E-book campione Liber Liber...se, di personaggi eminenti, come Basilio di Cesarea. L'accorto vescovo...

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    QUESTO E-BOOK:

    TITOLO: San GirolamoAUTORE: Buonaiuti, ErnestoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito Opal libri antichi di Tori-no .CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

    DIRITTI D'AUTORE: no

    LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

    COPERTINA: n. d.

    TRATTO DA: San Girolamo / Ernesto Bonaiuti. - Roma :A. F. Formiggini, 1919. - 72 p., [1] carta di tav. :ritratto ; 17 cm. - (Profili ; 49).

    CODICE ISBN FONTE: n. d.

    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 26 agosto 2020

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    TRATTO DA: San Girolamo / Ernesto Bonaiuti. - Roma :A. F. Formiggini, 1919. - 72 p., [1] carta di tav. :ritratto ; 17 cm. - (Profili ; 49).

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  • INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

    SOGGETTO:REL015000 RELIGIONE / Cristianità / StoriaREL051000 RELIGIONE / FilosofiaREL113000 RELIGIONE / Saggi

    DIGITALIZZAZIONE:Paolo Oliva, [email protected]

    REVISIONE:Raffaele Fantazzini, [email protected]

    IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

    PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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  • ERNESTO BUONAIUTI

    San Girolamo

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    ERNESTO BUONAIUTI

    San Girolamo

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  • «Morbidam non contemnas ovem»Girolamo a Damaso

    Sul finire del 376 il vescovo di Roma, Damaso, rice-veva fra le altre, col corriere d'Oriente, una inattesa let-tera che gli inviava dalla solitudine di Calcide nella Si-ria un asceta cristiano, a nome Eusebio Girolamo. Conparole ossequiose, con accenti commossi, il solitario im-plorava, dal remoto deserto siriano luce e cibo per la suaanima in pena, da quella cattedra di Pietro, donde avevagià ricevuto, una dozzina d'anni prima, la tunica candidadell'iniziato. Dopo averla rotta con tutta la sua famiglia;dopo aver ramingato per l'Oriente attraverso un viaggioperiglioso; Girolamo, avido di raccoglimento e di pace,aveva abbandonato i buoni amici di Antiochia e avevachiesto alla solitudine ascetica il riposo e la letizia dellacontemplazione. Ma mai delusione più amara aveva se-guito a così breve scadenza un sogno più lungamentevagheggiato. Il deserto di Calcide ospitava numerosiasceti, che il medesimo ideale aveva allontanato dal tu-multo delle città. Ma la serenità che avrebbe dovutoaleggiare sulle loro celle, fatte per il raccoglimento e lapreghiera, aveva irreparabilmente esulato dal giorno in

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    «Morbidam non contemnas ovem»Girolamo a Damaso

    Sul finire del 376 il vescovo di Roma, Damaso, rice-veva fra le altre, col corriere d'Oriente, una inattesa let-tera che gli inviava dalla solitudine di Calcide nella Si-ria un asceta cristiano, a nome Eusebio Girolamo. Conparole ossequiose, con accenti commossi, il solitario im-plorava, dal remoto deserto siriano luce e cibo per la suaanima in pena, da quella cattedra di Pietro, donde avevagià ricevuto, una dozzina d'anni prima, la tunica candidadell'iniziato. Dopo averla rotta con tutta la sua famiglia;dopo aver ramingato per l'Oriente attraverso un viaggioperiglioso; Girolamo, avido di raccoglimento e di pace,aveva abbandonato i buoni amici di Antiochia e avevachiesto alla solitudine ascetica il riposo e la letizia dellacontemplazione. Ma mai delusione più amara aveva se-guito a così breve scadenza un sogno più lungamentevagheggiato. Il deserto di Calcide ospitava numerosiasceti, che il medesimo ideale aveva allontanato dal tu-multo delle città. Ma la serenità che avrebbe dovutoaleggiare sulle loro celle, fatte per il raccoglimento e lapreghiera, aveva irreparabilmente esulato dal giorno in

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  • cui le polemiche teologiche, che travagliavano da de-cenni tutte le chiese d'Oriente, quali estreme propagginidella memoranda lotta ariana, avevano valicato il limitedel deserto ed erano venute ad insidiare la virtù della ca-rità fin tra i ripudiatori del mondo. Immaginandosi dicapitare in mezzo ad un vero coro di angeli, Girolamoera precipitato invece in una bolgia di polemizzanti teo-logi. Gli asceti dovettero farsi intorno al nuovo venuto,che già tanto aveva peregrinato nel mondo, e dovetteroingaggiare viva lotta, per trarlo ciascuno al proprio par-tito. La polemica divampava intorno al significato e alvalore del vocabolo ipostasi (ὑπόστασις) e alla possibili-tà di adoperarlo per designare il Verbo e lo Spirito, di-stinti dal Padre nell'unica sostanza divina. Poichè Giro-lamo era abituato a scorgere, secondo il linguaggio dellescuole, nel termine di ipostasi un semplice sinonimo diessenza (οὐσία), si rifiutava ostinatamente di pronuncia-re la formola delle tre ipostasi, che, a suo parere, com-prometteva in maniera irreparabile la purezza della fedemonoteistica. La via più semplice per levarsi d'impacciosarebbe l'appello all'autorità ecclesiastica più vicina, alvescovo cioè di Antiochia di Siria. Ma per un complessodi circostanze che non è qui il caso di analizzare, i dissi-di teologici d'Oriente erano in quel momento intrecciatia numerosi conflitti d'indole disciplinare e personale,che rendevano infinitamente più difficile l'intesa teoricafra gli aderenti al medesimo simbolo di Nicea. Ad Anti-ochia in particolare tre presuli, Vitale, Melezio e Paoli-no, pretendevano in quel momento, con pari energia, di

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    cui le polemiche teologiche, che travagliavano da de-cenni tutte le chiese d'Oriente, quali estreme propagginidella memoranda lotta ariana, avevano valicato il limitedel deserto ed erano venute ad insidiare la virtù della ca-rità fin tra i ripudiatori del mondo. Immaginandosi dicapitare in mezzo ad un vero coro di angeli, Girolamoera precipitato invece in una bolgia di polemizzanti teo-logi. Gli asceti dovettero farsi intorno al nuovo venuto,che già tanto aveva peregrinato nel mondo, e dovetteroingaggiare viva lotta, per trarlo ciascuno al proprio par-tito. La polemica divampava intorno al significato e alvalore del vocabolo ipostasi (ὑπόστασις) e alla possibili-tà di adoperarlo per designare il Verbo e lo Spirito, di-stinti dal Padre nell'unica sostanza divina. Poichè Giro-lamo era abituato a scorgere, secondo il linguaggio dellescuole, nel termine di ipostasi un semplice sinonimo diessenza (οὐσία), si rifiutava ostinatamente di pronuncia-re la formola delle tre ipostasi, che, a suo parere, com-prometteva in maniera irreparabile la purezza della fedemonoteistica. La via più semplice per levarsi d'impacciosarebbe l'appello all'autorità ecclesiastica più vicina, alvescovo cioè di Antiochia di Siria. Ma per un complessodi circostanze che non è qui il caso di analizzare, i dissi-di teologici d'Oriente erano in quel momento intrecciatia numerosi conflitti d'indole disciplinare e personale,che rendevano infinitamente più difficile l'intesa teoricafra gli aderenti al medesimo simbolo di Nicea. Ad Anti-ochia in particolare tre presuli, Vitale, Melezio e Paoli-no, pretendevano in quel momento, con pari energia, di

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  • rappresentare la correttezza ortodossa. Nell'imbarazzo,Girolamo aveva preso il suo coraggio a due mani, e siera rivolto direttamente «al successore del pescatore eall'autentico discepolo della croce» che da Roma presie-deva ai destini della società ecclesiastica, protestando intermini calorosi di voler essere strettamente ed unica-mente vincolato alla cattedra di Pietro.

    Damaso dovette leggere e rileggere l'interessante let-tera, e per quanto si sentisse lusingato dalle dichiarazio-ni ossequiose di ubbidienza e di rispetto che essa conte-neva, si astenne lì per lì da ogni risposta. Roma sentivaistintivamente di dover procedere con molta cautelanell'esame e nella valutazione delle polemiche filoso-fico-teologiche che dilaniavano l'Oriente e di cui lesfuggivano talora le più delicate sfumature e i più pro-fondi moventi. Damaso in particolare in quel momentodifficile avrebbe preferito non immischiarsi con larghez-za in faccende ardue ed insidiose. Tanto più egli era in-dotto alla prudenza, in quanto qualche suo recente inter-vento nella questione del vescovato antiocheno avevasuscitato le rampogne, tutt'altro che corrette e riguardo-se, di personaggi eminenti, come Basilio di Cesarea.L'accorto vescovo di Roma pose dunque la lettera in uncanto e si diè più tosto a raccogliere in città particolaribiografici sull'asceta che l'aveva interpellato: potevanoessere sempre utili.

    A Roma in realtà parecchi ricordavano Eusebio Giro-lamo venuto, a pena ventenne, a studiarvi grammaticasotto Donato, sedici anni prima, dalla nativa Stridone, al

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    rappresentare la correttezza ortodossa. Nell'imbarazzo,Girolamo aveva preso il suo coraggio a due mani, e siera rivolto direttamente «al successore del pescatore eall'autentico discepolo della croce» che da Roma presie-deva ai destini della società ecclesiastica, protestando intermini calorosi di voler essere strettamente ed unica-mente vincolato alla cattedra di Pietro.

    Damaso dovette leggere e rileggere l'interessante let-tera, e per quanto si sentisse lusingato dalle dichiarazio-ni ossequiose di ubbidienza e di rispetto che essa conte-neva, si astenne lì per lì da ogni risposta. Roma sentivaistintivamente di dover procedere con molta cautelanell'esame e nella valutazione delle polemiche filoso-fico-teologiche che dilaniavano l'Oriente e di cui lesfuggivano talora le più delicate sfumature e i più pro-fondi moventi. Damaso in particolare in quel momentodifficile avrebbe preferito non immischiarsi con larghez-za in faccende ardue ed insidiose. Tanto più egli era in-dotto alla prudenza, in quanto qualche suo recente inter-vento nella questione del vescovato antiocheno avevasuscitato le rampogne, tutt'altro che corrette e riguardo-se, di personaggi eminenti, come Basilio di Cesarea.L'accorto vescovo di Roma pose dunque la lettera in uncanto e si diè più tosto a raccogliere in città particolaribiografici sull'asceta che l'aveva interpellato: potevanoessere sempre utili.

    A Roma in realtà parecchi ricordavano Eusebio Giro-lamo venuto, a pena ventenne, a studiarvi grammaticasotto Donato, sedici anni prima, dalla nativa Stridone, al

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  • confine delle Pannonia e della Dalmazia (oggi Grahovo,presso Glalnac in Bosnia). Vi aveva menato sul princi-pio vita dissipata, assaporando con avida brama tutte legioie sensuali che una grande città può offrire al provin-ciale che vi giunga con abbondanza di mezzi finanziaria propria disposizione. L'immagine anzi tentatrice deltripudio carnale a cui si era abbandonato durante la gio-vanile permanenza a Roma doveva a lungo ossessionarela sua fantasia fervida e la sua sensibilità raffinata.«Quante volte – confiderà egli stesso più tardi alla suagiovane amica Eustochio – a me sperduto nel deserto,ospite di quella immensa solitudine arsa dal sole, cui imonaci chieggono squallido riposo, parve in sogno dipartecipare ancora alle ardenti delizie di Roma. Erosolo; l'animo riboccante di amarezza; smunto e deforme,provavo io stesso ribrezzo contemplando le mie membraaride e la mia pelle abbrustolita. Gemevo e lacrimavo adogni levar di sole e quando a notte il sonno aveva ragio-ne del mio stesso volere, gettavo sulla pietra un fragilecumulo di ossa. Non parlo del cibo e della bevanda: lag-giù i monaci stessi infermi si dissetano con acqua fred-da, e un cibo caldo è un lusso inconsueto. Ebbene: ioche volontariamente, per timore dell'eterna dannazione,mi ero condannato a simile supplizio; io che avevo cer-cato l'orrida compagnia degli scorpioni e delle belve,provavo ancora la sconcertante illusione di assistere, eb-bro, alle danze procaci delle cortigiane romane. Poteva-no pure le gote essere macerate dal diuturno digiuno: ilcuore fiammeggiava di cupidigia, e nel gelido corpo,

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    confine delle Pannonia e della Dalmazia (oggi Grahovo,presso Glalnac in Bosnia). Vi aveva menato sul princi-pio vita dissipata, assaporando con avida brama tutte legioie sensuali che una grande città può offrire al provin-ciale che vi giunga con abbondanza di mezzi finanziaria propria disposizione. L'immagine anzi tentatrice deltripudio carnale a cui si era abbandonato durante la gio-vanile permanenza a Roma doveva a lungo ossessionarela sua fantasia fervida e la sua sensibilità raffinata.«Quante volte – confiderà egli stesso più tardi alla suagiovane amica Eustochio – a me sperduto nel deserto,ospite di quella immensa solitudine arsa dal sole, cui imonaci chieggono squallido riposo, parve in sogno dipartecipare ancora alle ardenti delizie di Roma. Erosolo; l'animo riboccante di amarezza; smunto e deforme,provavo io stesso ribrezzo contemplando le mie membraaride e la mia pelle abbrustolita. Gemevo e lacrimavo adogni levar di sole e quando a notte il sonno aveva ragio-ne del mio stesso volere, gettavo sulla pietra un fragilecumulo di ossa. Non parlo del cibo e della bevanda: lag-giù i monaci stessi infermi si dissetano con acqua fred-da, e un cibo caldo è un lusso inconsueto. Ebbene: ioche volontariamente, per timore dell'eterna dannazione,mi ero condannato a simile supplizio; io che avevo cer-cato l'orrida compagnia degli scorpioni e delle belve,provavo ancora la sconcertante illusione di assistere, eb-bro, alle danze procaci delle cortigiane romane. Poteva-no pure le gote essere macerate dal diuturno digiuno: ilcuore fiammeggiava di cupidigia, e nel gelido corpo,

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  • nella carne premorta all'individuo, divampava l'incendiodella lussuria. E allora, spoglio di ogni soccorso, mi get-tavo ai piedi di Gesù, l'inondavo di lacrime, l'asciugavocon i miei capelli, protraevo per settimane le mie asti-nenze, onde fiaccare la carne ribelle.»

    Ma un giorno, ben lo ricordavano a Roma, il dalmatafocoso aveva voluto sottoporre al lavacro purificatore lasua anima, ormai satolla di soddisfazioni volgari. La ce-rimonia battesimale del sabato santo l'aveva visto, aitempi di Liberio, tra le file dei neofiti ed egli aveva pro-messo solennemente in quel giorno di cercar solo nellaprofessione cristiana la pace e la serenità per il suo ani-mo irrequieto. Visse ancora per un po' di tempo a Roma,intento ad un lavoro assiduo di trascrizione di codici ealla esplorazione delle venerande memorie cristianedell'urbe. Nei giorni sacri al Signore amava, con qualcheamico, uscire per le grandi vie consolari e, abbandonan-dosi al fascino di questa meravigliosa campagna romanache ama svelare le sue bellezze solo a chi sappia inda-garle con amore volenteroso, scendeva nei luoghi doveil cristianesimo dei tempi di Settimio Severo, di Decio edi Diocleziano, aveva segnato le orme sue più luminose.Ma ben presto Roma non dovette essere più sufficienteal suo bisogno inesauribile del nuovo e dell'imprevisto.Ne uscì: non diretto al suo paese di nascita (era assiomaper lui che la perfezione non può raggiungersi da unmonaco in patria) bensì nella Gallia, di cui visitò amoro-samente le chiese e le scuole più rinomate.

    A Roma si erano così perdute le tracce di lui. Solo

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    nella carne premorta all'individuo, divampava l'incendiodella lussuria. E allora, spoglio di ogni soccorso, mi get-tavo ai piedi di Gesù, l'inondavo di lacrime, l'asciugavocon i miei capelli, protraevo per settimane le mie asti-nenze, onde fiaccare la carne ribelle.»

    Ma un giorno, ben lo ricordavano a Roma, il dalmatafocoso aveva voluto sottoporre al lavacro purificatore lasua anima, ormai satolla di soddisfazioni volgari. La ce-rimonia battesimale del sabato santo l'aveva visto, aitempi di Liberio, tra le file dei neofiti ed egli aveva pro-messo solennemente in quel giorno di cercar solo nellaprofessione cristiana la pace e la serenità per il suo ani-mo irrequieto. Visse ancora per un po' di tempo a Roma,intento ad un lavoro assiduo di trascrizione di codici ealla esplorazione delle venerande memorie cristianedell'urbe. Nei giorni sacri al Signore amava, con qualcheamico, uscire per le grandi vie consolari e, abbandonan-dosi al fascino di questa meravigliosa campagna romanache ama svelare le sue bellezze solo a chi sappia inda-garle con amore volenteroso, scendeva nei luoghi doveil cristianesimo dei tempi di Settimio Severo, di Decio edi Diocleziano, aveva segnato le orme sue più luminose.Ma ben presto Roma non dovette essere più sufficienteal suo bisogno inesauribile del nuovo e dell'imprevisto.Ne uscì: non diretto al suo paese di nascita (era assiomaper lui che la perfezione non può raggiungersi da unmonaco in patria) bensì nella Gallia, di cui visitò amoro-samente le chiese e le scuole più rinomate.

    A Roma si erano così perdute le tracce di lui. Solo

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  • dopo che, ripassato per la Dalmazia e venuto a lotta conla sua famiglia, Girolamo aveva preso la strada sugge-stiva dell'Oriente e si era isolato nel deserto di Calcide,Roma aveva riudito, nella maniera più inattesa e più so-nora, la sua voce lontana.

    Aveva accompagnato Girolamo, da Aquileia in Orien-te, deciso con lui a romperla per sempre col mondo, ungiovane amico, Eliodoro. Ma giunti a destinazione,compiute le prime esperienze ascetiche, Eliodoro avevasentito di non poter reggere ai rigori dell'aspra e disagia-ta solitudine, ed aveva ben presto fatto ritorno al mondo.Nel 373 Girolamo aveva scritto all'amico partito unalunga lettera di esortazione alla solitudine, e questa let-tera, fatta circolare in un grande numero di esemplari, inun momento in cui le tristi vicende politiche dell'impe-ro, tentennante sotto i colpi barbarici, inducevano tanteanime ad assegnare alla vita interiore dello spirito l'uni-co valore assoluto, aveva suscitato echi vasti e profondi.Parecchie copie dell'opuscolo erano giunte a Roma e nelraccoglimento discreto di parecchie case patrizie cristia-ne, già iniziate alla conoscenza dell'ascetismo orientale,le pagine alate avevano suscitato brividi di commozioneed entusiasmi di desideri e di consensi. Mai in veritàl'ideale della rinuncia e della purezza aveva avuto asser-tore più reciso e predicatore più insinuante.

    Girolamo vi aveva esortato con le lacrime agli occhiil fragile amico a tornare con lui nel deserto: «tu sai,Eliodoro, con quanto premuroso amore io abbia cercatoinvano di tenerti avvinto a me, nella solitudine. Le mie

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    dopo che, ripassato per la Dalmazia e venuto a lotta conla sua famiglia, Girolamo aveva preso la strada sugge-stiva dell'Oriente e si era isolato nel deserto di Calcide,Roma aveva riudito, nella maniera più inattesa e più so-nora, la sua voce lontana.

    Aveva accompagnato Girolamo, da Aquileia in Orien-te, deciso con lui a romperla per sempre col mondo, ungiovane amico, Eliodoro. Ma giunti a destinazione,compiute le prime esperienze ascetiche, Eliodoro avevasentito di non poter reggere ai rigori dell'aspra e disagia-ta solitudine, ed aveva ben presto fatto ritorno al mondo.Nel 373 Girolamo aveva scritto all'amico partito unalunga lettera di esortazione alla solitudine, e questa let-tera, fatta circolare in un grande numero di esemplari, inun momento in cui le tristi vicende politiche dell'impe-ro, tentennante sotto i colpi barbarici, inducevano tanteanime ad assegnare alla vita interiore dello spirito l'uni-co valore assoluto, aveva suscitato echi vasti e profondi.Parecchie copie dell'opuscolo erano giunte a Roma e nelraccoglimento discreto di parecchie case patrizie cristia-ne, già iniziate alla conoscenza dell'ascetismo orientale,le pagine alate avevano suscitato brividi di commozioneed entusiasmi di desideri e di consensi. Mai in veritàl'ideale della rinuncia e della purezza aveva avuto asser-tore più reciso e predicatore più insinuante.

    Girolamo vi aveva esortato con le lacrime agli occhiil fragile amico a tornare con lui nel deserto: «tu sai,Eliodoro, con quanto premuroso amore io abbia cercatoinvano di tenerti avvinto a me, nella solitudine. Le mie

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  • dolci parole di persuasione sono state vane: debbo tenta-re ormai il rimbrotto e la minaccia. Orsù, soldato effe-minato, a che t'indugi nella casa paterna? Ecco, giàsquilla dal cielo la tromba: il sovrano armato scendedalle nubi a soggiogare il mondo; l'affilata spada cheesce dalla bocca del re fende quanto si leva sul suo cam-mino: e tu pretenderesti di passare subitamente dal soffi-ce giaciglio al combattimento, e dall'ombra discreta, alfulgore abbagliante del sole? Un corpo abituato alla tu-nica non può tollerare il peso della corazza e un capo ri-coperto di solito di stoffa, si ribella al casco. Tu ricordala sentenza del sovrano: chi non è con me, è contro dime. Ricorda il giorno solenne della tua iniziazione,quando sepolto in una con Cristo nelle acque battesima-li, giurasti solennemente con la formola sacramentaled'esser pronto, per il suo nome, a dimenticare padre emadre. L'eterno avversario cerca ora di trafiggere Cristonel tuo spirito: tutta l'oste nemica brama di carpirti ilsoldo che ricevesti, dando il tuo nome alla sacra milizia.Ebbene: qualora pure il pargoletto nipote si avviticchiforte al tuo collo; qualora pure tua madre, con i capellidiscinti e le vesti a brandelli, venga a mostrarti il pettocon cui ti nutrì; dico di più, qualora pure tuo padre ven-ga a porsi traverso alla porta di casa: tu fuggi, passandosul corpo di tuo padre, tu, a ciglio asciutto, vola, volaalla croce. Nel dominio della vita spirituale, l'esser cru-deli significa essere pii... Nè devi credere che le supre-me rinuncie siano imposte sol nell'istante del martirio.Tutta la nostra esistenza si svolge sotto il pungolo di una

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    dolci parole di persuasione sono state vane: debbo tenta-re ormai il rimbrotto e la minaccia. Orsù, soldato effe-minato, a che t'indugi nella casa paterna? Ecco, giàsquilla dal cielo la tromba: il sovrano armato scendedalle nubi a soggiogare il mondo; l'affilata spada cheesce dalla bocca del re fende quanto si leva sul suo cam-mino: e tu pretenderesti di passare subitamente dal soffi-ce giaciglio al combattimento, e dall'ombra discreta, alfulgore abbagliante del sole? Un corpo abituato alla tu-nica non può tollerare il peso della corazza e un capo ri-coperto di solito di stoffa, si ribella al casco. Tu ricordala sentenza del sovrano: chi non è con me, è contro dime. Ricorda il giorno solenne della tua iniziazione,quando sepolto in una con Cristo nelle acque battesima-li, giurasti solennemente con la formola sacramentaled'esser pronto, per il suo nome, a dimenticare padre emadre. L'eterno avversario cerca ora di trafiggere Cristonel tuo spirito: tutta l'oste nemica brama di carpirti ilsoldo che ricevesti, dando il tuo nome alla sacra milizia.Ebbene: qualora pure il pargoletto nipote si avviticchiforte al tuo collo; qualora pure tua madre, con i capellidiscinti e le vesti a brandelli, venga a mostrarti il pettocon cui ti nutrì; dico di più, qualora pure tuo padre ven-ga a porsi traverso alla porta di casa: tu fuggi, passandosul corpo di tuo padre, tu, a ciglio asciutto, vola, volaalla croce. Nel dominio della vita spirituale, l'esser cru-deli significa essere pii... Nè devi credere che le supre-me rinuncie siano imposte sol nell'istante del martirio.Tutta la nostra esistenza si svolge sotto il pungolo di una

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  • implacabile persecuzione, e in ognuno di noi mille av-versari, con mille arti, tentano ad ogni secondo di mano-mettere la nostra grazia cristiana. Via dunque dalla tuapatria: il monaco non può toccare in patria la perfezione,e rinunciare alla perfezione è già un delinquere. Nè deviaddurre l'esempio del clero che vive nel mondo. Dio miguardi dal pronunciare parola sinistra sul conto di coloroche, succedendo in dignità agli apostoli, con le labbraconsacrate fanno presente il corpo di Cristo; per mezzodei quali noi stessi diveniamo cristiani; che, padroni del-le chiavi celesti, giudicano in certo modo prima del dìdel giudizio e conservano la sposa del Signore in unostato di specchiata castità. Ma il monaco non è l'eccle-siastico. Questi pasce il gregge, quegli è sotto il suo vin-castro. Ma a quanto numerosi e gravi rischi è esposto ilpastore! Non credere che basti la dignità gerarchica acostituire ecclesiastici: e pensa che quegli cui più fu do-nato, a più dura resa di conti sarà chiamato. Se il mona-co vacilla e cade, il prete pregherà per lui: ma sulla ca-duta del prete, chi mai leverà la sua supplica a Dio?....Ma io debbo sospendere la mia parentesi e sciogliere or-mai l'inno della mia gioia. Oh, deserto smaltato dei fioriprimaverili di Cristo; o solitudine dal grembo della qua-le erompono le pietre onde si leva la città apocalitticadel re glorioso; o eremo tripudiante nella dimestichezzadi Dio: che cosa fai mai nel mondo, o fratello, tu delmondo più grande? Fino a quando ti lascerai opprimeredall'ombra dei tetti e chiudere e soffocare fra le mura diqueste affumicate carceri, che sono le nostre città? Cre-

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    implacabile persecuzione, e in ognuno di noi mille av-versari, con mille arti, tentano ad ogni secondo di mano-mettere la nostra grazia cristiana. Via dunque dalla tuapatria: il monaco non può toccare in patria la perfezione,e rinunciare alla perfezione è già un delinquere. Nè deviaddurre l'esempio del clero che vive nel mondo. Dio miguardi dal pronunciare parola sinistra sul conto di coloroche, succedendo in dignità agli apostoli, con le labbraconsacrate fanno presente il corpo di Cristo; per mezzodei quali noi stessi diveniamo cristiani; che, padroni del-le chiavi celesti, giudicano in certo modo prima del dìdel giudizio e conservano la sposa del Signore in unostato di specchiata castità. Ma il monaco non è l'eccle-siastico. Questi pasce il gregge, quegli è sotto il suo vin-castro. Ma a quanto numerosi e gravi rischi è esposto ilpastore! Non credere che basti la dignità gerarchica acostituire ecclesiastici: e pensa che quegli cui più fu do-nato, a più dura resa di conti sarà chiamato. Se il mona-co vacilla e cade, il prete pregherà per lui: ma sulla ca-duta del prete, chi mai leverà la sua supplica a Dio?....Ma io debbo sospendere la mia parentesi e sciogliere or-mai l'inno della mia gioia. Oh, deserto smaltato dei fioriprimaverili di Cristo; o solitudine dal grembo della qua-le erompono le pietre onde si leva la città apocalitticadel re glorioso; o eremo tripudiante nella dimestichezzadi Dio: che cosa fai mai nel mondo, o fratello, tu delmondo più grande? Fino a quando ti lascerai opprimeredall'ombra dei tetti e chiudere e soffocare fra le mura diqueste affumicate carceri, che sono le nostre città? Cre-

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  • dimi: sull'orizzonte aperto scorgo una luce smisurata.Temi forse la povertà? Ma Cristo ha chiamato beati i po-veri. Pensi al cattivo cibo? La fede non prova gli stimolidella fame. Ti fa raccapriccio il riflettere che dovrai dor-mire sulla nuda terra? Rallegrati: il Signore ti sarà com-pagno a giacere. Ti sgomenta l'immensità del deserto? Iltuo spirito vagherà negli spazi radiosi del cielo. Prevediche la pelle diverrà ruvida senza il bagno? Chi ha rice-vuto il battesimo in Cristo, non ha più bisogno di lavar-si. Via, sei bene esigente, amico, se pretendi di folleg-giare qui col mondo e poi regnare col Cristo. Verrà pureil giorno in cui questa nostra veste corruttibile dovrà tra-sfigurarsi nella immortalità. A che cosa varranno quelgiorno il fasto e la dottrina, le dignità e le ricchezze, isogni di Platone e gli argomenti di Aristotele? Soli ride-ranno i disgraziati e gl'ignoranti di Cristo....».

    Ammiratore appassionato dell'ideale ascetico; incul-catore instancabile del celibato ecclesiastico; Damasodovette versare lacrime di vera commozione su paginecosì riboccanti di fervore mistico, dove, non senza para-dosso, ma ad ogni modo con ispirazione elevatissima, sistabiliva un'equazione assoluta fra la perfezione e il mo-nachismo. Il suo cuore l'avrebbe indotto a risponderesenz'altro al solitario di Calcide, che aveva scritto pagi-ne così meravigliosamente toccanti, e a sollevarlo auto-revolmente nelle sue angustie; il suo fine accorgimentodi reggitore della chiesa romana ne lo trattenne. Frattan-to Girolamo attendeva e soffriva.

    Il fervore parossistico delle dispute teologiche spinge-

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    dimi: sull'orizzonte aperto scorgo una luce smisurata.Temi forse la povertà? Ma Cristo ha chiamato beati i po-veri. Pensi al cattivo cibo? La fede non prova gli stimolidella fame. Ti fa raccapriccio il riflettere che dovrai dor-mire sulla nuda terra? Rallegrati: il Signore ti sarà com-pagno a giacere. Ti sgomenta l'immensità del deserto? Iltuo spirito vagherà negli spazi radiosi del cielo. Prevediche la pelle diverrà ruvida senza il bagno? Chi ha rice-vuto il battesimo in Cristo, non ha più bisogno di lavar-si. Via, sei bene esigente, amico, se pretendi di folleg-giare qui col mondo e poi regnare col Cristo. Verrà pureil giorno in cui questa nostra veste corruttibile dovrà tra-sfigurarsi nella immortalità. A che cosa varranno quelgiorno il fasto e la dottrina, le dignità e le ricchezze, isogni di Platone e gli argomenti di Aristotele? Soli ride-ranno i disgraziati e gl'ignoranti di Cristo....».

    Ammiratore appassionato dell'ideale ascetico; incul-catore instancabile del celibato ecclesiastico; Damasodovette versare lacrime di vera commozione su paginecosì riboccanti di fervore mistico, dove, non senza para-dosso, ma ad ogni modo con ispirazione elevatissima, sistabiliva un'equazione assoluta fra la perfezione e il mo-nachismo. Il suo cuore l'avrebbe indotto a risponderesenz'altro al solitario di Calcide, che aveva scritto pagi-ne così meravigliosamente toccanti, e a sollevarlo auto-revolmente nelle sue angustie; il suo fine accorgimentodi reggitore della chiesa romana ne lo trattenne. Frattan-to Girolamo attendeva e soffriva.

    Il fervore parossistico delle dispute teologiche spinge-

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  • va i monaci ai più ripugnanti eccessi. Girolamo stesso lidenunciava: «fa pena il doverlo dire. Dal fondo dellenostre caverne osiamo giudicare l'universo. Sotto la tu-nica della penitenza rechiamo con noi una superbia re-gale, dimentichi che le catene, la sordidezza, le lunghechiome, stanno ad indicare, non già un diadema, ma ilpianto. Per una proposizione teologica noi ci accapiglia-mo e giungiamo a sputacchiarci a vicenda, dopo avere alungo discusso.»

    Stanco e nauseato, Girolamo volle ritentare la prova escrisse una seconda lettera a Damaso, chiedendo nuova-mente che fossero illuminati i suoi dubbi e indicata allasua incertezza teologica, la via sicura da battere. Forse,ma non se ne ha notizia sicura, Roma questa volta rispo-se: ad ogni modo Girolamo non volle più a lungo esserevittima dei rancori e delle gelosie dei suoi compagni diascetismo e abbandonò nella primavera del 379 il deser-to di Calcide. Pochi mesi prima, nell'agosto del 378,l'impero d'Oriente aveva subito uno scacco clamorosoad Adrianopoli, e lo stesso imperatore Valente era scom-parso nella confusione della disfatta. I Goti vincitori do-vettero traboccare fin nella Dalmazia e forse allora fudistrutta Stridone, la patria di Girolamo. Egli dovettesentirsi così veramente tagliato fuori del mondo, navi-cella portata alla deriva. Solo e ramingo, egli potevaporsi in cammino a cercar, dovunque, la pace e la libertàdei figli di Dio.

    Si recò da prima ad Antiochia, dove il vescovo Paoli-no, quegli stesso verso il quale andavano le preferenze

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    va i monaci ai più ripugnanti eccessi. Girolamo stesso lidenunciava: «fa pena il doverlo dire. Dal fondo dellenostre caverne osiamo giudicare l'universo. Sotto la tu-nica della penitenza rechiamo con noi una superbia re-gale, dimentichi che le catene, la sordidezza, le lunghechiome, stanno ad indicare, non già un diadema, ma ilpianto. Per una proposizione teologica noi ci accapiglia-mo e giungiamo a sputacchiarci a vicenda, dopo avere alungo discusso.»

    Stanco e nauseato, Girolamo volle ritentare la prova escrisse una seconda lettera a Damaso, chiedendo nuova-mente che fossero illuminati i suoi dubbi e indicata allasua incertezza teologica, la via sicura da battere. Forse,ma non se ne ha notizia sicura, Roma questa volta rispo-se: ad ogni modo Girolamo non volle più a lungo esserevittima dei rancori e delle gelosie dei suoi compagni diascetismo e abbandonò nella primavera del 379 il deser-to di Calcide. Pochi mesi prima, nell'agosto del 378,l'impero d'Oriente aveva subito uno scacco clamorosoad Adrianopoli, e lo stesso imperatore Valente era scom-parso nella confusione della disfatta. I Goti vincitori do-vettero traboccare fin nella Dalmazia e forse allora fudistrutta Stridone, la patria di Girolamo. Egli dovettesentirsi così veramente tagliato fuori del mondo, navi-cella portata alla deriva. Solo e ramingo, egli potevaporsi in cammino a cercar, dovunque, la pace e la libertàdei figli di Dio.

    Si recò da prima ad Antiochia, dove il vescovo Paoli-no, quegli stesso verso il quale andavano le preferenze

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  • di Roma, l'ordinò prete, senza riuscire con ciò a fargliporre radici sul terreno della sua giurisdizione. Conti-nuando il suo indocile pellegrinaggio, mosse verso Co-stantinopoli, bramoso di completare la sua cultura teolo-gica, cui aveva già atteso ad Antiochia al suo primo arri-vo in Oriente sotto la guida del famoso Apollinare, eche aveva più assiduamente coltivato nel deserto, com-mentando qualche libro del Vecchio Testamento e stu-diando l'ebraico, per leggerne il testo nell'originale. Sitrovava allora a Costantinopoli il famoso oratore Grego-rio, cappadoce di nascita, monaco per vocazione, orige-niano per cultura teologica, vescovo e patriarca controvoglia. Girolamo fu assiduo alle sue prediche: fu più as-siduo alle sue conversazioni, e ne ricavò un incalcolabi-le profitto. Sotto la sua ispirazione, cominciò quel suoindefesso lavoro di traduttore dal greco, che mirava adavvicinare le comunità cristiane di occidente alle operefondamentali della cultura ecclesiastica orientale. Lacronaca eusebiana, alcune omelie di Origene su Eze-chiele e su Geremia, furono i primi saggi di questa atti-vità di traduttore, cui Girolamo non doveva più rinun-ciare. Contemporaneamente, prima manifestazione diun'operosità strettamente teologica che non fu mai mol-to profonda e tanto meno originale, Girolamo redigevaun trattatello sui Serafini, dedicato poco più tardi a Da-maso.

    Pur essendo di solito molto proclive a disseminarelettere e scritti polemici di particolari biografici; puravendo avuto la disinvolta franchezza di inserire un bre-

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    di Roma, l'ordinò prete, senza riuscire con ciò a fargliporre radici sul terreno della sua giurisdizione. Conti-nuando il suo indocile pellegrinaggio, mosse verso Co-stantinopoli, bramoso di completare la sua cultura teolo-gica, cui aveva già atteso ad Antiochia al suo primo arri-vo in Oriente sotto la guida del famoso Apollinare, eche aveva più assiduamente coltivato nel deserto, com-mentando qualche libro del Vecchio Testamento e stu-diando l'ebraico, per leggerne il testo nell'originale. Sitrovava allora a Costantinopoli il famoso oratore Grego-rio, cappadoce di nascita, monaco per vocazione, orige-niano per cultura teologica, vescovo e patriarca controvoglia. Girolamo fu assiduo alle sue prediche: fu più as-siduo alle sue conversazioni, e ne ricavò un incalcolabi-le profitto. Sotto la sua ispirazione, cominciò quel suoindefesso lavoro di traduttore dal greco, che mirava adavvicinare le comunità cristiane di occidente alle operefondamentali della cultura ecclesiastica orientale. Lacronaca eusebiana, alcune omelie di Origene su Eze-chiele e su Geremia, furono i primi saggi di questa atti-vità di traduttore, cui Girolamo non doveva più rinun-ciare. Contemporaneamente, prima manifestazione diun'operosità strettamente teologica che non fu mai mol-to profonda e tanto meno originale, Girolamo redigevaun trattatello sui Serafini, dedicato poco più tardi a Da-maso.

    Pur essendo di solito molto proclive a disseminarelettere e scritti polemici di particolari biografici; puravendo avuto la disinvolta franchezza di inserire un bre-

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  • ve saggio autobiografico nella sua schematica cronisto-ria delle figure più eminenti che avevano illustrato il cri-stianesimo fino ai suoi tempi; Girolamo non ci parla maia lungo di questa sua permanenza a Costantinopoli,dove si svolgeva nel 381 quel solenne concilio che con-dannava i macedoniani e le loro teorie contrarie alla di-vinità dello Spirito Santo e che vedeva nel giro di unmese l'elezione del Nazianzeno a patriarca della capitalee le sue dimissioni. Molto probabilmente Girolamo nonsi trovava affatto a suo agio in mezzo a quei vescoviscissi da irriducibili divergenze teologiche, attraverso lequali si esprimevano profonde avversioni politiche edetniche. Il suo ansioso pensiero volava lontano, a Roma,verso cui gravitava quanto di latino sopravvivevanell'impero, ormai così profondamente orientalizzato.Un'occasione improvvisa si offrì ben presto, per tradurrel'accarezzato sogno in realtà.

    Il sinodo che il 3 settembre del 381 si era inaugurato,sotto la presidenza di Ambrogio di Milano, ad Aquileia,per esaminare l'eterna questione delle infiltrazioni arianein seno all'episcopato cattolico e per promuovere possi-bilmente qualche provvedimento inteso ad appianare idissensi personali che laceravano la compattezzadell'episcopato d'oriente, si era chiuso col proposito difavorire la convocazione di un concilio plenario aRoma, dove Oriente ed Occidente potessero incontrarsie intendersi direttamente. L'idea fu accolta da Teodosio,che facilitò la riunione del sinodo a Roma nel 382. Nonpossediamo copiose informazioni sui suoi lavori, ma

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    ve saggio autobiografico nella sua schematica cronisto-ria delle figure più eminenti che avevano illustrato il cri-stianesimo fino ai suoi tempi; Girolamo non ci parla maia lungo di questa sua permanenza a Costantinopoli,dove si svolgeva nel 381 quel solenne concilio che con-dannava i macedoniani e le loro teorie contrarie alla di-vinità dello Spirito Santo e che vedeva nel giro di unmese l'elezione del Nazianzeno a patriarca della capitalee le sue dimissioni. Molto probabilmente Girolamo nonsi trovava affatto a suo agio in mezzo a quei vescoviscissi da irriducibili divergenze teologiche, attraverso lequali si esprimevano profonde avversioni politiche edetniche. Il suo ansioso pensiero volava lontano, a Roma,verso cui gravitava quanto di latino sopravvivevanell'impero, ormai così profondamente orientalizzato.Un'occasione improvvisa si offrì ben presto, per tradurrel'accarezzato sogno in realtà.

    Il sinodo che il 3 settembre del 381 si era inaugurato,sotto la presidenza di Ambrogio di Milano, ad Aquileia,per esaminare l'eterna questione delle infiltrazioni arianein seno all'episcopato cattolico e per promuovere possi-bilmente qualche provvedimento inteso ad appianare idissensi personali che laceravano la compattezzadell'episcopato d'oriente, si era chiuso col proposito difavorire la convocazione di un concilio plenario aRoma, dove Oriente ed Occidente potessero incontrarsie intendersi direttamente. L'idea fu accolta da Teodosio,che facilitò la riunione del sinodo a Roma nel 382. Nonpossediamo copiose informazioni sui suoi lavori, ma

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  • non dovettero essere di straordinaria importanza e forseil principale risultato della non comune adunanza fuquello di aver raccolto a Roma, intorno a Damaso, unnotevole gruppo di vescovi famosi, tra cui spiccavanol'instancabile Acolio di Tessalonica, il venerando Am-brogio di Milano, il bistrattato Paolino di Antiochia,Epifanio di Salamina. Questi due ultimi provenivano daCostantinopoli. Girolamo, colta l'occasione, si era postoal loro seguito e aveva veleggiato anche lui verso l'Occi-dente.

    Rientrando a Roma dopo più che un quindicennio,preceduto dalla fama in cui ormai l'avevano posto iviaggi avventurosi e l'intensa propaganda ascetica, al re-duce dal deserto di Calcide poteva forse prospettarsi unbrillante avvenire ecclesiastico. Le correnti spiritualinon guadagnavano rapidamente il miglior ceto dell'ari-stocrazia colta a Roma e non era egli designato natural-mente ad assumerle tutte sotto la sua tutela e la sua gui-da? Girolamo aveva allora circa 42 anni: era nella pie-nezza delle sue forze fisiche e morali, nella possibilità diadoperare con successo le naturali attitudini del suo in-gegno e le capacità acquisite attraverso lunghi anni di ti-rocinio e di studi. Oltre a maneggiare il latino come unodei più felici scolari di Donato, Girolamo aveva ormai lapiena padronanza del greco e dell'ebraico, e una cono-scenza non comune della letteratura ecclesiastica. Presotutto da una passione ardente per quell'ideale di rinunciaal mondo che investiva e soggiogava la società cristianadel IV secolo, come quei soffi potenti di vento che pie-

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    non dovettero essere di straordinaria importanza e forseil principale risultato della non comune adunanza fuquello di aver raccolto a Roma, intorno a Damaso, unnotevole gruppo di vescovi famosi, tra cui spiccavanol'instancabile Acolio di Tessalonica, il venerando Am-brogio di Milano, il bistrattato Paolino di Antiochia,Epifanio di Salamina. Questi due ultimi provenivano daCostantinopoli. Girolamo, colta l'occasione, si era postoal loro seguito e aveva veleggiato anche lui verso l'Occi-dente.

    Rientrando a Roma dopo più che un quindicennio,preceduto dalla fama in cui ormai l'avevano posto iviaggi avventurosi e l'intensa propaganda ascetica, al re-duce dal deserto di Calcide poteva forse prospettarsi unbrillante avvenire ecclesiastico. Le correnti spiritualinon guadagnavano rapidamente il miglior ceto dell'ari-stocrazia colta a Roma e non era egli designato natural-mente ad assumerle tutte sotto la sua tutela e la sua gui-da? Girolamo aveva allora circa 42 anni: era nella pie-nezza delle sue forze fisiche e morali, nella possibilità diadoperare con successo le naturali attitudini del suo in-gegno e le capacità acquisite attraverso lunghi anni di ti-rocinio e di studi. Oltre a maneggiare il latino come unodei più felici scolari di Donato, Girolamo aveva ormai lapiena padronanza del greco e dell'ebraico, e una cono-scenza non comune della letteratura ecclesiastica. Presotutto da una passione ardente per quell'ideale di rinunciaal mondo che investiva e soggiogava la società cristianadel IV secolo, come quei soffi potenti di vento che pie-

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  • gano d'un subito in un vasto movimento di onde uncampo di spighe mature, Girolamo era l'uomo adatto adominare i più raffinati gruppi di cristiani romani delsuo tempo. A parte le sue personali aspirazioni, avrebbeindubbiamente raggiunto i più alti gradi della gerarchiaecclesiastica, come molti ben presto credettero di poterprognosticare a Roma, se un complesso di circostanzenon l'avesse, come suol dirsi, sollecitamente compro-messo.

    Egli entrò d'un subito nelle grazie e nella dimesti-chezza di Damaso. Come dovette essere gradita al vec-chio pontefice, amareggiato dalla durissima lotta colpartito di Ursino, intrattenersi con l'autore della letteraad Eliodoro e parlar con lui di quegli argomenti concer-nenti la situazione delle chiese orientali, intorno ai qualinon aveva osato parlare pubblicamente per lettera! Nelgoverno della chiesa, Girolamo apparve a Damaso uncooperatore prezioso: e questi se ne servì nella copiosacorrispondenza, nella delucidazione dei dubbi biblici,nella trattazione delle questioni d'Oriente. Nè basta.Bramoso di ridurre ad unità il testo latino corrente delNuovo Testamento, di cui può dirsi che corressero ormai«tot lectiones, quot codices», Damaso affidava al tradut-tore di Eusebio e di Origene il compito di rivedere laversione latina del Nuovo Testamento sull'originale gre-co, e uscendo poi dai confini della letteratura neotesta-nientaria, lo incaricava di correggere sul testo dei Set-tanta la versione corrente dell'Antico.

    Ma l'opera più grata al suo cuore di monaco, più dol-

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    gano d'un subito in un vasto movimento di onde uncampo di spighe mature, Girolamo era l'uomo adatto adominare i più raffinati gruppi di cristiani romani delsuo tempo. A parte le sue personali aspirazioni, avrebbeindubbiamente raggiunto i più alti gradi della gerarchiaecclesiastica, come molti ben presto credettero di poterprognosticare a Roma, se un complesso di circostanzenon l'avesse, come suol dirsi, sollecitamente compro-messo.

    Egli entrò d'un subito nelle grazie e nella dimesti-chezza di Damaso. Come dovette essere gradita al vec-chio pontefice, amareggiato dalla durissima lotta colpartito di Ursino, intrattenersi con l'autore della letteraad Eliodoro e parlar con lui di quegli argomenti concer-nenti la situazione delle chiese orientali, intorno ai qualinon aveva osato parlare pubblicamente per lettera! Nelgoverno della chiesa, Girolamo apparve a Damaso uncooperatore prezioso: e questi se ne servì nella copiosacorrispondenza, nella delucidazione dei dubbi biblici,nella trattazione delle questioni d'Oriente. Nè basta.Bramoso di ridurre ad unità il testo latino corrente delNuovo Testamento, di cui può dirsi che corressero ormai«tot lectiones, quot codices», Damaso affidava al tradut-tore di Eusebio e di Origene il compito di rivedere laversione latina del Nuovo Testamento sull'originale gre-co, e uscendo poi dai confini della letteratura neotesta-nientaria, lo incaricava di correggere sul testo dei Set-tanta la versione corrente dell'Antico.

    Ma l'opera più grata al suo cuore di monaco, più dol-

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  • ce al suo ideale di spiritualista eletto, fu a Roma la dire-zione affettuosa della piccola «chiesa domestica» che lavedova Marcella organizzò sotto i suoi auspici nella suadimora signorile dell'Aventino.

    L'ideale della continenza aveva già dietro a sè unalunga storia in seno alla società cristiana. Sbocciato conla stessa propaganda evangelica, poteva dirsi, secondomodelli molteplici ed eterogenei, aveva avuto, oltre cheseguaci insigni, teorici rigorosi. Nella stessa chiesa diOccidente, Tertulliano agli albori, Cipriano alla metà delIII secolo, avevano, con parole rudi e allusioni impres-sionanti, raccomandato a quanti e a quante abbracciava-no il programma della verginità, di essere seriamente fe-deli alla professione di vita prescelta. E pare che ve nefosse urgente bisogno. Quel che Cipriano dice nel Dehabitu virginum fa pensare che l'ideale della continenzafosse nella Cartagine del terzo secolo, alla vigilia dellapersecuzione deciana, una non incomoda e non gravosamoda, se le giovanette che lo avevano abbracciato nonsentivano nè pure la necessità di evitare i bagni promi-scui, dove i pericoli erano infinitamente maggiori diquelli che le nostre consuetudini, di tanto più corrette,potrebbero farci immaginare.

    Nella seconda metà del III secolo gli asceti comincia-no a separarsi dalla comunità cristiana per ritirarsi nellasolitudine. Paolo di Tebe (234-345) è il primo solitariodi cui una leggenda in parte lussureggiante ci abbia tra-mandato il ricordo, ma sant'Antonio è il tipo più rappre-sentativo della vita eremitica, che Pacomio trasforma

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    ce al suo ideale di spiritualista eletto, fu a Roma la dire-zione affettuosa della piccola «chiesa domestica» che lavedova Marcella organizzò sotto i suoi auspici nella suadimora signorile dell'Aventino.

    L'ideale della continenza aveva già dietro a sè unalunga storia in seno alla società cristiana. Sbocciato conla stessa propaganda evangelica, poteva dirsi, secondomodelli molteplici ed eterogenei, aveva avuto, oltre cheseguaci insigni, teorici rigorosi. Nella stessa chiesa diOccidente, Tertulliano agli albori, Cipriano alla metà delIII secolo, avevano, con parole rudi e allusioni impres-sionanti, raccomandato a quanti e a quante abbracciava-no il programma della verginità, di essere seriamente fe-deli alla professione di vita prescelta. E pare che ve nefosse urgente bisogno. Quel che Cipriano dice nel Dehabitu virginum fa pensare che l'ideale della continenzafosse nella Cartagine del terzo secolo, alla vigilia dellapersecuzione deciana, una non incomoda e non gravosamoda, se le giovanette che lo avevano abbracciato nonsentivano nè pure la necessità di evitare i bagni promi-scui, dove i pericoli erano infinitamente maggiori diquelli che le nostre consuetudini, di tanto più corrette,potrebbero farci immaginare.

    Nella seconda metà del III secolo gli asceti comincia-no a separarsi dalla comunità cristiana per ritirarsi nellasolitudine. Paolo di Tebe (234-345) è il primo solitariodi cui una leggenda in parte lussureggiante ci abbia tra-mandato il ricordo, ma sant'Antonio è il tipo più rappre-sentativo della vita eremitica, che Pacomio trasforma

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  • nel deserto egiziano in cenobitica. Esule a Roma, sottola persecuzione ariana di Costanzo, fra il 339 e il 340,Atanasio, il grande vescovo d'Alessandria, aveva fattoconoscere l'ideale monastico praticato laggiù oltre maree la sua apologia dell'ascetismo aveva riscosso nei circo-li aristocratici romani, calorosi consensi.

    In verità il piccolo cenacolo cristiano di cui Marcellaera il centro, preesisteva all'arrivo di Girolamo a Roma.Marcella aveva visto da fanciulletta l'austero volto diAtanasio e aveva udito qualcuna delle sue parole ispira-te. In fondo all'anima sua era rimasto come il sensoinappagato di un ideale non raggiunto e nella sua vedo-vanza aveva preso la consuetudine di raccogliere quoti-dianamente presso di sè, nella grande casa dell'Aventi-no, il modesto ma sceltissimo nucleo di amiche, che va-gheggiavano concordemente il sogno di costituire neltumulto di Roma, un saggio di cenobitismo cristiano.Girolamo diede cemento al gruppo eletto, in cui figura-vano, oltre la nobile ospite, la vedova Lea, la vergineAsella, la vedova Paola e la sua tenera figliuola, Eusto-chio, della famiglia degli Scipioni, e poi Albina, Mar-cellina, Felicita, Principia, Feliciana.

    Tra questo stuolo di spirituali donne cristiane e Giro-lamo l'amicizia nacque spontanea: e fu calda e tenace.Fu la simpatia che sgorga pronta e irrefrenabile dalla co-munanza delle aspirazioni e dei sogni. «Nessuna donna– poteva proclamare più tardi l'asceta – soggiogò aRoma il mio spirito, se non quelle che piangenti, digiu-nanti, accecate quasi dalle lacrime, solevano implorare

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    nel deserto egiziano in cenobitica. Esule a Roma, sottola persecuzione ariana di Costanzo, fra il 339 e il 340,Atanasio, il grande vescovo d'Alessandria, aveva fattoconoscere l'ideale monastico praticato laggiù oltre maree la sua apologia dell'ascetismo aveva riscosso nei circo-li aristocratici romani, calorosi consensi.

    In verità il piccolo cenacolo cristiano di cui Marcellaera il centro, preesisteva all'arrivo di Girolamo a Roma.Marcella aveva visto da fanciulletta l'austero volto diAtanasio e aveva udito qualcuna delle sue parole ispira-te. In fondo all'anima sua era rimasto come il sensoinappagato di un ideale non raggiunto e nella sua vedo-vanza aveva preso la consuetudine di raccogliere quoti-dianamente presso di sè, nella grande casa dell'Aventi-no, il modesto ma sceltissimo nucleo di amiche, che va-gheggiavano concordemente il sogno di costituire neltumulto di Roma, un saggio di cenobitismo cristiano.Girolamo diede cemento al gruppo eletto, in cui figura-vano, oltre la nobile ospite, la vedova Lea, la vergineAsella, la vedova Paola e la sua tenera figliuola, Eusto-chio, della famiglia degli Scipioni, e poi Albina, Mar-cellina, Felicita, Principia, Feliciana.

    Tra questo stuolo di spirituali donne cristiane e Giro-lamo l'amicizia nacque spontanea: e fu calda e tenace.Fu la simpatia che sgorga pronta e irrefrenabile dalla co-munanza delle aspirazioni e dei sogni. «Nessuna donna– poteva proclamare più tardi l'asceta – soggiogò aRoma il mio spirito, se non quelle che piangenti, digiu-nanti, accecate quasi dalle lacrime, solevano implorare

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  • ogni notte la misericordia del Signore e si facevano co-gliere dal sole nascente ancora intente a pregare.» Dalcanto loro, le nobili matrone e le giovanette dell'Aventi-no rispondevano alle delicate attenzioni e alla premuro-sa sorveglianza dell'asceta, bevendo con avidità la suadotta e amata parola, cercando di seguirlo quanto più dapresso fosse possibile nella sua esplorazione biblica enella sua speculazione religiosa. Paola si diè anzi allostudio dell'ebraico, onde le spiegazioni scritturali delmaestro potessero riuscirle più agevoli e più perspicue.

    Ma le frequentatissime riunioni dell'Aventino non ba-stavano alla fervida brama di Girolamo di essere a con-tatto con lo spirito delle sue fedeli, di foggiarne durevol-mente le attitudini, di imprimervi un'orma incancellabi-le. E dopo averle lasciate, chiuso nel suo rifugio, si in-tratteneva ancora con loro scrivendo lettere, in cui river-sava la piena della sua erudizione e del suo entusiasmocristiano. Forse non era estranea alla sua attività episto-lare la volontà di raggiungere, al di là del suo nucleo af-fezionato, il gran pubblico di Roma, e di raccogliere inmezzo ad esso nuovi proseliti.

    Gli anni romani di San Girolamo furono in realtà ric-chi di una attività prodigiosa. Segretario di Damaso, pa-dre spirituale della «chiesa domestica» dell'Aventino, re-visore della Bibbia latina, epistolografo pieno di brio edi sottigliezza, Girolamo trova pure il tempo di sostene-re polemiche. Avendo un tal Elvidio scritto una breveopera per sostenere che Maria aveva avuto figli da Giu-seppe, dopo aver generato, per virtù dello Spirito Santo,

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    ogni notte la misericordia del Signore e si facevano co-gliere dal sole nascente ancora intente a pregare.» Dalcanto loro, le nobili matrone e le giovanette dell'Aventi-no rispondevano alle delicate attenzioni e alla premuro-sa sorveglianza dell'asceta, bevendo con avidità la suadotta e amata parola, cercando di seguirlo quanto più dapresso fosse possibile nella sua esplorazione biblica enella sua speculazione religiosa. Paola si diè anzi allostudio dell'ebraico, onde le spiegazioni scritturali delmaestro potessero riuscirle più agevoli e più perspicue.

    Ma le frequentatissime riunioni dell'Aventino non ba-stavano alla fervida brama di Girolamo di essere a con-tatto con lo spirito delle sue fedeli, di foggiarne durevol-mente le attitudini, di imprimervi un'orma incancellabi-le. E dopo averle lasciate, chiuso nel suo rifugio, si in-tratteneva ancora con loro scrivendo lettere, in cui river-sava la piena della sua erudizione e del suo entusiasmocristiano. Forse non era estranea alla sua attività episto-lare la volontà di raggiungere, al di là del suo nucleo af-fezionato, il gran pubblico di Roma, e di raccogliere inmezzo ad esso nuovi proseliti.

    Gli anni romani di San Girolamo furono in realtà ric-chi di una attività prodigiosa. Segretario di Damaso, pa-dre spirituale della «chiesa domestica» dell'Aventino, re-visore della Bibbia latina, epistolografo pieno di brio edi sottigliezza, Girolamo trova pure il tempo di sostene-re polemiche. Avendo un tal Elvidio scritto una breveopera per sostenere che Maria aveva avuto figli da Giu-seppe, dopo aver generato, per virtù dello Spirito Santo,

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  • Gesù, e che fra le nozze e lo stato virginale non sussistealcun divario in rapporto al merito etico, Girolamo man-dò fuori un opuscolo nel quale metteva in evidenzaquanti pensieri e quante molestie porti con sè lo statomatrimoniale. Su questo punto l'asceta non si stancheràmai insistere fermamente.

    Frattanto il clero romano cominciava a guardare condiffidenza e dispetto questo prete-monaco, la cui vita ir-reprensibile era un eloquente rimprovero alla sua sfac-ciata mondanità; la cui dottrina era una solenne riprova-zione della sua crassa ignoranza; i cui lavori filosofico-biblici turbavano così direttamente le consuetudini litur-giche; il cui ascendente infine cresceva a dismisura ognigiorno. Girolamo, incurante e spavaldo, trovò il modo dibollarlo per l'eternità.

    Tra le fedeli ascoltatrici dell'Aventino, una raccolseben presto le predilezioni del monaco: Eustochio, la di-ciottenne figlia di Paola, che dedicata a Dio la sua vergi-nità, prometteva di riuscire lo specchio più fedele deiprincipi ascetici inculcati dal maestro. Per lei Girolamovolle scrivere un manuale di regole di condotta, da cuipotessero trarre norma quante fossero prese da vaghezzadi stringersi con Cristo in immacolate nozze spirituali.Nacque così una lettera ad Eustochio che toccò un suc-cesso clamoroso, ed è senza dubbio il capolavoro dellaletteratura ascetica.

    Girolamo vi comincia col raccomandare alla giovaneamica la più stretta sorveglianza sul proprio corpo, ondenon restar vittima degli innumerevoli tranelli che il de-

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    Gesù, e che fra le nozze e lo stato virginale non sussistealcun divario in rapporto al merito etico, Girolamo man-dò fuori un opuscolo nel quale metteva in evidenzaquanti pensieri e quante molestie porti con sè lo statomatrimoniale. Su questo punto l'asceta non si stancheràmai insistere fermamente.

    Frattanto il clero romano cominciava a guardare condiffidenza e dispetto questo prete-monaco, la cui vita ir-reprensibile era un eloquente rimprovero alla sua sfac-ciata mondanità; la cui dottrina era una solenne riprova-zione della sua crassa ignoranza; i cui lavori filosofico-biblici turbavano così direttamente le consuetudini litur-giche; il cui ascendente infine cresceva a dismisura ognigiorno. Girolamo, incurante e spavaldo, trovò il modo dibollarlo per l'eternità.

    Tra le fedeli ascoltatrici dell'Aventino, una raccolseben presto le predilezioni del monaco: Eustochio, la di-ciottenne figlia di Paola, che dedicata a Dio la sua vergi-nità, prometteva di riuscire lo specchio più fedele deiprincipi ascetici inculcati dal maestro. Per lei Girolamovolle scrivere un manuale di regole di condotta, da cuipotessero trarre norma quante fossero prese da vaghezzadi stringersi con Cristo in immacolate nozze spirituali.Nacque così una lettera ad Eustochio che toccò un suc-cesso clamoroso, ed è senza dubbio il capolavoro dellaletteratura ascetica.

    Girolamo vi comincia col raccomandare alla giovaneamica la più stretta sorveglianza sul proprio corpo, ondenon restar vittima degli innumerevoli tranelli che il de-

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  • monio tende alle anime pie nel mondo. Gli esempi per-versi ne circondano da ogni parte e il contagio della dis-solutezza è implacabile. «Fa pena il constatare quantevergini ogni giorno precipitino, quante ne perda dal suogrembo la chiesa, sopra quanti astri il superbo nemicocollochi il trono suo, quante pietre vada subdolamentescavando, per porvi la propria dimora. Pensa, o Eusto-chio, quanto numerose vedove, prima che coniugate,proteggono soltanto con la veste di rito, che è una men-zogna, una coscienza infelice, le quali, se riescono a nonessere tradite dalla gravidanza e dal vagito dei pargoli,incedono a fronte alta e a passo saltellante. Altre bevonoin antecedenza il farmaco della sterilità, perpetrando lasoppressione di una creatura umana, ancora non forma-ta. Altre, non a pena si accorgano di aver concepito inseguito alla colpa, vanno studiando il modo di prepararevenefiche pozioni abortive, e spesso, vittime di sè stes-se, finiscono all'inferno ree di tre delitti: suicidio, adul-terio, parricidio. Tutte costoro sogliono sfrontatamenteproclamare: – tutto è mondo per i mondi. A me basta lalucida testimonianza della coscienza. Dio desidera ilcuore puro: null'altro. Perchè mi dovrei astenere da cibiche Dio creò per il nostro uso? – Quando poi voglianodarsi l'aria di festevoli e di spiritose, ben bene satolle divino, accoppiano il sacrilegio all'ebbrezza e proclama-no: – Dio mi guardi dall'astenermi dal sangue di Cristo!– Qualora scorgano una vergine smunta e dignitosa, laadditano motteggiando, come misera preda di un mona-chismo manicheo. Per costoro, il digiuno è una eresia.

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    monio tende alle anime pie nel mondo. Gli esempi per-versi ne circondano da ogni parte e il contagio della dis-solutezza è implacabile. «Fa pena il constatare quantevergini ogni giorno precipitino, quante ne perda dal suogrembo la chiesa, sopra quanti astri il superbo nemicocollochi il trono suo, quante pietre vada subdolamentescavando, per porvi la propria dimora. Pensa, o Eusto-chio, quanto numerose vedove, prima che coniugate,proteggono soltanto con la veste di rito, che è una men-zogna, una coscienza infelice, le quali, se riescono a nonessere tradite dalla gravidanza e dal vagito dei pargoli,incedono a fronte alta e a passo saltellante. Altre bevonoin antecedenza il farmaco della sterilità, perpetrando lasoppressione di una creatura umana, ancora non forma-ta. Altre, non a pena si accorgano di aver concepito inseguito alla colpa, vanno studiando il modo di prepararevenefiche pozioni abortive, e spesso, vittime di sè stes-se, finiscono all'inferno ree di tre delitti: suicidio, adul-terio, parricidio. Tutte costoro sogliono sfrontatamenteproclamare: – tutto è mondo per i mondi. A me basta lalucida testimonianza della coscienza. Dio desidera ilcuore puro: null'altro. Perchè mi dovrei astenere da cibiche Dio creò per il nostro uso? – Quando poi voglianodarsi l'aria di festevoli e di spiritose, ben bene satolle divino, accoppiano il sacrilegio all'ebbrezza e proclama-no: – Dio mi guardi dall'astenermi dal sangue di Cristo!– Qualora scorgano una vergine smunta e dignitosa, laadditano motteggiando, come misera preda di un mona-chismo manicheo. Per costoro, il digiuno è una eresia.

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  • Certamente tu le avrai viste costoro, per Roma, a pas-seggio, in atto di farsi ammirare e di trarsi dietro, confurtivo balenar di sguardi, tutto un gregge di adolescentisfaccendati.... Io voglio che tu, o Eustochio, eviti di fre-quentare i salotti mondani. Sposa di Dio, a che ti affret-teresti a frequentare spose di uomini? Ti desidero lonta-na non solo dalle dimore di quelle matrone che stannotutte in sussiego per gli onori onde son colmati i rispetti-vi mariti; che sono circondate da fitta siepe di eunuchi enelle cui vesti, metalli preziosi sono intessuti in minutis-simi fili. Ma devi fuggire anche quelle che necessità,non il proposito, fece vedove. Non dico, s'intende, chedovessero desiderare la morte dei mariti: ma dovevanoafferrare a volo l'occasione per esercitare la castità. In-vece, pur nel lutto, non hanno cambiato sentimento.L'incedere delle loro lettighe nelle vie è preceduto dauna turba di eunuchi, e a vederle con le labbra tinte dicinabro e le gote colorite di belletto, non diresti che ab-biano perduto il marito: penseresti più tosto che lo vada-no cercando. Hanno la casa affollata di adulatori e diconvitati: gli ecclesiastici stessi, che dovrebbero esseremaestri e ispiratori di rispetto, baciano sulla fronte lenobili patronesse e, stesa la mano, non benedicono,come tu ignaro avresti immaginato, ma strappano ilprezzo del saluto. Ed esse, accorgendosi che i preti abbi-sognano del loro patrocinio, levan superbia e perchè,prive ormai di marito, preferiscono la libera signoriadella vedovanza, son chiamate caste e nonne, e dopocene succolente, riveggono in sogno i loro apostoli. Tu,

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    Certamente tu le avrai viste costoro, per Roma, a pas-seggio, in atto di farsi ammirare e di trarsi dietro, confurtivo balenar di sguardi, tutto un gregge di adolescentisfaccendati.... Io voglio che tu, o Eustochio, eviti di fre-quentare i salotti mondani. Sposa di Dio, a che ti affret-teresti a frequentare spose di uomini? Ti desidero lonta-na non solo dalle dimore di quelle matrone che stannotutte in sussiego per gli onori onde son colmati i rispetti-vi mariti; che sono circondate da fitta siepe di eunuchi enelle cui vesti, metalli preziosi sono intessuti in minutis-simi fili. Ma devi fuggire anche quelle che necessità,non il proposito, fece vedove. Non dico, s'intende, chedovessero desiderare la morte dei mariti: ma dovevanoafferrare a volo l'occasione per esercitare la castità. In-vece, pur nel lutto, non hanno cambiato sentimento.L'incedere delle loro lettighe nelle vie è preceduto dauna turba di eunuchi, e a vederle con le labbra tinte dicinabro e le gote colorite di belletto, non diresti che ab-biano perduto il marito: penseresti più tosto che lo vada-no cercando. Hanno la casa affollata di adulatori e diconvitati: gli ecclesiastici stessi, che dovrebbero esseremaestri e ispiratori di rispetto, baciano sulla fronte lenobili patronesse e, stesa la mano, non benedicono,come tu ignaro avresti immaginato, ma strappano ilprezzo del saluto. Ed esse, accorgendosi che i preti abbi-sognano del loro patrocinio, levan superbia e perchè,prive ormai di marito, preferiscono la libera signoriadella vedovanza, son chiamate caste e nonne, e dopocene succolente, riveggono in sogno i loro apostoli. Tu,

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  • lontana da costoro: frequenta più tosto quelle che il di-giuno assottiglia e la penitenza ha segnato con la suaimpronta indelebile. Apparirai raramente in pubblico.Leggerai con assiduità: il sonno ti coglierà con un codi-ce dinanzi agli occhi, e la pagina santa raccoglierà il tuovolto reclinato. Poichè è difficile che l'anima umana nonami e che il nostro spirito non sia tratto all'affetto, oc-correrà che l'istinto dell'amor carnale sia sopraffattodall'amor spirituale e che il desiderio della voluttà siaestinto e superato nel desiderio dell'infinito. Oh, lodo sìle nozze e non denigro il connubio: ma solo perchè di lànascono i vergini. Colgo così tra le spine, le rose; inve-stigo nella terra, il filone aureo; strappo alla conchiglia,la perla. Dopo il Vangelo, la verginità è il vero stato cri-stiano. Vigila dunque onde conservare gelosamente iltuo proposito. Ti custodisca incessantemente il segretodella tua stanza e sempre lo sposo celeste si sollazzi conte nell'intinto. Preghi? Parli con lo sposo. Leggi? È luiche ti parla. E quando il sonno ti avrà vinto, egli verràalla parete del tuo cubicolo, passerà la mano attraversoad essa, palperà il tuo seno. Tremando ti desterai, e diraicon le parole del Cantico: son trafitta d'amore. Ed egli tidirà: orto chiuso, sorella, mia sposa... Quando digiune-rai, la tua faccia sia ilare e serena. La veste non eccedain accuratezza e non esageri in negligenza: non sia ec-centrica, onde la gente non si arresti al tuo passaggio, enon ti mostri a dito. Non mancano le giovani cristianeche macerano i loro volti, onde apparire agli altri digiu-nanti. Costoro, non a pena vedano alcuno, si danno a ge-

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    lontana da costoro: frequenta più tosto quelle che il di-giuno assottiglia e la penitenza ha segnato con la suaimpronta indelebile. Apparirai raramente in pubblico.Leggerai con assiduità: il sonno ti coglierà con un codi-ce dinanzi agli occhi, e la pagina santa raccoglierà il tuovolto reclinato. Poichè è difficile che l'anima umana nonami e che il nostro spirito non sia tratto all'affetto, oc-correrà che l'istinto dell'amor carnale sia sopraffattodall'amor spirituale e che il desiderio della voluttà siaestinto e superato nel desiderio dell'infinito. Oh, lodo sìle nozze e non denigro il connubio: ma solo perchè di lànascono i vergini. Colgo così tra le spine, le rose; inve-stigo nella terra, il filone aureo; strappo alla conchiglia,la perla. Dopo il Vangelo, la verginità è il vero stato cri-stiano. Vigila dunque onde conservare gelosamente iltuo proposito. Ti custodisca incessantemente il segretodella tua stanza e sempre lo sposo celeste si sollazzi conte nell'intinto. Preghi? Parli con lo sposo. Leggi? È luiche ti parla. E quando il sonno ti avrà vinto, egli verràalla parete del tuo cubicolo, passerà la mano attraversoad essa, palperà il tuo seno. Tremando ti desterai, e diraicon le parole del Cantico: son trafitta d'amore. Ed egli tidirà: orto chiuso, sorella, mia sposa... Quando digiune-rai, la tua faccia sia ilare e serena. La veste non eccedain accuratezza e non esageri in negligenza: non sia ec-centrica, onde la gente non si arresti al tuo passaggio, enon ti mostri a dito. Non mancano le giovani cristianeche macerano i loro volti, onde apparire agli altri digiu-nanti. Costoro, non a pena vedano alcuno, si danno a ge-

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  • mere, abbassano le ciglia, e col volto coperto lascianoun solo occhio libero per vedere. La loro veste è nera; ilcingolo ruvido; le mani e i piedi trasandati: il ventresolo, perchè non si può vedere, è satollo di cibo… Altre,in abito maschile, arrossiscono d'essere donne, e, taglia-tisi corti i capelli, levano impudentemente il loro voltoeunuchino. Ma perchè non mi si rimproveri di parlarsolo di donne, ti dirò: evita anche gli uomini che vedrairicchi di catene, con le chiome femminee, contro il pre-cetto dell'apostolo, con la barba da caproni, il pallionero e i piedi nudi, quasi a sfidare i rigori del freddo.Sono altrettante lustre di Satana. Così si presentavanoquell'Antimo e quel Sofronio su cui Roma pianse di re-cente. Individui di tal risma, insinuatisi nelle case nobi-liari, tratte abilmente in inganno donne ingenue, ostenta-no mestizia nel volto, quasi uscissero da prolungati di-giuni: in realtà si satollano di notte, furtivamente. Nondirò di più perchè il mio discorso, che vuol essere unammonimento, non assuma l'andatura di un'invettiva.Altri – parlo di miei confratelli nel sacerdozio – aspira-no al diaconato e al sacerdozio sol per avvicinare conmaggior sicurezza le donne. Costoro non pensano chealle loro vesti, ai loro profumi, alla loro pelle. Arriccia-no i loro capelli, pongono anelli rilucenti alle dita, e pernon contaminare i piedi sul suolo umido, imprimono apena la loro orma sul terreno. Incontrandoli, li prendere-sti per sposi novelli, anzichè per ecclesiastici. Alcuni fe-cero unico scopo della loro esistenza conoscere a mena-dito i nomi, gli indirizzi, le abitudini delle nobili matro-

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    mere, abbassano le ciglia, e col volto coperto lascianoun solo occhio libero per vedere. La loro veste è nera; ilcingolo ruvido; le mani e i piedi trasandati: il ventresolo, perchè non si può vedere, è satollo di cibo… Altre,in abito maschile, arrossiscono d'essere donne, e, taglia-tisi corti i capelli, levano impudentemente il loro voltoeunuchino. Ma perchè non mi si rimproveri di parlarsolo di donne, ti dirò: evita anche gli uomini che vedrairicchi di catene, con le chiome femminee, contro il pre-cetto dell'apostolo, con la barba da caproni, il pallionero e i piedi nudi, quasi a sfidare i rigori del freddo.Sono altrettante lustre di Satana. Così si presentavanoquell'Antimo e quel Sofronio su cui Roma pianse di re-cente. Individui di tal risma, insinuatisi nelle case nobi-liari, tratte abilmente in inganno donne ingenue, ostenta-no mestizia nel volto, quasi uscissero da prolungati di-giuni: in realtà si satollano di notte, furtivamente. Nondirò di più perchè il mio discorso, che vuol essere unammonimento, non assuma l'andatura di un'invettiva.Altri – parlo di miei confratelli nel sacerdozio – aspira-no al diaconato e al sacerdozio sol per avvicinare conmaggior sicurezza le donne. Costoro non pensano chealle loro vesti, ai loro profumi, alla loro pelle. Arriccia-no i loro capelli, pongono anelli rilucenti alle dita, e pernon contaminare i piedi sul suolo umido, imprimono apena la loro orma sul terreno. Incontrandoli, li prendere-sti per sposi novelli, anzichè per ecclesiastici. Alcuni fe-cero unico scopo della loro esistenza conoscere a mena-dito i nomi, gli indirizzi, le abitudini delle nobili matro-

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  • ne. Uno di questi, principe nell'arte, descriverò con po-chi tratti, onde tu possa senza imbarazzo, conosciuto ilprofilo del maestro, ravvisare gli scolari. Sorge all'alba edispone senz'altro l'ordine delle visite, gli itinerari piùbrevi. Vecchio importuno, non esita a disturbare matro-ne a pena destate dal sonno, nei loro più intimi apparta-menti. Scorgendo un piccolo cuscino, un elegante tappe-to, un oggetto qualsiasi di suppellettile domestica, co-mincia a lodarlo, a farne le meraviglie, a osservarlo benbene, e lamentando d'esserne privo, non lo chiede, loghermisce: e le matrone lasciano fare, perchè tutte han-no un sacro orrore di recare offesa al corriere della città.Si capisce come la castità e i digiuni non abbiano alcunarelazione amichevole con costui. Giudica i pranzi dalleesalazioni della cucina. Il popolo lo chiama: – la vecchiagru ingrassata. – Ha la bocca da barbaro, procace eghiotta. Dovunque ti volti, te lo trovi fra i piedi. Qualun-que voce circoli per la città, dì pure ch'egli ne è l'autoreo il propalatore. Cambia i cavalli al suo cocchio ogniora, sì che lo prenderesti per un fratello del re della Tra-cia..... Tu, o Eustochio, non cadrai nelle insidie che ildemonio tende per mezzo di questi suoi camuffati emis-sari. Attenderai assiduamente alle tue letture e mai cer-cherai svago nella coltura profana. Che cosa ha che ve-dere Orazio col Salterio, Virgilio col Vangelo, Ciceronecon Paolo? Io ricordo: molti anni fa, quando tagliai vio-lentemente da me ogni comunicazione con la famiglia,quando mi sottrassi alle liete abitudini della mia vitamondana e, soldato di Cristo, mi avviai a Gerusalemme,

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    ne. Uno di questi, principe nell'arte, descriverò con po-chi tratti, onde tu possa senza imbarazzo, conosciuto ilprofilo del maestro, ravvisare gli scolari. Sorge all'alba edispone senz'altro l'ordine delle visite, gli itinerari piùbrevi. Vecchio importuno, non esita a disturbare matro-ne a pena destate dal sonno, nei loro più intimi apparta-menti. Scorgendo un piccolo cuscino, un elegante tappe-to, un oggetto qualsiasi di suppellettile domestica, co-mincia a lodarlo, a farne le meraviglie, a osservarlo benbene, e lamentando d'esserne privo, non lo chiede, loghermisce: e le matrone lasciano fare, perchè tutte han-no un sacro orrore di recare offesa al corriere della città.Si capisce come la castità e i digiuni non abbiano alcunarelazione amichevole con costui. Giudica i pranzi dalleesalazioni della cucina. Il popolo lo chiama: – la vecchiagru ingrassata. – Ha la bocca da barbaro, procace eghiotta. Dovunque ti volti, te lo trovi fra i piedi. Qualun-que voce circoli per la città, dì pure ch'egli ne è l'autoreo il propalatore. Cambia i cavalli al suo cocchio ogniora, sì che lo prenderesti per un fratello del re della Tra-cia..... Tu, o Eustochio, non cadrai nelle insidie che ildemonio tende per mezzo di questi suoi camuffati emis-sari. Attenderai assiduamente alle tue letture e mai cer-cherai svago nella coltura profana. Che cosa ha che ve-dere Orazio col Salterio, Virgilio col Vangelo, Ciceronecon Paolo? Io ricordo: molti anni fa, quando tagliai vio-lentemente da me ogni comunicazione con la famiglia,quando mi sottrassi alle liete abitudini della mia vitamondana e, soldato di Cristo, mi avviai a Gerusalemme,

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  • non potei fare a meno della pingue biblioteca che aRoma avevo accumulato. Me misero! Pronto a leggereM. Tullio, digiunavo, e dopo avere trascorso notti intierevegliando, dopo aver pianto al penoso ricordo dei mieivecchi peccati, prendevo in mano Plauto. E quando, tor-nato in me, cominciavo a leggere un profeta, la formaantiestetica destava in me ripugnanza, e poichè i mieiocchi non vedevano luce, io accusavo il sole. Mentrecosì l'antico serpente si burlava di me, a mezzo la quare-sima, una febbre tremenda colpì il mio esausto organi-smo e nell'insonnia le mie membra infelici si consuma-rono in modo che mi ridussi a uno scheletro. Già mi sipreparavano le esequie, e solo un alito di vita, nel corpogià irrigidito, trasaliva nel petto, quando improvvisa-mente fui tratto al tribunale del giudice, dinanzi a cuisfolgorava così radiante luce, che con la fronte nellapolvere, non osavo alzare lo sguardo. Interrogato sulmio essere, pronunciai forte la mia professione cristiana.E il giudice: mentisci, non cristiano, bensì ciceronianotu sei! Tacqui allibito, e condannato ad essere flagellato,mormorai umilmente: pietà, Signore, di me! Anche gliastanti imploravano per me il perdono, allegando ad at-tenuante la mia inesperienza giovanile. Promisi allorasolennemente: – O Signore, se porrò più la mano a codi-ci profani, sarà come ti avessi rinnegato. – A questa for-mola di giuramento fui rimandato assolto ed io aprii gliocchi inondati di lacrime. Nè fu sogno il mio: fu realtà,come provarono il tribunale, la sentenza, le lividure e lepiaghe, lo studio sacro stesso a cui mi dedicai da

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    non potei fare a meno della pingue biblioteca che aRoma avevo accumulato. Me misero! Pronto a leggereM. Tullio, digiunavo, e dopo avere trascorso notti intierevegliando, dopo aver pianto al penoso ricordo dei mieivecchi peccati, prendevo in mano Plauto. E quando, tor-nato in me, cominciavo a leggere un profeta, la formaantiestetica destava in me ripugnanza, e poichè i mieiocchi non vedevano luce, io accusavo il sole. Mentrecosì l'antico serpente si burlava di me, a mezzo la quare-sima, una febbre tremenda colpì il mio esausto organi-smo e nell'insonnia le mie membra infelici si consuma-rono in modo che mi ridussi a uno scheletro. Già mi sipreparavano le esequie, e solo un alito di vita, nel corpogià irrigidito, trasaliva nel petto, quando improvvisa-mente fui tratto al tribunale del giudice, dinanzi a cuisfolgorava così radiante luce, che con la fronte nellapolvere, non osavo alzare lo sguardo. Interrogato sulmio essere, pronunciai forte la mia professione cristiana.E il giudice: mentisci, non cristiano, bensì ciceronianotu sei! Tacqui allibito, e condannato ad essere flagellato,mormorai umilmente: pietà, Signore, di me! Anche gliastanti imploravano per me il perdono, allegando ad at-tenuante la mia inesperienza giovanile. Promisi allorasolennemente: – O Signore, se porrò più la mano a codi-ci profani, sarà come ti avessi rinnegato. – A questa for-mola di giuramento fui rimandato assolto ed io aprii gliocchi inondati di lacrime. Nè fu sogno il mio: fu realtà,come provarono il tribunale, la sentenza, le lividure e lepiaghe, lo studio sacro stesso a cui mi dedicai da

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  • quell'ora con una assiduità ben superiore a quella concui avevo coltivato la letteratura profana… Ti guarderaiinfine, o mia Eustochio, dall'avarizia che deturpa tantenobili cristiane. Vidi pochi giorni fa – taccio il nome,perchè tu non creda che voglio stendere un libello – unatra le più insigni matrone romane nella basilica di sanPietro, preceduta da una coorte di eunuchi, distribuirecon le sue mani, onde apparire più religiosa, soldi ai po-veri presenti. Ad un certo punto una povera vecchia sifece innanzi per ricevere una seconda moneta. Ma la ri-conobbe la matrona, e invece del soldo le assestò un cef-fone, che fece versar sangue per così grosso delitto!...Quanto ti son venuto esponendo circa i doveri della cri-stiana fedele alla sua professione, sembrerà duro a chinon ama Cristo. Ma chi reputi lordura la pompa del se-colo e vanità quanto appare sotto il sole; chi in altre pa-role sia veramente morto col suo Signore e risorto dopoaver crocifisso la sua carne, griderà: chi potrà strapparciall'amore del Cristo?...»

    La lettera del poco più che quarantenne monaco alladiciottenne Eustochio, così libera ed aspra, così taglien-te e così schietta, così riboccante di allusioni trasparen-tissime che tutti dovevano afferrare a volo, suscitò intutta Roma, che la conobbe subito, un'impressione enor-me. I pagani si affrettarono a farne trascrivere numerosiesemplari, se la passarono e la lessero avidamente, vi fe-cero su le più matte risate. Chi mai di loro avrebbe potu-to stendere caricatura più saporita dei costumi cristiani?Il clero ufficiale, colpito a sangue a quel modo da un

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    quell'ora con una assiduità ben superiore a quella concui avevo coltivato la letteratura profana… Ti guarderaiinfine, o mia Eustochio, dall'avarizia che deturpa tantenobili cristiane. Vidi pochi giorni fa – taccio il nome,perchè tu non creda che voglio stendere un libello – unatra le più insigni matrone romane nella basilica di sanPietro, preceduta da una coorte di eunuchi, distribuirecon le sue mani, onde apparire più religiosa, soldi ai po-veri presenti. Ad un certo punto una povera vecchia sifece innanzi per ricevere una seconda moneta. Ma la ri-conobbe la matrona, e invece del soldo le assestò un cef-fone, che fece versar sangue per così grosso delitto!...Quanto ti son venuto esponendo circa i doveri della cri-stiana fedele alla sua professione, sembrerà duro a chinon ama Cristo. Ma chi reputi lordura la pompa del se-colo e vanità quanto appare sotto il sole; chi in altre pa-role sia veramente morto col suo Signore e risorto dopoaver crocifisso la sua carne, griderà: chi potrà strapparciall'amore del Cristo?...»

    La lettera del poco più che quarantenne monaco alladiciottenne Eustochio, così libera ed aspra, così taglien-te e così schietta, così riboccante di allusioni trasparen-tissime che tutti dovevano afferrare a volo, suscitò intutta Roma, che la conobbe subito, un'impressione enor-me. I pagani si affrettarono a farne trascrivere numerosiesemplari, se la passarono e la lessero avidamente, vi fe-cero su le più matte risate. Chi mai di loro avrebbe potu-to stendere caricatura più saporita dei costumi cristiani?Il clero ufficiale, colpito a sangue a quel modo da un

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  • collega, andò su tutte le furie. E poichè non poteva co-gliere in fallo l'austero Girolamo; poichè non poteva gri-dargli sul viso: medice, cura te ipsum, si prese la rivalsaponendo in dubbio l'ortodossia del suo lavoro filologicodi revisione testuale sul Nuovo Testamento e sui Salmi.

    Girolamo aveva del resto preveduto questo genere diopposizione. Già presentando a Damaso la revisionedella versione latina del Nuovo Testamento, correttasull'originale greco, aveva scritto: «tu hai voluto che fragli esemplari neotestamentari dispersi nel mondo io miassidessi arbitro sovrano. Pio lavoro codesto, senza dub-bio, ma pericolosa impresa quella di giudicare altrui, dicambiare il linguaggio consuetudinario di un vecchio, edi riportare alle origini un mondo decrepito, prossimo aldisfacimento. Ne sono in anticipo sicuro: il dotto comel'incolto, prendendo in mano il nuovo volume e perce-pendone il suono diverso dall'abituale, mi chiamerannosacrilego e falsario. Ebbene: mi rassegno alla mia sorte.Tu mi comandasti il lavoro: tu lo approvi.»

    E alle prime esplosioni dell'attacco ecclesiastico inRoma, levò la voce con fierezza, non disgiunta dal sar-casmo amaro e dalla pena mal repressa. Scrivendo aMarcella a mezzo il 384 si sfogava: «mi giunge all'orec-chio la voce che qualche omiciattolo mi va capricciosa-mente accusando sol perchè, contro la lettura corrente,ho cercato di emendar qualcosa nella versione latina deiVangeli. Potrei magnificamente ignorare e disprezzarecostoro: la lira canta forse per i somari? Ma per evitareche mi accusino, secondo il solito di superbia, ecco la

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    collega, andò su tutte le furie. E poichè non poteva co-gliere in fallo l'austero Girolamo; poichè non poteva gri-dargli sul viso: medice, cura te ipsum, si prese la rivalsaponendo in dubbio l'ortodossia del suo lavoro filologicodi revisione testuale sul Nuovo Testamento e sui Salmi.

    Girolamo aveva del resto preveduto questo genere diopposizione. Già presentando a Damaso la revisionedella versione latina del Nuovo Testamento, correttasull'originale greco, aveva scritto: «tu hai voluto che fragli esemplari neotestamentari dispersi nel mondo io miassidessi arbitro sovrano. Pio lavoro codesto, senza dub-bio, ma pericolosa impresa quella di giudicare altrui, dicambiare il linguaggio consuetudinario di un vecchio, edi riportare alle origini un mondo decrepito, prossimo aldisfacimento. Ne sono in anticipo sicuro: il dotto comel'incolto, prendendo in mano il nuovo volume e perce-pendone il suono diverso dall'abituale, mi chiamerannosacrilego e falsario. Ebbene: mi rassegno alla mia sorte.Tu mi comandasti il lavoro: tu lo approvi.»

    E alle prime esplosioni dell'attacco ecclesiastico inRoma, levò la voce con fierezza, non disgiunta dal sar-casmo amaro e dalla pena mal repressa. Scrivendo aMarcella a mezzo il 384 si sfogava: «mi giunge all'orec-chio la voce che qualche omiciattolo mi va capricciosa-mente accusando sol perchè, contro la lettura corrente,ho cercato di emendar qualcosa nella versione latina deiVangeli. Potrei magnificamente ignorare e disprezzarecostoro: la lira canta forse per i somari? Ma per evitareche mi accusino, secondo il solito di superbia, ecco la

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  • mia risposta. Non sono veramente così sciocco e cosìignorante – quantunque l'ignoranza appaia a costoro ele-mento indispensabile della santità – da ritenere che nellaparola del Signore possa impunemente mutarsi qualco-sa, quasi essa non fosse divinamente ispirata. Il mio pro-posito è stato semplicemente quello di ristabilire la esat-tezza della versione di un testo che i codici rendono inmaniere tanto diverse. Se ad essi garba rinunciare allepure fonti, vadano pure a dissetarsi ai pantani... Mi pardi vederti, o Marcella, alla lettura di queste righe: corru-gherai la fronte, e dirai che ancora una volta la mia rudefranchezza è fomite di polemiche. Mi par di vederti inatto di tapparmi la bocca con le mani, onde io non rileviquel che gli altri non si sono vergognati di fare. Ma, digrazia, quale la mia colpa? Ho forse inciso – Marcellacapiva perfettamente dove andavano a