliservitori delle api e delle farfalle, portava via gli animalinocivi in un canestro d'indiana tessitura pieno di erbe edi fiori silvestri, i più freschi che le sue mani gentili po-tessero cogliere per i poveri animali banditi, la cui inten-zione benchè facessero del male, era innocente. Questacreatura bellissima fu l'anima del giardino fino all’estatee, innanzi che la prima foglia ingiallisse, morì.

Intorno alla persona fisica di questa donna non sap-piamo quasi nulla. Essa non somiglia affatto a una diquelle donne esuberanti di vita che sono l’ideale del pa-nismo. Più che una donna, anzi, essa è uno spirito; emuore prima che sopraggiunga l’autunno perchè la suavita terrena è coordinata a quella delle foglie delle suepiante amatissime. Questa donna è il simbolo più puro epiù vivo dell’eterno femminino shelleyano, ma non è diquesto mondo. Ci rimane impressa nella memoria comeuna persona familiare e cara supremamente, ma non sisente la necessità d’immaginarla bruna o bionda, alta obassa. È un sorriso, una carezza; ma un sorriso e una ca-

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rezza individuati, non qualcosa di astratto; il sorriso bennoto di una persona cara di cui non ricordiamo più la fi-sonomia e che quindi si confonde con la persona stessa;l’unica carezza indimenticata che un cieco ha avuto,quand’era bimbo, dalla mamma che subito dopo gli èmorta.

Il giardino, dopo la morte di quella fanciulla che erala sua anima, muore. Il poeta s’indugia qui in una de-scrizione ricchissima d’immaginazione e di sentimento,ma alquanto prolissa: è uno dei pochissimi appunti chesi possono fare al capolavoro shelleyano, anzi allo Shel-ley in generale. Le erbacce coprono tutto. La Sensitivapiange desolatamente e presto muore anch’essa.L’inverno distrugge tutto, ma, al ritorno della primavera,la Sensitiva rimane una rovina mentre le mandragore, ifunghi, le barbane e i logli risorgono.

La Dama muore prima dei suoi fiori; ma, morto illoro angelo tutelare, i fiori non risorgono più. C’è tra laDama e la Sensitiva, come tra il cuore di Alastor e laluna, un’intima corrispondenza; anzi tutto il poemetto èanimato da un sentimento di fraternità francescana, ilquale però è soltanto un elemento delle immagini, unritmo immanente in tutto il poemetto. La chiusa poi è ri-gidamente antitetica col nuovo ellenismo di cui parla ilCecchi. Prima di tutto è affermata l'esistenza di un mon-do trascendente (esistenza che – occorre dirlo – non hanessun valore metafisico, ma è un puro motivo d’arte,una creazione fantastica), poi è affermata quell'intuizio-ne altamente pessimistica della vita ch’è presente in tut-

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rezza individuati, non qualcosa di astratto; il sorriso bennoto di una persona cara di cui non ricordiamo più la fi-sonomia e che quindi si confonde con la persona stessa;l’unica carezza indimenticata che un cieco ha avuto,quand’era bimbo, dalla mamma che subito dopo gli èmorta.

Il giardino, dopo la morte di quella fanciulla che erala sua anima, muore. Il poeta s’indugia qui in una de-scrizione ricchissima d’immaginazione e di sentimento,ma alquanto prolissa: è uno dei pochissimi appunti chesi possono fare al capolavoro shelleyano, anzi allo Shel-ley in generale. Le erbacce coprono tutto. La Sensitivapiange desolatamente e presto muore anch’essa.L’inverno distrugge tutto, ma, al ritorno della primavera,la Sensitiva rimane una rovina mentre le mandragore, ifunghi, le barbane e i logli risorgono.

La Dama muore prima dei suoi fiori; ma, morto illoro angelo tutelare, i fiori non risorgono più. C’è tra laDama e la Sensitiva, come tra il cuore di Alastor e laluna, un’intima corrispondenza; anzi tutto il poemetto èanimato da un sentimento di fraternità francescana, ilquale però è soltanto un elemento delle immagini, unritmo immanente in tutto il poemetto. La chiusa poi è ri-gidamente antitetica col nuovo ellenismo di cui parla ilCecchi. Prima di tutto è affermata l'esistenza di un mon-do trascendente (esistenza che – occorre dirlo – non hanessun valore metafisico, ma è un puro motivo d’arte,una creazione fantastica), poi è affermata quell'intuizio-ne altamente pessimistica della vita ch’è presente in tut-

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to il poemetto. (Abbiamo visto che i fiori e la damamuoiono per non rinascere più mentre le erbacce rina-scono rigogliosamente; che gli animali esiliati dal giar-dino fanno del male e sono innocenti; e la nota domi-nante del racconto è la malinconia, una malinconia soa-ve come quella dei romantici versi carducciani che ab-biamo citato o come quella della canzone petrarchescaChiare, fresche e dolci acque). Io non oso indagare –dice il poeta – se lo spirito della creatura gentile cheraggiava amore come le stelle luce trovasse tristezzamentre lasciava gioia; ma in questa vita d’errore,d’ignoranza e di vane battaglie, dove nulla è ma tuttosembra e noi siamo le ombre di un sogno, vi è una fedemodesta e pur bella a chi la consideri: credere che lamorte stessa, come tutto il resto, dev’essere un’illusione.Nè il giardino nè la fanciulla son passati via: siamo noie ciò ch’è nostro che siamo mutati. L'amore,|la bellezza,la felicità non muoiono nè cambiano.

Si può essere più platonici di così? Un poeta panicoavrebbe visto nel giardino il trionfo della vita piena eavrebbe cantato non solo i fiori delicati ma (e preferibil-mente) anche quelle che lo Shelley chiama erbacce. LoShelley, descrivendo il giardino cerca di fare una rivela-zione di un mondo che non muta e che non muore, dovegli abitanti sono degli esseri angelici. E che cosa c’è dipanico nella figura ascetica della Dama, di questa sorel-la più perfetta del monsignor Myriel di Victor Hugo?Tutto il poemetto è costituito d’immagini di bellezza, diamore, di luce e di gioia (di una gioia pacata, per nulla

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to il poemetto. (Abbiamo visto che i fiori e la damamuoiono per non rinascere più mentre le erbacce rina-scono rigogliosamente; che gli animali esiliati dal giar-dino fanno del male e sono innocenti; e la nota domi-nante del racconto è la malinconia, una malinconia soa-ve come quella dei romantici versi carducciani che ab-biamo citato o come quella della canzone petrarchescaChiare, fresche e dolci acque). Io non oso indagare –dice il poeta – se lo spirito della creatura gentile cheraggiava amore come le stelle luce trovasse tristezzamentre lasciava gioia; ma in questa vita d’errore,d’ignoranza e di vane battaglie, dove nulla è ma tuttosembra e noi siamo le ombre di un sogno, vi è una fedemodesta e pur bella a chi la consideri: credere che lamorte stessa, come tutto il resto, dev’essere un’illusione.Nè il giardino nè la fanciulla son passati via: siamo noie ciò ch’è nostro che siamo mutati. L'amore,|la bellezza,la felicità non muoiono nè cambiano.

Si può essere più platonici di così? Un poeta panicoavrebbe visto nel giardino il trionfo della vita piena eavrebbe cantato non solo i fiori delicati ma (e preferibil-mente) anche quelle che lo Shelley chiama erbacce. LoShelley, descrivendo il giardino cerca di fare una rivela-zione di un mondo che non muta e che non muore, dovegli abitanti sono degli esseri angelici. E che cosa c’è dipanico nella figura ascetica della Dama, di questa sorel-la più perfetta del monsignor Myriel di Victor Hugo?Tutto il poemetto è costituito d’immagini di bellezza, diamore, di luce e di gioia (di una gioia pacata, per nulla

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orgiastica, della gioia del santo d’Assisi); ma la bellez-za, l'amore, la luce, la gioia, sono considerati appartene-re a un mondo in antitesi stridente con questa nostra vitadi errore e di dolore.

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orgiastica, della gioia del santo d’Assisi); ma la bellez-za, l'amore, la luce, la gioia, sono considerati appartene-re a un mondo in antitesi stridente con questa nostra vitadi errore e di dolore.

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IL GIORNALE DELLAGRANDE CRONACA

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IL GIORNALE DELLAGRANDE CRONACA

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Quelli che hanno l’abitudine di leggere assiduamentetutti i più importanti quotidiani non riescono ad averedella storia contemporanea un’idea così completa comequella che della storia romana e medievale si ha dai libriche pure sono tanto meno ricchi di particolari; di dove laconvinzione comune che i giornali non meritino d’esserconservati se non per gli articoli di letteratura o d’arte oi di scienza o di storia che al giornalismo vero e propriosono estranei.

Quest’insufficienza dei quotidiani è necessaria e per-ciò è vano credere che una riforma potrebbe eliminarla.È bene che il giornalismo si critichi perchè i suoi piùgravi difetti, essendo dovuti a deficienza di coscienzagiornalistica e a più o meno leciti interessi economici,scompariranno quando si saranno pienamente affermatealcune idee d’indole morale; ma per dare una visionecompleta della vita contemporanea occorre un nuovotipo di giornale che si occupi esclusivamente della gran-de cronaca cioè di tutti gli avvenimenti che costituisco-no materia di storia e trascuri tutti quelli d’interesse mo-mentaneo e che potremo chiamare piccola cronaca, in-tendendo l’espressione in un senso molto più largodell'ordinario cioè includendo in questa categoria nonsolo la cronachetta dei villaggi ma anche quella più ru-morosa e ugualmente fatua delle capitali: la partenza del

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Quelli che hanno l’abitudine di leggere assiduamentetutti i più importanti quotidiani non riescono ad averedella storia contemporanea un’idea così completa comequella che della storia romana e medievale si ha dai libriche pure sono tanto meno ricchi di particolari; di dove laconvinzione comune che i giornali non meritino d’esserconservati se non per gli articoli di letteratura o d’arte oi di scienza o di storia che al giornalismo vero e propriosono estranei.

Quest’insufficienza dei quotidiani è necessaria e per-ciò è vano credere che una riforma potrebbe eliminarla.È bene che il giornalismo si critichi perchè i suoi piùgravi difetti, essendo dovuti a deficienza di coscienzagiornalistica e a più o meno leciti interessi economici,scompariranno quando si saranno pienamente affermatealcune idee d’indole morale; ma per dare una visionecompleta della vita contemporanea occorre un nuovotipo di giornale che si occupi esclusivamente della gran-de cronaca cioè di tutti gli avvenimenti che costituisco-no materia di storia e trascuri tutti quelli d’interesse mo-mentaneo e che potremo chiamare piccola cronaca, in-tendendo l’espressione in un senso molto più largodell'ordinario cioè includendo in questa categoria nonsolo la cronachetta dei villaggi ma anche quella più ru-morosa e ugualmente fatua delle capitali: la partenza del

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brigadiere e i funerali della principessa reale, uno spet-tacolo di marionette e la recita di un dramma diD’Annunzio o di Rostand, la rissa di due ubbriachi e uncomizio all’aria aperta in onore di un Giordano Brunocucinato per l'occasione.

Il giornale della grande cronaca non potrebbe essereevidentemente il rifugio dei bocciati dalle scuole secon-darie, ma sarebbe invece una grande organizzazione diuomini colti. Nè potrebbe consistere, come potrebbesembrare alla prima, nel sunto dei vari quotidiani, per-chè così sarebbe preferibile al quotidiano dal punto divista della brevità ma ne conserverebbe, peggiorandoli,tutti i difetti. Le informazioni dei quotidiani sono deiframmenti di storia smentalizzati e isolati dalle condi-zioni storiche nelle quali hanno avuto origine: sono ana-lisi bruta; le informazioni del giornale della grande cro-naca dovrebbero essere diligenti, mature, profonde: do-vrebbero essere pensiero. Meglio che i quotidiani, ilnuovo periodico potrebbe sfruttare le riviste; ma le rivi-ste sarebbero un sussidio non i dati fondamentali chedovrebbero essere attinti direttamente da uffici di corri-spondenza istituiti nei centri più importanti del mondo,da inviati speciali e da tutti gli altri mezzi di cui dispon-gono i grandi quotidiani attuali.

Dato il suo carattere teorico, il mio giornale lascereb-be indisturbati i quotidiani attuali i quali però sarebberocostretti a limitarsi alle loro due funzioni essenziali chesono quelle di fornire le notizie spicciole con la massi-

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brigadiere e i funerali della principessa reale, uno spet-tacolo di marionette e la recita di un dramma diD’Annunzio o di Rostand, la rissa di due ubbriachi e uncomizio all’aria aperta in onore di un Giordano Brunocucinato per l'occasione.

Il giornale della grande cronaca non potrebbe essereevidentemente il rifugio dei bocciati dalle scuole secon-darie, ma sarebbe invece una grande organizzazione diuomini colti. Nè potrebbe consistere, come potrebbesembrare alla prima, nel sunto dei vari quotidiani, per-chè così sarebbe preferibile al quotidiano dal punto divista della brevità ma ne conserverebbe, peggiorandoli,tutti i difetti. Le informazioni dei quotidiani sono deiframmenti di storia smentalizzati e isolati dalle condi-zioni storiche nelle quali hanno avuto origine: sono ana-lisi bruta; le informazioni del giornale della grande cro-naca dovrebbero essere diligenti, mature, profonde: do-vrebbero essere pensiero. Meglio che i quotidiani, ilnuovo periodico potrebbe sfruttare le riviste; ma le rivi-ste sarebbero un sussidio non i dati fondamentali chedovrebbero essere attinti direttamente da uffici di corri-spondenza istituiti nei centri più importanti del mondo,da inviati speciali e da tutti gli altri mezzi di cui dispon-gono i grandi quotidiani attuali.

Dato il suo carattere teorico, il mio giornale lascereb-be indisturbati i quotidiani attuali i quali però sarebberocostretti a limitarsi alle loro due funzioni essenziali chesono quelle di fornire le notizie spicciole con la massi-

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ma rapidità e quella di propugnare gl’interessi dei singo-li partiti.

Dovrebbe essere necessariamente quotidiano il miogiornale? Non l’escludo, ma è naturale che se fosse in-vece settimanale o quindicinale o mensile o di periodoancora più lungo, potrebbe dare degli avvenimenti unresoconto più organico e più maturo.

Il giornale della grande cronaca, assai benefico per lacultura, sarebbe un grande centro di lavoro in cui po-trebbero degnamente trovar posto tutti i giovani seri e diingegno che adesso si perdono o si intristiscono in queidue istituti d’informazione meccanica che sono il gior-nalismo e la scuola. Sarebbe dunque un’opera umanita-ria. E anche – non me lo nascondo – un’utopia, sopratut-to per ragioni economiche; ma una di quelle utopie chediventano storia quando un gruppo di uomini ardenti lesanno volere e nell'agitare le quali consiste sopratutto ildovere dei giovani.

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ma rapidità e quella di propugnare gl’interessi dei singo-li partiti.

Dovrebbe essere necessariamente quotidiano il miogiornale? Non l’escludo, ma è naturale che se fosse in-vece settimanale o quindicinale o mensile o di periodoancora più lungo, potrebbe dare degli avvenimenti unresoconto più organico e più maturo.

Il giornale della grande cronaca, assai benefico per lacultura, sarebbe un grande centro di lavoro in cui po-trebbero degnamente trovar posto tutti i giovani seri e diingegno che adesso si perdono o si intristiscono in queidue istituti d’informazione meccanica che sono il gior-nalismo e la scuola. Sarebbe dunque un’opera umanita-ria. E anche – non me lo nascondo – un’utopia, sopratut-to per ragioni economiche; ma una di quelle utopie chediventano storia quando un gruppo di uomini ardenti lesanno volere e nell'agitare le quali consiste sopratutto ildovere dei giovani.

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MUSICA DESCRITTIVAE MUSICA PURA

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MUSICA DESCRITTIVAE MUSICA PURA

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Le idee, in massima giuste, su quest'argomento soste-nute da Giovanni Nascimbeni, sono pervase da un erro-re analogo a quello che inquina le teorie estetiche dei fu-turisti. Marinetti sogna un'epica della vita moderna, in-tesa specialmente in senso meccanico, e ritiene che percantare quest’epica, la miglior forma letteraria siano leparole in libertà. Fin qui nulla di male. Quest’opinioneriguarda soltanto Marinetti e noi non possiamo far altroche aspettare il suo poema epico. Se mai, discuteremodopo. Il torto del Marinetti sta nel sostenere che ognipoeta deve cantare la vita moderna e che la deve cantarein parole in libertà. È un torto analogo a quello cheavrebbe avuto Dante se avesse sostenuto che tutti i poetidevono cantare l’oltretomba e in terzine, per quanto egliavesse il pieno diritto di scrivere la Divina Commedia.

I pittori futuristi commettono pure lo stesso errore.Essi hanno un certo programma di pittura che nessunopuò discutere in quanto programma particolare, ma vor-rebbero che tutti i pittori fossero i fedeli esecutori diquel programma e perciò chiamano letterati quei pittoriche dipingono conservando un certo rapporto puramenteestrinseco tra i loro quadri e gli oggetti naturali che lihanno ispirati. Il pittore che fa un capolavoro dipingen-do un uomo, non fotograficamente ma liricamente, sa-rebbe così un letterato. È evidente che i futuristi non

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Le idee, in massima giuste, su quest'argomento soste-nute da Giovanni Nascimbeni, sono pervase da un erro-re analogo a quello che inquina le teorie estetiche dei fu-turisti. Marinetti sogna un'epica della vita moderna, in-tesa specialmente in senso meccanico, e ritiene che percantare quest’epica, la miglior forma letteraria siano leparole in libertà. Fin qui nulla di male. Quest’opinioneriguarda soltanto Marinetti e noi non possiamo far altroche aspettare il suo poema epico. Se mai, discuteremodopo. Il torto del Marinetti sta nel sostenere che ognipoeta deve cantare la vita moderna e che la deve cantarein parole in libertà. È un torto analogo a quello cheavrebbe avuto Dante se avesse sostenuto che tutti i poetidevono cantare l’oltretomba e in terzine, per quanto egliavesse il pieno diritto di scrivere la Divina Commedia.

I pittori futuristi commettono pure lo stesso errore.Essi hanno un certo programma di pittura che nessunopuò discutere in quanto programma particolare, ma vor-rebbero che tutti i pittori fossero i fedeli esecutori diquel programma e perciò chiamano letterati quei pittoriche dipingono conservando un certo rapporto puramenteestrinseco tra i loro quadri e gli oggetti naturali che lihanno ispirati. Il pittore che fa un capolavoro dipingen-do un uomo, non fotograficamente ma liricamente, sa-rebbe così un letterato. È evidente che i futuristi non

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solo vengono a limitare l'arte ma non superano per nullail punto di vista fotografico. Quel capolavoro in cui èespresso artisticamente un uomo non è visto da loro inquanto arte ma in quanto fotografia e rigettato perchè è(astrattamente) una fotografia.

Giovanni Nascimbeni teorizza dogmaticamente non isuoi programmi d'arte come i futuristi, ma il suo metodocritico. Nella sua qualità di critico ha pienamente ragio-ne di trascurare nella musica gli elementi pittorici, sim-bolici, filosofici o meglio di valutarli non in quanto ele-menti descrittivi, fotografia, ma in quanto elementi mu-sicali e perciò da accettarsi o respingersi a seconda chesiano o no diventati arte. Così si può benissimo non te-nere in grande considerazione quella specie di leitmotivdantesco, come dice felicemente il Nascimbeni, che è ilnumero 3 o la parola stelle, ma questo non significa chesi possa trascurare l'anima di Dante. E il Nascimbeninon ha per nulla trascurato l'anima di Wagner, anzi hatenuto conto dell'aneddotica wagneriana e ha riprodottoun ritratto di Wagner e nelle opere di Wagner ha ammi-rato la passione, il sentimento, la liricità. Se fossero sta-te opere arcadiche, opere di Wagner senza Wagner, an-che se mancanti di elementi descrittivi, il Nascimbeninon le avrebbe prese in considerazione.

Una bella musica malinconica è bella non perchè siamalinconica – questo è giustissimo – ma perchè è lirica;ed è quindi pure vero che un insieme di suoni non ma-linconici nè allegri nè in altro modo descrittivi, quando

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solo vengono a limitare l'arte ma non superano per nullail punto di vista fotografico. Quel capolavoro in cui èespresso artisticamente un uomo non è visto da loro inquanto arte ma in quanto fotografia e rigettato perchè è(astrattamente) una fotografia.

Giovanni Nascimbeni teorizza dogmaticamente non isuoi programmi d'arte come i futuristi, ma il suo metodocritico. Nella sua qualità di critico ha pienamente ragio-ne di trascurare nella musica gli elementi pittorici, sim-bolici, filosofici o meglio di valutarli non in quanto ele-menti descrittivi, fotografia, ma in quanto elementi mu-sicali e perciò da accettarsi o respingersi a seconda chesiano o no diventati arte. Così si può benissimo non te-nere in grande considerazione quella specie di leitmotivdantesco, come dice felicemente il Nascimbeni, che è ilnumero 3 o la parola stelle, ma questo non significa chesi possa trascurare l'anima di Dante. E il Nascimbeninon ha per nulla trascurato l'anima di Wagner, anzi hatenuto conto dell'aneddotica wagneriana e ha riprodottoun ritratto di Wagner e nelle opere di Wagner ha ammi-rato la passione, il sentimento, la liricità. Se fossero sta-te opere arcadiche, opere di Wagner senza Wagner, an-che se mancanti di elementi descrittivi, il Nascimbeninon le avrebbe prese in considerazione.

Una bella musica malinconica è bella non perchè siamalinconica – questo è giustissimo – ma perchè è lirica;ed è quindi pure vero che un insieme di suoni non ma-linconici nè allegri nè in altro modo descrittivi, quando

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siano l'effetto di un puro capriccio non hanno nessun va-lore artistico.

Davanti a una musica malinconica, il Nascimbeni hail pieno diritto di considerare la malinconia, non comemalinconia empirica, ma come liricità, ma non ha affat-to il diritto di accusarla di fotografismo per il solo fattoche è, empiricamente, malinconica. Ma, direbbe il Na-scimbeni, la malinconia – e in generale gli elementi de-scrittivi – superano il campo d’espressione della musica.È un errore; e quegli esperimenti fatti per provare se unpezzo di musica in cui l'autore aveva creduto di descri-vere l'aurora o il tramonto dessero l’immaginedell’aurora o del tramonto in ascoltatori che non cono-scevano l’intenzione del musicista, si potrebbero anchefare per la pittura o per la poesia, alle quali il Nascimbe-ni riconosce la capacità descrittiva. Se, per esempio, unpittore crede d’aver rappresentato un uomo che dice unverso di Mario Rapisardi, tutti s’accorgeranno chel’uomo parla, ma nessuno potrà determinare che cosadice; nè si potrebbe avere l’immagine di una fanciulladescritta da un poeta se non si conosce la fanciulla.

Ma queste sono osservazioni da fotografi e non dacritici d’arte; il critico d’arte sa benissimo che il campod’espressione della musica e di qualunque arte è l'animaumana; e come dà diritto al pittore di rappresentare unuomo purchè lo rappresenti artisticamente e non foto-graficamente, così deve dare al musicista il diritto di tra-sformare in arte gli elementi descrittivi. Anche l'arma-mentario drammatico più grossolano potrebbe essere in-

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siano l'effetto di un puro capriccio non hanno nessun va-lore artistico.

Davanti a una musica malinconica, il Nascimbeni hail pieno diritto di considerare la malinconia, non comemalinconia empirica, ma come liricità, ma non ha affat-to il diritto di accusarla di fotografismo per il solo fattoche è, empiricamente, malinconica. Ma, direbbe il Na-scimbeni, la malinconia – e in generale gli elementi de-scrittivi – superano il campo d’espressione della musica.È un errore; e quegli esperimenti fatti per provare se unpezzo di musica in cui l'autore aveva creduto di descri-vere l'aurora o il tramonto dessero l’immaginedell’aurora o del tramonto in ascoltatori che non cono-scevano l’intenzione del musicista, si potrebbero anchefare per la pittura o per la poesia, alle quali il Nascimbe-ni riconosce la capacità descrittiva. Se, per esempio, unpittore crede d’aver rappresentato un uomo che dice unverso di Mario Rapisardi, tutti s’accorgeranno chel’uomo parla, ma nessuno potrà determinare che cosadice; nè si potrebbe avere l’immagine di una fanciulladescritta da un poeta se non si conosce la fanciulla.

Ma queste sono osservazioni da fotografi e non dacritici d’arte; il critico d’arte sa benissimo che il campod’espressione della musica e di qualunque arte è l'animaumana; e come dà diritto al pittore di rappresentare unuomo purchè lo rappresenti artisticamente e non foto-graficamente, così deve dare al musicista il diritto di tra-sformare in arte gli elementi descrittivi. Anche l'arma-mentario drammatico più grossolano potrebbe essere in-

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dispensabile perchè una frase musicale avesse tutta lasua vita; e una statua rappresentante un uomo può essereun capolavoro anche se possiede elementi che presiastrattamente sono natura bruta; e un ragionamento filo-sofico può essere indispensabile a dare una limpida in-tuizione lirica, come credeva Edgardo Poe.

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dispensabile perchè una frase musicale avesse tutta lasua vita; e una statua rappresentante un uomo può essereun capolavoro anche se possiede elementi che presiastrattamente sono natura bruta; e un ragionamento filo-sofico può essere indispensabile a dare una limpida in-tuizione lirica, come credeva Edgardo Poe.

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NON SONO TURBATO

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NON SONO TURBATO

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Il mio gentile amico Aristide Contessi mi manda daMonza un ritaglio del Popolo d’Italia contenente un ar-ticolo di Francesco Meriano su un nuovo libro di Gio-vanni Papini che si intitola, a quanto pare, «La paga delsabato» e ch'è composto di articoli politici già pubblicatiin Lacerba, nel Popolo d’Italia e nel Carlino.

Francesco Meriano, forse per chiudere – diremo così– liricamente il suo articolo, crede opportuno di rimpro-verare Papini per aver citato nella prefazione del suo vo-lume non so quale mia frase. Papini – dice Meriano – hafatto male a citare un giovane d’ingegno, ma che la par-tecipazione alla guerra ha evidentemente turbato. Cosache, certo, se ci andrà, non avverrà a lui. Vero, animasua? ecc. ecc.

La partecipazione alla guerra mi ha dunque, evidente-mente, turbato. Dal momento che si tratta d’una veritàevidente, non c’è che da accettarla e buona notte.

Ma se poi non si fosse così illuministi da accontentar-si di quel joli «evidentemente», Francesco Meriano per-derebbe certamente almeno un pochino della sua invi-diabile presenza di spirito. E se gli domandassimo dimetter d’accordo questo suo giudizio con le lodi esage-rate che ha fatto alle mie note di guerra nel Gionaledell’isola e qui nella Diana, dove arrivò a stampare chebisogna leggerle per vedere come combatte e come pen-

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Il mio gentile amico Aristide Contessi mi manda daMonza un ritaglio del Popolo d’Italia contenente un ar-ticolo di Francesco Meriano su un nuovo libro di Gio-vanni Papini che si intitola, a quanto pare, «La paga delsabato» e ch'è composto di articoli politici già pubblicatiin Lacerba, nel Popolo d’Italia e nel Carlino.

Francesco Meriano, forse per chiudere – diremo così– liricamente il suo articolo, crede opportuno di rimpro-verare Papini per aver citato nella prefazione del suo vo-lume non so quale mia frase. Papini – dice Meriano – hafatto male a citare un giovane d’ingegno, ma che la par-tecipazione alla guerra ha evidentemente turbato. Cosache, certo, se ci andrà, non avverrà a lui. Vero, animasua? ecc. ecc.

La partecipazione alla guerra mi ha dunque, evidente-mente, turbato. Dal momento che si tratta d’una veritàevidente, non c’è che da accettarla e buona notte.

Ma se poi non si fosse così illuministi da accontentar-si di quel joli «evidentemente», Francesco Meriano per-derebbe certamente almeno un pochino della sua invi-diabile presenza di spirito. E se gli domandassimo dimetter d’accordo questo suo giudizio con le lodi esage-rate che ha fatto alle mie note di guerra nel Gionaledell’isola e qui nella Diana, dove arrivò a stampare chebisogna leggerle per vedere come combatte e come pen-

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sa il popolo più intelligente del mondo, nemmeno ricor-rendo alla dialettica di Hegel si potrebbe, evidentemen-te, salvare.

La partecipazione alla guerra mi ha turbato. Ma nem-meno per ombra! E Meriano può persuadersi del suosbaglio, se non vuol far la fatica di leggere attentamentee integralmente i miei scritti, interrogando lo stesso Pa-pini che mi ha visto ritornare alla guerra.

Francesco Meriano nota pure ch’io sono tutt’altro ched’accordo col Papini. Ora, se l’accordo con Papini deveconsistere nel trovare nel libro del Papini (che io – ripe-to – non conosco) soltanto la verità e tutta quanta la ve-rità, come fa Meriano, certo io non sono per nullad’accordo con Papini. Osserverò solo, tra parentesi, cheil pedissequismo è la forma più triviale del disaccordo eche il cosiddetto disaccordo è molte volte il più sublimeaccordo.

Dall'intonazione dell’articolo si potrebbe però pensa-re che il mio disaccordo con Papini e il mio turbamentosi debbono intendere come germanofilia. E anche quidevo rispondere che se per antipapinismo e germanofiliasi deve intendere la non accettazione delle ingiurie cheMeriano ripete contro Croce, il cui pensiero si ridurreb-be a banalità o a tautologie, io merito pienamentel’accusa di antipapinismo o germanofilia. Ma (devo fareosservare, così, in sordina, che quando Papini, nel Leo-nardo giudicava Croce con criteri esclusivamente intel-lettuali, pur discutendolo, lo lodava esageratamente; ealla stessa discussione dava un carattere di grande ama-

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sa il popolo più intelligente del mondo, nemmeno ricor-rendo alla dialettica di Hegel si potrebbe, evidentemen-te, salvare.

La partecipazione alla guerra mi ha turbato. Ma nem-meno per ombra! E Meriano può persuadersi del suosbaglio, se non vuol far la fatica di leggere attentamentee integralmente i miei scritti, interrogando lo stesso Pa-pini che mi ha visto ritornare alla guerra.

Francesco Meriano nota pure ch’io sono tutt’altro ched’accordo col Papini. Ora, se l’accordo con Papini deveconsistere nel trovare nel libro del Papini (che io – ripe-to – non conosco) soltanto la verità e tutta quanta la ve-rità, come fa Meriano, certo io non sono per nullad’accordo con Papini. Osserverò solo, tra parentesi, cheil pedissequismo è la forma più triviale del disaccordo eche il cosiddetto disaccordo è molte volte il più sublimeaccordo.

Dall'intonazione dell’articolo si potrebbe però pensa-re che il mio disaccordo con Papini e il mio turbamentosi debbono intendere come germanofilia. E anche quidevo rispondere che se per antipapinismo e germanofiliasi deve intendere la non accettazione delle ingiurie cheMeriano ripete contro Croce, il cui pensiero si ridurreb-be a banalità o a tautologie, io merito pienamentel’accusa di antipapinismo o germanofilia. Ma (devo fareosservare, così, in sordina, che quando Papini, nel Leo-nardo giudicava Croce con criteri esclusivamente intel-lettuali, pur discutendolo, lo lodava esageratamente; ealla stessa discussione dava un carattere di grande ama-

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bilità. Vi prego, gli diceva tra l'altro, di non aderir trop-po, alle mie idee, perchè, se voi diventerete pragmatistaio sarò costretto a diventare hegeliano. E, quanto a Fran-cesco Meriano, si può benissimo dire senza leggerezzache non è punto competente a giudicare la filosofia diCroce e che però farebbe bene a non ripetere giudizi chein Papini hanno almeno una ragione e che in lui sonodegl’insulti gratuiti.

Se poi Meriano intendesse dire che io non voglio unaguerra sul serio, a fondo, decisamente e apertamente an-tigermanica, s’inganna ancora di più. Tutti i miei amicidi Bologna potranno testimoniare che io, proprio dopo ilsecondo ritorno dalla guerra, ho dichiarato che, se si fa-cesse una spedizione nei Balkani, io farei di tutto perparteciparvi, specialmente per battermi con i tedeschi. Etutti sanno come io dissenta vivamente, quando si parladell’invincibilità dei soldati dall'elmo a chiodo; e comedesideri che le potenze dell’Intesa si fondano pienamen-te per battere sul serio il blocco germanico. Il quale haunità di manovra – eseguisce tranquillamente control'Intesa la manovra per linee interne – e non si può bat-terlo con pieno successo se l’Intesa non gli oppone lamanovra opposta e se quindi non diventa un vero orga-nismo.

Siamo bene intesi, amico e nemico Meriano?Non sono turbato. La mia volontà di vittoria è divenu-

ta, anzi, ora, più salda e più vasta. I miei scritti dei primimesi di guerra potevano far pensare a chi non mi cono-sceva bene (e l’approvazione incondizionata di Meriano

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bilità. Vi prego, gli diceva tra l'altro, di non aderir trop-po, alle mie idee, perchè, se voi diventerete pragmatistaio sarò costretto a diventare hegeliano. E, quanto a Fran-cesco Meriano, si può benissimo dire senza leggerezzache non è punto competente a giudicare la filosofia diCroce e che però farebbe bene a non ripetere giudizi chein Papini hanno almeno una ragione e che in lui sonodegl’insulti gratuiti.

Se poi Meriano intendesse dire che io non voglio unaguerra sul serio, a fondo, decisamente e apertamente an-tigermanica, s’inganna ancora di più. Tutti i miei amicidi Bologna potranno testimoniare che io, proprio dopo ilsecondo ritorno dalla guerra, ho dichiarato che, se si fa-cesse una spedizione nei Balkani, io farei di tutto perparteciparvi, specialmente per battermi con i tedeschi. Etutti sanno come io dissenta vivamente, quando si parladell’invincibilità dei soldati dall'elmo a chiodo; e comedesideri che le potenze dell’Intesa si fondano pienamen-te per battere sul serio il blocco germanico. Il quale haunità di manovra – eseguisce tranquillamente control'Intesa la manovra per linee interne – e non si può bat-terlo con pieno successo se l’Intesa non gli oppone lamanovra opposta e se quindi non diventa un vero orga-nismo.

Siamo bene intesi, amico e nemico Meriano?Non sono turbato. La mia volontà di vittoria è divenu-

ta, anzi, ora, più salda e più vasta. I miei scritti dei primimesi di guerra potevano far pensare a chi non mi cono-sceva bene (e l’approvazione incondizionata di Meriano

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credo lo confermi) che si trattasse d’un fenomeno solip-sistico, destinato a risolversi presto, come ogni solipsi-smo, in un vero e proprio fuoco di paglia. Ora invece ilmio patriottismo coincide pienamente con la mia indivi-dualità. Io non sono più un uomo privato ma un ufficialedi fanteria; e la mia qualità di ufficiale di fanteria ab-braccia tutta la nazione ed è altamente umana. Io sonoprima di tutto, sopra tutto italiano; se non che la mia ita-lianità non è un’irosa, angusta negazione della giustizia,ma uno sforzo civile, supremo per realizzare la giusti-zia; non è rettorica, nè campanilismo, nè prepotenza, maumanità. Sono per la vittoria piena, a ogni costo; masento la mia fraternità con tutti quelli che tentennano,con tutte le donne che piangono. E ai soldati, a questipoveri paria che nella patria non hanno visto, prima del-la guerra, se non un’estranea o una nemica, so parlareora con parole che, all’inizio della campagna, non sape-vo trovare, perchè non riuscivo a mettermi nel ritmodella loro anima. Io sono adesso convinto che nessunitaliano mi è del tutto opaco e sento che non è vana lasperanza di dare a tutti il mio entusiasmo. Ed entusia-smo significa silenzio e azione. La mia fede nella vitto-ria e la mia volontà di vittoria sono una sola cosa. E, sela vittoria è lontana, cosa importa? Basta che sia fatale.

Tornando per la seconda volta dalla guerra (non, Me-riano, per turbamenti che non comprendo), ho sentito ilbisogno di fermarmi in parecchie città, perchè sentivo,con un’intensità nuova, che la patria non è una parola,sia pure suggestiva, ma una realtà affascinante. Sentivo

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credo lo confermi) che si trattasse d’un fenomeno solip-sistico, destinato a risolversi presto, come ogni solipsi-smo, in un vero e proprio fuoco di paglia. Ora invece ilmio patriottismo coincide pienamente con la mia indivi-dualità. Io non sono più un uomo privato ma un ufficialedi fanteria; e la mia qualità di ufficiale di fanteria ab-braccia tutta la nazione ed è altamente umana. Io sonoprima di tutto, sopra tutto italiano; se non che la mia ita-lianità non è un’irosa, angusta negazione della giustizia,ma uno sforzo civile, supremo per realizzare la giusti-zia; non è rettorica, nè campanilismo, nè prepotenza, maumanità. Sono per la vittoria piena, a ogni costo; masento la mia fraternità con tutti quelli che tentennano,con tutte le donne che piangono. E ai soldati, a questipoveri paria che nella patria non hanno visto, prima del-la guerra, se non un’estranea o una nemica, so parlareora con parole che, all’inizio della campagna, non sape-vo trovare, perchè non riuscivo a mettermi nel ritmodella loro anima. Io sono adesso convinto che nessunitaliano mi è del tutto opaco e sento che non è vana lasperanza di dare a tutti il mio entusiasmo. Ed entusia-smo significa silenzio e azione. La mia fede nella vitto-ria e la mia volontà di vittoria sono una sola cosa. E, sela vittoria è lontana, cosa importa? Basta che sia fatale.

Tornando per la seconda volta dalla guerra (non, Me-riano, per turbamenti che non comprendo), ho sentito ilbisogno di fermarmi in parecchie città, perchè sentivo,con un’intensità nuova, che la patria non è una parola,sia pure suggestiva, ma una realtà affascinante. Sentivo

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come un bisogno d’abbracciare questa nostra bellissimapatria della quale tutti i ritmi avevano un consenso ar-dente nel mio cuore. Vedevo sotto una luce piena di se-duzioni e di bellezza tutto ciò che prima avevo visto conindifferenza. E i vari dialetti mi apparivano come le notedi un’unica musica divina. L’Italia che io credevo di co-noscere era un’astrazione; adesso coincidevo finalmentecon l’Italia concreta, varia, fluente.

E, ora che mio fratello è morto, non per questo sonoturbato. Mio fratello era per la vittoria e alla vittoria hadato più di quanto doveva. La mia volontà di vittoria èdunque, ora, più intensa, più profonda. In essa mio fra-tello rivive.

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come un bisogno d’abbracciare questa nostra bellissimapatria della quale tutti i ritmi avevano un consenso ar-dente nel mio cuore. Vedevo sotto una luce piena di se-duzioni e di bellezza tutto ciò che prima avevo visto conindifferenza. E i vari dialetti mi apparivano come le notedi un’unica musica divina. L’Italia che io credevo di co-noscere era un’astrazione; adesso coincidevo finalmentecon l’Italia concreta, varia, fluente.

E, ora che mio fratello è morto, non per questo sonoturbato. Mio fratello era per la vittoria e alla vittoria hadato più di quanto doveva. La mia volontà di vittoria èdunque, ora, più intensa, più profonda. In essa mio fra-tello rivive.

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COLLABORAREALLA GUERRA

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COLLABORAREALLA GUERRA

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Tutti quelli che non sono in guerra devono collabora-re alla guerra. I bombardamenti che gli austriaci hannofatto delle nostre città aperte, il lutto e il culto per i ca-duti in guerra, le privazioni che a tutti impone la guerra,sarebbero delle vanità se si continuasse a fare una di-stinzione assoluta tra combattenti e non combattenti.Tutti devono essere protesi contro il nemico. La più pa-cifica casa dev’essere considerata dal cittadino comeuna trincea più sicura ma non meno ardua della trinceadi battaglia.

Il cittadino che non combatte deve anche lui fare laguerra, accettando con lieto cuore i sacrifici che la guer-ra gl’impone; dando coraggio alle mamme, che parteci-pano pure alla guerra perchè seguono con ansia continuala sorte dei combattenti, ma da un punto di vista tropporistretto; alimentando la speranza nei combattenti esvolgendo un’attività per la quale i combattenti sianocostretti a vedere nel paese non un’accozzaglia d’imbo-scati, ma una parte, la parte più vitale di sè.

Per questo, occorre che la guerra sia l'idea dominantedei cittadini, l'anima della loro vita. Tutti devono volerea ogni costo la vittoria. E per ottenere la vittoria non ba-sta vincere delle battaglie, ma occorre vincere completa-mente l’esercito anzi la nazione nemica e quindi ognunodev’essere al suo posto, ognuno deve fare la sua parte.

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Tutti quelli che non sono in guerra devono collabora-re alla guerra. I bombardamenti che gli austriaci hannofatto delle nostre città aperte, il lutto e il culto per i ca-duti in guerra, le privazioni che a tutti impone la guerra,sarebbero delle vanità se si continuasse a fare una di-stinzione assoluta tra combattenti e non combattenti.Tutti devono essere protesi contro il nemico. La più pa-cifica casa dev’essere considerata dal cittadino comeuna trincea più sicura ma non meno ardua della trinceadi battaglia.

Il cittadino che non combatte deve anche lui fare laguerra, accettando con lieto cuore i sacrifici che la guer-ra gl’impone; dando coraggio alle mamme, che parteci-pano pure alla guerra perchè seguono con ansia continuala sorte dei combattenti, ma da un punto di vista tropporistretto; alimentando la speranza nei combattenti esvolgendo un’attività per la quale i combattenti sianocostretti a vedere nel paese non un’accozzaglia d’imbo-scati, ma una parte, la parte più vitale di sè.

Per questo, occorre che la guerra sia l'idea dominantedei cittadini, l'anima della loro vita. Tutti devono volerea ogni costo la vittoria. E per ottenere la vittoria non ba-sta vincere delle battaglie, ma occorre vincere completa-mente l’esercito anzi la nazione nemica e quindi ognunodev’essere al suo posto, ognuno deve fare la sua parte.

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Chi è atto alle armi deve andare a combattere, chi non loè deve collaborare alla guerra nel miglior modo possibi-le. Imboscarsi è un tradimento. L’imboscato compro-mette la sorte della guerra perchè non fa quello sforzocontro il nemico che potrebbe fare e sopratutto perchèdemoralizza i combattenti. Un imboscato non è un com-battente in meno, ma cento combattenti in meno. Ilcombattente, quando sa che degli uomini validi come luie più di lui sono rimasti a casa, perde, in gran parte,l'entusiasmo.

Uno dei compiti principali di quelli che non possonocombattere perchè non idonei alla guerra è la lotta con-tro l'imboscamento. Chi resta nel paese deve fareun’apologia sistematica del combattente e una svaluta-zione sistematica dell'imboscato. Egli deve mettere inluce l’abiettezza dell'imboscato, deve far vedere chel'imboscato è un volgare, vigliacco idolatra della propriapelle, un uomo per il quale la pelle si deve anteporre allapatria, all’onore, un uomo così cinico che per lui tuttova bene quando la propra pelle non è compromessa eche non si commuove al pensiero che, restando a casa,egli aumenta, sia pure in parte minima, il disagio e il pe-ricolo dei combattenti, perchè la parte che dovrebbe farelui devono farla gli altri e al pensiero che al suo postoc’è un altro che soffre e forse muore per lui. L’imbosca-to è opaco a qualunque ideale. Egli non può intenderenessuna virtù, non può vedere quanta grandezza, quantoeroismo, quanta divinità animi il mondo. Gli uomini perlui sono come lui: meno dei bruti.

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Chi è atto alle armi deve andare a combattere, chi non loè deve collaborare alla guerra nel miglior modo possibi-le. Imboscarsi è un tradimento. L’imboscato compro-mette la sorte della guerra perchè non fa quello sforzocontro il nemico che potrebbe fare e sopratutto perchèdemoralizza i combattenti. Un imboscato non è un com-battente in meno, ma cento combattenti in meno. Ilcombattente, quando sa che degli uomini validi come luie più di lui sono rimasti a casa, perde, in gran parte,l'entusiasmo.

Uno dei compiti principali di quelli che non possonocombattere perchè non idonei alla guerra è la lotta con-tro l'imboscamento. Chi resta nel paese deve fareun’apologia sistematica del combattente e una svaluta-zione sistematica dell'imboscato. Egli deve mettere inluce l’abiettezza dell'imboscato, deve far vedere chel'imboscato è un volgare, vigliacco idolatra della propriapelle, un uomo per il quale la pelle si deve anteporre allapatria, all’onore, un uomo così cinico che per lui tuttova bene quando la propra pelle non è compromessa eche non si commuove al pensiero che, restando a casa,egli aumenta, sia pure in parte minima, il disagio e il pe-ricolo dei combattenti, perchè la parte che dovrebbe farelui devono farla gli altri e al pensiero che al suo postoc’è un altro che soffre e forse muore per lui. L’imbosca-to è opaco a qualunque ideale. Egli non può intenderenessuna virtù, non può vedere quanta grandezza, quantoeroismo, quanta divinità animi il mondo. Gli uomini perlui sono come lui: meno dei bruti.

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Il combattente invece (s’intende quello che fa il suodovere, perchè quello che non lo fa è, in fondo, un im-boscato come gli altri) antepone alla propria vita la vitadella patria, la giustizia; e, nonostante che abbia il terri-bile compito di uccidere, è limpido come la più limpidafronte di fanciulla, è a infinita distanza dall’assassino,perchè il suo braccio è strumento di giustizia e non didelitti e la sua vita ardua sa tutte le bellezze del sacrifi-cio ed è senza macchia. Confondere il combattente conl'assassino è uno dei più grossolani casi del pregiudizioempirista, è grossolano materialismo.

Mettendo queste e altre cose in luce – dimostrando,per restare nel campo pratico, la legittimità e la necessi-tà di certe classi di non combattenti, che il combattente,nel suo limitato punto di vista, non suole vedere – puòcollaborare alla guerra il cittadino che ha il diritto anzi ildovere di non fare la guerra. E moltissimo c’è da farenel campo della storia e della teoria della guerra. Se in-vece si chiude sterilmente in sè stesso, se non ama laguerra che si combatte e non si dedica a questa guerracon tutte le sue energie, egli attenta, come l'imboscato,alla vittoria ed è un imboscato come gli altri.

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Il combattente invece (s’intende quello che fa il suodovere, perchè quello che non lo fa è, in fondo, un im-boscato come gli altri) antepone alla propria vita la vitadella patria, la giustizia; e, nonostante che abbia il terri-bile compito di uccidere, è limpido come la più limpidafronte di fanciulla, è a infinita distanza dall’assassino,perchè il suo braccio è strumento di giustizia e non didelitti e la sua vita ardua sa tutte le bellezze del sacrifi-cio ed è senza macchia. Confondere il combattente conl'assassino è uno dei più grossolani casi del pregiudizioempirista, è grossolano materialismo.

Mettendo queste e altre cose in luce – dimostrando,per restare nel campo pratico, la legittimità e la necessi-tà di certe classi di non combattenti, che il combattente,nel suo limitato punto di vista, non suole vedere – puòcollaborare alla guerra il cittadino che ha il diritto anzi ildovere di non fare la guerra. E moltissimo c’è da farenel campo della storia e della teoria della guerra. Se in-vece si chiude sterilmente in sè stesso, se non ama laguerra che si combatte e non si dedica a questa guerracon tutte le sue energie, egli attenta, come l'imboscato,alla vittoria ed è un imboscato come gli altri.

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LA SCIENZA COMEESPERIENZA ASSOLUTA

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LA SCIENZA COMEESPERIENZA ASSOLUTA

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Nel suo articolo su Henri Poincaré e la dottrina dellascienza, pubblicato nella Voce del 15 agosto 1912, Gui-do De Ruggiero sostiene che l’elemento vitale delle teo-rie nominalistico-economiche della scienza positiva nonsia l'idea dell'economia e quella del concetto astratto chenon riesce a stringere la realtà, sicchè le verità scientifi-che sarebbero delle etichette, delle carte topografiche,delle vedute cinematografiche della realtà, in una paroladelle convenzioni utili, ma l'accentuazione del momentodinamico e attuale della ricerca scientifica, del caratterevitale, creativo del sapere, dell'efficienza nostra nellascienza. Il concetto della convenzione utile ha valoresolo dal punto di vista polemico, inquantochè non am-mette col naturalismo imperante che la scienza sia,come la filosofia per il naturalismo, la scimmia delladea natura, una semplice copia della realtà; ma questanegazione della tesi naturalistica, dice giustamente il DeRuggiero, è troppo poco radicale; e quindi consiglia diseguire la via additata da Kant con la sintesi a priori, eli-minando il presupposto d'una realtà in sè al di là dellascienza e riconoscendo la scienza come una realtà spiri-tuale e vivente. La critica della scienza può servire cosìd’impulso a un nuovo sviluppo.

La teoria della scienza accennata in quell’articolo vie-ne svolta ampiamente dal De Ruggero nel suo saggio su

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Nel suo articolo su Henri Poincaré e la dottrina dellascienza, pubblicato nella Voce del 15 agosto 1912, Gui-do De Ruggiero sostiene che l’elemento vitale delle teo-rie nominalistico-economiche della scienza positiva nonsia l'idea dell'economia e quella del concetto astratto chenon riesce a stringere la realtà, sicchè le verità scientifi-che sarebbero delle etichette, delle carte topografiche,delle vedute cinematografiche della realtà, in una paroladelle convenzioni utili, ma l'accentuazione del momentodinamico e attuale della ricerca scientifica, del caratterevitale, creativo del sapere, dell'efficienza nostra nellascienza. Il concetto della convenzione utile ha valoresolo dal punto di vista polemico, inquantochè non am-mette col naturalismo imperante che la scienza sia,come la filosofia per il naturalismo, la scimmia delladea natura, una semplice copia della realtà; ma questanegazione della tesi naturalistica, dice giustamente il DeRuggiero, è troppo poco radicale; e quindi consiglia diseguire la via additata da Kant con la sintesi a priori, eli-minando il presupposto d'una realtà in sè al di là dellascienza e riconoscendo la scienza come una realtà spiri-tuale e vivente. La critica della scienza può servire cosìd’impulso a un nuovo sviluppo.

La teoria della scienza accennata in quell’articolo vie-ne svolta ampiamente dal De Ruggero nel suo saggio su

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la scienza come esperienza assoluta, in cui viene soste-nuta apertamente la tesi dell’identità di scienza e filoso-fia.

Dal punto di vista dell’idealismo attuale seguito dalDe Ruggiero, questa tesi è d'un’evidenza immediata. Sele categorie sono molte anzi infinite solo dal punto di vi-sta del pensato ma si riducono a una sola dal punto divista del pensare, è evidente che non solo la scienza, maanche l’arte, la religione, l’amore, la guerra, le più futiliinezie, colte nella loro attualità, sono filosofia, mentreviste, astrattamente, dall'esterno sono tutta natura, mec-canismo, errore. Tuttavia il De Ruggiero ha ragione af-fermando che è lui che per la prima volta afferma questaverità nel campo dell’idealismo assoluto perchè, perquanto possa essere strano, nemmeno Giovanni Gentilel’ha affermato con la stessa nettezza; sicchè, pure essen-do questa una verità schiettamente gentiliana, non si puòdire che essa sia, anche dopo lo scritto del De Ruggiero,materialmente affermata dal Gentile.

Il De Ruggiero però, nel suo studio, va troppo per lelunghe e imposta il suo problema ammettendo il princi-pio che la scienza si svolga, ciò che, se viene ampia-mente giustificato nel corso della ricerca, dal punto divista didattico è un vero circolo vizioso. Se la scienza èsviluppo, cioè se essa non è semplice variare, puro dive-nire, pura immediatezza, ma è sintesi a priori, sensazio-ne essenziata e la filosofia è identicamente sviluppo èinevitabile concludere che la scienza sia filosofia. Così,lungo tutta la ricerca, vediamo sempre il De Ruggiero a

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la scienza come esperienza assoluta, in cui viene soste-nuta apertamente la tesi dell’identità di scienza e filoso-fia.

Dal punto di vista dell’idealismo attuale seguito dalDe Ruggiero, questa tesi è d'un’evidenza immediata. Sele categorie sono molte anzi infinite solo dal punto di vi-sta del pensato ma si riducono a una sola dal punto divista del pensare, è evidente che non solo la scienza, maanche l’arte, la religione, l’amore, la guerra, le più futiliinezie, colte nella loro attualità, sono filosofia, mentreviste, astrattamente, dall'esterno sono tutta natura, mec-canismo, errore. Tuttavia il De Ruggiero ha ragione af-fermando che è lui che per la prima volta afferma questaverità nel campo dell’idealismo assoluto perchè, perquanto possa essere strano, nemmeno Giovanni Gentilel’ha affermato con la stessa nettezza; sicchè, pure essen-do questa una verità schiettamente gentiliana, non si puòdire che essa sia, anche dopo lo scritto del De Ruggiero,materialmente affermata dal Gentile.

Il De Ruggiero però, nel suo studio, va troppo per lelunghe e imposta il suo problema ammettendo il princi-pio che la scienza si svolga, ciò che, se viene ampia-mente giustificato nel corso della ricerca, dal punto divista didattico è un vero circolo vizioso. Se la scienza èsviluppo, cioè se essa non è semplice variare, puro dive-nire, pura immediatezza, ma è sintesi a priori, sensazio-ne essenziata e la filosofia è identicamente sviluppo èinevitabile concludere che la scienza sia filosofia. Così,lungo tutta la ricerca, vediamo sempre il De Ruggiero a

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tu per tu con bivi, dilemmi, ostacoli, compiti ardui, glivediamo fare dei riassunti che poi si trasformano in rie-laborazioni, lo vediamo fino alle ultime pagine in lottacon lo spettro della cosa in sè; sicchè a un tecnico que-sta ricerca apparisce inevitabilmente come l'opera fati-cosa d'un principiante e a un profano come un lavoro ol-tremodo tecnico e astruso.

Il problema di tutta la ricerca è quello della sintesi apriori. Il De Ruggiero sa benissimo che la conoscenza èsempre sintesi a priori. Lui stesso nel suo prezioso com-mento a quella riduzione della Critica della ragion purache ha intitolato Pensiero e esperienza, sostiene esplici-tamente, fin dalle prime parole, che non è possibile am-mettere dei giudizi analitici e dei giudizi empirici accan-to ai giudizi sintetici a priori, perchè tutti i giudizi sonosintetici a priori e gli altri non sono se non posizioni fi-losofiche oltrepassate da Kant con la sua scoperta. Rite-niamo dunque che il De Ruggiero non si doveva tantoindugiare sulla teoria della sensazione come pura imme-diatezza, puro divenire, come pluralità e attualitàsenz'identità e su quella dell’intelletto come pura media-zione, come unità immobilità finità possibilità senzaconcretezza. Egli doveva affrontare risolutamente ilconcetto di ragione come idealità attuale, come sensa-zione essenziata, come sviluppo, cioè identità nell'alteri-tà. Bastava fare un rapido esame della sensazione. Lasensazione è pura immediatezza, puro contenuto? È pos-sibile distinguere la sensazione dalla percezione? Non èogni percezione rispetto al progresso ulteriore del pen-

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tu per tu con bivi, dilemmi, ostacoli, compiti ardui, glivediamo fare dei riassunti che poi si trasformano in rie-laborazioni, lo vediamo fino alle ultime pagine in lottacon lo spettro della cosa in sè; sicchè a un tecnico que-sta ricerca apparisce inevitabilmente come l'opera fati-cosa d'un principiante e a un profano come un lavoro ol-tremodo tecnico e astruso.

Il problema di tutta la ricerca è quello della sintesi apriori. Il De Ruggiero sa benissimo che la conoscenza èsempre sintesi a priori. Lui stesso nel suo prezioso com-mento a quella riduzione della Critica della ragion purache ha intitolato Pensiero e esperienza, sostiene esplici-tamente, fin dalle prime parole, che non è possibile am-mettere dei giudizi analitici e dei giudizi empirici accan-to ai giudizi sintetici a priori, perchè tutti i giudizi sonosintetici a priori e gli altri non sono se non posizioni fi-losofiche oltrepassate da Kant con la sua scoperta. Rite-niamo dunque che il De Ruggiero non si doveva tantoindugiare sulla teoria della sensazione come pura imme-diatezza, puro divenire, come pluralità e attualitàsenz'identità e su quella dell’intelletto come pura media-zione, come unità immobilità finità possibilità senzaconcretezza. Egli doveva affrontare risolutamente ilconcetto di ragione come idealità attuale, come sensa-zione essenziata, come sviluppo, cioè identità nell'alteri-tà. Bastava fare un rapido esame della sensazione. Lasensazione è pura immediatezza, puro contenuto? È pos-sibile distinguere la sensazione dalla percezione? Non èogni percezione rispetto al progresso ulteriore del pen-

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siero qualcosa d'immediato? E d'altra parte, troviamomai una sensazione cieca, una sensazione che non siasintesi a priori di contenuto e forma? Risolto questo pro-blema che il Gentile ha risolto, il concetto di scienza fat-ta e quello di natura si sarebbero rivelati senz’altrocome astrazioni che hanno valore in quanto superati dalpensiero concreto, si sarebbero rivelati nel loro valoredialettico, negativo e così non si sarebbe potuto ammet-tere una scienza fatta, una scienza che non fosse co-scienza; e allo stesso modo sarebbe stato assurdo distin-guere dalla scienza una subscienza (una sensazione bru-ta) o una superscienza che si chiamerebbe filosofia, unafilosofia che non si riesce a vedere cosa potrebbe esserese la scienza è sviluppo, o meglio, come nota il De Rug-giero, questa filosofia come istanza superiore alla scien-za non è che un tentativo di svalutare la scienza identifi-candola arbitrariamente con un suo momento cioè conalcune false concezioni della scienza stessa.

Tuttavia non bisogna credere che io abbia l'intenzionedi ridurre il saggio del De Ruggiero in una forma chesoddisfi meglio alle esigenze didattiche. Io accetto l'ope-ra del De Ruggiero nella forma tormentata che ha e con-siglio di leggerla, per quanto ai critici della finzione uti-le potrebbe bastare l’articolo che ho citato in principiose essi sono ben disposti o meglio se vorranno persua-dersi che quando trattano la scienza come arbitrio sisono completamente dimenticati della scienza e fannoall’amore con le nuvole. Rientrino un po’ nel vivo dellaricerca e le nuvole spariranno. La scienza si rivelerà non

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siero qualcosa d'immediato? E d'altra parte, troviamomai una sensazione cieca, una sensazione che non siasintesi a priori di contenuto e forma? Risolto questo pro-blema che il Gentile ha risolto, il concetto di scienza fat-ta e quello di natura si sarebbero rivelati senz’altrocome astrazioni che hanno valore in quanto superati dalpensiero concreto, si sarebbero rivelati nel loro valoredialettico, negativo e così non si sarebbe potuto ammet-tere una scienza fatta, una scienza che non fosse co-scienza; e allo stesso modo sarebbe stato assurdo distin-guere dalla scienza una subscienza (una sensazione bru-ta) o una superscienza che si chiamerebbe filosofia, unafilosofia che non si riesce a vedere cosa potrebbe esserese la scienza è sviluppo, o meglio, come nota il De Rug-giero, questa filosofia come istanza superiore alla scien-za non è che un tentativo di svalutare la scienza identifi-candola arbitrariamente con un suo momento cioè conalcune false concezioni della scienza stessa.

Tuttavia non bisogna credere che io abbia l'intenzionedi ridurre il saggio del De Ruggiero in una forma chesoddisfi meglio alle esigenze didattiche. Io accetto l'ope-ra del De Ruggiero nella forma tormentata che ha e con-siglio di leggerla, per quanto ai critici della finzione uti-le potrebbe bastare l’articolo che ho citato in principiose essi sono ben disposti o meglio se vorranno persua-dersi che quando trattano la scienza come arbitrio sisono completamente dimenticati della scienza e fannoall’amore con le nuvole. Rientrino un po’ nel vivo dellaricerca e le nuvole spariranno. La scienza si rivelerà non

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come semplice soluzione, nè come semplice problema,ma come sintesi viva di problema e soluzione.

E devo anche avvertire che se dal punto di vista didat-tico il libro del De Ruggiero si presta alle accuse a cuiho accennato, d'altra parte questo carattere tormentatodel libro, mentre fa quasi toccare con mano che il pen-siero è sviluppo, è poi interessantissimo dal punto di vi-sta letterario perchè rivela uno di quei drammi spiritualidi cui il Papini lamentava la mancanza nella nostra lette-ratura (dimenticando, veramente, la Disfatta di Oriani edimenticando che un altro di quei drammi l'ha fatto per-fino il Manzoni con la psicologia dell'Innominato e che,in tutti i casi, questi son drammi che vanno cercati neifilosofi: la Scienza nuova, da questo punto di vista, pre-senta più interesse di tante opere letterarie).

Un appunto diverso dobbiamo fare a Guido De Rug-giero. Ammettiamo con lui che un vero conflitto trascienza e filosofia non sia neppure concepibile e che ilconflitto che in realtà si agita è tra due filosofie una pro-gredita e l'altra arretrata che non riescono a conciliarsiin una stessa mente. Però riteniamo che col suo saggioegli non abbia adempito e quell'esigenza d’impulso a unnuovo sviluppo ch'egli vedeva nelle critiche della scien-za se non a titolo puramente pregiudiziale. Questo nuo-vo sviluppo deve farsi sullo stesso piano di quelle criti-che. La materia deve essere la scienza, ma giudicata li-beristicamente o, se si vuole, col metodo gentilianodell’immanenza, vale a dire non in base a formoleastratte, a principii dommatici, ma alla luce del pensiero

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come semplice soluzione, nè come semplice problema,ma come sintesi viva di problema e soluzione.

E devo anche avvertire che se dal punto di vista didat-tico il libro del De Ruggiero si presta alle accuse a cuiho accennato, d'altra parte questo carattere tormentatodel libro, mentre fa quasi toccare con mano che il pen-siero è sviluppo, è poi interessantissimo dal punto di vi-sta letterario perchè rivela uno di quei drammi spiritualidi cui il Papini lamentava la mancanza nella nostra lette-ratura (dimenticando, veramente, la Disfatta di Oriani edimenticando che un altro di quei drammi l'ha fatto per-fino il Manzoni con la psicologia dell'Innominato e che,in tutti i casi, questi son drammi che vanno cercati neifilosofi: la Scienza nuova, da questo punto di vista, pre-senta più interesse di tante opere letterarie).

Un appunto diverso dobbiamo fare a Guido De Rug-giero. Ammettiamo con lui che un vero conflitto trascienza e filosofia non sia neppure concepibile e che ilconflitto che in realtà si agita è tra due filosofie una pro-gredita e l'altra arretrata che non riescono a conciliarsiin una stessa mente. Però riteniamo che col suo saggioegli non abbia adempito e quell'esigenza d’impulso a unnuovo sviluppo ch'egli vedeva nelle critiche della scien-za se non a titolo puramente pregiudiziale. Questo nuo-vo sviluppo deve farsi sullo stesso piano di quelle criti-che. La materia deve essere la scienza, ma giudicata li-beristicamente o, se si vuole, col metodo gentilianodell’immanenza, vale a dire non in base a formoleastratte, a principii dommatici, ma alla luce del pensiero

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vivo. La ricerca del De Ruggiero, per quanto importan-te, è sempre una rielaborazione della Critica della ra-gion pura. La tesi dell'identità di scienza e filosofia èsostenuta senza venire a diretto contatto con la scienza esi potrebbe giustificare anche avendo della scienza unanotizia rudimentale. Se si accetta quella tesi, ma ci si di-sinteressa poi della scienza, non si è praticamente moltolontani da quel campanilismo filosofico ripudiato dal DeRuggiero che consiste nel piantare in asso la scienza percercare la verità altrove.

Non che si debba studiare soltanto la scienza positiva.Ci metteremmo improvvisamente in antitesi con quantoc'è di più vivo nel saggio del De Ruggiero se dicessimoquesto. Dice benissimo il De Ruggiero che il concetto discienza naturale non è che un’astrazione, il prodotto diuna classificazione; anzi è chiaro che ogni ramodell'attività umana, visto dall’esterno, non ha che mec-canismo, anche la filosofia e anche l’arte intese comeinsieme di opere bell'e fatte. Chi studia dunque la filoso-fia in senso stretto non vive necessariamente nelle astra-zioni: vive nelle astrazioni chi vuole scimmiottare larealtà concepita come cosa in sè, qualunque cosa studi.Tuttavia il riconoscimento che ha dato il De Ruggieroalla scienza identificandola con la filosofia, rimarrebbepuramente platonico se dopo di esso si lasciasse da partela scienza.

Occorre che la scienza sia fatta entrare nel campodell’alta cultura; occorre mettere praticamente accanto,dopo d’averlo fatto in teoria, le opere scientifiche e le

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vivo. La ricerca del De Ruggiero, per quanto importan-te, è sempre una rielaborazione della Critica della ra-gion pura. La tesi dell'identità di scienza e filosofia èsostenuta senza venire a diretto contatto con la scienza esi potrebbe giustificare anche avendo della scienza unanotizia rudimentale. Se si accetta quella tesi, ma ci si di-sinteressa poi della scienza, non si è praticamente moltolontani da quel campanilismo filosofico ripudiato dal DeRuggiero che consiste nel piantare in asso la scienza percercare la verità altrove.

Non che si debba studiare soltanto la scienza positiva.Ci metteremmo improvvisamente in antitesi con quantoc'è di più vivo nel saggio del De Ruggiero se dicessimoquesto. Dice benissimo il De Ruggiero che il concetto discienza naturale non è che un’astrazione, il prodotto diuna classificazione; anzi è chiaro che ogni ramodell'attività umana, visto dall’esterno, non ha che mec-canismo, anche la filosofia e anche l’arte intese comeinsieme di opere bell'e fatte. Chi studia dunque la filoso-fia in senso stretto non vive necessariamente nelle astra-zioni: vive nelle astrazioni chi vuole scimmiottare larealtà concepita come cosa in sè, qualunque cosa studi.Tuttavia il riconoscimento che ha dato il De Ruggieroalla scienza identificandola con la filosofia, rimarrebbepuramente platonico se dopo di esso si lasciasse da partela scienza.

Occorre che la scienza sia fatta entrare nel campodell’alta cultura; occorre mettere praticamente accanto,dopo d’averlo fatto in teoria, le opere scientifiche e le

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opere filosofiche; occorre sfatare il pregiudizio che lastoria della scienza non abbia interesse per lo scienziatoe che corrisponde a quello di chi dicesse che la storiadella filosofia non interessi il filosofo; occorre far vede-re che scienza e storia della scienza, anzi scienza e sto-ria, son tutt’uno; occorre, in una parola, creare la storiadella scienza come esperienza assoluta.

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opere filosofiche; occorre sfatare il pregiudizio che lastoria della scienza non abbia interesse per lo scienziatoe che corrisponde a quello di chi dicesse che la storiadella filosofia non interessi il filosofo; occorre far vede-re che scienza e storia della scienza, anzi scienza e sto-ria, son tutt’uno; occorre, in una parola, creare la storiadella scienza come esperienza assoluta.

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