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3° Concorso letterario Internazionale “Macugnaga e il Monte Rosa – Montagna del popolo Walser, 2017

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1° NARRATIVA

Ilario Rigon

DUFOUR

1.“AllorafacciamolapuntaDufour…?“conuntonointerrogativochescivolavaversol’affermativo.

Tentennaiepoireplicai:“adireilveropensavoalLyskamm,cosìavevochiestoall’ufficioguide“.

“Loso,mac’èancheunmioamicoconunclientechevorrebbefarequalcosa,vediamoalrifugio,inognicasononc’èproblema,facciamoquellachevuoi“.

Da buon pianificatore, comunque prudente, non amavo cambiaremeta se non per validimotivi. Quindiindagai.“NoncisonolecondizioniperilLyskamm?“.

“Lecondizionisonoabbastanzabuone,maèunacrestamoltoesposta.AllaDufourèunpo’diverso,cisipuòassicuraremeglio.Decidiamocomunquedopo,senzaproblemi,nontipreoccupare”.

Iltonoeradichiusurapercuinoninsistetti.Forseilmioingombrodi1,90perquasi90chililopreoccupavaunpo’. Il filosottiledelLyskammnonlasciascampoincasodicaduta eunastoriadi incidentipassatierecentiglihavalsoilsoprannomedimontagna“divoratricediuomini”;nonerailcasodistuzzicarnel’appetitooltreilragionevole…

Giungemmoal rifugioMantovavelocemente.Dovevotranquillizzare laguidaalmenosullemiecondizionifisicheesoprattuttomestesso.Pocodopoconobbiipossibilicompagnidelgiornoseguente.Ungiovanottonealto eprestante, aspirante guida, e il suo cliente, un robustoemilianodimezza età conun fisicopiùdafrequentatoredipiadineriechedistrapiombanticresteghiacciate.Taloral’apparenzaingannaancheallealtequoteequindilostudiaiconladovutaprecauzioneprimadiemettereunsentenzadicassazione.

“Domaniforsesivaassieme“.

“Sisembrachelenostreguidesistianomettendod’accordo“.

“Haifattounpo’disaliteinquotaquest’anno?“indagaiastrettogiro.

“Poco,qualcheescursioneesonostatosettimanascorsasullaMarmolada”.

“Peròtiseiportatogliscarponiinspalla?”azzardai,guardandoilpaiodiscarponciniscamosciatidafaggetaappenninicaegiàumidiccichecalzava.

“No,no,domaniusoquesti”.

Nonaggiunsialtro,preoccupatodallatenutadell’occasionaleeinsolitocompagno.Lamiaguidaintantoeradietroilbancone.Scambiavabattuteconirifugisti enonstavafermounmomento,aiutandoliaservireinumerosiclienti.Ilgiovanottoneglifacevadaspallaelotrattavaconpaleseammirazione.

Acena,difronteaunpiattodeliziosamentesemplice,giustamentesaporito,cheprofumavadipratid’altaquota,midisseconsincerità:“sevuoiandarealLyskamm,nonc’èproblema,davverodeciditu”.

Valutailasituazioneesoppesatoilmaggiorpregiodell’alternativagraziealprimatodellasuaaltezza(lapuntaDufour,culminedelmassicciodelmonteRosa,èlasecondacimadellaAlpi)esclamaiconvinto:

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“VadaperlaDufour!“.

2.L’ariapungentedellequattrosciolsel’indolentetorporedellanotteinsonne.Sopraleargenteesagomedelleparetighiacciateorlatediincombentieminacciosiseracchi.Sottooscurepietraiedigradantiversovalleeinfondolerassicurantilucideipaesiaddormentati.

E’ilmomentoincuilarinunciaassaleconlalusingadelriposoesolol’automaticaproceduradellavestizionescioglieogniriserva.Finalmentelaferragliamorseilghiaccioelalucedellafrontaleiniziòaguidareilpasso.Un ritmo lento e cadenzato fugò la nausea residua del rifugio poco ossigenato e pian piano il “motore”scaldatocominciòaingranaredandoconfortoallapuravolontà.

Salivamolegatiincordata.

Presto leprime lucidell’albaaccesero lecimeegliorizzontichesiampliavanosemprepiù.ArrivammoinmenodiquattrooreallapuntaZumsteinaoltre4.500metridiquota.

“Chespettacolo!”esclamaiperlabellezzaeperfavorirelapausa.

Lamiaguidaguardavailpanorama“Bellagiornata,oggiiltempotiene”.

“Chissàquantevoltehaivistoquestipanorami?“.

“Tante,masonosemprebelli“.

Daquiiniziavanoledifficoltà.Gabriele,lamiaguida,miconsigliòdilasciareibastonciniperriprenderlipoial ritorno. Da buon milanese, condannato all’assidua veglia sulla proprietà, esitai. Poi mi resi contodell’assurdità di quella prudenza e li piantai sulla cima. Seguii Gabriele, legato in cordata con lui. Dietroprocedevano assieme l’atletico giovanotto e l’emiliano, un po’ goffoma determinato, come quelli della“bassa”sannoessere.

Solcammo crestine vertiginose che sprofondavano da ambo i lati su abissi profondi, dove lo sguardo siperdevatravaporiincostantemetamorfosi.Aggirammocuspidirocciose,comegendarmiadifesadellacima,per cenge di rocce rotte e insicure. Aspettavo con ansia un passaggio “a croce” che avevo letto essereparticolarmenteespostoedelicato.Lecondizionieranoottime.Nonc’eraghiacciooverglas.Losuperaisenzaquasi accorgermene. Gabriele simuoveva con incredibile sicurezza e armonia,mami curava attento ereattivoaogniminimasollecitazionedellacorda,dandomisicurezzaancheneitrattipiùesposti.Uniniziodicrampoannunciòlacrescentestanchezzaefuiquindifelicenelvedereapprossimarsilapiccolacrocedellavetta.

Un anfiteatro di cime si stagliava sotto e intorno a noi coperte da scintillanti calotte che colavano giùfrantumandosiindedalidighiacciodallebizzarregeometrie;quaelaprotuberanzeroccioserompevanoilvelodelleneviperenniergendosiversoilcieloinpuntesottili,possentibastionateopiramididallasagomainconfondibile.Lasoddisfazioneeraradicaleenonlasciavaspazioadaltrisentimentisenonlostuporeperlagrandiositàdellavista.

AncheGabriele,purconlasuaariadisinvoltaeunpo’dissacrantedichitraduceunapassioneinmestiereassuefandogliocchiabellezzeperglialtriinusuali,partecipavaconsincerità.

Glipiacevailmestieredellaguida,quelmestiereancorapiùbelloeveroquandosialimentaecresceconlagioiaaltrui.

Iniziammoladiscesaconlamassimaconcentrazione,arischioperlastanchezzapiùmentalechefisica.

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Superammoaritrosoanchel’ultimotrattodicrestainrisalitaversolaZumstein,coniramponidelprovatoemilianotraballantisopralamiatesta,eguadagnammolatranquillacimachesegnavalafinedelledifficoltànonchédellemieansie.Daquinonrestavacheunalungadiscesaprivadiasperitàtecnicheversol’agognatoriposo.

Constuporee rabbia,mitigata solodal caloenergetico, riscontrai la scomparsadeibastoncini cheavevolasciatisaldamentepiantatisullacima.Gabrielereagìconprontezza.

Cominciòascrutareconilbinocoloalcunecordatechescendevanolungoilghiacciaio.Poipensammocheforse li avevano presi pensando a una dimenticanza e li avremmo quindi trovati al rifugio.Ma dei miebastoncinisiperseognitracciacosìcomelafiduciaillimitatanell’uomo,chesiavventuraaiconfinidelcielo,cominciòavacillare.

“TiportereiafareilCervino”midisseGabriele,rinfrancandomi.

“Mipiacerebbe,pensichecelapossafare?maèpiùdifficiledellaDufour?”.

“E’piùimpegnativo,civuoleunpo’diforza,peròtimuovibenesullepietraieesuterrenoinstabile,ilCervinoèunpo’così,tuttorotto…”

“L’haigiàfattoquest’anno?”chiesi,mentrelavocetradivalasoddisfazioneel’emozioneperillusinghierogiudiziosullemiepotenzialità.

“Domanivadosuconuncliente”.

“Iltempoèbuono?”.

“Abbastanza,dannounleggerorischioditemporalinelpomeriggiomadovrebbeancoratenere,peggioraneigiornisuccessivi”.

“SullaBeccanonsischerzaconifulmini“dissel’altraguidaconlaqualecieravamolegatiassiemeall’emilianooramaiesausto.

L’argomento restò in vita a più riprese con storie avventurose di fughedai lampi, nascondigli e rinunce.Ognunoneavevaunamachipiùdelleguidedaannisuimontipotevaavernecollezionatodiepisodiincuiiltimoredellasaettaavevarecitatolapartedaprotagonistafinoaprenderequasiformainsinistrironziiepelirizzati.

Gabrieleallafinesentenziò“Comunquenonlamentiamoci,adessoilfuneraledellaguidalopagano!”.

Eunarisatageneralemisefineaidileggieallebattutelasciandociconcentraresulladiscesaesulrecuperodelleultimeenergie. L’emiliano si fermava in continuazionee rallentava lamarcia. Arrivammoal rifugioMantova troppo tardiperpoterprenderegli impiantialCold’Olen. L’emilianoe la suaguidadeciserodipernottarealrifugio.Gabrieleediononavevamoalternative;scendemmoquindidirettamenteaGressoney.Arrivammodopoleotto.

“Nonsocomefaiaripartiredomani!“.

“Pernoiguidelastagioneècorta,cerchiamodisfruttareilbeltempoepoisiamoallenati”.

“Tiringrazioperquesteduegiornateuniche,misonotrovatobenissimo;cirisentiamol’annoprossimoperilCervino?”.

“Sicuramente,quandovuoi“.

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3.Inrealtàilsolopensieroeradiraggiungerequantoprimalafamigliachesoggiornavainunavallevicina.Dopotregiornidovevamopartireperilmareelamemoriadelprestigioso“bottino”avrebbeattenuatolacaluradellaspiaggia.

Ilgiornodopofeciunapasseggiataeguardandoversolagranbecca,seminascostadaunalievevelatura,dissiamiamoglie:“orastannosalendoalrifugioCarrel“.

Eratempodipartireperilmare.Mispiacevalasciarelemontagne.Duranteladiscesagustavolavistadellecimeche,tornantedopotornante,sparivanonascostedaiprofiliboscosiearrotondati.

Giuntoinautostradaaccesilaradio.Uncantobellissimomatristeciavvolse.ErailSignoredelleCime,uncantodipreghieraperunamicochelamontagnaportavia,versoilCielo.Lafrequenzanoneralimpida.

Cercaidimigliorarelasintoniaeascoltaiilcommentoalterminedelcanto,impietrito.

EranoifuneralidiGabriele,colpitoinpienodaunfulminementresalivasulCervino,inunpomeriggiosenzapioggiaesenzatuoni.

Immagini,momentidigioiaedisoddisfazione,attimidiansiaedipaura,battute,parole,progettidiquelleduegiornateassunsero,neldoloreimprovviso,unsignificatoparticolareerimaseroindelebilinellamemoriapergliannicheseguironorinnovandosineipercorsisuimonti,neiricordi,nellavitaenelledomandechemiaccompagnano.

DedicatoaGabriele,

guidaprovettaegenerosa,

mortosulCervinoacausadiunfulmine,

ilgiornodopoaversalitoassiemelapuntaDufour.

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2° NARRATIVA

Valter Guglielmetti

LA SECONDA PROVA

Mi chiamo Clara Grober. Vorrei raccontare questa s toria , che narra di me e di mio mari to Enrico Grober. Lo faccio senza alcuna pretesa di insegnare qualcosa. Sono molto vecchia ed ho sempre vissuto a Macugnaga, sotto la grande parete del Monte Rosa, dove per più di quarant’anni ho eserci tato la professione di maestra elementare. Sapete, è un bell iss imo mestiere fare la maestra in un piccolo paese di montagna, perché si possono imparare molte cose dai bambini , dalle loro piccole gioie come dai loro primi dolori . Durante l’ inverno essi venivano a scuola al matt ino presto , dopo aver aiutato i genitori nel le s tal le , fel ici di camminare nella neve, con le guance arrossate e spesso con dei piccoli doni per me. Quei doni sono ancora adesso nella mia casa, perché provengono dal loro cuore. Coi bambini i l tempo passa troppo in fret ta , ma sembra anche non farci invecchiare mai. Io ho visto crescere tut t i i bambini del paese, l i ho vist i sal ire sulle montagne, diventare grandi alpinist i , l i ho vist i part ire ed alcuni non sono mai tornati , molt i di loro sono diventat i Guide molto apprezzate in ogni luogo delle Alpi . In una parola l i ho vist i diventare uomini. Ho dovuto affrontare due grandi prove nella mia vita: la prima fu quando mio marito morì , da qualche parte sulla grande parete, i l 28 dicembre 1934, la seconda fu quando lo r i trovai , i l 6 dicembre 1992. Mio mari to era un falegname, un uomo molto semplice e povero. Passammo assieme tut ta l’ infanzia, perché si sa come sono i bambini dei piccoli paesi di montagna, sempre tut t i insieme, soprattut to tanti anni fa quando non c’era niente con cui giocare, solo neve d’inverno, prat i d’estate e la nostra fel ici tà . Tra me ed Enrico era nata una complici tà s trana e meravigliosa. Per motivi che ancora non conoscevamo noi s tavamo bene insieme, le giornate passavano veloci ed anche la fat ica non era mai un peso, forse perché ci divert ivamo; mi insegnava molte cose sulle piante, sui f iori , sulle rocce, ed era bello s tare con lui sui prat i a guardare le nuvole che si r incorrevano nel cielo est ivo, mentre s i portavano al pascolo le mucche. Eravamo bambini , non avevamo niente se non le nostre gambe per correre ed i l nostro piccolo mondo sotto la grande parete , ma eravamo fel ici f ino in fondo. L’infanzia f iniva presto, ed al tret tanto presto s i iniziava a lavorare, su queste montagne che non ci hanno mai dato molto ma che ci hanno sempre tenuto così s tret t i che non avremmo saputo dove al tro andare. Crescendo f inalmente abbiamo capito i nostr i sentimenti : scoprimmo di amarci , di essere fat t i davvero uno per l’al tra . I l nostro amore era una storia leggendaria fat ta di sorr is i , di tenerezze, di incontr i negli angoli più sperduti del paese, sui ponti che traversano l’Anza. Era una storia di parole e di promesse, sotto la neve di Natale o la magica volta s tel lata del cielo d’Agosto. Era una storia di montagna come ce ne sono tante, ma così unica e perfet ta perché i protagonist i s iamo stat i Enrico ed io.

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Anche la grande parete ha giocato la sua parte in quegli anni ormai lontani , s tregandoci un poco forse, ma cementando indissolubilmente la nostra unione. Ci piaceva andare sulle montagne a camminare, ed Enrico aveva fat to dell’alpinismo la sua seconda ragione di vi ta , perché la prima ero io. Sapere di essere l’oggetto del suo amore era come entrare in una fortezza protet ta da un eserci to invincibile , avere la certezza che non mi sarebbe mai accaduto nulla , nemmeno i l vento e la neve r iuscivano a raffreddarmi quando cercavo r ifugio tra le sue braccia, lasciandomi carezzare dalla sua voce. Ci sposammo il 9 agosto 1934, e la nostra casa era la più bella del paese. Ricordo perfet tamente quella giornata, con un sole meraviglioso che si r if le t teva sui ghiacci della Est , gl i amici , la chiesa ornata di f iori . In tanti mi invidiavano per la gioia e la radiosi tà che io ed Enrico emanavamo. Forse troppa, a giudicare da quello che accadde poi . Enrico doveva seguire la sua passione alpinist ica, progettò quindi una grandiosa impresa invernale sulla grande parete: dopo aver raggiunto la capanna Marinell i voleva r isal ire tut to l’omonimo canalone f ino al la Sella d’Argento, i l colle più al to delle Alpi , da l ì piegare a destra f ino al la cima del Nordend, poi tornare indietro e fare una lunga cavalcata per le punte Dufour, Zumstein e Gnifet t i . Da quest’ul t ima scendere per la tagliente cresta Signal f ino al la Grober, e f inalmente tornare in paese. Tutto questo d’inverno e da solo. Era già s tato molte volte sulla grande parete in estate , e aveva percorso molte delle sue vie anche in inverno, ma un’avventura s imile era davvero pericolosa. Tentai di dissuaderlo, ma sapevo perfet tamente che non ci sarei r iuscita . Passammo il Natale in casa, davanti a l nostro fuoco, pranzando con polenta e formaggio, un piat to deliziosamente semplice, giustamente sapori to, che profumava di prat i d 'a l ta quota, i prat i della Pedriola dove andavamo da piccoli . Fuori nevicava molto forte , come se qualcuno volesse inviare un segnale e fare in modo che mio mari to desistesse. Non ci fu nulla da fare. Enrico part ì a l la volta della capanna Marinell i prima dell’alba del 27 dicembre 1934, dicendo che sarebbe tornato in tempo per at tendere i l nuovo anno con me. Lo salutai a lungo dalla f inestra , mentre s i a l lontanava nel buio, ignara che fosse l’ul t ima volta . Guardavo camminare la sua f igura, dalla quale, più tardi me ne resi bene conto, proveniva già un 'ombra di assoluta mortal i tà . I l giorno dopo, venerdì 28 dicembre, verso le ot to del matt ino faceva stranamente molto caldo, non c’era al i to di vento ed era una splendida giornata. Io ero in casa, ed ogni tanto guardavo la Est , dove mi trovavo col pensiero. All’ improvviso, proprio mentre lo s tavo guardando, i l canalone Marinell i t remò mentre cadeva una delle più grandi valanghe che si r icordino nel paese. Lo str idente rombo del tuono di ghiaccio fu udito in tut ta la vallata , ed i l muggito della veura sol levò un turbine di neve come una tempesta. Poi la grande parete tornò tranquil la , splendendo beffarda come la morte , col suo affascinante e terr ibi le s i lenzio. La valanga successiva cadde dentro di me. Sapevo che Enrico si t rovava sul canalone, e troppe volte la parete aveva imprigionato là i suoi alpinist i , inchiodandoli per sempre nel gelido inferno della morte bianca. Uscii di corsa nel giardino per guardare la montagna, e restai paral izzata dal terrore. I l rumore della valanga era s tato come l’urlo disperato delle anime dei dannati , sal iva inappellabile accompagnato da un eco che continuava a r ipetere tre parole terr ibi l i che mi avrebbero segnato per sempre: “Enrico è morto” . Fissai i l Monte Rosa a lungo, incapace di comprendere la maledizione che mi era s tata r iservata e che da quel momento avrebbe segnato la mia vita . Sul paese s i adagiò un s i lenzio sconfinato, ed in quel vuoto cosmico io pensai che come quella muraglia di ghiaccio aveva favori to o forse provocato i l mio amore con Enrico, la s tessa muraglia

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lo aveva interrotto nello spazio di un at t imo che valeva quanto le nostre due vite , nel modo più feroce, quasi animata da una volontà sconosciuta di morte. E questo pensiero spezzò la mia anima. Dentro di me restò solo l’assurda, s truggente ma logica consapevolezza che mio marito non poteva essere sopravvissuto. Tutto i l resto, sentimenti , r icordi , sorr is i , programmi e parole cadde nel profondo baratro che stava invadendo i l mio essere. Ho r ivisto infini te volte quella valanga, i l suo immenso fronte superiore s taccarsi da sopra le rocce Imseng e cominciare la sua corsa terr ibi le che ha travolto ogni cosa, comprese le cose che r iguardavano la mia vi ta . Enrico non tornò mai da quella montagna, e non si t rovò. Mi era chiaro solo i l fat to di essere r imasta sola, accompagnata soltanto dal mio dolore, ed a nulla servì l ’at taccamento della gente del paese al la sua maestra: mi r ifugiavo in quella grande casa che ci aveva visto fel ici , incapace di reagire, ed ogni volta che guardavo verso la parete r iuscivo soltanto a formulare due domande a cui nessuno sapeva r ispondere. Perché. Dove. Non avevo nemmeno una tomba dove andare a pregare e a portare qualche f iore. E non ho più avuto nessun al tro uomo. Nel pomeriggio del 5 dicembre 1992, in un autunno molto secco, i l capo delle Guide del paese venne a casa mia. Da bambino era s tato mio al l ievo: nel mio piccolo avevo contr ibuito a farne un uomo buono, s incero e leale , ben conscio delle responsabil i tà che r icadevano su di lui . I suoi occhi grigi , prima ancora delle sue parole, mi avevano fat to capire i l motivo della visi ta , perché al tre volte , sempre nelle tr is t i occasioni di incidenti in montagna, l i avevo vist i con quell’espressione part icolare, che ora mi sembrava stranamente s inistra . Come tutt i , anch’egli conosceva la mia s toria , e forse per questo motivo non r iusciva a trovare i l coraggio di guardarmi. Vi sono dei f i l i e delle trame che si perdono nel tempo, provengono da epoche, da fat t i ed enti tà immensamente remote, del le quali non sospett iamo nemmeno l’esis tenza. Questi f i l i , fatalmente, s i intersecano con la nostra vi ta , e da essa s i dipartono verso luoghi che non vedremo mai, verso l’ infini to dell’eternità . C’è qualcuno che noi non conosciamo che manovra tut to ciò, s iede ad un telaio che ci r imarrà sconosciuto, ma sa. Sa ogni cosa, sa tut to di tut t i . Forse è i l Destino. Mi avvicinai al capoguida e gl i presi le mani tra le mie, aspettando quelle parole che temevo, ma che speravo che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a dirmi. Era toccato a lui , e t remava. “forse lo abbiamo trovato, nei primi crepacci del ghiacciaio del Monte Rosa, ma è necessario che lei venga su”. La seconda prova mi s tava aspettando. L’elicottero della Guardia di Finanza si sollevò dolcemente, i l matt ino dopo, l ibrandosi verso la parete , in una giornata grigia e malinconica che lasciava presagire vaghe speranze di neve. Dall’al to vedevo com’era cambiato i l mio paese, quante cose sembravano diverse da quando, tanto tempo prima, camminavo sui prat i con mio marito. Guardando in al to mi accorgevo con soll ievo che la montagna non era ancora s tata feri ta dall’uomo, le grandi giogaie rocciose erano le s tesse di sessant’anni prima, dove mi ero arrampicata con Enrico. Era una montagna troppo potente, nessuno l’avrebbe mai addomesticata. Non mi avvicinavo al Rosa da molt i anni . Rivedere i coll i nevosi , i gendarmi e le crest ine che avevo sal i to tanto tempo prima era per me un’esperienza nuova, curiosamente gradita . Riconoscevo molt i post i in cui ero stata con mio mari to, e ciascuno mi r icordava momenti part icolari e meravigliosi del la nostra s toria . Sentivo accumularsi dentro di me emozioni che non avrei mai pensato di poter r iprovare. Non sapevo che tut to ciò era poco o nulla r ispetto a quello che i l dest ino aveva in serbo per me.

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Atterrammo sul ghiacciaio, e lentamente, passo dopo passo, i l capo Guida mi portò verso un grande crepaccio dove alcuni uomini s tavano disponendo le at trezzature per recuperare gl i a lpinist i . Ordinò loro di sospendere i l lavoro, i l t int innio dei moschettoni cessò, rendendo palpabile un si lenzio di morte . Quegli uomini mi guardavano con grande tr is tezza, e mi r ivolsero un r ispettoso saluto. All’ improvviso mi resi conto dell’estrema importanza di ciò che stava per accadere, e mi fermai, s tr ingendo i l braccio s icuro della Guida. Ciò che mi sarebbe apparso davanti agli occhi avrebbe dato un’al tra terr ibi le frustata al la mia vi ta . Sentivo i l cuore scoppiarmi nel petto , ed i l s i lenzio che r iempiva l’enorme anfi teatro in cui ci t rovavamo mi fece r icordare un si lenzio più grande, che per me era iniziato i l 28 dicembre di cinquantotto anni prima. I l capo Guida capiva, e con una pazienza ed una tenerezza che non scorderò mai at tese senza parlare, di f ianco a me, f ino a che non percepì i l piccolo segnale che feci con la mano: mi chiese di essere forte , ed insieme ci affacciammo sull’orlo del crepaccio. Fa molto freddo al matt ino a dicembre sotto la grande parete, e fa ancora più freddo quando i l ghiaccio s ta per r ivelare i l suo tremendo segreto: Enrico era l ì , imprigionato in un sarcofago di ghiaccio trasparente che l’aveva conservato giovane e bello come l’avevo visto l’ul t ima volta dalla f inestra della nostra casa, mentre s i a l lontanava, poco prima dell’alba di un lontano 27 dicembre. Dentro di me si scatenò i l più terr if icante degli uragani. Dalle zone buie della mia anima sal iva i l vento impetuoso dei r icordi , di tut t i i giorni che avevo passato con mio marito , di tut t i i giorni che avevo passato dopo che quella valanga era caduta dal canalone Marinell i . Si r iaprirono feri te che credevo di aver dimenticato, ed i l dolore indicibile della donna che ha perso i l suo uomo scoppiò per la seconda volta dentro i l mio cervello, facendomi cadere nuovamente nell’abisso dell’ul t imo precipizio dell’ inferno, dal quale, ora lo capivo bene, non ero mai uscita completamente. Stavo guardando quella che era s tata la mia fel ici tà di giovane sposa, che mi era s tata sottrat ta troppo presto e nella maniera più brutale , e che ora, con una crudeltà quasi umana, mi veniva r iproposta in un modo altret tanto insopportabile: morta. Non trovavo la forza di dire nulla . Mi senti i improvvisamente così vecchia e così s tanca da non r iuscire nemmeno a piangere. Feci un cenno di assenso, e i l capo delle Guide mi portò via. Tornavo a Macugnaga, in quella casa che ora sentivo più lontana di quando, solo poco prima, l’avevo lasciata . Oltre a tut to i l resto, a l lo sconvolgimento che avevo provato nel r ivedere mio marito, ora avrei dovuto pensare anche al funerale , e temevo di non farcela . In paese molte persone si erano radunate davanti a casa mia, a lcune vecchie Guide ed al tr i amici d’infanzia piangevano. I l capo Guida mi rest i tuì lo zaino di mio marito , miracolosamente scampato al la valanga, gl i chiesi di accendere i l fuoco nel grande camino e lo pregai di lasciarmi sola. Nel s i lenzio del la mia casa, con una sensazione che non so descrivere, i pochi oggett i e le povere cose che r i t rovavo in quello zaino erano come vecchi amici , compagni di mil le avventure che dopo tanti anni tornavano da me, ognuno per raccontarmi una bella s toria . Avrei voluto abbracciarl i uno per uno. Ma fu la cosa che estrassi dallo zaino per ul t ima che fece rabbrividire le mie ossa: una busta di te la cerata che conteneva una let tera, una let tera per me. Le mie mani tremavano nel tenerla , e per lungo tempo fui incapace di aprir la , ne avevo quasi paura. Mi l imitavo a guardarla , mentre ancora una volta aff ioravano i r icordi di lontani tempi fel ici . Alla f ine mi feci coraggio, e con un’emozione che non so dire cominciai a leggere

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Monte Rosa di Macugnaga Capanna Marinell i Giovedì 27 dicembre 1934, le ore 16

Mia dolcissima Clara, voglio scrivert i queste brevi parole perché anche qui , solo in mezzo alla grande parete, penso a te . Sei tut to quello che ho avuto nella mia vi ta , e sono sicuro che gli al tr i uomini sono davvero molto poveri in confronto a me. Ricordi quando correvamo da bambini sui prati dell’Hinderbalmo, o quando siamo andati ad Orta per i l v iaggio di nozze ? Io r icordo ogni at t imo, ogni momento passato con te con inf ini ta gioia, e sapere che anche tu mi ami accresce giorno dopo giorno la mia fel ici tà di essere i l tuo uomo. Quel poco che so l’ho imparato da te e da queste montagne che ci guardano svegliarci tut te le matt ine: due persone che si amano hanno delle grandi responsabil i tà l’una verso l’al tra, che derivano dalla necessi tà di doversi dare completamente. Essere insieme non signif ica vivere di rendita, ma vuol dire cercare questa rendita quotidianamente, usando gli s trumenti della s incerità , delle parole, del calore e dell’amore. Quando necessario del s i lenzio, come quello che c’è ora intorno a me. So che sei la donna della mia vi ta , che la responsabil i tà che t i ho aff idato non verrà mai tradita. Lo so da tantissimo tempo. I l fat to s tesso che io t i scriva questa let tera dalla grande parete può, anche se non è necessario, indicarti quanto t i amo. Devo f inire perché qui , come puoi facilmente immaginare, s i s ta facendo buio. Ti chiedo di non temere per me, sai che conosco la grande parete, le sue false lusinghe, le sue tremende minacce. Sarò prudente. Ma soprattutto devo darti questa let tera, quindi t i prometto che tornerò. A presto. Ti amo, anima mia.

Enrico

E' sera, gl i ul t imi infuocati bagliori del t ramonto si dipingono sulle pareti di casa mia, come i r if lessi dei ceppi che ardono nel camino. Fuori un’al tra parete s ta per addormentarsi , cullata dal vento che ne accarezza le creste nevose. Riesco poco a poco a capire l’ immensità e la portata degli avvenimenti di questa giornata. Li comprendo piano piano, un passo dopo l’al tro, come un’alpinista che sale , lento e solo, su una montagna al ta e diff ici le , come in fondo è questa vita che mi è s tato comandato di vivere. Da quel lontanissimo mese di dicembre io non ho mai smesso di sperare, guardando ogni giorno verso la montagna, pregandola in s i lenzio di dirmi cos’era successo. Può sembrare s trano, ma noi qui crediamo che le montagne abbiano un’anima, occorre soltanto cercarla e saper aspettare. Prima o poi s i r ivelerà, perché le montagne esis tono da sempre e saranno là quando anche l’ult imo di noi se ne sarà andato. Mi lascio circondare dai miei r icordi , e penso che molt i anni fa Enrico ha scri t to una promessa per me, su una pagina ingial l i ta dal tempo e dal freddo, ed ancora una volta è s tata una promessa che ha mantenuto: è tornato. I l segreto di quanto c’era tra noi due è racchiuso nelle semplici parole della let tera che tengo ancora tra le mani, da domani continuerà a vivere nell’universo minuscolo ma sconfinato di questa montagna che ha voluto farlo anche suo. Non mi resta più molto ormai. D’altra parte i l mio turno è s tato lungo e travagliato. Con una gioia s trana, nuova, forse un poco stanca, dalla f inestra della cucina r ivolgo i l mio grazie al la grande parete per ciò che mi ha rest i tui to , e i l mio grazie a tut t i voi per avermi permesso di raccontare questa s toria . Ormai al buio, sussurro “a presto” a l mio Enrico. Al mio re . Al mio uomo.

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3° NARRATIVA

Laura Dina Borromeo

MEMORIE DI UN ALBERO Il Vecchio Tiglio trasalì, fremendo alle carezze del vento. O, forse, ai ricordi. Velò d’ombra gli attrezzi da montagna e le offerte messe all’incanto. Poi, con immutata curiosità, osservò i Walser. Erano passati sette secoli da quando l’anziana l’aveva strappato alla sua valle per attraversare “l’antica porta” del Monte Moro e piantarlo in quella terra, affinché nessuno dimenticasse. E lui aveva affondato le radici nelle zolle con la stessa muta caparbietà delle madri, che avevano portato i bambini nelle gerle lungo interminabili mulattiere. O dei padri, che avevano incastrato pietre e tronchi di larice per costruire l’antico Dorf, il cuore di Z’Makanà. Ora non riusciva a immaginare un orizzonte diverso da quell’incredibile ghiacciaio capace di trasformarsi, al tramonto, in un immenso opale rosa posato su una parete di rocce grigie e brividi. Chinò la chioma. Poco lontano, l’antico forno sbuffò un respiro che sapeva di pane nero e violette, e la processione dei Walser si sciolse in piccoli gruppi festosi. Il Tiglio vide gli uomini muoversi col passo sicuro della gente di montagna e le donne ondeggiare con grazia il “Juppe”, un po’ più ricco e lungo di un tempo. Udì frasi e suoni mescolare Passato e Presente. E Leggende. Gli uomini soffiarono nei corni e lui frusciò in una risata nostalgica, assaporando l’assolato languore del mezzogiorno. Per un attimo gli era parso di ospitare ancora i Gotwiarghini, con i cappelli azzurri cosparsi di campanelle e i passi corti, frettolosi, che lasciavano orme al contrario nei prati. Erano stati loro a insegnare ai Walser a lavorare la lana, il legno e anche il latte. Finché un bambino, a cui non era stato insegnato a rispettare la diversità, li aveva additati una volta di troppo: gli gnomi avevano srotolato il loro gomitolo più bello tra le braccia del vento e ci si erano arrampicati per non tornare più. O quasi … Si diceva che vivessero nella miniera della Guia, cercando l’oro per i ricami delle fate. Ma lui aveva sentito il suono dei campanelli accompagnare i passi delle guide Walser e calmare i cuori, quando anche le pietre trattenevano il fiato davanti al coraggio degli uomini. Sentì una lacrima di rugiada colare lungo il tronco. La sua gente aveva sempre avuto un cuore saldo, anche in epoche buie. Come allora … In quei giorni, nella valle, la piccola età glaciale aveva riportato in basso i ghiacciai. Fuori dalla valle, si era appena concluso il Concilio di Trento. Gli inverni erano troppo lunghi, le coltivazioni gelate e le valanghe una continua minaccia per il villaggio. Gli anziani rimpiangevano la “Valle Perduta” dove la segale cresceva rigogliosa e l’erba non ingialliva mai. I giovani cercavano di sopravvivere trasportando merci attraverso i valichi alpini. Così, dai paesi d’oltralpe, arrivò la Bibbia di Lutero, e l’inquisitore domenicano Buelli iniziò quella caccia che fece dell’Ossola la “sua India”. Se lo Spettro della Peste si era fermato sulla soglia della valle, toccato dalla generosità dei suoi abitanti, il “mastino della fede” vi cercò solo il germe dell’Eresia. In fondo i Walser tenevano un coltello vicino alle culle per scacciare i folletti cattivi, emigravano spesso al di là delle Alpi in terre infettate dalla Riforma e parlavano quel dialetto aspro, perfetto per diffondere le idee sacrileghe di Lutero. L’Inquisitore era certo che avrebbe trovato il segno del Maligno. Soprattutto nelle donne: le Streghe. Il Tiglio scrollò piano le foglie. Ricordava bene la carezza delle mani che coglievano i suoi fiori per farne balsami e placare la tosse dei bambini. Di rado si era sentito così importante.

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Le guaritrici dei Walser erano anime buone. Una, in particolare. Si chiamava Landeline, un nome simile alla risata di un torrente. Era poco più di una bambina e, quel giorno, aveva paura. Aveva sentito l’acqua gocciare in casa e visto il fieno volare. La Morte era lì. Vicina. Scrutò con apprensione il volto stanco della madre e pregò che lo Spettro si allontanasse. Poi scese in paese. Trovò il cardatore appena dopo aver sentito il lamento della volpe: un taglio profondo gli apriva il braccio e il sentiero beveva il sangue lentamente. Mossa a compassione, Landeline prese le “piccole foglie di sangue” e cercò di fermare l’emorragia. Forse la Morte era disposta ad aspettare. Poi vide il prete. I suoi occhi erano fuoco e rabbia. La bocca una fessura maligna. L’uomo articolò una sola parola: Striga. Come le donne di Baceno, torturate e arse vive. Così, anche se non aveva mai danzato nei cerchi di funghi, Landeline scappò. E la Morte le andò dietro. In fondo era lì per lei. Il Tiglio sentì la ragazza implorare a lungo la protezione dell’Ammano, ma l’Inquisizione era più forte del Consiglio riunito sotto le sue fronde, e lei rimase sola. Allora l’albero chinò con dolcezza i rami per custodire il suo sonno e sentì una prima fessura aprirsi nel tronco, come se la durezza del legno stentasse a contenere l’emozione. E udì i campanelli dei Gotwiarghini. La vita tra i ghiacci li aveva resi così trasparenti che dovette frugare nelle ombre per riuscire a scovarli. Il primo era molto vecchio, coperto da un gran numero di campanelle, l’altro, giovanissimo, aveva la barba imbiancata di calce. Erano venuti ad aiutare. Chiamarono le lusariole a far chiaro e il baselesc a sorvegliare il passo, quindi condussero Landeline, fino alla cattedrale di ghiaccio del Rosa. Man mano che s’allontanava, alcuni Walser le si affiancarono. Giovani. Coraggiosi. Al lago li aspettavano le fate … e poi ... Non si seppe mai cosa fosse successo. Forse divennero parte del Piccolo Popolo o, forse, raggiunsero la tanto agognata Valle Perduta. Il Tiglio chiese di Landeline perfino alle anime dei morti riunite intorno alla Chiesa Vecchia, ma non la trovò mai. E gli anni passarono. La giovane pianta divenne un albero secolare e la valle tornò ad essere un’oasi di pace. Fino al settembre del 1943, quando arrivarono i fuggiaschi. Di giorno si nascondevano nei fienili, mangiando patate bollite. Di notte, i Walser li guidavano su sentieri che toccavano il cielo fino al passo dei loro antenati, per sottrarli alla fucilazione e ai campi nazisti. Il silenzio della valle li proteggeva e il Vecchio albero osservava trattenendo il fiato. Vide un ragazzo di neanche vent’anni lavorare nel ventre della terra a Pestarena e poi arrampicarsi come un camoscio per guidare uomini che non conosceva. Pianse con l’uomo che, dopo aver salvato più di duecento persone, fissava impotente la sua casa divenuta fuoco e cenere. E anche con l’unico che era stato preso: il torinese con i piedi congelati, che credeva di conoscere i monti. Pian piano, nella parte di lui che guardava il Rosa, si formarono lunghe ferite. Poi anche la guerra finì. Rimasero le emozioni e gli eroi di una montagna unica. Ancora oggi il Tiglio ama guardarli. Il cuore è troppo gonfio per il tronco invecchiato. Le sue cinque branche si sono aperte sotto il peso dei sentimenti, ma le radici vogliono restare salde. Sospira nel vento. È cuore e radici come il suo popolo: i Walser

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1° POESIA

Simone Censi

ENROSADIRA

Cosa mai provasti?

Avvinghiato a te stesso e agli anni tuoi

mentre chiuso per giorni restavi

con la bufera che il rifugio sconquassa

e il vento che fischia sui tiranti.

Avrai forse guardato indietro la strada percorsa

con quella sacca piena di sassi

e gli anni passati come pietre miliari

che non ti hanno reso giustizia.

Ma chi va per la montagna

ha occhi solo per la vetta …

Cielo terso del mattino,

la caliginosa aria di città e gli umani affanni

non arrivano fin quassù tra le vette innevate

che l’alba di rosa colora.

Tra sfatte rupi e ghiacciate macerie,

tra rovinosi canali e massi,

scorgevi la via maestra

tracciandola con le solitarie orme tue

che altri avrebbero seguito.

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Sotto i riflessi della luna

e un cielo trapunto di stelle,

la sottile ombra tua si erge

tra vitree cattedrali di ghiaccio.

Solo,

con il sicuro passo

di chi s’avvia per l’eternità.

Montagna amica,

che coi tempi tuoi le mortali spoglie rendi

e assurgi gli spiriti a leggenda.

In ricordo di Ettore Zapparoli

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2° POESIA

Luigi Ederle

SUI SENTIERI DEL MONTE ROSA Monte Rosa, mi nutre il tuo silenzio e mi alza nell’azzurro dove la perfezione dell’infinito mi sazia e per mano mi prende. Stanco di inutili guerre e di confuse vittorie, mi siedo sul tuo tesoro. Domani, sarai la mia preghiera. Nella mia mente secoli vestiti da angeli sono alla ricerca di Dio, non confuso, ma felice applaudo e condivido. I miei passi laggiù saranno silenziosi, non vorranno disturbare quella pace interiore che tu hai fatto fiorire in me.

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3° POESIA

Oreste Bonvicini

Senilità

Lasciando la cenere del falò spento dalla rugiada, respiri, nell’aria che sale, il profumo della camomilla, ma il frastuono dell’acqua che scorre nella forra, richiama alla memoria la pietra levigata dalle onde di fusione del ghiacciaio, che come latte, tra sassi e massi, lascerà nude le rocce al sole, alla pioggia, al gelo che risana.

Così, risalendo i pendii assolati dove si riduce l’erba sotto i passi, rammenti come le montagne, ora cullate con lo sguardo, siano la gioventù presto smarrita

e affrontando le ultime asperità comprendi perché gli anziani vanno curvi, lo sguardo a terra e le cime che un tempo risalivano, ora sono algide torri di pietra sotto cui sostano solo alcuni istanti. L’età non inganna e ride del passato, finché verrà il freddo inverno delle ossa.

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3° POESIA

Giorgio Baro

Guida alpina

Minute ampolle di colore l'arthemisia sboccia; nel vento controluce una follia di pollini l'estate breve sperde

sopra il filo scosceso di morene. Col fiato in spalla

camminiamo, controlliamo in fondo al cuore i battiti

dei nostri passi sulla traccia che saggia serpeggia tra i crepacci

- davanti abbaglia verde il ghiaccio dei seracchi,

lontana meta una candida calotta.

Chi ci precede insegue miti di creste frastagliate,

di voragini salite in solitaria, di vertigini discese

danzando sul vuoto con gli sci. Ogni volta dall'uscio del rifugio

lascia orme di pensieri, nella roccia o sulla neve

secondo il voltare di stagioni, e muto le segue nel ritorno.

Ogni volta misura quanto piccola sia l'ombra delle ali

che dalla sua schiena scivola quando primo posa il sacco

sulla cima dove infinito d'azzurro il cielo allaga.

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1° GIORNALISMO

Arianna Tomola

54 .Piemonte e Valle d'Aosta .LA STAMPALUNEDÌ 25 GENNAIO 2016

AL AO AT BI CN NO VB VC

Quando le miniere di Macugnagadonavano un chilo d’oro al giorno

I ricordi di Iacchini, ultimo minatore del Monte Rosa

ARIANNA TOMOLAMACUGNAGA (VERBANIA)

Personaggio

A lla miniera di Pestare-na quando il lavoroera a pieno regime

trovavamo un chilo di oro algiorno, a volte due». AngeloIacchini è rimasto l’unico, quia Macugnaga, paese walseralle pendici del Monte Rosa,a poter ancora raccontare lavita del minatore.

Dal Settecento al Dopo-guerra la valle Anzasca è sta-ta «il giacimento aurifero piùimportante d’Europa, dandolavoro a settemila-ottomilaminatori provenienti da tuttaItalia» come ricorda Riccar-do Bossone, proprietario diuna delle miniere, quella«della Guia», attiva fino al1945 e oggi aperta alle visite.

Il «debutto» a 14 anniIacchini, classe 1927, ha ini-ziato a lavorare a Pestarena a14 anni. Ma i ferri da mina e leperforatrici ad aria compres-sa non li ha utilizzati a lungo.Anche per questo ha scam-pato la silicosi, malattia pro-fessionale prodotta dalle pol-veri di quarzo «per cui - dice -ho visto ragazzi spacciati insei mesi». Più che a scavare,era addetto a macinazione edestrazione. «A Macugnaganon c’è oro nativo, va estrat-to da altri minerali. L’oro avolte non è visibile nemmenoal microscopio, solo mercu-rio e cianuro riescono a cap-tarlo - racconta -: così si sca-vava in miniera per trovare ifiloni auriferi che venivanosminuzzati con i molinetti eattraverso un bagno di mer-curio o cianuro si otteneval’amalgama, da cui col caloresi ricavava il metallo puro».

«L’oro veniva venduto a1.200 lire al grammo al com-mercio internazionale, la no-stra giornata era invece paga-ta 200 lire - ricorda -, cosìognuno quando usciva dallaminiera si portava a casa il suosacchetto per arrotondare».

L’attività parallelaPoi questa attività parallela fuscoperta: «Avremmo potuto fi-nire in prigione - ammette Iac-chini -. La polizia non ci feceniente, se non distruggere tut-ti i molinetti. E ovviamentenessuno di noi fiatò. Ma nes-sun minatore si era arricchitocon quel sistema, serviva soloper assicurare la zuppa quoti-diana a tutta la famiglia».

La miniera di Pestarena ful’ultima a chiudere, nel 1961.«Su 10 kg di materiale si trova-va un grammo d’oro con cui sipagava un mese di lavoro a unoperaio, adesso con un gram-mo si pagano due ore: è questoil motivo dello stop» spiegaBossone. «Estrarre l’oro nonconviene più» chiosa Iacchini,che è presidente onorario deiFigli della miniera, vive a pochipassi dalla «Guia» tra le fotodel nonno salito sull’Aconca-gua, i pomeriggi davanti la te-levisione e quasi un secolo dicambiamenti da raccontare.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

La risorsa della valle AnzascaMacugnaga è arrivata ad avere ottanta miniere d’oro

Angelo Iacchini lavorava nella galleria di PestarenaA sinistra la miniera della Guia, l’unica aperta al pubblico

STUDIO RDS

L’IMPRESA QUESTA SETTIMANA CON IL LIGURE MARCELLO SANGUINETI

“La nostra sfida è sulle Highlands”Il biellese Cavalli, accademico del Cai, ospite al meeting degli scalatori top nel mondo

Gianluca Cavalli, è un nomenoto agli sportivi. Istruttoredella scuola nazionale di alpi-nismo Guido Macchetto delCai di Biella, e accademicodello stesso club, è stato pro-tagonista di diverse avventu-re in giro per il mondo allacontinua ricerca di nuove sfi-de. Archiviata da pochi mesila spedizione in Kirghizistanpromossa dalla sezione citta-dina del Cai, Cavalli già ripar-tito per una nuova sfida.

La metaQuesta volta saranno le High-lands scozzesi ad accoglierlo.E insieme a lui ci sarà ancheMarcello Sanguineti, mate-matico ligure, a sua volta ac-cademico e fidato compagnodi cordata che ha condiviso lamissione tra le nevi e ghiacciperenni dell’ex Unione sovie-tica con Cavalli.

I due sportivi sono gli unicialpinisti italiani invitatiall'edizione 2016 del Bmc In-ternational Winter Meet, cheogni gennaio richiama in Sco-zia i più bravi scalatori delmondo. Il Bmc è infatti unmomento di incontro al qualesi partecipa su invito. In Italiail referente per individuare icandidati migliori è il Club al-pino Accademico che forni-sce i nomi all’organizzazione.

Se per Sanguineti le paretiscozzesi a picco sul mare, bat-tute dal gelo e dalle onde che sitrasformano in ghiaccio, nonsono una novità - aveva già par-tecipato allo stesso meetingnel 2012 - lo sarà per Cavalli.

«Ci attende una settimanaentusiasmante - spiega il biel-lese - Mi sono ovviamente do-cumentato e da quello che ho

letto sulle relazioni di chi è giàstato nelle Highlands gli ingre-dienti perché sia un'esperien-za indimenticabile ci sono tut-ti. Credo che uno degli aspettipiù interessanti sia potersi confrontare su un terreno par-ticolarmente affascinante conscalatori provenienti da ogni parte del mondo. Lo scorso an-no i partecipanti erano 40 e ve-

nivano da 27 diverse nazioni».«A Gianluca e a Marcello in-

viamo un grande in bocca al lu-po per questa sfida che li atten-de. Siamo davvero onorati cheun nostro istruttore possaprendere a parte a un eventocosì importante» queste le pa-role di Gianni Caiolotto a nomedella scuola Guido Machetto.

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ANDREA FORMAGNANABIELLA

In ScoziaLe Highlands un’area scarsamente popolata, sono dominate da numerose catene montuose

CavalliÈ istruttore della scuola d’alpinismodel Cai Biella

SanguinetiMatematico liguree accademicodel Cai

MeetingIl Bmc International Winter Meet ogni gennaio richiama in Scozia i più bravi scalatori di tutto il mondo

STUDIO RDS

In breveVercelliIl riso con la gemmaalla conquista di Eataly

nUn chicco che mantienela sua «gemma», parte vitalericca vitamine ed elementinutrizionali molto importan-ti per la salute dell’uomo.GliAironi, azienda vercellesedi Lignana, lo propone da og-gi in tutti i suoi prodotti. Lanovità 2016 sarà presentataquesta sera a Eataly Torinodalle 19,30, al Master del ri-sotto; toccherà a Paola Nag-gi, del ristorante Impero diNovara, utilizzarlo in diversericette. I cuochi saranno aiu-tati dai ragazzi della coopera-tiva «Quelli del Sabato», diBellinzago Novarese, cheopera a favore di giovani di-versamente abili. [R. MAG]

CourmayeurNotte di chiusuraal Traforo del Bianco

nLa circolazione nel Tra-foro del Monte Bianco, checollega l’Italia alla Francia,sarà interrotta nei due sensidurante la notte tra oggi edomani. Lo stop entrerà invigore alle 22 di stasera e lacircolazione riprenderà alle6 di domattina per permette-re la realizzazione di lavori dimanutenzione. La società digestione raccomanda gliutenti di prendere le neces-sarie informazioni sulle con-dizioni di agibilità del traforo(Radio Fm 103.3, www.tun-nelmb.com oppure telefona-re al numero 0165/ 890411.

VerbaniaConcorso letterariodedicato alle donnenScade il 31 gennaio il ter-mine per partecipare al pre-mio letterario «Verbania forWomen» che ha come sog-getto l’universo femminile datrattare con un racconto da20 a 30 mila battute. L’iscri-zione al concorso costa 10 eu-ro (gratuita per gli studenti).Il regolamento è sul sito delComune di Verbania. Sonoprevisti premi per i primi treclassificati; c’è anche un rico-noscimento dedicato alla me-moria della giornalista Patri-zia Guglielmi. [F. RU.]

VerbaniaSono in scadenzale carte dei parchegginLa carta dei parcheggi,documento rilasciato a chi hasottoscritto abbonamentiannuali validi per gli spazicomunali a Verbania, può es-sere utilizzata fino al 31 gen-naio. Dal 1° febbraio, infatti,saranno in funzione i nuoviparcometri che avranno mo-dalità di utilizzo diverse ri-spetto al sistema preceden-te. Sarà previsto anche l’usodella carta di credito. [F. RU.]

di lotte della Resistenza chenel 1944 portarono alla Repub-blica dei 40 giorni. Ma non tut-ti i minatori la conobbero, anzi.

L’esenzione dalla leva«Quando arrivò la cartolina dileva per i classe 1923, ‘24 e ‘25,per evitarla in tanti scapparo-no sulle montagne con i parti-giani lasciando il lavoro - svelaIacchini -. L’ingegner RenéBruck, dirigente a Pestarena,si accordò con i fascisti peresentare i minatori dalla leva ecosì salvò tante vite». Per arro-tondare lo stipendio ogni fami-glia si era costruita abusiva-mente un molinetto perestrarre l’oro sfruttando le ac-que del torrente Anza.

Negli anni di lavoro a Pesta-rena Iacchini viveva a Quaraz-za, nell’omonima valle che nel1951 fu sommersa quasi total-mente dall’invaso artificiale chiamato lago delle Fate.

Tempi duri, mancava tutto«Eravamo quattro famiglie,erano anni duri. Per mandarcivia ci diedero quattro soldi euna pedata - racconta -. Nonavevamo nulla, nemmeno il sa-le. Al sabato quando non si la-vorava scendevo a valle allostabilimento chimico Rumian-ca a Pieve Vergonte con chili diburro che scambiavo con ildoppio del sale». Il sale in ec-cesso si barattava a sua voltacon farina. L’Ossola fu teatro

Fotogallery e video-intervistawww.lastampa.it/vco

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2° GIORNALISMO

Gianpaolo Fabbri

“Incanto del Rosa con poca fatica" pubblicato su Eco Risveglio del 28/01/2016 - Sezione "Tutto & Dove"

PREMESSA. Questa escursione in famiglia, al di fuori del gruppo consueto di amici che cammina di giovedì, è un suggerimento per chi non ha molto tempo per allenarsi. Si percorrono mulattiere e sentieri ben segnati al cospetto della più maestosa cattedrale delle Alpi, la Est del Rosa. Si rivivono anche due tragiche vicende della Resistenza.

GITA N. 71 ALPE MECCIA 31 ottobre 2015

Dislivello totale: 550 m. Tempo totale: 2 h 15'.

Giornata stupenda. Le nubi oggi sono più rare dei goal della Juve ad inizio campionato. Siamo solo in due e c'è Asia. In orario umano (le 10.00!) parcheggiamo a Pecetto in prossimità del Centro Sportivo, quota 1365, a destra della provinciale. La bellissima mulattiera sale con pendenza regolare, a prova di mulo, e diventa, più in alto, sentiero ben segnato. Ci porta in 45' a sfiorare l'Alpe Bill, 1663, sulla sinistra, ed a raggiungere la stazione intermedia della funivia del Monte Moro, 1700. Saliamo di poco verso il passo e deviamo a destra, imboccando il sentiero “Mario Lanti”. Mio padre, medico condotto in valle durante la guerra, mi aveva raccontato di essere stato chiamato al cimitero per constatare la morte di questo ragazzo, freddato da partigiani, o presunti tali, per un'accusa mai provata, dopo che l'avevano fatto inginocchiare su una tomba. Da quota 1800 perdiamo circa 50 metri, sempre diretti a est, e attraversiamo il torrente che, da bambino, mi avevano insegnato a chiamare Tiestubach. Questo confluisce nell'Anza all'altezza di Isella. Dopo il guado risaliamo rapidamente all'Alpe Meccia, 1807 (30'). Sostiamo in prossimità del monumento che ricorda la strage nazifascista del 22 ottobre 1944. Qui furono sorpresi ed uccisi dieci partigiani delle Brigate Garibaldi. Fra di loro anche una donna incinta che, insieme al marito ed al cognato, aveva dovuto rinunciare a valicare il Monte Moro a causa del suo stato. La lapide che li ricorda, rivolta verso la grande parete, accresce la commozione e rende ancor più inconcepibile un simile odio fra esseri umani, purtroppo ancora non estinto. Dopo una lunga contemplazione del paradiso che ci sta intorno, torniamo sui nostri passi fino al bivio che si trova subito dopo il guado del Tiestubach. Qui scendiamo a sinistra lungo il sentiero Giovanni Spagnolli, inaugurato l'8 agosto 2014. Spagnolli, morto nel 1984, fu Presidente del Senato e del Club Alpino Italiano e frequentò Macugnaga negli anni '70. In 45' siamo a Staffa, nella parte più bella e, forse, meno conosciuta, in prossimità di Villa Gina e di altre belle case immerse nel verde. Passeggiare tranquillamente con mio figlio nel paese di mia mamma in una splendida giornata d'autunno, esaltata dai colori che avevano ispirato i quadri di mio nonno, mi fa sentire bene. Sono a casa. Non abbiamo fretta, non siamo immersi nella folla dell'Expo, magari in coda al padiglione del Giappone. Qui la folla non c'è mai, tanto meno oggi. Un po' di gente in più non farebbe male, ma non troppa. Se la gente girasse per Macugnaga e per i suoi monti, come noi oggi, non se ne andrebbe più. Ma basta sognare! Incrociamo la provinciale poco a valle della piazza, dove sono in corso i lavori di ristrutturazione, e risaliamo in 15' al parcheggio di Pecetto, passando in prossimità del tiglio secolare e della Chiesa Vecchia con il suo piccolo cimitero. E' quasi impossibile abbassare la testa di fronte alla parete più alta delle Alpi.

Page 20: DUFOUR - Macugnaga, Monte RosaDecidiamo comunque dopo, senza problemi, non ti preoccupare”. Il tono era di chiusura per cui non insistetti. Forse il mio ingombro di 1,90 per quasi

3° Concorso letterario Internazionale “Macugnaga e il Monte Rosa – Montagna del popolo Walser, 2017

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1° POESIA IN TITSCH

Valerio Cantamessi

Wenn ïch de sellti stärbä

Lach-mi am Abändstärnä, am Wïnn vam Lengizit. Kchei Traa, änkchein Lantärnä, äbä, vergiss-mi nit Se morirò Lasciami alla Stella della Sera, al Vento della Solitudine. Nessuna lacrima, né lanterne solo, non dimenticarmi

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3° Concorso letterario Internazionale “Macugnaga e il Monte Rosa – Montagna del popolo Walser, 2017

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I partecipanti al 3° Concorso Letterario Internazionale "Macugnaga e il Monte Rosa - Montagna del Popolo Walser"- 2017- dedicato alla memoria del prof. Luigi Zanzi (1938 -2015), eminente studioso dei Walser, sono stati 52, provenienti da 8 regioni italiane e dall'Argentina, con 66 elaborati. Con il patrocinio della Fondazione Maria Giussani Bernasconi, della Fondazione Enrico Monti, del Comune di Macugnaga e del museo Alts Walserhüüs Van Zer Burfuggu Si ringraziano gli sponsor per i premi (Residence Hotel Cima Jazzi, Hotel Dream, Hotel Dufour, Hotel Signal e Funivie di Macugnaga) e il Comitato della Comunità Walser di Macugnaga che ha concesso lo spazio in Kongresshaus per la cerimonia della premiazione. Ufficio Linguistico Sportello Walser Macugnaga - Daniela Valsesia c/o Museo Alts Walserhüüs Van Zer Burfuggu Centro Abitato Borca, 263 - 28876 Macugnaga (VB) [email protected] www.walser.it

Immagine di copertina: “destinazioneparadiso”, 9 aprile 2016 (D. V.)