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Due I giorni del sole fermo Liliana Zinetti

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Liliana Zinetti

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DueI giorni del sole fermo

Liliana Zinetti

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DueI giorni del sole fermo

Liliana Zinetti

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Prima edizione: aprile 2009

Ebook © Clepsydra Edizioni

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Dove dirigo il mio spavento per non spaventare chi amo? Antonella Anedda

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Il sogno è stato credere ai sensiche volevamo infiniti. Non amore, ma una funestretta nella carne, dopo quel cercarsidei corpi tra le foglie e il cielo, il limitedove ti lascio e con il sanguedi un patto crudelescrivo sui murila stagione che c’era il mare.E’ finiredi chiodi, respiro intrappolato nel vetro,la matita spezzata dopo l’apnea e la penaquesto amore che non ha ali, ma branchiee un amo conficcato nella gola.

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I

Erano i giorni della pioggia, poesie che leggevi per tenere le foglie sui rami, per non sentirti inascoltata quando il mare scendeva le scale e ti arrestava al primo gradino, per un pianto che non veniva agli occhi. La sera i coltelli parlavano nell’astuccio del cassetto e nei libri le fiabe restavano mute, come qualcosa che non era mai stato detto. Nei cortili che erano stati con i fiori roteavano gli occhi degli alberi, era tutto il peso caduto sugli anni, sull’ago impazzito della bilancia come un vento impossibile. Se piangi ora è per errore, mai per quanto è passato scavandoti, per la mano immobile sulla maniglia.

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II

Specchio, hai veduto i segni, i lineamenti del dolore. Ora sono in te, ora una trama fittissima di crepe muove lenta verso la radice.

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III

Penso a un cielo sparso, leggero. Venivi con l’erba, sottile, con i calzoncini rossi e le viole. Niente è durevole, niente sa rimanere. Scivolavi al fondo dei colori senza nemmeno un bene piccolo nel pugno. Venivano nubi come macchine da guerra, feroci. Quando il dolore chiedeva l’assurda rima con amore le linee andavano con il paesaggio e i nomi tra le pareti senza gioia di una casa. Casa che si faceva riva, sponda innervata nella brina delle foglie. A volte gli occhi erano un inverno sbalordito, il freddo. Le notti della neve, tutto il silenzio del bianco che chiudeva le porte.

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IV

Poi erano gli sguardi e le parole taciute che entravano nel disfarsi delle sere, era un fuoco d’orizzonti nel rogo di settembre, uno stare troppo vicino alle cose; che perdevi il sorriso, il peso, la voce, che andavi via con una tristezza tanto buia senza voltarti, in uno schianto di nuvole, nell’improvviso del freddo.

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V

Si affollavano solitudini, l’incompiuto cercava in ogni dove il nome, nel sottrarsi dei gesti, nel ripiegarsi delle cose, tra campi di girasoli inondati dall’ombra e stelle incendiate nelle sere. Tra i soffitti alti e le finestre opache di Ville Turro disabitavamo i giorni, i nomi non ti contenevano. Accadeva ed era la muta indifferenza della vita, la solitudine di chi sta con la notte e nessuno. Rimaneva una casa dismessa dalla luce, il niente disperato della vita quando tace.

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VI

Una panchina tra i tigli, un’età saggia e nessun metafisico azzurro. Magari la pioggia, le nuvole che passano, l’acqua sul viso. Il pane buono dei giorni. Come qualcuno che ha visto tanto e sogna un quartetto d’archi nel tramonto, una viola nella neve. Stare come una pietra quieta.

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E’ per definire che ti guardo?Ho bruciato un alfabeto calmoper indagare la tristezza, colto la frenesia delle sillabe e il disordinedi una casa brancolante(per tutta una vita la fronteal muro di una porta )ma sono rimasta senza nomi,con solo mani ferme nel ricordoe tutto il buio raccolto del mio ventree l’urto inarrestabile del sanguesiepe altissima di pettirossiclamore trattenuto nella cautela di parole foglie,senza attesa.“Verrò con la neve e i girasoli”sorridi nell’andartene incompiutain un giorno qualunque di una persa vita.

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Ci sono stati giorni con la neve sui tulipania folate la polvere negli occhi e sui fioritempo dove qualcosa batteva senza fiato.Un graffiare di bestia ai vetri.Abbiamo spezzato il panee bevuto fino all’ultima gocciala quieta disperazione dei morti.Conficcati nelle manii vetri dell’aria erano grida.

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Tutto il pane del mondo

Era per il confine, per la pioggia. Soffriva anche la luce,incrinata nell’obliquo raggio di gennaio.Il grano e l’acqua, l’oro lontanodell’estate - un’isola scossa dai venti. Dicevi gelo-neveper coperte e tazze di latte, mentreroteavano bianchelune d’inverno, rami, tam tamdi tamburi alle pareti.Misuravi le distanzerabbrividendo pianotra l’inverno e l’urlo.Dicevi buio-notteper pane e zucchero, di schiantocrollava la lancetta dell’ora,il buio freddo sulla nucasull’acqua delle dita.Batteva fissa l’ora a nord di ogni cosa, chiedevala rivolta del sangue, il segno, l’assoluzione.

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C’è un vento che scuote lamiere, mugghiacome un toro irato. Lei conosce lo iato, leisepara un tempo da un tempo(ma mischia il grano al loglio, il sano all’infetto)alza inferriate, uncini di vetro

sfarina la penamangiatene tutti, questo è il mio corpo

la liturgia del pane, corpo consunto per tornare

a quando erano gli occhi stellecon ancora un cielo

Lei attraversa l’ariae si fa attraversare

da becchi di uccelli furenti

e vuole il cielo e vuole il mare

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l’assoluto azzurro, lei fatadi sortilegi e marzapanelei strega di furori e tempesta

di un corpo sacrificale.

(I viali trasportano lo strazio fin dentro gli alberi, la curva inaspettata con i fiori, coseche pensammo immutabili, andatecome sillabe finite prima del dire: la bocca murata del dolore)

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D'amore non esistono peccati,s'infuriava un poeta ai tardi anni,

esistono soltanto peccati contro l'amoreE questi no, non li perdoneranno.

Vittorio Sereni

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Mi chiede ragione della pioggia:una vita da schifo dicela borsa in spalla, la valigettacon il computer, escesbattendo tutte le portesu cui lungamente ho tenuto ferma la fronteascoltandola respirare nel grido di tutte le domande, è già in strada,fuori dalle ipotesi che non conoscodal rischio della speranza che mi impongodalla colpa di essere quella che sono:

per me hai dischiuso orizzonti senza un indizio di strada

delitto e pena si fondono, confondono,affondano. Le notti del sole fermol’acqua che ti teneva, inattraversata.

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Tutti i diritti dei testi riservati all’autoreCopertina © Anila Resuli

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