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1 Andrea Belotti NOTE DI STORIA RELIGIOSA RELATIVE ALLA PARROCCHIA DI CEVO E AI SUOI LUOGHI DI CULTO E DI DEVOZIONE BAMS

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Andrea Belotti

NOTE DI STORIA RELIGIOSA

RELATIVE ALLA

PARROCCHIA DI CEVO

E AI SUOI LUOGHI DI CULTO E DI DEVOZIONE

BAMS

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IndicePresentazione pag. 7

Introduzione pag. 9

Cap. I La Parrocchia: - La Parrocchia di Cevo: vicende storico-religiose pag. 13

Cap. II Le sue chiese: - Parrocchiale di S. Vigilio pag. 97 - S. Sisto pag. 153 - S. Antonio di Padova pag. 188

Cap. III Le altre chiese: - S. Maria Ausiliatrice del Soggiorno “Don Bosco” pag. 215 - Cappella del Cimitero Nuovo pag. 218 - Monumento-Sacrario ai Caduti di Cevo pag. 220 - Chiesetta della Colonia pag. 223 Cap. I V Il dosso dell’Androla: - Cappella della Beata Vergine di Caravaggio pag. 236 - Croce del Papa pag. 240 - Casa Kairòs pag. 244

Cap. V Le santelle - Le santelle di Cevo pag. 259

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Cevo ed i suoi luoghi di culto visti dall'alto, da nord-est

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Presentazione L’antica chiesa di S. Sisto, la parrocchiale di S. Vigilio, il

“piccolo tempio” di S. Antonio recentemente restaurato, la cappella dell’Androla, le molte santelle costruite ai crocevia o lungo le strade di campagna: queste sono le opere realizzate, nel tempo, dalla nostra Comunità con ingenui espedienti tecnici ma sempre portatrici di quella solida fede che i nostri vecchi ci hanno saputo tramandare.

Il presente volume, frutto di lunghe e meticolose ricerche d’archivio del nostro concittadino Andrea Belotti, ripercorre la storia di questi edifici sacri, storia preceduta da una dettagliata illustrazione delle vicende storico-religiose della nostra Parrocchia, dalle origini ad oggi. Le belle immagini che illustrano le caratteristiche degli edifici sono del fotografo bresciano Basilio Rodella, da lui offerte in omaggio al paese di Cevo, nel ricordo delle sofferenze patite dalla popolazione nel corso dell’ultimo, tragico conflitto mondiale. Gliene siamo vivamente grati.

Voluto dalla Parrocchia, il libro intende offrire alle famiglie, ma anche ai “curiosi d’arte”, un’utile occasione per visitare e conoscere meglio quanto di sacro e di bello vi è nel nostro territorio. E’ la riconoscenza della Parrocchia, perché ogni famiglia ha contribuito a costruire e mantenere questo patrimonio. E questo libro sia posto nel cuore e tra le mani dei nostri giovani, perché ne siano degni continuatori.

“ Possiamo dire con serenità che Cevo si è fatto onore, davanti a Dio, davanti agli uomini, davanti ai propri antenati”.

Il nostro ringraziamento all’autore per questo suo impegnativo lavoro a favore della Comunità.

Il Parroco Don Filippo Stefani

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IntroduzioneLa migliore introduzione alle pagine che seguono ci sembra

di poterla ricavare dagli scritti di Padre Gregorio Brunelli da Valle Camonica che, nel 1698, parlando delle Terre di Andrista e di Cevo, così si esprimeva :

“Prima di entrar a Cedegolo resta da visitare la Val di Saviore, notabile braccio di Valcamonica, lunga circa quindici miglia sino ai confini del Trentino, nel cui principio vi è la Terra di Andrista, situata a mezzo giorno in sito placido e di bella vista, che ha una chiesa molto antica dedicata ai SS. Nazario e Celso, già rettoria parrocchiale, ora residenza di un cappellano, investito delle funzioni parrocchiali; in distanza di due miglia, in sito simile, ma di miglior prospettiva e assai più popolato, giace Cevo, dove è la chiesa parrocchiale in onore di S. Vigilio, con due altari, ornati di pale eccellenti, ancone indorate e la chiesa decorata d’indulgenza plenaria ogni giorno, con fare pompa pure di altra chiesa dedicata a S. Sisto Papa, di pala e ancona stimata, benché antichissima e il cui Parroco è qualificato del grado di vicario foraneo, come ora lo è Don Giordani d’Iseo uomo dottissimo, e il popolo è devotissimo; non vi mancano persone di distinta condizione e la pietà è coltivata in altri due oratori distinti, di S. Antonio di Padova e di S. Francesco, con la scuola della Disciplina…”.

(Padre Gregorio Brunelli da Valle Camonica, Curiosi Trattenimenti contenenti ragguagli sacri e profani dei Popoli Camuni, ristampa a cura di Oliviero Franzoni, Banca di Valle Camonica, Breno 1998, p.24).

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Capitolo I

La Parrocchia

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LA PARROCCHIA DI CEVO(vicende storico-religiose)

Il 29 giugno 1993, solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli, il Vescovo di Brescia mons. Bruno Foresti promulgava un decreto relativo alla “nuova definizione, dichiarativa e costitutiva, dei confini della parrocchia di S. Vigilio in Cevo”. Il decreto, che faceva seguito alla visita pastorale del 17 novembre 1991 nella quale era emersa l’opportunità di una ricognizione dei confini parrocchiali, dopo aver esaminato le motivazioni esposte dai parroci della zona e sentito il parere della Commissione Diocesana per i Confini e del Consiglio Presbiterale, stabiliva:“ – dalla Parrocchia di Cevo viene staccato il territorio di Andrista che passa alla Parrocchia di Cedegolo; – vengono aggregate alla Parrocchia di Cevo le località: Fresine del Comune di Saviore dell’Adamello (Parrocchia di Saviore) e Isola per la parte di pertinenza del Comune di Saviore dell’Adamello (Parrocchia di Saviore) e per la parte di territorio del Comune di Cedegolo (Parrocchia di Grevo) dove insiste il cimitero di Isola”.(1)

Il decreto, entrato in vigore il 29 luglio 1993 e reso pubblico con lettura ai fedeli delle parrocchie interessate durante la celebrazione eucaristica di un giorno festivo, non suscitò particolare interesse nelle comunità coinvolte. E questo soprattutto tra gli abitanti di Andrista dove lo strappo da Cevo si prevedeva potesse suscitare una qualche reazione, favorevole o contraria. Forse influì su tale atteggiamento il fatto che la parrocchia di Andrista, giuridicamente soggetta alla parrocchia di Cevo, agli effetti pratici fosse retta dalla parrocchia di Cedegolo già dai primi anni Sessanta.

Il distacco da Cevo costituiva, comunque, un evento straordinario, di portata storica: si spezzava un connubio tra

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esercitate tutte le fontioni Parochiali nella Chiesa Parochiale di S. Vigilio, e ritrovarsi descritti in essi libri tanto li Batezzati, Matrimoni, Cresimati et Defunti, così di essa Terra di Cevo, come delli abitanti nella Contrada d’Andrista, dove mai si vede essere stato tenuto sotto alcun Rettore o Vicario registro di sorta. Attestando parimente che poche note ritrovate sopra d’essi libri, si vede esser li libri antecedenti all’anno 1590 stati bruciati dall’incendio che seguì in esso tempo, con la rovina totale della Chiesa e Terra medesima. (3)In fede di che attesto e faccio fede io infrascritto come nella mia Cura di Cevo et Andrista, che compongono una sola Comunità si ritrovano in Cevo anime 889, et Andrista n. 149, et che per quanto mi affermano li più vecchi d’essa Comunità mi attestano non è mai morto alcuno senza sacramenti, eccetuati quelli di morte subitanea”.

SS. Nazaro e Celso di Andrista, prima chiesa della Valsaviore

La scarsità dei documenti che trattano la vita ecclesiale di Andrista e Cevo nei primi secoli dopo il Mille, in gran parte distrutti dall’incendio del 1590, ha indotto il sacerdote don Giovanni Martenzini, originario di Andrista, ad affidarsi, in un suo studio sulla chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Andrista, alle testimonianze orali tramandate, di generazione in generazione, dagli andristani. Scrive don Martenzini:

“E’ storico che la chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Andrista è la prima della Valsaviore. Ma perché e quando una chiesa qui ad Andrista? Perché era la porta naturale della Valsaviore verso il mille e perché nel millecento avvenne qualcosa di eccezionale per il paesino.Sembra che alcuni andristani, assieme a numerosi camuni, dopo aver difeso il canonico della cattedrale di Brescia, Morando, e averlo riposto nel suo beneficio sotto la guida di Guglielmo di Edolo, abbiano avuto ospitalità presso i sacerdoti

le due comunità religiose di Andrista e di Cevo che durava ormai da novecento anni.

Cevo, infatti, trae le sue origini religiose dalla chiesa di Andrista.

Al riguardo, lo storico camuno Bonifacio Favallini nel libro Camunni scrive: “Cevo (Cevus, Saevus ?) ebbe comune con l’antichissimo Andrista la parrocchia di S. Nazzaro, forse tempio idolatra”. Peccato che l’affermazione non sia corredata da una datazione sicura. Sicura, invece, l’esistenza della chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Andrista nel 1280, come risulta dal “Repertorio” di documenti antichi conservato presso l’Archivio Parrocchiale di Cevo dove, sotto la data 8 gennaio 1280, è scritto: “Locazione di campo in via Plana di raggione della Chiesa di Santo Nazarro di Andrista”.

Pochissimi, tuttavia, sono i documenti relativi ai primi secoli del secondo millennio che riguardano i centri abitati della Valsaviore.

“Alluvioni, frane ed incendi distrussero quasi tutto che v’era d’antico nella Valle di Saviore” afferma Gabriele Rosa, storico iseano. (2)

Furono soprattutto gli incendi che causarono ingenti danni ai paesi le cui abitazioni erano quasi tutte in legno.

Particolarmente grave a Cevo, per le sue conseguenze, fu l’incendio del 1590 nel quale, oltre alle case e alla chiesa di S. Vigilio, vennero bruciate le carte ed i documenti custoditi presso la casa parrocchiale. Ecco il contenuto di uno scritto conservato presso l’Archivio Parrocchiale di Cevo relativo, appunto, all’incendio del 1590. Il documento è privo di data e di firma, ma, da un attento esame calligrafico, risulta attribuibile a don Simone Giordani, parroco di Cevo dal 1679 al 1707:

“Faccio fede et attesto con mio giuramento io infrascritto a qualunque Ill.mo e Ch.mo Magistrato, a qualunque, come dalli libri esistenti nella mia Chiesa Parochiale di Cevo o presso di me, appare come dal 1590 sin hora presente si sono sempre

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Ambedue erano soggette alla Pieve di Cemmo, che era una delle cinque pievi (Cividate, Cemmo, Rogno, Edolo, Pisogne) istituite dal Vescovado di Brescia per meglio provvedere al controllo religioso e civile della Valle Camonica.

“Alla pieve era riservato il diritto d’amministrare il battesimo, il diritto di sepoltura e, più tardi, quello di esigere le decime. Era abitudine che i fedeli si recassero processionalmente dalle varie terre, spesso assai lontane, alla pieve nei giorni di Natale, Pasqua e Pentecoste per ricevere i sacramenti e soddisfare ai precetti religiosi, portando talvolta i prodotti della terra, in segno di omaggio e di riconoscenza. La pieve costituiva una unità giuridica e patrimoniale con un’importanza sociale e politicamente preminente”. (6)

Ma, nel sec. XIII, probabilmente a causa della lontananza e della difficoltà del cammino, “Cevo separavasi da Cemmo” (7), ottenendo da Cemmo il permesso di amministrare il battesimo e svolgere gli ordinari servizi religiosi nella propria chiesa. Restava però l’obbligo per il parroco di intervenire alle funzioni liturgiche pasquali della pieve, specialmente alla benedizione del fonte battesimale da cui attingere l’acqua benedetta da portare alla propria chiesa, unitamente agli olii sacri. Usanza questa che verrà meno dopo il 1700, quando i parroci incominceranno a non intervenire più alla benedizione del fonte battesimale e manderanno i loro sacrestani a ritirare gli olii sacri. Rimarrà, comunque, l’obbligo di pagare alla Pieve le decime “secondo le leggi e le usanze”. (8)

Così, pur restando la sede parrocchiale giuridicamente ad Andrista sotto il titolo dei SS. Nazaro e Celso, anche S. Sisto di Cevo, che ha ottenuto da Cemmo una propria autonomia, comincia a svolgere le funzioni di chiesa parrocchiale così come la chiesa di Andrista, sia pure a titolo di parità nella sola azione pastorale. Il sacerdote addetto alla cura delle anime sarà simultaneamente Parroco di Andrista e Rettore di Cevo.

Come chiesa parrocchiale S. Sisto è menzionata anche da G. Rosa nell’opuscolo “La Valle di Saviore”: “Nelle chiese di

dei SS. Nazaro e Celso di Brescia e ritornati nel paesino abbiano voluto ricordare il fatto, iniziando la costruzione della chiesa nel millecentodieci circa.E’ dalla piccola comunità di Andrista che partono i primi diaconi ed i primi presbiteri per Cevo, Saviore, Valle…”. (4) S. Sisto, prima parrocchiale di Cevo

E Cevo non perde tempo. In pochi decenni gli abitanti costruiscono una loro chiesa,

dedicandola a S. Sisto II Papa, nella quale il clero della chiesa matrice potesse alla domenica celebrare la S. Messa e le altre funzioni religiose.

Purtroppo, anche per S. Sisto sconosciuta è la data di costruzione. Gli storici la dicono “antichissima” (P. Gregorio da Valle Camonica), gli studiosi d’arte l’assegnano alla prima metà del secolo XII (G. Panazza), quindi quasi coeva alla chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Andrista. Ambedue le chiese, di Andrista e di Cevo, sono costruite fuori dai centri abitati, forse in luoghi già prima consacrati al culto pagano. (5)

SS. Nazaro e Celso S. Sisto nel 1912

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quella Valle (Valle di Saviore) rinnovate negli ultimi tre secoli, si trovano segni di vecchiaia solo ai morti di Andrista ed a quelli di Cevo, che erano le parrocchiali primitive”.

Un’inconfutabile conferma l’abbiamo dalle visite pastorali dei Vescovi di Brescia alla parrocchia di Cevo. Nella visita di mons. G. Giorgi del 1672, il Vescovo, dopo aver dato precise disposizioni per la parrocchiale di S. Vigilio, ordina anche che venga riparato il tetto “In Ecclesia S.ti Sixti, alias parochiali” (Nella chiesa di S. Sisto, un tempo parrocchiale).

S. Vigilio, seconda parrocchiale di Cevo

S. Sisto eserciterà il suo ruolo di chiesa parrocchiale fino al secolo XIV, quando i Cevesi edificheranno, questa volta al centro del paese, una seconda chiesa e la dedicheranno a San Vigilio martire, vescovo di Trento. Essa prenderà il posto di San Sisto che, da parrocchiale, verrà relegata a semplice “chiesa campestre” e che tale sopravviverà , attraverso i secoli, fino a noi.

La nuova chiesa, dedicata a S. Vigilio, s’affianca così a quella dei SS. Nazaro e Celso di Andrista, la quale resta ancora parrocchiale matrice delle due comunità.

Nel 1364 SS. Nazaro e Celso e S. Vigilio risultano incluse ambedue nell’elenco delle chiese della Riviera del Sebino e della Valle Camonica tenute a pagare 2500 fiorini d’oro a Barnabò Visconti, duca di Milano e signore di Brescia, mediante una quota fissa per ogni chiesa su disposizione del Vescovo di Brescia, pena la scomunica in caso di inadempienza. Queste le quote previste per Andrista e per Cevo: “Ecclesia SS. Nazarii et Celsi de Andrista lib. 14”, “Ecclesia S. Vigilii de Zevo (Cevo) lib. 1 e sol. 4”. (9)

Non figura evidentemente la chiesa di S. Sisto, ormai sostituita, nella sua funzione parrocchiale, dalla chiesa di S. Vigilio.

Estratto della visita pastorale di mons G. Giorgi (1672)

Omissis

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La Parrocchiale di Andrista incorporata a quella di Cevo

Nel corso del 1400 nasce e si sviluppa tra Cevo ed Andrista la gara al primato. E prevale Cevo, per ragioni soprattutto geografiche e demografiche.

“La ragione è evidente – scriverà don Andrea Morandini -. Il luogo puntato a picco sul Poia, con alle spalle delle rupi, non era suscettibile di incremento demografico: la popolazione emigrò in alto, dove le praterie più estese, i campi coltivati, le cascine offrivano un mezzo di sussistenza alle famiglie”. (10)

La chiesa dei SS. Nazaro e Celso resterà parrocchiale fino al 1536 (11), poi la Parrocchia passerà alla chiesa di S. Vigilio in Cevo.

Nel 1573, al tempo della visita di don Pilati, delegato del Vescovo Bollani, risulta che “a Cevo la parrocchiale non è più S. Nazaro, ma S. Vigilio in cui si amministrano i sacramenti, per maggior comodità della popolazione”. (12) La sua promozione a sede ufficiale della Parrocchia verrà convalidata da S. Carlo Borromeo nella visita Apostolica del 1580. Don Gio Battista Sisti, parroco di Cevo dal 1635 al 1679, nella relazione a margine della visita pastorale del Vescovo mons. G. Giorgi del 1672, scrive: “In questa parrocchia di Cevo vi sono i seguenti oratori: l’oratorio di S. Sisto fuori dal paese e l’oratorio o chiesa dei SS. Nazario e Celso. Questa, anticamente era la chiesa parrocchiale, ma, per decreto di S. Carlo, fu trasferita la cura e la residenza a quella di S. Vigilio; le bolle però si levano sotto il titolo dei SS. Nazario e Celso”.

Elenco delle chiese tenute al pagamento di tributi a Barnabò Visconti (1364)

Nel riquadro le quote dovute dalle chiese dei SS. Nazaro e Celso e di S. Vigilio

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Andrista e Cevo, sedi di Vicariato

Sarà forse per quest’ultimo privilegio che, col venir meno dell’influenza delle Pievi in Valle Camonica e la successiva istituzione delle Vicarie Foranee, Andrista verrà scelto, nel 1593, come sede di Vicaria. Così, il Rettore di Andrista, come Vicario Foraneo, controllerà le chiese di Sellero (San Desiderio, cui è soggetta S. Giacomo di Novelle), Saviore (San Giovanni Battista, da cui dipende S. Maria di Ponte), Valle (San Bernardino), Cedegolo (S. Gerolamo), Paisco (S. Paterio, da cui dipende l’oratorio di S. Antonio a Loveno), Grevo (S. Filastrio), Berzo (S. Eusebio, nel cui territorio si trovano S. Zenone di Demo e S. Maria di Monte), Cevo (S. Vigilio) e Andrista (SS. Nazaro e Celso). (13)

Ma solo nove anni dopo (1602), la Vicaria passa da Andrista a Cevo, al cui Vicariato sottostanno le parrocchie di Cevo (San Vigilio, SS. Nazaro e Celso vecchia parrocchiale di Andrista), Paspardo (S. Gaudenzio), Sellero (S. Desiderio, San Giacomo), Grevo (S. Filastrio), Cedegolo (S.Gerolamo, annessa alla parrocchiale di Grevo), Saviore (S. Giovanni Battista, San Bernardino di Valle). (14)

Il Vicariato di Cevo, salvo una parentesi di quindici anni durante i quali sede vicariale è Paisco, durerà fino al 1693. La Vicaria passerà quindi a Cedegolo (15) e tale resterà anche dopo la riforma postconciliare del 1967 e la creazione della circoscrizione zonale dell’Alta Valle Camonica sotto il titolo del Beato Innocenzo da Berzo.

Andrista e Cevo, una difficile convivenza

Difficili i rapporti tra le due comunità, soprattutto dopo il trasferimento della Parrocchia da Andrista a Cevo. Così li riassume don Giovanni Martenzini:

“Nel 1500 la chiesa primaria dei SS. Nazaro e Celso diventa secondaria e viene incorporata alla comunità religiosa di

La Valcamonica nella Carta del Territorio Bresciano fatta da Sebastiano Aragonese nel 1571

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contribuire al mantenimento della chiesa di Cevo”. (17)Non deve meravigliare il fatto che il console del Comune sia

intervenuto in questioni riguardanti la religione ed il culto. Al tempo della Vicinia, questa aveva potere anche in materia di religione: sceglieva il parroco e il cappellano, li stipendiava, li cambiava quando non soddisfacevano la Comunità. Più tardi la Vicinia contribuirà anche alle spese di culto, a fabbricare le chiese e gli oratori, a sovvenzionare le opere pie, ecc. Conseguito il loro scopo, gli abitanti di Andrista si sentiranno finalmente liberi di fare, d’allora in poi, le loro scelte ecclesiali e di culto in sintonia con i sacerdoti delle parrocchie vicine, soprattutto con la Chiesa di Cevo. (18) Il “Coadiutore” di Andrista, così verrà chiamato il Curato della contrada di Andrista, godrà d’un suo beneficio costituito principalmente d’un sussidio dello Stato e potrà disimpegnare nella frazione tutte le funzioni parrocchiali.

Ultimo Curato-coadiutore, residente in sede, sarà don Costante Cape che lascerà la chiesa sussidiaria di Andrista quando, nominato parroco di Cevo, prenderà possesso della parrocchia di S. Vigilio il 28 ottobre 1946. D’allora in poi l’assistenza religiosa ad Andrista verrà garantita dal clero di Cevo fino ai primi anni Sessanta, poi dal clero di Cedegolo fino ad oggi. (19)

Parroci e Curati

Almeno 33 sono i parroci che, dal 1299 ad oggi, hanno svolto il loro ministero pastorale nella Parrocchia di Cevo: i primi 7 come parroci di Andrista e Cevo quando la parrocchia, guirisdizionalmente, era quella dei SS. Nazaro e Celso di Andrista, 24 come parroci di Cevo ed Andrista quando la parrocchia era quella di S. Vigilio di Cevo, 2 come parroci attuali di Cevo, Fresine ed Isola.

Il profilo d’uno di loro, ad esempio, del sacerdote don Grazio Mazzoli da Bienno, parroco di Cevo dal 1565 al 1596

Cevo: qui risiede il parroco, il quale, abitualmente aiutato dal “cappellano” (oggi curato), compie o fa compiere il servizio religioso anche per i fedeli della Terra di Andrista.Nel 1600 nascono numerose difficoltà tra Andrista e Cevo: il motivo principale è la residenza del cappellano e a volte anche l’amministrazione dei beni della Chiesa. Gli abitanti di Andrista vogliono le chiavi della chiesa dei SS. Nazaro e Celso e insistono perché il cappellano abbia la residenza qui; Cevo è contrario oppure temporeggia.Verso la fine del 1600 gli abitanti ottengono, per decreto vescovile, che il sacerdote collaboratore di Cevo risieda qui e compia servizio anche a Cevo. (16)Il 6 febbraio 1717 muore, in contrada Caligari, don Bortolo Avogadri, lasciando per testamento la propria casa alla “Vicinia di Andrista”. E’ l’occasione perché maturi nei fedeli l’idea di costruire una chiesa in contrada Caligari, nella speranza di raggiungere totale autonomia da Cevo. Essi infatti dicono: “Abbiamo la casa del prete e qui accanto vogliamo costruire la chiesa”.Ogni famiglia si impegna a dare lavoro e soldi. Il 3 maggio 1729, festa di S. Croce, viene posta la prima pietra ed il 28 ottobre del 1732 è celebrata la prima messa a lode di Cristo e a devozione della Beata Vergine del Carmelo. Il 31 ottobre 1739 si ha l’inaugurazione ufficiale: l’Eucarestia con una solenne processione è trasportata nella nuova chiesa.Così la chiesa di S. Nazaro diventa “cimiteriale”, mentre quella del Carmine è ormai la chiesa “curaziale”. Ma l’autonomia dei cristiani di Andrista non è completa: essi devono andare a Cevo per soddisfare il precetto pasquale e devono contribuire alle spese della chiesa di Cevo… Discussioni, rimostranze, astensioni, lotte tra i fedeli e il clero…Nel 1768 interviene il console di Cevo: “Io Pietro Biondi, console di Cevo, stabilisco che d’ora in poi i fedeli di Andrista siano liberi di venire a Cevo per il precetto pasquale e di

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posto assegnato dal Vescovo con una presenza costante e vigile più per aiutare che reprimere, povero di mezzi economici, ma ricco di virtù e di sapere, promotore delle più belle iniziative sociali, artistiche e di cultura, instancabile educatore di giovani”. (20)

Queste le caratteristiche in cui si distinse nei secoli passati il Clero della Valle Camonica, Cevo compreso.

“Clero dotto” quello di Cevo se pensiamo che almeno tre parroci della chiesa di S. Vigilio e SS. Nazaro e Celso erano addottorati in Sacra Teologia e precisamente: don Antonio Riccio da Monno “ uomo di molta pietà, nemico di liti e controversie, amante della quiete e buona armonia” che nel 1598 verrà promosso Arciprete di Cemmo; don Gio Maria Bianchi da Ossimo, pure dottore in teologia, molto amato dagli abitanti di Andrista che, alla sua morte (1635), per decisone degli andristani verrà sepolto nella chiesa dei SS. Nazaro e Celso, nel sepolcro da lui stesso fatto costruire; don Simone Giordani da Iseo “uomo dottissimo”, anch’egli dottore in teologia, promosso Arciprete di Cemmo nel 1707, dopo 28 anni di residenza a Cevo, “persona amante dell’armonia e della pace tanto che avrebbe perduto volentieri tutti i suoi diritti per conservare la pace” (21); don Felice Murachelli da Cemmo, non addottorato ma autore di numerose pubblicazioni sulla chiesa bresciana e camuna in particolare.

Ma anche “sacerdoti attenti ai bisogni del popolo” come don Gio Batta Sisti da Saviore che nel 1679 “rese l’anima al suo Creatore in universal pianto di questa comunità di Cevo”, dopo 44 anni di servizio pastorale a Cevo, colpito, come buona parte della sua gente, da febbre maligna; don Bortolo Scolera da Cevo, cappellano per 37 anni della Comunità di Cevo, morto pure lui per febbre maligna nel 1764, “sacerdote di singolari costumi, dipendenza, virtù insigni, compianto universalmente da tutto il popolo”; don Domenico Casalini da Cevo, morto nel 1795, “parroco degnissimo di questa Terra e Patria sua, uomo veramente pio, dotto e liberale, compianto

al tempo delle visite pastorali del Vescovo Bollani e di S. Carlo Borromeo, pensiamo possa emblematicamente rappresentare il prototipo dei parroci di allora nell’espletamento dei loro compiti derivanti dall’ordinazione sacerdotale e dalla cura delle anime.

Alla visita pastorale del Vescovo Bollani dell’8 settembre 1578, don Grazio Mazzoli che ha 37 anni, risulta in possesso delle bolle tanto del Beneficio che degli Ordini, si confessa due volte al mese, solitamente dal Rettore di Saviore, risiede in parrocchia, quotidianamente recita l’officio, celebra la messa nei giorni di festa e spesso anche nei giorni feriali, fa uso del nuovo messale, non esce dalla parrocchia senza il permesso del Vicario Foraneo, tiene l’omelia al popolo e recita il vespro tutti i giorni di festa… Egli deve però: “tagliarsi i baffi per rispetto al sangue di Cristo quando beve dal calice” (Cose d’altri tempi!), visitare gli ammalati, per i matrimoni attenersi al decreto del Concilio di Trento e scrivere sul registro i nomi degli sposi e dei testimoni con il giorno, l’anno e il luogo di sposalizio, battezzare i bambini entro otto giorni, imporre loro nomi di Santi, descrivere i nomi dei battezzati, non permettere alle donne di entrare in chiesa a capo scoperto durante le celebrazioni, non permettere né ai preti regolari né ai secolari di celebrare nella sua chiesa se non sono in possesso della licenza scritta. Nella visita successiva, quella di S. Carlo Borromeo del 1580, gli si raccomanda ancora di essere più sollecito nel visitare gli infermi e nell’amministrare i sacramenti, di non tagliare le piante nei beni del Beneficio, neppure per uso della fabbrica della chiesa parrocchiale, senza aver ottenuto l’autorizzazione scritta del Vescovo, di non allontanarsi dalla Parrocchia senza il permesso del Vicario Foraneo e di farlo sapere al popolo, pubblicamente, in chiesa.

“Un clero dotto, attento ai bisogni del popolo di cui si sentiva membro, – scriverà mons. A. Masetti Zannini, compianto direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Brescia - fedele al

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non mancarono quelli non propriamente all’altezza del loro compito o, in casi rarissimi, non del tutto degni sotto il profilo morale, causa sempre di gravissimo smarrimento per i fedeli.

La Cappellania comunale

Due elementi consolidarono nel tempo la presenza dei sacerdoti Curati nella parrocchia di Cevo: la creazione d’una Cappellania Comunale e l’istituzione della Scuola Elementare.

Nel 1653, un certo don Maffeo Mino da Cevo, con regolare testamento, istituiva un legato denominato della Misericordia “in beneficio della terra di Cevo dotandolo della somma di 500 scudi di lire 7 (moneta corrente) ed altrettanti di lire piccole di 20 soldi l’una” con facoltà al Comune di Cevo di trasformarlo in una Cappellania e, in questo caso, con l’obbligo di corrispondere al Cappellano il reddito dei 500 scudi e di aggiungere quanto sarebbe stato necessario per mantenere un Cappellano e dargli l’abitazione, perché vi potesse risiedere. Il Comune operava la trasformazione del legato della Misericordia in una Cappellania alla quale avrebbe corrisposto un canone in derrate di quartari 46 di segale e 20 di frumento, più un canone in denaro di lire 272 annue. Inoltre predisponeva, al centro del paese, un’abitazione nella quale potesse risiedere il Curato, che d’allora in poi avrebbe assunto il titolo di Cappellano Comunale. E “Cà del Capalà” nel tempo sarebbe diventata l’abitazione a lui riservata.

Incendiata il 4 novembre 1944 dai nazifascisti in un’azione di rastrellamento, la “Cà del Capalà” verrà riattata dal Comune e riutilizzata, sempre come Cappellania, fino ai primi anni Sessanta; poi, lasciata libera dall’ultimo curato di Cevo, don Stefano Do, verrà ceduta dal Comune all’Istituto Case Popolari di Brescia, previo accordo con la Parrocchia di Cevo.

da tutti”; don Gio Domenico Comincioli da Cevo, “compianto generalmente da tutti”, morto nel 1807, a soli 41 anni, dopo aver portato a termine la compilazione del Libro delle Anime della parrocchia di Cevo ed Andrista, preziosa eredità per i suoi successori; don Giacomo Matti da Cevo che morì nel 1846, all’età di 71 anni, dopo 39 anni di parrocchiato, “meritissimo di questa Terra e Patria sua, sempre a lui carissima”; don Francesco Codenotti da Gussago, per 23 anni parroco di Cevo, “ benemerito del suo popolo per il suo zelo instancabile, per la sua carità indefessa, per semplicità e purezza di costumi, compianto da tutti alla sua morte che lo colse di soli 59 anni il 7-1-1877”; don Gibriano Bertocchi da Angolo, parroco di Cevo per 45 anni, vicino al suo popolo nell’incendio del 1887, durante la grande guerra e al dilagare della febbre spagnola.

Ed ancora altri sacerdoti, “promotori di iniziative sociali, artistiche, culturali, educative” dei quali si farà cenno concludendo le presenti note.

Numerosi sono i Curati che prestarono, a tempo determinato, il loro aiuto ai parroci. (22) Purtroppo, fra i tanti,

Cà del Capalà

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Giunto a Cevo, si stabilisce, assieme alla madre Francesca Poli e ad una zia, nella vecchia e disadorna Cappellania Comunale. Celebra la sua prima messa “per sé e per i suoi cari” il 9 giugno, giorno di Pentecoste. Ma prima di salire a Cevo, egli aveva scritto al parroco don Francesco Codenotti, dichiarandosi “impreparato a corrispondere alle sue aspettative. E ciò per più ragioni: primo per la grande debolezza del mio carattere, mezzo malaticcio, poi per una soverchia timidezza, infine anche per una certa tendenza all’avarizia. Questi sono i difetti forse meno colpevoli, ma che io stesso non posso occultare a me stesso; gli altri li conoscerà quando avrà ad usare della sua carità e del suo zelo verso di me…”. A questo giudizio autodemolitore di don Scalvinoni farà riscontro la soddisfazione di don Codenotti il quale, fin dai primi mesi della presenza di don Scalvinoni a Cevo, dirà a tutti: “Il Signore mi ha benedetto, mandandomi questo coadiutore”.

Il paese è formato da povera gente, 1100 persone circa, pastori e contadini. “Don Giovannino”, è questo il diminutivo con cui madre Francesca chiamava il figlio e che passerà anche

I Curati, primi maestri di Cevo

Al Cappellano il Comune impose però, oltre all’obbligo di coadiuvare il parroco, anche quello di tenere la scuola comunale. Leggiamo in una relazione di don Giacomo Matti, parroco di Cevo dal 1807 al 1846: “Il Cappellano di Cevo, Rev. don Gio Batta Galbasini ex Cappuccino è anche maestro di scuola privata di questa Terra non essendovene di pubbliche, col rispettivo provvedimento di lire italiane 75, ed il Coadiutore Rev.do Sac. Don Pietro Beltramelli maestro della contrada di Andrista col provvedimento di lire italiane 25 pagate dalla Comune insegnandi a leggere, scrivere ed aritmetica”. Il Comune, quindi, provvedeva anche alla contrada di Andrista, mediante il sacerdote coadiutore.

I primi Cappellani-maestri di Cevo furono: don Matteo Scolari, don Martino Scolari, don Bortolo Bazzana, don Pietro Maria Biondi, don Gio Batta Galbassini, don Domenico Comincioli, don Martino Comincioli, tutti di Cevo. Il loro insegnamento, per disposizione ecclesiastica, doveva essere riservato ai maschi; da qui il prolungarsi dell’analfabetismo tra le donne fino alla metà del 1800; solo nel 1823 verrà nominata dal Comune la maestra Maria Casalini che inizierà l’insegnamento alle fanciulle in un locale della vecchia Casa Comunale (trasformato poi in caseificio turnario), mentre la scuola maschile continuerà per lungo tempo a funzionare al piano superiore della Casa del Cappellano.

Un Curato d'eccezione: il Beato Innocenzo da Berzo

Ai primi di giugno del 1867, giunge a Cevo, salendo a piedi la faticosa mulattiera di S. Sisto, unica via congiungente a quei tempi Cevo con Cedegolo, un giovane prete di soli 23 anni. E’ don Giovanni Scalvinoni, nativo di Niardo, ordinato sacerdote il 2 giugno 1867 e nominato, il giorno stesso della sua ordinazione, dal vescovo Verzeri, curato di Cevo.

Firme di don Scalvinoni sul Libro delle Messe

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alla gente di Cevo che familiarmente chiamerà don Giovanni Scalvinoni “don Giuanì” e che tale resterà per i Cevesi anche quando, lasciato lo stato di prete diocesano, egli entrerà nel convento dell’Annunciata della parrocchia di Borno per diventare frate cappuccino ed assumerà, secondo le regole di quell’ordine religioso, il nuovo nome di Padre Innocenzo da Berzo, si prende cura particolarmente dei poveri e degli ammalati. “ I poveri erano diventati i suoi più cari amici – scriverà di lui P. Alipio M. da Origgio, uno dei suoi primi biografi -; ogni giorno lo venivano a trovare ed egli dava loro quanto gli capitava tra le mani. I soldi non potevano restare a lungo nel suo borsellino. La madre lo rimproverava; ma egli simulava di non capire. Per gli infermi si privava anche dello strettamente necessario a sé. Sua madre non poteva salvare nessun boccone un po’ prelibato per lui, specialmente se di carne; a tutto dava fondo don Giovanni, dicendo: “Noi che siamo sani, possiamo mangiare la polenta nel brodo”. (23)

Don Giovanni affianca il parroco in tutte le attività pastorali, soprattutto nell’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli, ma è di aiuto anche ai sacerdoti dei paesi vicini. Dal Libro delle Messe conservato nell’archivio parrocchiale, risulta infatti che celebra spesso le sue messe, oltre che nelle chiese di Cevo, anche nella chiesa di Andrista dove, morto nel 1866 don Pietro Beltramelli, don Scalvinoni deve prestare opera di supplenza fino alla nomina del nuovo coadiutore, don Gio Maria Rondini, avvenuta nel 1868. Celebra frequentemente per i pastori e per i mandriani; soprattutto in occasione della raccolta del latte (ex lacte collecto) offerto alla chiesa o secondo le intenzioni “ Societatis montane Paret”.

Tra questa gente, povera, ma laboriosa, “don Giuanì” trascorre i primi anni della sua vita sacerdotale, dal giugno 1867 al novembre 1869. Non sembra azzardato dire che la bontà naturale di don Scalvinoni ha trovato, in questi anni trascorsi a Cevo, il terreno ideale per svilupparsi.

Celebrazione del centenario della venuta a Cevo del Beato Innocenzo (1867 - 1967)

Urna del Beato Innocenzo nella parrocchiale di S. Vigilio nel primo centenario della sua morte (1990)

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molti anni dopo, esattamente il 2 febbraio 1964, ormai Beato, racchiuso in un’urna dorata, accolto festosamente e venerato dal popolo per una settimana nella stessa chiesa dove aveva celebrato le prime messe per i morti suoi e della gente che gli era stata affidata. Tornerà poi, nel 1990, in occasione della celebrazione del centenario della sua morte.

Al Beato Innocenzo da Berzo l’Amministrazione Comunale di Cevo dedicherà una piazzetta all’interno del vecchio nucleo abitato del paese, mentre la Parrocchia, in occasione del primo centenario della sua morte, farà apporre una lapide ricordo sulla Casa Cappellania con la seguente epigrafe:“Cà del Capalà – Qui abitò dal 9-6-1867 al 2-11-1869 don Giovanni Scalvinoni, ora Beato Innocenzo da Berzo”.Sempre per tale ricorrenza farà eseguire dal pittore Domenico Camossi di Darfo Boario Terme un grande quadro riproducente la figura del Beato Innocenzo, da esporre alla devozione dei fedeli nella chiesa parrocchiale di S. Vigilio.

Non risulta che si siano verificati fatti storici importanti durante la sua permanenza a Cevo. Uniche eccezioni: il 27 settembre 1867 veniva benedetta la chiesetta dedicata a S. Antonio da Padova, ristrutturata e ingrandita; il 10 aprile 1869 un grave lutto colpiva don Giovanni: la zia materna, Barbara Poli, veniva improvvisamente a mancare. La sua salma troverà sepoltura nel cimitero di S. Sisto.

Ma, neppure a due anni e mezzo dal suo arrivo a Cevo, inattesa, giunge una lettera del Vescovo che nomina don Giovanni Scalvinoni vice direttore del Seminario di Brescia. Sia il parroco don Codenotti che i parrocchiani di Cevo restano costernati. “ Ma lo schianto più terribile – scriverà ancora P. Alipio – lo provò don Giovanni. Tremò tutto dinnanzi a quell’onore e all’idea spaventosa della grande responsabilità che importava. Sentiva vergogna di sé stesso, pensando di dover assumere il governo di altri, lui che era persuaso di non essere atto a reggere sé stesso. Corse trepidante a Brescia a supplicare il Vescovo, perché lo dispensasse; ma appena ne conobbe di nuovo la volontà, vi si arrese prontamente, nonostante che tale ubbidienza richiedesse da lui un vero eroismo”.

Così don Giovanni, sia pure a malincuore, deve ubbidire al Vescovo. Celebra a Cevo l’ultima messa il giorno 2 novembre 1869, nella festa dedicata a tutti i defunti. Carica le poche masserizie sul carretto d’un contadino del paese e, accompagnato dalla madre che si fermerà a Berzo Inferiore, scende a Brescia ad assumere il nuovo incarico. “Ma durante le vacanze estive – scriverà don Felice Murachelli – egli tornava ancora volentieri nell’alpestre borgata, come è dato vedere nelle annotazioni fatte sul Registro delle sante Messe, per respirare l’aria balsamica delle circostanti pinete. Cevo ogni anno si riverserà alla sua venerata tomba nel cimitero di Berzo, perché i primi a godere della sua protezione furono questi montanari, che diedero inizio ai primi pellegrinaggi”.

A Cevo don Giovanni Scalvinoni tornerà trionfalmente

Piazzetta Beato Innocenzo da Berzo nel vecchio nucleo abitativo

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persone.La Dottrina veniva spiegata dal Parroco o dal Curato.

Solo a partire dal 1783 s’aggiunsero alcuni chierici: Tosini, Comincioli, Bazzana, Magrini, Casalini, Scolera; nel 1830, limitatamente ai fanciulli, fece la comparsa la prima figura di laico: il maestro.

Di solito la dottrina si teneva settimanalmente, la domenica; ma a volte, in prossimità di particolari solennità, si faceva anche per più giorni di seguito.

Quasi tutti gli anni, tra i partecipanti, si notava un calo di presenze in concomitanza con l’inverno e la primavera ed il fatto riguardava principalmente l’elemento maschile, probabilmente dovuto alla transumanza stagionale dei pastori che d’inverno scendevano alla bassa ed in primavera salivano in montagna con le loro greggi.

A dare una mano nel condurre la Dottrina, vi era tutta un’organizzazione di persone che presenziavano alla Dottrina stessa, con le più svariate incombenze: consigliere, avvisatore, ricordatore, infermiere, silenziatore, addetto all’acqua santa… Per rendere più interessante la Dottrina, spesso gli argomenti venivano presentati sotto forma di disputa fra i due sacerdoti presenti: uno impersonava l’ignorante che poneva delle domande, l’altro la persona dotta in grado di chiarire i dubbi religiosi dell’ignorante, oppure facendo uso di qualche altro accorgimento. “La dottrina cristiana è frequentata – scriverà nel 1914 don Gibriano Bertocchi – e si tiene ogni festa. Si fa per via di interrogazioni ai fanciulli e per popolare istruzione agli adulti possibilmente in dialetto. L’omelia si tiene pure ogni domenica e festa, spiegando il Vangelo che corre, specialmente scegliendo certi punti del medesimo più adatti alla necessità e ai bisogni dell’uditorio”.

Gli argomenti oggetto della dottrina erano: le verità della fede, i comandamenti, i sacramenti, il credo, i precetti della Chiesa, le opere di misericordia, i vizi capitali. La dottrina insisteva sulla bestemmia, “sopra il non rubare” riguardo ai

La Dottrina Cristiana

Dovere primario del Cappellano (Curato) era quello di coadiuvare il parroco nell’insegnamento della Dottrina Cristiana, soprattutto nei riguardi dei fanciulli.

Erano anni in cui la Chiesa s’impegnava tutta nell’attuazione del programma di riforma deciso nel Concilio di Trento (1545-1563), nel quale la conoscenza delle sacre scritture e della dottrina cristiana occupava un posto di primaria importanza. Il Clero di Cevo fu ligio al suo dovere. Presso l’archivio parrocchiale sono conservai i Libri della Dottrina Cristiana di Cevo sui quali sono metodicamente annotati, dal 1650 al 1928, le date della Dottrina, i predicatori, l’argomento trattato di volta in volta, il numero dei fedeli presenti. Poiché il numero dei fedeli partecipanti superava spesso i cinquecento, è da ritenersi che la Dottrina venisse impartita separatamente per gli uomini e per le donne: la chiesa parrocchiale, più piccola dell’attuale, non poteva certo contenere un tal numero di

Libri della Dottrina Cristiana conservati in Parrocchia

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contadini, dei doveri dei figli e delle figlie verso i genitori, sull’ubriachezza, sopra gli amoreggiamenti disordinati, sulle letture proibite di romanzi e di pitture oscene, sopra la vigilanza nelle stalle nella stagione invernale, sui balli promiscui e sulle maschere a carnevale, sopra l’emigrazione cioè “se è possibile appena non emigrare”, sopra l’importanza di frequentare le scuole per i ragazzi e le ragazze…

L’insegnamento della dottrina costituiva un dovere primario ed inderogabile per i parroci. E su questo vigilavano meticolosamente i Vescovi.

Don Celeri, delegato del vescovo Bollani, nella visita pastorale del 1578 alla Parrocchia di Cevo, prende atto che tutti i giorni di festa si tiene l’omelia al popolo e che durante l’inverno si fa la Dottrina Cristiana. Anche don Bernardino Tarugi, convisitatore di S. Carlo Borromeo, nel 1580 riferisce che è in atto la scuola della Dottrina Cristiana. Il Vescovo Marino Giorgi nel 1599 attesta che si fa la Dottrina. Nel 1716 il Vescovo Barbarigo rileva che “la Dottrina Cristiana è ben incamminata e frequentata”. Mons. Gabrio Maria Nava nella visita del 1809 esorta: “Con la massima diligenza si portino avanti i catechismi e le istruzioni specialmente dei fanciulli e delle fanciulle in tempo di Quaresima e di Avvento oltre l’istruzione della Dottrina che si deve tenere nelle singole feste e domeniche. A noi sta particolarmente a cuore che non si ometta mai la Dottrina”. E il Vescovo ingiungeva ai Fabbricieri della Parrocchia: “Si provveda poi un numero sufficiente di compendi del nuovo catechismo… e si faccia di essi quell’uso che il Parroco sa doversi fare”. Era infatti consuetudine del Vescovo Nava premiare i fanciulli e le fanciulle più preparate.La “schola” della Dottrina Cristiana, come vedremo, provvederà ad impartire ai fedeli, anche nei secoli successivi e fino ad oggi, una sistematica istruzione religiosa attenendosi all’uso del catechismo del Concilio di Trento e del Papa S. Pio X. Disciplini di Cevo alla processione del Corpus Domini (inizio

Novecento)

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davanti al Rettore e agli ufficiali”.- Confraternita della Disciplina.

“G. Pietro de Belotti, ministro costituito risponde: possiede alcune piccole pezze di terra, che vengono affittate ogni anno a quartari quattro, ed alcuni legati che danno un quartaro. Ha 55 confratelli che pagano ogni anno “aureolos 6”. Fanno macinare i detti quartari 5 nella settimana maggiore, e, fatto il pane, lo distribuiscono ai poveri. Spendono poi per comperare i ceri da ardere mentre dicono l’Ufficio e da ardere sul tumulo della confraternita quando fanno celebrare per i defunti confratelli. Danno al Rettore 6 libre di Val Camonica per le soprascritte celebrazioni di messe: fanno anche alcune spese per gli ornamenti dell’Altare. Fanno i conti ogni anno, ma non chiamavano il Rettore, perciò fu imposto che lo chiamino”.

Come si vede, la prima confraternita aveva principalmente una funzione di culto, la seconda una funzione caritativa. Ambedue, non ufficialmente costituite, verranno legittima-mente erette dall’ “illustrissimo visitatore” cardinale Carlo Borromeo nella sua visita Apostolica alla Valle Camonica, estendendo anche ad esse le regole in uso presso la diocesi di Milano.

Nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale verrà pure costruita, nel 1605, una chiesetta ad uso Oratorio (luogo di preghiera) per i Disciplini che da essi appunto prenderà il nome di Oratorio della Disciplina, dedicato a S. Francesco. Purtroppo, ubicata in luogo angusto e controterra, la chiesetta presenterà ben presto degli inconvenienti, tant’è che il vescovo mons. Morosini, nella visita pastorale del 1646, rilevato che l’ancona dell’altare a causa dell’umidità era in parte rovinata, ordina che venga quanto prima riparata; ordina anche che le pareti dell’edificio vengano decentemente ricoperte d’intonaco e che il corpo dell’Oratorio sia quanto prima difeso dall’umidità.

Non essendo probabilmente stati eseguiti i provvedimenti

Confraternite e altro

“L’origine delle Confraternite – scrive don Lino Ertani in “La Valle Camonica attraverso la storia” – va ricercata nella iniziativa di qualche persona o gruppo di laici che intendevano vivere più intensamente la vita cristiana nell’esercizio della preghiera, della penitenza e della carità. La Chiesa accettò queste congregazioni o “fraglie” di laici e le organizzò con precisi regolamenti di vita ascetica, concedendo agli iscritti, detti “confratelli”, una divisa particolare ed un posto privilegiato nell’ambito della celebrazione delle sacre liturgie. Forse c’è ancora qualche anziano che ricorda, per esempio, i confratelli del “SS. Sacramento” detti anche “Disciplini”, vestiti da un camice bianco sorretto da cingolo rosso, gli omeri coperti da una breve mantellina di lana rossa che recava sul petto un medaglione con l’effigie della Eucaristia in gloria… Già nel ‘500, ogni parrocchia camuna aveva nella sua efficiente organizzazione, una o più di queste congregazioni che costituivano l’anima delle attività religiose parrocchiali”.

Nel 1567, in occasione della visita pastorale alla diocesi, il Vescovo Bollani rilevava l’esistenza nella parrocchia di Cevo di una “schola” (confraternita) del Corpo di Gesù Cristo.

Nel 1573 s’affiancava a questa un’altra “schola” detta dei Disciplini. Le due confraternite sono così presentate dal convisitatore del Vescovo Bollani:

- Confraternita del SS.mo Sacramento.“Domenico de Gozis chiamato risponde: “La ‘schola’ del SS.mo Sacramento ha 70 confratelli che pagano all’ingresso 3 monete e altrettante ogni anno. Spendono per comperare la cera per accompagnare il Viatico agli infermi, nelle processioni e nelle esequie dei confratelli. Fanno celebrare la Messa ogni terza domenica del mese – e per i defunti confratelli per due settimane all’anno, danno l’elemosina o in fine d’anno o quando si celebrano. Mettono l’olio nella lampada che deve ardere davanti al SS.mo Sacramento. Fanno i conti ogni anno

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orzo…) offerte dalla popolazione per le persone più bisognose del paese. Tale cassa, più tardi, verrà usata come armadio per i grembiulini dei bambini, quando il locale sarà adibito a primo asilo infantile di Cevo (primi decenni del 1900), gestito dalla signorina Marianna Scolari, detta Papo.

L’edificio verrà demolito nel 1938 per permettere l’allungamento della chiesa parrocchiale. Il fatto è così annotato nel Diario personale dell’attento memorialista cevese Giacomo Matti (Barbù) sotto la data 22-6-1938:

“Si fece un progetto per allungare la chiesa parrocchiale di 6 metri verso sera. Per raggiungere questo scopo fu d’uopo abbattere l’antico Oratorio o Disciplina come si chiamava. Qui, in questo oratorio dove ebbero vita le prime confraternite fondate da S. Carlo Borromeo e che risalgono all’anno... In questo posto pure vi erano 5 sotterranei fatti a vòlto quali sepolcri per gli iscritti alla stessa confraternita. Dalle molte ossa che in queste tombe si trovavano si può dedurre che gli iscritti fossero molti con data d’inizio circa 1500. Solo verso il 1810, per decreto napoleonico, fu fatto il cimitero di S. Sisto. Certo si è che i sacerdoti venivano tumulati in apposita cripta nel cuore della chiesa, i confratelli come ho già riferito e gli altri sul sagrato della chiesa”. (24)

Nel 1729 troveremo, affiancate alla Confraternita del SS. Sacramento, anche:- la Congregazione del SS. Rosario, prevalentemente femminile, che nella chiesa parrocchiale aveva un suo altare privilegiato dove, attorno all’effigie della Madonna, figuravano, e figurano tutt’oggi, 15 quadretti che rappresentavano i misteri del Rosario; mentre ai lati dell’altare, in due nicchie, sono riprodotte le figure di S. Domenico e S. Caterina. Le iscritte alla congregazione erano tenute alla recita quotidiana del rosario intero (150 Ave Maria);- la Congregazione della Misericordia, formata da donne e uomini non sposati che si prendevano l’impegno di assistere i più bisognosi, distribuendo loro aiuti in denaro, in pane e

emanati, nella visita del 1652 mons. Morosini ritorna vigorosamente sulla questione: “Nella chiesa dei Disciplini, sotto il titolo di S. Francesco, che è molto umida e indecente non si celebri più, né si faccia alcuna funzione sacra, né riunioni, sotto la pena dell’interdetto e della sospensione a divinis per i trasgressori”. Qualche intervento dovette essere fatto se l’edificio continuò ad essere usato, se non come chiesa, almeno come sede delle due confraternite, le quali col tempo perverranno ad una loro unificazione, assumendo il solo nome di Confraternita del SS. Sacramento e fissando la loro sede nell’Oratorio dei Disciplini.L’edificio era suddiviso in tre locali: uno interrato che costituiva la tomba dei confratelli, l’altro al piano terra dove venivano custoditi gli arredi utilizzati nelle funzioni funebri di confratelli (catafalco, candelabri, addobbi vari), il terzo locale era al piano superiore dove si riunivano i confratelli per pregare, meditare, fare penitenza, discutere sull’andamento della confraternita. In un angolo una grande cassa (scrügn) serviva per la conservazione delle granaglie (frumento, segale,

Primo asilo infantile di Cevo (primi decenni del 1900) gestito dalla signorina Marianna Scolari, detta "Papo"

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F. Bontempi in Storia della Valsaviore: “Nella seconda metà del Quattrocento i Francescani decisero di contrastare il prestito ebraico con l’istituzione del Monte di Pietà. Si trattava di un istituto che avrebbe dovuto prestare senza interesse… In realtà il problema principale del prestito del Monte di Pietà stette nel fatto che divenne una fonte per i prestatori che rilevavano i denari del Monte di Pietà a basso tasso e li prestavano ad un interesse più alto lucrando sulle differenze. Tutto questo metteva in crisi i Monti di Pietà che ebbero bisogno continuamente di aggiornare i loro regolamenti, senza ottenere grandi risultati, anche perché le potenti famiglie insediavano i loro rampolli a dirigerli. La data più antica dell’erezione del Monte di Pietà è del 1567, in cui viene stabilito quello di Cevo”.

soprattutto in sale che allora era un bene prezioso. Gli introiti erano ricavati dai proventi di lasciti;- l’Oratorio di S. Sisto, prevalentemente maschile, i cui confratelli provvedevano alla raccolta e alla gestione delle offerte versate nella cassetta delle elemosine della chiesa diS. Sisto e soprattutto quelle ricavate dalla pubblica vendita del latte (offerto dai malghesi di Cevo e detto “latte dei Morti”), mediante “incanto” nella pubblica piazza adiacente alla chiesa parrocchiale, in occasione di particolari ricorrenze: festa dei Morti, S. Natale, Carnevale… Le offerte venivano utilizzate per piccoli lavori di manutenzione alla chiesa di S.Sisto (riparazione tetto), ma principalmente nella celebrazione di numerosi uffici funebri nel corso dell’anno e per l’assistenza ai più poveri del paese, associandosi in questo a quanto già facevano i confratelli della Misericordia;(25)- l’Oratorio di S. Antonio di Padova, con finalità e compiti affini a quelli dell’oratorio di S. Sisto: dispensa gratuita ai poveri di formaggelle, mascherpe, burro, offerte dai mandriani delle malghe Corti ed Aret e soprattutto da quanto ricavato dall’ “Asta di S. Antonio” che, sempre sulla pubblica piazza, si teneva ogni anno nella festa di S. Giacomo, mediante l’incanto della “prima cagiada del mut” offerta a S. Antonio. Anche le oblazioni fatte in denaro, come “pane di S. Antonio” e depositate su apposito libretto postale, venivano elargite alle persone inferme o comunque più bisognose.- La Fabbriceria aveva il compito di gestire il modesto patrimonio della Parrocchia, i cui redditi erano destinati alla conservazione degli edifici necessari al culto nonché alle spese per l’esercizio del culto stesso (salario al sacrista, tasse comunali, acquisto candele, preparazione quarantore, spese varie per la manutenzione delle chiese…) o per opere di carità, utilizzando al riguardo le elemosine raccolte dalle varie confraternite parzialmente devolute alla Chiesa.- Con caratteristiche diverse dalle confraternite erano stati istituiti anche i Monti di Pietà. Scrive al riguardo don

Processione religiosa con la presenza delle madri cattoliche e della gioventù femminile

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Compagnia della Figlie di S. Angela (Angeline). - La Compagnia della Figlie di S. Angela, sorta a Cevo nel 1880 per opera di Elisabetta Girelli, ebbe come prima “sostituta” (responsabile) Caterina Bertocchi di Angelo, sorella del parroco don Gibriano. Nel 1899 le succedette Maria Biondi di Cevo alla quale si unirono altre 30 consorelle. Loro compito era di fare apostolato a sostegno della Parrocchia, dedicando la loro attività alle famiglie bisognose, alla gioventù femminile, alle varie opere parrocchiali. Una di esse, Maria Angela Biondi, con testamento 6 ottobre 1929, lascerà, in località Canneto, una casa con fienile, prato e pineta alla Compagnia. Questa la trasformerà in casa di villeggiatura per le Figlie di S. Angela di Brescia. Nel 1979, ormai non più utilizzata dalla Compagnia, la casa verrà alienata.Due sono le Angeline presenti ancora oggi a Cevo che, nonostante l’età avanzata, cercano di assolvere agli obblighi di preghiera e di assistenza richiesti dal loro stato religioso.

Ma nella seconda metà del 1900, passato il secondo conflitto

mondiale, a causa soprattutto del diffondersi d’una mentalità secolarizzante e laica unitamente ad una nuova concezione della pastorale ecclesiastica, tutte queste istituzioni andranno irrimediabilmente incontro ad un progressivo declino. Oggi, uniche testimonianze formali di quel passato sono le bandiere dell’Oratorio Femminile e delle Madri Cattoliche che accompagnano, nel corteo funebre, i Cevesi nel loro ultimo viaggio verso il camposanto.

La Parrocchia tra incendi ed epidemie

E’ grazie alla solerzia di alcuni parroci, che molto saggiamente hanno voluto annotare sul frontespizio dei registri parrocchiali o all’interno dei registri stessi gli avvenimenti di particolare rilievo accaduti nel corso degli anni, che oggi è possibile gettare uno sguardo retrospettivo

Agli inizi del 1900, mentre continuavano ad operare le congregazioni sopra ricordate, a scopo soprattutto assistenziale e caritativo, altre associazioni si andavano costituendo con finalità precipuamente religiose.

Don Gibriano Bertocchi, nella Relazione sullo stato della Parrocchia di Cevo a margine della visita pastorale del 1914 del Vescovo Giacinto Gaggia, scriveva: “In questa Parrocchia vi è la Scuola del SS. Sacramento: confratelli con l’abito e confratelli e consorelle con la sola candela, che pagano annualmente lire 0,25 cent. per mantenere la cera per le processioni. Vi sono inoltre l’Oratorio della Figliole sotto l’invocazione dell’Immacolata Concezione, la Pia Unione delle Madri Cattoliche, la Congregazione del Terz’Ordine di S. Francesco, l’Associazione della Santa Infanzia, la Congregazione del Santo Rosario con l’altare privilegiato”.- L’Oratorio delle Figliole, detto anche Oratorio Femminile, comprendeva le iscritte all’Azione Cattolica e le Figlie di Maria che si prefiggevano l’imitazione della Madonna, soprattutto nella custodia della verginità;- La Pia Unione delle Madri Cattoliche raccoglieva sotto la propria bandiera le donne che si sposavano. Le iscritte portavano al collo, sorretta da un nastro azzurro, una medaglia della Madonna. La Pia Unione svolgeva attività religiosa e sociale, fornendo alle madri occasioni di formazione e di pratiche religiose, prodigandosi nel contempo in azioni di assistenza ai poveri, agli ammalati, ai bambini.- La Congregazione del Terz’Ordine di S. Francesco, eretta a Cevo nel 1914 da Padre Venanzio da Breno del Convento dell’Annunciata di Borno, vedrà tra i suoi 130 iscritti, dal 1914 al 1942, due soli uomini contro 128 donne. Era quindi a conduzione femminile, sotto la direzione del Parroco. Le iscritte portavano sul petto uno scapolare con l’immagine di S. Francesco. Il loro impegno riguardava il campo della carità, della catechesi e del volontariato.

Anche se non ricordata da don Bertocchi, esisteva pure la

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come prima dell’incendio.Ossequienti alle richieste del Vescovo, i Cevesi, in soli sei

anni, dal 1590 al 1596, porteranno a termine la ricostruzione della chiesa. Opera degna di ammirazione e di lode se pensiamo che quella povera gente, gettata sul lastrico dall’incendio, doveva pure provvedere al ripristino delle proprie case.

L’incendio fu causa, come già fatto presente, di un altro grave danno per il paese: il bruciamento dei Registri Ufficiali e delle carte conservate nella chiesa parrocchiale ed in canonica. Ne abbiamo testimonianza nel Registro Nascite (1590-1644) conservato presso l’archivio parrocchiale dal quale apprendiamo che l’incendio si verificò il 10 settembre 1590 e che i neonati di Cevo si battezzarono nella Parrocchia di Saviore fino alla Pentecoste del 1593. Anche nel Registro Matrimoni (1591-1802), come già ricordato, il parroco Grazio Mazzoli dice di avere iniziato un nuovo registro, “essendo stato abrugiato l’altro, qual era stato cominciato dalla pubblicazione del Sacro Concilio in qua”. Il Concilio di cui si parla era quello di Trento, che aveva fatto obbligo a tutte le parrocchie di tenere 4 registri: Nati, Morti, Matrimoni, Stato d’anime.

Forse la data ‘1596’, incisa su di una pietra incuneata nel muro a monte della chiesa parrocchiale, è memoria dell’incendio e della ricostruzione della chiesa.

Ancora sul frontespizio del Registro Matrimoni (1591-1802) una succinta nota ci ricorda un altro incendio, l’incendio del 2 settembre 1642 causato da un fulmine, meno rilevante quanto a distruzioni, ma contrassegnato dalla morte di alcune persone: “L’anno 1642 cascò il fulmine nella casa di Dominico Sochi gli 2 settembre mentre battevano le biade e funno occise tre persone, sub.o et non potero neanco dir Jesus, quali furono Dominico Sochi et una putta detta Stopazzina e la vedova Sclatelli moglie del sig. Marco, e poi abbrugiarono le case sin a quella delli Scholere, sin al Cimiterio, con grande danno e spavento di tutti,

sul passato della Comunità civile e religiosa di Cevo. Come già detto, furono soprattutto gli incendi a colpire in

modo devastante il paese.L’incendio del 10 settembre 1590 sembra sia stato il più

disastroso di tutti: non solo qualche gruppo di case, ma l’intero paese rimase preda delle fiamme. Ecco quanto leggiamo nella Visita Pastorale del 1593 del Vescovo di Brescia, Mons. Morosini:“Gli uomini di questo luogo nel quale negli anni precedenti, per un incendio, la Chiesa e tutto il Paese sono stati distrutti (haec Ecclesia et tota Villa consumpta fuit), con quella medesima pietà con la quale hanno cominciato a ricostruire la Chiesa portino a termine l’opera iniziata nel più breve tempo possibile, non trascurando gli ornamenti e le decorazioni a norma delle Istruzioni Generali; essi riceveranno per questo una grande ricompensa dal Signore”.Assieme alla Chiesa, gli uomini erano invitati a ricostruire anche la Casa Canonica, perché vi potesse abitare il parroco,

1596: probabile data di ricostruzione della chiesa parrocchiale dopo l'incendio del 1590

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e morì anco la Zamara (?) havendo voluto andar in una camera a pigliar delli drappi per soffocare detto focho”.

Gli abitanti non si erano ancora riavuti da quel triste evento che, solo due anni dopo, un altro fulmine fu causa di un nuovo incendio. Il fatto viene così ricordato dal P. Gregorio Brunelli da Valle Camonica: “Il 22 aprile 1644, a causa di un fulmine, la Terra di Cevo restò per la maggior parte incenerita, mentre quelle di Niardo, Prestine, Bienno, Berzo e Esine furono di nuovo danneggiate dalle inondazioni, l’una bersagliata dal fuoco e le altre combattute dalle acque. Spedita notizia al serenissimo principe, supplicando i poveri abitanti qualche aiuto, si provvide, a riguardo delle loro benemerenze per la prontezza sempre mostrata nel pubblico servizio, ad esentare la prima per sei anni da tutte le imposizioni ordinarie e le altre per cinque anni dalla metà delle stesse imposizione e decime ecclesiastiche”. (26)

Sempre a causa di un fulmine, il 23 giugno 1828, la chiesa parrocchiale corse il rischio di essere nuovamente distrutta dal fuoco. Così la Deputazione di Cevo il 25 giugno 1828 ragguagliava dell’accaduto le superiori autorità della Valle Camonica:“ Rendo noto, per ogni effetto di polizia, che il giorno 23 andante sulle ore 17 italiane circa, mentre il tempo temporalava, è accaduto un fulmine sulla cupola del campanile di questa Chiesa Parrocchiale, il quale fulmine poi si è diviso in cinque o sei parti, quali parti cadero sopra la chiesa suddeta ed Oratorio vicino di….. a segno tale che l’interno della chiesa stessa divenne tutto fuoco con la sveltezza di un lampo, mentre colà erano adunate più di 80 persone…e nepure una restò vittima, solo che sette o otto individui restaro alquanto abrustoliti , chi nei piedi e chi nelli braci, senza però pericolo della propria vita. - Per la Deputazione: Brezadola”.

Sul finire dell’Ottocento, il 17 giugno 1887 un altro grosso incendio distrusse buona parte del paese. Quel giorno, nel volger di poche ore, le fiamme, divampate fortuitamente,

Cevo dopo l'incendio del 3 luglio 1944

Cevo visto dall'alto dopo l'incendio

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calamità naturali, ma conseguenza di lotta fratricida (Italiani contro Italiani). Un rastrellamento di forze armate fasciste, alla ricerca di elementi partigiani asserragliati nel centro abitato del paese, si trasforma, di fronte alla reazione di quest’ultimi, in una spaventosa rappresaglia. In poche ore l’intero paese viene trasformato in un immenso braciere, con la gente che fugge in preda al terrore. Una decina di persone, tra civili, partigiani e militi fascisti trovano la morte nello scontro tra le forze contrapposte. A sera il paese è ridotto ad un cumulo di macerie fumanti: in un sol giorno il frutto di centinaia d’anni di lavoro è stato trasformato in cenere: 150 le case totalmente distrutte, 48 le case rovinate, 12 quelle saccheggiate, 800 persone su 1200 ridotte senza tetto.

Il paese è rimasto privo di qualsiasi autorità civile e militare. Tocca al Clero difendere, incoraggiare ed aiutare la povera gente sinistrata. Don Pietro Chiappini, il quale come curato doveva sostituire il parroco don Felice Murachelli che fin dal 25 maggio, su ordine del Vescovo, aveva lasciato il paese perché minacciato di morte, cerca di affrontare la situazione, ma anche per lui non mancano botte e minacce di morte. Trova un prezioso aiuto nel gesuita P. Vincenzo Prandi, superiore a Cevo della Villa Adamello del Collegio C. Arici di Brescia. Saranno loro, in quel frangente, l’unico sostegno sociale e morale per la Comunità. P. Prandi fungerà anche da sindaco di Cevo per una ventina di giorni.

Il Vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici, informato di quanto successo a Cevo, protesterà indignato per l’ignominiosa strage, scrivendo, il 7 luglio, al Prefetto di Brescia: “Una rappresaglia che Voi non potete approvare, come io ne sento orrore. Italiani contro Italiani! Vi supplico a non voler permettere un simile procedimento, anche se altri lo vuole. Non macchiamo il nome d’Italia con queste infamie”.

Purtroppo le rappresaglie non termineranno: il 4 novembre 1944, come già ricordato, anche la Cappellania sarà data alle fiamme dagli stessi artefici del 3 luglio 1944.

distrussero 50 case contenenti 56 famiglie e 400 persone: tutta la porzione di paese compresa tra la valle Igna e la vecchia Casa Comunale posta al centro del paese. Qui l’incendio venne domato dalla popolazione, dai Reali Carabinieri e dalla Finanza di Cedegolo; scamparono così alla distruzione la Casa Comunale e la Chiesa Parrocchiale. I sinistrati trovarono aiuto nei compaesani, negli abitanti dei paesi vicini e nella solidarietà di tutta la Provincia di Brescia.

Il Vescovo di Brescia, mons. G. Maria Corna Pellegrini, indirizzò, in data 18 giugno 1887, a tutte le Parrocchie della Diocesi la seguente lettera circolare:

“Venerabile Clero e dilettissimo popolo della città e della Diocesi di Brescia. Ci perviene la dolorosissima notizia di un gravissimo incendio che ha distrutto 50 case nel paese di Cevo in Valle Camonica, gettando sul lastrico centinaia di persone. Non ci sono ancora noti i particolari del disastro, ne sappiamo però tanto da giudicare indispensabili i pronti soccorsi della carità. Perciò in nome della Religione facciamo appello al vostro cuore pietoso, o Venerabili Fratelli e dilettissimi Figli, onde veniate in sollievo dei miseri colpiti da tanta sventura. Le offerte che manderete a questa Curia, noi le spediremo tosto perché siano sicuramente e convenientemente distribuite tra i più bisognosi di quel disgraziato Paese. Il N. S. Gesù Cristo vi rimeriti della vostra carità, mentre noi vi impartiamo con paterno affetto la Pastorale Benedizione. – Giacomo Maria, Vescovo”.

Era allora parroco di Cevo don Gibriano Bertocchi che s’adoperò in tutti i modi per far giungere alle famiglie bisognose gli aiuti provenienti da ogni parte. La ricostruzione delle case distrutte dovette protrarsi per lungo tempo, se è dato sapere che tre anni dopo qualche famiglia era ancora senza tetto.

È durante il secondo conflitto mondiale che Cevo si ritrova ancora una volta in preda alle fiamme.

L’incendio del 3 luglio 1944, non fortuito, né dovuto a

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Ma queste sciagure furono intervallate da fatti ancora più luttuosi: contagiose epidemie che infierirono sulle persone indifese causando, anche a Cevo, centinaia di morti.

Poche notizie abbiamo sulla famosa peste del 1630-31, quella descritta da A. Manzoni nei Promessi Sposi e che causò anche in Valle Camonica cinquemila morti. Per quanto riguarda Cevo, conserviamo un breve promemoria annotato sul frontespizio del Registro Nascite (1590-1644) dell’ Archivio Parrocchiale: “Addì 22 agosto 1630 fu la peste nelli soldati del Cap.no Paccolo et morsero Laffranco Gnuda e B.eo Socchio et il 23 di notte fu una gran paura et movimento d’arme per tutta la valle onde stavano tutti in fuggire et abbandonare credendo che fossero gli inimici. L’istesso si fece nel Trentino, credendo che fossero li Veneziani…”

I morti, però, dovettero essere molti anche a Cevo. Questi vennero sepolti nella chiesa di S. Sisto, come ci è dato sapere da una relazione fatta nel 1809 dal parroco di Cevo, don Giacomo Matti: “In Cevo c’è l’Oratorio di S. Sisto ove celebrano messa secondo la devozione ai morti di S. Sisto, essendovi stati sepolti quelli che anticamente la peste ha levato di vita”.

Probabilmente il ricordo di quella pestilenza non si era ancora spento, quando il paese fu infestato da un’altra epidemia: le febbri maligne del 1763-1764, che pure fecero spaventosi vuoti tra la gente. Ne abbiamo testimonianza nel Registro Morti dove, sotto la data 4 aprile 1764, il parroco don Stefano Tosini, trascrivendo l’atto di morte di Scolera Bortolo, precisava: “Morse di febbre maligna in età d’anni 62, mesi 5 e giorni 4, come sono morti quasi tutti li sopra notati dall’istesso male, principiando li 6 genaro 1763 sino al suddetto e parte continuano”. Nell’anno 1763 morirono 75 persone, nel 1764 altre 64. Poiché la media dei decessi in quegli anni si aggirava sui 20 all’anno, è d’obbligo concludere che nel decorso del 1763 e

Lettera della deputazione comunale di Cevo al distretto di Edolo per il colera del 1855

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direttamente dalla casa al cimitero, senza alcuna sosta in chiesa.Il Vice Regio Delegato Provinciale di Bergamo (allora la Valle Camonica era sotto Bergamo) inviò a tutte le Deputazioni Comunali un’ urgentissima circolare nella quale fra l’altro si diceva: “Per ovviare ai disordini che purtroppo si sono verificai a cagione di straordinarie adunanze di popolo nelle chiese, la R. I. Delegazione, d’intelligenza con la Curia Vescovile, ha determinato che sino all’estinzione delle malattie contagiose dominanti in diversi Comuni della Provincia siano sospese le straordinarie funzioni ecclesiastiche, come sono li Tridui, gli Ottavari, le Quarantore, Missioni e simili, che per solito chiamano gli abitanti di altri Comuni nella chiesa dove hanno luogo le suddette pie funzioni”.

Nonostante le misure prese, anche i malati ed i morti di febbre petecchiale furono molti.

A distanza di pochi anni, altri flagelli dovevano colpire la popolazione: nel 1835 il vaiolo e il colera fecero la loro comparsa e, quasi non bastasse, il colera si ripresentò anche nel 1855. Ancora una volta si imposero straordinarie misure sanitarie e di igiene. I morti dovevano “essere posti nella cassa ben chiusa e catramata con calce e dare loro sepoltura di notte”.

Anche in quell’occasione la chiesa di S. Sisto fu scelta come possibile lazzaretto.

Ma pure il Novecento ha visto le sue epidemie. Prima che la grande guerra finisse, mentre ancora le madri piangevano i figli caduti al fronte, ai primi di ottobre del 1918 la febbre spagnola cominciò ad infierire tra la gente. Le pubbliche autorità corsero ancora una volta ai ripari. Questa volta come eventuale lazzaretto fu designata la chiesa di S. Antonio. Fortunatamente il morbo passò veloce; ma in soli tre mesi contagiò centinaia di persone e lasciò dietro di sé ben 19 morti.

1764 morirono di febbre maligna circa 100 persone.Ma anche questa volta non si erano ancora asciugate le

lacrime per questi lutti che, a brevissima distanza, un nuovo morbo colpì il paese: le febbri petecchiali del 1816-18. Si trattava di una malattia strana a cui i medici non sapevano trovare inizialmente alcun rimedio. Le persone colpite, dopo due o tre giorni, si vedevano tutto il corpo invaso da un’eruzione di chiazze rosso scure, dette petecchie. In data 7 febbraio 1817 la Deputazione Comunale di Cevo “vedendo il male manifestatosi essere di cattivo carattere, passò ad urgenti determinazioni per impedire la propagazione del male medesimo”. Ordinò che non vi fosse più di un ammalato per ogni stanza e che una persona sola fosse addetta alla cura del medesimo; che le famiglie colpite dal male fossero segregate; fu proibito di dare alloggio a qualsiasi accattone sia forestiero che del paese; le persone convalescenti venivano escluse dalle stalle e da qualsiasi luogo in cui vi fosse adunanza di gente; fu pure ordinato che i morti per febbre fossero portati

SS. Teodoro e Costanzo, invocati contro le febbri maligne

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diventava tragica in caso di epidemie mortali. Non mancarono al riguardo le attenzioni dei Vescovi di

Brescia nelle loro visite pastorali. Nel 1573 il delegato del Vescovo Bollani, alla Vicinia, cui competeva l’obbligo della manutenzione e della pulizia del cimitero, raccomandava: “Si sistemi l’ingresso del cimitero in modo che gli animali non vi possano entrare”. A questo richiamo forse risaliva l’usanza di porre ai vari ingressi dei cimiteri delle griglie in ferro fissate al suolo che impedissero il transito ai quadrupedi. Nel 1672 il Vescovo M. Giorgi ordinava alla Vicinia di Cevo: “Tutte le ossa disperse nel cimitero siano immediatamente interrate”.

Opportuna, quindi, dovette giungere, seppure alla distanza di oltre un secolo, una disposizione di Napoleone Bonaparte (Decreto di S. Cloud – Francia del 1804, esteso anche all’Italia nel 1806) con la quale, per ragioni sanitarie, s’imponeva la sepoltura dei morti in cimiteri appositamente costruiti fuori dai centri abitati. Con qualche ritardo, anche la Deputazione Comunale di Cevo provvide ad acquisire i terreni necessari al nuovo cimitero. Vennero scelti alcuni campi appena a valle della chiesa di S. Sisto. Per il mese di giugno del 1817 le opere principali del nuovo camposanto erano quasi ultimate; in agosto vi fu il seppellimento del primo defunto. Nel Novecento, dopo la prima guerra mondiale ed in seguito alla “spagnola”, si sentì il bisogno di ampliarlo. Nel 1933, acquistati altri terreni sempre a mezzogiorno del cimitero esistente, si costruì un altro campo, quasi un secondo cimitero. Passata la seconda guerra mondiale, di fronte all’aumentato numero di abitanti e alla conseguente necessità di un altro ampliamento, si decise di costruire un terzo cimitero, a monte della chiesa di S. Sisto.

Il nuovo cimitero, realizzato negli anni 1966-1969, venne ufficialmente benedetto, nel maggio del 1970, da mons. Angelo Pietrobelli della Curia Vescovile di Brescia e dedicato a S. Maria degli Angeli.

Dopo di allora più nessuna epidemia di tal genere si verificò nel territorio di Cevo ed in Valle Camonica.

La traslazione del cimitero di S. Vigilio a S. Sisto

Non sappiamo se attorno alla chiesetta di S. Sisto, primitiva parrocchiale di Cevo, fin dai secoli XII e XIII esistesse un piccolo cimitero oppure se i morti di Cevo, per la sepoltura, venissero portati ad Andrista e sepolti in quel cimitero. E neppure sappiamo se tale usanza, se reale, sia durata fino all’erezione della chiesa di S. Vigilio in Cevo nelle cui adiacenze, secondo l’usanza del tempo, sarebbe sorto il nuovo cimitero detto appunto di S. Vigilio.

Compreso tra la chiesa e le case d’abitazione poste ad occidente, esso doveva essere troppo piccolo e quindi insufficiente per dare una dignitosa sepoltura ai circa 25 defunti che ogni anno il paese, con una media quasi costante di 700/900 abitanti, doveva supportare. E l’emergenza

Funerale lungo la vecchia strada di S. Sisto

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Feste della Comunità e Sacre Reliquie

Numerose erano le festività che scandivano la vita religiosa del paese alcuni secoli fa. Oltre le tradizionali feste dell’anno liturgico, comuni a tutta la Chiesa, ve n’erano alcune, volute dal popolo che riguardavano la sola comunità di Cevo.

Erano divise in due gruppi: feste di voto e feste di devozione. Le prime erano legate a particolari calamità pubbliche (pestilenze, incendi, ecc.), in occasione delle quali il popolo ricorreva all’intercessione di qualche santo protettore; le feste di devozione erano invece manifestazione di culto spontaneo che la gente nutriva per altri santi particolarmente venerati ed ammirati per le loro virtù.

In un documento del 1775, trasmesso alla Curia Vescovile di Brescia dal parroco don Stefano Tosini, abbiamo un elenco di tali festività: “Nota delle Feste di voto della spettabile comunità di Cevo2 gennaio – S. Defendente per le febbri maligne del 176317 gennaio – S. Antonio Abate per incendio seguito 1590 e 164220 gennaio – SS. Fabiano e Sebastiano per la peste del 16315 febbraio – S. Agata con processione23 maggio – S. Urbano 6 luglio – SS. Teodoro e Costanzo per le febbri maligne del 176328 luglio – SS. Nazzaro e Celso6 agosto – S. Sisto Altra nota delle Feste di devozione13 giugno – S. Antonio di Padova16 agosto – S. Rocco 29 agosto – Decollazione di S. Giovanni Battista4 ottobre – S. Francesco21 novembre – Presentazione della Beata Vergine Maria In fede Stefano Tosini, parroco.”

Reliquia di S. Vigilio

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richiesta dalla Chiesa per impedire facili proliferazioni di false reliquie da parte di speculatori. Le reliquie custodite sono:- reliquia di S. Vigilio, Vescovo di Trento: un frammento di ossa.S. Vigilio è il patrono della Parrocchia di Cevo. - reliquia del Beato Innocenzo da Berzo: frammento di ossa.- reliquia di S. Giovanni Bosco: frammento di ossa.- reliquia di S. Domenico Savio: frammento di ossa.I primi due Santi sono compatroni della Parrocchia di Cevo, il terzo è patrono degli adolescenti.- reliquia di S. Giovanni Bosco: particella di cenere.- reliquia di S. Filippo Neri: particella di cenere.- reliquia di S. Antonio di Padova: frammento di ossa.I primi due Santi sono patroni della gioventù, il terzo dei bambini ammalati e dei poveri.- reliquia di S. Luigi Gonzaga: frammento di ossa.- reliquia di S. Giuseppe Cottolengo: frammento di ossa.Il primo Santo è patrono della gioventù, il secondo degli ammalati e dei derelitti.- reliquia di S. Teresa del Bambino Gesù: particella di stoffa.- reliquia di S. Agnese: frammento di ossa.- reliquia di S. Angela Merici: frammento di ossa.Le Sante sono patrone della gioventù femminile. - reliquia di S. Teodoro: parte di ossa.- reliquia di S. Costanzo: parte di ossa.I due Santi erano invocati nelle epidemie di peste e di colera. - reliquia di S. Fermo: frammento di ossa.- reliquia di S. Rustico: frammento di ossa.I due Santi erano invocati nelle epidemie di bovini e di equini.- reliquia di S. Paolo apostolo: frammento di ossa.- reliquia della Santa Croce: crocetta in vetro.- reliquia della Beata Vergine Maria: particella della sua casa.- reliquia della Beata Gertrude Comensoli: frammento di ossa.La Beata G. Comensoli è nativa della Valle Camonica, fondatrice delle Suore Sacramentine di Bergamo.

Il grado di religiosità della popolazione doveva essere sicuramente ammirevole, se pensiamo che le feste di voto o di devozione molto spesso venivano considerate dagli Statuti Comunali di allora giorni festivi a tutti gli effetti, con divieto di dedicarsi a qualsiasi lavoro.

La devozione dei Cevesi non era circoscritta solo a questi santi. La presenza di numerose sacre reliquie presso la chiesa parrocchiale ci fa capire quanto sentita e varia fosse la religiosità dei fedeli, rafforzata, in questi casi, dalla presenza fisica, tangibile di parti del corpo o degli indumenti del santo.Dodici sono in tutto i reliquiari che custodiscono al loro interno 20 reliquie attribuite a 19 santi o beati; 16 reliquie sono corporali, ossia provengono dal corpo del santo, 3 sono non corporali, cioè sono semplici oggetti appartenuti al santo. Tutte le reliquie sono accompagnate da un certificato o da un sigillo dell’autorità ecclesiastica che garantisce sulla loro provenienza e validità. La dichiarazione d’autenticità è sempre

Reliquie del Beato Innocenzo da Berzo, di S. Giovanni Bosco, di S. Domenico Savio e di S. Paolo Apostolo

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Panorama di Cevo dall'Androla (primi decenni del Novecento) Foto F. Micheletti - Bs

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di S. Francesco, l’Associazione della Santa Infanzia, la Congregazione del S. Rosario. In paese non vi sono società pericolose; ciononostante sono diffuse due o tre copie del Risveglio Camuno (Foglio dei laicisti camuni). Nota – Conclusa la Visita, Mons. Gaggia passa da Cevo a Monte di Berzo a piedi, percorrendo il sentiero dei Valzelli, a quei tempi, a dir poco impraticabile.

Una parentesi dolorosa

Nel corso del 1925 un evento deplorevole interrompe il regolare svolgimento della vita religiosa della Comunità di Cevo.

Sul Registro Nascite (1887-1929), sotto la data 19 ottobre 1925, è scritto: “N.B.– In una domenica di fine Ottobre il Rev.do Parroco don Pietro Recaldini fu scacciato da alcuni malintenzionati e non potè più ritornare”.

Don Pietro Recaldini da Cimbergo, già cappellano coadiutore della Cappellania di Cevo nominato “per acclamazione e ad unanimità di voti” dal Consiglio Comunale di Cevo l’ 11

Dall’elenco appare evidente come la gente fosse preoccupata della propria salute fisica, di quella dei loro animali, ma soprattutto dei loro figli. La Chiesa, anche oggi, continua a ritenere le reliquie utili e ne suggerisce il culto e la venerazione. Leggiamo infatti nel Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica: “Oltre alla Liturgia, la vita cristiana si nutre di varie forme di pietà popolari, radicate nelle diverse culture. Pur vigilando per illuminarle con la luce della fede, la Chiesa favorisce le forme di religiosità popolare (venerazione delle reliquie, visite ai santuari, pellegrinaggi, la via crucis, il rosario, ecc…), che esprimono un istinto evangelico e una saggezza umana e arricchiscono la vita cristiana”.

La vita religiosa della Parrocchia nel Novecento

Attraverso le relazioni redatte dai parroci in occasione delle visite pastorali, siamo in grado di presentare alcuni dati sintetici sulla vita religiosa della Parrocchia nel corso dell’ultimo secolo. “Uno specchio abbastanza approssimativo dello stato della Parrocchia”, scriverà il vescovo Giacinto Tredici nella presentazione del Questionario relativo alla visita pastorale del 23 – 24 aprile 1939.La prima visita pastorale del Novecento alla Parrocchia viene effettuata da Mons. Giacinto Gaggia il 17 – 18 giugno 1914.

Lo stato spirituale della Parrocchia è presentato dal parroco don Gibriano Bertocchi.

Le anime della Parrocchia sono 1700 (compreso Andrista). C’è una buona frequenza ai Sacramenti, soprattutto da parte delle donne. Si distribuiscono 25.000 comunioni all’anno. Alla Comunione Pasquale s’accostano tutti in generale, meno sette o otto. La Dottrina Cristiana è frequentata ogni festa; si fa, come già ricordato, per via di interrogazione ai fanciulli e per popolare istruzione agli adulti possibilmente in dialetto. In Parrocchia esistono: l’Oratorio delle Figliole, la Pia Unione delle Madri Cattoliche, la Congregazione del Terz’Ordine

"Fanfara Concordia" del Circolo Giovanile Cattolico di Cevo (1925)

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“18 ottobre 1925 - Cronaca dolorosa – Una combriccola “la solita”, dopo i diversi attacchi di fronte, ai lati e alle spalle del povero parroco Recaldini don Pietro, riusciti sempre con esito infelice, giorni fa congiurarono una lotta decisiva per il dopo Messalta. Non so se Barcellini l’abbia mosso la pietà, oppure se comandato, riferiva al Vicario Foraneo di Saviore, perché portasse il Recaldini a conoscenza della funesta delibera. Per non entrare nelle lunghe, riferirò che assunse quest’incarico don Vincenzo Tiberti, esortando il nostro parroco a girsene. Pare che esso abbia preferito prendere ciò che veniva anziché non compiere il proprio dovere sino all’ultimo, e, per quanto fosse stato capace di misurare la forza dei futuri eventi, stette fedele al suo motto: -Fa’ pur di me, o Signore, quel che ti piace, poiché so che tu mi ami-.Dopo messa e senza messa un nucleo di mendicanti del buon senso, al comando dell’onorevole (titolo falso, sarcasticamente elogiativo, N.d.A.) Genesini Carlo e compagni, s’erano allineati lungo la scalinata e sulla ferrata del sagrato. Tre carabinieri erano pure sul sagrato in attesa d’accompagnare il Reverendo dalla chiesa alla Casa Parrocchiale. Quando uscì, il primo ad uscire in epiteti non troppo delicati fu il gran Maestro di Musica, Genesini dott. Carlo. Questo poveretto, a mio modo di vedere, deve quanto ha all’ambiente di Cevo, è segretario della Sezione Fascista e, a quanto dissero diversi presenti, il suo cane Fuchs si sia diportato meglio… Accompagnai don Recaldini sulla porta della sua casa e poi me ne andai col proposito di combattere, a seconda le circostanze, coloro che vogliono il male. All’indomandi lo andai a trovare, incoraggiandolo e pregandolo che preghi per tutti noi miserabili, orfani di Pastore.Speriamo che il Signore non vorrà pagarci dei nostri meriti. In ogni modo, se avrò da vivere, ne descriverò le conseguenze che sempre ne nascono in seguito a queste sacrileghe azioni”. (29)

Don Recaldini, lasciato il giorno seguente il paese di Cevo,

ottobre 1908, diventa parroco di Cevo nel 1922 in seguito alla rinuncia di don Gibriano Bertocchi. Così può concretizzare quanto, come cappellano, già aveva progettato: fonda un Circolo Giovanile Cattolico per i ragazzi, organizza gli uomini in un embrionale Partito Popolare d’ispirazione cristiana in contrapposizione al socialismo allora dominante a Cevo, dà vita ad una Banda Musicale che chiamerà “Concordia”, ma che sarà oggetto di dissidio con altra banda musicale, a direzione fascista, già presente in paese. (27) Iniziative queste da subito ostacolate dalle autorità fasciste del tempo, ostacolo che si trasformerà ben presto in lotta aperta contro il Parroco, così come già stava succedendo in tutta la Diocesi di Brescia e contro cui reagirà energicamente il vescovo Giacinto Gaggia. (28)

Contro don Recaldini verrà sollevata l’accusa di sobillare la popolazione contro le autorità fasciste locali, unitamente ad altre accuse di indole professionale e morale e chiedendo il suo allontanamento da Cevo.

Mons. Gaggia, messo al corrente della situazione venutasi a creare a Cevo, (così come risulta dall’Agenda Personale del Vescovo conservata presso l’Archivio Vescovile di Brescia), in data 13 febbraio 1925, scriverà a don Recaldini: “Sta’ tranquillo, usa prudenza, incaricherò il Rev.do Lanzetti (era Vicario Foraneo di Cemmo, N.d.A.) dell’inchiesta che desideri sul tuo conto”. E l’1 settembre 1925, di fronte alla marea montante contro il parroco di Cevo, il Vescovo comunicherà a don Lanzetti: “Quanto a Cevo assicura che lui non farà nulla per le elezioni, e se lo mandano via fa loro capire che poi rimarranno senza prete per del tempo”.

Ma, alla distanza di soli dieci giorni, preoccupato, scriverà a don Recaldini: “Lotta contro di te per mandarti via e temo vi riescano. Mandami subito quanto hai in tua difesa”.

La congiura contro don Recaldini esploderà l’ultima domenica di ottobre. Scrive Giacomo Matti (Barbù) nel suo diario:

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dalle autorità che avrai il Placet”. Col Placet don Recaldini pretese anche le scuse dei

responsabili della sua cacciata da Cevo, scuse che gli saranno ufficialmente presentate alla presenza di don Lanzetti, Vicario Foraneo di Cemmo. Ricorda don Andrea Morandini, allora Vicario Foraneo di Saviore: “Un altro fatto che aveva alienato, per ragioni religiose, il popolo dal fascismo era stata la triste vicenda del Parroco di Cevo, don Pietro Recaldini, cacciato dal paese con la minaccia di vie di fatto da parte dei gerarchi fascisti. Il Vescovo di Brescia, mons. Gaggia, reagì contro questa prepotenza, lanciando la pena ecclesiastica dell’interdetto contro il paese di Cevo e accettando la rinuncia di don Recaldini solo quando i responsabili, nella canonica di Cemmo, chiesero scusa a don Recaldini e si riconciliarono con lui. Il sottoscritto era uno dei testimoni del compromesso, vera andata a Canossa”. (30)

L’1 marzo 1928 don Pietro Recaldini rinuncerà alla Parrocchia di Cevo e verrà nominato parroco di Paspardo il 17 aprile 1928. (31)

Il 4 giugno 1928 l’interdetto ecclesiastico veniva ufficialmente revocato.

Si apriva così un periodo di accomodamento della triste situazione in cui Cevo era venuto a trovarsi.

Purtroppo il 14 ottobre 1928, all’età di soli 64 anni, veniva a mancare il sacerdote don Giovanni Biondi da Cevo che, con umiltà ed amore per il suo paese, si era generosamente adoperato per ricomporre le profonde divisioni tra la gente. Matti Giacomo (Barbù) scriverà: “Col cuore straziato debbo qui scrivere che stanotte, alle ore ant. 2 e m.15, volava al cielo la bell’anima di don Giovanni Biondi. Non so e non sono capace di descrivere l’impressione che ha lasciato in tutti poiché amava tutti e da tutti era riamato”. (32)

Ci vorrà ancora del tempo prima che la situazione si rassereni, sia socialmente che religiosamente.

Dal 1928 al 1933 tre sacerdoti, don Candido Bonomelli,

si ritirerà a Cimbergo, suo paese natale.Frattanto dalla Curia Vescovile di Brescia partiva il decreto

che comminava la pena dell’interdetto ecclesiastico al paese di Cevo.

L’11 novembre 1925 mons. Gaggia assicurerà il Prefetto di Brescia sulla sorte del Parroco di Cevo: “Nulla accadrà a Cevo contro quel Parroco, perché è lontano. Sono i soliti anticlericali ed ex socialisti contro di lui. Se avessi fiducia nelle firme ve ne ho qui moltissime in favore di quel Parroco”.

Il 27 novembre, mons. Gaggia incaricherà il curato di Andrista e don Vincenzo Tiberti di provvedere alle necessità religiose più urgenti del paese, privo ormai della propria guida spirituale.“In seguito alla violenta espulsione del parroco Recaldini don Pietro – scriverà il 16 gennaio 1926 Giacomo Matti (Barbù) – Mons. Vescovo, con atto amorevole, delegava il curato di Andrista ed in sua vece Tiberti don Vincenzo di celebrare una messa, senza suonarla, ogni otto giorni per la rinnovazione dell’ostia. La combriccola (se crederò una volta o l’altra farò i nomi dei capi), ostinata nella propria profana sapienza, la volle ad ogni costo sempre suonare e fare dire, tanto da determinare i Reverendi delegati a portarsi via il SS. mo per ridurci così a mancarci anche realmente Colui che è nostra prima necessità. Speriamo che la capiscano!”.

La popolazione sarà costretta ad assolvere il precetto festivo presso le chiese di Saviore, di Fresine, di Andrista, per oltre due anni e mezzo. Anche i battesimi verranno amministrati nella chiesa parrocchiale di Saviore.

Per ristabilire la pace in paese, mons. Gaggia, seppur controvoglia, ritenne opportuna la rinuncia di don Recaldini a Cevo con possibile suo trasferimento a Paspardo. “A Cevo non hai più posto – gli comunicherà il 13 dicembre 1927-; quindi rinuncia subito e sarai ammesso a Paspardo e se no dovrò provvedere”. E ancora, il 24 dicembre 1927: “A Paspardo ti si vuole. Manda rinuncia: non sottoscriverò se non avrai parola

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Seguono la Dottrina Cristiana una trentina di uomini, 90 donne circa. Il 70% dei fanciulli segue il Catechismo. Il riposo festivo è piuttosto trascurato. Il 50% degli uomini e il 10% delle donne non osservano il precetto pasquale. Sono molto diffuse la bestemmia e la propaganda contro la religione e il Papa.

Non esistono congregazioni o confraternite. In paese vi sono 5 religiose delle Suore Dorotee di Cemmo che hanno cura della Colonia Ferrari e dell’ Asilo Infantile di Cevo.

Vent’anni dopo, ha luogo la Visita Pastorale di Mons. Luigi Morstabilini, il 26 dicembre 1971.

Gli abitanti del capoluogo Cevo sono 1273. La vita religiosa della Parrocchia è così presentata nella

relazione predisposta dal parroco, don Aurelio Abondio, assieme al Consiglio Parrocchiale. Gli abitanti, dai 50 anni in su, sentono forte il senso della domenica, al disotto dei 50 anni solo il 55% segue la messa domenicale. Il 45% che non frequenta la chiesa partecipa, però, ai funerali e alle funzioni che interessano la comunità civile. Il catechismo ai fanciulli delle elementari e delle medie si effettua regolarmente ogni domenica. La Catechesi agli adulti e ai giovani si tiene alla messa vespertina della domenica. Nel corso dell’anno si tengono corsi specifici per i giovani e le famiglie. La celebrazione dei Sacramenti viene sempre preparata con cura.

La buona stampa è abbastanza diffusa: Famiglia Cristiana 134, Voce del Popolo 63, Madre 20. La Parrocchia stampa per conto suo un bollettino, “Eco di Cevo”, che esce quattro volte all’anno.

In Parrocchia esistono: le Figlie di S. Angela, le Spose e Madri Cattoliche, l’Oratorio Femminile, piccole associazioni dirette dalle Suore in servizio presso l’Asilo Infantile.

don Pietro Mariotti e don Francesco Bondioni presteranno la loro assistenza pastorale alla Parrocchia di Cevo.

Poi, il 17 agosto 1933, verrà nominato quale parroco della Parrocchia di S. Vigilio in Cevo don Paolo Cavallari al quale toccherà l’arduo compito di accompagnare gradualmente la comunità parrocchiale verso la normalizzazione.

Questa la situazione religiosa che egli presenterà in occasione della Visita Pastorale di mons. Giacinto Tredici del 23-24 giugno 1939.

Cevo conta 1215 anime, più 240 ad Andrista. Ha un coefficiente medio di natalità del 30 per mille. In Parrocchia vi è una presenza quasi totalitaria alla Messa Domenicale. Durante l’anno 1938 si sono fatte 16.000 Comunioni, 900 a Pasqua, una trentina di persone non fa Pasqua, si tiene la Dottrina Cristiana agli adulti tutte le domeniche e le feste di precetto; i partecipanti sono il 70%. Il Catechismo ai fanciulli fino agli anni 11-12 viene fatto dalle iscritte alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica, dalla Priora, dalle Suore dell’Asilo e dal Parroco.

In Parrocchia vi sono: le Suore Dorotee di Cemmo, la Confraternita del SS. Sacramento, la Congregazione della Dottrina Cristiana, le Figlie di Maria, le Madri Cattoliche, le Terziarie Francescane, le Angeline. Si vendono numero 12 copie della “Voce Cattolica”.

Pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, mentre la gente sta ancora ricostruendo la propria casa distrutta dall’incendio del 3 luglio 1944, abbiamo la seconda Visita Pastorale di Mons. Giacinto Tredici, il 30-31 marzo 1951.

Cevo conta 1700 abitanti (di cui 250 di Andrista), con un indice di natalità di 40 nascite all’anno.

Il parroco, don Costante Cape, fa presente che, per quanto riguarda la pratica religiosa, il 65-70% dei fedeli frequenta la messa: 50% uomini, 60% donne, 70% giovani, 90% fanciulli.

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Parrocchia di Cevo potè avvalersi della collaborazione di alcune comunità religiose che a Cevo disponevano di una dimora stabile o temporanea: così i Gesuiti che in paese possedevano una casa (Villa Adamello) adibita al soggiorno estivo degli studenti del Collegio C. Arici di Brescia (1922-1955), i Salesiani dell’Istituto S. Bernardino di Chiari subentrati ai Gesuiti nel possesso della Villa Adamello dal 1955 ad oggi, le Suore Dorotee di Cemmo incaricate della gestione della Colonia Angiolina Ferrari per il soggiorno delle operaie tessili bresciane (1929-1995) e della conduzione dell’Asilo Infantile di Cevo ( 1935-1982), le Figlie di S. Angela di Brescia che erano proprietarie di una casetta, uso colonia, in località Canneto, le Suore di S. Marta che ancora oggi ospitano, nella casa soggiorno di Cevo, durante la stagione estiva, i bambini dei loro collegi di Milano.

Sempre buoni e proficui i rapporti fra questi enti religiosi e la Parrocchia. Grande è la riconoscenza che la popolazione di Cevo deve loro per il prezioso apporto da essi dato allo sviluppo sociale, religioso e turistico di Cevo e dell’intera

La Visita Pastorale di Mons. Bruno Foresti del 17 novembre 1991 chiude il Novecento.

Gli abitanti di Cevo capoluogo, al 31 dicembre 1990, sono 948.

Nella relazione predisposta dal Parroco don Paolo Ravarini con i Consigli Parrocchiali ed i Catechisti, vengono evidenziati vari aspetti della vita religiosa. Ogni domenica vengono celebrate due SS. Messe. La presenza alla Messa si aggira sul 25%, ma solo un gruppo partecipa con impegno, i più hanno una presenza passiva. La S. Messa feriale è celebrata tutti i giorni, ma i ragazzi, i giovani, gli uomini come pure i pensionati sono totalmente assenti. Le SS. Comunioni nelle messe ordinarie sono numericamente insignificanti.Le SS. Quarantore si tengono la V° Domenica di Pasqua e il numero dei partecipanti è poco più del nulla. La Confessione sacramentale è celebrata un pochino nelle solennità di Pasqua, di Natale e dei Santi. I funerali vedono un numero molto alto di partecipanti, ma quasi del tutto assenti i ragazzi e i giovani. Per quanto riguarda la Catechesi, sono falliti sempre i tentativi di catechesi per coppie di sposi e per i giovani; durante l’anno si tiene una Catechesi al mercoledì a cui partecipa un gruppetto di donne, ma nessun uomo; alla domenica, durante i Vespri, si tiene una catechesi per tutti sui documenti della Chiesa: presente una dozzina di donne, di uomini neppure l’ombra. Nella relazione non si parla di confraternite o congregazioni. Sono presenti invece i seguenti organismi: il Consiglio Pastorale Parrocchiale (eletto direttamente dai fedeli e composto da dodici persone), il Consiglio per gli Affari Economici (composto da cinque membri), i Catechisti (una decina di persone adulte), un gruppo di Animatori e Collaboratori (tante persone che rendono possibile il funzionamento dell’Oratorio, curano il Grest, il Canto Liturgico, si dedicano al decoro della Chiesa, alla pulizia e alla distribuzione della buona stampa).

E’ doveroso ricordare che, nel corso del Novecento, la

Bambini dell'asilo infantile di Cevo gestito dalle Suore Dorotee di Cemmo (1947)

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con lo scopo di far conoscere il paese e farlo apprezzare. Il bollettino viene inviato anche a molti emigranti di Cevo.

Il successore don Pietro Spertini si prefigge soprattutto di creare luoghi d’incontro per i ragazzi, ma anche occasioni di socializzazione tra gli adulti. Costruisce, dov’era la vecchia casa canonica, un Centro Giovanile (Oratorio) dedicato a Papa Giovanni XXIII, organizza un coro polifonico che prenderà il

Valsaviore.

Fervore di Opere Parrocchiali negli ultimi Cinquant' anni

A fronte del lento, ma progressivo venir meno del senso e della pratica religiosa, comune d’altra parte alla generalità delle Parrocchie, a Cevo si verifica, soprattutto nella seconda metà del Novecento, un fervore di opere parrocchiali che non possono non suscitare qualche meraviglia, se si pensa che la loro realizzazione è dovuta quasi interamente alla generosità dei fedeli di Cevo.

Tralasciando, per ora, le opere relative agli edifici sacri, delle quali si parlerà più dettagliatamente nelle pagine seguenti, diamo uno sguardo alle attività socio-religiose portate avanti in quest’ultimo cinquantennio dai vari parroci.

Nel secondo dopoguerra, don Costante Cape, nella sua voglia di “imporsi con le opere e tenere in mano il più possibile le opere di bene, il monopolio del divertimento, curare la gioventù…” acquista un fabbricato, in precedenza adibito ad albergo, per adattarlo ad Oratorio per i ragazzi ed i giovani, inizia la costruzione d’una sala cinematografica, provvede alla sistemazione della casa parrocchiale che viene sopraelevata d’un piano. Purtroppo le prime due opere non conseguiranno il loro scopo perché verranno cedute negli anni successivi all’ Amministrazione Comunale di Cevo che le adatterà, la prima a scuola media e la seconda a palestra comunale.

Don Aurelio Abondio, succeduto a don Cape, tenendo presente l’invito del salmo “Domine, dilexi decorem domus tuae”, dedica le sue attenzioni soprattutto al decoro della chiesa parrocchiale. Non trascura tuttavia l’impegno per la vita religiosa dei fedeli, soprattutto dei “fratelli lontani”, la divulgazione della parola di Dio attraverso la predicazione, la catechesi, la diffusione della buona stampa, i pellegrinaggi. Cura particolarmente la vita liturgica, il piccolo clero. Dà inizio alla pubblicazione d’un bollettino parrocchiale, “Eco di Cevo”,

Frontespizio del bollettino parrocchiale "Eco di Cevo"

Posa della prima pietra del Centro Giovanile Giovanni XXIII (Oratorio)

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nome di Coro Adamello in grado di eseguire canti religiosi ma anche folcloristici e di montagna e crea nel contempo una scuola per fisarmonicisti ed organisti. Dà il via ai primi Grest parrocchiali, aperti ai ragazzi di Cevo e dei villeggianti. A don Pietro Spertini l’Amministrazione Comunale, nel 2009, intitolerà la nuova palestra comunale, a ricordo ed in riconoscenza per le molteplici attività da lui svolte, in soli otto anni di permanenza a Cevo, a favore della Comunità.

Don Paolo Ravarini, parroco dal 1984 al 1995, preoccupato “in primis” di incrementare l’attività pastorale mediante la formazione e la catechesi degli adulti, si prende cura della preparazione dei catechisti, degli animatori e collaboratori che seguono le varie attività parrocchiali. Si preoccupa di organizzare incontri interparrocchiali per gli adolescenti ed i giovani dei vari paesi della Valsaviore, cerca di inserire giovani e catechisti nelle attività promosse dagli organismi religiosi della Valle Camonica. Porta avanti i Grest per i ragazzi della Parrocchia con precise finalità ricreative e formative. Dà vita anche ad un Gruppo di Canto Liturgico e di suonatori di chitarra che rendano animate le Messe e le varie funzioni religiose. Prosegue nella pubblicazione del bollettino parrocchiale “Eco di Cevo”, iniziato dai predecessori. A Don Filippo Stefani, ultimo anello della lunga catena di sacerdoti che, con passione e dedizione, hanno guidato la millenaria comunità cristiana di Cevo, l’augurio… ad multos annos!

Coro Adamello (1979)

Inaugurazione del Centro Giovanile (1978)

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Elenco Parroci della Parrocchia di Cevo

Parroci di Andrista e di Cevo1299 - Bartolomeo, prete della chiesa di Andrista1336 - Lauderio, prete della chiesa di Andrista1374 - Lorenzo de Comino da Cerete (Bg)1386 - Giovanni de Cattaneis da Plemo1450 - Pietro de Vavassoribus da Redona1463 - Giovanni de Caligaris da Andrista1529 - Cosimo Federici

Parroci di Cevo ed Andrista1539 - Evangelista Artusi da Ossimo1562 - 1565 Michele Caffi da Martinengo1565 - 1596 Grazio Mazzoli da Bienno1597 - 1598 Antonio Riccio da Monno1598 - 1635 Gio: Maria Bianchi da Ossimo1635 - 1679 Gio: Battista Sisti da Saviore1679 - 1707 Simone Giordani da Iseo1708 - 1735 Vito Piazzani da Incudine1735 - 1757 Bonaventura Celsi da Andrista1758 - 1788 Stefano Tosini da Grevo1788 - 1795 Domenico Casalini da Cevo1796 - 1807 Gio: Domenico Comincioli da Cevo1807 - 1846 Giacomo Matti da Cevo1846 - 1851 Giovanni Castellanelli da Gratacasolo1852 - 1853 Antonio Zonta da Cevo1854 - 1877 Francesco Codenotti da Gussago1878 - 1922 Gibriano Bertocchi da Angolo1923 - 1928 Pietro Recaldini da Cimbergo1929 - 1932 Pietro Mariotti da Malonno1933 - 1941 Pietro Cavallari da Remedello1943 - 1945 Felice Murachelli da Cemmo1946 - 1961 Costante Cape da Cerveno1962 - 1976 Aurelio Abondio da Darfo1976 - 1984 Pietro Spertini da Bossico

Parroci di Cevo, Fresine, Isola1984 - 1995 Paolo Ravarini da Monticelli Brusati1995 - …. Filippo Stefani da Losine

Sacerdoti nativi di Cevo dal 1700 al 2000 1 -Bazzana don Pietro Giacomo fu Antonio (1768 – 1800) 2 -Bazzana don Giovanni Costanzo fu Angelo (1897 – 1970) 3 -Bazzana don Bortolo (1734-1765) 4 -Biondi don Giovanni fu Martino (1864 – 1928) 5 -Biondi don Pietro fu Giovanni (1783 – 1843) 6 -Biondi don Pietro Maria (1743-1793) 7 -Biondi Gio Maria (Curato nel 1736) 8 -Bresadola don Gio Battista fu Giovanni (1736 – 1810) 9 -Casalini don Giovanni fu Gio Domenico (1812 – 1875) 10 -Casalini don Pietro fu Bartolomeo (1771 – 1850)11 -Casalini don Gio Domenico fu Bernardo (1797 – 1852)12 -Casalini don Vigilio fu Giacomo (1775 – 1821)13 -Casalini don Domenico (1735 -1795) 14 -Comincioli don Giovanni fu Domenico (1722 - 1802)15 -Comincioli don Domenico fu Martino (1794 – 1845)16 -Comincioli don Martino fu Giacomo (1810 - ? )17 -Comincioli don Giandomenico fu Giacomo (1760 – 1807)18 -Ferramonti don Gio Maria fu Matteo (1782 – 1852)19 -Galbassini don G. Battista fu Matteo (1772 – 1834)20 -Galbassini don Arcangelo fu Bonaventura (1809 – 1868)21 -Guzzardi don Pietro fu Domenico (1778 – 1846)22 -Magrini don Vincenzo fu Martino (1765 – 1817)23 -Matti don Giacomo fu Bartolomeo (1775 – 1846)24 -Mino don Maffeo fu Giovanni (1608 – 1700)25 -Scolari don Bartolomeo (1705-1734)26 -Scolari don Bortolo (1702 – 1764)27 -Scolari don Francesco fu Gio Battista (1773 - ? )28 -Scolari don Giovanni fu Gio Pietro (1734 - ? )29 -Scolari don Giovanni (Curato nel 1726) 30 -Scolari don Martino (Curato nel 1717)31 -Scolari don Matteo (Curato nel 1709)32 -Vincenti don Vincenzo (1742 – 1770)33 -Zonta don Antonio (1820 – 1893)

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Religiosi e Religiose nativi di Cevo

Religiosi 1 -Fra Fulgenzio da Cevo morto a Brescia il 20-11-16372 -Fra Adeodato Catino da Cevo morto a Cemmo il 23-3-16633 -P.Vittorino da Cevo morto a Bergamo il 13-11-16744 -Fra Francesco Casalini nato a Cevo il 28-5-17225 -P. Arcangelo da Cevo morto a Salucco (CH) il 21-1-18396 -P. Angelico da Cevo morto a Bivio (CH) il 15-10-18527 -Fra Vigilio Casalini da Cevo morto a Bergamo il 18-8-1887 8 -Fra Valeriano da Cevo morto a Bergamo il 18-8-1888

Religiose1 -Suor Giuseppina Gozzi fu Pietro - Suore Carità di Lovere – (1885 – 1926)2 -Suor Evarista (Barbara) Bazzana fu G. Battista - Suore Miss. Zelatrici del S.Cuore - (1902 – 1984)3 -Suor Giacomina (Domenica) Bazzana fu Gerolamo - Suore Miss. Zelatrici del S.Cuore - (1902– 1986)4 -Suor Martina (Maddalena) Bazzana fu Luigi – Suore Carità di Lovere – (1905 – 1987)5 -Suor Cristina (Pierina) Bazzana fu Bortolo – Suore Dorotee di Cemmo – (1922 – vivente)6 -Suor Brigida (Anna) Ferramonti fu Abramo – Suore Dorotee di Cemmo – (1934 – vivente)7 -Suor Giacomina (Vittoria) Bazzana fu Angelo – Suore di S. Marta – (1941 – vivente)8 -Suor M. Rosalba (Franca) Bazzana fu Giuseppe – Figlie di S. Camillo – (1943 – vivente)

· Elenchi purtroppo incompleti per mancanza di idonea documentazione.

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Note alla Parrocchia di S. Vigilio

1- Per un’appropriata conoscenza delle vicende storico-religiose delle località Fresine ed Isola, solo recentemente aggregate alla Parrocchia di Cevo, consultare le pubblicazioni di Maria Stefania Matti:

Fresine, appunti e memorie per la storia di una Comunità, Ed. la Citta-dina, Gianico (Bs) 2005;

Isola, i luoghi e la memoria, Ed. la Cittadina, Gianico (Bs) 2007.

2- G. Rosa, La Valle di Saviore, La Provincia, Brescia 1875, p. 9.

3- Archivio Parrocchiale di Cevo – dal Registro Matrimoni (1591-1802)

“Libro delli Matrimoni delle Parochie di Cevo et Andrista fatto da me don Grazio Mazolo Rettore di dette chiese, cominciando dal Incendio in qua che fu alli dieci 7 bre 1590; essendo stato abrugiato l’altro, qual era stato cominciato dalla publicatione del Sacro Concilio in qua”.

4- G. Martenzini, Il Mulino, Periodico della Biblioteca Comunale di Ce-degolo, aprile 1987, p. 3.

Del canonico Morando di Brescia parla diffusamente anche Bortolo Rizzi in “Storia della Valle Camonica”, Stampatore Fausto Sardini, Bor-nato 1870, p. 65.

5- Al riguardo, don A. Sina scrive: “In primo luogo va notato che oramai è cosa pacifica, perché provata da una quantità di esempi, che le chiese più antiche non furono costruite nell’interno delle città, dei villaggi o dei castelli, ma sempre fuori le loro mura. In secondo luogo, che queste chiese o cappelle, in generale, furono edificate sull’area di quei luoghi, ai quali le popolazioni da lungo tempo portavano venerazione e dove concorrevano per atti di culto, come per esempio erano i cimi-teri e i santuari dedicati alle loro divinità”.

Don A. Sina, Esine storia di una terra camuna, Tipografia Queriniana dell’Istituto Artigianelli, Brescia MCMXLVI, p. 106.

6- L. Andrighettoni, I Vicariati Foranei della Valle Camonica nelle visite pastorali dal Concilio di Trento ad oggi, Tipografia Opera Pavoniana, Brescia 1976, p. 14.

7- Cfr B. Favallini, Camunni, Stabilimento Unione Tipografica Bresciana, Brescia 1886, p. 83.

8- Per il territorio di Cevo e Andrista spettavano ogni anno al Vescovo (duca, marchese e conte di Valle Camonica) per “le raggioni antica-mente feudali”:

- lire tre imperiali in dinari

- formaggi dodici di lire sei cadauno

- un quartaro di biada per decima

- soldi quattro per santuario

- un formaggio santuario per il venatico del ferro, per il pascolo dei monti, per la pescaria.

Per la riscossione di dette decime, rimaste in vigore fino al secolo XVII, dapprima verranno investiti vari signorotti della Valle Camonica, poi i Consoli della “Terra di Cevo ed Andrista” per conto della Comunità, dietro giuramento di fedeltà al Vescovo. (Cfr. Atti di Investitura Feu-dale del Comune di Cevo e Andrista, in Archivio Parrocchiale di Cevo).

9- Il documento originale di tale atto è conservato presso l’archivio pri-vato di Tomaso Maffessoli di Capo di Ponte (Bs) e porta la data 1364, diversamente da quanto riportato (1366) da P. Guerrini in Brixia Sa-cra, XIII, 1922, p. 103.

10- Don A. Morandini, Valle di Saviore, Scuola Tipografica Opera Pavo-niana, Brescia 1941, p. 72.

Don F. Bontempi sostiene che vi sia stato anche l’intervento dei Fede-rici: “L’aumentata possibilità della comunità di Cevo offrì l’occasione per accaparrarsi il titolo parrocchiale e in questo vi fu il sostegno dei Federici”.

F. Bontempi, Storia della Valsaviore, Tipografia Camuna SpA, Breno (Bs) 2005, p. 208.

11- Tale data è indicata da P. Guerrini e A. Sina in “Monumenti e opere d’arte in Valle Camonica – Appunti ad un libro recente” – Brixia Sacra, 4 (1912) pp. 184 – 203.

12- L. Andrighettoni, I Vicariati Foranei, cit, p. 40.

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13- L. Andrighettoni, I Vicariati Foranei, cit, p. 52.

14- L. Andrighettoni, I Vicariati Foranei, cit, p. 57.

Cfr. anche, in Appendice, la ‘Tavola dei Vicariati Camuni (1573-1975)", p. 143.

15- Don R. Putelli, nello scritto “Antichi ricordi delle chiese intorno a Ce-degolo”, riportato dalla rivista “Illustrazione Camuna”, Breno 1927, p. 15, scrive:

“Pur avendo infatti soltanto 209 anime, la parrocchia di Cedegolo è in atto del 1714 chiamata vicaria. Ma ecco il documento per sommi capi:

Nel 1714 dicembre 11 – “Relatione della Vicaria di Cedegolo”:

Sellero Rettore rev. Pietro Chiappini anime 315

Novelle Rettore rev. Bartolomeo Mora anime 200

Grevo Rettore rev. Pietro Mandelli anime 450

Monte – Demo Rettore rev. Domenico Pieppi anime 300

Berzo Rettore rev. Giovanni Facchinetti anime 760

Cevo Rettore rev. Vitto Piazzani anime 920

Saviore Rettore rev. Martino Tognatti anime 300

Ponte di Saviore Rettore rev. Carlo Cuzzetti anime 200

Valle Rettore rev. Gio Batt. Zendrini anime 300

Paisco Rettore rev. Bonomo Sartori anime 405

Loveno Rettore rev. Pier Giac. Ravizza anime 200

Cedegolo Rettore rev. Gio Pietro Togni anime 209

16- In effetti “La Chiesa di Andrista è stata smembrata dalla parrocchia di Cevo nel 1683, per le consuete ragioni della distanza (3 miglia) e del cammino difficoltoso, soprattutto in inverno. Da allora la popolazio-ne poteva disporre d’un sacerdote stabile che esercitava le funzioni parrocchiali”.

L. Andrighettoni, I Vicariati Foranei, cit. p. 72.

17- G. Martenzini, Il Mulino, cit. settembre 1988 pag. 1.

Circa il soddisfacimento del Precetto Pasquale ecco quanto il Vescovo Giovanni Nani aveva stabilito per gli abitanti di Andrista:

“Attesa la distanza longa e disastrosa che passa tra Andrista e Cevo, accorda sua Eccell.za Rev.ma Mons. Vescovo che per l’anno corrente (?), tutte le donne, i vecchi che avessero compìti li anni sessanta, gli infermi ed impotenti possano supplire al Pascale Precetto ricevendo la SS.ma Eucarestia nelle vicine Terre del Cedegolo, Demo e Berzo con condizione espressa però che tutti i dispensati suddetti debbano far tenere, entro il termine di giorni 15 dopo la Domenica in Albis, al Parroco di Cevo il biglietto, onde si conoscano da esso quelli, i quali avessero soddisfatto al detto precetto, il tutto però senza pregiudizio alcuno dei Parrocchiali Diritti del Parroco di Cevo”.

18- Sintomatica del nuovo clima di collaborazione tra le comunità di An-drista e di Cevo, dopo secoli di discussioni e diatribe, è la seguente lettera indirizzata al Vescovo di Brescia, il 17 aprile 1866, dal parroco di Cevo don Francesco Codenotti, dopo il decesso del coadiutore di Andrista don Pietro Beltramelli:

“Nel partecipare a V. Eccellenza Reverendissima la dolorosa notizia della morte del mio Coadiutore d’Andrista Sig. don Pietro Beltramelli d’anni 86 (ottantasei) avvenuta il giorno 14 del corrente aprile, non posso non esprimere ancora il dolore vivissimo che sento nel vedere quella cara porzione del mio gregge senza sacerdote. Essa è desola-tissima per la perdita del Beltramelli che la servì con grande soddisfa-zione per lo spazio di cinquantasei anni e c’era carissimo ma è ama-reggiata ancora dalla difficoltà di trovare chi rimpiazzi il posto. Io poi, considerando le angustie in cui si trova V. Ecc. Ill. per la scarsezza di sacerdoti e pei grandi bisogni della vasta Diocesi, non avrei il coraggio di pressarla a provvedere ai gravi bisogni di questa mia contrada che trascurando le 200 anime che mancano della messa e dell’istruzione; tuttavia confido nello zelo di V. Ecc. che farà il possibile perché sia provveduto.Intanto procurerò alla meglio che posso di assisterla nei bisogni più urgenti come delle Confessioni, dell’Istruzione e degli infermi come faccio già da quattro o cinque anni essendo a tutto questo resosi im-potente il defunto Coadiutore per la sua decrepita età.Colgo l’occasione di rinnovarle i sentimenti di mia più sincera stima e devozione e baciandole umilmente la mano le chieggo per me e per la mia popolazione la sua pastorale Benedizione. Di V. S. Ill. Rev. devotis-simo figlio Codenotti Francesco parroco”.

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19- Per una maggiore conoscenza della vita ecclesiale di Andrista e della chiesa dei SS. Nazaro e Celso, vedere anche l’opuscolo “1489 – 1989: cinquecento anni di Fede”, a cura della Comunità di Andrista, nel cin-quecentesimo anniversario della ristrutturazione della chiesa dei SS. Nazaro e Celso (28 luglio 1989).

20- A. Masetti Zannini, Il prete diocesano in epoca post-Tridentina, in “Quaderni Camuni”, Breno 1987, n. 37, p. 4.

21- Per una più approfondita conoscenza dei due arcipreti di Cemmo, don Ricci e don Giordani, vedere: Giovanni Gregorini ,“Memorie sulla vi-sita Apostolica di S. Carlo Borromeo alla Chiesa Arcipretale Plebana di Cemmo”, Tipografia del Pio Istituto, Brescia 1869.

22- “Trovando impiego nelle numerose cappellanie di giuspatronato lai-cale, agli inizi del Settecento il numero dei sacerdoti della Valle Ca-monica (compresa la vicaria di Lovere) aumenterà vertiginosamente fino a toccare quota 423 (secondo una statistica del 1727), fissando così il rapporto a 1 prete ogni circa 100 anime, calcolando che all’e-poca la popolazione assommava a 43.000 abitanti, non essendosi an-cora risollevata dal salasso della peste del 1630”.

O. Franzoni, La visita apostolica di S. Carlo Borromeo alla Valle Camo-nica, Brixia Sacra 1/2004, p. XX).

23- P. Alipio M. da Origgio m.c., Vita popolare del Servo di Dio P. Innocen-zo Scalvinoni da Berzo Inferiore, Sacerdote Cappuccino, Stab. Tip. E. Restelli, Lovere (Bg) 1925, p. 26.

Stante la difficoltà a reperire, oggi, la citata pubblicazione edita nel 1925, riteniamo utile riportare alcuni frammenti dell’opera attinenti a prodigi attribuiti al Beato Innocenzo da Berzo e riguardanti il popo-lo di Cevo. “Detti prodigi – dichiara P. Alipio – sono stati tutti riferiti da testimoni dinnanzi al Tribunale Ecclesiastico, e si trovano registra-ti negli atti del Processo informativo per la beatificazione del Servo di Dio”.

“Giovan Maria Scolari da Cevo era rachitico. A due anni e mezzo non aveva ancor potuto dare un passo. I medici e le medicine non gli re-cavano nessun giovamento; e sembrava peggiorasse, avanzando in età. I genitori di lui erano inconsolabili e prevedevano che, anche se avesse campato sarebbe stato un povero infelice. Vennero nella de-terminazione di portarlo al sepolcro del loro S. Giovannino. Giuntivi, si inginocchiano; pregano; e, oh meraviglia! Subito in quel mentre il bambino incomincia a dare i primi passi. Al ritorno, con sorpresa di

tutti, il bambino si vide correre e saltellare come tutti gli altri”.

“Domenica Guzzardi da Cevo fin da bambina aveva un tumore fred-do sul dorso della mano, che con gli anni crebbe a molta grossezza, cagionandole dolore e rendendole molto difficile il lavoro. Il medico le prometteva continuamente che glielo avrebbe tagliato, ma se ne schermiva sempre, differendo, con qualche scusa, l’operazione. La po-vera figliuola soffriva immensamente, ed era in precinto di cavarselo essa stessa con le forbici, giacchè il medico non ne aveva coraggio: non lo fece solo per il timore che non le arrivasse di peggio. Costretta dalla necessità, si accompagnò con alcune ragazze sulla pianura bre-sciana per guadagnarsi qualche soldo. Prima di partire, la mamma, avendole trovato la mano in uno stato compassionevole, aveva cerca-to di dissuadernela, ma inutilmente. Costeggiando Berzo, la figliuola vide emergere il sepolcro del P. Innocenzo. Tosto si sente mossa da grande fiducia in lui, e recita alcune preghiere per ottenere la guari-gione del suo male. All’istante le cessa il dolore; e, sfasciata la mano, la trova libera affatto dal tumore. Osservano anche le compagne una tale meraviglia, e tutte ad una voce riconoscono gridando il miracolo”.

“Casalini Caterina da Cevo da tre o quattro anni era affetta da epiles-sia furiosa, al punto di essere assalita in certi giorni sette o otto volte. Fece varie cure; ma inutilmente. Il marito la consigliò a ricorrere al Padre Innocenzo che aveva assistito al loro matrimonio. La donna si reca in pellegrinaggio alla tomba di lui; e ne guarisce subito perfetta-mente”.

P. Alipio riferisce anche che “Il defunto Parroco di Cevo, don Gibriano Bertocchi, attestava che, se avesse voluto raccogliere tutte le relazioni di grazie che dai suoi parrocchiani si attribuiscono al P. Innocenzo, avrebbe molto da raccontare”.

24- G. Matti (Barbù), Le mie memorie, diario personale manoscritto in possesso dei famigliari, parzialmente edito a cura di Franco Biondi col titolo “I Diari, 1915-1960”, Azienda Grafica “la Cittadina”, Gianico (Bs) 2010, p. 46.

Notizie biografiche su Giacomo Matti (Barbù) – Nato a Cevo nel 1889, tracorse la sua infanzia e la sua giovinezza come famiglio-pastore. Chiamato alle armi nel Corpo Alpino il 14 maggio 1915, fu dapprima assegnato alla 5ª Sezione Sussistenza della 3ª Cp. del Btg. Edolo, poi passò il 16 giugno 1916 al magazzino autonomo Vettovagliamento e Rifornimento di passo Garibaldi. Il 1 agosto 1918 fu trasferito al Co-mando Presidio del rifugio Prudenzini in Valsaviore quale aiuto per dirigere le operazioni di organizzazione della seconda via di riforni-

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mento dell’Adamello. Congedato il 16 luglio 1919, ritornò in Valsavio-re dove riprese la sua vita di agricoltore-pastore, dedicandosi in par-ticolare all’attività di casaro. Partecipò attivamente alla vita sociale e politica del suo paese. Fu tra i promotori del Partito Popolare di Cevo nell’immediato primo dopoguerra; mantenne sempre, nonostante qualche apprezzamento in occasione della firma dei Patti Lateranen-si, un atteggiamento critico nei confronti del Fascismo. Tenuto da tutti in considerazione per la sua saggezza, ricoprì, subito dopo l’incendio di Cevo del 3 luglio 1944, la carica di Vice Commissario Prefettizio, dedicandosi con impegno alla ricostruzione del paese e particolar-mente nell’assistenza immediata ai senzatetto. Fece parte del C.L.N. di Valsaviore in rappresentanza del partito della Democrazia Cristiana. Cattolico praticante, rispettoso della Chiesa, fu sempre sincero colla-boratore del clero locale e stimato amico dei Padri Gesuiti del collegio C. Arici di Brescia, che in Cevo erano proprietari della Villa Adamello, colonia estiva per gli studenti del collegio di Brescia. Fin dalla prima guerra mondiale, egli trascrisse, giorno dopo giorno, in piccole agen-de personali che titolò “Le mie memorie”, i fatti comuni della sua vita nonché gli avvenimenti di carattere locale e nazionale di particolare rilevanza. Le sue annotazioni, semplici, spesso argute, lodevoli per la precisione storica, mentre offrono notizie preziose sulla vita di Cevo dal 1915 al 1960 (anno della sua morte) costituiscono anche, nel loro insieme, un interessante mosaico dell’intera Valsaviore nella prima metà del sec. XX.

Nel 2011, il Comune di Cevo ha dedicato a Giacomo Matti (Barbù) una piazzetta, nel vecchio nucleo abitato di Cevo, per le benemerenze da lui acquisite nei confronti della comunità.

25- Singolare l’annotazione del parroco don Gibriano Bertocchi nel “Re-gistro delle offerte dei Morti”, sotto la data 3 aprile 1922: “Andati per raccogliere l’elemosina, si trovò rotta la cassetta e fugate le palanche – Dimenticati c.mi 50 – “.

26- P. Gregorio Brunelli da Valle Camonica, Curiosi trattenimenti con-tenenti ragguagli sacri e profani dei Popoli Camuni, ristampa a cura di Oliviero Franzoni, Tipografia Camuna, Breno 1998, p. 278.

27- Cfr “80 anni di musica della Banda Comunale di Cevo”, opuscolo edito dalla Tipografia Camuna Spa, Breno 2003.

28- Mons. Giacinto Gaggia, in una lettera indirizzata personalmente al Sommo Pontefice il 6 settembre 1926, scriverà:

“Beatissimo Padre, sono di nuovo ai Suoi Piedi ad invocare consiglio

nelle tristi circostanze in cui vivo, dove vedo e tocco con mano il vo-lere di chi può, tra noi, la rovina, cioè di tutte le opere nostre, princi-palmente contro le associazioni giovanili, perfino contro i piccoli cro-ciati… Lo scopo, lo dissi al Vice-Prefetto, è di strappare la fanciullezza e la gioventù all’educazione e direzione del Clero… Nelle circolari (loro) si dice che a nessuno è permessa l’educazione fisica, morale e spirituale se non a loro. All’infuori delle organizzazioni Balilla et Avanguardisti non devono esistere circoli ed oratori cattolici. Il prete deve provvedere alla educazione religiosa nella sua chiesa e fuori di questa non può esplicare che la sua opera di curatore di anime se si ri-chiede l’opera sua religiosa. Si dice di cercare di intendersi col parro-co, ma qualunque soluzione amichevole che si possa presentare per accordi presi con lo stesso, essa deve produrre la conseguenza che il Comitato Comunale sia ritenuto ‘sostanzialmente’ dominatore della situazione locale, il vero dirigente di tutto il movimento giovanile, il controllo giuridicamente più legale dell’opera di assistenza religiosa che staranno per svolgere i sacerdoti locali.Tale è la condizione privilegiata in cui si trova la mia Diocesi. Ho fidu-cia in Dio e in Voi SS. Padre. Posso tuttavia assicurare che per parte mia non indietreggerò d’un passo per sostenere i diritti della Chiesa, delle anime e della famiglia, che sono diritti datici da Dio…”.

(La lettera è conservata, in copia, presso l’Archivio Vescovile di Bre-scia – corrispondenza 1922-1926).

29 - Cfr. G. Matti, I Diari 1915-1960, cit. pp. 26-27.

30 - A. Belotti, La popolazione della Valsaviore di fronte al Fascismo, in “La Resistenza Bresciana”, Istituto Storico della Resistenza Bresciana, Brescia 1972, p. 48.

31- Ben accolto da quella popolazione, a Paspardo egli eserciterà la sua missione pastorale fino al 1946, anno della morte. Questa l’epigra-fe posta sulla sua tomba nel Cimitero di Paspardo: “Rev. don Pietro Recaldini, con zelo insegnò ad amare Dio curando il decoro del suo tempio e formandone uno vivo nei cuori; con operosità cercò ed ot-tenne il bene del popolo e lasciò generoso ed eloquente esempio di beneficenza per il nuovo tempio che fu il voto di sua vita”.

32- Archivio Parrocchiale di Cevo - dal Registro Morti (1887-1961). Ne-crologio di don Giovanni Biondi:

“Sac. Biondi Giovanni fu Martino e fu Biondi Domenica, Coadiutore a Cedegolo, poi a Ponte di Legno, Parroco a Vione per 29 anni, ove, colla vita esemplare, disinteressata e zelante, colla parola efficace e

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colla pietà più distinta edificò tutti i Parrocchiani e quanti lo conob-bero. Ritiratosi per malattia al paese nativo di Cevo, ove perdurava la lotta contro il Parroco che aveva, nel giorno 19 ottobre del 1925, dovuto abbandonare la Parrocchia, tra i compaesani lavorò inten-samente attendendo alle confessioni, assistendo gli ammalati senza mai risparmiarsi e rompendo così quell’atmosfera di odio contro il Sacerdote, a tutti prodigava parole di conforto col sorriso buono del sacerdote semplice, integerrimo. La sera del 13 ottobre, sabbato, dopo aver confessato fino alle ore 19.30, verso le 20 veniva colpito da emoraggia celebrale e, senza ormai più nulla comprendere, alle ore 2.15 del giorno 14 ottobre 1928 spirava. I funerali furono imponenti per il concorso di 20 sacerdoti e di tutto il popolo di Cevo con le auto-rità, le associazioni e anche da Vione vennero il Parroco, il Podestà, le varie associazioni e molti amici. In chiesa parlò il Rev. don Morandini, Vicario di Saviore, al cimitero don Pietro Passeri di Vione e don Luca Balzarini, Parroco di Pezzo, questi allevato ed educato al sacerdozio dall’Estinto”.

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Capitolo II

Le sue chiese

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CHIESA PARROCCHIALEDI S. VIGILIO

Titolazione

Lo storico Gabriele Rosa nel 1875 scriveva: “Il titolo di S. Vigilio che fu ucciso in Val Rendena ai confini di Val Saviore nel 405, titolo dato alla chiesa di Cevo, fa sospettare che, per le antiche relazioni tra queste valli, il cristianesimo ci venisse prima dal Trentino” (1), avallando quanto già scritto al riguar-do dagli storici G. B. Guadagnini e Federico Odorici (2) e quan-to scriverà più tardi il trentino Mons. Giacomo Dompieri (3), autore di una biografia su S. Vigilio, Vescovo di Trento. Certa-mente non può non suscitare qualche sorpresa e far sorgere qualche domanda il fatto che alla distanza di quasi un millen-nio dal suo martirio (405 d. C.) sia stata edificata a Cevo, in provincia di Brescia, una chiesa dedicata a S. Vigilio, vescovo di Trento (sec. XIV). Lo studioso Ennio Ferraglio, in una ricer-ca sulla diffusione del culto di S. Vigilio di Trento nel Brescia-no (4), riconduce il fenomeno a tre fattori fondamentali:

- la vicinanza geografica;

- i rapporti sociali ed economici fra i popoli confinanti;

- la collocazione delle chiese dedicate a S. Vigilio lungo l’antica rete viaria di collegamento delle due province.

Applicando detti fattori a Cevo ed alla Valsaviore, dobbia-mo subito rilevare che tutto il lato sud- orientale della Valsa-viore è in stretto collegamento con il Trentino al quale è unita da un confine di circa 25 kilometri che mette in comunicazio-ne la Valsaviore con la Val di Fumo, la Val Daone, le Giudicarie

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“Plasa”, si teneva, da tempo immemorabile, un importante mercato della lana a cui convenivano persone di tutta la Valle Camonica, ma anche delle confinanti valli trentine. (6) Mol-ti erano anche i pastori, i mandriani, i mercanti, i carbonai, i contrabbandieri che andavano e venivano dal Trentino, per-correndo la via del Passo di Campo.

La struttura dell’antica rete viaria della Valsaviore com-prendeva strade che partendo da Cedegolo salivano al Passo di Campo, e anche strade d’alta quota. Fra di esse, ancora oggi resta il ricordo del “Viàl dei Furastér” (Sentiero dei Forestieri) che, partendo da Sonico, attraverso il paese di Garda, i fienili di Berzo (Caritate, Carnocolo, Loa), i fienili di Monte (Palàm Palé, Fastass, Plasagù, Dasbò) raggiungeva il Dosso Disìna di Cevo, scendeva a Cevo, proseguiva poi per Öcia, fienili Barch di Saviore, Ponte di Saviore, Valle di Saviore e località “Plasa”, dove si collegava alla via del Passo di Campo, quindi al Tren-tino. Cevo era quindi luogo di transito di Camuni e Trentini diretti o provenienti dal Trentino. Poiché le chiese bresciane dedicate a S. Vigilio sono sorte prevalentemente in località di transito delle persone e delle merci da e per il Trentino, spesso in prossimità di valichi montani (Droane di Valvestino, Salò, S. Vigilio di Concesio, Lodrino, Bione), è lecito pensare che anche la chiesa di S. Vigilio di Cevo sia sorta come direttri-ce di transito “svolgendo una funzione, che si potrebbe defini-re ‘segnaletica’ cioè indicatrice della strada da percorrere per giungere a Trento”.

Pensiamo che anche la presenza in Cevo dell’istituto Judi-caria abbia influito, socialmente, religiosamente ed economi-camente, sulla decisione di erigere in Cevo, dove già esisteva una chiesa dedicata a S. Sisto, un’altra chiesa dedicata al San-to, originario e patrono della terra da cui gli adepti a quell’isti-tuzione provenivano.

e la Val Rendena, terra che vide il martirio di S. Vigilio. Per quanto riguarda i rapporti sociali ed economici fra i

popoli confinanti si nota che, soprattutto “nell’arco di tempo compreso tra il IX e il XII secolo, periodo che – stando alle fonti documentarie- coincide con l’introduzione e lo svilup-po del culto di S. Vigilio nel territorio bresciano, i movimenti di immigrazione dalle terre trentine verso le valli bresciane furono intensi”. Anche P. Gregorio da Valle Camonica, nel suo libro Curiosi trattenimenti, annota: “Confina la Val di Saviore con il Trentino da mezzogiorno e da mattina, con la Valle o Pie-ve di Bono e quindi con la Terra di Daone; cammina continuo commercio tra gli abitanti, soprattutto con quelli di Daone, tra-mite un comodo passo (Passo di Campo, N.d.A.), che in tempo di sospetti di guerra o di peste viene custodito diligentemente con guardie scielte della nostra Valle”. Ricordiamo, a conferma di ciò, che a Cevo esisteva un’istituzione denominata Judicaria (istituzione presente nel Trentino, simile alla Vicinia) lega-ta all’attività mineraria (miniere esistevano a Ponte, a Cevo, a Berzo, a Malonno…) (5) e che a Valle di Saviore, in località

Cartello segnaletico sopra la pineta di Cevo

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XIV), in cui essa cominciò ad operare come centro religioso della comunità di Cevo.

Anno 1364

La chiesa di S. Vigilio in Cevo già esiste, come risulta da una Ordinanza di Pagamento di 2500 fiorini d’oro a Barnabò Vi-sconti da parte di alcune chiese della Valle Camonica, fra le quali SS. Nazaro e Celso di Andrista e S. Vigilio di Cevo.

Anni 1430 e 1493

In documenti dell’archivio parrocchiale di Cevo si parla della chiesa di S. Vigilio. (7)

Anno 1536

La Parrocchia che era ad Andrista viene trasferita a Cevo. La chiesa di S. Vigilio di Cevo diventa “parrocchiale”, la chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Andrista è trasformata in chiesa “cura-ziale”.

13 settembre 1567

(Visita del Vescovo Domenico Bollani)La chiesa è consacrata con l’altare maggiore. Ha sotto di sé la chiesa di S. Nazaro, ex parrocchiale, nella quale c’è il battiste-ro e si celebra una volta alla settimana, ma, per la distanza, i sacramenti si amministrano nella chiesa di S. Vigilio, per co-modità del popolo. Il Vescovo ordina che si allunghi la chiesa di un’altra campata onde renderla sufficiente per il popolo, di sistemare il pavi-mento, di fare un paliotto in legno per l’altare maggiore e di realizzare un fonte battesimale in pietra.

15 settembre 1573

(Visita di Cristoforo Pilati, delegato del Vescovo Domenico

S. Vigilio, Vescovo di Trento (notizie biografiche)

Vigilio nacque a Trento nell’anno 365 d.C. da padre e da madre romani. Rimasto, fin dai primi anni, orfano di padre, andò a Roma con la madre la quale si preoccupò di far istruire il figlio, prima a Roma e poi, secondo la tradizione delle fami-glie patrizie del tempo, ad Atene.

Verso l’anno 383, Vigilio fece ritorno con la madre nella na-tìa città di Trento. In poco tempo attirò su di sé l’attenzione dei cristiani di quella città per le sue doti e per la sua devozione, tanto che, alla morte del vescovo Abbondanzio, tutti acclama-rono Vigilio nuovo Vescovo di Trento. Aveva solo vent’anni e non era neppure sacerdote. Sotto di lui, in breve tempo, Tren-to e le valli circostanti divennero cristiane. Rimaneva, tuttavia, uno squarcio di terra ancora irredenta: la Val Rendena. Essa non apparteneva al Municipio di Trento, ma a quello di Bre-scia; aveva però continui rapporti con le valli trentine. Nella Rendena era molto diffuso il culto al dio romano Saturno. Qui si reca Vigilio per convertire quelle popolazioni alla fede cri-stiana. Abbatte la statua di Saturno, riducendola in frantumi e ne getta i frammenti nelle acque del fiume Sarca, nei pressi di quello che oggi si chiama Spiazzo Rendena. Gli adoratori del dio, inferociti, assalgono il vescovo Vigilio con sassi, ba-stoni, utensili di campagna. Uno zoccolo ferrato, lanciato da un energumeno, è il colpo decisivo dell’orrenda carneficina. Percosso alla testa, Vigilio cade tramortito. Prima di spirare, chiede perdono a Dio per i suoi uccisori.

E’ il 26 giugno dell’anno 405. La salma, devotamente rac-colta dai fedeli, viene portata a Trento ed esposta alla pubbli-ca venerazione per tre giorni.

Cronistoria dell’edificio

Mancano documenti per assegnare con precisione l’anno in cui la chiesa venne costruita. Tuttavia, alcuni occasionali riferimenti storici ci permettono di individuare l’epoca (sec.

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Il convisitatore trova la chiesa consacrata e sufficiente per il popolo. Ha tre altari: maggiore, della Beata Vergine Maria, ed un altro senza dedica. Prescrive che si ponga un crocefisso decoroso sotto l’arco trionfale della cappella, che le immagini della cappella siano restaurate, l’altare della Madonna siste-mato ed ornato, l’altare di S. Vigilio, che si trova in luogo an-gusto, venga tolto, la finestra della facciata sia fatta rotonda e chiusa con vetri, si ripari il tetto, si insiste ancora perché si faccia un battistero ‘ad formam’ e lo si collochi in una cap-pella da ricavare nella parete sinistra della controfacciata; il vecchio battistero, non appena sarà pronto quello nuovo, sia trasferito nella chiesa di Andrista. Infine si invita il popolo a riparare, a proprie spese, la canonica che dista “un colpo di balestra dalla chiesa”, rendendola abitabile e comoda.

10 settembre 1590

La chiesa parrocchiale di S. Vigilio viene distrutta da un incen-dio che devasta tutto il paese; viene però subito ricostruita e solo sei anni dopo i lavori sono ormai ultimati. Infatti, an-che nella visita pastorale del Vescovo Francesco Morosini del 1593 si parla proprio dei lavori di riedificazione e si chiede anche di sistemare nuovamente la canonica affinchè vi possa abitare il parroco come prima dell’incendio.

11 giugno 1624:

(Visita di G. M. Macario, delegato del Vescovo M. Giorgi). La sacrestia, troppo piccola, deve essere ampliata nel miglior modo possibile. Lo stesso ordine verrà ripetuto nel 1646 dal Vescovo Morosini, ma troverà realizzazione, dietro altra solle-citazione, solo nel 1652.

Bollani).Si ordina di sistemare l’ingresso del cimitero posto attorno alla chiesa affinché le bestie non vi possano entrare. Si fa presente che le spese per l’edificio della chiesa sono a carico del Comune, il quale deve pure pagare il sacrestano perché suoni le campane per i divini offici, per l’Ave Maria del mattino, per l’orazione serale e perché si prenda cura dell’ar-redo della chiesa.

8 settembre 1578

(Visita di Giorgio Celeri, delegato del Vescovo Domenico Bol-lani).Mons. Celeri fa una descrizione dettagliata dell’edificio: “La chiesa, munita d’un soppalco, è sufficientemente ampia per con-tenere il popolo. (8) La cappella maggiore ha soffitto a vòlto di-pinto, il resto della chiesa è a capriate con copertura in ardesia, le pareti sono tinteggiate, il pavimento è in pietra. Vi sono tre porte: una nella facciata principale e due sulla parete destra, ha quattro finestre, una nella cappella maggiore chiusa da vetri, le altre sono chiuse solamente da tele. La sagrestia è piccola e a vòlto. L’altare maggiore, che è consacrato, ha una soasa con statua dorata della Madonna, ha due paliotti uno dei quali è in cuoio dorato per le festività, l’altro è di legno dipinto per i giorni feriali. Gli altari della Beata Vergine e di S. Rocco, non consacra-ti, si trovano ognuno nella propria cappellina con vòlto dipinto, sulle pareti, al posto della pala, vi sono delle immagini dipinte. La chiesa ha un campanile con due campane. Il cimitero, fuori dalla chiesa, è pulito dal Comune”. Viene richiamato quanto già ordinato nella visita del 1567 e non adempiuto: fare un fonte battesimale in pietra, secondo la forma prescritta.

12 aprile 1580

(Visita di Bernardino Tarugi, delegato del Cardinale Carlo Borromeo).

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1 luglio 1646

(Visita del Vescovo Marco Morosini)Si chiede di fare la nicchia per gli olii sacri dalla parte dell’E-pistola perché dalla parte del Vangelo non si può fare per l’u-midità. Vicino alla chiesa vi è l’Oratorio di S. Francesco dei Di-sciplini. Poiché è molto umido ed indecoroso, nel 1652 mons. Morosini ordinerà di abbatterlo: verrà demolito solo nel 1938, per permettere l’ampliamento della parrocchiale.

22 settembre 1672

(Visita del Vescovo M. G. Giorgi)Le pareti del Battistero, che sono squallide, devono essere si-stemate ed imbiancate e poiché la chiesa soffre grandemente di umidità, si trovi il modo, secondo le conoscenze dell’arte, di porvi rimedio e il Rettore in questo ci metta la massima diligenza.

19 settembre 1692

(Visita del Vescovo Bartolomeo Gradenigo)Si richiede l’abbellimento della cappella del Battistero con la realizzazione di un dipinto di S. Giovanni Battista che battezza Gesù.

27 agosto 1732

(Visita del Card. Angelo M. Querini)Oltre all’altare maggiore, nella chiesa vi è l’altare della Beatis-sima Vergine e quello di S. Antonio di Padova. Ciò fa pensare che S. Antonio di Padova, nella devozione dei Cevesi, avesse preso il posto di S. Rocco, al quale in precedenza (1578) l’alta-re era dedicato. S. Antonio ne resterà titolare fino al 1939, poi, durante gli anni Quaranta, l’altare verrà dedicato al S. Cuore con la collocazione della relativa statua.

Decreto di erezione della Via Crucis nella parrocchiale di S. Vigilio (1783)

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un laboratorio di marmorario. Oltre all'altare della parroc-chiale di Cevo egli eseguirà, in Valcamonica, anche gli altari delle parrocchiali di Malonno , di Cimbergo, di Nadro, di Ceto, assieme ad altre opere marmoree di vario genere.

8 settembre 1783

Su domanda del parroco don Stefano Tosini viene eretta, nella chiesa parrocchiale di S. Vigilio in Cevo, la Via Crucis a cura del P. Giuseppe Maria Motti da Santicolo, Vicario del Convento di S. Dorotea di Cemmo, su delega del P. Lorenzo Iema da Capo di Ponte, Guardiano del Convento stesso. Inspiegabilmente, altra erezione della Via Crucis nella parrocchiale di Cevo verrà ri-petuta il 27 gennaio 1887, su richiesta del parroco don Gibria-no Bertocchi, a cura del P. Alfonso, predicatore Cappuccino, su

5 agosto 1747

Certo Andrea Cattaneo di Canè, stuccatore, a seguito di un in-fortunio accorsogli mentre è intento a lavorare presso l’altare della Madonna, perde la vita. (9)

27 aprile 1766

Si parla di “Scrittura per la Nova Fabrica del Altare Maggiore”. (Da “Repertorio…”, doc. 210) Il nuovo altare verrà realizzato da Carlo Gerolamo Rusca, nativo di Roncate (Co), che si era trasferito in Valcamonica, a Capodiponte, dove aveva aperto

Quadro della Via Crucis nella parrocchiale

Il settecentesco altare maggiore della parrocchiale

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delega del Ministro Generale dei Religiosi Francescani.

Agosto 1817

Nel mese di agosto il cimitero annesso alla Chiesa di S. Vigilio è trasferito attorno alla Chiesa di S. Sisto su terreni acquistati dal Comune. In questo modo viene liberato il sagrato attorno alla Parrocchiale.

23 giugno 1828

Un fulmine si abbatte sulla Chiesa di S. Vigilio dov’erano radu-nate più di 80 persone, fortunatamente senza vittime, ma cau-sando numerosi danni all’interno della chiesa, al campanile, al vicino Oratorio dei Disciplini. (10)

Anni 1869-1870

Viene ampliato il presbiterio della parrocchiale con l’aggiunta del coro semicircolare.

Anno 1896-1899

Su incarico del parroco don Gibriano Bertocchi, il pittore Gio-vanni Meletta di Loco (CH) esegue il restauro interno della parrocchiale provvedendo anche alla rinnovazione delle pitture. Il medesimo pittore eseguirà, nel corso degli anni

Chiesa parrocchiale prima del 1938

Ampliamento chiesa parrocchiale del 1938 (planimetria)

Estratti di mappa del vecchio catasto 1852 e del successivo 1898 relativi all'ampliamento del presbiterio.

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dall’impresa Foi Angelo, Maloni Battista, Foi Antonio e Paro-lari Pietro su progetto del Geom. Andrea Riboldi di Cedegolo, ispiratosi probabilmente alla facciata della chiesa romanica di S.Sisto. La vòlta della nuova campata è realizzata in forati e non in pietrame come le precedenti. Il pavimento della navata resta in granito per disposizione della Curia Vescovile, contro il progetto che prevedeva invece una gettata di graniglia. L’imbiancatura di tutta la chiesa e la pulitura delle pitture sono affidate al pittore Martino Biondi di Cevo, per un com-penso di lire 6.000. L’importo totale dei lavori risulta di lire 65.000 che viene subito pagato, essendovi già i soldi raccolti negli anni precedenti. La Commissione Parrocchiale era composta da don Paolo Ca-vallari, Casalini Antonio, Casalini G. Vigilio, Matti Domenico, Casalini Giovanni, Gozzi Giovanni, Monella Sisto, Belotti Batti-sta, Scolari Giovanni, Bazzana Angelo. (11)

24 aprile 1939

(Visita del Vescovo Giacinto Tredici)La chiesa è ancora umida e ha bisogno di restauri. All’interno esistono cinque altari (quattro di legno e uno di marmo). Nel Battistero c’è l’immagine di S. Giovanni Battista che battezza senza il Salvatore. Esiste un organo, ma è inservibile.

14 febbraio 1942

La chiesa viene dotata di nuovi banchi per i fedeli. (12)

Dal 1962 al 1976

Al parroco don Aurelio Abondio si devono vari lavori nella parrocchiale: viene installato il primo impianto di riscalda-mento, viene asportato il pavimento originario in lastroni di granito e posato l’attuale pavimento di marmo (1962), viene rimosso il vecchio organo con relativa cantoria e rimpiazza-to da nuovo armonium amovibile, nel 1971 viene realizzato,

1897/99, anche il restauro della Pala di S. Vigilio, dei 15 mi-steri dell’altare della Madonna e dei santi Domenico e Cateri-na posti ai lati.

18 giugno 1914

(Visita del Vescovo Giacinto Gaggia)Dalla relazione del parroco don Gibriano Bertocchi appren-diamo che la chiesa ha 5 altari: altare maggiore dedicato a S. Vigilio, della Immacolata Concezione, di S. Antonio di Padova e altri due in fondo alla chiesa (uno delle Madri Cattoliche, l’altro delle Figlie di Maria). Particolarmente interessante la descrizione dell’immobile fatta da don Bertocchi: “La parroc-chiale è una povera chiesa non solo perché povera, ma anche e più per l’umidità da cui è invasa in modo che ogni riparazione o abbellimento, entro pochi giorni, diventano inutili, macchian-dosi e scrostandosi i vòlti e le pareti tutte; ora poi è anche così piccola e angusta che non può più contenere la popolazione au-mentata il doppio, per cui è di assoluta necessità il fabbricarne un’altra o ampliare l’esistente se possibile”. Anche il rev. Luigi Brescianelli, convisitatore di mons. Gaggia, scrive: “Il Vescovo visita poi la Chiesa che è troppo angusta per la numerosa po-polazione, ma che presto sarà ampliata”. Don Bertocchi comincia a raccogliere i primi finanziamenti per l’ampliamento della chiesa nel 1915. L’iniziativa verrà poi continuata da don Pietro Recaldini e da don Paolo Cavallari che la realizzerà nel 1938.

Anno 1938

I lavori di ingrandimento della chiesa vengono effettuati dal 27 giugno al 19 dicembre del 1938. L’edificio viene allungato di metri 6,25 sul lato ovest. Per questo viene demolita e rico-struita la facciata principale dopo la demolizione dell’Oratorio dei Disciplini che sorgeva di fronte ad essa. La nuova facciata viene realizzata tutta in conci di granito lavorato mentre la precedente era in pietrame intonacato. I lavori sono eseguiti

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nile Giovanni XXIII: rifacimento del tetto ed adeguamento del fabbricato alle nuove norme igienico-sanitarie e di sicurezza, opere che vengono completate nel corso del 2012.

Descrizione dell’edificio

Le note seguenti sono tratte dalla relazione predisposta dall’arch. Lucia Morandini di Bienno, incaricata del restauro conservativo della chiesa effettuato nell’anno 2009.

Esterno della chiesa

“Inserita nella parte inferiore del paese, la Chiesa di S. Vi-gilio segue l’andamento della montagna che la ospita; infatti un alto muro la protegge dalla caduta di materiale proprio sul lato settentrionale, ma allo stesso tempo la chiude in un per-corso angusto come nella parte absidale che si fa spazio tra le abitazioni, mentre un ampio sagrato sopraelevato caratteriz-za il complesso lato meridionale e lascia osservare la facciata principale in granito.Da osservare nell’alto muro di contenimento di fronte al lato nord della chiesa una nicchia in granito (denominata dagli abitanti del luogo “Morcc del carnér”, N.d.A.) con incisa, nella parte superiore, la data 1840, a ricordo, forse, dello sposta-mento del cimitero che originariamente occupava lo spazio attorno alla chiesa. Questa nicchia è chiusa da un cancellet-to in ferro battuto decorato da motivi a voluta contrapposta. Ben evidenziato nel territorio di Cevo per la presenza dell’alto campanile che diventa elemento emergente nell’urbanistica di questo territorio, il complesso della Chiesa Parrocchiale di S. Vigilio a Cevo si caratterizza architettonicamente per la mole compatta della sua struttura. La facciata principale, re-alizzata dagli scalpellini locali nel 1938, è caratterizzata dalla presenza di grossi conci di granito squadrati e lavorati che la coprono interamente. Nella parte superiore si apre una fine-stra rettangolare chiusa da una vetrata colorata raffigurante la Madonna. Al centro, in basso al di sopra di tre gradini spor-

in marmo, ad opera della ditta Comana di Bergamo, il nuovo altare maggiore rivolto al popolo, messe in opera le vetrate colorate, nuovi confessionali e nuove porte laterali; viene ri-fatto il pavimento della sagrestia e nel contempo eliminato l’arredamento originario, sostituito con un nuovo arredo mo-derno. La chiesa viene tutta ritinteggiata, sia all’interno che all’esterno (1971).

Dal 1976 al 1984

Don Pietro Spertini provvede al rifacimento in rame della co-pertura (tetto) dell’abside, eliminando così preoccupanti fil-trazioni d’acqua nella vòlta e lungo le pareti del coro.

Dal 1995 ad oggi

Con don Filippo Stefani nel 1999 viene restaurato il campani-le. Nel 2005 si provvede al rifacimento del tetto della chiesa e alla sua copertura con lastre d’ardesia. Nel 2009 è l’interno dell’immobile che viene rinnovato con la messa in opera di moderni impianti di illuminazione e di riscaldamento, la realizzazione in marmo pregiato di nuovi gradini d’accesso al presbiterio e ai due altari laterali, la col-locazione del fonte battesimale all’ingresso del presbiterio secondo le nuove direttive liturgiche, la posa in opera di due nuove acquasantiere in marmo all’entrata della chiesa, la col-locazione di una nuova vetrata colorata dedicata a S. Monica, la sostituzione dei vecchi confessionali con altro più comodo e più riservato, la tinteggiatura delle pareti e delle vòlte, il ripri-stino, col sussidio delle Madri Cattoliche di Cevo, dell’ancòna e dell’altare della Madonna (2012), la ricerca tuttora in atto di qualche utile sistema che risani l’intero corpo della chiesa che, come più volte ricordato, è invaso dall’umidità fin dalle sue origini. La sistemazione esterna dell’edificio, col rifacimento degli intonaci, viene rinviata a tempi migliori, stante l’urgenza di provvedere all’esecuzione di alcune opere nel Centro Giova-

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Interno della chiesa

La planimetria è caratterizzata dalla navata allungata definita da quattro campate e dal presbiterio di minori dimensioni. La navata è coperta da una vòlta a botte unghiata. Al centro del-la vòlta, in corrispondenza delle unghie, troviamo tre meda-glioni, mentre la prima campata, aggiunta nell’intervento del 1938, non presenta nessun elemento decorativo.Nella quarta campata sul lato destro troviamo l’altare della Madonna con mensa e ancòna lignee di notevole fattura e sul lato sinistro l’altare del Sacro Cuore anch’esso in legno. Nel presbiterio troviamo l’altare maggiore marmoreo e il nuovo altare rivolto verso la platea. Al centro del pavimento marmoreo è inserita la lapide raffi-gurante lo stemma di Cevo; sotto lo stemma l’iscrizione: CEVO 1962. Al centro del pavimento del presbiterio, a ricordo della con-sacrazione del nuovo altare rivolto verso il popolo, è inserita la scritta:

genti, si apre il portale in granito che è costituito da piedritti e architrave definiti da cornici a rilievo, mentre la parte superio-re mostra due volute contrapposte verso il pilastrino centrale con un motivo a nicchia al quale si sovrappone un elemento sferico. Il portale è chiuso da un infisso a doppio battente con portoncino nella parte inferiore; il portone è costituito da 24 specchiature sagomate, in ognuna di esse è contenuto un mo-tivo a rosone. Sopra la porta laterale del prospetto meridio-nale è inserita una lapide in marmo bianco contenuta in una cornice modanata con alla sua base una testa di cherubino e all’interno la seguente iscrizione:

INDULGENZA PLEN(A)RIA/ TUTTO L’ANNO/ OGNI Dì/ OGNI HORA ET OGNI PONTO/ CONCESSA ALLA CH(E)ESSA DI S. VI-GILIO IN CEVO/ COME APPARE NELLA BOLLA/ DI CLEMEN-TE X/ 22 APRILE 1682.”

"I Morcc del carnér"

Lapide con iscrizione di indulgenza plenaria

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LA PIETA’ DEL POPOLO DI CEVO VOLLE / IL VESCOVO DI BRESCIA / LUIGI MORSTABILINI / CONSACRO’ / 27-6-1971.

Opere artistiche

La chiesa di S. Vigilio di Cevo conserva i dipinti settecente-schi nei tre medaglioni della vòlta della navata e nella vòlta del presbiterio dove è raffigurato S. Vigilio in gloria nella parte centrale e i Quattro Evangelisti nei pennacchi. Sulla vòlta della navata, nei tre medaglioni, sono raffigurate: la Natività, l’Ago-nia di Gesù nell’Orto degli Ulivi e la Resurrezione.Pregiato il primitivo altare maggiore con mensa e ancòna marmorea. Molto ricco l’altare seicentesco della Madonna con paliotto e ancòna intagliati a motivi dorati e policromi, in particolare la mensa riccamente decorata da volute di foglie d’acanto con-trapposte e da tre teste di cherubino fortemente aggettate che attorniano il paliotto con dipinta l’immagine della Madonna. Attorno all’altare troviamo inoltre i quindici misteri del ro-sario dipinti in piccole tele ovali inserite in cornici in stucco. Nelle due nicchie ai lati dell’altare troviamo due tele seicente-sche raffiguranti: S. Domenico e S. Caterina. Di fattura più semplice l’altare del Sacro Cuore già ottocente-sco, mentre di notevole valore il pulpito ligneo intagliato con la raffigurazione dei quattro evangelisti nelle formelle della balaustra e databile al secolo XVIII”. (Arch. Lucia Morandini)

Purtroppo di queste opere, sia pittoriche che scultoree, ad eccezioe del primitivo, settecentesco altare maggiore e del nuovo altare rivolto al popolo, non si conoscono gli autori.

Ad esse vanno aggiunte altre opere artistiche presenti nella parrocchiale: la Pala dell’Altare Maggiore raffigurante il marti-rio di S. Vigilio databile al XVII sec.: “E’ una tela di una bellezza particolare – scrive l’artista Renzo Faglia di Chiari sul bollet-

tino parrocchiale ‘Eco di Cevo’. - L’autore è ignoto, ma doveva possedere parecchia abilità artistica. Il gruppo di figure nella sua composizione di colore è ben riuscita, nel senso che vi è equilibrio ed il contrasto del rosso, colore caldo del santo San Vigilio, con il verde e l’azzurro, colori freddi, dell’uomo chi-nato. I soggetti attornianti, essendo cromaticamente neutri, hanno la funzione specifica di rendere le due persone, il santo e l’uomo chinato, personaggi di primo piano; lo sfondo è occu-pato da un paesaggio del Settecento”.

“Sulla parete sinistra del presbiterio per chi guarda verso l’altare – è sempre l’artista Faglia che scrive – vedrà una gran-diosa tela raffigurante l’Immacolata, di fattura ottocentesca. Niente di speciale per quanto riguarda l’atteggiamento e le to-nalità tipiche per questo genere di pitture sacre; c’è da rileva-re la forma anatomica singolare della Vergine, la luminosità, la morbidezza del tratto, ed in alto sulla sinistra, in uno scorcio di nuvole, vi è raffigurato Dio dipinto in maniera tale da ri-cordare opere del ‘200”. Il quadro è opera di Santo Cattaneo (1739-1819).

Sul lato destro del presbiterio un recente, interessante di-pinto presenta il Beato Innocenzo da Berzo ritratto tra i mon-ti, le chiese e le case di Cevo. Il quadro è stato realizzato nel 1990, nella ricorrenza del primo centenario della morte del beato, dal pittore Domenico Camossi di Darfo (Bs).

Sopra l’entrata meridionale della chiesa, un altro quadro di autore ignoto, datato 1843, rappresenta la Madonna con Bam-bino, S. Rocco e S. Agostino. Il quadro, originariamente esposto sulla casa degli Eredi Scolari in piazza del Marangù di Cevo, scampato all’incendio del 3 luglio 1944, è stato donato dai proprietari alla chiesa parrocchiale che, nel 1993, ha provve-duto al suo restauro mediante l’opera della signora Giuseppi-na Zanni di Sovere (Bg), diplomata in arte del restauro presso l’Accademia di Brera di Milano.

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Nella prima arcata, a destra dell’entrata principale della chiesa, è collocato un grande Crocefisso in legno realizzato nel 1969 dalla ditta Vincenzo Demetz di Ortisei di Val Gardena.

Nell’arcata di fronte, a sinistra dell’entrata principale, un quadro di pregevole fattura rappresenta la Crocefissione con raffigurati Gesù morente in croce, la Madonna e S. Sisto papa ai lati. Il quadro proviene dalla chiesa di S. Sisto. (13) Restaurato dal pittore Tino Belotti, venne esposto alla mostra del restau-ro di Breno del 1966 con la seguente valutazione: “Crocifissio-ne della chiesa sussidiaria di S. Sisto (Cevo) – olio su tela, cm. 145X172 -. Il dipinto vanta un riferimento tradizionale alla scuola di Palma il Giovane, che deve tuttavia considerarsi non più che indicativo di una particolare inclinazione dell’ignoto pittore verso determinati modelli tipologici: si tratta infatti di tre immagini compositivamente slegate recanti una vaga impronta palmesca in una trascrizione paesana non priva di una certa vivacità di colore e di una forza plastica di scultura lignaria. Notevole la cornice, dal motivo sobrio e contenuto, si direbbe quasi anteriore al dipinto”.Esposto per alcuni anni nella chiesa parrocchiale, venne ricol-locato nella chiesa di S. Sisto, dove originariamente si trovava, dopo i lavori di restauro di detta chiesa (1988). A seguito però di un tentativo di trafugamento, parroco e consigli parroc-chiali ne decisero il ricollocamento nella parrocchiale, dove tuttora è conservato.

E’ opera di Antonio Brighenti di Clusone (Bg) la tela di mo-deste dimensioni (firmata e datata 1879) rappresentante San Rocco, nel tradizionale abito da pellegrino, munito di bastone ed accompagnato dal suo fedele cane servitore. Pure attribu-ita ad Antonio Brighenti l’altra tela, di forma e grandezza si-mile, riproducente S. Lucia la cui immagine richiama alla me-moria la leggenda secondo la quale a S. Lucia sarebbero stati strappati gli occhi nel corso del martirio.

Sulla controfacciata della chiesa sono ordinatamente di-sposti i 14 olii della Via Crucis di epoca ed autore ignoti.

Numerosi santi protettori sono ricordati nelle vetrate colo-rate della chiesa e nelle varie statue distribuite sotto le arcate dell’edificio. Fra di esse, degne di particolare attenzione per la delicatezza della loro fattura, le statue in legno della Madonna e del S.Cuore, custodite nelle nicchie dei rispettivi altari e di S.Vigilio, vescovo di Trento e patrono di Cevo, posta su di un piedestallo privilegiato.

Il campanile

La struttura massiccia del campanile, come appare all’e-sterno, contrasta con le murature interne costituite da piccoli conci accostati fra di loro che richiamano l’interno del campa-nile di S. Sisto. La presenza inoltre, sotto la cella campanaria, di bifore con relativa colonnina divisoria in granito, murate all’esterno ma ancora ben visibili all’interno, fanno pensare al campanile d’una chiesa romanica come appunto doveva es-sere l’originaria chiesa di S. Vigilio. La necessità poi di raffor-zare la costruzione, in presenza di preoccupanti fenditure il cui tamponamento è osservabile ancora oggi, ha determinato l’odierna fisionomia della struttura.

Una sostanziale ristrutturazione venne effettuata, come già detto, nel corso del 1999. Si provvide al consolidamento stati-co delle fondazioni con l’inserimento di micropali in cemento armato, alla staticità della torre campanaria con tiranti metal-lici; vennero rifatti i ballatoi e le scale interne in legno, rifatto il tetto con nuova copertura in rame e restaurati i merletti in granito, rinnovate le pareti esterne con malte a calce. I lavori sono stati eseguiti dall’impresa Bulferetti geom. Ferruccio di Ponte di Legno, sotto la direzione dei progettisti ing. Franco Tiberti di Berzo Demo ed arch. Alessandro Ducoli di Darfo Bo-

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no provvedeva al suo caricamento.(14)

Nel 1930 un nuovo orologio della ditta Frassoni di Rovato, ditta che ebbe in Stefano Boldini di Saviore il suo iniziatore, venne fatto istallare dal Comune di Cevo al quale competeva da sempre la sua manutenzione. E questo fino al 1999 quan-do, a spese della parrocchia, fu collocato l’attuale orologio azionato ad elettrocalamita, unitamente all’automazione del complesso campanario.

Campane requisite per esigenze di guerra, e poi recuperate (1943).

ario Terme.

La cella campanaria ospita un concerto di cinque campane tutte provenienti dalla fabbrica Giorgio Pruneri di Grosio (So) e risalenti all’anno 1854. Nell’agosto del 1943 tre campane fu-rono requisite per esigenze di guerra; recuperate poi e pagate con lire 6.863 offerte dalla popolazione, sono state ricollocate al loro posto il 13 novembre dello stesso anno.

Il primo orologio del campanile pensiamo risalga almeno al 1769. Nel “Repertorio” di documenti antichi conservato presso l’archivio parrocchiale, sotto la data 3 aprile 1769, si legge: “Scrittura con ricevuta per l’orologio della campana”, sicuramente riferita al campanile della chiesa parrocchiale.

Purtroppo, il 24 maggio 1828, una disgrazia legata al fun-zionamento dell’orologio causò la morte di un ragazzo di ap-pena 15 anni, Cristoforo Zonta, incidentalmente colpito alla testa da uno dei contrappesi dell’orologio, mentre il sacresta-

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Dono del Papa Paolo VI alla Parrocchia di Cevo

In occasione del XX° Anniversario dell'incendio di Cevo del 3 luglio 1944, Sua Santità Paolo VI ha espresso, a mezzo la Segreteria di Stato Vaticana ma con espressioni del tutto personali, la sua vicinanza all'intera cittadinanza di Cevo, formulando fervidi auguri e paterni voti per un futuro di pacificazione e di civile progresso.Sua Santità ha anche disposto che venisse spedita, con l'occasione, una pianeta laminata in oro, destinata alla chiesa parrocchiale di S. Vigilio.

Pianeta laminata in oro, dono del Papa Paolo VI

Pianeta settecentesca della parrocchiale di S. Vigilio

Sua Santità Paolo VI in confidenziale colloquio col parroco di Cevo, don Aurelio Abondio (23-5-1973)

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Cevo d’un prato alla Canàl per quartari 2 frumento et lire 2 oglio oliva alla chiesa di S. Vigilio, ogni anno a S. Martino”.

8- Poiché nella visita del 1567 era stato sollecitato l’allungamento della Chiesa d’una campata della quale nel 1573 e nel 1578 più nulla si dice, vien da pensare che la loggia di cui ora si parla abbia surrogato l’ampliamento della chiesa richiesto nel 1567, rendendo l’edificio suf-ficiente per il popolo.

9- Archivio Parrocchiale di Cevo - dal Registro Morti (1651-1802):

“9 agosto 1747 – M°. Andrea Catane di Canè, d’anni 45 in circa, venuto per lavorare di stuccatura all’altare della Beata Vergine, nel discende-re dalla scala, fallato il piede e cascato e corsi li astanti pareva gli aves-sero schivato il colpo e senza pericolo, poi per capienza di sangue al cuore et asma, su la sera, confessato e munito dell’oglio santo, spirò”.

10- Mentre la relazione della Deputazione Comunale, già riportata, si preoccupava dell’incolumità dei fedeli, la relazione del parroco don Giacomo Matti descrive nel dettaglio anche i danni causati agli edifici:

“Ti rammendo, o lettore, che ieri, alle 15 circa, in questa chiesa cadde la saetta, la quale non cagionò la morte di alcuno, ma ne scosse un gran numero in guisa che furono anche obbligati al letto. Dissipò in diverse parti le navate del tempio: nel cantone al mattino della sa-crestia, sopra l’altare della Madonna, a destra, entrando nella portel-la, passò il muro come nelle altre parti, squarciò interamente l’uscio del pulpito; rovinò le cornici a mezzodì delle pareti della Disciplina, sfondando oltre il muro ancora un sasso superiore della finestra del cimitero; ruppe l’involto del campanile a mezzodì, senza danneggiare però molto il legname del campanile stesso. Si formò il tempo cattivo dalla parte di Paisco, già ci sembrò venir la fine del mondo. Allo scop-pio del fulmine si sollevò un fumo e una polvere che, sotto la scossa, si credettero molti morti. Cadde mentre si dicevano le litanie dei Santi a quelle parole: ‘Affinchè ti degni respingere et annichilire la grandi-ne…’.

11- A conclusione dei lavori, G. Matti (Barbù), nel suo diario, sotto la data 25-8-1940, scrive: “Trovandomi in chiesa da solo ho voluto contem-plare quanto fu fatto, cioè ingrandita e rinfrescata un po’. Dico la mia impressione: ora sembra la casa di Dio e non più una spelonca com’e-ra prima. Se non ho già detto lo dico ora che va data una lode alla Commissione della Chiesa per aver saputo portare a buon termine così la loro missione, ostacolata dal socialismo prima, dal fascismo poi, poi dai cacciatori di soldi e per ultimo dal nostro ben. Arciprete

Note alla chiesa parrocchiale di S. Vigilio

1- G. Rosa, La Valle di Saviore, cit. p. 11.

2- F. Odorici in“Memorie storiche della Val Camonica dell’arciprete di Ci-vidate, Gianbattista Guadagnini e di Federico Odorici”, Brescia 1857, p. 62, scrive: “…e quando leggiamo aver quasi ad un tempo (Sec. IV) il martire Vigilio Vescovo di Trento corso l’agro bresciano e verone-se, e battezzati assai rozzi popoli, e fondatevi meglio di trenta chiese, potremmo supporre che la sua voce risuonasse ancora ne’ pagani vici del popolo Camuno”.

3- G. Dompieri in “Vita di S. Vigilio, vescovo e martire”, Trento 1958, pp. 44-45, annota: “All’ardore apostolico di S. Vigilio non bastò la sua dio-cesi; dovette andare altrove, nelle diocesi limitrofe… nei paesi non suoi, ma tanto vicini e in continua comunicazione coi suoi”.

4- E. Ferraglio, Note sul culto di S. Vigilio di Trento a Brescia, Brixia Sa-cra, anno V n. 3, luglio 2000, pp. 1-13.

5- F. Bontempi, Storia della Valsaviore, cit., p. 163.

6- G. M. Bonomelli, Storia e folclore di Valle di Saviore, Editrice San Mar-co, Esine (BS) 1979, p. 177.

7- Presso l’Archivio Parrocchiale di Cevo esiste un “Repertorio delli In-strumenti, sentenze et raggioni della Comunità di Cevo et Andrista, quali non sono copiati ma solamente registrati per tempora et segnati di fuori con li suoi numeri come segue per ritrovarli facilmente in ogni occorrenza”.

Purtroppo dei 306 documenti elencati (dall’anno 1280 al 1787) qua-si più nulla è rimasto. Sicuramente non distrutti da incendi (l’unico incendio che distrusse la chiesa parrocchiale di Cevo e la Canonica fu quello del 1590). La loro scomparsa richiama alla memoria il prover-biale detto “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”.

In detto Repertorio, sotto la data 9 maggio 1430, troviamo scritto: “Investitura di Livello Perpetuo della Comunità di Cevo in Bartolomeo della Valle del Campo apresso la Chiesa di S. Vigilio, campo in con-trada de Tezza, c. in orzeno”; ed ancora, sotto la data 16 aprile 1493: “Livello del detto Comune in Giovannino q. Pierino di Giacomino di

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che, pur credendo di fare bene, aveva consigliato di tradurre detto capitale in cartelle del debito pubblico. Se ciò fosse stato, avremmo ancor oggi la Chiesa nel primiero stato”.

12- G. Matti nel suo diario, il 14 febbraio 1942, scrive: “La mia figlia andò con l’asino a Cedegolo per unirsi a molti altri onde condurre a posto i banchi nuovi per la nostra chiesa. Erano 52 distribuiti in 4 carri ad ognuno dei quali era attaccato un mulo e due o tre asini”.

13 - Risultando la chiesa di S. Sisto, come anche quella dei SS. Nazaro e Cel-so di Andrista, inclusa nell’elenco dei Monumenti Nazionali d’Italia, nei primi anni Sessanta sorse tra la Parrocchia ed il Comune di Cevo qualche divergenza sulla proprietà del quadro. Il Comune fece trasfe-rire l’opera da S. Sisto alla Casa Comunale. A dirimere la questione si richiese l’intervento dell’Ispettorato per la Conservazione dei Monu-menti e degli oggetti di Antichità e d’Arte della Provincia di Brescia. Il Dr. Araldo Bertolini, sovrintendente onorario per la Valle Camonica, trasmise al Sindaco di Cevo la seguente nota:

“Al Sig. Sindaco di Cevo e p.c. Al Molto Rev.do Parroco di Cevo – A ri-chiesta le comunico che la chiesa sussidiaria di S. Sisto, con quanto in essa contenuto, appartiene alla Fabbriceria Parrocchiale. Tale notizia si attinge dalla pubblicazione del professor Fortunato Canevali “Elen-co degli edifici monumentali e opere d’arte e ricordi storici esistenti nella Valle Camonica”, Milano 1912, pag. 227. Poiché la Crocefissione attribuita a Palma il Giovane è sempre stata nella predetta chiesa, di conseguenza è proprietà della Parrocchia. Questo le dovevo e coi più distinti saluti. – Dr. Araldo Bertolini”.

(Cfr. “Eco di Cevo”, cit., dicembre 1966, p. 22).

14 - Archivio Parrocchiale di Cevo - dal Registro Morti (1816-1847):

“26 maggio 1828 – Cristoforo f. di Gio Domenico Zonta e di Catarina Biondi nato il 21 giugno 1813, l’altra sera, per essergli caduto il con-trapeso dell’ Orologio del Campanile sulla testa, essendosi spezzata la corda mentre il sacristano tirava su il detto pendolo di pesi dieci e trovandosi l’anzidetto Cristoforo con Defendente Comincioli in fondo del campanile sul primo suolo, lo colpì nella testa la sera del 23 cor-rente lasciandolo privo di sensi. Accorsi subito all’accidente funesto col Rev.do Cappellano e, impartita sub conditione l’assoluzione, am-ministrato l’Oglio Santo e Assoluzione Papale, la sera del 24 corrente, ad ore due di notte, assistito al transito, passò da questa all’altra vita. Li furono fatte le solite funebri esequie in quest’oggi da me P.co Matti e fu tumulato il cadavere nel Campo Santo”.

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LA PARROCCHIALE DIS. VIGILIO

La chiesa parrocchiale al centro del paese

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Facciata della parrocchiale Il campanile della parrocchiale

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Veduta d'insieme dell'interno della parrocchiale

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Facciata sinistra della navata

Facciata destra della navata

Interno verso la controfacciata

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Area presbiteriale Pala di S. Vigilio, olio su tela (cm 400x183) - autore ignoto.

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Particolari della cimasa dell'altare maggiore Altare del Sacro Cuore

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Quadro dell'Immacolata - olio su tela (cm 200x150) - autore Santo Cattaneo Quadro del Beato Innocenzo da Berzo - olio su tela (cm 200x130) - autore Domenico Camossi

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Quadro della Crocifissione - olio su tela (cm 145x172) attribuito a Palma il Giovane

Medaglioni della volta della navata

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Pulpito in legno con scolpiti i quattro evangelisti e S. Vigilio

S. Giovanni S. Luca

S. Marco S. Matteo

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S. Lucia - olio su tela (cm 100x90) - attribuito a A. Brighenti S. Rocco - olio su tela (cm 120x100) - autore A. Brighenti

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Quadro di Madonna con Bambino, S. Agostino e S. Rocco - olio su tela (cm 150x100) - autore ignoto

San Domenico Santa Caterina

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Altare della Madonna Piccola tela riproducente un mistero del Rosario

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CHIESA DI S. SISTO

Titolazione

S. Sisto di Cevo è l’unica chiesa del territorio bresciano de-dicata a questo santo.

Si tratta di S. Sisto II, papa e martire, la cui festa ricorre il 6 agosto ed in occasione della quale a Cevo era usanza effettua-re, il 6 agosto o la domenica immediatamente successiva, una speciale processione che partiva dalla chiesa parrocchiale di S. Vigilio e si concludeva in S. Sisto con la celebrazione d’una solenne messa cantata. Tradizione centenaria, rimasta in vi-gore fino ad alcuni decenni fa.

Costruita nei primi secoli del secondo millennio, la dedica-zione dell’edificio non potè sottrarsi all’influsso degli eventi storici del tempo che vedevano l’imperatore Barbarossa in lotta con i Comuni e col Papa di Roma.

Sisto era stato pontefice circa un millennio prima ed aveva subito il martirio ad opera dell’imperatore Valeriano; con lui erano stati martirizzati anche i suoi diaconi, tra i quali Loren-zo, a cui papa Sisto aveva dato l’incarico di custodire il tesoro della Chiesa che questi vendette, prima di subire il martirio, distribuendo il ricavato ai poveri.

Così, alla distanza di circa mille anni dal martirio, mentre Cevo titolava la sua prima chiesa a S. Sisto, nel vicino paese di Garda di Sonico gli abitanti di quel borgo dedicavano la loro prima chiesa a S. Lorenzo. Associati nel martirio, associati nel ricordo della storia.

“Alla figura di Sisto è strettamente legata quella di Loren-zo; insieme condividono la persecuzione imperiale e vengono martirizzati a distanza di pochi giorni. Significativa, in tal sen-so, risulta la presenza a Garda di Sonico di una chiesa dedicata

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Il corpo di S. Sisto fu deposto nella tomba dei Papi, nel ci-mitero di S. Callisto; la cattedra insanguinata fu sistemata in fondo alla cappella papale. Il corpo di S. Sisto II si trova anco-ra nelle catacombe di S. Callisto, presso quello di S. Cecilia ed è noto che la cripta della martire e quella del pontefice sono adiacenti e comunicanti.

Sisto II fu il papa che per primo ordinò di celebrare le Sante Messe solamente sopra l’altare.

Cenni storici

Anno 1141: la data fa parte dell’epigrafe scolpita su di un granito, originariamente adattato a cassetta per le elemosine, inserito nel muro a fianco dell’entrata del cimitero di S. Sisto, sotto la vecchia santella della Madonna Addolorata, a lato di altra lapide datata 1843. Sul granito è leggibile la scritta “La limosina per S. Sisto – 1141”.

Purtroppo l’anno 1141, inteso da molti come possibile data di costruzione della chiesa di S. Sisto, non è del tutto attendi-bile: l’uso delle cifre arabiche in epoca nella quale ci si avvale-va ancora delle cifre romane suscita qualche perplessità circa l’autenticità della data; inoltre le stesse cifre possono prestar-si ad una lettura incerta dell’anno: 1141 o 1441? (2)

Comunque, al di là di qualsiasi interpretazione dell’ epigra-fe, “La chiesa di S. Sisto ha tutte le caratteristiche del monu-mento romanico – scriverà l’arch. don Pino Gusmini di Ber-gamo, appassionato e valente cultore di chiese medioevali, incaricato nel 1977 dell’intervento di restauro della chiesa -. La formazione dei muri perimetrali, il campanile, le apertu-re sia delle finestre che delle porte hanno il segno delle mae-stranze medioevali: quindi penso che la chiesa sia databile tra il 1100 e il 1200”. (3)

a S. Lorenzo, la cui fondazione risale quasi certamente all’an-no 1159; ciò accredita l’ipotesi d’una costruzione contempo-ranea o comunque assai prossima dei due edifici sacri, la cui titolazione sembra sottolineare la volontà locale di sostenere la supremazia della Chiesa Romana nei confronti del potere imperiale. In ambedue le chiese appare chiara la valenza isti-tuzionale della dedicazione, assunta a simbolo dell’opposizione locale alle pretese imperiali”. (1)

S. Sisto (notizie biografiche)

S. Sisto II fu papa nel terzo secolo d.C. e morì martire nel 258 sotto l’imperatore Valeriano. L’editto di questo impera-tore prevedeva la decapitazione per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, nonché la confisca dei beni della Chiesa compresi nei cimiteri. L’editto non parlava del popolo cristiano ma dei capi, perché Valeriano sapeva che, morti i capi, i cristiani del popo-lo, temendo la decapitazione, non avrebbero avuto il coraggio di continuare i loro riti e le riunioni nei cimiteri o nelle cata-combe. S. Sisto, prima di essere arrestato, aveva fatto prende-re il corpo di S. Pietro che era in via Cornelia e quello di S. Pa-olo che era in via Ostia e, per paura che venissero maltrattati dai soldati di Valeriano in caso di rinvenimento, li aveva fatti deporre segretamente in una cripta di via Appia; lì resteranno al sicuro per tutto il tempo della persecuzione.

Il 6 agosto del 258, mentre papa Sisto celebrava la S. Messa nel cimitero di Pretestato, il cimitero fu invaso dai soldati ed egli fu portato via con i suoi ministri del culto. Fu condotto dinanzi al Prefetto il quale ordinò la decapitazione del papa Sisto nel posto stesso in cui era stato trovato. Ricondotto al ci-mitero di Pretestato, papa Sisto si sedette sulla cattedra, por-se la testa al carnefice e fu decapitato.

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Il ben noto studioso dell’Arte Romanica Bresciana, prof. Ga-etano Panazza, pone decisamente S. Sisto tra le chiese della prima metà del sec. XII. “Abbiamo già detto – egli scrive – che in tutta la provincia di Brescia troviamo costruzioni del sec. XII e in particolar modo attribuibili ai decenni 1130-1150, do-vute a costruttori e artefici locali: ottimi costruttori di mura-ture, abili nello squadrare le pietre e nel porle in opera e che seguivano un unico semplicissimo tipo di costruzione… Tipico esempio di questo genere di chiesette è S. Sisto di Cevo”. (4)

Primitiva Parrocchiale di Cevo (nella visita pastorale del vescovo Marino Giorgi del 22 settembre 1672 si parla, come già ricordato, della Chiesa di S. Sisto come “alias parochiali”, ossia che una volta era chiesa parrocchiale), S. Sisto svolse la sua funzione di centro religioso di Cevo e dei paesi vicini ini-zialmente come sussidiaria della Chiesa dei SS. Nazaro e Cel-so di Andrista da cui dipendeva giuridicamente; in seguito, a partire dal sec. XIII, dopo aver ottenuto il distacco dalla Pieve di Cemmo, come parrocchia autogestita fino alla costruzione della Chiesa di S. Vigilio (sec. XIV); poi, sostituita dalla nuova chiesa edificata al centro del paese e quindi di più facile acces-so alla popolazione, S. Sisto decadde a chiesa “campestre” e come tale sopravvisse attraverso i secoli, senza alcun reddito, mantenuta con le sole elemosine del popolo di Cevo.

La prima menzione della chiesa di S. Sisto nei documen-ti ufficiali della Chiesa, la troviamo in occasione della visita pastorale del vescovo Bollani, il 12 settembre 1567: “Conti-nuando la visita, il Vescovo, prima di arrivare alla chiesa di S. Vigilio in Terra di Cevo nella quale si amministrano i sacra-menti, trovò la chiesa di S. Sisto e mandò subito a visitarla il rev. don Ieronimo Cavalli; questi la trovò aperta con l’altare disadorno. Ordinò una croce e due candelabri di legno dipinti, una predella per l’altare; inoltre ordinò di riparare la porta in modo che la chiesa restasse chiusa e di aggiustare il soffitto e il tetto”.

Il parroco don Grazio Mazzoli dice che “esiste la chiesa di

Antica cassetta in granito per "La limosina per S. Sisto 1141"

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Scrive al riguardo A. Fappani: “La Chiesa era dipinta da mol-to tempo, tanto che il vescovo Morosini nel maggio del 1593, oltre che ordinare che la chiesa venga ornata d’una icona de-cente, decreta anche che vengano restaurate le pitture rovina-te dall’antichità. Lo stesso ordina ancora perentoriamente il vescovo M. Giorgi nella visita del 3 settembre 1603. Egli infatti impone che si restaurino le pitture “altrimenti non si celebri”. Vennero invece conservate tanto che all’epoca della visita pa-storale del 1646 sono in parte sporche per la vecchiezza e in parte crollate o cancellate “vengano completamente tolte e i muri vengano decentemente rabboccati con calce. Era rima-sta l’immagine sempre affrescata di S. Sisto, ma anch’essa era in grave decadenza tanto che il Visitatore del 1652 ordina che “venga restaurata entro sei mesi, o cancellata, pena l’interdet-to della chiesa”. (5)

La scomparsa, nelle successive visite pastorali, di qualsiasi riferimento alle pitture da restaurare è la conferma che i muri erano stati “decentemente rabboccati con calce”, non prima però di avere martellinato quelle immagini che per secoli erano state oggetto di devozione per migliaia di fedeli; ma il procedimento era richiesto per una migliore adesione dell’in-tonaco ai muri. L’operazione era inoltre supportata, in quegli anni, da precise norme di legge che, in seguito alla peste del 1630, ordinavano, per la disinfezione del contagio e a salvaguardia della salute pubblica, che tutti i luoghi pubblici venissero disinfettati me-diante una tinteggiatura a calce. E la chiesa di S. Sisto ne era particolarmente interessata come risulta dalla seguente testimonianza del vescovo Nava che nella visita pastorale del 1809 trovò la chiesa di S. Sisto “di vecchia struttura ma internamente ben imbiancata; è quella ove furono seppelliti li morti per la peste, ove il popolo ha del-la devozione”. (6)

A quell’epoca, seconda metà del Seicento, dovrebbe risali-re la demolizione dell’originaria abside semicircolare, troppo

S. Sisto nella quale si celebra solo per devozione di qualcuno o in altri giorni ‘ad libitum’, nella quale esiste un altare con-sacrato”. Nel 1573 specificherà meglio: “La chiesa di S. Sisto nella quale si celebra nel giorno del Santo e di tanto in tanto per devozione”.

Come per S. Vigilio anche per S. Sisto viene fatta una descri-zione ricca e completa nel 1578 da G. Celeri, visitatore delega-to del vescovo Bollani:

“Chiesa di S. Sisto, campestre – La Chiesa è antica; si pensa sia consacrata, non ha alcun reddito né obbligazione. E’ piccola, costruita con pietre quadrate, ha una porta sulla facciata ante-riore, un’altra piccola nella parete destra, il pavimento è fatto di pietre, ha un vaso disadorno per l’acqua benedetta. Ha quat-tro finestre ed un’altra in forma di croce sulla facciata. L’abside è a vòlto e dipinta, ma le pitture sono rovinate e danneggiate per l’antichità, il resto del tetto è coperto di “plodis” (lastre di pietra). Ha il campanile con due piccole campane, ma non ha la sacrestia. Ha un altare che si ritiene sia consacrato, tre tovaglie con una tela verde e un copritovaglie fatto di lana e di lino, una croce di legno dipinta e due candelabri di legno.

Disposizioni: L’abside venga sistemata e imbiancata, l’imma-gine indecorosa e rovinata venga tolta… Si porti via la legna e intanto non si celebri. La finestra che si trova dietro all’altare sia chiusa. Per celebrare si faccia uso dei paramenti della Par-rocchiale. Si faccia un usciolo per il campanile. La chiesa si ten-ga chiusa soprattutto di notte”.

Se l’interno della chiesa era adibito a deposito di legna e parte del tetto era mancante, lo stato di manutenzione di San Sisto, anche a quei tempi, soprattutto dopo il declassamen-to a chiesa campestre, non doveva essere molto buono. E ne abbiamo la riprova nel fatto che in più occasioni i Vescovi or-dinarono ai parroci di sistemare il tetto perché non piovesse dentro e di restaurare le pitture corrose per la vetustà (chiara testimonianza dell’antichità della chiesa!).

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piccola, per fare posto all’attuale presbiterio a pianta quadra-ta coperto da una vòlta a crocera.

Nei primi decenni del Settecento, probabilmente negli anni 1717-1718, fu costruita anche la sacrestia su sollecitazione del vescovo Barbarigo che nella visita pastorale del 24 set-tembre 1716, per la chiesa di S. Sisto, prescriveva: “Si mettano i vetri alle finestre o che almeno siano chiuse da tende di lino. Entro due anni si costruisca la sacrestia nella quale indossare le vesti talari”.

Costruzione minuscola quella della sacrestia ma che ren-deva S. Sisto autonoma dalla chiesa parrocchiale per la custo-dia e la conservazione dei paramenti sacerdotali e degli arredi sacri.

In un “Inventario dell’Oratorio pubblico di S. Sisto Pontefice e Martire in cui si celebra la messa e nella sua sagrestia” com-pilato nel 1758 e conservato presso l’archivio parrocchiale di Cevo, fra le altre cose figura anche una “Pala di S. Sisto con la sua ancona indorata che la contiene” (forse la Pala attribuita a Palma il Giovane attualmente conservata nella chiesa par-rocchiale di S. Vigilio?), nonché un “Ostensorio indorato che richiude la reliquia sacra di S. Sisto e la sua autentica”, reliquia ed autentica non più esistenti fra quelle conservate nella par-rocchiale di S. Vigilio.

Nel 1817 il Comune di Cevo, come già ricordato, acquista i terreni a mezzogiorno della chiesa di S. Sisto e costruisce attorno ad essa il Cimitero pubblico, trasferendolo dalla par-rocchiale di S. Vigilio dove allora si trovava. Così S. Sisto, già chiesa dei morti della peste, diviene chiesa di tutti i morti, ca-mera mortuaria del camposanto ed il Comune ne assume la manutenzione.

In occasione del colera del 1855, la Deputazione Comuna-le destinerà S. Sisto a possibile lazzaretto perché “posta fuori dell’abitato ed in luogo ben ventilato, spaziosa e grande, che può contenere diversi letti per collocarvi i cholerosi infermi Veduta prospettica della chiesa nel 1912

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se mai si sviluppassero, con allestimento degli occorrenti mo-bili a ciò necessari”.

Nel 1914 il parroco don Gibriano Bertocchi fa presente che “La chiesa di S. Sisto, nella quale sia il parroco che il cappella-no celebrano messa e vi si fanno anche alcuni uffici per l’anno, è dichiarata oggi monumento di antichità dal Ministero della Pubblica Istruzione, come pure quella dei SS. Nazaro e Celso in Andrista”.

Nel corso del Novecento, il Comune provvede all’esecuzio-ne di alcune opere: nel 1909 il muratore Bazzana Gerolamo di Francesco rifà il tetto della chiesa e della sacrestia, portando il tetto dell’abside, prima più basso, al livello di quello della chiesa. Durante gli anni Trenta viene rimosso il grande balla-toio interno di legno, viene demolita la tettoia di riparo posta sopra l’entrata principale, il vecchio altare di legno è sostitui-to da un semplice altare di marmo, tutto l’interno della chiesa viene ritinteggiato.

Nel 1939, tuttavia, nonostante che la manutenzione fosse a carico del Comune, il vescovo Tredici impartisce le sue di-sposizioni: “Si procuri di togliere dalla facciata della chiesa le lapidi e le croci funerarie con cattivo gusto qui appese. Non si celebri fino a che non sia stato accomodato il tetto, non sia stato ordinato l’interno e non siano stati messi i vetri sulle finestre”.

Ma la guerra ormai alle porte e poi le tristi vicende che col-pirono Cevo, culminanti nell’incendio del paese ad opera dei nazifascisti il 3 luglio 1944 e la successiva ricostruzione delle case, fecero rinviare tutto a tempi migliori.

Cosicchè lo stato di abbandono aggravò di anno in anno il degrado dell’intero edificio. Nel 1969 il parroco don Aure-lio Abondio annotava sul Registro dei Beni della Parrocchia di San Vigilio in Cevo: “Chiesa di S. Sisto – Oggi, 19 novembre 1969, esiste ancora; non mi meraviglierei se domani mattina

fosse crollata e scivolata a valle, tanto è malandata”.

Nel 1970, in seguito alla costruzione di un nuovo Cimitero Comunale a monte della chiesa di S. Sisto, dotato di cappella propria e di camera mortuaria, la manutenzione della chiesa, non più adibita a camera mortuaria, tornerà alla Parrocchia.

Toccherà al nuovo parroco, don Pietro Spertini, affrontare con decisione il problema della salvezza prima e del restau-ro poi della chiesa, testimonianza artistica e parte integrante della storia della comunità di Cevo. Desolante era l’impressio-ne offerta dall’edificio. Questa la descrizione fatta su “Eco di Cevo”, bollettino parrocchiale, prima di dare il via ai lavori: “Porta d’entrata manomessa, banchi tarlati e carichi di pol-vere, muri scrostati e impregnati d’acqua, la vòlta dell’absi-de crepata in più punti, tetto pericolante e con grossi squarci aperti a tutte le intemperie, sacrestia semicrollata; tutto nel più completo abbandono”.

La chiesa prima del restauro

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pietra di granito incavato, rinvenuta sotto il pavimento del-la chiesa e forse utilizzata nel passato come lucerna ad olio, venne adibita a pila dell’acqua santa; tre artistici monumen-ti funebri in granito, recuperati nel vecchio cimitero e donati dai proprietari, furono sistemati ai lati delle due entrate della chiesa. Le vecchie porte, ormai consumate dal tempo, furono sostituite con altre in legno di castagno, opera del falegname Bornatici Franco di Sonico. Venne rifatto l’impianto di illu-minazione ed installati telai di ferro sulle finestre a feritoia.

L’operazione di restauro, iniziata nel settembre del 1978, su progetto del compianto arch. don Pino Gusmini e sotto il controllo della Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Ar-chitettonici di Brescia, si propose innanzitutto di salvare la chiesa da una completa rovina. I primi lavori edili furono ese-guiti dall’impresa F.lli Scolari di Cevo: un nuovo tetto a capria-te venne a sostituire il vecchio controsoffitto a plafone (creato nel 1909 probabilmente per temperare i rigori dell’inverno), venne rifatta la vòlta del presbiterio (prima in pietrame ora in mattoni), il tetto sopra l’abside venne abbassato riportando-lo alla sua originaria altezza, tegole in ardesia della Valtellina presero il posto delle vecchie ‘plode’ della Valcamonica non più reperibili in loco. Sul campanile la ditta ARCA di Chiari provvide ad installare la nuova incastellatura in ferro delle campane. Anche la sacrestia, ormai pericolante, dovette esse-re ricostruita.

Restavano da eseguire le opere interne. Ma la rinuncia alla Parrocchia da parte di don Pietro Spertini, a causa di una grave malattia invalidante, impose una pausa nei lavori che si protrasse fino al 1988 quando il nuovo parroco, don Paolo Ravarini, di comune accordo con i Consigli Parrocchiali, deci-se la prosecuzione del restauro.

I nuovi lavori edili vennero affidati all’impresa Zonta Se-verino di Cevo che, nella primavera del 1988, provvide al rifacimento del pavimento in mattone cotto (com’era in pre-cedenza), alla scrostatura dell’intonaco delle pareti facendo ritornare alla luce i blocchi di granito in tutta la navata, venne rifatto ex-novo l’intonaco del presbiterio. Si diede l’incarico al restauratore Graziano Sergio di Capo di Ponte di recupera-re, pulire e fissare i frammenti di affresco rinvenuti sulle pa-reti della navata. D’accordo con la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Brescia, si decise di ricoprire “le fondazioni della vecchia abside semicircolare” venute alla luce sotto il pavimento del presbiterio (nel nuovo pavimen-to è riprodotta la sagoma dell’antica fondazione). Una grossa

Antiche fondazioni della primitiva abside semicircolare

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Venne riportata nella chiesa l’antica cattedra presidenziale in legno di noce massiccio restaurata (stile 1500) ed il quadro raffigurante Cristo Crocefisso con ai lati la Madonna e S. Sisto, attribuito a Palma il Giovane, che da alcuni anni si trovava nel-la chiesa parrocchiale, dove tuttavia, come già rilevato, farà ritorno alcuni anni dopo, in seguito a tentato trafugamento dalla chiesa di S. Sisto.

Il trono presidenziale, i lacerti di affreschi dipinti sulle pa-reti, il nuovo altare in granito consacrato dal Vescovo Ausi-liare di Brescia, mons. Vigilio Mario Olmi, il 30 luglio 1988, a conclusione dei lavori di restauro, costituiscono le uniche opere artistiche presenti all’interno della chiesa “nella qua-le – scriveva Fortunato Canevali nel 1912 – domina la massi-ma semplicità; all’infuori della linea generale e d’un grande loggiato (demolito negli anni Trenta, N.d.A.), non trovasi altro che possa interessare”. (7)

Nel 1990 nuovi banchi e nuovo arredo per il presbiterio, fabbricati dalla falegnameria Carina Battista di Sonico, vengo-no collocati all’interno dell’edificio.

Consacrazione del nuovo altare (1988)

Atto della consacrazione dell'altare

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All’esterno, ottemperando alle disposizioni della Soprin-tendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Bre-scia, si provvede a rimuovere le lapidi funebri collocate sulle pareti; vengono rimosse nel contempo anche le tom-be vicine alla chiesa, ottenendo un piccolo spazio verde. Il bollettino parrocchiale “Eco di Cevo”, a chiusura dell’opera-zione S. Sisto, scriverà: “Possiamo dire con serenità che Cevo si è fatto onore, davanti a Dio, davanti agli uomini e, dimo-strando un senso profondo e solidale del passato, davanti ai propri antenati”.

Descrizione dell’edificio

Nel 1942 G. Panazza scriveva: “Accenneremo ora ad alcune tra le numerosissime altre chiese minori sparse nel bresciano e di cui non rimangono spesso che scarsi avanzi. Altre invece sono quasi intatte; sempre però costruzioni modeste in cui le forme romaniche sono trattate con ingenua semplicità; pic-coli edifici ad una navata con copertura a tetto e terminanti con abside semicircolare, mancanti di ogni decorazione nelle pareti e nella facciata, ridotta al minimo quella nella absidi. Tuttavia la schietta muratura a pietra in vista – senza raffi-namenti che ne diminuiscano l’aspetto forte – le finestrelle, i portali a profili multipli, conferiscono una certa bellezza a tali rustici edifici che testimoniano, persino nei più lontani pae-setti alpini, la grande attività edilizia dei sec. XII e XIII.

Tipico esempio di questo genere di chiesette è S. Sisto di Cevo, quasi intatta, un vero parallelepipedo dalla salda muratura a corsi orizzontali, coperto da tetto a capanna e terminante con tutta probabilità con l’absidiola semicircolare. Pochissime le aperture: una croce greca sopra la porta con lunetta nella fac-ciatina; nel lato sud si aprono due strette monofore con forte strombatura e una feritoia; perché una feritoia anziché un’altra

S. Sisto a restauro ultimato

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monofora? A fianco di questa si alza il campanile, saldo, qua-drangolare, tutto in pietra come il resto della chiesa, adorno soltanto delle bifore nei quattro lati della celle; una finestra – sia pure una stretta monofora – avrebbe indebolito la saldatura granitica del campanile con il corpo della chiesa e si sarebbe rotto quell’equilibrio fra pieni e vuoti perfettamente conservato invece con l’uso della sottile feritoia. Altre particolarità degne di nota presenta la chiesa: le tre aperture del lato sud nell’inter-no hanno una strombatura obliqua; il lato settentrionale non ha alcuna finestra. Lievi alterazioni presenta la facciata che venne leggermente alzata, mentre la parte centrale è rovinata dall’apposizione di lapidi funebri, di tombe, e dalla tettoia sopra la piccola porta. L’interno con il soffitto orizzontale venne alterato in epoca tar-da, quando fu sostituita l’abside semicircolare con il presbite-rio di pianta rettangolare coperto da vòlta a crociera. L’abside aveva la solita decorazione con archetti, perché alcuni di questi vennero usati nella costruzione dell’attuale presbiterio. Di epo-ca seicentesca anche la piccola sacrestia addossata al lato sud”.

A 70 anni di distanza, quella descrizione, seppure con qual-che inesattezza (la croce non greca ma latina, la sacrestia non seicentesca ma settecentesca), conserva ancora tutta la sua validità ed attualità. I consistenti lavori di restauro di questi ultimi anni, tesi al ripristino delle forme originarie nel rispet-to delle modifiche intervenute nel corso dei secoli, costitui-scono una conferma dell’importanza storica ed artistica di questa chiesa, “quasi intatta”, che G. Panazza proponeva come termine di confronto “delle numerosissime altre chiese minori sparse nel bresciano e di cui non rimangono spesso che scarsi avanzi”. (8)

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Note alla chiesa di S. Sisto1- G. Barbarisi, U. Civitelli, G. Tagliabue, L’armonia della materia: un

percorso dentro l’architettura religiosa in Valcamonica fra decimo e tredicesimo secolo, Editrice Vallecamonica, Darfo Boario Terme 1993, pp. 140 – 141.

2- A quest’ultima data forse faceva riferimento G. Rosa quando, acco-stando la chiesa di S. Sisto di Cevo a quella dei Morti di Paratico, scri-veva: “S. Sisto, nella lunetta sulla porta d’ingresso, ha reliquie d’un Cristo dipinto a fresco simile a quello della chiesetta de’ morti di Pa-ratico che è del 1444. Di tale epoca circa è lo stile di questo tempietto di Cevo, che la tradizione dice dei “pagani” perché anticamente do-vette essere sacello gentile”. (G. Rosa, La Valle di Saviore, cit. p. 11). L’accostamento delle due chiese dei Morti, quella di Cevo e quella di Paratico, non è tuttavia accettabile in quanto i due edifici sono stili-sticamente diversi: decisamente romanico-prealpino quella di Cevo, con caratteri rinascimentali quella di Paratico. Circa il Cristo dipinto sulle due lunette, sappiamo che quello di Paratico è attualmente con-servato alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia; nulla, purtrop-po, si sa della fine toccata al dipinto della lunetta di S. Sisto di Cevo.

3- “Eco di Cevo”, Vita religiosa e civica della Comunità di Cevo, Tipogra-fia Mediavalle, Malegno (Bs) numero 45, giugno 1977, p. 19.

4- G. Panazza, L’ Arte Medioevale nel territorio bresciano, Istituto Italia-no d’Arti Grafiche Editore, Bergamo 1942 - XX, p. 113.

5- A. Fappani, Santuari nel Bresciano – 3 Vallecamonica, Edizioni “La voce del Popolo”, Brescia 1983, p. 102.

6- A. Fappani, Santuari nel Bresciano, cit., p. 103-104.

L’autore avanza al riguardo il seguente rilievo: “Il fatto che a tale se-poltura non si accenni precedentemente fa pensare che vi si fosse provveduto di recente, trasportando le salme dal Lazzaretto che do-veva essere ben più lontano”.

7- F. Canevali, Elenco degli Edifici Monumentali, Opere d’Arte e Ricordi Storici esistenti nella Valle Camonica, Alfieri-Lacroix, Milano 1912, p. 227.

8- G. Panazza, L’ Arte Medioevale nel territorio bresciano, cit., pp. 112 – 113.

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CHIESA DI S. SISTO

Chiesa di S. Sisto e cimiteri visti dall'alto

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177176Facciata di S. Sisto Lato orientale della chiesa con sagrestia

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Particolare di finestra monofora e feritoia verso il campanile Facciata meridionale e campanile con bifore

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Navata di S Sisto verso il presbiterio

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183182Navata di S. Sisto verso l'ingresso con le capriate del tetto

Archetto decorativo della vecchia abside semicircolare inserito nel muro della sagrestia

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Lacerti di affresco rinvenuti sulle pareti della navata

Pila dell'acqua santaPresbiterio con evidenziata, sul pavimento, la sagoma dell'antica abside semicircolare.

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Chiesa di S. Sisto vista da nord-est

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Conosciuto soprattutto come taumaturgo per i tanti mira-coli compiuti, a Cevo S. Antonio era venerato principalmente come protettore dei poveri e degli ammalati. “L’Opera del pane di S. Antonio”, di cui già si è parlato, portata avanti nel tempo dai confratelli dell’Oratorio di S. Antonio e operante a Cevo fino alla metà del secolo scorso, raccoglieva le elemosine of-ferte al Santo, in denaro o in natura (pane, burro, latte, uova, formaggelle, mascherpe) destinate ai poveri del paese. (3) E poiché tra le offerte primeggiavano quelle in natura dona-te dai malghesi, soprattutto in occasione della ‘prima cagia-da’ delle varie malghe il cui ricavato veniva offerto in dono a S. Antonio perché tenesse lontana l’afta epizootica dalle loro mandrie, il fatto creava a volte qualche attrito tra i devoti di S. Antonio di Padova e i devoti di S. Antonio Abate, protettore quest’ultimo degli animali e quindi dei malghesi. Il dissidio si risolveva pacificamente di fronte alla constatazione che tut-to andava a favore dei poveri. (4) Opera caritativa questa del “Pane di S.Antonio” che farà da supporto e manterrà viva nei secoli la devozione al Santo, unitamente alla conservazione della chiesa a lui dedicata.

S. Antonio di Padova (notizie biografiche)

Nacque a Lisbona, in Portogallo, nel 1195 dalla nobile fa-miglia dei Buglioni; suo padre Goffredo fu prode condottiero nella prima crociata. Quindicenne, Antonio entrò tra i Canoni-ci Agostiniani, ma nel 1220, colpito dalla vista delle salme di cinque frati missionari martirizzati in Marocco, si fece france-scano. Fu frate predicatore assai dotato nell’arte oratoria e in-segnò in diverse università d’Europa. Trascorse gli ultimi anni della sua vita, spossato dalle fatiche ed ammalato, in provincia di Padova. Nel 1231, colto da un gravissimo malore, chiese di essere trasportato nella città di Padova dove aveva chiesto di poter morire. Qui spirò il 13 giugno, all’età di 36 anni. Solo undici mesi dopo, la fama dei tanti miracoli compiuti convinse il papa Gregorio IX ad elevarlo alla gloria degli altari. Nel 1946

CHIESA DI S. ANTONIO DI PADOVA

Titolazione

Nel già citato elenco delle Festività religiose della Comu-nità di Cevo, trasmesso nel 1775 dall’allora parroco di Cevo don Stefano Tosini alla Curia Vescovile di Brescia, S. Antonio di Padova figura tra le feste di devozione; quindi non legata ad alcun voto particolare (come incendi, epidemie, ecc.), ma come semplice manifestazione di culto spontaneo tributato al Santo, venerato per le sue virtù e quindi valido intercessore presso Dio a favore delle necessità materiali e spirituali dei fedeli. E questo in concomitanza con quanto s’era verificato a quei tempi in tutta provincia di Brescia ed in Valle Camonica dove, fin dal sec. XIII, il culto di S. Antonio di Padova si era an-dato diffondendo ad opera dei Padri Francescani.

Una settantina infatti sono le chiese del territorio brescia-no dedicate al Santo; di esse una ventina sono dislocate in Valle Camonica, tre delle quali nella sola Valsaviore (Saviore, Cevo, Fresine), senza contare le statue ed i numerosi altari a lui dedicati nelle chiese della Valle e le molteplici raffigurazio-ni pittoriche sulle santelle di campagna. Nell’ordine dei Santi più popolari in Valle Camonica, S. Antonio di Padova occupa il terzo posto, dopo S. Rocco e S. Carlo Borromeo. (1)

Il culto di S. Antonio di Padova s’era particolarmente diffu-so in Valle Camonica anche per un altro motivo: la fondazione del Convento di S Pietro di Bienno attribuita a S. Antonio nel periodo in cui egli era Ministro della Provincia Lombarda dei Francescani dal 1227 al 1230, dove egli avrebbe pure predi-cato, come testimonia la presenza del “pulpito lapideo” dal quale il Santo si rivolgeva ai fedeli, pulpito oggi custodito nel vicino Santello del Barberino. (2)

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Negli atti ufficiali della Chiesa (le Visite Pastorali), un’an-notazione relativa alla chiesetta la troviamo nella Visita Pa-storale del Vescovo G. Dolfin del 1702, in margine alla quale il parroco don Simone Giordani riferiva: “Vi è pure un Oratorio di S. Antonio a cui sono state fatte molte elemosine a la somma sinora di lire 3000 e più; ma queste sono fatte nelle mani di uno o dell’altro, né mai si scodono, né si celebrano istrumenti di as-sicurazione di detti denari, con grave pregiudizio di detto Ora-torio. Lo stesso si pratica nella scola e Confraternita suddetta: le elemosine si consumano da privati”.

Il fatto di essere tenuto da una confraternita con gestione autonoma dalla Parrocchia, giustifica la mancanza di notizie precise attorno a questo Oratorio nei documenti parrocchiali fino al 1867, quando la Confraternita, dopo una secolare ge-stione pensiamo produttiva, decise di convertire la vecchia, primitiva chiesetta in un nuovo edificio, pur sempre di mode-ste dimensioni (mt. 5,50 di larghezza e mt. 15 di lunghezza) ma con le caratteristiche d’una chiesa regolare.

Nel Libro delle Messe della Parrocchia, sotto la data 27 settembre 1867, leggiamo infatti, in lingua latina: “Hodie a Vicario Foraneo Cedeguli domino Bartolomeo Fiorini, ex dele-gatione Episcopi, benedictum est sacellum novum dicatum divo Antonio Paduano ex pietate huius populi erectum”. (Oggi dal Vicario Foraneo di Cedegolo, don Bartolomeo Fiorini, delega-to dal Vescovo, è stato benedetto il nuovo Oratorio dedicato a S. Antonio di Padova, eretto dalla pietà di questo popolo).

Presente alla cerimonia anche don Giovanni Scalvino-ni (Beato Innocenzo di Berzo), nominato, da poco più di tre mesi, Curato di Cevo.

Cinquant’ anni dopo, a Cevo la devozione al Santo è ancora viva.

Nel 1914 il parroco don Gibriano Bertocchi fa presente che nella chiesa parrocchiale, “diametralmente opposto all’altare dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine vi è l’altare di S.

venne dichiarato Dottore della Chiesa. Il Santo viene raffigurato con un giglio in mano, simbolo di

purezza, con un libro per la sua sapienza, con il pane dei pove-ri e con Gesù Bambino in braccio a ricordo di un’apparizione che si tramanda egli abbia avuto.

Cenni storici

Mentre per l’attuale chiesa di S. Antonio di Padova, la data di costruzione è certa e documentata (1867), per la primitiva chiesetta dedicata al Santo, già presente sul luogo prima della costruzione dell’odierno edificio, completamente ignota è l’e-poca dell’edificazione.

Di modeste dimensioni (metri 4 di larghezza e metri 9 di lunghezza, come risulta dalle mappe catastali del Comune di Cevo del 1852), la chiesetta originaria doveva avere la faccia-ta principale rivolta a sud-ovest nella quale si apriva la porta d’entrata a cui si accedeva da una duplice scalinata in pietra, a rampe opposte; verso occidente l’edificio probabilmente in-cludeva una piccola sacrestia o portico dove potevano sostare i fedeli in attesa della sacre funzioni. La struttura della chie-setta è ancora oggi ben visibile osservando la parete meridio-nale dell’attuale costruzione nella quale, in fase di rifacimento della chiesa nel 1867, parte delle vecchie murature sono state inglobate nelle nuove.

La comparsa della primitiva Chiesetta-Oratorio nella sto-riografia locale possiamo farla risalire al 1698 quando P. Gre-gorio di Valle Camonica nel libro “Curiosi trattenimenti” edito nel 1698, parlando di Cevo, scriveva: “Il Parroco è qualificato del grado di vicario foraneo, come ora lo è don Giordani di Iseo, uomo dottissimo, e il popolo è devotissimo; non vi mancano persone di distinta condizione e la pietà è coltivata in altri due oratori distinti (oltre la chiesa parrocchiale di S. Vigilio, N. d. A.), Sant’ Antonio di Padova e di S. Francesco, con la scuola della Disciplina”.

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adibita a laboratorio di falegnameria.

Nel 1967, il parroco don Aurelio Abondio, preso atto che “la chiesa è fatiscente sotto ogni aspetto e di nessun valore artistico”, inoltra domanda alla Curia Vescovile di Brescia “in-tesa ad ottenere l’autorizzazione ad alienare la chiesetta”. Il parere della Curia è favorevole (6), ma la mancanza di acqui-renti costringe la Parrocchia a differire qualsiasi operazione in merito.

A cent’anni dalla sua consacrazione, la chiesa di S. Antonio, ormai in deperimento, “non può più essere adibita al culto”.

Nel 1977 il nuovo parroco, don Pietro Spertini, risolleva il problema ed interpella l’Amministrazione Comunale di Cevo circa la possibilità di trasformare la chiesa in abitazione ad uno civico. Ma la risposta del Comune è negativa: “La Chieset-ta di S. Antonio è classificata nel Piano Regolatore Generale a destinazione speciale (culto), per cui non si ritiene possibile un cambio di destinazione, ma si possono eseguire solo opere di manutenzione, consolidamento e restauro”.

Nel 1987, con don Paolo Ravarini successore di don Pietro, la chiesa di S. Antonio torna a far discutere i Consigli Parroc-chiali. La chiesa, così com’è, è una vergogna per tutto il paese. L’8 marzo 1988 il Sindaco di Cevo scrive al parroco: “Qualo-ra la Parrocchia non avesse in previsione alcun intervento, si consideri l’opportunità di donazione al Comune al fine di eseguire le necessarie opere di restauro per poterne ricavare un “ Museo della cultura contadina e delle attività agro-silvo-pastorali della montagna”. La proposta del Sindaco viene sot-toposta al parere di un’assemblea parrocchiale. La decisone è unanime: la chiesa non va alienata, la gente di Cevo penserà a restaurarla. I presenti si impegnano a sensibilizzare al riguar-do tutti i Cevesi.

Così, nel corso del 1989, con i soldi offerti dalla popola-

Antonio di Padova e che nell’Oratorio di S. Antonio di Padova, ora il Parroco ora il Cappellano celebrano messa”. Tuttavia, in occasione del colera che colpì l’Italia nel 1911-12, la chiesa era stata designata come possibile lazzaretto del paese. E du-rante il periodo della grande guerra, sarà adibita a deposito di salmerie militari.

Era iniziato così il progressivo degrado dell’edificio, accre-sciuto durante gli anni del secondo conflitto mondiale quan-do, in seguito all’incendio del paese del 3 luglio 1944, la chiesa venne occupata da alcune famiglie sinistrate, rimaste senza tetto.

Giacomo Matti (Barbù), che era in quegli anni presidente della Confraternita di S. Antonio, nel suo diario, sotto la data 10-9-1950, registrava: “Dopo il Rosario, con Gozzi il fabbri-ciere andammo ancora in Canonica per discutere sulla chie-sa di S. Antonio. Venderla? Affittarla? O rimetterla allo stato primitivo? Pare che prenda piede quest’ultima ipotesi”. E più avanti, in data 21-2-1954: “Io, riunito Casalini (Casalini Vigilio 1893), il Pì de Gos (Gozzi Pietro 1905), Angilì il nipote abbia-mo guardato un po’ la chiesa di S. Antonio che tra il piover giù ed il vandalismo operato dal ’44 ad oggi… si è ridotta a spelonca. Concluso per ora di riparare solamente il tetto ed attendere tempi migliori”.

Lasciata libera dai sinistrati, per alcuni anni la chiesa verrà

Dal Libro delle Messe del 1867: benedizione della nuova chiesa di S. Antonio di Padova

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zione, è possibile eseguire il primo lotto dei lavori, appaltati all’impresa Zonta Severino di Cevo su progetto dell’ing. Fran-co Tiberti di Berzo Demo. Vengono realizzate le opere di con-solidamento, rifatto il tetto con copertura in lastre d’ardesia, ricostruita la sacrestia crollata negli anni precedenti, costrui-to un muro di rinforzo (barbacane) ai piedi della facciata sud-ovest, predisposto il sottofondo in cemento per la pavimenta-zione interna, sistemato il campaniletto con la messa in posa della relativa campanella, appositamente forgiata dalla ditta Allanconi Pietro di Bolzone di Ripalta Cremasca (CR), sulla quale spicca la scritta: “Perché trionfi la carità”.

La Parrocchia, di fronte al continuo affluire di offerte da parte della popolazione, è già pronta a passare al secondo lot-to dei lavori, cioè alla sistemazione interna della chiesa; ma la ritardata autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Am-bientali e Architettonici di Brescia, che denuncia l’esecuzione di alcune opere non preventivamente autorizzate, costringe ad una sospensione forzata dei lavori, sospensione che si pro-trarrà fino all’ottobre del 1996 quando il nuovo parroco, don

Chiesa di S. Antonio (1967) Rifacimento del tetto (1989)

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La posizione dell’edificio è orientata nella direttiva sud-nord guardando dalla posizione del celebrante e misura complessi-vamente una quindicina di metri di lunghezza e circa sei metri in larghezza.Il presbiterio si trova su un piano rialzato rispetto all’unica navata e tale dislivello funge da separazione ideale fra le due parti essenziali del tempio, quelle cioè dei fedeli e del mini-stero. Da qui si accede alla piccola sacrestia, esterna al corpo principale, di costruzione più recente e posta a ridosso del presbiterio. Le pareti della navata sono lineari, ad eccezione di una nicchia sulla parete ovest, dovuta alla parziale copertu-ra di quello che un tempo fu l’ingresso del preesistente edifi-cio, di dimensioni assai più ridotte dell’attuale. Un piccolo ta-bernacolo in legno è stato incluso, durante l’ultimo restauro, nella parete ovest del presbiterio.La verticalità delle pareti è delimitata alla base della coper-tura con un classico cornicione a stucco che percorre tutto il giro perimetrale dell’interno e stacca idealmente la porzione di edificio destinata a rappresentare il cielo.Una vòlta a vela si trova sopra l’altare, mentre a crociera è la copertura della navata. L’effetto di tali supporti crea fra le pareti ed il soffitto delle lunette semicircolari, che sono state decorate dalla pittrice bresciana Maria Grazia Scarduelli, con varie opere pittoriche rappresentanti le fasi salienti dell’ico-nografia antoniana: Gesù Bambino che appare a S. Antonio, la triade francescana (S. Antonio, S. Francesco d’Assisi, Beato Innocenzo da Berzo), Gesù che invita S. Antonio e confratelli a prendersi cura delle famiglie indigenti, S. Antonio sul letto di morte con S. Francesco pronto ad accoglierlo in cielo. Sul-la vòlta dell’altare è invece rappresentata l’apoteosi del Santo di Padova, che in aspetto più semplice è raffigurato anche sul timpano esterno della facciata nell’atto di offrire il pane ai po-veri. Altre opere artistiche presenti all’interno dell’edificio: in una nicchia a ridosso dell’altare una statua in legno di S. Antonio

Filippo Stefani, succeduto a don Paolo Ravarini, previo bene-stare delle competenti autorità, darà inizio all’esecuzione dei lavori di completamento dell’opera.

Su progetto dell’arch. Carlo Serino di Brescia si eseguo-no gli intonaci interni, si riparano le modanature, si mette in posa il pavimento con lastre di tonalite, si realizza l’impianto di illuminazione con la messa in opera di appliques. A lavori ultimati, l’edificio viene arredato con strutture (altare, pan-che, sedile del celebrante, banchi per i fedeli) consone al nuo-vo ambiente restaurato.

Il 10 maggio 1997 la chiesa viene solennemente riconsa-crata e restituita al culto da mons. Vigilio Mario Olmi, Vescovo Ausiliare di Brescia.

Descrizione dell’edificio

“La chiesa di S. Antonio da Padova è una piccola chiesa sette-centesca di buon valore architettonico”. Così viene presentata la chiesa di S. Antonio di Padova, posta in Cevo, dalla Soprin-tendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Brescia.

Chiesa piccola e modesta, ma dalla struttura pregiata e me-ritevole di attenzione e che nel tempo ben ha assolto, in al-ternativa alla chiesa di S. Sisto (chiesa dei Morti adibita prin-cipalmente a camera mortuaria del cimitero comunale), alla funzione di chiesa sussidiaria della Parrocchiale di S. Vigilio.

“Fin dalla sua costruzione (1867) – osserva Pierangelo Be-netollo, docente e pittore d’arte camuno - l’edificio presenta una forma essenziale, che ricorda in modo semplificato l’ar-chitettura predominante delle attuali chiese camune, impo-stata su modelli prettamente settecenteschi, sia nella strut-tura generale che nell’impianto decorativo. Caratteristiche queste scrupolosamente rispettate anche nel corso dell’ulti-mo restauro conservativo degli anni Novanta.

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col Bambino Gesù in braccio che regge un cesto ricolmo di pani destinati ai poveri, le 14 immagini della Via Crucis dipin-te su legno secondo la tecnica delle lacche veneziane realiz-zate dal pittore cevese Brunone Biondi, un’icona raffigurante il beato Innocenzo da Berzo, una moderna vetrata policroma sulla facciata principale della chiesa che dà luce a tutto l’inter-no dell’edificio.La parete della facciata principale, col timpano dipinto come già indicato, è intonacata “di fino”, le altre pareti invece lascia-te con le pietre a vista.Significativa ed interessante dal punto di vista della colloca-zione storico-urbanistica è la stretta vicinanza della chiesetta con l’unico lembo del paese dove ancora sono visibili i resti del tragico incendio del 3 luglio 1944, che si ricollega alla sto-ria e ai destini stessi dell’edificio, che, in quella tragica circo-stanza, servì per alcuni anni da rifugio a coloro che la casa avevano perso”.

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Note alla chiesa di S. Antonio di Padova

1- O. Franzoni, Chiese campestri di Valle Camonica, Banca di Valle Camo-nica, Breno 1995, pp. 18-19.

2- A. Morandini, Note storiche sull’antico Convento di S. Pietro di Bienno, Tipografia Camuna S.p.A., Breno 1958.

3- “L’Opera del pane di S. Antonio” era diffusa un po’ in tutta Italia e traeva origine da un miracolo operato in Portogallo da S. Antonio a favore di un bimbo di venti mesi, morto affogato in una vasca. La mamma aveva promesso al Santo che, se le avesse resuscitato il figlio, avrebbe dato per i poveri tanto grano quanto il bimbo pesava. Il miracolo avvenne tra lo stupore delle persone presenti.

4- Al riguardo un arguto ed interessante dialogo tra S. Antonio Abate e S.Antonio di Padova è riportato in G. Matti, I Diari 1915-1960, cit. p. 82.

L’usanza di offrire il burro, il formaggio o la ricotta della prima ‘cagiada’ di ciascuna malga in dono a S. Antonio (Abate!) vigeva anche in altre località della Valle Camonica, come, ad esempio, a S. Antonio di Corteno.

Cfr. A. Fappani, Santuari nel Bresciano, 3 Valle Camonica, Edizioni “La Voce del Popolo”, Brescia 1983, p. 78.

5- P. Gregorio di Valle Camonica, Curiosi Trattenimenti, a cura di O. Fran-zoni, cit., p. 24.

6- Questa la lettera dell’Ufficio Tecnico della Curia Vescovile di Brescia, datata 25-9-1967, relativa alla pratica ad oggetto: “Chiesa Sussidiaria di S. Antonio - Abbattimento”: “Dal sopraluogo eseguito in data 22 settembre 1967 questo Ufficio ha rilevato la grave situazione statica della chiesetta sussidiaria denominata ‘S. Antonio’ posta in codesta Parrocchia. Nelle attuali condizioni si deve ritenere che l’immobile non può essere adibito al culto, né Vs. Rev.za può assumersi la responsabilità penale e civile per le persone che vi entrasse-ro. Inoltre non si rileva la convenienza e la opportunità di procedere ad una sistemazione che dovrebbe essere radicale. Si prega pertanto Vs. Rev.za di prendere le opportune decisioni del caso e si consiglia di alienare la costruzione stessa. In attesa di conoscere le sue conclusioni, si ossequia.

-Il Direttore-.”

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CHIESA DI S. ANTONIODI PADOVA

Facciata della chiesa

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Navata con presbiterio

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Scene della vita di S. Antonio - affreschi di Maria Grazia Scarduelli

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Statua lignea di S. AntonioScene della vita di S. Antonio

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211210Facciata sud della chiesa

Quadro della Via Crucis - autore Brunone Biondi

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Capitolo III

Le altre chiese

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Santa Maria Ausiliatrice del Soggiorno "don Bosco"

Nel 1960 esisteva ancora, sistemata in una vecchia dépen-dance della Villa Adamello del Collegio C. Arici di Brescia, una piccola cappella detta “Chiesa dei Gesuiti” perché utilizzata dai Padri Gesuiti e dagli studenti dell’Istituto Arici di Brescia durante le vacanze estive a Cevo.

Entrata alla chiesetta dei Gesuiti (anni Trenta)

Nel corso dei primi anni Sessanta, passata la Villa Adamel-lo dai Padri Gesuiti di Brescia ai Padri Salesiani dell’Istituto S. Bernardino di Chiari, la cappella e tutta la dépendance ven-nero demolite per fare posto ad un nuovo, grandioso edificio destinato ad accogliere, d’estate, i numerosi alunni dell’Istitu-to Salesiano di Chiari.

In sostituzione della primitiva cappella fu realizzata un’al-tra cappella ricavata al primo piano del nuovo, moderno fab-

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bricato.

Villa Adamello e nuovo fabbricato, unificati, presero il nome di Soggiorno Salesiano “don Bosco” di Cevo. Tutto il comples-so venne inaugurato, il 26 agosto 1962, dall’allora Rettore Maggiore don Renato Ziggiotti, successore di don Bosco.

La nuova cappella, dedicata a Maria Ausiliatrice, venne be-nedetta e consacrata, il 2 settembre 1962, dall’arcivescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici.

Essa si presenta semplice, ma ampia (capace di circa due-cento persone) e piena di luce. E’ dotata di tre altari (mag-giore e due laterali), tutti sul fronte absidale, che offrono allo sguardo dei fedeli artistiche immagini sacre, dipinte a olio dal pittore P. Crida: Santa Maria Ausiliatrice all’altare di sinistra, S. Giovanni Bosco con S. Domenico Savio all’altare di destra.

Luogo abituale di preghiera e di raccoglimento per i Padri e gli studenti salesiani, la cappella, soprattutto nel passato, ha rappresentato anche un punto di riferimento importante per la Parrocchia di Cevo in occasione di feste particolari (prime comunioni, festa della mamma, funzioni mariane), instauran-do un connubio ideale tra Parrocchia e Salesiani, connubio tuttora in atto.

Cappella "Santa Maria Ausiliatrice": interno

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rivestita con lastre di pietra grezza, diretto riferimento alla Chiesa romanica di S. Sisto, posta nel vecchio cimitero sotto-stante. La navata principale è racchiusa in un involucro ligneo formato da una struttura principale controventata e da un tamponamento con travetti verticali, staccati uno dall’altro in modo tale da consentire il passaggio della luce, il tutto rive-stito internamente con lastre di policarbonato trasparente; si verrà così a creare un risultato di notevole valore simbolico. La copertura è a due falde, con orditura a capriate in legno a vista, protetta da un manto di lastre di rame. La pavimen-tazione interna sarà in pietra granito, la porta scorrevole in legno a due ante”.

L’esecuzione dell’opera venne affidata all’impresa edile F.lli Sola di Saviore dell’Adamello che la realizzò, come da proget-to, nel corso del 1997.

All’interno la cappella è decorata da un grande Crocefisso in legno, opera dello scultore cevese G. Mario Monella e da un artistico lampadario in ferro battuto realizzato da Franco Guzzardi e donato al Comune di Cevo.

La chiesetta svolge regolarmente, con la celebrazione di SS. Messe e cerimonie sacre, la sua funzione a suffragio dei de-funti, in alternanza con la vicina Chiesa di S. Sisto, che resta pur sempre, per tradizione, la “chiesa dei morti”.

Cappella del Cimitero NuovoCostruita verso la fine degli anni Sessanta assieme al Nuovo

Cimitero Comunale, a monte del vecchio cimitero di S. Sisto, la cappella venne benedetta da mons. Angelo Pietrobelli della Curia Vescovile di Brescia nel maggio del 1970 e dedicata a “Santa Maria degli Angeli”.

Negli anni immediatamente seguenti, tuttavia, essendosi verificati nella costruzione dei dissesti strutturali a causa di cedimenti nelle fondazioni, l’Amministrazione Comunale ne decise la demolizione e la successiva riedificazione. Venne dato l’incarico di elaborare un nuovo progetto all’ arch. Pier-giogio Zendrini di Cevo, che propose la costruzione di una struttura tale che riducesse al minimo il carico gravante sulle fondazioni.

Così, nel 1996, egli redigeva il suo progetto: “ Il fronte prin-cipale della cappelletta si presenta con una sobria facciata,

Interno della cappella Esterno della cappella

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Monumento-Sacrario ai Caduti di Cevo

Nel 1919, subito dopo il primo grande conflitto mondiale, veniva avanzata a Cevo l’idea di approntare una lapide a ri-cordo dei soldati di Cevo caduti in guerra, lapide che, pronta-mente realizzata, il 4 novembre 1923, con cerimonia ufficiale, veniva fissata sulla facciata della vecchia casa comunale.

Ma pochi anni dopo, altri dolorosi eventi bellici in Africa, in Spagna, in Albania, in Grecia, in Russia causavano altri morti. La furia devastatrice della guerra si abbatteva, in modo ter-rificante, anche sul paese dei Cevo. Così, concluso il secondo conflitto mondiale, Cevo, contando i suoi morti, saliti ormai a varie decine, decise di erigere loro non più una semplice la-pide ma un vero monumento. Il progetto trovò realizzazione grazie all’impegno di un gruppo di volenterosi, in maggioran-za reduci di guerra che, sotto lo stimolo e l’esempio di due

Sacrario ai Caduti

concittadini, Cervelli Domenico fu Pietro e Gozzi Pietro fu Gio-vanni, in breve tempo portarono l’opera a compimento. All’ar-tista Ferramonti Abramo, scalpellino, fu affidato l’incarico di eseguire la parte monumentale in granito dell’Adamello.

Il 4 novembre 1957 il monumento, eretto a fianco della nuova casa comunale, veniva inaugurato.

Negli anni seguenti, prendendo come esempio il Sacrario ai Caduti del Tonale, venne creato, nel vano sottostante il monu-mento da poco ultimato, un artistico Sacrario, decorato da un altare in marmo, una croce pure in marmo e 94 lapidi ricordo con il nome ed il ritratto dei dispersi e caduti, militari e civili di tutte le guerre, originari del Comune di Cevo.

Il 25 gennaio 1964, mons. Giuseppe Almici, Vescovo Ausi-liare di Brescia, alla presenza di un folto gruppo di fedeli, be-nedisse il nuovo Sacrario.

Mons. Giuseppe Almici, Vescovo ausiliare di Brescia, benedice il Sacrario ai Caduti (1964)

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Chiesetta della “Colonia”La cappella fa parte del complesso edilizio dell’ex “Colonia

Angiolina Ferrari”, oggi “Casa del Parco dell’ Adamello”, posta lungo la strada provinciale n. 6 , tra Cevo e Saviore dell’Ada-mello.

Edificata nel 1932, a lato della Colonia, sopra uno stabile distrutto da un incendio, su progetto del prof. Don Francesco Magri, essa si presenta come un tipico esempio di architettura gotico-lombarda.

La facciata, costituita da conci di granito dettagliatamen-te sagomati, è arricchita da un campaniletto dai caratteristici spioventi a capanna. La cappella, affrescata all’interno dai pit-tori Trainini di Brescia nel 1934, presenta nel fondo dell’absi-de un trittico riproducente, su finti mosaici dorati, il S. Cuore di Gesù (al quale la chiesetta è dedicata), S. Dorotea (patrona delle Suore Dorotee di Cemmo, direttrici e custodi della Co-lonia dal 1929 al 1995), S. Angela Merici (in memoria di An-giolina Ferrari, consorte amatissima, morta in giovane età, del Comm. Roberto Ferrari, proprietario dell’immobile). Nel sof-fitto e sulle pareti una dovizia sorprendente di affreschi figu-rativi e decorativi, sempre dovuti ai pittori Trainini, rendono la chiesetta particolarmente piacevole ed accogliente.

Nel 2012, in seguito alla trasformazione della Colonia, pre-cedentemente adibita alla "conservazione fisica e alla eleva-zione morale delle operaie tessili bresciane", in Casa del Par-co dell’Adamello, la cappella, persa la sua funzione religiosa, è stata convertita in “Auditorium” della Casa del Parco.

Nel 2001 un radicale restauro del Monumento-Sacrario, su iniziativa del Comune di Cevo e d’un ricostituito Comita-to Pro Restauro presieduto dalla signora Alda Comincioli ved. Piccinelli, figlia dell’eroico comandante Giacomo Comincioli, riparò i danni causati dal tempo e ridiede alla struttura una globale, puntuale riqualificazione.

Oggi il Monumento-Sacrario è luogo obbligato di ogni ma-nifestazione patriottico-religiosa, ma ancor più è luogo della memoria di quanti sono morti per la patria, monito contro ogni guerra, invito alla solidarietà per una pacifica convivenza tra tutti i popoli.

Monumento ai Caduti

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CHIESETTA DELLA COLONIAE CASA DEL PARCO

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Casa del Parco e Auditorium (ex chiesetta del Sacro Cuore)

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229228Interno della chiesettaEx chiesetta del Sacro Cuore

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Affreschi decorativi sulle pareti della chiesetta

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Particolari decorativi

Dedicazione della chiesetta

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Capitolo IV

Il dosso dell'Androla

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Nella seconda metà del sec. XVIII, o per semplice devozione o per voto dei pastori che ogni anno a frotte si riversavano nella pianura padana e svernavano con le loro greggi nelle vi-cinanze del Santuario di Caravaggio o in segno di ringrazia-mento alla Madonna per aver salvato Cevo da una delle tante pestilenze e carestie che allora infestavano la Valle Camonica o per fugare le ultime “strie” che, nella fantasia di alcuni, anco-ra impazzavano di tanto in tanto sui prati dell’Androla, sorse, sulla sommità del dosso, una cappella dedicata alla Beata Ver-gine di Caravaggio.

La costruzione della cappella risale presumibilmente al 1753; tale data, infatti, risulta incisa sui due graniti posti ai

Cappella della Beata Vergine diCaravaggio

Collocata sul dosso dell’Androla, a sud-ovest dell’abitato di Cevo, la cappella, dedicata alla Beata Vergine di Caravag-gio, guarda il paese di Cevo aggrappato alla montagna e nel contempo domina, da una splendida posizione panorami-ca, tutta la Media Valle Camonica da Forno Allione a Breno, controllando dall’alto i minuscoli gruppi di case disseminati lungo il corso dell’Oglio o sui fianchi della valle ai piedi del-la dolomitica Concarena e del tozzo Pizzo Badile camuno. Lo sguardo si estende anche verso l’angusta Valle di Paisco ad occidente, fino al Passo del Vivione, e all’alpestre Valle di Sa-viore ad oriente, fino al Passo di Campo, ai limiti col Trentino. A settentrione, il dosso su cui sorge la cappella è protetto dai versanti del Pian della Regina coperti di boschi e di pascoli. Il verde intenso dei prati stacca il poggio dell’Androla dal centro abitato di Cevo e degrada giù verso la località Sanguineto e la Valle del Coppo, mentre a sud, verso la Valle Camonica, un’alta rupe di viva roccia sprofonda nel vuoto della valle fino quasi ai meandri del torrente Poglia nel punto in cui esso raggiunge Cedegolo per immettersi nel fiume Oglio. A destra della rupe, verso i prati Sanguineto, si apre uno scosceso avvallamento detto ‘Coran de la Panèra’.

La tradizione vuole che, sotto quel dosso e tra quelle rupi vertiginose, esistessero (qualcuno ritiene fin dal tempo dei Romani) delle cave di rame chiamate “ramine”. E la presen-za, ancora oggi, di cinque brevi gallerie scavate in quei dirupi, sono la dimostrazione concreta dell’attività estrattiva eserci-tata dagli antichi Cevesi in quel sito. Esaurite ed abbandonate, quelle gallerie vennero, dalla fantasia della gente del luogo, popolate da streghe che, durante l’infuriare dei temporali, sfi-dando le saette del cielo, uscivano dai loro regni sotterranei (“le büse de le strie”) e ballavano, sui prati dell’Androla, le loro ridde infernali. Dosso Androla e Valcamonica nella nebbia (1972)

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dal pittore Antonio Brighenti di Clusone: rappresenta, al suo interno, l’effigie della Beata Vergine di Caravaggio (al centro), S. Vigilio e S. Giovanni Nepomuceno (sul lato destro), S. Sisto e S. Giuseppe (sul lato sinistro).

Nel 1929, la bellezza del luogo e la suggestività dei ricordi spinsero i promotori del grande monumento a Cristo Re, poi eretto a Bienno, ad includere l’Androla (assieme al Castello di Breno, al Mortirolo, al Tonale, al colle della Maddalena di Bienno) nell’elenco delle località da vagliare per l’erezione del monumento.

Nel 1943, mentre imperversava la guerra, davanti all’ef-figie della Beata Vergine di Caravaggio dell’Androla, l’allora parroco di Cevo don Felice Murachelli consacrò Cevo e tutta la Valle Camonica alla Madonna e fece voto di erigere, proprio su quel luogo, un monumento al suo Cuore Immacolato. “Ma la Vergine preferì un monumento di cuori addolorati ed afflitti a quello di pietra e di bronzo. Cevo venne dato completamente alle fiamme dai nazi-fascisti il 3 luglio 1944” (Don Felice Mu-rachelli).

L’ultimo restauro della cappelletta risale al 1981, esegui-to congiuntamente dalla Parrocchia e dal Comune di Cevo. La benedizione del tempietto restaurato venne fatta dal Vescovo emerito di Alessandria, mons. Giuseppe Almici, la sera del 15 agosto 1981 a conclusione della Fiaccolata spettacolare per la quale tutto Cevo era mobilitato assieme a numerose persone di altri paesi. “I calcoli più moderati – scriverà il parroco don Pietro Spertini sul bollettino parrocchiale “Eco di Cevo” - han-no fissato in 3.000 le persone presenti”.

L’evento straordinario, col concorso di una moltitudine di fedeli, era destinato a ripetersi pochi anni dopo, quando, a ri-dosso della cappelletta, sarà solennemente posata, da mons. Vigilio Mario Olmi, vescovo ausiliare di Brescia, la prima pie-tra della grande Croce del Papa che verrà eretta, sul medesi-mo poggio, il 5 novembre 2005.

lati del cancelletto d’entrata dell’edificio. Qualcuno, però, ri-tiene che la cappella originaria risalga al sec. XVI. Don Felice Murachelli, già parroco di Cevo dal 1942 al 1945, scrive: “Sul dosso dell’Androla, per divina disposizione, è sorta nel sec. XVI una Cappella – Santuario dedicata alla Beata Vergine di Caravaggio. Perché? Nel paese di Cevo c’è una tradizione “ab immemorabili” che quivi sia apparsa la Beata Vergine di Cara-vaggio e precisamente nel sec. XVI quando il Protestantesimo urgeva alle porte d’Italia ed anche dal vicino Passo di Campo, via di comunicazione col Tirolo e il Trentino, l’eresia luterana minacciava di travolgere quelle popolazioni profondamente cristiane”.

“Su questa apparizione – scriverà nel 1972 don Antonio Fap-pani nel libro “I Santuari Bresciani” – molti certo sono i dubbi, ma un fatto è significativo che cioè fino al secolo scorso la festa dell’apparizione fu di precetto. Un segno questo che l’autorità ecclesiastica aveva in un certo senso avallato l’avvenimento. Ciò che però più conta è la devozione che i buoni abitanti di Cevo hanno sempre avuto per la Madonna dell’Androla”.

La cappella, inizialmente costituita dalla sola chiesetta, venne ampliata nel 1877, “trovandosi in stato scadente tanto nella sua intonacazione quanto nelle pitture essendo di an-tica costruzione e volendosi ora rimodernare a cerca di più devoti”, così scriverà il perito pratico progettista del restau-ro. Venne così costruito il porticato antistante, rifatto il tetto e coperto con “lavagne di grande dimensione prese alle cave di Pescarzo sopra Cemmo”, intonacato sia il nuovo porticato che il vecchio edificio, rifatto il pavimento; inoltre si impose che “l’esistente cancello di ferro sarà riordinato in modo da potersi chiudere a chiave e, per impedire che si introducano fanciulli a deturpare le pitture, gli ornati e le tinte, vi sarà po-sta una gratticola di fil di ferro avente i fori non più grandi di centimetri quattro”. L'ampliamento ed il restauro furono ese-guiti dai f.lli Comincioli (Martinela) di Cevo.

Nel 1878, ultimati i lavori edili, la cappella venne affrescata

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to, ancora valido, di testimonianza cristiana e di promo-zione umana.

- La grande Croce ben si inserisce nella tradizione camu-na, ricca di monumenti e segni della Passione di Cristo: il Redentore del Guglielmo, il Cristo Re di Bienno, la Via Crucis di Cerveno e tante Croci sulle cime e lungo i sentie-ri delle nostre montagne.

Per l’attuazione della consegna e collocazione della Croce sul dosso dell’Androla veniva costituita dal Comune e dalla Parrocchia di Cevo un’ associazione denominata “Associazio-ne Culturale Croce del Papa”. Toccherà ad essa seguire tutte le fasi dell’iter richiesto per ottenere le approvazioni di legge, per predisporre progetti e reperire i fondi necessari alla rea-lizzazione dell’opera.

Il 26 dicembre 2002, come già ricordato, mons. Vigilio Ma-rio Olmi benedirà la prima pietra della struttura destinata ad accogliere la Croce del Papa, pietra che verrà interrata a ridos-so della Cappella della Beata Vergine di Caravaggio.

Il 26 dicembre dell’anno dopo, mentre si esegue lo scavo di ancoraggio del basamento della Croce, viene collocato all’in-terno della Cappella dell’Androla un nuovo altare in granito con inclusa la reliquia del Beato Giuseppe Tovini.

Il 22 ottobre 2005 giunge da Roma la nuova grande statua del Cristo, eseguita dall’artista Gianni Gianese, e viene espo-sta per alcuni giorni alla vista del pubblico sul sagrato della chiesa parrocchiale, in attesa di fissarla sulla Croce. La statua del Cristo è stata realizzata ex novo perché quella esposta a Brescia, di materiale deteriorabile, non avrebbe resistito alle intemperie. E’ alta sei metri e pesa quasi sei quintali.

Nell’ultima settimana di ottobre la Croce, a tronconi, viene eretta, tra lo stupore dei numerosi presenti, sul dosso dell’An-drola; l’ultimo troncone sostiene il Cristo inchiodato sulla

Croce del PapaLa Croce del Papa, “Sorta – come dirà mons. Vigilio Mario

Olmi – in segno di protezione per tutta la Valle Camonica e come memoria della Visita del Santo Padre Giovanni Paolo II a Brescia, il 20 settembre 1998, per il Centenario della nascita del Servo di Dio Paolo VI e per la Beatificazione del camuno avv. Giuseppe Tovini”, era stata eretta originariamente nello Stadio Rigamonti di Brescia dove, dall’altare della celebrazione essa si curvava sull’assemblea riunita attorno al Papa Giovanni Pa-olo II ed ai Vescovi lombardi per la celebrazione della beatifi-cazione del Ven. Giuseppe Tovini.

“La Croce ricurva e piegata sull’altare – spiegherà il pro-gettista Enrico Job – rientra nel significato complessivo che ho voluto dare alla mia opera: quello di un mondo degradato, rappresentato dai due millenni posti ai lati pieni di strappi e di lacerazioni, sul quale Cristo si piega”.

Nelle settimane seguenti la solenne celebrazione allo sta-dio cittadino, al Comitato per la visita del Papa a Brescia, giun-sero alcune richieste da parte di persone ed istituzioni che de-sideravano avere, come ricordo della visita del Papa, la Croce dell’altare della celebrazione. Fra queste richieste c’era anche quella del Sindaco di Cevo a nome di tutta la popolazione che proponeva, per la collocazione della Croce, il piccolo promon-torio dell’Androla di Cevo prospiciente la Valle Camonica. Il Comitato, fra le varie richieste, accolse quella del Comune di Cevo, adducendo i seguenti motivi:

- Cevo porta ancora i segni di vicende dolorose e in par-ticolare le cicatrici di ferite causate nell’ultima guerra.

- Paolo VI più volte aveva manifestato la sua viva memo-ria di persone e località della Valle.

- Giuseppe Tovini, di Cividate Camuno, si è inserito nella vita ecclesiale e civile apportando un singolare contribu-

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QUESTA CROCE DI CRISTO REDENTORE DELL’UOMO

VENNE CREATA PER LA VISITA A BRESCIA DI GIOVANNI

PAOLO II

NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI PAOLO VI

QUI ERETTA ALL’INIZIO DEL TERZO MILLENNIO CRISTIANO

SIA INVITO ALLA RICONCILIAZIONE ALLA FRATERNITà E ALLA PACE

CEVO LA VALLECAMONICA LA TERRA BRESCIANA

L’ ITALIA L’EUROPA TUTTA

RISCOPRANO LE PROPRIE RADICI SPIRITUALI

IN QUESTO SEGNO DEL SALVATORE PAZIENTE E VITTORIO-SO

STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS

Così, a sessant’anni di distanza, trovava compimento anche la promessa del parroco don Felice Murachelli che, sul dosso dell’Androla, l’8 dicembre del 1943, aveva fatto voto solenne di erigere proprio in quel luogo un grandioso monumento al Cuore Immacolato di Maria. Non a Maria, alla quale già era dedicato il secolare tempietto, ma al Figlio Crocifisso verrà consacrato il nuovo grandioso monumento.

Due simboli religiosi (Cappella e Croce) emblematicamen-te collegati fra loro (“Ad Jesum per Mariam” – Andare a Gesù tramite Maria) ed uniti ormai in un unico monumento, lì posto a testimoniare a tutti, come ricorda l’epigrafe ai piedi della Croce, che, mentre il Mondo passa, la Croce di Cristo resta sal-da nei secoli: “Stat Crux dum volvitur orbis”

croce.

La grande Croce, realizzata dalla ditta Moretti Interholz su disegno di Enrico Job, alta una trentina di metri, domina così, dall’alto del dosso dell’Androla, tutta la Media Valle Camoni-ca. Gli stessi autori che per mesi avevano lavorato all’opera e che con la loro fantasia avevano immaginato l’opera finita, ammettono il loro stupore: “ Quando mi è stato proposto di realizzare questo Cristo, alto più di sei metri – confessa Gianni Gianese, presente alle manovre della ‘crocifissione’- ho prova-to una sensazione di capogiro. Adesso, ad opera conclusa, devo ammettere che vedere il Crocifisso issato in un luogo così bello e panoramico, mi riempie di gioia”.

Il 5 novembre 2005, sotto la grande Croce piegata sulla Valle Camonica, il card. Giovanni Battista Re, alla presenza di numerose autorità religiose e civili e migliaia di persone, pre-siede la solenne liturgia di benedizione e consacrazione della Croce che viene intitolata al Papa Giovanni Paolo II.

Una lapide marmorea, posta ai piedi della Croce, fa memo-ria, con un’ epigrafe eloquente dettata da mons Vigilio Mario Olmi, dello storico, straordinario avvenimento:

Papa Giovanni Paolo II in Adamello (1988)

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vamente alla preghiera per la famiglia). Al pianterreno è pre-visto un locale di ristoro per i pellegrini che arriveranno alla Croce, al piano superiore la chiesa che sarà luogo di preghiera e di riflessione per la famiglia.

Domenica 19 agosto 2012, ha avuto luogo la cerimonia di posa della Prima Pietra da parte di mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia, il quale, dopo aver presieduto la S. Messa sotto la Croce del Papa, seguito da un folto gruppo di fedeli, è sceso lungo il breve sentiero che conduce al luogo in cui sor-gerà Casa Kairòs. Presenti alla cerimonia anche don Franco Corbelli, vicario episcopale e parroco di Breno, don Filippo Stefani, parroco di Cevo, don Angelo Treccani, assistente spi-rituale di Family Hope, autorità civili, Carabinieri, e vari grup-pi di Volontariato di Cevo e della Valsaviore.

“Casa Kairòs – ha detto Elsa Belotti nel suo breve interven-to prima della cerimonia – vuole essere una Casa del Pellegrino per accogliere i pellegrini che sempre più numerosi vengono a visitare la Croce, in modo che da questo punto così panorami-co e così bello possa partire davvero una speranza per tutte le nostre famiglie.”

A lei ha fatto eco il Vescovo di Brescia: “Vorremmo che que-sta Casa Kairòs collaborasse a compiere il ruolo della sapienza, indirizzando i pellegrini sulla via del bene.”

La Parrocchia e l’Amministrazione Comunale di Cevo han-no promesso il loro appoggio e la loro collaborazione. Le gen-te attende fiduciosa la realizzazione dell’opera.

Casa KairòsMentre a Cevo, nel 2005, veniva eretta sul dosso dell’An-

drola la Croce del Papa, a Brescia era in gestazione una nuova istituzione sociale che avrebbe preso il nome di Family Hope (Speranza per la famiglia) e che sarebbe stata ufficialmente inaugurata il 28 maggio 2006. Opera d’iniziativa laica, ma in sintonia con l’Ufficio Famiglia della Diocesi di Brescia.

Organizzatrice e responsabile la psicologa Elsa Belotti, re-sidente a Brescia, nativa di Cevo.

Scopo del nuovo Centro: “elaborare una nuova cultura, ade-guata al mondo d’oggi, sulla coppia e sulla famiglia, superando il concetto di Consultorio che gestisce “la cura” di fronte ad un problema, per offrire soprattutto un servizio di prevenzione e di formazione per tutti i momenti più significativi di una fami-glia”.

Così Family Hope, pochi anni dopo, fra le sue moltepli-ci iniziative, pensa anche di dare vita ad un nuovo, originale progetto: edificare una casa di preghiera per la famiglia da costruire a Cevo, vicino alla Croce del Papa. Il progetto viene meglio definito in loco avvalendosi delle proposte avanzate dai vari enti della Valsaviore interessati all’opera. La Casa Kai-ròs (così verrà chiamata la nuova struttura da realizzare sul colle dell’Androla) potrà essere raggiunta mediante un per-corso pedonale (Via Crucis) che, partendo dal paese di Demo, passerà da Andrista e dalla località Pozzuolo per giungere alla monumentale Croce del Papa.

Il progetto dell’edificio, predisposto dallo Studio Associato arch. Maria Paola Montini–arch. Roberto Pellegrini, propone una costruzione originale, sia dal punto di vista architettonico (quasi un cannocchiale che guarda la valle), sia artistico (la Via Crucis lungo il percorso verrà realizzata dagli artisti della valle), sia naturalistico (collocata sul colle che domina la Valle Camonica fino a Breno), sia spirituale (luogo adibito esclusi-

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IL DOSSO DELL'ANDROLA

L' Androla in abito invernale

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Cappella della Beata Vergine di Caravaggio e Croce del Papa

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Interno della cappella dedicata alla Beata Vergine di Caravaggio

La statua del Cristo esposta nel sagrato della parrocchiale

La Croce piegata sulla Valcamonica

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Il Card. G.B. Re benedice la Croce, dedicandola al Papa Giovanni Paolo II (5 novembre 2005)

Benedizione, sotto la Croce, della prima pietra di Casa Kairòs (19 agosto 2012)

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Progetto della Casa Kairòs

Mons. L. Monari, vescovo di Brescia, celebra la S. Messa alla posa della prima pietra Luogo destinato alla costruzione di Casa Kairòs

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Capitolo V

Le Santelle

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Le Santelle di Cevo

Numerose sono le santelle sparse nel territorio di Cevo.

“Santéle” o “Güsgiöi” sono denominate nel dialetto locale.

Piccole costruzioni a forma di tempietto, disseminate lun-go le mulattiere dirette verso la campagna o la montagna, che al loro interno rappresentano pitture di Santi o di Madonne: di solito l’immagine della Madonna al centro, il Padre Eterno o la colomba dello Spirito Santo sulla vòlta, figure di Santi ai lati (S. Antonio abate con il porcellino ai piedi, S. Vigilio patrono di Cevo, S. Antonio di Padova, il Beato Innocenzo da Berzo…).

Pitture che, nella loro semplicità di forme e di colori, soprat-tutto nel passato, assolvevano a precise funzioni: sollecitare la preghiera dei passanti, tenere lontano guai o pestilenze, favo-rire i raccolti agricoli, mettere sotto la protezione dei Santi i propri animali, propiziarsi comunque la benevolenza di Dio, della Madonna e dei Santi.

Purtroppo, negli ultimi decenni, gli agenti atmosferici, lo stato di abbandono di molte abitazioni rurali, il dissesto delle mulattiere sulle quali sorgono le santelle e soprattutto l’incu-ria degli uomini, unita ad un generale degrado del senso del sacro, hanno esposto tale patrimonio artistico-religioso al pe-ricolo di una definitiva rovina e scomparsa.

Meritevole di elogio, quindi, l’iniziativa di qualche priva-to e del gruppo “Gli Amici dei Güsgiöi” che han posto mano al recupero di questi manufatti, nel desiderio di perpetuare la memoria delle generazioni passate, ma anche nella consape-volezza di mantenere e di tramandare nel tempo quei valori che furono alla base del vivere civile e religioso degli antenati.

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Santella di “S. Sisto” Posta all’entrata del cimitero di S. Sisto, alla sommità del muro di cinta dell’ex Limbo, piccola, quasi da passare inos-servata ai passanti, è sicuramente una delle santelle più anti-che di Cevo, probabilmente coeva al vecchio cimitero (1817) o forse alla stessa chiesa di S. Sisto (sec. XII). Essa presenta una facciata formata quasi interamente da blocchi di granito, approssimativamente squadrati, compreso l’archivolto costi-tuito da un unico blocco di pietra, mentre il resto è realizzato in semplice muratura di pietrame. La copertura, a forma di capanna, è realizzata con grandi lastre d’ardesia.

Lasciata per lungo tempo in stato di abbandono, si è provve-duto ad una sommaria sistemazione in occasione dell’ultimo restauro della chiesa di S. Sisto (1988), cercando di ricompor-re e fissare i lacerti d’un antico affresco raffigurante la Madon-na con in grembo Cristo morto, ma con risultati non del tutto gratificanti.

Nel 2009 sopra l’originale affresco è stata applicata una tavola in cartongesso riproducente la Pietà, dipinta da Gino Scolari di Cevo.

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Santella della “Al de Fa”Sorge lungo la mulattiera che da S. Sisto porta a Pozzuolo, ad una cinquantina di metri dalla Valle dei Molini (detta anche, in gergo dialettale, “Al de Fa”). Dalla santella si diparte la stra-da che porta alle località di Tesa, di Carasìne, di Ongaréda, del Diso, di Bardò.

Sconosciuta la data di costruzione, ma la sua presenza è certi-ficata anteriore al 1885.

Nel 1936 venne restaurata per volere dei Reduci dell’Africa Orientale in segno di ringraziamento per la protezione divi-na accordata ai militari ed agli operai cevesi allora operanti in terra d’Africa. Si diede l’incarico a Martino Biondi, pittore cevese particolarmente apprezzato nella raffigurazione di soggetti religiosi, di ridipingere l’interno e l’esterno della san-tella. Al centro egli raffigurò l’immagine del S. Cuore, ai lati S. Antonio di Padova e S. Vigilio patrono di Cevo, in sommità, nel timpano la scritta “Cevo, memore della protezione divina a favore delle nostre eroiche truppe in Africa Orientale, rico-noscente al Cuore di Gesù, restaurò e consacrò”.

Nel 2010, di fronte alle ormai precarie condizioni della santel-la, il gruppo “Gli Amici dei Güsgiöi” provvide al ripristino della struttura, mentre Natalina Monella (Lina), decoratrice cevese di ceramica, rinnovò le pitture interne e la scritta riportata sul timpano del tempietto.

Le murature della santella sono in pietrame, il tetto, a due fal-de, in cemento e coperto da lastre d’ardesia. L’interno è pro-tetto da un cancelletto in ferro battuto.

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Santella di “Mulinél”Particolarmente venerata dalla gente di Mulinél, è sempre stata punto di riferimento religioso per i contadini residen-ti nei fienili di Mulinél e dintorni, anche per la sua posizione strategica, trovandosi all’incrocio di quattro strade: Mulinél de Sura, Mulinél de Sot, Ogna, Ruch.

Costruita originariamente sul lato destro del ruscello di Mu-linél, in seguito al crollo verificatosi verso al fine degli anni Trenta per lo smottamento del terreno, venne ricostruita dalla gente del luogo sul lato sinistro del ruscello , su terreno più sicuro, nell’anno 1941 ed affrescata dal pittore Martino Biondi di Cevo il quale raffigurò al centro l’Immacolata Conce-zione, S. Pietro a destra e, a sinistra, Padre Innocenzo da Ber-zo (ora Beato) che venne così ad essere esposto, per la prima volta, alla venerazione dei fedeli in una santella di campagna.

Le pitture furono rinnovate nel 1993, perché parzialmente rovinate dall’umidità, dal pittore Brunone Biondi, nipote di Martino Biondi.

Un ultimo restauro è stato effettuato, sempre a causa dell’u-midità, nel 2011 col ripristino delle murature, degli intonaci ed il rifacimento delle immagini sacre eseguite da Natalina Monella (Lina) di Cevo.

L’entrata è chiusa da un cancelletto in ferro battuto.

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Santella di “Tö”La santella si trova lungo la Strada Provinciale n. 6, in locali-tà “Tö”. Edificata, pochi anni dopo la costruzione della strada provinciale (1910), dai fratelli Giona e Girolamo Bazzana fu Francesco su desiderio della loro madre Maria Matti, venne da subito denominata ‘Güsgiöl de Basane’.

Verso gli anni Cinquanta la santella passò in eredità a Rosi-na Bazzana, figlia di Giona, che ne curò la manutenzione as-sieme alla sua famiglia. A lei subentrò la figlia Rita Gozzi che, assieme al marito Alessandro Magrini, nel 1996 provvide ad un radicale restauro del manufatto, dando poi l’incarico alla pittrice Adriana Bazzoni di Andrista di ridipingere il tutto. Così al centro della santella venne affrescata una “Madonna in gloria”, sulla parete sinistra S. Vigilio patrono di Cevo, sulla parete destra S. Antonio abate, in alto la tradizionale colomba dello Spirito Santo.

Le murature della santella sono in granito, saldamente soste-nute da un muretto costituito da conci di granito ordinata-mente sovrapposti e tra loro fissati con malta di cemento; il tetto è in cemento, coperto di tegole. L’interno è protetto da un cancelletto in ferro.

Oggi, il ‘Güsgiöl de Basane’, ad un secolo ormai dalla sua co-struzione, continua ad essere custodito e quotidianamente curato dai discendenti dell’originaria famiglia Bazzana.

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Santella del “Cimitero Nuovo”Costituita da un unico blocco di granito nel quale è incavata una piccola nicchia occupata da una statuetta in bronzo del-la Madonna, la santella è collocata lungo il viale d’accesso al nuovo cimitero di Cevo.

Preparata nei primi decenni del 1900 da G. Battista Bazzana (detto Puì), che si era ripromesso di collocarla in fondo al viot-tolo (ora scala) che dalle Case del Gat del vecchio nucleo abi-tato di Cevo scendeva al camposanto di S. Sisto, venne messa in opera solo nell’anno 2001: la morte imprevista del signor Bazzana e la contemporanea costruzione di un’altra santella nelle vicinanze, lungo la S.P. n. 6 in località “Tö”, avevano fatto accantonare l’iniziativa.

Il blocco di granito, preso in custodia dai parenti del defunto ed in seguito traslocato vicino alla loro abitazione, nel 2000 venne donato dal signor Romaldo Gozzi al Comune di Cevo che incaricò lo scalpellino Vitalino Valra di rifinirlo e sistemar-lo lungo la via d’accesso al nuovo cimitero. L’Amministrazione Comunale fece anche dono d’una statuetta della Madonna da collocare all’interno della nicchia.

La santella, dedicata alla Madonna, oltre ad essere una con-creta testimonianza della maestria degli scalpellini cevesi nel-la lavorazione del granito, funge anche da trait d’union con la chiesetta del vicino cimitero, dedicata, all’atto della sua inau-gurazione, a “S. Maria degli Angeli”.

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Santella della “Vià de Funtana”Così denominata perché costruita a lato della vecchia strada comunale che, partendo dalla piazza del Marangù di Cevo, al centro della quale esisteva un’antica fontana, portava al vicino paese di Saviore.

Di struttura solida e di abbastanza recente costruzione (inizî 1900), la santella non presenta pittura alcuna. Unico segno religioso è un Crocifisso appeso all’interno. Fuori, sul lato si-nistro, una scultura lignea del cevese G. Mario Monella ricorda la morte del giovane diciottenne Giovanni Scolari fucilato da una squadra di militi fascisti, nel prato a monte della santella, il 3 luglio 1944, giorno del tragico incendio di Cevo.

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Santella della “Colonia”Anch’essa si trova lungo la ‘Vià de Funtana’, a qualche decina di metri a mattina dell’ex Colonia Angiolina Ferrari, oggi tra-sformata in Centro di Educazione Ambientale del Parco dell’A-damello.

Piccola, dall’aspetto antico, la santella è saldamente piantata sopra un masso di granito e custodisce al suo interno un’u-nica immagine sacra: una Madonna, dai lineamenti delicati, dipinta ad olio su legno compensato da Isabella Ventura, di-scendente, per via materna, dalla famiglia Galbassini di Cevo da sempre proprietaria del manufatto. Peccato che una lastra di vetro, posta sul davanti a protezione della pittura, col suo riflesso, ne impedisca una visione chiara e soddisfacente.

Inoltre l’ubicazione stessa del manufatto, sul limitare del grosso collettore che raccoglie le acque a monte della “Vià de Funtana” tra Cevo e Saviore, ne rende difficoltoso l’accesso.

I muri della santella sono in pietrame, mentre la copertura è formata da un unico blocco di granito che le fa da archivolto

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Santella dei “Cap de Spì”Recentemente restaurata (2012) da “Gli Amici dei Güsgiöi’ di Cevo e dipinta congiuntamente dalle frescanti Natalina Mo-nella (Lina) e Daniela Gozzi, al suo interno rappresenta la Ma-donna col Bambino Gesù in braccio, S. Rita e S. Antonio abate ai lati.

La copertura della santella, a forma di capanna, è formata da grosse pietre di granito, mentre i muri perimetrali sono co-stituiti di malta e pietrame. Un cancelletto in ferro battuto ne protegge l’interno.

Attribuita alla famiglia Casalini de Maròch (da qui anche la de-nominazione di ‘Güsgiöl de Maròch’), essa ebbe le sue origini nella seconda metà del 1800 sotto forma di una modestissima costruzione, fatta poi ampliare nel 1962 da Venanzio Casalini, discendente dall’originaria famiglia committente.

Collocata a lato dello ‘Vià de Spì’, essa costituisce punto obbli-gato di passaggio per quanti salgono alle cascine di Codeplè, Codesét, Berba e Gasgiöla.

Convenientemente restaurata, la santella ha ripreso la sua funzione di sempre: propiziare la protezione della Madonna e dei Santi sulla campagna e su quanti la frequentano.

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Santella di “Crìstule”La santella prende il nome dalla località dove è stata edificata, immediatamente a ridosso della Pineta di Cevo.

Ignota è la data di erezione, come pure il nome del commit-tente e del costruttore. Certamente non casuale il luogo scel-to per la costruzione: nel punto in cui dalla strada diretta a Musna, Dasnöar e Malga Aret si staccava la vecchia strada per Ghisella Alta, Malga Corti e Pian della Regina.

Nel 1945 la santella fu restaurata su iniziativa di Vigilio Casa-lini di Cevo, allora Sindaco di Valsaviore, e fatta affrescare dal pittore Martino Biondi.

Nel 1998 un altro restauro venne affettuato dal gruppo escur-sionistico cevese ‘I Ragn de la masòcula’. Le pitture, ormai cor-rose dal tempo, vennero rifatte da Luciano Lotti, rinomato pit-tore fiorentino. All’interno egli raffigurò: al centro la Madonna Assunta, a sinistra S. Antonio abate, a destra S. Gregorio Ma-gno. Nel 2008 il medesimo pittore volle rinnovare le pitture parzialmente sbiadite a causa degli agenti atmosferici.

All’esterno, sul muro sinistro della santella, una croce in ferro ricorda la morte di G. Domenico Belotti, messo comunale di Cevo, avvenuta nel 1864, nelle vicinanze della santella, in cir-costanze misteriose.

La santella, ben ancorata alla roccia, è in pietrame ed è co-perta da grosse lastre d’ardesia. L’apertura è protetta da un cancelletto in ferro battuto.

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La Santella della “Al de Cop”La santella ci propone una struttura moderna, completamente estranea alla tipologia tradizionale. Progettata dal geometra Giacomo Venturini di Cedegolo su committenza dei coniugi Arsenio Bazzana e Agnese Gozzi di Cevo, essa presenta un’u-nica figura sacra: una statua in bronzo della Madonna, protet-ta da una nicchia in cemento alla cui sommità spicca la data di costruzione -AD 1974- e, ai piedi della Madonna, la scritta “La Madre vi guarda e vi benedice in eterno”.

Mentre la forma del manufatto, triangolare e con il vertice rivolto verso l’alto, costituisce un invito a guardare verso il Cielo, la Vergine, con le braccia protese verso il basso, sembra assolvere alla sua tradizionale funzione di mediatrice tra gli uomini e Dio.

Interessante, per la sua semplicità e per il significato storico, la piccola nicchia ricavata nel masso antistante la santella e che racchiude un’ effigie in gesso di Madonna con Bambino ed un’immagine su carta cerata di S. Antonio abate, santo cui era dedicata originariamente la nicchia. Sotto di essa figurano le iniziali - R. G. + 1883 - probabile memoria d’una persona ivi deceduta e per la quale, riteniamo, i parenti avrebbero realiz-zato la nicchia.

Sia la santella posta in alto che la nicchia incavata nella roccia sottostante si trovano a margine della strada che porta ai fie-nili Musna, nei pressi del ponte che scavalca il torrente Coppo.

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Santella di “Scagn”Secondo le testimonianze degli anziani di Cevo, la santella sa-rebbe stata costruita da un cittadino cevese, soprannominato “Scagn”, il quale, essendo miracolosamente scampato ad una enorme valanga staccatasi, nei primi decenni del secolo XX, dalla montagna Paret e confluita nella valle del Coppo fino al fiume Oglio nelle vicinanze di Cedegolo, avrebbe fatto voto di costruire un ‘güsgiöl’ alla Madonna, in segno di ringraziamen-to e di devozione

La santella è collocata lungo l’attuale strada di Musna nel pun-to in cui la vecchia mulattiera (oggi abbandonata) s’inerpicava verso i prati di Musna nel suo ultimo tratto. Il signor “Scagn” incaricò Martino Biondi di Cevo di dipingere l’interno con l’immagine della Madonna e di alcuni Santi, immagini ridipin-te, nel corso degli anni Sessanta, dal nipote Brunone Biondi, ed infine, nell’anno 2000, dalla pittrice Adriana Bazzoni di An-drista che rappresentò la Madonna al centro, la colomba dello Spirito Santo in alto e due gigli sulle pareti laterali.

La santella è costruita con muri di pietrame ed è coperta da grosse piastre di granito. L’interno è protetto da un cancellet-to in ferro.

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La chiesetta degli Alpini di “Musna”Promossa e realizzata dal Gruppo Alpini di Cevo, la chiesetta sorge in un angolo appartato dei prati di Musna, a monte della strada che sale verso Paret e il Pian della Regina, tra il verde cupo degli abeti che le fanno corona. In perfetto stile alpestre (murature in pietra, tetto a capanna coperto d’ardesia e dai forti spioventi, un campaniletto sul quale fa bella mostra di sé una campanella che vanta più di cent’anni di vita, provenien-te da altra chiesetta alpina ristrutturata in provincia di Como e donata da un alpino di Como al Gruppo Alpini di Cevo), la chiesetta, progettata dal geometra Giuseppe Biondi (Pimo) di Cevo ha trovato realizzazione nel 2006, grazie agli alpini di Cevo che gratuitamente hanno offerto la loro manodopera (940 ore lavorative) e al generoso apporto di alcune imprese edili della Valle Camonica.

Sul frontespizio la scritta “Per non dimenticare – 19 maggio 1944” ricorda il crudele eccidio perpetrato sul luogo, il 19 maggio 1944, da un reparto di militi della GNR (la “Banda Marta”), di quattro innocui ed innocenti contadini mentre erano intenti al loro lavoro: tre di essi appartenenti allo stesso nucleo famigliare (Monella Gio Daniele il padre, Scolari Maria la madre e Maddalena la figlia) ed il quarto, Francesco Belotti, che dimorava in una baita posta nelle vicinanze. I loro nomi sono ricordati, su di un marmo, all’interno della chiesetta, dove, su altro marmo, è pure evidenziata la dedica della cap-pella: “A tutti i caduti della Resistenza”.

Un piccolo altare in granito, opera della ditta Moncini di Capo di Ponte, ed un artistico crocifisso in legno, donato dallo scultore cevese G. Mario Monella, completano l’arredo della cappella. La chiesetta è stata benedetta ed inaugurata, il 13 agosto 2006, da mons. Vigilio Mario Olmi, emerito Vescovo Ausiliare di Brescia, alla presenza dei famigliari delle vittime, di numerosi gruppi alpini e di centinaia di cittadini cevesi e di ospiti villeggianti.

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RingraziamentiA conclusione delle presenti note, mi sento in dovere di ringraziare vivamente quanti, in vario modo, mi sono stati d’aiuto nella realizzazione dell’opera. In particolare:- Oliviero Franzoni, “uno dei più agguerriti e diligenti studiosi di storia camuna”, che, con competenza, pazienza e disponibilità mi ha cortesemente affiancato in corso d’opera e in fase di revisione finale del lavoro; - Basilio, Matteo e Stefano Rodella, per gli impeccabili servizi fotografici e la cura editoriale che, oltre a costituire un richiamo al senso del sacro, impreziosiscono il contenuto dell’opera ed offrono un’immagine rara delle ricchezze artistiche, culturali ed ambientali di Cevo e del suo territorio;- l’amico Tomaso Maffessoli che, ancora una volta, mi ha messo a disposizione le carte del suo archivio privato di Capo di Ponte, consentendomi la consultazione e la riproduzione di rari documenti storici ivi conservati;- la mia famiglia che mi ha costantemente supportato per tutta la durata del presente lavoro;- don Filippo Stefani, parroco, per l’estrema fiducia che ha voluto accordarmi. Un riconoscente ricordo, nel sesto anniversario del suo decesso, va al compianto mons. A. Masetti Zannini, sempre prodigo di consigli ed attenzioni nel suo diuturno compito di Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Brescia.Il mio auspicio è che queste pagine, seppure imperfette ed incomplete, possano suscitare, nei concittadini di Cevo, più curiosità e considerazione per il nostro passato, assieme ad un concreto e convinto interesse per il nostro avvenire.

Andrea Belotti

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Finito di Stampare nel mese di novembre 2012 dalla tipografia Ciessegrafica

Testi: Andrea BelottiFotografie: BAMSphoto Basilio e Matteo Rodella

Fotografie storiche: Archivio parrocchiale di Cevo e Autore Grafica: BAMS Stefano Rodella

www.bamsphoto.itTel. 030964107

ISBN: 978-88-97941-00-2

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