DROGHE DIRITTI IN QUESTO NUMERO Riduzione del danno ... · Di ritorno in aereo dalla Spagna sono...

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FUORI LUOGO DROGHE & DIRITTI NUOVA SERIE ANNO 6 NUMERO 2 SUPPLEMENTO MENSILE DE IL MANIFESTO 27 FEBBRAIO 2004 IN EDICOLA L’ULTIMO VENERDÌ DEL MESE Siamo solo all’inizio di una campagna lunga e difficile, eppure in tanti – sicuramente più di 15.000 – sono scesi in piazza a Roma il 21 febbraio per dire no al disegno di legge Fini sulle droghe. Ce lo racconta Cecilia D’Elia, mentre Edo Polidori e Henri Margaron analizzano alcuni punti della legge relativi al bando delle droghe leggere e al trattamento. In- tanto, in tutto il mondo, si moltiplicano le occasioni per discutere di droghe. Una di queste è stata il World Social Forum in India – ne parla Anna Pizzo ma di droghe si è discusso anche a Bruxelles, dove in un convegno il vice- premier ceco Petr Mares ha illustrato la decisione del suo governo di av- viare una politica pragmatica sulle droghe. E a Berna si parlerà di marijua- na durante il Cannatrade, come scrive Enrico Fletzer. Riduzione del danno: realizzato a Torino uno studio sulla praticabilità sociale delle “stanze del consumo”. Ce ne parla Susanna Ronconi. Il paginone centrale è dedicato questo mese ai consumi di cocai- na. Consumi “al plurale”, come spiega Claudio Cippitelli. Con un interven- to di Luigi Manconi e Andrea Boraschi. Negli Usa, un libro spiega come scienziati e operatori abbiano contribuito a confinare il “tossico” in una sfera di alienazione. La recensione è di Giorgio Bignami . Segnaliamo poi la seconda parte dell’articolo di Rodney Skager sulla prevenzione. Infine, Patrizio Gonnella illustra due proposte di legge, sull’introduzione del reato di tortura e sul difensore dei detenuti, mentre Sergio Segio lancia ancora una volta l’allarme sui detenuti “morti di carcere”. IN QUESTO NUMERO fuori luogo .it Accuse onorevoli Tale Totaro, consigliere regionale di An in Toscana, ha accusato la Regio- ne e il Comune di Firenze di propa- gandare l’uso di stupefacenti attraver- so i siti istituzionali. La “propaganda” consisterebbe nel diffondere informa- zioni sul come farsi meno male con le droghe. Il Presidente Martini e il Sindaco Domenici sono accusati in realtà di disertare la guerra alla dro- ga, preferendo difendere la salute dei cittadini. C’è ancora un’altra accusa alla Regione, quella di ospitare sul suo sito un link a fuoriluogo.it. L’as- sessore Carla Guidi ha replicato che si tratta del sito di un mensile che si batte per ridurre il danno e l’area di il- legalità delle droghe, da cui si arriva dalle pagine del Centro di Documen- tazione Cultura Legalità Democratica. Grazie! I FINI DI URIBE Al recente incontro col presidente colombiano, Alvaro Uribe, Silvio Berlusconi non si è presentato, preferendo il salotto di Porta a Porta. Si tratta dell’irresistibile appeal di Bruno Vespa, o il nostro pre- mier preferisce lasciare il lavoro sporco ad altri? Sta di fatto che l’11 febbraio Alvaro Uribe è stato ri- cevuto dal vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini. Per rispolverare la memoria: Uribe è il per- sonaggio che ha dirottato i miliardi di dollari del Plan Colombia, fiore all’occhiello della war on drugs americana, contro la guerriglia e l’opposizione interna al suo regime dittatoriale. E che da tempo in- voca l’amico Bush perché gli mandi di rincalzo un po’ dei suoi soldati impegnati in Iraq. Il bilancio della “sua” guerra parla da sé: 72 sindacalisti uccisi negli ultimi mesi (e non dalle Farc), più di tre- mila morti l’anno, due milioni di persone costrette a lasciare la propria terra, migliaia di ettari avve- lenati dalle fumigazioni coi pesticidi. Pare che il leader di An, che non è ancora riuscito a depositare la sua proposta proibizionista in Parlamento, si sia eccitato nello stringere la mano di questo cam- pione della guerra alla droga, quella vera. Come si dice, va dove ti porta il cuore...

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FUO

RIL

UOG

ODROGHE&DIRITTI

NUOVA SERIEANNO 6

NUMERO 2SUPPLEMENTO

MENSILEDE

IL MANIFESTO

27FEBBRAIO2004IN EDICOLAL’ULTIMO VENERDÌDEL MESE

Siamo solo all’inizio di una campagna lunga edifficile, eppure in tanti – sicuramente più di15.000 – sono scesi in piazza a Roma il 21 febbraio per dire no al disegno di legge Fini sulle droghe. Ce lo racconta Cecilia D’Elia, mentre Edo Polidori e Henri Margaron analizzano alcunipunti della legge relativi al bando delle droghe leggere e al trattamento. In-tanto, in tutto il mondo, si moltiplicano le occasioni per discutere di droghe.Una di queste è stata il World Social Forum in India – ne parla Anna Pizzo –ma di droghe si è discusso anche a Bruxelles, dove in un convegno il vice-premier ceco Petr Mares ha illustrato la decisione del suo governo di av-viare una politica pragmatica sulle droghe. E a Berna si parlerà di marijua-na durante il Cannatrade, come scrive Enrico Fletzer.

Riduzione del danno: realizzato a Torinouno studio sulla praticabilità sociale delle“stanze del consumo”. Ce ne parla Susanna

Ronconi. Il paginone centrale è dedicato questo mese ai consumi di cocai-na. Consumi “al plurale”, come spiega Claudio Cippitelli. Con un interven-to di Luigi Manconi e Andrea Boraschi. Negli Usa, un libro spiega come scienziati e operatori abbiano contribuito aconfinare il “tossico” in una sfera di alienazione. La recensione è di GiorgioBignami. Segnaliamo poi la seconda parte dell’articolo di Rodney Skagersulla prevenzione. Infine, Patrizio Gonnella illustra due proposte di legge,sull’introduzione del reato di tortura e sul difensore dei detenuti, mentre Sergio Segio lancia ancora una volta l’allarme sui detenuti “morti di carcere”.

IN QUESTO NUMERO

fuoriluogo.itAccuse onorevoliTale Totaro, consigliere regionale diAn in Toscana, ha accusato la Regio-ne e il Comune di Firenze di propa-gandare l’uso di stupefacenti attraver-so i siti istituzionali. La “propaganda”consisterebbe nel diffondere informa-zioni sul come farsi meno male conle droghe. Il Presidente Martini e ilSindaco Domenici sono accusati inrealtà di disertare la guerra alla dro-ga, preferendo difendere la salute deicittadini. C’è ancora un’altra accusaalla Regione, quella di ospitare sulsuo sito un link a fuoriluogo.it. L’as-sessore Carla Guidi ha replicato chesi tratta del sito di un mensile che sibatte per ridurre il danno e l’area di il-legalità delle droghe, da cui si arrivadalle pagine del Centro di Documen-tazione Cultura Legalità Democratica.Grazie!

I FINI DI URIBEAl recente incontro col presidente colombiano, Alvaro Uribe, Silvio Berlusconi non si è presentato,

preferendo il salotto di Porta a Porta. Si tratta dell’irresistibile appeal di Bruno Vespa, o il nostro pre-

mier preferisce lasciare il lavoro sporco ad altri? Sta di fatto che l’11 febbraio Alvaro Uribe è stato ri-

cevuto dal vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini. Per rispolverare la memoria: Uribe è il per-

sonaggio che ha dirottato i miliardi di dollari del Plan Colombia, fiore all’occhiello della war on drugs

americana, contro la guerriglia e l’opposizione interna al suo regime dittatoriale. E che da tempo in-

voca l’amico Bush perché gli mandi di rincalzo un po’ dei suoi soldati impegnati in Iraq. Il bilancio

della “sua” guerra parla da sé: 72 sindacalisti uccisi negli ultimi mesi (e non dalle Farc), più di tre-

mila morti l’anno, due milioni di persone costrette a lasciare la propria terra, migliaia di ettari avve-

lenati dalle fumigazioni coi pesticidi. Pare che il leader di An, che non è ancora riuscito a depositare

la sua proposta proibizionista in Parlamento, si sia eccitato nello stringere la mano di questo cam-

pione della guerra alla droga, quella vera. Come si dice, va dove ti porta il cuore...

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Le lettere vanno indirizzate a:redazione fuoriluogo c/o il manifestovia Tomacelli, 146 – 00186 Romafax 0668841224e-mail: [email protected] Supplemento mensile

de il manifesto27 febbraio 2004FUORILUOGOLETTERE

UN APPUNTAMENTO FISSOAgli Amici di FuoriluogoDa anni l’ultimo venerdì del mese èdiventato per molti di noi un appun-tamento fisso anche per chi quoti-dianamente non compra il manife-sto. Fuoriluogo è l’unico giornaleche parla di “droghe” fuori dai dentie più volte ha dato anche a noi lapossibilità di divulgare senza pelisulla lingua e senza restrizioni le no-stre idee. Ora purtroppo Fuoriluogorischia di chiudere, con grande sod-disfazione di chi da tempo aspetta-va che questa voce libera e indipen-dente venisse messa a tacere. Quia Napoli c’è un piccolo – ma ag-guerrito – gruppo di persone chevuole farvi sapere che vi è vicino mo-ralmente ma che, soprattutto, cer-cherà di sostenervi materialmente,affinché l’avventura di Fuoriluogopossa continuare. Auguri di tuttocuore.Clara Baldassarre, Marina Siconolfi,Tommaso Pagano, Ludovico Verde,

Annamaria Santonicola – Napoli

PICCOLO CONTRIBUTOSono una giovane comunista di 12anni, con alcuni amici e parenti hodeciso di mandare un piccolo contri-buto per sostenere la pubblicazionedi Fuoriluogo. Auguri!

Patrizia F. e amici

UNA BATTAGLIA CHE CI UNISCESi può essere d’accordo, ma non sututto? Si può in nome di questo es-sere presenti, ma non su tutto? Avolte facciamo più attenzione ai “di-stinguo” e su questo rischiamo di di-ventare indifferenti a ciò che unisce.Le radici ed i percorsi possono es-sere diversi, la battaglia è la stessa.Promuovere rispetto, tolleranza,comprensione, conoscenza. Se ungiornale come Fuoriluogo chiude for-se, in ognuno di noi, qualcosa si stachiudendo. Sarà, comunque la pen-siamo, una parte che mancherà.«Quello che faccio è solo una goccia

nell’oceano ma se non lo facessi al-l’oceano mancherebbe qualcosa,anche se solo una goccia (Madre Te-resa di Calcutta)».

Edo Polidori - Faenza

PROFESSIONALITÀ DA DIFENDERESalve, mi chiamo Daniele e ho com-messo l’errore più grosso della miavita. Di ritorno in aereo dalla Spagnasono stato trovato in possesso di1,1 grammi di hashish e li ho con-segnati spontaneamente dopo cheil cane-poliziotto aveva fiutato qual-cosa. Non mi era mai capitato nien-te di simile prima d’ora perché, difatto, non sono un tossico incallito,tutt’altro. Mi sono da poco iscrittoall’Albo dei Farmacisti (sono laurea-to e abilitato all’esercizio della pro-fessione) e vorrei sapere se la san-zione amministrativa che dovròscontare può avere qualche riper-

cussione sulla mia attività profes-sionale.Sono nel panico. Per una ragazzatarischio di compromettere il mio fu-turo. Fatemi sapere al più prestoqualcosa, per favore...! Tantissimi complimenti per il vostrosito internet,

Daniele

UN MIO PENSIEROStiamo tornando nell’era del proibi-zionismo, della mancanza di libertà,la voglia dei potenti di schiacciare ipiù deboli. Ci stanno togliendo, pia-no piano che il tempo passa, sem-pre di più, quell’aria che si chiama li-bertà e senza di quella io non riescoa sopravvivere (come tutti del re-sto). La proposta di legge di quel«beato» di Fini, non può essere piùsbagliata, non solo perché nessunoè libero di decidere della propria vita(sempre rispettando quella degli al-tri si intende), ma perché non risol-ve il problema e non aiuta a cancel-lare il problema della droga.C’è bisogno di educare le personeprima di sbatterle in galera o in qual-che comunità di recupero, bisognafar capire ciò che fa bene e ciò chefa male, senza prendere posizioneassurde e incomprensibili.Chiudo con un pensiero rivolto al“beato” Fini: è ora di smetterla di di-re cazzate...

Lettera firmata

MIO FIGLIO CONSUMATORECari compagniSono proprio confuso e vorrei chequalcuno mi illuminasse. Vorrei chequalcuno mi spiegasse cosa non hocolto. Ho scoperto mio figlio quindi-cenne consumatore di canne. Con-fesso d’aver provato un gran dolore,non per la trasgressione tipica diquesta età, ma per non esser statoin grado di insegnargli un senso cri-tico ed una sensibilità etica, per po-

ter capire che ciò che sta facendonon è sullo stesso piano del ricorre-re a una buona birra, a un bicchier divino o a una grigliata.Stare insieme è stare insieme, pun-to, con le proprie attività celebrali efisiche, ognuno con le proprie diver-sità. E basta con le banalità: fa peg-gio l’alcol, il fumo, l’auto, la moto, ilpeperoncino. Stiamo discutendo diciò che fa meno male, vi rendeteconto? Ultimamente cerco di legge-re e documentarmi su questo argo-mento, secondo me prioritario, maahimé non trovo traccia del mio pen-siero. Per questo mi rivolgo a voi coni quali penso e spero di aver alcuneaffinità. Mio figlio deve essere libe-ro anche di fumarsi una canna, sesceglie questo. Mio figlio non è piùlibero nel momento in cui entra incontraddizione con ciò che crede difare e di essere. Non ci si può riem-pire la bocca di concetti rivoluziona-ri, voler cambiare il mondo, comeabbiamo fatto anche noi molto tem-po fa. Non si può decidere di non ac-

quistare prodotti come una notamarca di scarpe ginniche per motiviben noti, dichiararsi “no global” epoi fumare uno spinello che primad’arrivare alle proprie labbra, ha ali-mentato grandi poteri, il narcotraffi-co, la mafia, lo sfruttamento dei mi-nori, la prostituzione. Si è forse com-plici in quel momento?Non è una questione di illegalità, miocaro Fini. Va solo spiegato ai nostri fi-gli che lo stare bene non va cercato atutti i costi e con qualsiasi mezzo,poiché limitiamo la libertà degli altri.Ognuno deve fare le proprie scelte li-beramente. Ma educhiamo questi ra-gazzi alla capacità di scelta. Si puòanche in libertà pagare una prostitu-ta schiava albanese per star benedieci minuti, ma è una scelta intellet-tualmente onesta?A mio figlio non proibirò mai di fu-marsi uno spinello. Mi addolora sol-tanto che non abbia capito quanto èstupido farlo.

Lettera firmata

CAMPAGNA DI SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA

LA CARICA DEI 122La campagna va, bene, ma prosegue. Non si può fermare. Le risposte che ci sonoarrivate sono tante: ben 110 fino a fine dicembre, per un totale di 8.000 euro, masolo 12 a gennaio per 460 euro. Tante, ma ancora insufficienti. Siamo ricono-scenti a tutti e siamo convinti che l’obiettivo si può raggiungere. Fra i segnali piùincoraggianti – e fra i contributi più sostanziosi – dobbiamo mettere in evidenzala serata del 14 febbraio, organizzata al “Bloom” di Mezzago, in provincia di Mi-lano (www.bloomnet.org). Grazie al concerto dei Punkreas, che hanno suonatoper devolvere l’incasso della serata a Fuoriluogo abbiamo ottenuto una spintaimportante.Ci sono state poi diverse serate di incontro e di dibattito con la distribuzione delgiornale e la raccolta di contributi. Un modo per tenere assieme l’organizzazio-ne della campagna politica e il sostegno all’informazione che Fuoriluogo e fuo-riluogo.it garantiscono. Esattamente come è nello spirito della nostra piccola im-presa editoriale e politica.Ci sono molti amministratori locali che hanno firmato l’appello “Municipi con-Finizero”. Contiamo su di loro perché nei territori si organizzino altre serate eperché ciascuno si impegni personalmente, a partire dalla propria carica istitu-zionale, per sostenere concretamente questo progetto di informazione e di lottapolitica.

Maurizio Baruffi

I versamenti possono essere fatti negli uffici postali o attraverso

bonifico bancario sul conto corrente postale n. 25917022intestato a Forum Droghe. Per il bonifico è necessario indicare

le coordinate bancarie: CAB 7601-8 ABI 03200-3

PARATA PERIODICA MENSILE ANTIPRO DEL GICA

SERATE ROMANE Domenica 7 marzo, appuntamento a Roma al Faro del Gianico-lo alle ore 18 per la Parata Periodica, una “parata ecocompatibilesenza motori a scoppio” con mini sound alimentati a batteria etrainati da bici e il suono acustico delle bande, spettacoli itineran-ti di giocolieri, clown e artisti di strada nel cuore del centro stori-co. La parata attraverserà piazza Santa Maria in Trastevere per ar-rivare a Campo de’ Fiori, dove la manifestazione proseguirà finoa mezzanotte. Sono previsti banchetti informativi di canapai, as-sociazioni. Organizza il Gica (Galassia Intervento Creativo Anti-proibizionista). Info e adesioni: tel. 339 3393589 oppure e-mail: [email protected] Gica dà anche appuntamento per la parata di domenica 4 apri-le (con partenza alle 19.30) e, soprattutto, per la Million Marijua-na March che si terrà il 2 maggio a Roma e, in contemporanea, inaltre 200 città in tutto il mondo.

DISTRIBUZIONEMILITANTE

Chi desidera sostenere Fuoriluo-gopuò farlo incaricandosi della di-stribuzione militante nella propriacittà. Le rese vanno ritirate pres-so il distributore nei giorni imme-diatamente successivi alla pub-blicazione in edicola (ultimo ve-nerdì del mese), previo accordocon il distributore stesso. Vi invi-tiamo perciò a scriverci per averel’indirizzo del distributore di zonae la procedura da seguire per il ri-tiro: [email protected]. Questo vale per le tutte le cittàeccetto Roma, Firenze, Udinee Milano dove le rese vengonogià raccolte. Per chi abita a Roma: [email protected] chi abita a Firenze o Udine: [email protected] chi abita a Milano: [email protected]

Servono soldi!Davvero. Non vogliamo chiudere

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3Supplemento mensilede il manifesto27 febbraio 2004 FUORILUOGOEDITORIALI

Fuoriluogomensile di Forum Droghenuova serie anno 6, numero 2chiuso in redazione il 23/02/04supplemento de il manifestodel 27/02/04

Direzione:Grazia ZuffaCecilia D’EliaCoordinamentoredazionale:Marina [email protected]:Beatrice Bassini, Claudio

Cappuccino, LeonardoFiorentini (webmaster)Enrico Fletzer, Lucio GamberiniPatrizio GonnellaGiovanni NaniSusanna RonconiSergio SegioMaria Gigliola Toniollo

Comitato editoriale:Stefano Anastasia, Andrea Bianchi, Giorgio Bignami, Giuseppe Bortone, Gloria Buffo, Massimo Campedelli,Stefano Canali, Giuseppe Cascini,

Luigi Ciotti, Maria GraziaCogliati, Peter Cohen,Antonio Contardo, Franco Corleone, PaoloCrocchiolo, Daniele Farina,Matteo Ferrari, Andrea Gallo, Maria Grazia Giannichedda,Betty Leone, Franco Maisto, Luigi Manconi,

Patrizia Meringolo, Toni Muzi Falconi, Mariella Orsi, Livio Pepino,Tamar Pitch, Anna Pizzo,Toy Racchetti, ErsiliaSalvato, Nunzio Santalucia, Luigi Saraceni, Uwe Staffler,Stefano Vecchio,Maria Virgilio

Direttore responsabile:Maurizio BaruffiSegreteria di redazione:tel. e fax 0684241224 0684080238E-mail: [email protected] grafico:Andrea MattoneDisegni: Onze

Impaginazione:Sagp, RomaSito web: www.fuoriluogo.itRealizzato col contributo diLeonardo Previ e SaraSecomandi di Methodos s.p.a.Editore: Forum Droghe

via Salaria 222, 00198 RomaE-mail: [email protected]. n. 25917022Pubblicità: Poster pubblicità s.r.l.via Tomacelli, 146 00186 Romatel. 06/68896911fax 06/68308332

Stampa: Sigraf spa, via Vailate 14Calvenzano (Bg)Registrazione:Trib. Roma: n. 00465/97 del 25/7/97Iscrizione al Registronazionale della Stampa:n. 10320 del 28/7/00

Un buoninizio

Il mite ventodell’est

TRENI NO SMOKINGInformazione, libertà, responsabilità:queste sono le tre parole magiche che do-vrebbero guidare le campagne contro l’a-buso di qualunque droga. La proibizionecrea il frutto proibito, e l’imposizione fapassare la voglia di obbedire. Viceversa,l’informazione fa ragionare e la libertàinsegna ad assumere responsabilità.Il ministro Sirchia mi dà l’occasione dispiegarmi con un esempio concreto. Lapur meritoria campagna contro il fumo èarrivata infatti a una decisione drastica:dal 1° marzo, sarà vietato fumare sui tre-ni Eurostar.Conosco benissimo i danni del tabacco.Se fumato per anni, è una delle droghepiù dannose (nelle parole di V. P. Dole:«incontestabilmente più dannoso perl’organismo dell’eroina»), e ogni campa-gna di informazione, ogni incoraggia-mento a smettere mi trovano favorevole.Ma detto questo, sono contrario a questaproibizione, come a tutte le altre di que-sto tipo. Per i fumatori, oggi esistono neitreni spazi separati e forse l’unico inter-vento ancora da fare è far rispettare me-glio l’obbligo di non fumare negli spazicomuni. Punto. Ogni passo in più è unaviolazione della libertà, e porta più dan-ni che benefici.Una persona adulta, che magari fuma davent’anni, oggi è più che consapevole deirischi e dei danni del fumo. Ha quindi ildiritto di esser lasciata libera di decidere.Solo lei sa se il piacere che trae dal fumoè maggiore del dispiacere di avere unapiù alta probabilità di ammalarsi e mori-re prematuramente. Informiamola, con-tinuiamo a informarla: ma fatto questolasciamola in pace. Essere costretti a fareo non fare qualcosa non è mai piaciuto anessuno, e non ha mai portato a niente dibuono. Io non fumo: ma penso che chie-dere a un fumatore di farsi Milano-Bariin Eurostar senza nemmeno una sigaret-ta sia solo una tortura inutile, che non loconvincerà a smettere.I politici non possono pensare di proteg-gere i più sciocchi o i più incoscienti,quelli che non sanno badare a se stessi, li-mitando la libertà di tutti. Né si può pen-sare di poter mettere sotto controllo tuttociò che può far male o è pericoloso. E nonè nemmeno una questione di “messaggipositivi” lanciati ai giovani: per questo,lo ripeto, ci vuole solo informazione.Chiara, onesta, corretta, completa e con-vincente. Il contrario di quella che finora,quasi sempre, si è fatta sulla “droga”.

a cura di claudio [email protected]

PERCHÉ SONOANTIPROIBIZIONISTA

CECILIA D’ELIA

Tanti. Sicuramente più di 15.000. Il 21 febbraio hadebuttato sulla scena politica di questo paese unnuovo movimento, contro la proposta di legge Fi-ni, contro la cultura della proibizione. «Giusto osbagliato non può essere reato» era lo slogan di

quella che dal palco è stata definita la più grande manifesta-zione italiana sulle politiche in materia di droghe. C’eranotanti vecchi amici, operatori del pubblico e del privato, ma so-prattutto tantissimi giovani.

Dopo lo striscione di apertura, seguiva il pezzo deglioperatori dei servizi, da qualcuno simpaticamente definito ilsert pride. C’era la Cgil, il Cnca del Lazio, la comunità di DonGallo, il Parsec, Antigone, s’intravedevano bandiere dei gio-vani socialisti, della sinistra giovanile, dei giovani comunisti.Riconoscevi un po’ di parlamentari delle forze politiche chehanno aderito alla manifestazione e alcuni degli ammini-stratori promotori di un proprio appello contro la legge. Masoprattutto c’erano le reti antiproibizioniste Mdma e Gica,tanti, tanti centri sociali, a cominciare dal Forte Prenestino.Man mano che ci si allontanava dalla testa del corteo, fintroppo seria e silenziosa, la manifestazione assumeva sem-pre più i caratteri di festa. Come folletti riconoscevi dall’a-rancione della maglietta gli operatori del pronto interventoche saltavano da un lato all’altro, a controllare che nessuno sifacesse troppo male.

È un buon inizio. Abbiamo visto insieme un mondovariegato, una parte della società che questo disegno di leggevuole colpire. Giovani consumatori “in erba” insieme aglioperatori che portano avanti, nonostante le difficoltà econo-miche quotidiane, i servizi a bassa soglia, le unità di strada, latante buone pratiche che conosciamo.

C’è un grande potenziale che va raccolto. Come èstato detto dal palco, il 21 è iniziato un percor-so. Il testo della legge non lo abbiamo ancora vi-sto depositato, ma noi siamo già in marcia. Variconosciuto ai centri sociali, alle reti antiproibi-

zioniste di aver lavorato per questo, di aver scelto i contenutidi una piattaforme comune, di aver cercato il rapporto con ilmondo degli operatori e con le forze politiche della sinistraitaliana. Altri cartelli stanno nascendo, più interni al mondodelle comunità e dei servizi. È giusto che ognuno si schieri apartire dalla propria soggettività, è importante però che tuttoquesto stia in rete. Abbiamo bisogno di una grande controf-fensiva politica e culturale. Ancor prima di cambiare la leggequesto governo ha già prodotto disastri. Ha tagliato fondi, hafatto morire servizi, ma soprattutto ha seminato intolleranzae autoritarismo, criminalizzando chi consuma, ma anche chiopera nei servizi guardando prima di tutto ai bisogni realidelle persone. Basti pensare alla campagna scatenata contro ilmetadone.

Dunque noi siamo in marcia. Andando al corteo con iFuoriluogo da distribuire sul tram ho incontrato i Malamurga,pronti a ballare e far musica con i loro tamburi. Si sono spon-taneamente offerti per la distribuzione e per raccogliere fon-di per la nostra sopravviven-za. Ma noi il 21 il giornale loabbiamo regalato, forse è sta-ta una follia, ma è quel popo-lo in marcia la nostra garanziadi sopravvivenza. ■

PETR MARES*

Nella Repubblica ceca, la politica delle droghe si è svilup-pata a partire dal 1993, basata però più sulle opinioni e lestime di esperti che su dati complessi, poiché il sistema dimonitoraggio, raccolta di dati e analisi era insufficiente.Questa mancanza di dati validi, affidabili e complessi ha

lasciato spazio a molte paure moralistiche, particolarmente nei mediae in una certa parte dei politici. Nel 1998, sulla base di informazioni al-larmanti su un aumento drammatico del consumo di droghe illecite(poggiate più su “stime presunte” che su dati validi) si ebbe una svol-ta nella legislazione sulle droghe. Così, nel gennaio 1999 entrava in vi-gore una nuova legge che, dopo molti anni, introduceva sanzioni pe-nali per il possesso di tutti i tipi di droghe illecite, senza tenere contodei loro diversi rischi potenziali, sanitari e sociali, per gli individui eper la società. Per i fautori dell’inasprimento delle misure repressive,queste avrebbero portato a una minore disponibilità delle sostanze,ad una riduzione della domanda e del consumo di droghe.Una ricerca effettuata dopo il cambiamento legislativo ha però dimo-strato che non uno degli obiettivi che esso si prefissava è stato rag-giunto. Al contrario, l’inasprimento legislativo ha portato al mercatonero della canapa, che prima del varo della nuova legge non esisteva,e ad un intreccio dei due mercati, quello della cannabis e quello delledroghe più rischiose.Infine, lo studio indicava che i giovani – già prima del cambiamentolegislativo – avevano cominciato a distinguere tra droghe con diversirischi sanitari e sociali potenziali, molto probabilmente grazie ad unaprevenzione valida e obbiettiva sulle droghe, e alle loro stesse espe-rienze e conoscenze. Di conseguenza, i trend di consumo delle droghepiù rischiose si sono stabilizzati o sono leggermente diminuiti, men-tre aumentano la prevalenza “life-time” e i modelli d’uso ricreativo dicannabis ed ecstasy.

In base alle conclusioni di questa ricerca, il governo ha deciso didistinguere ufficialmente tra droghe con diversi rischi potenzia-li, sanitari e sociali: dal 2001 abbiamo proposto di rivedere l’ap-proccio punitivo per il possesso di cannabis per uso personale.Questa proposta è solo una piccola parte dell’intera, complessa

innovazione del codice penale ceco. La ragione è che siamo convintiche la politica delle droghe debba essere realistica, e il suo scopo ge-nerale debba consistere nella prevenzione e/o nella minimizzazionedei rischi potenziali, sanitari e sociali, per gli individui e la società.L’approccio di salute pubblica sarà il principio fondamentale dellanostra futura politica sulle droghe. In preparazione del piano nazio-nale sulle droghe per il periodo 2005-2009, abbiamo inoltre stabilitoquali dovranno essere le nostre principali priorità: da una parte, lariduzione dei rischi potenziali e delle conseguenze negative del con-sumo di sostanze; dall’altra, la lotta al crimine organizzato coinvol-to nel narcotraffico. Come potete vedere, non desideriamo punire iconsumatori. Inoltre, gli obbiettivi della futura politica delle droghe ceca, devonoessere realistici – cioè raggiungibili e misurabili. Alla preparazione delpiano nazionale contribuiranno direttamente 80 esperti appartenentiai ministeri interessati, alle amministrazioni locali e ad organizzazio-ni riconosciute o non riconosciute, nonché rappresentanti dei gruppidi auto aiuto. La prima bozza sarà discussa dalla commissione nazio-nale sulle droghe e, prima di essere sottoposta al governo, sarà apertaal dibattito pubblico per un paio di mesi. ■

*Vice Primo Ministro della Repubblica Ceca e presidente della commissionenazionale sulle droghe. (Dall’intervento nell’ambito della giornata di studi“European Drug Policy on the Brink of Change”, organizzata dal SenlisCouncil il 5 febbraio a Bruxelles)

Dedicato a Giancarlo Arnao

FL Il sito della manifestazionewww.confinizero.it

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4 Supplemento mensilede il manifesto

27 febbraio 2004FUORILUOGOITALIAMONDO

A n n a P i z z o

Una delle prime raccomandazioni che tifanno, appena arrivi a Mumbai (Bom-bay), è di stare attenta a non farti “becca-re” con l’erba perché avresti grossi pro-blemi. Durante il quarto Forum socialemondiale, però, nelle strade e nei pratidella Fiera di Goregaon, sede del Forum,di “profumi” se ne sono sentiti parecchi esi sono viste grandi nuvole levarsi dall’e-norme prato durante i concerti conclusivi.

Ma una nuvola, si sa, non fa un temporale. È vero che ogni anno aManali, nello stato dell’Himachal Pradesh, 35.000 turisti stranieri vi-sitano la “Kullu Valley”, con un boom negli ultimi an-ni. così che l’ottima cannabis che si coltiva (un chiloviene venduto a 22.000 dollari nel mercato internazio-nale), ha fatto schizzare verso l’alto il numero dei se-questri e degli arresti.

Ma c’è un’altra immagine di Mumbai, che nonsmette di tormentarmi: è quella dei tanti mucchietti distracci lungo i marciapiedi della città con sotto qualcu-no né giovane né vecchio che, coprendosi malamentecon una sorta di asciugamano, scalda un pezzetto dicarta di alluminio con dentro quel che resta del confinesottilissimo tra l’esserci e l’andar via. Non so come èl’India, Mumbai mi pare così.

È questa la città delle antinomie, è tutto il bello eil brutto del mondo. Sono gli estremi che si toccano eche producono corto circuito. Per questo il Forum mon-diale è stato una esplosione “eretica” e irriverente diffi-cile da cancellare. Ma Mumbai, 25 milioni di abitanti, è anche la cittàche si vuole affacciare alla modernità e perciò va a sbattere con quelche la modernità somministra: tensioni, necessità di concorrere, pau-re. Per questo la diffusione di sostanze “anti depressione” è in conti-nuo aumento e gli antidepressivi sono venduti in ogni drogheria a co-sti bassissimi, tanto che anche “gli intoccabili” li pos-sono acquistare.

Di questo, e di altro, si è parlato in questoquarto Forum mondiale che ha dedicato molti semi-nari in particolare al traffico, ma anche alla diffusio-ne delle sostanze. Sul fronte del traffico, è stato detto

SVIZZERA

PROGETTO DI RIFORMA,RIPRENDE LA DISCUSSIONELa prossima discussione parla-mentare del progetto di riformadella legge svizzera sulle drogheavverrà in marzo al Consiglio degliStati, che ha già approvato la pro-posta governativa nel dicembre2001. La causa è il voto di non-en-trata in materia dell’altra camera,il Consiglio nazionale, avvenuto nelsettembre 2003. A marzo il Consi-glio degli Stati dovrà dire se inten-de modificare il progetto di legge(per avvicinarlo all’umore del Na-zionale) o se lo manterrà.Il 26 gennaio di quest’anno lacommissione del Consiglio degliStati ha proposto di mantenere im-mutata la proposta di legge (depe-nalizzare del consumo di canapa,regolamentazione della coltivazio-ne e del commercio). Se gli Statiseguiranno la sua proposta, la pal-la tornerà al Nazionale che dovràvotare per decidere ancora unavolta se entrare o meno in materiasul progetto. Se il Consiglio nazionale accetteràdi entrare in materia, dovrà con-frontarsi con la proposta governati-va e le (lievi) modifiche fatte alConsiglio degli Stati. Se rifiuterà, ilprogetto cadrà formalmente e bi-sognerà aspettare una nuova pro-posta governativa. Comunque glioppositori della riforma non hannosoluzioni alternative (nessun richia-mo alla linea dura), se non unostallo dannoso per tutti. La sessione parlamentare è previ-sta tra il 1° e il 19 marzo.

(matteo ferrari)

E n r i c o F l e t z e r

In Svizzera, un paese in cui i paesaggi al-pini sono divenuti ancora più verdigrazie alle coltivazioni della cannabis, ilconsumo di prodotti psicoattivi deriva-ti da questa pianta è stimato in 100 ton-

nellate annue. Sulle Alpi la pianta ha ritro-vato un clima simile a quello dell’Himalaya,e grazie agli agricoltori che con notevole en-tusiasmo hanno maturato una grande espe-rienza con l’utilizzo contemporaneo di tec-niche indoor/outdoor per la produzione disensimilia che ha permesso a zone di agricol-tura marginale di mantenere un reddito al-trimenti impensabile a queste altitudini.

Oggi in Svizzera la situazione è mol-to cambiata da quando i primi canapisti siaccorsero che la coltivazione della piantadella cannabis sativa non era di per sé illega-le; una fattispecie giuridica prevista anchenei trattati internazionali che escludono

espressamente i semi dai divieti e che pari-menti prevedono l’uso ornamentale, indu-striale e medico di questa pianta.

La repressione da un lato e la lentaprospettiva di una riforma fanno sì che la si-tuazione legale della canapa sia ancora so-spesa in un limbo. Ultimamente la spintariformatrice sembra essersi rallentata, incoincidenza con le elezioni politiche chehanno premiato la destra sciovinista di Chri-stopher Blocher, mentre in Ticino alcuni giu-dici tosaerba si sono avventati con forza con-tro i canapai rinverdendo la politica aggres-siva degli Unni di Attila. “Lascia o raddop-pia” sembra essere a questo punto il pro-gramma di Marco Kuhn, l’italo-svizzero di-rettore di Cannatrade che parte si terrà dal19 al 21 marzo presso la Fiera di Berna.

All’ingresso del Cannatrade sonoben visibili cartelli che indicano come il con-sumo e il passaggio di una canna al Canna-trade sia tuttora vietato dalla legge, nono-

stante che proprio all’interno si tenga unagara di “rolling” con succedanei dell’erba.Ipocrisia ma anche realtà giuridica, dato cheè vietato il consumo ma non la coltivazione:sui sacchetti profumati da 5 grammi c’è scrit-to qualcosa di paragonabile a «non aprire,non fumare». Ma per apprezzare la cannabisgrazie ai moderni inalatori vaporizzatorinon è più necessario impestarsi i polmoni: lacannabis così inalata è divenuta praticamen-te innocua.

La manifestazione promette un’at-mosfera completamente serena e rilassatacon la presenza anche di molti bambini ac-compagnati, accanto alle associazioni tede-sche e svizzere della canapa, ma anche del-l’Internazionale terapeutica Iacm, il Circfrancese, la rete europea Encod, Norml dagliUsa e anche alcuni osservatori italiani diMdma in mezzo a sfilate di moda, tombole,mostre fotografiche e di fumetti e con i gran-di del settore presenti nella scorsa edizione

come Gilbert Sheldon autore dei FreakBrothers e Gerhardt Seyfried fumettista e ro-manziere tedesco.

Quest’anno l’Italia sarà rappresenta-ta da alcuni interventi di esponenti del mon-do scientifico come il dottor Salvatore Gras-so dell’Associazione canapa terapeutica edalle prime imprese internazionali del setto-re che sono spuntate in Italia e in particolarea Bologna, una città in cui in pochi mesi so-no sorti numerosi negozi specializzati in uncontesto veramente europeo. Nella catego-ria espositori e grossisti, oltre alle lampade eai sistemi di aerazione, saranno presenti an-che le banche semi più importanti del mon-do che curano e riproducono le differenti va-rietà, fornendo la base per buoni raccolti eche hanno generalmente sede in Olanda do-po che gli inventori statunitensi della skunkfurono definiti «un popolo di analfabeti» se-condo il sarcastico commento della concor-renza olandese. ■

CANNATRADE 2004, LA SVIZZERA RADDOPPIA

Il Forum sociale mondiale di Mumbai, una città affacciata sulla modernità

UN MONDO DI ESTREMIche l’India sta diventando una zona di passaggio importante nellerotte che conducono la droga dall’Afghanistan all’Europa e al nordAmerica. E se sono i porti del sud i maggiori centri per le spedizioni,gli affari si concludono a Mumbai, dove arriva, passando per Paki-stan, Nepal e Bangladesh, l’oppio afghano. C’è anche però l’oppiocoltivato nel Rajasthan e nelle province vicine, trasportato clandesti-namente a Mumbai. Di recente il governo indiano ha annunciato divoler aprire alle imprese private la raffinazione dell’oppio per scopimedici, visto che buona parte dell’oppio prodotto non viene raffina-to, ma sparisce mentre lo stesso governo è costretto a importarne dal-l’estero per venire incontro alle richieste del settore farmaceutico.L’India produce, infatti, ogni anno 700 tonnellate di oppio “legale”,ma solo 122 riescono ad essere raffinate dai due centri autorizzati.

E, a proposito di imprese farmaceutiche, è stato molto istrut-tivo l’incontro tra il joint manager director della Ci-pla, Hamied M. K. e Vittorio Agnoletto. La Cipla èuna grande industria farmaceutica indiana, checonta ben venticinque stabilimenti in tutto il pae-se. Venne creata dal padre di M. K. Hamied nel ‘56e ora ci lavorano quattromila persone. Fin qui nul-la di eccezionale. L’eccezionalità consiste in alcunenotizie, fornite dallo stesso Hamied. La prima:l’India è il solo paese al mondo, con la Cipla, a pro-durre i farmaci antiretrovirali per l’Aids fuori daibrevetti delle multinazionali. Si chiama Triomuneil farmaco o meglio in cocktail di farmaci che la ca-sa farmaceutica indiana produce a un costo ridi-colmente inferiore a quello delle multinazionali,che si aggira sui 15 mila dollari l`anno a malato.Ebbene, la Cipla lo fa pagare 140 dollari. Secondanotizia clamorosa: il Triomune non viene distri-

buito in nessuna altra parte del mondo, nemmeno negli Usa o in Ita-lia perché i brevetti dei tre diversi farmaci, che assieme danno luogoal cocktail, sono di tre diverse case produttrici: la Glaxo, la Bristol ela Boering che non si mettono d’accordo sulla cessione dei loro bre-vetti. Terzo: probabilmente, in base agli accordi della Wto, nel 2005

neppure l’India potrà più produrlo e quindi in nes-sun posto del mondo sarà possibile curare l’Aids senon a prezzi proibitivi. In India i sieropositivi, at-tualmente cinque milioni, si infettano o per uso dieroina (soprattutto nel nord est) o per sesso nonprotetto. ■

Come in Occidentetensioni, concorrenza e paure fanno aumentareil consumo di stimolanti.Gli antidepressivi sonovenduti in drogheria a prezzi bassi, accessibilianche agli intoccabili

FL In archivio lo speciale droghe e globalizzazione: www.fuoriluogo.it

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S u s a n n a R o n c o n i

Nel 2002, nel Coordinamento deglioperatori dei servizi a bassa sogliadel Piemonte, è emersa la volontà diverificare se e come sarebbe statopossibile promuovere anche a Tori-no l’avvio sperimentale di unainjecting room. L’interrogativo na-sceva dal persistere di un numero si-gnificativo di morti per overdose incittà (mediamente una ogni due set-

timane): un numero che decresceva nel tempo, è vero, ma cherimaneva ancora troppo alto. In secondo luogo, rimaneva aper-ta la contraddizione tra distribuzione di materiale iniettivo ste-rile e la tragica realtà dei luoghi abituali di consumo, segnati dacondizioni igienico-ambientali pessime: come svuotare il marecon un cucchiaino. In terza battuta, la Commissione di studioproposta dal sindaco Chiamparino nell’ipotesi di una speri-mentazione si stava avviando a una soluzione “pilatesca”, in so-stanza chiudendo la riflessione che il picco dei morti dell’estatedel 2002 aveva aperto. Torino non sarebbe stata – come aveva-mo sperato – la prima città ad aprire una injecting room.

Un gruppo di operatori del Coordinamento si è messoal lavoro (volontariamente) e dopo aver identi-ficato una zona della città maggiormente tocca-ta dal fenomeno, ha ideato un percorso di ri-cerca attraverso interviste strutturate. Si è volu-to verificare conoscenze e atteggiamento di al-cuni attori sociali potenzialmente interessativerso le politiche di riduzione del danno, la lo-ro percezione dei rischi correlati, l’atteggia-mento verso le injecting rooms, una valutazio-ne sulla fattibilità. Sono stati intervistati 8 testi-moni privilegiati e 11 consumatori. I testimonisono: infermiere Sert; due educatori Sert; edu-catore di territorio; medico di base; medico delpronto soccorso; farmacista di zona; presidentedi Circoscrizione; magistrato della Procura;mediatore culturale di lingua araba. I consu-matori sono utenti del drop in della Asl 3, e pro-vengono da tutto il territorio cittadino.

Per quanto riguarda la riduzione del danno, è una stra-tegia conosciuta e giudicata dagli intervistati condivisibile neisuoi obiettivi di salute e tutela della vita. L’atteggiamento degliintervistati è realistico e pragmatico, sia tra coloro che svolgonouna professione sanitaria, sia tra quanti operano sul territorio.

Due sono le ragioni portate a sostegno di un approcciodi riduzione del danno: la centralità della tutela della salute ela riduzione dell’impatto sociale di un consumo attuato spesso“a scena aperta”. La caratteristica di “mediazione” propria del-la riduzione del danno viene riconosciuta dagli intervistati co-me possibile alternativa alle logiche securitarie.

La percezione dei danni e dei rischi correlati al consu-mo in particolare di eroina e cocaina per via iniettiva riguarda:contesti di assunzione (condizioni igieniche e esposizione allavisibilità); malattie trasmissibili; overdose; rischi legali; prosti-tuzione; mix pericolosi di sostanze; danni di tipo psichico e psi-chiatrico; danni sociali (emarginazione). Sul piano del “dannosociale” è stato notato come l’eccesso di visibilità della praticainiettiva ha un effetto di moltiplicazione dell’allarme socialeche a sua volta si porta dietro domande di repressione.

Gli intervistati equiparano le injecting rooms ad altriservizi di riduzione del danno e le correlano a obiettivi di salu-te individuale/salute pubblica e di diminuzione di impatto so-ciale. Gli obiettivi indicati sono: limitazione didanni sanitari, promozione di una corretta prati-ca iniettiva; contatto con il “sommerso”, offerta diinformazione sanitaria, prevenzione overdose eintervento d’urgenza, educazione tra pari; prote-zione dalla violenza della strada. Per quanto ri-

guarda l’impatto sociale, invece: minor visibilità della praticainiettiva, meno pressione e relativi conflitti, minore dispersio-ne di siringhe usate sul territorio.

Tutti gli intervistati hanno segnalato nella Asl l’enteprincipale di riferimento, e i Sert sono stati individuati come iservizi preposti, mentre la municipalità dovrebbe essere moto-re di una strategia di consenso verso la cittadinanza.

Le figure professionali necessarie sono medici e infer-mieri professionali, con educatori con competenze di operato-ri di strada e operatori pari, accreditati per il loro “sapere del-l’esperienza”.

I potenziali utenti sono tutti i consumatori per via iniet-tiva che non abbiano a disposizione un luogo privato e protet-to, e dunque prima di tutto quelli in condizioni sociali disagia-te. Persone senza dimora e immigrati sono stati indicati comeutenti privilegiati del servizio. Unanime la necessità di colloca-re il servizio vicino o all’interno della scena della droga e, conqualche eccezione, per lo più appare preferibile l’ubicazione al-l’interno di un servizio a bassa soglia quale un drop in.

È stato chiesto agli intervistati quali potrebbero essere lemaggiori difficoltà nell’aprire una injecting room sul territoriotorinese. La prima riguarda gli amministratori e i politici loca-li, ben prima della pubblica opinione. Allarme sociale e do-manda di sicurezza urbana sono il secondo fattore di difficoltà.

La legislazione vigente è un vincolo posto so-lo dal magistrato intervistato. Al contrario imigliori alleati sono stati indicati nel persona-le sanitario Asl, in alcuni opinion leaders delterritorio, nel privato sociale più aperto. Leinjecting rooms, dunque, sembrano agli inter-vistati utili, praticabili e basate su “buone ra-gioni”. Sono però stati segnalati anche alcunirischi: l’eccesso di medicalizzazione, il rischiodi etichettare e “nascondere”; enfatizzaretroppo la “buona ragione” del controllo socia-le, a scapito di una politica dei diritti dei con-sumatori.

Infine, interrogati su una eventuale di-sponibilità in prima persona, fatta eccezioneper un educatore di Sert, gli operatori sanitarie sociali interpellati non vedono alcuna con-

traddizione di tipo etico o deontologico. Tutti sono disponibilia lavorare per il consenso, anche se a volte con pessimismo, peresempio riguardo medici di base o farmacisti, che vengono de-scritti come non interessati.

Per quanto riguarda i consumatori, tutti sanno cos’èuna injecting room, sono informati. Alla domanda «useresti inprima persona una injecting room?» la quasi totalità rispondedi sì: solo uno risponde in modo negativo, senza fornire moti-vazione, e un secondo afferma che è utile ma non la userebbeperché ha una casa sua, agibile. Gli obiettivi riguardano so-prattutto l’overdose, evitare di essere troppo visibili e rispetta-re la società («è giusto che le persone che non usano non veda-no certi spettacoli»), nonché un aiuto pratico a chi «ha difficoltàa farsi» per le vene troppo provate. Il gruppo pone con forza ilrischio del controllo da parte delle forze di polizia: è questo l’u-nico vero elemento di diffidenza. I più vedono la giusta ubica-zione all’interno di un drop in o in strutture mobili affiancateall’unità di strada. È essenziale che siano vicini ai luoghi dispaccio, per poter essere davvero utilizzate, e in questo sensosarebbe necessario pensare a una rete cittadina di injectingrooms più che a una sola.

Personale medico, consumatori esperti e operatori paridovrebbero, per i più, gestire una injecting room: viene de-scritta una sorta di “alleanza” tra medici e consumatori. Per la

gestione, bastano le regole base dei drop in:no violenza, no spaccio. Alcuni enfatizzanoil bisogno di pulizia: ognuno pulisca doveha usato. Sono richieste due stanze, almeno,per il rispetto della privacy e di esigenze di-verse. ■

5Supplemento mensilede il manifesto27 febbraio 2004 FUORILUOGOITALIA

MONDO

Torino, una ricerca sulla praticabilità sociale delle stanze del consumo

EPPURE SI POTREBBE

La commissione di studiodel Comune non ha dato ilvia alla sperimentazionesperata. Ma consumatori e operatori si dimostranopragmatici e sono a favore di un servizio che tutelala salute e riduce i danni

Riccardo Bordoni

Sono ormai tre anni che Riccardo non è piùcon noi. Nell’anniversario, riproponiamo ilsuo intervento ad un convegno del dicembre1995, sul tema della legalizzazione della can-nabis, promosso dall’allora gruppo Progres-sisti Federativo della Camera. Un’analisiacuta ed equilibrata, com’era suo costume,ancora attuale nel particolare momento discontro politico.

Nell’uso dei cannabinoidi, ilproblema del rischio di mor-te e dell’uscita dalla tossico-dipendenza non si pone.Non ci sono morti per l’uso

di cannabinoidi, e non si può parlare ditossicodipendenza. Ma per i consumato-ri, è valido l’obiettivo di “uscire dallapiazza”, nel senso di uscire dall’illegalità:su questo credo che si possa parlare di ri-duzione del danno.

L’illegalità è un problema impor-tante, per la cannabis. Vi offro dei dati,pubblicati il 29 novembre 1995 dalla Dire-zione centrale dei servizi antidroga: su 27tonnellate di sostanze sequestrate, la par-te del leone la fanno i cannabinoidi, con18,9 tonnellate. I minori denunciati sonostati 987 e gli arrestati 536. La droga coin-volge anche persone che per la loro etàdovrebbero essere oggetto di azioni diprevenzione piuttosto che di repressione.

Esaminando più da vicino la leg-ge sulla droga, la 309/90, si colgono me-glio i rischi. Il comma 5 dell’articolo 73(che regolamenta traffico, spaccio, cessio-ne e coltivazione) riguarda l’ipotesi di“lieve entità”. La logica della norma èchiara: prima del referendum, quandoancora era in vigore la “dose media gior-naliera”, se non ci fosse stato questo com-ma il ragazzetto che deteneva un certonumero di dosi sarebbe stato condannatoalle stesse pene di un mafioso trafficante.Ma il comma successivo stabilisce che seil fatto è commesso da tre o più persone inconcorso tra loro, la pena è aumentata.Ciò significa che se in una macchina ci so-no quattro ragazzi che si offrono delle bel-le canne, siamo già all’associazione a de-linquere. L’85% dei denunciati lo è invirtù dei commi 5 e 6. Di questi, la quotamaggiore è per eroina, ma subito dopoviene la cannabis. Perciò, se vogliamo da-re delle regole che siano diverse da quelleche attualmente lo spacciatore impone,bisogna parlare di legalizzazione.

Perché oggi è lo spacciatore chepensa a come e dove la sostanza va con-sumata, a come e dove va coltivata. Guar-diamo ai dati del consumo: nelle scuolemedie, più della metà degli studenti pro-vano la cannabis. Si deve dunque dedur-re che il consumo di cannabinoidi è unproblema di tipo generazionale.

Forse, la legalizzazione della can-nabis si realizzerà quando la mia, la vo-stra generazione non ci sarà più.

Roma, 5 dicembre 1995

CANAPA, I DANNIDELL’ILLEGALITÀ

FL La lista di pratiche in retesu: www.fuoriluogo.it

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6 Supplemento mensilede il manifesto

27 febbraio 2004FUORILUOGOCOCAINA

Il “drogato” che è tra noi

ANDREA BORASCHI e LUIGI MANCONI

La parola “drogato”, per molti, ha un suono prossimo all’oscenità. Lasua fonìa esprime qualcosa di torbido, e di torvo; quella faticosa suc-cessione di consonanti occlusive, sorde e sonore: quel ritmo – con la suaprecisa e inevitabile scansione di ogni lettera – evoca ben più di quan-to il termine, semplicemente, designi. “Drogato” è colui che si trova sot-

to l’effetto di droghe (e, va da sé, la definizione di “droga” è una mera conven-zione culturale); ma “drogato” è anche un insulto (un vero e proprio insulto, perchi l’ha sentita – questa parola – indirizzata con spregio anche nei confronti di chi,tossicomane o meno, appaia deviante); ed è anche una condizione sociale. Di es-sa, il termine dialettale “tossico” rappresenta una ulteriore degenerazione se-mantica, tutta incardinata sulla patologia dell’assuefazione e della dipendenza,tutta concentrata su uno stile di vita borderline. Ecco: il drogato è colui che, a cau-sa dell’abuso di sostanze stupefacenti, è divenuto estraneo al tessuto sociale bor-ghese, colui che ha perso la sua respectability, poiché incapace di rappresentare sestesso al di fuori, o nonostante, il suo “male”. Quello stesso slittamento semanti-co – che ha sovrapposto, all’immagine di una persona alterata nelle sue funzionineuronali dall’uso di sostanze psicotrope, quella di un emarginato schiavo del suoabuso – impedisce oggi di classificare come “drogati” molte persone che fannouso, e talvolta abuso, di droghe. Perché queste persone, a ben vedere, non sconta-no alcuna forma di emarginazione: sono perfettamente inserite nel tessuto socia-le, lavorano – e talvolta svolgono professioni di rilievo e responsabilità – guada-gnano, consumano e vivono in un sistema di relazioni sociali perfettamente am-missibile da quella stessa morale che marchia come “drogati” altri, e più sfortu-nati, assuntori di stupefacenti. Costoro sono “drogati” nel senso letterale del ter-mine; non lo sono, se si intende invece utilizzare questa definizione gravandola ditutto il suo sovraccarico culturale. Il caso più recente, ed eclatante, viene dall’ammissione di consumo fatta dal se-natore a vita Emilio Colombo; un uomo che tanto per la sua vicenda politica,quanto per i suoi 83 anni, sta alla sociologia delle tossicodipendenze (almeno aquella meno aggiornata) come l’ornitorinco stava alle tassonomie biologiche del‘700: un unicum inspiegabile e non classificabile, deviante rispetto a qualsiasi si-stema classificatorio in uso. La sua vicenda rappresenta perfettamente, anche sein maniera decisamente estrema, quel che intendiamo quando scriviamo che mol-ti consumatori di stupefacenti non possono essere definiti “drogati”: certo, nonnel senso comune del termine.

Una recente ricerca dell’Istituto superiore di sanità sul profilo dei con-sumatori di “droghe ricreazionali”, ci informa che il 50,7% dei sogget-ti che fanno uso di questi stupefacenti ha un lavoro stabile, svolge con-tinuativamente un’attività professionale (è appena lo 0,3 la percen-tuale di quanti dichiarano di essere incorsi in eventi traumatici, cau-

sati dal consumo di droga, sul luogo di lavoro); che solo il 22,9% del campioned’indagine risulta disoccupato. Ci informa, altresì, che molti hanno un titolo distudio avanzato, che solo il 41,8% soffre di una condizione di dipendenza; ci diceche per lo più il consumo avviene in spazi domestici e che sono molti quelli cheassumono queste sostanze da soli (al contrario di quanto si è sempre ritenuto perqueste droghe, definite appunto “ricreazionali” e tradizionalmente consumate inambiti di socialità diffusa). Sopra ogni altra cosa, a commento di questi dati, si de-ve sottolineare il loro essere frutto di un’indagine svolta attraverso i Sert; il che ciconsente di affermare, senza tema di smentite, che la percentuale di assuntori didroghe ricreazionali perfettamente inseriti nel loro contesto sociale, la percentua-le dei “non drogati”, è (molto) più ampia di quanto questi numeri dicano.Tra i consumatori di queste sostanze, per restare ancora all’indagine svolta dal-l’Iss, circa il 70% fa uso di cocaina come sostanza primaria. La “droga dei ricchi”è oggi ampiamente diffusa, e il suo consumo è in costante crescita. Sono pochi, po-chissimi, rispetto al totale, i “tossici” che la usano affiancandola ad altre sostanze,per attenuarne o equilibrarne gli effetti. La maggior parte dei consumatori sono“invisibili”: non sono “drogati”, non portano alcun marchio palese e riconoscibi-le di questo loro “vizio privato”. Non smarriscono la loro rispettabilità, non ven-gono emarginati. Consumano liberamente, per scelta consapevole, non costrettidalla dipendenza; e riescono, nella maggior parte dei casi, ad armonizzare questocomportamento con il resto della loro vita, senza incorrere in conflitti irrimedia-bili con il loro ambiente sociale, senza accusare patologie gravi o, più in generale,limitative delle loro possibilità “esistenziali”, derivate dal consumo di cocaina.C’è, in effetti, un solo fattore che minaccia la loro integrazione sociale: la crimina-lizzazione di questo loro comportamento privato e la penalizzazione del consu-mo di droga. È quanto potrebbe accadere, se venisse approvata la “legge Fini”:una norma criminogena che rischia di creare molti più “drogati” di quanti non vene siano mai stati in questo paese. ■

La piantaCi sono due specie di coca, l’arbustodalle cui foglie si estrae l’alcaloide co-caina: l’Erythroxylum coca, coltivatanelle valli amazzoniche umide di Ecua-dor, Perù e Bolivia, fra i 500 e i 1800metri di altezza, e l’E. novogranatense,coltivata nelle montagne aride di Perùsettentrionale e Colombia. L’E. novo-granatense var. truxillense (detta “cocaTrujillo”) del Perù era la varietà esporta-ta in passato per la preparazione di me-dicinali ed è quella che ancora oggi, de-cocainizzata, serve alla preparazionedella Coca-Cola.

La cocainaLa cocaina è il principale alcaloide dellacoca, contenuto nelle foglie secche inpercentuale dello 0,5%-1%. Isolata daNiemann nel 1859, ha tre fondamenta-li azioni farmacologiche: è un anesteti-co locale, un vasocostrittore e – cosache la rende desiderabile come “dro-

ga” – un potente stimolante del siste-ma nervoso centrale.Il cloridrato di cocaina, che è una polve-re bianca solubile in acqua, si “sniffa”o si inietta. La cocaina-base, non solu-bile in acqua, nella forma impura di “pa-sta di coca” (basuco) o in quella raffina-ta di freebase o crack, si “fuma”. Fu-mare ha la stessa intensità e rapidità dieffetti dell’iniezione endovenosa.

Gli effettiUna dose media di cloridrato di cocaina(sniffata) è di circa 20-40 mg. Dosi ele-vate possono essere pericolose. Gli ef-fetti di una dose durano non più di 40-60 minuti per chi “sniffa”, e molto me-no (10’-20’) per chi “si buca” o fuma.Segue una più omeno veloce rica-duta verso la “nor-malità”, che puòessere vissuta co-me sgradevole e

deprimente, per cui spesso si tende aripetere l’assunzione fino a esaurire ladroga disponibile.Gli effetti sono molto variabili da per-sona a persona. A seconda della do-se, della modalità di assunzione, dellecaratteristiche soggettive e delle circo-stanze, vanno da una delicata euforia,spesso appena percepibile (secondoFreud, “la normale euforia della perso-na sana”), con senso di lucidità e diefficienza mentale e fisica, a sensa-zioni molto più intense. Una dose trop-po alta può provocare ansia, irritabi-lità, tremore, fino a estrema agitazio-ne, vomito, convulsioni, febbre alta e(per fortuna raramente) coma e mor-te. Specie se iniettata o fumata, la co-

caina può pro-vocare emer-genze cardiova-scolari, ancherap idamentemor tali: arit-

coca&cocaina

FL Le schede sulle sostanzesu: www.fuoriluogo.it

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7Supplemento mensilede il manifesto27 febbraio 2004 FUORILUOGO

C l a u d i o C i p p i t e l l i *

Prima scena. Un liceo classico dellaCapitale. Assemblea di autogestio-ne sul tema delle droghe e sul dise-gno di legge governativa. Invitatidue operatori, di un Sert e di un en-te ausiliario della Regione Lazio. Sidibatte in merito alla giustezza omeno della riduzione a un’unica ta-bella contenente tutte le sostanzepsicotrope illegali. Qualcuno sostie-

ne che le droghe sono tutte uguali, gli effetti pericolosi e chefanno tutte ugualmente male. Dal fondo della sala, in ungruppetto di ragazzi e ragazze sedute per terra, una voceafferma: “Come mai dopo che mi sono fatto una canna stobene così, mentre se ho tirato coca poco dopo ho di nuovovoglia di tirare? Non mi sembrano davvero la stessa cosa”.

Seconda scena. Un centro diurno a bassa soglia alcentro di Roma. È appena uscito un utente, ex tossicodi-pendente da eroina ed ora assuntore di cocaina come so-stanza primaria. Primo operatore: “Oggi è la sesta voltache viene Mario: se continua così, con una media di 70, 100siringhe a settimana ci fa alzare tutte le medie di distribu-zione delle insuline”. Secondo operatore: “Se continua co-sì, altre tre settimane e scompare: non mangia, non beve,neanche l’alcool, è costantemente alla ricerca di soldi e sifa male in continuazione. Lo vedo male”.

Terza scena. Ora di pranzo. Bar tavola calda vicinoa un ministero. Un quarantenne con un tramezzino ruco-la e bresaola in mano dice alla sua accompagnatrice: “cifacciamo un regalino stasera? Un quartino?”. “D’accor-

Gli stili di assunzione sono molto diversificati e spaziano dal consumo occasionale ricreativo fino alla compulsività

CONSUMIAL PLURALE

mie, infarto miocardico, emorragie ce-rebrali. Il sovradosaggio acuto, inesistenteper chi usa le foglie, raro per chi sniffao “fuma”, è un pericolo reale per chiusa la cocaina per endovena e soprat-tutto per chi la trasporta ingerendonedei contenitori (ovuli, preservativi).Non ci sono antagonisti specifici perl’overdose da cocaina, e le sole tera-pie possibili sono quelle di supporto.

I problemiL’uso occasionale di dosi moderate dicocaina non ha serie conseguenze(salvo controindicazioni come iperten-sione o altre malattie cardiovascolari),e su questo ben testimoniano gli scrit-ti di Freud. Invece, l’uso continuativo adosi elevate (si veda ad esempio il li-bro Polvere di G.C. Flesca e V. Riva)può creare seri problemi, e diventarenon solo pericoloso, ma addirittura di-struttivo e incapacitante. Una piccola

ma significativa minoranza di personenon riesce a consumare cocaina conmoderazione, ma alterna periodi diconsumo frenetico – e quindi di iperat-tività, veglia forzata, stimolazione benal di là delle proprie forze – a periodi divero e proprio crollo psico-fisico. L’usocronico può creare (o aggravare) pro-blemi psichiatrici: si può diventare in-quieti, ansiosi, sospettosi, fino a svi-luppare veri e propri deliri paranoidi incui ci si sente controllati, seguiti e per-seguitati. Sono frequenti le allucina-zioni visive (scintille, luci) e tattili (“in-setti” sotto la pelle); possono compa-rire “tic” e altri sintomi psichiatrici, fi-no a un quadro conclamato di psicositossica acuta. Soprattutto in questesituazioni, che non si possono non de-finire “abuso”, la cocaina come le am-fetamine e l’alcool può allentare i freniinibitori e facilitare comportamenti ag-gressivi e anche violenti.

(claudio cappuccino)

Inoltre non esiste un farmaco sostitutivo, come il metado-ne. In alcuni casi si è rivelato utile un ciclo di Acudetox, ago-puntura abbastanza diffusa in Europa, insieme a un tratta-mento di psicoterapia. In realtà non abbiamo molti stru-menti”.

Una ricerca dell’Istituto superiore di sanitàOra, una ricerca prodotta dall’Istituto superiore di

sanità, affronta un aspetto particolarmente interessante delfenomeno, il rapporto tra le sostanze ricreazionali e la retedei servizi, sia pubblici che del privato sociale, coinvolti inattività di accoglienza e cura. I ricercatori dell’Iss, TeodoraMacchia, Celeste Giannotti e Franco Taggi, hanno indivi-duato il focus del lavoro negli utenti che sono stati presi incarico, nel corso del 2000, dai 220 servizi coinvolti nella ri-cerca (206 pubblici pari al 40% del totale, 14 centri del pri-vato sociale) per sostanze primarie diverse da eroina, alcoole cannabis. L’analisi si basa su 1911 schede, di cui il 72,7%risultano essere nuovi utenti, mentre il rimanente 27,3% so-no persone già prese in carico; il 71,2% ha come sostanzaprimaria la cocaina, il 19,9% l’ecstasy, il 4,5% psicofarmaci,l’1,9% anfetamine, l’1,3% Lsd, lo 0,4% ketamina, 0,3% ina-lanti e lo 0,5% hanno indicato altro.

Dall’analisi delle motivazioni che hanno spinto isoggetti a rivolgersi ai servizi, i ricercatori avanzano unaprima considerazione che modificherebbe “la credenzache il ricorso ai servizi per gli assuntori di ricreazionali siadettato quasi esclusivamente da problemi legali, e dall’al-tro, sottolinea in maniera inequivocabile l’esistenza di unbisogno sanitario e sociale”. (Macchia, Giannotti e Taggi,I servizi e le sostanze ricreazionali. Una rilevazione clinica inItalia, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 32)

Secondo le schede di rilevazione, il 37% dei 1911utenti si è rivolto ai ser-vizi indirizzato da “sestesso”, il 19,1% da fa-miliari o amici, l’8,9%su impulso di proble-matiche sanitarie (se-condo un accorpamen-to proposto dai ricerca-tori tra l’1,9% indirizza-to dall’Ospedale, lo0,5% dal Pronto Soc-

corso, l’1,9% dai Servizi di salute mentale, l’1,9% dal medi-co di base e alcune voci riportate in “altro”). Comunque, ol-tre il 30% delle persone afferiscono ai servizi per motivi le-gali (Prefettura 18,5%, Commissione patenti 0,7%, Polizia0,4%, alternativa al carcere 11,4%): questo dato, vale la penadi ricordarlo, pone queste strutture in posizione eccentricarispetto al complesso del Sistema sanitario nazionale, aven-do un utente assuntore di ricreazionali su tre assistito coat-tivamente. Percentuale che salirebbe di molto se conside-rassimo anche coloro inviati ai Sert per uso di cannabinoidi.

Molto interessanti i dati relativi alla richiesta avan-zata dai soggetti al momento dell’ingresso. Il 38,7% chie-de di essere aiutato a smettere nell’assunzione, il 3,8% de-nuncia problemi di salute, il 10,6% ha necessità di sedarel’ansia. Quest’ultimo dato è particolarmente presente aglioperatori delle unità di strada che quotidianamente in-contrano consumatori di sostanze ricreazionali nei conte-sti di consumo. In una ricerca promossa dal Coordina-mento nazionale nuove droghe e ancora in corso di rea-lizzazione, diversi ragazzi e ragazze interpellate denun-ciano di soffrire di stati d’ansia anche dopo settimane dal-le ultime assunzioni. In incontri approfonditi proprioquesti stati d’ansia, e per alcuni il senso di persecuzione,sono causa di grande sofferenza psichica, rispetto allaquale questi giovani non dispongono di risorse adeguateda attivare, né i servizi sembrano offrirne di idonee. A ta-le proposito i ricercatori Iss rilevano come sarebbe impor-tante differenziare le sedi per la prima accoglienza daquelle normalmente impiegate per la popolazione tossi-codipendente, cosa che attualmente avviene solo per il10% dei casi, perché: “Tutte le ricerche dimostrano che ciòche i giovani maggiormente rifiutano è proprio l’identifi-cazione con il tossicodipendente”. ■

*Presidente Associazione Parsec e Coord. nazionale nuove droghe

do” risponde lei, “ma non facciamo troppo tardi, domanisiamo a pranzo dai tuoi”.

Cocaina e policonsumiCocaine. Cocaina al plurale. La stessa sostanza

sembra accompagnare tante vite comuni, scandendone l’e-sistenza tra un pranzo con i genitori e una settimana in uf-ficio, ma anche vite già segnate da altri abusi, da altre di-pendenze. Conosciuta e apprezzata da molti giovanissimicome mai era successo nel nostro paese, si può cercare, etrovare, praticamente ovunque. Da anni le équipe impe-gnate in attività di prevenzione e riduzione dei rischi neicontesti del loisir notturno andavano affermando che lei, lacocaina, era diventata la vera regina del week-end, navi-gando trasversalmen-te attraverso le età, lecondizioni socioeco-nomiche, il genere. Glistili di assunzione cheappaiono a questioperatori sono moltidiversificati, copren-do tutto lo spettro del-le possibilità, dal con-sumo sporadico e/ooccasionale di carattere ricreazionale sino alla compulsi-vità, nella ricerca della sostanza e nell’uso, di coloro che ma-nifestano forti problematicità e dipendenza. Dalla metà de-gli anni ‘90, accanto alla diversificazione dei contesti not-turni, non più centrati sulla discoteca e estesa sino alle mi-cro aggregazioni dei festini in case private, si è assistito allaassunzione di centralità della cocaina nei policonsumi, sen-za che questo fenomeno imponesse un adeguamento deiSert per affrontare i nuovi bisogni di assistenza, né un po-tenziamento di quelle attività di prevenzione, contatto e ri-duzione del danno che possono garantire adeguatezza etempestività di risposta proprio laddove i consumi di co-caina avvengono. Accanto alla cocaina del loisir, dei giova-nissimi, degli ultraquarantenni ancora in famiglia o con fa-miglia, esiste la cocaina in vena, nuova sostanza primaria dimolti tossicodipendenti già da eroina. Centro diurno Parsecdi San Lorenzo, a Roma: su circa 110 utenti tossicodipen-denti, una ventina ha virato verso la coca; nel centro diur-no di Val Melaina, sempre a Roma e della medesima coo-perativa, su circa 550 utenti, una cinquantina prendono si-ringhe per assumere cocaina. “I ragazzi ci dicono che è piùbuona, meno tagliata, più facile da trovare, ovunque e aqualsiasi ora – afferma un’operatrice -, dicono di vivere uneffetto elettrico nel cervello assai gratificante, ma per noi ri-mane un mistero questo passaggio tra sostanze, l’eroina ela cocaina, così diverse. Di certo molti tossicodipendentiche trovavano nell’eroina forme di compensazione, con lacoca scompensano, hanno atteggiamenti aggressivi e a voltedeliranti, hanno una percezione del rischio pari a zero, conuna bassissima cura di se. Inoltre non sappiamo bene cosafare quando stanno male: non abbiamo un omologo del na-loxone, che risolve molti casi da overdose da eroina. Sonopersone difficilmente inviabili in comunità, perché rifiuta-no di passare per il Sert e perché non ci sono molte realtà re-sidenziali che offrono un contenimento farmacologico.

Accanto alla cocaina del loisir c’è quella in vena, droga primaria per molti dipendenti già da eroina

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Supplemento mensilede il manifesto

27 febbraio 2004FUORILUOGOPROPOSTA FINI8

H e n r i M a r g a r o n *

Qualche settimana fa, il vicepresiden-te del consiglio Gianfranco Fini hafinalmente presentato, con moltaenfasi, la sua proposta di modificanei confronti del Dpr 309 del 1990.Elementi qualificanti, o per lo menocosì li ritengono coloro che la so-stengono, sono l’inasprimento dellarepressione nei confronti dei consu-matori di tutte e in le drogheparticolare dei derivati dellacanapa, nonché una revisio-ne dell’organizzazione del

sistema dei servizi per la cura e la riabilitazione delladipendenza da sostanze!

Il primo aspetto della proposta si basa sullaconvinzione da parte dei suoi ideatori che se il nume-ro di giovani che fuma spinelli aumenta, lo si deve aduna politica giudicata troppo permissiva nei confron-ti delle cosiddette droghe leggere. Poiché non esistono diffe-renze tra dipendenza fisica e dipendenza psichica, differen-ze sulle quali si fonda la distinzione tra droghe leggere e dro-ghe pesanti, non si giustificano scientificamente atteggia-menti diversi nei confronti delle sostanze! Tale era il leitmotivche tutti gli esponenti del governo hanno ripetuto in modostereotipato! In ogni modo si tratta di un richiamo alla scien-za a dire poco superficiale ed all’evidenza strumentale. Ladistinzione tra dipendenza fisica e psichi-ca ritenuta riduttiva è stata denunciata datempo dagli operatori stessi per non sot-tovalutare i danni prodotti dalle sostanzeillegali ma anche legali che non provoca-no sintomi fisici dolorosi al momento del-

l’astinenza. Tale distinzione fu denunciata anche, e soprat-tutto, poiché coloro i quali stanno a contatto con chi ne soffresanno che la dipendenza non può essere ridotta alla sua soladimensione fisica o psicologica, ma deriva sempre da sinto-nie pericolose tra le persone con la loro storia personale ed illoro contesto e le sostanze con i loro effetti specifici.

Poiché le sofferenze (più o meno latenti) di un indivi-duo non possono essere separate dalle condizioni in cui eglivive, la società deve prima di tutto interrogarsi sulle causeche portano alcuni dei suoi membri a soffrire o per lo menoad avere più difficoltà di inserimento e quindi a ricercare

l’aiuto di alcune sostanze. Purtroppo dalla vetrina di San Pa-trignano dove sfilano dinanzi alle telecamere di stato, i ra-gazzi che recitano tutti lo stesso copione di come hanno co-minciato a fumare spinelli per continuare con l’eroina fino aquando non sono entrati in comunità, inviano messaggi chetraducono una visione del fenomeno unicamente centratasulla sostanza. La dipendenza, prima di tutto, è un problemadi personalità e questi ragazzi avrebbero molto più da rac-

contare della loro vita! L’altro aspetto, logica conseguen-

za della posizione riduttiva assunta neiconfronti del problema tossicodipenden-za, è la minaccia più volte sbandierata neiconfronti di chi somministra metadone, di

imporre un altro modello organizzativo per la cura e la riabi-litazione. Premetto che il modello della stragrande maggio-ranza dei servizi pubblici è quello dell’integrazione e della col-laborazione anche con le comunità! Comunque se la propostamira ad offrire maggiore spazio ai servizi privati in fase di pro-grammazione ed a concedere loro la possibilità di accoglieredirettamente chi ne fa richiesta, può solo essere ben accolta,purché questo avvenga presso strutture regolarmente accre-ditate e con delle regole chiare. Il confronto delle idee e delleesperienze può solo giovare quando si tratta di affrontare unproblema così complesso ed articolato come quello della di-

pendenza. Purtroppo tentare di mettere artificialmente inopposizione dei modelli che collaborano felicemente ed iltono “revanchard” con il quale viene annunciata la rifor-ma, fa temere che non si voglia cercare di facilitare l’inte-grazione e la collaborazione, ma piuttosto imporre unmodello per altro facilmente intuibile. Ma che potremmoproporre a tutti quelli che oggi non superano i test psico-metrici imposti da San Patrignano prima di accoglierlinelle sue strutture?

Un metodo spesso utilizzato dai politici di tut-to il mondo per risolvere un problema difficile è quello direnderlo invisibile. Uno dei motivi per i quali lo scenariodelle persone che si presentano ai servizi pubblici e alle co-munità, è cambiato in questi ultimi anni, è senz’altro lega-to alla costituzione dei Sert dopo il 1990. In effetti, i Serthanno permesso e devono esserne orgogliosi, di avvicina-re ai servizi emarginati, asociali, casi difficili di cui nessu-no voleva farsi carico. L’accoglienza che i nostri servizi (co-sì come molte comunità o associazioni) ha concesso loro haconsentito a molti di sentirsi un po’ più cittadini, di riac-quistare una certa dignità e per perfino di reinserirsi deco-rosamente nella società. ■

* Direttore del Dipartimento delle dipendenze dell’Asl 6 di Livorno

E d o P o l i d o r i *

Quale sarà il ruolo del serviziopubblico qualora dovesse essereapprovata la proposta di leggeFini? Altri, anche in queste pagi-ne, hanno criticato vari aspettidella legge; io mi vorrei soffer-mare sulla parte terapeutica (eb-

bene sì, c’è anche una parte terapeutica nellalegge). Scelgo questa parte perché la descri-zione che viene data dei trattamenti a base dimedicinali oppioidi (Art. 122) passa con unafacilità estrema dall’ovvio al bizzarro, pernon dire di peggio, nel giro di poche righe.

Primo punto: il tossicodipendente devefare trattamenti «a dosaggi decrescenti in ognioccasione possibile». Ovvio, si potrebbe dire, senon fosse che tutta la letteratura scientifica in-ternazionale, come noto, si basa sul fatto che itrattamenti con oppioidi dimostrano la loro ef-ficacia se usati come terapia protratta (il termi-ne inglese “maintenance”, mantenimento,chiarisce meglio il concetto di durata). Trovostrano che il mito della Medicina Basata sull’E-videnza, vero caposaldo della pratica clinica diquesti anni, venga tranquillamente buttato alleortiche. Evidentemente non c’è evidenza scien-

tifica che tenga di fronte all’uso politico dellascienza. Un paio di ricerche svedesi, contestatea livello internazionale, fanno operare dellescelte precise sui cannabinoidi mentre quintalidi letteratura scientifica sui trattamenti farma-cologici con oppioidi non hanno peso in ambi-to clinico.

Secondo punto: «I programmi devonopromuovere la stabile astensione dalle so-stanze illegali e permettere l’evoluzione... ver-so terapie a minor rischio iatrogeno e di cro-nicizzazione». Ovvio, si potrebbe dire, se nonfosse che tutto il mondo scientifico sostiene,parallelamente al risultato terapeutico dell’a-stensione, il fine del miglioramento delle con-dizioni di salute (in tutto il mondo si chiama-no programmi di Riduzione del Danno). Ilcompito del medico, inoltre, dovrebbe esserequello di curare una patologia che si chiamadipendenza, non quello di sanzionare com-portamenti illegali. Una cosa è sostenere che ilfine dell’intervento, rispetto alle dipendenze,è astenersi dall’assumere sostanze; altro è so-stenere che non si devono assumere sostanzeillegali. Oppure si vuole affermare che l’as-sunzione di sostanze illegali è “in sé” una pa-tologia; anzi, forse è proprio questa la vera pa-

tologia, tant’è vero che di dipendenze da so-stanze legali e del loro trattamento non mi ri-sulta che si parli nella legge Fini. Cosa vuol di-re, inoltre, evitare la cronicizzazione? È il trat-tamento che cronicizza la patologia? Pensoche a volte questo possa succedere ma pensoai tanti autori qualificati e alle tante istituzio-ni (l’Oms, per esempio) che sostengono l’ideabizzarra che le dipendenze “sono” patologiecroniche e forse interrompere le cure, ridurlee limitarle più che un atteggiamento scientifi-co è un comportamento delinquenziale. Visono persone che non riescono a stare senza ilfarmaco che ha permesso loro di trovare unequilibrio come vi sono persone che non rie-scono a vivere lontano dalla comunità dovehanno sperimentato una nuova possibilità divita. Dobbiamo dimetterli tutti per legge?Oppure stare a vita in una comunità va benementre prendere a vita un farmaco è sbaglia-to? È il criterio dominante della medicinaquesto?

Terzo punto: il sistema pubblico-pri-vato che viene prefigurato dalla legge è unsistema che integra i propri interventi o sipone in termini di concorrenzialità? Pensosia evidente che siamo nell’ambito della se-

conda ipotesi e che invece di differenziare edintegrare si sia scelta la strada della competi-zione. Trovo ancora più strano che chi do-vrebbe istituzionalmente sostenere il ruolodell’intervento pubblico non perda occasio-ne per attaccarlo. Sarebbe come se il Ministrodella Salute, in ogni suo intervento, attaccas-se gli ospedali e invitasse le persone a rivol-gersi alle cliniche private. Come si intuisce,basta prendere un articolo qualsiasi dellalegge in questione (come ho fatto io) e risul-ta evidente come non ci troviamo di frontead una descrizione di un oggetto (la tossico-dipendenza) ma assistiamo alla sua costru-zione, per legge. La tossicodipendenza saràquella che questa legge costruirà: un com-portamento illegale, dove i farmaci devonoessere usati per poco tempo, che coincidecon l’esclusione sociale, e così via. Non sia-mo di fronte alla costruzione di un sistemadi cura, ma alla costruzione di un sistema.

Quarto punto: una Legge per domarlitutti. Forse dobbiamo cominciare a mettereinsieme una Compagnia dell’Anello e segui-re la strada di Frodo Baggins. ■

* Responsabile Sert Faenza

Il bando alle droghe leggere e l’imposizione di un modello unico per la cura: questi i punti d’attacco del governo

UN’IDEA REVANSCISTA

LA PARTE «TERAPEUTICA» DEL DISEGNO DI LEGGE CONTRASTA CON QUINTALI DI LETTERATURA SCIENTIFICA SULL’USO DEL METADONE

NORME BASATE SULLA NON EVIDENZA

Dalla canna all’eroina è lo slogansbagliato di San Patrignano: unmessaggio centrato solo sulla sostanza

FL La proposta Fini e quellaalternativa online su:www.fuoriluogo.it

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9Supplemento mensilede il manifesto27 febbraio 2004 FUORILUOGOREGIONI

Come spiegano in questa pagina glioperatori della Funzione pubblicaCgil, il governo di centrodestra dellaRegione Lazio ha operato scelte che in-ficiano il corretto e sereno funziona-mento dei Sert. Gli interventi che ri-portiamo di seguito sono vivide testi-monianze di come venga sconvolta, inmaniera insensata e crudele, la vitaquotidiana delle persone in trattamen-to (oltre che mortificata l’autonomiaprofessionale dei lavoratori).

METADONE IN AFFIDOUNA PRATICA STRATEGICANegli anni ‘90 uno studio condottonegli Usa dal National Istitute ofMedicine sosteneva che «i pazientiin trattamento con metadone amantenimento mostrano un nettomiglioramento delle condizioni divita (...). Cala il consumo di drogaillegale, diminuisce anche la crimi-nalità e un numero minore di per-sone si infetta con il virus Hiv». Ilmetadone è un oppiaceo agonista;somministrato in dosi adeguate,oltre a eliminare i sintomi astinen-ziali, permette di controllare il“craving“ (la “fame di eroina“) edè questo bisogno incoercibile checostituisce il sintomo indispensa-bile per porre la diagnosi di “di-pendenza da...“.La maggior parte dei programmicon metadone a mantenimentocomprende, oltre all’assunzionegiornaliera del farmaco per viaorale, interventi di medicina ge-nerale e il ricorso a tecniche dicounselinge di riabilitazione. L’obiet-tivo principale di questa terapia èaiutare il paziente dipendente, unavolta interrotto l’uso illegale delladroga, a riorganizzare la propria esi-stenza lavorativa ed affettiva. In una prima fase, i programmi dimetadone a mantenimento impo-nevano la presenza quotidiana delpaziente al servizio per consentir-gli l’assunzione del farmaco, manel corso degli anni si è andata af-fermando la pratica dell’affida-mento domiciliare per un massi-mo di sei giorni.La pratica dell’affidamento domi-ciliare è di importanza strategica inquanto permette di conciliare leesigenze della cura con quelle la-vorative, familiari e sociali. E que-sto vale in modo particolare per ipazienti “stabilizzati“, coloro chepur assumendo il metadone han-no comportamenti sociali del tuttoindistinguibili dai “nostri“. D’al-tronde consentire al paziente, libe-randolo dalla schiavitù di una pre-senza giornaliera presso il servizio,di poter essere pienamente parte-cipe dell’universo del lavoro, dellafamiglia, della società, è tappa fon-

damentale del percorso terapeuti-co. Tale pratica risulta quindi tera-peutica, soprattutto perché au-menta la “compliance“ (adesione)al trattamento, elemento indispen-sabile per la sua efficacia.Forte, quindi, è stato lo sgomentodei medici dei Sert, quando unprovvedimento della Regione La-zio, anticipando il disegno di leggeFini sulle droghe, consigliava di at-tenersi, in materia di affidamento,alle linee guida di una circolare del‘94 che permettevano l’affidamen-to del metadone esclusivamente aun parente, per un massimo di duegiorni. Una circolare ampiamentedisattesa nella prassi che, tuttavia,non era stata modificata neppuredal precedente governo di centro-sinistra.Norme così restrittive appaionodel tutto incongrue. Infatti esseviolano la legge sulla privacy pe-nalizzando i pazienti che non pos-sono contare su parenti affidabili,ma soprattutto privano i medici diuno strumento terapeutico fonda-mentale e della libertà di esercizioin scienza e coscienza. Inoltre il di-segno di legge Fini prevede ancherestrizioni del dosaggio del farma-co e detta norme sui modi della

sua somministrazione, consenten-do solo quella a “scalare“. Ciò la-scia trasparire la chiara volontà diimpedire il trattamento terapeuti-co con metadone a mantenimento.Tali provvedimenti, le linee guidadel ‘94, quindi, vanno in un’unicadirezione: un radicale attacco aiSert in favore di progetti residen-ziali delle comunità terapeuticheprivate. Ecco come interessi di na-tura politica, pregiudizio, coscien-te disprezzo per la scienza calpe-stano il diritto alla salute e alla vita.Ornella Paolantonio, medico Sert, Roma

LA CONQUISTA INSIDIATADI UNA VITA “NORMALE”Mia figlia aveva completato bril-lantemente il suo ciclo di studipresso un liceo scientifico statale,era iscritta alla facoltà di LingueStraniere e aveva soggiornato alungo in Inghilterra, lavorando permantenersi e imparare la lingua.Tornata in Italia trova subito lavo-ro, ma in seguito a un lutto, per leidevastante, comincia ad assumereeroina. Ce ne accorgiamo e lei vavia da casa. Non abitavamo a Ro-ma. Dopo qualche anno riprende icontatti. Passa altro tempo, non stabene. Risulterà positiva all’Hiv, ma

è già in Aids conclamato. «11 CD4,non le rimane molto da vivere» midicono in ospedale. Encefalopatia,paresi agli arti inferiori, sarcoma diKaposi; il calvario dei ricoveri, del-la sedia a rotelle, la nostra dispera-zione.Le nuove terapie cambiano la si-tuazione. Il Sert ci aiuta, valuta ilpiano metadonico superando lepesanti interazioni con la terapiaantiretrovirale. È grande l’aiutodegli operatori, della strutturapubblica, mia figlia riprende a vi-vere. Ora lavora da due anni, è ap-prezzata, è motivata. Purtroppoquesto durissimo percorso sta peressere vanificato. La pratica del-l’affido metadonico all’utente chelavora è stata sospesa dalla Regio-ne Lazio, devo essere io a ritirarlo.Trasferisco la mia residenza a Ro-ma con enorme sacrificio economi-co. Non c’è altro da fare, non puòperdere il lavoro. Come farà se miammalerò, come farà quando ionon ci sarò più? Non le sarà piùpossibile seguire la terapia che l’hatenuta lontana dalla droga se nonrinunciando al suo lavoro e allospazio che si è ritagliata dopo tan-te sofferenze.Chi con l’aiuto del Sert e della fa-

miglia e malgrado l’Aids è tornataa vivere e a inserirsi nel mondo la-vorativo, non merita di dover sce-gliere tra lavoro e terapia metado-nica, quando le due cose insiemepossono permettere una vita dinuovo “normale”.

R. M.,una delle tante madri senza più armi

UN BARATRO IN CUI NON VOGLIOESSERE RICACCIATASono stata a lungo schiava dell’e-roina e da alcuni anni in curapresso il Sert dove ho faticosa-mente iniziato un percorso versouna situazione accettabile grazieanche all’aiuto dello psicologo edi una dottoressa. Il quantitativogiornaliero di metadone opportu-namente mi è stato aumentato vi-

sto che la terapia antiretro-virale interagiva con questoaccelerandone il metaboli-smo e diminuendone l’effi-cacia. È superfluo dire chela sieropositività è un’altraeredità dell’eroina. Con laterapia metadonica e i con-sigli della dottoressa che misegue avevo trovato unequilibrio maggiore e la vo-lontà di impegnarmi nel la-voro. Sono stata fortunata.Grazie a un diploma discuola superiore e alla per-fetta conoscenza dell’ingle-se, da tre anni ho sempre la-

vorato 8-9 ore al giorno grazie al-la pratica dell’affido con gli esamidi controllo settimanali richiestidal mio Sert. In seguito a una cir-colare regionale, l’affido mi è sta-to tolto in quanto viene concessosolo a un parente e per non più didue giorni; e qui le prime enormidifficoltà. Ora con il nuovo dise-gno di legge sulla droga si vuolefissare un tetto massimo di quan-tità metadonica... Se questa leggedovesse passare, io e tanti altri co-me me ci ritroveremmo disoccu-pati, non essendo gli orari di lavo-ro conciliabili con quelli dei Sert.Chi non ha parenti in grado disobbarcarsi giornalmente que-st’onere o chi è solo al mondo,piomberebbe in una situazioneassolutamente tragica. Temo chedopo tante sofferenze e ostacoli,per i meno fortunati sarebbe altis-simo il rischio di essere ricacciatiindietro nel baratro dell’eroina. Èquesto che vuole chi ci governa?In realtà la sensazione è quellad’essere considerati cittadini sco-modi di serie B ai quali non servedar voce né riconoscere diritti.Insomma, esseri umani da dimen-ticare e non da aiutare.

S.C., Roma

***

Alcuni dei devastanti effetti causati dall’eventuale approvazione della legge Fini sulle dro-ghe sono già ampiamente osservabili nei Sert della Regione Lazio, regione in cui sono sta-ti di fatto limitati i diritti fondamentali degli utenti e degli operatori. Nei Sert di Roma edel Lazio, infatti, da circa un anno gli operatori e gli utenti stanno sperimentando l’appli-cazione operativa della “tolleranza zero” contro la cura e la riabilitazione della dipenden-za da eroina. Brevemente i fatti. Circa un anno fa, si sono verificate in alcuni Sert di Romadelle ispezioni effettuate dal comando dei carabinieri per la sanità che contestavano gli af-fidi di metadone ai pazienti citando quanto espresso da una desueta circolare del mini-stero della Sanità (n. 20/94) che consentiva l’affido solo a un familiare e per non più di duegiorni, ingerendo quindi pesantemente sia sulle relazioni terapeutiche che sulla privacy

dei pazienti e sull’autonomia terapeutica degli operatori. Venivano inoltre di fatto esautorate tutte le normative suc-cessive ivi comprese le linee guida del ministro Veronesi in materia di riduzione del danno e la legge sulla privacy.Aquesti gravissimi episodi seguivano due comunicazioni ufficiali: una del Dipartimento sociale della Regione La-zio, inviata ai direttori generali delle AA. SS. LL.; l’altra del ministero della Salute, conseguente ad una interroga-zione in merito effettuata anche dall’Ordine dei medici di Roma e Provincia. Entrambe di fatto ribadivano la vali-dità della circolare 20/94 per il solo metadone. Una richiesta di revoca della comunicazione effettuata alla RegioneLazio dalla Funzione pubblica Cgil di Roma e Lazio è ancora in attesa di risposta.

Senza voler entrare più di tanto nel merito di considerazioni scientifiche vogliamo porre l’accento su quan-to c’è in realtà dietro a tutto questo: la sempre più frequente presenza dei carabinieri fuori e dentro i Sert, i continui“controlli” sui pazienti e le continue richieste di informazioni agli operatori, la ne-gazione di fatto del Sert come luogo di cura, la discriminazione di questi servizi ri-spetto agli altri, ancora e sempre, di fatto, l’identificazione del tossicodipendentecon un criminale e la negazione della dignità professionale degli operatori dei Sert,del diritto di cura dei cittadini tossicodipendenti.

Alla storica situazione di “abbandono” dei Sert da parte della Regione intermini di investimenti strutturali e di risorse umane (personale fortemente al disotto di quanto previsto dalle leggi, orari di apertura fortemente ridotti) si associaora la totale assenza in termini di tutela professionale per cui, con situazioni estre-mamente difformi da azienda sanitaria ad azienda sanitaria la circolare viene ap-plicata del tutto, in parte o affatto e la prosecuzione del progetto terapeutico dei pa-zienti diventa di fatto spesso legata all’assunzione individuale, da parte degli ope-ratori, di responsabilità non dovute, con risvolti penali pesanti ed affrontati in com-pleta solitudine rispetto alla tutela delle istituzioni. ■

***Gruppo di lavoro operatori Sert Funzione pubblica Cgil Roma e Lazio

LAZIO, PROVE D’ORCHESTRAPER UNA LEGGE ANNUNCIATA

Sempre più frequenti, nelcorso dell’ultimo anno, le incursioni dei carabinieri nei Sert. Preso di mira l’affido di metadone cheè stato limitato in modopesante rispolverando una circolare del 1994

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passi in avanti. AMontecitorio in Commissione giustizia èstato definitivamente licenziato il testo che modifica il co-dice penale prevedendo il reato di tortura. In Commissio-ne affari costituzionali è stato definito un testo unificato suldifensore dei diritti dei detenuti. Ora si è aperta la fase del-la presentazione degli emendamenti.

Nulla va dato per scontato. C’è chi sostiene che delreato di tortura nel codice Rocco non ve ne sia proprio bi-sogno, chi che la tortura riguarda il terzo mondo, chi chenon si può frenare l’attività di pm e poliziotti. In Germania,l’anno scorso, il capo della polizia è stato costretto a di-mettersi perché aveva autorizzato l’uso della tortura perestorcere, a un sequestratore, la confessione di dove avevanascosto il bambino sequestrato. In Francia, di recente, ilComitato europeo per la prevenzione della tortura ha de-nunciato il rischio di trattamenti disumani e degradantinelle carceri transalpine. In Israele la Knesset ha dibattutose legalizzare la tortura. A Guantanamo viene quotidiana-mente praticata da circa 2 anni: tale è infatti la “incommu-nicado detention”. Nessun paese è indenne dal rischio dipraticare violenze sulle persone custodite contro la lorovolontà. Negli ultimi 4 anni vi sono stati gli episodi ecla-

10 Supplemento mensilede il manifesto

27 febbraio 2004FUORILUOGOCARCERE

P a t r i z i o G o n n e l l a

«Abbiamo le carceri più vivi-bili del mondo anche senon tutte le nostre carcerisono belle allo stesso modo.Ottanta carceri in tutto ido-nee agli scopi istituzionali,altre meno belle. Un fatto ècerto: il nostro sistema pe-nitenziario è sicuramentetra i migliori del mondo, sia

sotto il profilo della gestione della sicurezza che, e soprat-tutto, di quella del trattamento. Potrei stare ore a descri-verlo, ma voglio tenere conto solo dei fatti: siamo conti-nuamente bersagliati da richieste che ci vengono da tuttele parti del mondo di contribuire alla formazione deglioperatori penitenziari. Sto parlando dell’Afghanistan, co-me dei cinesi che desiderano insegnare ai loro formatori,dell’Albania dove stanno insistendo perché vogliono checontinuiamo ad addestrare i loro formatori, del Kosovo ecosì via, per non parlare delle innumerevole missioni distudio che fanno da noi canadesi,svedesi, francesi. Tutto questonon è senza significato». (Giovan-ni Tenebra, capo del Dipartimen-to dell’amministrazione peniten-ziaria).

«Tutti siamo contro la tor-tura e infatti nel nostro ordina-mento già ci sono tutti i mezzi percontrastarla. Ma un conto è la tor-tura, un conto è prevedere il car-cere fino a dieci anni per chi cercadi investigare. Una norma comequesta non serve a nulla se non amettere a punto uno strumento,da mettere nelle mani degli avvo-cati, per contrastare l’attività in-vestigativa. È un provvedimentoche ha insomma un potere ricat-tatorio e come tale da respinge-re». (Antonio Di Pietro, leaderdell’omonima lista Di Pietro-Oc-chetto).

Fortunatamente non tuttila pensano così. Nei giorni scorsii provvedimenti di legge sulla in-troduzione del crimine di torturae sulla istituzione del difensore ci-vico delle persone private della li-bertà hanno fatto significativi

S e r g i o S e g i o

Il primo del 2004 si chiamava P.G., 41 anni.Si è ucciso proprio il 1° gennaio in una cel-la di Rebibbia, forse perché era stato licen-ziato: non fuori, ma in carcere, dove l’uni-co articolo 18 che l’amministrazione peni-

tenziaria riconosce è quello dell’Ordinamentopenitenziario, che disciplina i colloqui e la corri-spondenza. Ne ha scritto qualche giorno dopoLuigi Manconi, in un articolo che si concludevacon una banale, ancorché rimossa e amara, ve-rità: in galera non ci si ammazza tanto perché siè disperati, in galera ci si ammazza perché si èin galera.

Forse è dunque per vergogna che le au-torità competenti non forniscono più da tempoi dati dei suicidi, dell’autolesionismo, dellemorti di carcere.

Nella corposa relazione del ministerosull’amministrazione della giustizia per l’i-naugurazione dell’anno giudiziario, al riguar-do non c’è il minimo accenno. Somiglia un po’al “tutto va bene, madama la marchesa” del

Berlusconi di Porta a por-ta. Stessa omissione nel-l’intervento fatto nellamedesima occasione dalministro Castelli, che hainvece trovato spazio perparlare, come fosse no-vità, del solito piano perl’edilizia di 23 nuovi pe-nitenziari (piano demeri-toriamente voluto e vara-to dal passato governo dicentrosinistra con PieroFassino), dell’attivazionedi 361 corsi di formazionecon il coinvolgimento di3.879 detenuti (vale a direappena il 7% della popo-

lazione detenuta), nonché dell’istituzione nel-la polizia penitenziaria di un reparto a cavallo(sic!).

L’unica traccia di un’attenzione allemorti dietro le sbarre si trova nella relazione diapertura dell’anno giudiziario tenuta il 12 gen-naio dal procuratore generale della Corte dicassazione, Francesco Favara. Il quale, lamen-tando che «molti procuratori generali non han-no fornito dati precisi» e definendo «allarman-te» il numero dei suicidi e tentati suicidi deidetenuti, ha fornito la seguente cifra: dal 1°gennaio 2002 al 30 settembre 2003 i casi sonostati 108, di cui 83 suicidi. Una cifra che il pro-curatore generale dichiara provenire daun’imprecisata «altra fonte» rispetto a quellache sarebbe titolata e fors’anche tenuta a for-nirli, ovverossia il Dap. E viene quasi da pen-sare che la fonte utilizzata sia quel dossier“Morire di carcere”, realizzato da Ristretti oriz-zonti (www.ristretti.it), il giornale dei detenutie detenute di Padova e Venezia, di cui abbiamoparlato in Fuoriluogo del novembre scorso. Co-sì fosse, sarebbe certo paradossale, ma allostesso tempo renderebbe più affidabili le cifreindicate. Basti vedere i numeri sull’applicazio-ne del cosiddetto “indultino” (detto anche “in-sultino”) forniti il mese scorso dalle autoritàpreposte: circa 2000 (secondo la relazione delministero per l’inaugurazione dell’anno giudi-ziario); 2.700 (per Giovanni Tinebra, capo delDap); 3.941 (seguendo l’intervento del mini-stro della Giustizia Roberto Castelli all’inau-gurazione dell’anno giudiziario).

L’unica cosa certa è che molti di coloroche hanno usufruito della legge 1° agosto 2003n. 207 stanno rapidamente rientrando in carce-re, in genere a causa delle modalità e dei con-trolli previsti che hanno carattere vessatorio edi difficile praticabilità, come, inascoltati, ave-vamo denunciato nel corso dei lavori parla-mentari.

Nel frattempo, il dossier di Ristretti oriz-zonti ha aggiornato a gennaio 2004 i dati dellemorti (75 nel 2002 e 75 nel 2003 quelle ricostrui-te, tra suicidi, decessi per malasanità, per causenon chiare, per violenze e per overdose) e ha ag-giunto un nuovo capitolo all’indagine: quellosugli esiti dei procedimenti giudiziari aperti perle morti e i pestaggi. Risultato: «Se una volta sudue la morte di un detenuto passa sotto silen-zio, nove volte su dieci i processi per questemorti non trovano spazio sui giornali. Tanto-meno ne trovano le notizie relative ai processiper le presunte violenze e omissioni commessea danno dei detenuti, che invece non sono cosìrari come la gente pensa», scrivono i curatoridella ricerca.

I procedimenti forse non sono rari, maquello che sembra essere poco frequente è lacondanna, che avverrebbe solo in un 10% deicasi, perlomeno dovendo stare a una delle fonti(il segretario di uno dei maggiori sindacati del-la polizia penitenziaria) rintracciate sui giorna-li, che sono l’unica origine della documentazio-ne raccolta da Ristretti.

Vero è che la documentazione reperita èdecisamente insufficiente per fondare una qual-che statistica significativa, pur se sono stati cir-ca 5.000 gli articoli contenenti notizie sul carce-re consultati. Il materiale raccolto riguarda in-fatti solo 32 procedimenti, relativi a morti avve-nute nell’arco di ben 10 anni. Ancora minori gliarticoli su presunti pestaggi e maltrattamentisubiti da detenuti: quelli rintracciati concerno-no meno di 20 inchieste e praticamente nessunaè seguita sino alla sentenza definitiva.

Mai come in questo caso si può dire al-lora che la notizia (inquietante) è proprio lamancanza di notizie, vale a dire della disatten-zione dei media, e quindi della pubblica opi-nione, al rispetto della legalità, della vita, dellasalute e della sicurezza dei cittadini rinchiusinelle prigioni. ■

ALLA CAMERA DUE PROPOSTE, PER INTRODURRE IL REATO DI TORTURA E LA FIGURA DEL DIFENSORE DEI DETENUTI

TORTURE DA PRIMO MONDO

Vien i avant i padano

Dall’intervento del ministro della GiustiziaRoberto Castelli all’inaugurazione dell’an-no giudiziario: «Mi torna alla mente l’inau-gurazione dell’anno giudiziario di Inghilterrae Galles a Londra a cui ho partecipato. De-vo dire che l’ermellino italiano destava mol-ta ammirazione». A noi invece torna in men-te la regina Maria Antonietta.

( m a r a m a l d o )

MORTI SENZA MEMORIA

tanti di Napoli, Genova, Sassari. Inchieste che hanno coin-volto centinaia di poliziotti, appartenenti a tutte le forzedell’ordine.

L’Italia è sempre buona prima nel ratificare le con-venzioni internazionali sui diritti umani. È, però, fra leultime ad adeguare ad esse la legislazione interna. LaCorte penale internazionale è già in vigore e il nostro co-dice di procedura penale non è stato adattato allo statutodella Corte. La Convenzione Onu contro la tortura risaleal 1984 e, nonostante i solleciti degli organismi interna-zionali, il crimine di tortura non è mai stato codificato.Non è in questo modo che la cultura dell’universalismodei diritti umani, retoricamente richiamata ogniqualvol-ta si parla di islam, veli e infibulazioni, viene promossa esostenuta.

L’Italia è tra i 23 paesi che hanno firmato il proto-collo alla Convenzione Onu contro la tortura che preve-de un meccanismo planetario di ispezioni dei luoghi de-tentivi. Il protocollo impone agli Stati di prevedere orga-nismi nazionali indipendenti di controllo di prigioni estazioni di polizia. Proprio ciò che dovrebbe fare il difen-sore civico. ■

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Supplemento mensilede il manifesto27 febbraio 2004 FUORILUOGORECENSIONI

La ricerca sulla dipendenza nell’era della proibizione, un libro di Caroline Acker

SCIENZIATI SENZA GLORIA

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G i o r g i o B i g n a m i

«Senza speranza non è la realtà ma il sapere che – nel simbolo fan-tastico o matematico – si appropria la realtà come schema e co-sì la perpetua». L’aspra sentenza di Horkheimer e Adorno (Dia-lettica dell’illuminismo), usata a suo tempo dai Basaglia come in-cipit della voce “Follia/Delirio” per l’Enciclo-pedia Einaudi, ben rappresenta lo spirito e lostile di Creating the American Junkie – AddictionResearch in the Classic Era of Narcotic Control diCaroline Jean Acker, una analisi degli sviluppiscientifici riguardanti la droga nei successivi

periodi del secolo scorso. Il lavoro di Acker, infatti, carte alla mano (32 fit-te pagine di note bibliografiche), mostra come farmacologi, medici, psi-chiatri, psicologi, sociologi, abbiano accanitamente gareggiato tra loro perquasi un secolo al fine di coniare i simboli più adatti a rimuovere il tossi-co (ma junkie è più forte – da junk: robaccia, immondezza, paccotiglia) inuna sfera di emarginazione e di alienazione: simboli volta per volta mate-matici – come in quei modelli psicopatologici che l’autrice definisce basa-ti su di un “concetto metrico del normale” – ovvero fantastici – come le de-finizioni di “costituzionalmente inferiore”, di psicopatico, di psicolabile,coniate per i tossici; o come le fantasiose sei categorie inventate dallo psi-chiatra Lawrence Kolb negli anni venti per classificarli, successivamente“confermate” dagli studi di Michael Pescor, condotti negli anni trenta sulla pelle delle ca-vie umane nel famigerato ospedale-prigione federale di Lexington, Kentucky.

Prima delle leggi restrittive del 1909 (Smoking Opium Exclusion Act) e del 1914 (Harrison Narcotic Act), gli oppiacei erano venduti e consumati negli Usa senza restrizioni,con o senza indicazione del medico. Ciò aveva favorito l’instaurarsi di una dipendenzaanche grave in molti soggetti che si erano per lo più rivolti alle sostanze per lenire una sof-ferenza fisica o psichica, piuttosto che a fini puramente edonici o ricreazionali. Questa si-tuazione innescò le reazioni delle potenti lobbies attive nelle campagne contro il vizio, del-le autorità pubbliche e della corporazione medica il cui credito, ancora piuttosto basso aquell’epoca, era ulteriormente sminuito dall’accusa di fomentare il vizio della droga.

Da questo punto in poi le misure repressive e punitive dei pubblici poteri e gli svi-luppi nei vari filoni scientifici e clinici fecero le loro escalation parallele, pur con frequenticonflitti tra le varie parti. Dall’analisi di Acker emergono chiaramente sia i modi e mecca-nismi con i quali venne forgiata la junkie culture – non come insieme di comportamenti far-macologicamente determinati, ma co-me risposta di adattamento a un con-testo sociale di uso delle sostanze in ra-pido mutamento – sia i percorsi disconfitta dei pochi oppositori delletendenze dominanti, come CharlesTerry. Così anche è accurata la cronacadelle corse alla appropriazione deiproblemi da parte dei vari corpi pro-fessionali a caccia di soldi, di promo-zione, di riscatto dai bassi livelli inizia-li di credito (il che vale ugualmente peri farmacologi, i medici e gli psichiatri).

Questa gara prende spesso ilvia da quelle migliori intenzioni di cuiè notoriamente lastricata la via dell’in-ferno (l’inferno, s’intende, non per iprofessionisti e tecnici coinvolti, mapiuttosto per gli sfortunati tossici presitra più fuochi): cioè dalla superficialecondanna degli approcci punitivi e re-pressivi adottati con le leggi del 1909-14 e poi ripetutamente inaspriti, perpoi approdare a sostanziali compro-messi con i fondamentalisti e i lorosbirri, alla legittimazione del loro ope-rato. Infatti Kolb sarà il primo diretto-re del lager di Lexington inauguratonel 1935; e anche i farmacologi nonmancano di tirare la coperta dalla loroparte, ritagliandosi con programmiper lo più fallimentari (per esempio,quelli mirati a mettere a punto sostitu-ti degli oppiacei non tossicomanigeni)

la loro fetta consistente di soldi e di potere. Proprio come hanno puntualizzato Delia Fri-gessi Castelnuovo e Michele Risso (A mezza parete, Einaudi, 1982, p. 54): «Il progresso del-la medicina è lento e difficile... Tanto più lento e difficile quanto più questa disciplina rice-ve ed accoglie la delega di interpretare fenomeni che con essa non hanno a che fare se nonper le apparenze dei loro stadi conclusivi. Il problema della ingiustizia, della miseria, del-la violenza, percorre la storia. La medicina coglie i segni che “le competono” e ne fa tal-

volta – nel rispetto ossequioso dei paradigmi – capitoli non gloriosi, maconsistenti, della sua storia».

Più tardi, quando entrano in scena i sociologi della scuola di Chi-cago, essi criticano duramente sia le strategie repressive dei pubblici pote-ri, sia gli imbrogli medico-farmacologico-psichiatrici. Ma ben presto i loroschemi si rivelano subordinati alla ideologia dominante, teorizzando lanecessità di un adattamento dei soggetti a una realtà di merda, non di unamodifica di questa realtà. E solo molto più tardi, cioè negli anni ‘70 e ‘80,sotto la spinta dei fallimenti e delle crisi a ripetizione, potranno sfuggire aquesta logica quei filoni di ricerca etnografica e antropologica che tentanodi restituire al tossico dignità piena di soggetto, di analizzarne i reali biso-gni, di assegnargli un ruolo primario nella gestione dei suoi problemi.Troppo tardi, ahinoi: poiché dopo un periodo di cauta apertura durante lapresidenza Nixon – assillato dalla escalation della criminalità collegata allenarcomafie, dall’esercito degli eroinomani di ritorno dal Vietnam, egli fi-nanzia nuovi programmi finalmente efficaci di assistenza sul territorio,anche se non osa toccare la pesante criminalizzazione del possesso di dro-

ga – la situazione ricomincia a peggiorare, prima con Reagan e poi con Bush. Il libro è assai più ricco di quanto non emerga da questo rapido commento che qui

deve chiudere: ma non senza una menzione della efficace sintesi finale degli argomenti afavore delle strategie di riduzione del danno. E solo qui, nell’ultimo paragrafo, dopo oltre200 pagine di rigorosa astensione dai toni gridati, esplode lo sdegno dell’autrice in unacondanna senza appello dell’interessato cinismo di quei politici che rifiutano tali strategie,rendendosi così responsabili, oltre che del trattamento disumano di moltissimi soggetti, didanni sempre più gravi alla salute e al benessere dell’intera comunità umana. ■

Caroline Jean Acker: Creating the American Junkie – Addiction Research in the Classic Era of Narcotic Control.The Johns Hopkins University Press, Baltimore & Lon-don, 276 pp., 2002.

Farmacologi e psichiatri,psicologi, sociologi emedici hanno gareggiatoaccanitamente perquasi un secolo nelconiare i simboli adattia confinare il tossico inuna sfera di alienazione

A l e s s a n d r o O r s i *

Le invasioni barbariche è certamenteun bel film che offre uno sguardodiverso sull’eroina, sostanza perantonomasia associata alla morte,al dolore e alla sofferenza. Già ne

ha parlato Giorgio Bignami (Fuoriluogo, gen-naio 2004), tuttavia vorrei fornire un ulteriorespunto critico: il film di Denys Arcand infatti,evidenzia tra l’altro quanto ancora ci sia da“sgomberare” nei servizi per le tossicodipen-denze e nelle menti anche di chi lavora nel-l’ottica della riduzione del danno, sotto la pe-sante influenza del proibizionismo.

Atal proposito, colpisce la scena in cuila giovane protagonista (consumatrice dieroina) si trova, manco a dirlo, di fronte a unsignore in camice bianco, che dice testual-mente: «Tutti i giorni devi berne un “boccetti-no”, se non lo bevi sei fuori dal programma.Ora bevilo davanti a me». Nel boccettino si ri-conosce il metadone, la giovane “incassa” be-vendone il contenuto e prendendo con sé unabusta di plastica con un numero sufficiente diboccettini per autogestirsi la terapia fino alprossimo incontro col personaggio in camicebianco. Il tono del medico (?) – non si capisce

se lo è o no, anche il mio ottico usa il camicebianco per esempio – non è dei più affabili econcilianti, è secco e autoritario come se per laragazza non ci fosse altra strada da percorre-re. Insomma, il solito spiacevole imbuto daimboccare (nuovo proverbio: “dal tunnel al-l’imbuto” – l’imbuto non è il metadone ma ilmodo in cui lo si propone, come il tunnel nonè l’eroina ma il modo di gestire una sostanzarendendola proibita): alla nostra giovane tos-sica, dall’aria non troppo soddisfatta, non re-sta che ingoiare, con espressione dubbiosa, ladose quotidiana di metadone.

L’altro aspetto che salta agli occhi dichi vuole vedere è la mancanza della dimen-sione del piacere. Qui qualcosa stride, e comesempre il piacere viene occultato perché nonaccettato. Eppure si tratta di quell’aspetto delpiacere che tout le monde conosce bene: il pia-cere dei sensi. Che è cosa rara, costosa o a vol-te dannosa (in questo ultimo caso spesso di-pende dall’uso/abuso). Così, nel film, l’aspet-to salvifico fa capolino e neanche tanto in mo-do discreto, visto come viene trattato il pros-simo che usa il metadone.

Niente contro il metadone, anzi il me-tadone come ben sappiamo aiuta a migliora-

re la vita di molti che usano eroina (e non so-lo di quelli che la usano), ma è assente il pia-cere dell’effetto dell’eroina, e i benefici che sene traggono nella “cura” della sofferenza in-teriore, (magari palliativa, temporanea, mapur sempre un momento di pace e piacere).Forse qualcosa se ne intravede nella scena incui il simpatico Rémy Girard cavalca il dra-gone supportato dalla Brown Sugar e si ralle-gra; ma poi muore, dunque alla fine il consu-mo viene sempre ricollegato a qualcosa di tri-ste, al mesto fato del genere umano: la morte.La giovane e bella tossica invece smette di“bucarsi” (?) grazie a un programma farma-co-terapeutico.

Forse il film voleva evidenziare pro-prio queste situazioni, una visibile e l’altrano, chissà!? Non ci resta che sperare che do-po Il declino dell’impero americano e Le invasio-ni barbariche, il regista Denys Arcand vogliafornire una visione meno barbarica, ma piùesplicita e veritiera, del perché le personeconsumano eroina. Dando magari al nuovofilm un titolo provocatorio: Il piacere, declinobarbarico. ■

* Coordinamento “In Prima Persona”

CANCELLAZIONI BARBARICHE

FL Le altre recensione suwww.fuoriluogo.it

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12 Supplemento mensilede il manifesto

27 febbraio 2004FUORILUOGOSCUOLAPREVENZIONE

R o d n e y S k a g e r *

Ci sono molte ragioni per ritenere che l’attua-le approccio di prevenzione adottato nellescuole americane debba essere cambiato.Basta guardare alla realtà di vita dei ragaz-zi. Il tempo libero della maggior parte di lo-ro ruota intorno all’uso dell’automobile e al-le feste. I più si possono permettere questostile di vita perché hanno danaro in proprio,che proviene o dai genitori o da lavori parttime. Gli adolescenti pensano di avere il di-

ritto di scegliere il proprio stile di vita, e di decidere sul vestiario,sui divertimenti, sugli amici; allo stesso modo, pensano di doverdecidere se provare o meno l’alcol e altre droghe, specialmente lamarijuana. Questo senso di indipendenza riflette la libertà di cuigodono al giorno d’oggi.

L’adolescente medio spende molto poco tempo con gliadulti, compresi i genitori. La gran parte delle famiglie sono com-poste da due genitori che lavorano o da un solo genitore. Nella odierna società ultrain-daffarata, non è realistico pensare che sia possibile una stretta supervisione dei ragazzinelle ore dopo la scuola o nei fine settimana. Gli educatori frustrati e altre autorità ten-dono a biasimare i genitori per i peccati dei loro figli, e sputano regolarmente sentenzeesortando i genitori a riassumere il controllo; dimenticando però le pressioni che subi-scono i genitori e la libertà che una società ricca e moderna concede ai ragazzi.

Ecco perché c’è bisogno di un nuovo approccio realistico alla prevenzione, vistoche i ragazzi sono in grado di ragionare a livello degli adulti. Questa loro capacità fa sìche si accorgano se ci sono degli errori in ciò che gli adulti vanno dicendo sull’alcol e lealtre droghe, soprattutto quando a guidarli è l’esperienza personale. Si accorgono allo-ra che le conoscenze solo negative che hanno appreso da bambini sono viziate dal pre-giudizio, e prendono in giro i programmi che hanno seguito alle elementari: quelli cheinsegnano a “dire no” quando i coetanei fanno “pressione” perché prendano la droga.Molti percepiscono l’ipocrisia di una società che permette su tutti i media la pubblicitàdell’alcol, mentre al contempo tratta come reato pe-nale il consumo di marijuana. Molti, per non dire lamaggioranza, ritengono che la marijuana sia unadroga leggera, a dispetto di tutti gli avvertimenti sulfatto che l’uso di canapa porterebbe a consumaredroghe “più pesanti”. Gli adolescenti non amano es-ser trattati come se fossero ancora bambini, visto chehanno la capacità di ragionare come gli adulti. I ra-gazzi sono perlopiù in grado di riconoscere l’indot-trinamento e si risentono se ci si rivolge a loro concondiscendenza: pensano di avere il diritto di deci-dere da sé il genere di esperienze da fare.

Negli Stati uniti, la prevenzione è perlopiù trattata come una materia scolastica,con programmi altamente strutturati, svolti nelle classi ordinarie. Solo occasionalmentequeste materie sono impartite da esperti di educazione alla salute, mentre di solito que-sto compito è assegnato agli insegnanti ordinari, che magari si impegnano marginal-mente, se mai si impegnano, nell’educazione preventiva.

È un errore forzare la prevenzione sulle droghe e sull’alcol nel modello delle ma-terie di programma. L’educazione sulle droghe non è la stessa cosa dell’insegnamentodella matematica, della storia, dell’inglese: per quanto queste materie siano importanti,tuttavia hanno poco a che fare con il modo in cui i ragazzi si divertono, o scelgono i lo-ro amici o fanno esperienza del mondo che li circonda. Il modello delle materie curri-culari è adatto per un corpo di conoscenze e di abilità che di solito sono prive di conte-nuto emotivo: si prevede un percorso graduale e predefinito delle conoscenze, basatosulle letture e le lezioni, con una chiara distinzione fra insegnanti e allievi. Ma non è l’ap-proccio giusto per apprendere su qualcosa di così complesso e personale come l’altera-zione dell’esperienza, della coscienza e del proprio stato mentale.

Già all’età di 13 o 14 anni, i ragazzi sono in genere stanchi di esercitarsi a “direno” alle droghe, come facevano da bambini: è una cosa che appare particolarmente stu-pida a quell’età, perché alle superiori le cose si rivelano ben diverse da quanto gli si vo-leva far credere da bambini. E per di più, la fiducia fra gli insegnanti e i ragazzi, sul te-ma delle droghe, è spesso già seriamente compromessa. Con queste premesse, non c’èda stupirsi che molti insegnanti si sentano in difficoltà a fare prevenzione con gli stu-denti di 11 o 12 anni. Se lasciano aperto uno spiraglio al di fuori del programma, corro-no il pericolo di sentirsi rivolgere domande difficili, a cui non possono rispondere sin-ceramente (oppure hanno paura di farlo). Alcune di queste domande mirano a saggia-re la loro preparazione, e perfino a metterli in imbarazzo. Ecco qualche esempio di do-mande che spesso i ragazzi fanno, quando sono liberi di farle.

«Che cosa è peggio, la marijuana, le sigarette o l’alcol?». «Perché la marijuana èillegale, e le sigarette e l’alcol no?». «Perché gli adulti sono così contrari allo sballo?». «Mipare che studio meglio quando sono sotto l’effetto dell’erba. Mi concentro meglio. Nonè così per alcune persone?». «Ha mai provato qualche droga?».

Sono domande che non si sentono nei programmi di prevenzione “politicamen-te corretti”. È anche possibile rispondere a queste domande, ma per riuscirci bene civuole onestà e coraggio. Ad esempio, per la prima domanda, bisogna riconoscere chenon esiste un motivo razionale per criminalizzare la marijuana e considerare lecito l’u-so di tabacco e alcol (per gli adulti). Il ragazzo che fa questa domanda, già sa che l’alcole le sigarette uccidono centinaia di migliaia di americani ogni anno, ma non ha mai sen-tito dire che la marijuana abbia ucciso qualcuno. È vero che alcuni rischiano la vita sefanno qualcosa di pericoloso sotto l’effetto della marijuana, tuttavia, se l’adulto difendelo status quo, l’unico effetto sarà di screditarlo agli occhi dei ragazzi, che hanno soprat-tutto bisogno di una guida intelligente e emotivamente vicina.

Il che non significa dare il permesso di usare l’alcol e le droghe. Una prevenzio-ne onesta si fonda su una valutazione realistica dei tre rischi principali per chi si accin-ge a far uso di alcol e droghe: 1) dal 5 al 10% presto o tardi diventa consumatore pro-blematico e sviluppa dipendenza; 2) usare l’alcol prima dei 21 anni, e droghe a qualsia-si età, può significare incorrere nei rigori della legge, con multe, carcere e una fedina pe-nale macchiata che può danneggiare più avanti negli anni; 3) gli episodi di intossicazio-ne possono provocare (e provocano) danni fisici, problemi relazionali, e comportamen-ti imbarazzanti.

Su queste basi di realtà, si può discutere apertamente e sinceramente su tutto ciòche c’è da sapere sulle droghe e i loro effetti.

A partire da quelle domande, si possono sviluppare discussioni utili, con l’aiutodi un facilitatore esperto: i giovani stessi possono trovare le risposte, basate di solito sul-l’esperienza personale o sull’osservazione. Aiutare i giovani a ragionare da sé non è so-lo il miglior metodo di educare, ma favorisce anche una interazione positiva con loro,superando l’ascolto passivo e distaccato. Troppo spesso invece, nella prevenzione tra-dizionale, il “programma” intralcia la comunicazione autentica fra insegnante e stu-dente.

Se vogliono conquistare l’attenzione dei giovani, gli adulti devono stabilire del-le relazioni che facilitino l’apprendimento personale, differente da quello scolastico. Oc-

corre perciò un processo di apprendimento aperto einterattivo, che si può riassumere in questi principi:fiducia, rispetto, flessibilità e responsabilità. Per sta-bilire un rapporto di fiducia coi giovani, è necessarioessere bene informati sia sugli effetti positivi che ne-gativi delle droghe. È essenziale dare risposte oneste,anche se talvolta può capitare di rispondere: «Non loso, ma vediamo se possiamo scoprirlo insieme». Èun buon metodo, perché stimola la partecipazione efissa il principio che anche l’insegnante ha qualcosada imparare.

Inoltre, i giovani e gli adulti devono rispettare reciprocamente le loro opinioni,esperienze e valori. Ciò significa evitare di trattare le persone dall’alto in basso, speciecon giudizi personali moralistici. Se un comportamento è avventato o pericoloso, si puòchiarirlo, senza per questo sminuire l’individuo che si è comportato in quel modo.

Un processo di apprendimento è flessibile, quando si affrontano subito le do-mande pressanti dei giovani, senza rinviarle perché si deve seguire la sequenza degli ar-gomenti prevista dal programma.

L’ultimo requisito è la mutua responsabilità, nel far sì che l’esperienza educativasia significativa e ricca di informazioni, sia per gli adulti che per i giovani.

I quattro principi che abbiamo descritto hanno tutti lo stesso obiettivo: favorirelegami positivi fra gli adolescenti e gli educatori. Ma questi legami non si estendono al-la scuola, se la scuola non tratta gli studenti in base a questi stessi principi. Se il clima èdominato da strategie intrusive e dannose punizioni, la maggioranza degli studenti nonlegherà con la loro scuola. I giovani alienati spesso fanno mostra di atteggiamenti di sfi-da, per provare che possono violare le regole e sconfiggere l’autorità.

Sfortunatamente, la tendenza attuale negli Usa è verso politiche sempre più pu-nitive e intrusive, e in un prossimo futuro può darsi che si adottino i test antidroga ran-domizzati per tutti i ragazzi. La giustificazione sarà che i test sono “per il loro bene”: maè un argomento sbagliato, e come tale sarà percepito dai giovani. Ma davvero vogliamoche tutti i ragazzi americani si sentano come sospetti criminali per il fatto stesso di esse-re giovani? I test obbligatori randomizzati ignorano le garanzie legali che non permet-tono alla polizia di perquisire le case, le automobili, le persone, senza una ragione vali-da. Trattare gli adolescenti come potenziali criminali non è il modo giusto per far cre-scere dei cittadini responsabili, legati alla nazione e alle istituzioni. [2-fine]

*Docente presso l’Istituto di educazione e informazione dell’Università di California-Los Angeles(Ucla)

Una prevenzione efficace presuppone un apprendimento fondato sulla fiducia fra educatori e giovani

È peggio la marijuana o l’alcol? Lei ha maiprovato qualche droga? Sono domande al bando nei programmi politicamente corretti

Nella prima parte dell’articolo(Fuoriluogo, gennaio 2004),Rodney Skager analizza le ra-gioni del fallimento dei pro-grammi tradizionali di preven-zione nelle scuole americane.Essa si fonda sull’errato pre-supposto dei “deficit” dei gio-vani, che avrebbero bisognodi messaggi solo negativi perdire “no” alla droga. Ma gliadolescenti sanno ormai ra-gionare con la loro testa e so-no in grado di riconoscere leinformazioni sbagliate: il chesi risolve in un discredito pergli educatori.

UN PROCESSO APERTO