dove fu allievo di Domenico Morelli V I TA POMPEIANE Salfi Pittore cosentino studiò a Napoli dove...

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18 Domenica 18 ottobre 2009 Domenica 18 ottobre 2009 19 18 Licet, 1884 collezione privata, Napoli; in alto Il cantico dei cantici, 1922, Pinacoteca civica Reggio Calabria; pagina a sinistra I Questuanti, 1922 collezione privata, Cosenza Enrico Salfi Pittore cosentino studiò a Napoli dove fu allievo di Domenico Morelli SCENE DI VITA POMPEIANE Q uando Enrico Salfi realizza a Cosenza nel 1906 le decora- zioni del plafond del Teatro Massimo (ora “Alfonso Ren- dano”) non immagina certo che di lì a qualche decennio le sue mira- bili pitture saranno distrutte nel corso dei bombardamenti della Seconda Guer- ra Mondiale (1943). A dire il vero il suo rapporto con il Teatro Comunale cosen- tino è sempre stato sfortunato e trava- gliato, fin da quando nel 1900 aveva do- vuto subire l’affronto di vedersi preferi- re per le decorazioni degli interni un mo- desto pittore venuto da Napoli. In quell’occasione aveva finanche pubbli- cato un pamphlet, “Sul concorso della decorazione del teatro di Cosenza” (1901), in cui stigmatizzava alcuni com- portamenti “disinvolti” dell’allora am- ministrazione comunale colpevole di fa- voritismi. Non gli valse nemmeno l’ami- cizia e la sintonia con Domenico Morelli, suo maestro, che preferì sostenere la candidatura di Giovanni Diana, docente di pittura all’Istituto Regio di Belle Arti di Napoli di cui Morelli era direttore. Sal- fi avrebbe dovuto assumere la direzione artistica dei lavori mentre l’esecuzione sarebbe stata di Rocco Ferrari, che aveva già eseguito nel 1889 le decorazioni della sala Consiliare del Municipio. Dopo qualche anno probabilmente il cli- ma è cambiato in città, se a causa di un im- previsto crollo del soffitto del Teatro (1905), i lavori di rifacimento sono affidati a Salfi, che li conclude entro il 1906 realiz- zando personalmente una grande allego- ria della musica. Di quella composizione rimane la descrizione di un giornale dell’epoca fatta in occasione dell’inaugu- razione avvenuta con l’Aida di Giuseppe Verdi: «La composizione comprende tre gruppi che, con sorprendente efficacia, ri- producono l’allegoria delle arti sceniche. II gruppo principale raffigura la musica nelle sue varie gradazioni: la popolare rap- presentata dalla figura che suona i cemba- li, la buffa da quella che suona il doppio flauto, la seria, rappresentata da quella con la tromba.(...) Il quadro meraviglioso, animato da fervida immaginazione, deli- neato da calda mano, è un vero tesoro d’ar- te. Grande pregio dell’opera è la varietà e l’equilibrio nella composizione delle figu- re; effetto difficilissimo ad ottenersi data la molteplicità delle figure» ( Il Giornale di Calabria, novembre 1909 ). Salfi era nato a Cosenza nel novembre del 1857 da una famiglia di umanisti, let- terati e musicisti. Dopo aver intrapreso gli studi classici assieme al fratello maggiore Eugenio, diventato poi un apprezzato te- nore lirico, nel 1876 si era trasferito a Na- poli per frequentare l’Istituto Regio di Bel- le Arti, dove aveva avuto come insegnanti il calabrese Angelo Mazzia, Raffaele Posti- glione, Vincenzo Marinelli, e Domenico Morelli, dai quali, specialmente dagli ulti- mi due, seppe trarre influenze nello stile e nei soggetti trattati. Egli è diventato famoso per le sue scene di vita pompeiana, filone artisticom, che assieme all’orientalismo, segna un mo- mento importante della pittura napoleta- na del secondo Ottocento. L’ambientazio- ne esotica e quella nella Roma antica sono per tanti artisti del periodo un espediente per rendere il realismo distante nello spa- zio e nel tempo. Si tratta di un modo, di de- rivazione romantica, di “viaggiare” alla volta di civiltà lontane, misteriose e intri- ganti. Il mondo islamico, i paesi del Medi- terraneo o dell’Oriente, visitati diretta- mente o solamente sognati, sono luoghi “altri” e distanti dove dislocare azioni e personaggi della quotidianità; l’ambien- tazione greco-romana, anch’essa figlia del classicismo e del culto romantico della sto- ria, permette, invece, di ritrarre gli aspetti della vita di allora come se fossero in un “altrove” mitico. Sugli sviluppi di questa pittura di am- bientazione romana un grande influsso è esercitato dal “Bagno pompeiano” (1861) di Domenico Morelli, opera egregia di grande sensualità. Come Morelli, Giuseppe Sciuti, Cesare Maccari, anche Salfi manifesta un gusto per lo stile pompeiano; la vita di tutti i gior- ni a Pompei è descritta con vivo realismo e trasporto emotivo, attraverso scenette di ordinario racconto. La pittura storica as- sume nell’artista cosentino i tratti di una storia giornaliera, fatta di “piccoli” avve- nimenti, colti nelle strade di una città ro- mana, che rivive nell'immaginario stimo- lato dai ritrovamenti archeologici di Erco- lano e Pompei. Si tratta di rappresentazioni dell’anti- chità, che assumono i toni della semplicità popolare piuttosto che l’esemplarità di personaggi eminenti. Con opere di tema neopompeiano Salfi partecipa alla mostra della Società Promo- trice di Napoli del 1880 ( “Alla fontana” ) e a quella del 1881 (“Al passeggio”). Nel 1883 partecipa all’esposizione di Belle Arti di Roma, dove presenta i dipinti “Venditore di anfore” e “Licet?”. Il “Venditore di anfore” (Galleria d’Arte Moderna di Milano) raffigura la bottega di un vecchio commerciante di vasi di terra- cotta usati per il trasporto di olio, vino e derrate alimentari; a destra della composi- zione due donne guardano la mercanzia in una scena fatta di estemporaneità e confi- denzialità. La descrizione fissa un mo- mento fugace con naturalezza e le figure sono catturate dallo sguardo dell’artista- osservatore nell’immediatezza di un movi- mento, di una postura, di un’espressione. Così “Licet?”, esposto all’Esposizione di Belle Arti di Roma del 1883 e alla Promo- trice napoletana del 1884, raffigura un uomo con il tipico pileus (copricapo a pun- ta), mentre sta per entrare in una casa; il dipinto, acquistato dall’amministrazione provinciale di Napoli, partecipa anche alla Promotrice del 1888. Come questa opera pure “Scena pom- peiana” è caratterizzata da un certo rigore descrittivo e filologico, in quanto sono ri- portate sul muro le antiche iscrizioni delle insule (sorta di case condominiali), dove si può leggere addirittura che si potevano af- fittare le tabernae cum pergulis (negozi con terrazze). Il dipinto “I figli di Bruto”, eseguito nel 1899, è un alto esempio di pittura storica ma a sfondo patriottico. L’opera riprende il tema trattato da Jacques-Louis David nel 1789 nel dipinto conservato al Louvre di Parigi; allo stesso soggetto anche An- drea Cefaly senior aveva dedicato nel 1863 un grande quadro ora appartenente alla collezione del Museo Provinciale di Catan- zaro. Salfi, che conosce certamente le due opere, si richiama anche lui al primato dell’amor patrio sull’amor filiale. Colloca- to nel Palazzo Municipale di Cosenza (ora sede della Casa delle Culture) il dipinto è stato trafugato fra gli anni Sessanta e Set- tanta, assieme a degli arazzi di Paolo Vetri e al bozzetto del sipario del Teatro Renda- no eseguito da Morelli. L’artista, che era ritornato a Cosenza fra gli anni ‘93 e ‘94 e che aveva restaurato in stile pompeiano la propria casa-studio si- tuata nel quartiere Paparelle, ricopre an- che importanti incarichi pubblici come membro della commissione comunale dei Monumenti d’arte e d’antichità, (nel 1896 e, nuovamente, tra il 1907 e il 1910), ispet- tore dei Monumenti e Scavi (dal 1897 al 1903), curatore e riordinatore del Museo civico. Esegue pale d’altare e cicli decorativi per diverse chiese della Calabria: S. Domenico a Cerisano, la chiesa Parrocchiale di Pa- renti, la chiesa di S. Pietro a Rogliano e la volta della chiesa di S. Nicola di Bari a Co- senza demolita nel 1961 per far posto ad una moderna architettura religiosa. Un suo “Satana vinto” è esposto a Genova nel 1904 mentre “Il Giuda” è presentato alla grande Esposizione Internazionale di Bel- le Arti tenutasi a Roma nel 1911 per le ce- lebrazioeni del Cinquantenario dell'Unità d'Italia. Partecipa anche alle Biennali d'Arte Calabrese di Reggio Calabria del 1920, del 1922 (dove espone ”Aspettando la sposa”, acquistato dalla Real Casa) e del 1924. Alla Biennale reggina del 1926 pre- senta “Il Cantico dei Cantici” (Pinacoteca Comunale di Reggio Calabria), opera ese- guita nel 1922, in cui ancora una volta mantiene viva la lezione morelliana, ac- centuando i modi simbolisti. Il tema bibli- co è trattato con piglio fantastico e lirico; le figure di amanti, che scivolano sulla sini- stra del quadro descrivendo un arco, han- no qualche assonanza con le donne sotto la stuoia di “Le tentazioni di Sant’Antonio” di Morelli (1878). Anche se qui non c'è l’ero- tismo del caposcuola napoletano, si colgo- no suggestioni comuni e analoghe tensio- ni mistiche. Anche i vestiti alla maniera araba stabi- liscono corrispondenze formali. Il poema d’amore che la tradizione attribuisce a re Salomone viene interpretato da Salfi con eleganza stilistica. Isabella Valente sottolinea anche altre influenze: “La Figura di profeta (…) ripete il modulo de “II Circasso” di Mariano For- tuny, definito uno dei suoi più bei ricordi d'Oriente. Il disegno di Salfi raffigura l'uo- mo orientale nella medesima posizione ap- poggiato al muro, di quello dell'acquerello di Fortuny”. Alla VI Mostra d’Arte e dell’Artigianato di Reggio Calabria del 1931 espone “L’ebreo errante”, ispirato alla figura del centurione, che, secondo la leggenda, col- pì Gesù lungo la via Calvario e che fu con- dannato a vagare fino all’avvento del re- gno di Cristo. Il pregio di quest’opera è nel- la modernità della figura dell’ebreo che, interpretato in maniera stilizzata, consu- mandosi nel corpo, si fa metafora della dia- spora del popolo ebraico. Una soluzione formale simile basata su un'anatomia slanciata era stata adottata da Angelo Mazzia, maestro di Salfi a Napoli, già nel dipinto “Dante che dalla luce guarda Ro- ma nelle tenebre”, esposto nella Prima Mo- stra d'Arte Calabrese organizzata da Al- fonso Frangipane nel 1912 a Catanzaro. Tra le ultime opere l'artista cosentino esegue “I questuanti”, più propriamente individuta da Gino d’Alessio come “Nostro Signore che confonde i farisei con la mone- ta”, dove sono mescolate componenti ro- mane e cristiane. Salfi è stato anche ritrat- tista, autore di versi (Lyrica pompeiana, Cosenza, 1888), di canzoni (Dal mare) e di una “Piccola guida di Pompei”. Muore a Cosenza il 14 gennaio 1935, lasciando due figli: Mario, anatomista a Napoli, e Fran- cesco Saverio, apprezzato compositore e direttore d’orchestra. Ritrattista, autore di versi e canzoni Esegue anche pale d’altare e cicli decorativi per diverse chiese calabresi a Cerisano, Parenti e Rogliano di TONINO SICOLI

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18 Domenica 18 ottobre 2009 Domenica 18 ottobre 2009 19

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Licet, 1884 collezione privata, Napoli; in alto Il cantico dei cantici, 1922, Pinacoteca civica ReggioCalabria; pagina a sinistra I Questuanti, 1922 collezione privata, Cosenza

Enrico SalfiPittore cosentino studiò a Napolidove fu allievo di Domenico Morelli

SCENE DI V I TAPOMPEIANE

Quando Enrico Salfi realizza aCosenza nel 1906 le decora-zioni del plafond del TeatroMassimo (ora “Alfonso Ren-dano”) non immagina certo

che di lì a qualche decennio le sue mira-bili pitture saranno distrutte nel corsodei bombardamenti della Seconda Guer-ra Mondiale (1943). A dire il vero il suorapporto con il Teatro Comunale cosen-tino è sempre stato sfortunato e trava-gliato, fin da quando nel 1900 aveva do-vuto subire l’affronto di vedersi preferi-re per le decorazioni degli interni un mo-desto pittore venuto da Napoli. Inquell’occasione aveva finanche pubbli-cato un pamphlet, “Sul concorso delladecorazione del teatro di Cosenza”(1901), in cui stigmatizzava alcuni com-portamenti “disinvolti” dell’allora am-ministrazione comunale colpevole di fa-voritismi. Non gli valse nemmeno l’ami -cizia e la sintonia con Domenico Morelli,suo maestro, che preferì sostenere lacandidatura di Giovanni Diana, docentedi pittura all’Istituto Regio di Belle Artidi Napoli di cui Morelli era direttore. Sal-fi avrebbe dovuto assumere la direzioneartistica dei lavori mentre l’esecuzionesarebbe stata di Rocco Ferrari, che avevagià eseguito nel 1889 le decorazioni dellasala Consiliare del Municipio.

Dopo qualche anno probabilmente il cli-ma è cambiato in città, se a causa di un im-previsto crollo del soffitto del Teatro(1905), i lavori di rifacimento sono affidatiaSalfi, che li concludeentro il 1906realiz-zando personalmente una grande allego-ria della musica. Di quella composizionerimane la descrizione di un giornaledell’epoca fatta in occasione dell’inaugu -razione avvenuta con l’Aida di GiuseppeVerdi: «La composizione comprende tregruppi che, con sorprendente efficacia, ri-producono l’allegoria delle arti sceniche.II gruppo principale raffigura la musicanelle sue varie gradazioni: la popolare rap-presentata dalla figura che suona i cemba-li, la buffa da quella che suona il doppioflauto, la seria, rappresentata da quellacon la tromba.(...) Il quadro meraviglioso,animato da fervida immaginazione, deli-neato da calda mano, è un vero tesoro d’ar -te. Grande pregio dell’opera è la varietà el’equilibrio nella composizione delle figu-re; effetto difficilissimo ad ottenersi datala molteplicitàdelle figure» ( IlGiornale diCalabria, novembre 1909 ).

Salfi era nato a Cosenza nel novembredel 1857 da una famiglia di umanisti, let-terati e musicisti. Dopo aver intrapreso glistudi classici assieme al fratello maggioreEugenio, diventato poi un apprezzato te-nore lirico, nel 1876 si era trasferito a Na-poli per frequentare l’Istituto Regio di Bel-le Arti, dove aveva avuto come insegnantiil calabrese Angelo Mazzia, Raffaele Posti-glione, Vincenzo Marinelli, e DomenicoMorelli, dai quali, specialmente dagli ulti-mi due, seppe trarre influenze nello stile enei soggetti trattati.

Egli è diventato famoso per le sue scenedi vita pompeiana, filone artisticom, cheassieme all’orientalismo, segna un mo-mento importante della pittura napoleta-na del secondo Ottocento. L’ambientazio -ne esotica e quella nella Roma antica sonoper tanti artisti del periodo un espediente

per rendere il realismo distante nello spa-zio e nel tempo. Si tratta di un modo, di de-rivazione romantica, di “viaggiare” allavolta di civiltà lontane, misteriose e intri-ganti. Il mondo islamico, i paesi del Medi-terraneo o dell’Oriente, visitati diretta-mente o solamente sognati, sono luoghi“altri” e distanti dove dislocare azioni epersonaggi della quotidianità; l’ambien -tazione greco-romana, anch’essa figlia delclassicismo e del culto romantico della sto-ria, permette, invece, di ritrarre gli aspettidella vita di allora come se fossero in un“altrove”mitico.

Sugli sviluppi di questa pittura di am-bientazione romana un grande influsso èesercitato dal “Bagno pompeiano” (1861)di Domenico Morelli, opera egregia digrande sensualità.

Come Morelli, Giuseppe Sciuti, CesareMaccari, anche Salfi manifesta un gustoper lo stile pompeiano; la vita di tutti i gior-ni a Pompei è descritta con vivo realismo etrasporto emotivo, attraverso scenette diordinario racconto. La pittura storica as-sume nell’artista cosentino i tratti di unastoria giornaliera, fatta di “piccoli” avve -nimenti, colti nelle strade di una città ro-mana, che rivive nell'immaginario stimo-lato dai ritrovamenti archeologici di Erco-lano e Pompei.

Si tratta di rappresentazioni dell’anti -chità, che assumono i toni della semplicitàpopolare piuttosto che l’esemplarità dipersonaggi eminenti.

Con opere di tema neopompeiano Salfipartecipa alla mostra della Società Promo-trice di Napoli del 1880 ( “Alla fontana”)eaquella del1881 (“Al passeggio”). Nel1883partecipa all’esposizione di Belle Arti diRoma, dove presenta i dipinti “Venditoredi anfore”e“Licet?”.

Il “Venditore di anfore” (Galleria d’ArteModerna di Milano) raffigura la bottega diun vecchio commerciante di vasi di terra-cotta usati per il trasporto di olio, vino ederrate alimentari; a destra della composi-zione due donne guardano la mercanzia inuna scena fatta di estemporaneità e confi-denzialità. La descrizione fissa un mo-mento fugace con naturalezza e le figuresono catturate dallo sguardo dell’artista-osservatore nell’immediatezza di un movi-mento, di una postura, di un’espressione.Così “Licet?”, esposto all’Esposizione diBelle Arti di Roma del 1883 e alla Promo-trice napoletana del 1884, raffigura unuomo con il tipicopileus (copricapo a pun-ta), mentre sta per entrare in una casa; ildipinto, acquistato dall’amministrazioneprovinciale di Napoli, partecipa anche allaPromotrice del 1888.

Come questa opera pure “Scena pom-peiana”è caratterizzata da un certo rigoredescrittivo e filologico, in quanto sono ri-portate sul muro le antiche iscrizioni delleinsule (sorta di case condominiali), dove sipuò leggere addirittura che si potevano af-fittare le tabernae cum pergulis (negozicon terrazze).

Il dipinto “I figli di Bruto”, eseguito nel1899, è un alto esempio di pittura storicama a sfondo patriottico. L’opera riprendeil tema trattato da Jacques-Louis Davidnel 1789 nel dipinto conservato al Louvredi Parigi; allo stesso soggetto anche An-drea Cefaly senior aveva dedicato nel 1863un grande quadro ora appartenente alla

collezione delMuseo Provincialedi Catan-zaro. Salfi, che conosce certamente le dueopere, si richiama anche lui al primatodell’amor patrio sull’amor filiale. Colloca-to nel Palazzo Municipale di Cosenza (orasede della Casa delle Culture) il dipinto èstato trafugato fra gli anni Sessanta e Set-tanta, assieme a degli arazzi di Paolo Vetrie al bozzetto del sipario del Teatro Renda-

no eseguito da Morelli.L’artista, che era ritornato a Cosenza fra

gli anni ‘93 e ‘94 e che aveva restaurato instile pompeiano la propria casa-studio si-tuata nel quartiere Paparelle, ricopre an-che importanti incarichi pubblici comemembro della commissione comunale deiMonumenti d’arte e d’antichità, (nel 1896e,nuovamente, tra il 1907e il 1910), ispet-

tore dei Monumenti e Scavi (dal 1897 al1903), curatore e riordinatore del Museocivico.

Esegue pale d’altare e cicli decorativi perdiverse chiese della Calabria: S. Domenicoa Cerisano, la chiesa Parrocchiale di Pa-renti, la chiesa di S. Pietro a Rogliano e lavolta della chiesa di S. Nicola di Bari a Co-senza demolita nel 1961 per far posto aduna moderna architettura religiosa. Unsuo “Satana vinto” è esposto a Genova nel1904 mentre “Il Giuda” è presentato allagrande Esposizione Internazionale di Bel-le Arti tenutasi a Roma nel 1911 per le ce-lebrazioeni del Cinquantenario dell'Unitàd'Italia. Partecipa anche alle Biennalid'Arte Calabrese di Reggio Calabria del1920, del 1922 (dove espone ”Aspettandola sposa”, acquistato dalla Real Casa) e del1924. Alla Biennale reggina del 1926 pre-senta “Il Cantico dei Cantici” (PinacotecaComunale di Reggio Calabria), opera ese-guita nel 1922, in cui ancora una voltamantiene viva la lezione morelliana, ac-centuando i modi simbolisti. Il tema bibli-co è trattato con piglio fantastico e lirico; lefigure di amanti, che scivolano sulla sini-stra del quadro descrivendo un arco, han-no qualche assonanza con le donne sotto lastuoia di “Le tentazioni di Sant’Antonio”diMorelli (1878). Anche se qui non c'è l’ero -tismo del caposcuola napoletano, si colgo-no suggestioni comuni e analoghe tensio-ni mistiche.

Anche i vestiti alla maniera araba stabi-liscono corrispondenze formali. Il poemad’amore che la tradizione attribuisce a reSalomone viene interpretato da Salfi coneleganza stilistica.

Isabella Valente sottolinea anche altreinfluenze: “La Figuradiprofeta (…) ripeteil modulo de “II Circasso” di Mariano For-tuny, definito uno dei suoi più bei ricordid'Oriente. Il disegno di Salfi raffigura l'uo-mo orientale nella medesima posizione ap-poggiato al muro, di quello dell'acquerellodi Fortuny”.

Alla VI Mostra d’Arte e dell’Artigianatodi Reggio Calabria del 1931 espone“L’ebreo errante”, ispirato alla figura delcenturione, che, secondo la leggenda, col-pì Gesù lungo la via Calvario e che fu con-dannato a vagare fino all’avvento del re-gno di Cristo. Il pregio di quest’opera è nel-la modernità della figura dell’ebreo che,interpretato in maniera stilizzata, consu-mandosi nel corpo, si fa metafora della dia-spora del popolo ebraico. Una soluzioneformale simile basata su un'anatomiaslanciata era stata adottata da AngeloMazzia, maestro di Salfi a Napoli, già neldipinto “Dante che dalla luce guarda Ro-ma nelle tenebre”, esposto nella Prima Mo-stra d'Arte Calabrese organizzata da Al-fonso Frangipane nel 1912 a Catanzaro.

Tra le ultime opere l'artista cosentinoesegue “I questuanti”, più propriamenteindividuta da Gino d’Alessio come “NostroSignore che confonde i farisei con la mone-ta”, dove sono mescolate componenti ro-mane ecristiane. Salfi è statoanche ritrat-tista, autore di versi (Lyrica pompeiana,Cosenza, 1888), di canzoni (Dal mare) e diuna “Piccola guida di Pompei”. Muore aCosenza il 14 gennaio 1935, lasciando duefigli: Mario, anatomista a Napoli, e Fran-cesco Saverio, apprezzato compositore edirettore d’orchestra.

Ritrattista, autore di versi e canzoniEsegue anche pale d’altare e cicli decorativi

per diverse chiese calabresia Cerisano, Parenti e Rogliano

di TONINO SICOLI