DOTT.SSA CIACCI: METODO ABA - Istituto Comprensivo · dove lavoro si o upa dell’età evolutiva e...

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DOTT.SSA CIACCI: METODO ABA Faccio una introduzione teorica all’analisi applicata del comportamento, e mi interessa sfatare alcune false credenze e spiegarvi nel modo più chiaro possibile cos’è e come utilizzare i principi dell’analisi applicata del comportamento nella riabilitazione ed educazione con bambini con disturbi dello spettro autistico. Io sono una psicologa con specializzazione specifica nell’analisi applicata del comportamento e nel centro dove lavoro si occupa dell’età evolutiva e abbiamo in carico bambini che iniziano il loro percorso già all’asilo nido. Ci soffermiamo sulla definizione di comportamento perché è indispensabile per poter poi andare a lavorare su qualsiasi tipo di problematica, sia per aumentare comportamenti positivi che per diminuire quelli negativi. (video) L’ABA non è vero che è solo lavoro strutturato, ma c’è dentro di tutto, il gioco, la letto scrittura, la comunicazione e tanto altro. Parliamo di un intervento che va a 360 gradi nella vita delle persone, dei bambini e delle famiglie, della scuola, degli insegnanti, degli educatori. Partiamo dal cambiamento drastico che c’è stato una ventina di anni fa nella concezione di quelle che sono le cause dell’autismo. Mentre 20 anni fa si considerava l’autismo una patologia psicologica causata da un legame patologico tra la madre e il bambino e la terapia di elezione era la psicoterapia di tipo psicoanalita. Dal cambiamento dell’eziopatogenesi che oggi viene considerato come una sindrome comportamentale del neuro-sviluppo biologicamente determinato, quindi si è fatta una virata da un disturbo di tipo psicologico ad un disturbo di tipo organico con basi genetiche. Ancora la causa precisa dell’autismo non si conosce, ma il fatto che non si consideri più come causato da un legame patologico madre-bambino, ma di tipo biologico ha determinato un cambiamento nel tipo di terapia e presa in carico di questi bambini. Un disturbo così complesso richiede un intervento complesso e uno dei trattamenti raccomandati in questi casi è proprio l’intervento ABA. L’ipotesi che si trova alla base di questo tipo di intervento ed approccio parte dall’ipotesi di LOVAS, che è uno dei primi comportamentisti che ha applicato i principi dell’analisi comportamentale all’autismo, che differenzia il tipo di sviluppo dei bambini con disturbo dello spettro autistico da quelli con sviluppo normotipico. Chi di voi ha figli sa che è molto facile apprendere per bambini in cui lo sviluppo proceda in modo armonico, non c’è necessità di insegnare loro a giocare, a guardarvi negli occhi, ad usare il gesto indicativo o a parlare o a fare la richiesta se hanno sete. Sono tutti apprendimenti che avvengono naturalmente nello sviluppo del bambino e che non hanno bisogno di essere insegnati e tra l’altro i bambini a sviluppo normotipico apprendono dall’ambiente per imitazione: vedono quello che fa l’altro e piano, piano lo riproducono in maniera armonica e spontanea. I bambini con disturbo dello spettro autistico non hanno nessuna di queste competenze, e vi rendete conto quanto sia difficile insegnare quando mancano i requisiti di base. Ogni specifica abilità va insegnata in modo estremamente strutturato e direzionato dall’adulto, perché non c’è apprendimento spontaneo. Il tipo di intervento che si propone è un intervento che cerca di concertare tutte le figure di riferimento del bambino e la scuola ha in questo una importanza fondamentale e gli insegnanti sono gli attori principali dell’educazione del bambino. Il sistema educativo e riabilitativo deve per forza comprendere tutte le figure di riferimento del bambino: i genitori, gli insegnanti, gli educatori, e gli operatori dei centri di riabilitazione che devono tutti collaborare in sinergia per creare un programma di intervento più coerente possibile. Il costrutto teorico alla base del nostro intervento è l’analisi applicata del comportamento, dall’inglese Applied Behaviour Analysis. Che cos’è l’ABA? È la scienza deputata alla modifica dei comportamenti. Spesso

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DOTT.SSA CIACCI: METODO ABA

Faccio una introduzione teorica all’analisi applicata del comportamento, e mi interessa sfatare alcune false

credenze e spiegarvi nel modo più chiaro possibile cos’è e come utilizzare i principi dell’analisi applicata del

comportamento nella riabilitazione ed educazione con bambini con disturbi dello spettro autistico.

Io sono una psicologa con specializzazione specifica nell’analisi applicata del comportamento e nel centro

dove lavoro si occupa dell’età evolutiva e abbiamo in carico bambini che iniziano il loro percorso già all’asilo

nido.

Ci soffermiamo sulla definizione di comportamento perché è indispensabile per poter poi andare a lavorare

su qualsiasi tipo di problematica, sia per aumentare comportamenti positivi che per diminuire quelli

negativi. (video) L’ABA non è vero che è solo lavoro strutturato, ma c’è dentro di tutto, il gioco, la letto

scrittura, la comunicazione e tanto altro. Parliamo di un intervento che va a 360 gradi nella vita delle

persone, dei bambini e delle famiglie, della scuola, degli insegnanti, degli educatori.

Partiamo dal cambiamento drastico che c’è stato una ventina di anni fa nella concezione di quelle che sono

le cause dell’autismo. Mentre 20 anni fa si considerava l’autismo una patologia psicologica causata da un

legame patologico tra la madre e il bambino e la terapia di elezione era la psicoterapia di tipo psicoanalita.

Dal cambiamento dell’eziopatogenesi che oggi viene considerato come una sindrome comportamentale del

neuro-sviluppo biologicamente determinato, quindi si è fatta una virata da un disturbo di tipo psicologico

ad un disturbo di tipo organico con basi genetiche. Ancora la causa precisa dell’autismo non si conosce, ma

il fatto che non si consideri più come causato da un legame patologico madre-bambino, ma di tipo biologico

ha determinato un cambiamento nel tipo di terapia e presa in carico di questi bambini. Un disturbo così

complesso richiede un intervento complesso e uno dei trattamenti raccomandati in questi casi è proprio

l’intervento ABA.

L’ipotesi che si trova alla base di questo tipo di intervento ed approccio parte dall’ipotesi di LOVAS, che è

uno dei primi comportamentisti che ha applicato i principi dell’analisi comportamentale all’autismo, che

differenzia il tipo di sviluppo dei bambini con disturbo dello spettro autistico da quelli con sviluppo

normotipico. Chi di voi ha figli sa che è molto facile apprendere per bambini in cui lo sviluppo proceda in

modo armonico, non c’è necessità di insegnare loro a giocare, a guardarvi negli occhi, ad usare il gesto

indicativo o a parlare o a fare la richiesta se hanno sete. Sono tutti apprendimenti che avvengono

naturalmente nello sviluppo del bambino e che non hanno bisogno di essere insegnati e tra l’altro i bambini

a sviluppo normotipico apprendono dall’ambiente per imitazione: vedono quello che fa l’altro e piano,

piano lo riproducono in maniera armonica e spontanea. I bambini con disturbo dello spettro autistico non

hanno nessuna di queste competenze, e vi rendete conto quanto sia difficile insegnare quando mancano i

requisiti di base. Ogni specifica abilità va insegnata in modo estremamente strutturato e direzionato

dall’adulto, perché non c’è apprendimento spontaneo.

Il tipo di intervento che si propone è un intervento che cerca di concertare tutte le figure di riferimento del

bambino e la scuola ha in questo una importanza fondamentale e gli insegnanti sono gli attori principali

dell’educazione del bambino. Il sistema educativo e riabilitativo deve per forza comprendere tutte le figure

di riferimento del bambino: i genitori, gli insegnanti, gli educatori, e gli operatori dei centri di riabilitazione

che devono tutti collaborare in sinergia per creare un programma di intervento più coerente possibile.

Il costrutto teorico alla base del nostro intervento è l’analisi applicata del comportamento, dall’inglese

Applied Behaviour Analysis. Che cos’è l’ABA? È la scienza deputata alla modifica dei comportamenti. Spesso

si parla di metodo ABA, in realtà è un costrutto teorico sul quale si costruisce programmazione. L’ABA è la

scienza che ci permette di modificare comportamenti attraverso la manipolazione degli eventi antecedenti

e delle conseguenze. È applicabile a qualunque patologia e a qualsiasi comportamento socialmente

significativo che devono essere in qualche modo modificati; considerati questi presupposti prescinde

dall’età, dalla diagnosi e dalla patologia. Questa è la definizione data dai primi analisti del comportamento

che si sono dedicati all’analisi del comportamento nella vita dell’uomo ed è il processo attraverso cui si

applicano sistematicamente i principi basati sulla teoria dell’apprendimento. L’idea principale è che

parliamo di una teoria dell’apprendimento, non è un metodo che fa lavorare i bambini in un certo modo o

dedicata ai bambini con autismo, ma è una scienza deputata al cambiamento del comportamento ed è una

teoria dell’apprendimento che nasce dai principi del comportamentismo.

Noi tutti, anche se non ne siamo consapevoli, siamo inseriti in questa modalità di apprendimento, noi tutti

siamo continuamenti rinforzati dalle contingenze naturali della nostra vita che ci portano ad aumentare

determinati comportamenti perché sono seguiti da conseguenze piacevoli, che possono essere lo stipendio

a fine mese, un buon voto alla fine di corso, o semplicemente un bravo dell’insegnante o un voto. Sono tutti

rinforzatori legati alle contingenze naturali che si riproducono quotidianamente nella nostra vita. La nascita

dell’analisi applicata del comportamento è quella del comportamentismo che poi dal 1957 con il libro di

Skinner Verbal Behaviour viene applicata anche al comportamento verbale, e che viene applicata come

scienza all’autismo intorno agli 60/70 ed è nata questa modalità di lavoro perché molti strumenti che

venivano utilizzati per la riabilitazione di questi bambini fallivano o non erano particolarmente incisivi.

Come scienza è supportata da numerose ricerche scientifiche ed essendo una tipologia di lavoro utilizzata

principalmente nei paesi anglosassoni, quasi tutta la bibliografia che si trova è in lingua inglese. Quali sono

i filoni principali su cui si va a lavorare:

- Creare i prerequisiti per l’apprendimento,

- Il linguaggio e la comunicazione

- L’aspetto sociale

- Il ragionamento astratto, la capacità di problem solving

- La teoria della mente

- L’autonima personale

- Le abilità accademiche e scolastiche

Come scienza applicata all’autismo viene riconosciuta la sua efficacia dalle ricerche e dalle linee guida

dell’Istituto superiore della Sanità e dalla società italiana di neuropsichiatria infantile che riconoscono

l’efficacia di un tipo di intervento intensivo, precoce e supervisionato da specialisti che coinvolga famiglia,

scuola, ecc.

È un intervento efficace, ma non l’unico, ma non è neanche una bacchetta magica: i risultati possono

variare da bambino a bambino e non esiste la certezza di un risultato sempre positivo. È importante che sia

fornito il più precocemente possibile, a volte anche prima della diagnosi. Iniziare un tipo di lavoro così

precocemente a volte aiuta anche a definire la diagnosi, perché spesso ci sono bambini piccoli, con un

disturbo di linguaggio severo o un disturbo di attaccamento, possono confondersi e iniziare un lavoro

precoce può aiutare ad avere una definizione diagnostica più chiara.

Adesso come strumento diagnostico per bambini piccoli viene utilizzato l’ADOS TODDLER, che può essere

utilizzato con bambini fino a 30 mesi, una valutazione non strutturata e il risultato che si ottiene da questo

tipo di test è un risultato di rischio di sviluppare questo disturbo e un lavoro precoce può aiutare a chiarire

qual è la diagnosi, il nucleo del disturbo del bambino.

Quando i bambini crescono e diventano ragazzi e adulti, non è più necessario avere un lavoro così intensivo

e strutturato, ma ciò non toglie che sia comunque utile continuare ad utilizzare determinate procedure per

insegnare comportamenti adattivi al livello di sviluppo e all’età del soggetto. Non ci si focalizzerà più sugli

apprendimenti ma sulle autonomie, sulla cura di sé, la possibilità di svolgere un compito senza supervisione

di un adulto. Gli obiettivi cambiano l’intensività si riduce crescendo, ma ciò non toglie che si possano

ottenere risultati anche in età avanzata. Quando qualcuno ci chiede se si può lavorare con ragazzi di 12

anni, si può tranquillamente dire di sì, perché il lavoro è diverso, gli obiettivi sono diversi ma si possono

comunque ottenere dei risultati. La ricerca non ha stabilito un limite di età oltre il quale non ci sia più

efficacia.

ABA non significa intervento con bambini con autismo, ma è un intervento che ultimamente viene molto

utilizzato con questi bambini, ma che nei paesi anglosassoni viene utilizzato in tanti altri campi.

L’intervento ABA non è un intervento troppo faticoso o strutturato o rigido per i bambini, perché molti

pensano che questo metodo sia soltanto star seduto al tavolo fare il compito ed ottenere il rinforzo. C’è

questa parte del lavoro, ma c’è tutta una parte di lavoro incidentale che si svolge e si focalizza su quella che

è la motivazione del bambino nello svolgere determinati compiti e nell’incrementare la capacità di

comunicare, tutto svolto in un ambiente naturale, di gioco. Se voglio insegnare delle abilità è necessario che

abbia ben chiari quali sono gli obiettivi, tutto è ben preparato, siamo all’interno di una attività dove è la

motivazione del bambino che ci guida e questo tipo di lavoro è il più difficile in assoluto, perché richiede

tanta fantasia, tanta capacità di essere elastici, capaci di seguire la motivazione del bambino e di essere

aperti a tante attività diverse.

I bambini che seguono il metodo ABA non sono stressati dalle ore di lavoro, perché sono bambini che

quando non hanno un rapporto individualizzato stanno male. Parliamo di disturbi dello spettro autistico,

con diverse gravità: andiamo dai disturbi lievi, dove possiamo anche non renderci conto della patologia, a

una gravità severa, associata anche a ritardo mentale e altro. Soprattutto quando c’è una severità nel

disturbo sono bambini che se lasciati a se stessi non riescono a costruire attività funzionali e quindi il

momento del lavoro con l’insegnante e l’educatore, dove possono ricevere cose che a loro piacciono, è un

momento piacevole e a volte è ricercato dal bambino stesso.

Tra le modalità e le procedure di insegnamento, quella principale è di insegnare senza errori, stressando il

meno possibile il bambino. Si assegna inizialmente il compito nella maniera più semplice possibile, aiutato e

facilitato il più possibile in modo che non sbagli e poi viene ridotto l’aiuto in modo che il bambino apprenda

e acquisisca quell’abilità e sia in grado di riproporla in modo autonomo. Questo perché non si vuole che il

bambino apprenda l’errore e quindi continui a sbagliare, o per apprendere la risposta giusta debba prima

dimenticare quella sbagliata, e anche per rendere l’apprendimento più piacevole e rilassato. Nei video

avete visto che l’educatrice a volte chiede al bambino di battere sul tavolo, o gli dice di imitare un gesto:

questo viene usato per correggere l’errore, in modo che venga corretto senza apprendere l’errore che ha

fatto in quel momento. Ad esempio, se il bambino sbaglia a toccare una carta, l’educatrice lo corregge

subito dandogli il maggiore aiuto possibile affinchè lui non sbagli, indicandogli lei stessa la carta giusta. A

questo punto non può rinforzare questa risposta perché lo ha fatto con aiuto e per essere sicuro che il mio

insegnamento sia stato efficace, sposto l’ordine delle carte e faccio fare un compito di distrazione (quasi

sempre istruzioni di movimento) e resetto la situazione di apprendimento per correggere l’errore. Se a

questo punto il bambino tocca la cosa giusta e la richiesta non è più così vicina all’aiuto che ho dato, a

questo punto do il rinforzo.

L’eccessiva raccolta dati sottrae tempo al lavoro diretto con il bambino: io mi rendo conto che questa della

raccolta dati sia una scocciatura, ma quando si lavora su un determinato obiettivo è fondamentale che si

segni la risposta del bambino e se c’è stato l’uso di facilitatori o no. Questo è vero che è una scocciatura, e

richiede tempo, ma non toglie tempo all’insegnamento ed è necessario per dare scientificità e una valenza

oggettiva a quello che stiamo facendo, altrimenti si rischia di andare a braccio. Soprattutto nel momento in

cui ci sono molte persone che lavorano con il bambino, tutto deve essere molto preciso ed articolato,

altrimenti non ci si accorda ed ognuno lavora su obiettivi propri e si rischia di perdere tempo. se l’obiettivo

invece viene proposto in maniera sistematica sarà più facile che quel bambino lo apprenda e inoltre saremo

sicuri che quell’abilità è in grado di riproporla autonomamente. Questo è un aspetto indispensabile.

Molti insegnanti che incontro rimangono molto titubanti relativamente all’uso del rinforzo, ma ribadisco

l’importanza di trovare la motivazione del bambino in quel momento e di poter soddisfare il bambino

secondo le sue preferenze. Se al bambino non interessa che io gli dica bravo alla fine del compito, il mio

feedback diventa del tutto inutile, ma se al bambino piace rovesciare l’acqua nella bottiglietta, perché non

gliela devo concedere se questa è la sua gratificazione? È questa conseguenza che lui desidera che va ad

aumentare la probabilità che quel bambino emetta di nuovo un determinato comportamento che gli sto

insegnando.

Un altro luogo comune è che gli specialisti ABA sono poco collaborativi con le altre figure professionali;

assolutamente no e si favorisce la collaborazione di più figure professionali sulla stessa situazione.

Tornando agli obiettivi: l’obiettivo principale è quello che il bambino impari ad imparare, ad apprendere

spontaneamente dall’ambiente circostante. Ritornando all’uso del rinforzo: è vero che si usano rinforzi

tangibili, quando è necessario, e l’obiettivo è quello di arrivare ai rinforzi naturali. C’è una progressione, una

associazione tra il rinforzo tangibile tra il rinforzo tangibile e il rinforzo sociale che va a creare un

condizionamento in modo che anche il rinforzo sociale acquisisca una sua efficacia e validità. Questo

comunque è l’obiettivo finale, nessuno vuole che il bambino rimanga legato al rinforzo stereotipato, però

quando è necessario va usato.

Gli obiettivi riguardano tutte le abilità comunicative, perché spesso sono bambini che nonostante abbiano

la capacità di produrre frasi, di esprimersi verbalmente, ma non è detto che abbiano la capacità di

comunicare. Magari un bambino sa a memoria tutto il testo di una canzone, o pezzi di cartoni animati, ma

non è capace di chiedere l’acqua. Non c’è quindi un problema fonologico, articolatorio, ma c’è proprio una

difficoltà a capire a che cosa serve il linguaggio e qual è la funzione della comunicazione. Questo è uno degli

obiettivi principali che si affrontano all’inizio con questi bambini, si cerca di dare loro uno strumento

comunicativo e insegnare loro l’intenzione a comunicare, che c’è l’altra persona e che questa è utile per

raggiungere e soddisfare dei piaceri.

Si vogliono migliorare le prestazioni cognitive, aumentare i comportamenti sociali, moderare le risposte

emotive, a volte non controllate o coerenti con quello che accade loro intorno. Vogliamo far arrivare i

nostri studenti all’autonomia e alla possibilità di potersi adattare il meglio possibile all’ambiente

circostante. Un’altra caratteristica dei bambini con disturbo dello spettro autistico è di essere molto rigidi,

ciò che viene appreso è molto schematico e rigido, quello che apprende in un contesto non è detto che

riesca ad utilizzarlo in un altro, se cambiano le routine può andare in tilt, ecc. la possibilità di adattarsi ai

cambiamenti e alle variazioni della giornata è indispensabile. In questo, la possibilità di vedere anche

visivamente ciò che accade o accadrà, come nelle agende visive, e di anticipare può essere comunque un

aiuto.

Questa definizione stravolge completamente la nostra concezione di insegnamento: se un bambino non

impara da come gli stiamo insegnando, dobbiamo trovare un modo migliore per farlo. Ciò di cui dobbiamo

essere consapevoli è che il problema non sta nel bambino, che non riesce ad imparare quella cosa, ma io

insegnate, genitore, psicologo, devo trovare un altro modo per insegnarla. È un presupposto che ci dà

innanzitutto tanta speranza, e se quell’obiettivo non è stato raggiunto non è detto che non verrà mai

raggiunto, e mette in moto tante altre energie e applicare quello che conosco in modo diverso, facendomi

sforzare a cercare altre vie.

Per poter insegnare in tutte quelle aree le abilità diversificate che ho indicato dobbiamo cercare di

individuare i comportamenti target, i comportamenti che ci interessano, per aumentarne o diminuirne la

frequenza a seconda dei tipi di comportamenti. Per fare questo devo avere bene in mente la triade

comportamentale, quindi capire quale è l’antecedente, quello che è il comportamento che si è verificato e

poi la conseguenza. L’analisi applicata del comportamento lavora prendendo in considerazione

comportamenti socialmente significativi: qui trovate questa check list, con delle domande che aiutano a

capire se effettivamente quel comportamento che voglio andare ad analizzare su cui voglio lavorare, è

effettivamente un comportamento socialmente significativo per la vita di quel bambino o se non è così

necessario e lo posso trascurare. Ad esempio, una domanda è “ Questo comportamento è un prerequisito

necessario per un’altra abilità funzionale più complessa?” se io mi rendo conto che è indispensabile per

andare poi a lavorare su altro è necessario che lo prenda in considerazione. Oppure “Questo

comportamento aumenterà la possibilità di accesso dell’individuo ad ambienti in cui altri comportamenti

possono essere acquisiti e utilizzati?”, anche in questo caso se la riposta è sì è necessario che vada a

lavorare su quel comportamento. Ancora: ”La modifica di questo comportamento favorirà una interazione

maggiore degli altri con l’individuo?” anche qui se è un sì, è mio dovere andare a lavorare su questo

comportamento. Se ad esempio è un bambino che sputa, il lavorare affinchè lo sputare diminuisca o venga

meno, farà sì che anche i compagni di classe si avvicineranno di più a lui. Questo per darvi degli spunti di

riflessione, per andare ad individuare nella vostra professione, anche se non sono prettamente obiettivi

didattici, possono comunque essere importanti per quel bambino, per la sua vita, e ci si può lavorare anche

a scuola.

Considerando la complessità del bambino con disturbo autistico, dobbiamo tenere presente che la maggior

parte di queste aree sono compromesse, soprattutto se vi è associata anche la disabilità intellettiva, il

ritardo mentale.

Il nostro lavoro deve riguardare tutte queste aree, non ne possiamo tralasciare nessuna e un tipo di lavoro

impostato sull’ABA va a monitorare e lavorare su tutti questi aspetti. Per essere efficace, le caratteristiche

dell’intervento ABA sono:

- Individualizzato: è indispensabile che venga fatto un assessment psicologico comportamentale,

comunque funzionale, che ci dica quale è il livello del bambino, quali siano le competenze

emergenti, quali sono le sue difficoltà e dove possiamo andare a lavorare;

- Intensivo: la letteratura ci dice che nei primi anni di lavoro bisognerebbe garantire almeno 25 ore a

settimana. In queste sono comprese le ore di lavoro a scuola

- Precoce

- Globale: deve comprendere tutte le figure che ruotano intorno al bambino e partecipino tutti al

progetto di vita.

- Supervisionato: un intervento di questo genere è impossibile improvvisarlo e ci vuole l’occhio

esterno dello specialista che coordini e dia indicazioni sul lavoro. Gli incontri che si svolgono

prevedono la possibilità che le varie figure lavorino con il bambino e il supervisore valuti il lavoro e

dia indicazioni e correzioni rispetto alle procedure più efficaci. Il lavoro diretto con il bambino e la

correzione immediata è sicuramente molto efficace, rispetto ad una correzione teorica e inoltre si

condivide il lavoro che passa dalla scuola a casa, al centro, ecc. si crea un equipe di lavoro

collaborativa ed efficace.

Si parte dalle abilità emergenti incrementandole e inoltre si cerca di generalizzare il più possibile.

L’apprendimento che vien fatto al tavolo, dopo che il bambino ha appreso che un determinato oggetto si

chiama “acqua”, io necessariamente fuori dal tavolo devo insegnargli a chiedere acqua quando ha sete,

quando è al mare e vede l’acqua nominarla correttamente, cioè abituarlo a spendere le sue competenze in

tutti gli ambienti di vita, perché neanche questo avviene spontaneamente. Anche questo aspetto va

programmato. Nella programmazione ci sono tutte le varie aree che vengono prese in considerazione e per

ogni area vengono specificati i target su cui il bambino sta lavorando.

Per l’area dell’imitazione, ad esempio, ci sarà pronunciare frasi, suoni, e l’educatore, l’insegnante

segneranno, nello specifico, quali sono i suoni, le parole, le frasi su cui si sta lavorando. Per l’area del

recettivo la stessa cosa, quindi su tutte le varie aree vengono specificati gli obiettivi e lo stesso obiettivo

può essere riproposto in più aree.

Una delle modalità di lavoro strutturato al tavolo, è la modalità di mix and vary: si posizionano sul tavolo

diverse carte, che riguardano gli obiettivi che stanno acquisendo. Ci possono essere carte che è abituato a

denominare e altre che gli chiedo comunque di individuare, poi possono esserci degli oggetti per i quali

posso chiedere di mostrarmi la funzione, ci sono altre carte utilizzate come promemoria divise per colore.

Ci possono essere carte rosse che riguardano le istruzioni ricettive (tocca la testa, batti le mani, alzati, ecc.)

altre carte verdi dove ci sono le istruzioni di imitazione (esempio mostro un movimento e il bambino lo

ripete), poi le carte gialle che riguardano l’imitazione vocale, quindi avrò una serie di carte per lavorare

sugli obiettivi di imitazione vocale del momento. Quindi sul tavolo ci possono essere delle carte per le

richieste di quel momento, dei cartellini con dei colori per tutte le altre richieste che non sono su quelle

carte. Questo tipo di lavoro è molto utile perché molto veloce, in poco tempo si riescono a richiedere molte

istruzioni e non è a compartimenti stagni. È fatto in velocità, perché nella nostra vita siamo veloci, e i

bambini devono essere abituati a rispondere velocemente; il bambino deve essere abituato al fatto che a

domanda c’è risposta immediata. Inoltre più lavoro veloce e più è difficile che cali l’attenzione: più andiamo

veloci nell’insegnamento più i bambini ci seguono. Più tendiamo ad aspettare i loro tempi più i loro tempi si

allungano. L’obiettivo è che data un’istruzione il bambino debba rispondere immediatamente. Il fatto di

mixare tutte le richieste aiuta il bambino a passare da un argomento all’altro in maniera più elastica, a non

rimanere rigido nei suoi schemi. Vengono date istruzioni differenti, ma che sono sempre all’interno della

programmazione del bambino, che può essere di imitazione, istruzione di movimenti. Con il passare del

tempo, il rinforzo non viene più dato dopo ogni risposta, ma anzi si aspetta che sia il bambino a farne

richiesta, dopo alcune risposte esatte. Anche con i bambini non verbali c’è la possibilità di lavorare non sulla

produzione ma sulla comprensione; i primi programmi che si insegnano sono comprendere una istruzione

con un oggetto. Ad esempio, c’è il bicchiere, la matita, gli occhiali: io do un’istruzione e il bambino deve

prendere l’oggetto e fare un’azione.

NET: NATURAL ENVIROnMENT TRAINING, training in ambiente naturale. Dopo aver lavorato al tavolo sui

concetti topologici, si passa ad utilizzarli in giochi dove debba necessariamente utilizzare questi termini,

creando una attività piacevole, dove il rinforzo è intrinseco all’attività stessa, che lo rende motivato a farla e

ad accettare correzioni da parte dell’adulto. Questo tipo di attività è molto più difficile dello stare al tavolo

e presentare delle carte. In una attività NET l’insegnante deve capire quale attività piace al bambino e che

rende la sua motivazione alta e deve metterci dentro gli obiettivi su cui lavorare. L’operatore manipola la

situazione, cerca di sfruttare la motivazione del bambino per insegnargli ciò che si è prefissato.

È importante che ci sia una formazione specifica degli operatori per poter essere consapevoli delle

procedure che si applicano e comunque ci dovrebbe essere un supervisore.

L’unità di analisi è il comportamento, ed è importante avere chiaro in mente che cosa intendiamo come

comportamento. Spesso parliamo per etichette (iperattivo, bassa tolleranza alle frustrazioni, socievole,

ecc.) però nel momento che dobbiamo parlare di comportamento non ci servono perché non descrivono

che cosa fa effettivamente quel bambino. Dobbiamo andare ad analizzare i comportamenti specifici per

poter andare a modificarli. Nella pratica quotidiana siamo soliti tutti utilizzare delle etichette, però

dobbiamo sforzarci di pensare per comportamenti.

Il comportamento è qualsiasi cosa che una persona dice o fa. È un movimento osservabile, quantificabile,

costituito da tutte le azioni e i movimenti che una persona mette in atto nelle varie situazioni. Per capire se

quello che noi stiamo osservando è un comportamento dobbiamo porci la domanda: sono in grado di

misurarlo? Sono in grado di stabilire la frequenza e la durata? Se riesco a prendere questi tre dati allora

sono sicura che quello è un comportamento. Noi invece siamo abituati a parlare per etichette e lo

svantaggio è che sono delle pseudo spiegazioni, dei ragionamenti circolari e spesso ci portano a pensare in

modo pregiudizievole e ci portano a pensare più a quelli che sono i problemi piuttosto che a pensare quali

sono le soluzioni perdendo di vista le reali capacità del bambino.

Per definire il comportamento dobbiamo comunque utilizzare dei criteri oggettivi, non ci possono essere

descrizioni libere. Il risultato della descrizione deve essere la stessa, perché altrimenti ognuno lavora su un

aspetto diverso. (regola dell’ABA: quello che può fare un uomo morto non è un comportamento). I

comportamentali vanno definiti in modo operazionale e non con etichette riassuntive, e ciò permette di

condurre un lavoro specifico. L’analisi comportamentale utilizza definizioni operazionali,

Luca è aggressivo con i fratelli Carlo è iperattivo in classe Lorenzo è pigro durante la lezione di basket Sara è stata capricciosa al supermercato

Luca da calci ai fratelli, Carlo si alza dal banco quando la maestra propone esercizi più difficili che non è in grado di svolgere Lorenzo rimane seduto rifiutandosi di cambiare le scarpe da solo Sara piange intensamente quando il papà non le compra qualcosa al supermercato

Ogni comportamento è stato definito in modo positivo, dicendo quello che fa non quello che non fa, (non

sta seduto – si alza; non sta in silenzio – parla)il comportamento va definito in base a quello che vediamo,

che viene fatto in quel momento. L’analisi comportamentale utilizza definizioni operazionali, il

comportamento viene definito in modo preciso e ci permette di lavorare verificando e misurando la

frequenza del comportamento e il metodo è scientifico, permettendo a tutti di parlare la stessa lingua.

L’utilizzo di queste strategie è versatile, può essere usato con qualsiasi ragazzo a sviluppo tipico, non solo

con quelli autistici. Se metto in atto una procedura (faccio una base line, una osservazione in classe e vedo

che durante la lezione si alza 10 volte) in base all’analisi della situazione per modificare quel

comportamento, poi rivaluto e rimisuro il comportamento e vedo se si alza meno volte, e quali sono le

variabili. Descrivere un comportamento in modo oggettivo ci permette di misurare, quantificare e capire se

quello che sto facendo è utile o no.

L’analisi funzionale permette, analizzando la situazione, di vedere quali sono le condizioni che mantengono

un comportamento per lavorare sulle situazioni problematiche. A volte si arriva a rinforzare determinati

comportamenti perché ci sono situazioni che non permettono di lavorare in un certo modo e il

comportamento viene mantenuto da un rinforzo negativo, cioè la rimozione di una situazione spiacevole.

Quindi si cerca di sostituire con un rinforzo positivo, mantenendo l’istruzione che scatena il

comportamento problema.

Il principio fondamentale del comportamentismo è il condizionamento operante, il comportamento

dell’altra persona viene plasmato modificando gli antecedenti e le conseguenze. La contigenza a tre termini

è costituita da

- Antecedente, quello che precede il comportamento,

- Il comportamento stesso che abbiamo descritto

- La conseguenza

Nell’insegnamento strutturato al tavolo, l’antecedente è l’istruzione (tocca il giallo),il comportamento è

l’azione di toccare il giallo e la conseguenza è il feedback del rinforzo dato al comportamento. Stimolo –

risposta – conseguenza: ogni volta che insegno qualcosa al bambino diamo uno stimolo, otteniamo una

risposta quindi un comportamento e abbiamo una conseguenza. È la conseguenza che determina

l’aumento in frequenza o la diminuzione di quel comportamento, quindi il rinforzo o la punizione o

l’estinzione, cioè l’assenza di rinforzo.

Uno dei principi dell’analisi del comportamento è l’utilizzo del rinforzo differenziale: nel momento in cui io

sto insegnando un comportamento ad un bambino, che io consegno un rinforzo ancora più alto, per

mantenere alta la collaborazione e non creare frustrazione di alcun tipo, nell’ottica di creare situazioni

meno traumatiche possibili per il bambino.

Per quanto riguarda le abilità sociali, comunicative e non prettamente scolastiche anche la famiglia è

istruita per agire secondo questa metodologia per far arrivare il bambino all’obiettivo in modo graduale.

Introduciamo l’insegnamento incidentale, spiegheremo l’analisi del comportamento verbale, verbal

behaviour, e poi ci concentreremo sull’insegnamento della comunicazione funzionale, partendo

dall’insegnamento della richiesta che in analisi applicata del comportamento viene definita MAND.

Passeremo in rassegna la comunicazione aumentativa e alternativa attraverso l’uso di PECS (picture

exchange comunication system) e i segni, i segni utilizzati dal linguaggio dei sordomuti, dalla LIS, ma

vengono utilizzati non con la sintassi della LIS ma come vocaboli, utilizzando comunque la grammatica

dell’italiano. Anche nei casi di bambini non verbali, con buon funzionamento cognitivo, che riescono ad

esprimersi con frasi, la costruzione della frase che viene utilizzata è quella dell’italiano: soggetto, verbo,

complemento oggetto.

Differenziamo ora l’insegnamento strutturato dall’insegnamento incidentale che è completamente diverso

perché basato interamente sulla motivazione del bambino.

Nell’insegnamento strutturato la motivazione è estrinseca all’attività, quindi utilizziamo i rinforzi

(caramella, gioco, ecc.) un oggetto motivante per il bambino e che in quel momento funge da rinforzatore.

Nell’insegnamento incidentale in cui non viene utilizzato un rinforzo estrinseco, che non riguarda quel tipo

di attività, ma è l’attività stessa che piace e all’interno dell’attività vengono inseriti obiettivi di lavoro.

Questo tipo di richieste viene anche in una sorta di catena: quando il bambino tende a perdere

l’attenzione, si cerca di riaccenderlo facendogli delle richieste che per lui sono molto semplici ma molto

velocemente, perché ci sono studi che dimostrano che se richiedo al bambino istruzioni di competenze per

lui molto semplici, impossibili da sbagliare, questo aiuta a ristabilire una situazione di controllo

dell’istruzione da parte dell’adulto, aumenta di nuovo la collaborazione e l’attenzione al compito e sarà

molto probabile che risponda bene alla richiesta che gli viene fatta successivamente. Quindi in alcune

situazioni in cui vedo che il bambino comincia a sbagliare e a distrarsi, gli do alcune istruzioni veloci e poi

ritorno alle istruzioni del compito per lui difficoltosa.

L’insegnamento strutturato può essere fatto in qualsiasi contesto, ad esempio in piscina: al bambino

interessa tuffarsi, quindi viene utilizzato questo rinforzo per far si che risponda a delle istruzioni. Viene data

un’istruzione, si ottiene la risposta e viene dato il rinforzo che è il tuffo.

L’obiettivo dell’insegnamento incidentale è di trasferire, generalizzare competenze acquisite al tavolo in

situazioni di gioco o comunque motivanti per il bambino. Nel momento in cui so di aver perseguito degli

obiettivi nel lavoro strutturato al tavolo devo cercare assolutamente di far si che il bambino impara ad

usarli al di fuori di quel contesto. Se il bambino non impara ad utilizzare quello che gli abbiamo insegnato

nel nostro lavoro al tavolo, probabilmente nella sua vita ci farà niente. È nostro dovere fare in modo di

creare opportunità molteplici durante la giornata in modo che impari ad utilizzarle. La situazione viene

continuamente manipolata affinchè il bambino sia costretto ad emettere nuovi comportamenti verbali,

sfruttando tutte le opportunità comunicative che è in grado di produrre e soprattutto che le servisse usare

quella comunicazione e all’interno di queste attività possono essere inseriti anche obiettivi didattici,

accademici (contare, leggere ad esempio). Le situazioni di apprendimento incidentale sono preziosissime e

noi chiediamo agli insegnanti di riprodurle seguendo la motivazione del bambino proprio perché senza la

possibilità di usare in modo funzionale il linguaggio appreso in modo strutturato, non tutti i bambini sono in

grado di generalizzare spontaneamente quello che hanno appreso.

Nell’insegnamento incidentale il bambino si diverte, è motivato dall’attività, sta alle regole dell’insegnante

e produce linguaggio. Nell’insegnamento strutturato, non necessariamente la situazione si svolge al tavolo,

però è chiara quella che è la triade dell’insegnamento: l’adulto fa una richiesta, il bambino risponde; se la

risposta è corretta riceve un rinforzo, se la risposta non è corretta inizia un procedimento di correzione

dell’errore e di nuovo di insegnamento dello stimolo giusto.

Nell’insegnamento NET l’insegnante segue l’iniziativa del bambino, può avvenire in qualsiasi ambiente e in

un curricolo iniziale, l’obiettivo primario è quello di insegnare al bambino a fare richieste.

Nell’insegnamento DDT (discrete trial teaching"/"DTT, insegnamento per prove discrete) dove tutte le

sessioni di lavoro sono strutturate in maniera molto sistematica, vengono date le istruzioni, viene dato il

rinforzo, poi viene fatta una sorta di pausa, poi si ricomincia. Mentre nell’insegnamento in NET è l’adulto

che segue la motivazione del bambino, nell’insegnamento strutturato è l’insegnante che detta le regole. Gli

obiettivi sono comunque la generalizzazione degli apprendimenti fatti in strutturato, e l’insegnamento della

comunicazione funzionale. La definizione di generalizzazione è questa:” Il processo grazie al quale le abilità

acquisiste nell’ambiente strutturato vengono rese funzionali e indipendenti in modo che il bambino sia in

grado di esibirle in un’ampia varietà di contesti.” L’importante è che siano funzionali, usate nel momento

giusto e quando servono ed indipendenti, cioè che non ci sia bisogno della presenza dell’altra persona che

crea la condizione adeguata. L’obiettivo finale è che il bambino impari a parlare e a rispondere a delle

istruzioni e delle domande e che il tutto avvenga in una situazione il più naturale possibile.

Qui ci introduciamo al tema della comunicazione, che è uno dei deficit principali che riguardano i disturbi

dello spettro autistico. Quindi ci sono bambini che sono in grado di parlare ma non di comunicare,

“Se volete sapere come ci si sente quando si è impossibilitati a comunicare, andate ad una riunione e

fingete di non poter parlare, usate le mani, ma non carta e penna, perché queste generalmente non

possono essere usate da persone con gravi disabilità, impossibilitate ad esprimersi verbalmente. Sarete

circondati da persone che parlano, parlano davanti a voi, parlano dietro di voi, intorno a voi , sotto voi,

attraverso voi. Sarete ignorati finchè vi sentirete come un elemento di arredo. “

Questa è una affermazione molto forte che ci invita ad immedesimarci con chi non ha la possibilità o la

competenza di comunicarci i propri bisogni. Spesso anche noi diciamo ad genitori ed insegnanti di non

parlare troppo, con troppe parole, perché spesso sono bambini che hanno difficoltà ad esprimersi e anche a

capire il nostro linguaggio e comunque dare la possibilità, nonostante non ci sia la potenzialità di emettere

suoni in maniera comprensibile, di poter comunicare attraverso altre forme è indispensabile ed

importantissimo. In un lavoro che si imposta con un bambino o ragazzo di qualsiasi età, la prima cosa che si

valuta è se è in grado di comunicare e se non lo è, è indispensabile capire quale può essere per lui la forma

più semplice e consona per poterlo fare e quindi si utilizzano altre forme alternative. Questa è una tematica

molto sentita perché oltre alle persone con disturbo dello spettro autistico riguarda la disabilità in generale,

e statistiche ci dicono che oltre il 2% della popolazione tra 0 e 18 anni ha delle difficoltà di comunicazione.

Che cos’è il linguaggio? Questa definizione mi piace molto: non è lo strumento ma è l’essenza dell’uomo.

Parlare significa parlare a qualcuno, quindi parlare non appartiene alla sfera dell’io, bensì alla sfera del noi.

E questo mi introduce a spiegarvi che cos’è la comunicazione funzionale, che non è semplicemente parlare

ripetendo frasi sentite dalla tv, o il parlare con se stessi che non è un parlare in maniera funzionale, o il

parlare in maniera ecolalica che non è una comunicare funzionale. La definizione data da Bondy e Frost,

ideatori del metodo PECS è

“La comunicazione funzionale è un comportamento rivolto verso un’altra persona che a turno fornisce

rinforzi diretti o sociali”, che significa che può dire semplicemente un “bravo” oppure consegnare, nel caso

della richiesta, quello che io desidero. La comunicazione di tutti noi funziona in questo modo. Quindi non

tutti i comportamenti sono comunicativi. È necessario che ci sia un interlocutore. La comunicazione quindi

è bidirezionale e si sviluppa molto precocemente nel bambino a sviluppo tipico, molto prima dell’emergere

del linguaggio perché il bambino comincia ad indicare, a triangolare lo sguardo molto prima di produrre le

prime paroline.

Nell’autismo il deficit comunicativo è disarmante, anche nei casi ad alto funzionamento ci sono

caratteristiche evidenti di linguaggio autistico, che vanno a comprometterne l’uso. Nel momento in cui non

c’è la possibilità di comunicare verbalmente, non ci sono neanche i prerequisiti perché il bambino non è in

grado di imitare i suoni che produco, non c’è controllo ecoico, cioè non c’è imitazione vocale, e non ho

possibilità di aiutarlo fisicamente a produrre quello che voglio insegnargli e quindi ho le mani legate

nell’insegnare a richiedere delle cose. Io non posso aspettare di arrivare a questo livello per insegnare al

bambino a comunicare, perché significherebbe parlargli sopra senza dare a lui la possibilità di parlare.

L’insegnamento incidentale è il luogo privilegiato dove insegnare il linguaggio e la comunicazione

funzionale, e il primo passo per insegnare a comunicare è insegnare a richiedere. Che cos’è la richiesta, il

MAND? Questa è la definizione che viene data da Skinner nel testo Verbal Behaviour:

“il MAND è un operante verbale, ed affinchè venga emesso e si verifichi è necessaria un’operazione

motivativa (la motivazione a desiderare qualcosa). La situazione motivante che si crea in determinate

situazioni di sazietà o altro, fa si che io sia motivato a fare una richiesta. Quindi c’è la situazione che crea la

necessità della richiesta e naturalmente deve esserci l’ascoltatore. Queste sono le due caratteristiche, i due

prerequisiti per creare la situazione in cui posso insegnare a richiedere.

Perché è importante la richiesta e perché si parte da qui:

- è la prima forma verbale che si sviluppa. I bambini quando imparano a parlare cominciano a

chiedere a raffica, a partire dalla mamma.

- È l’unico comportamento verbale che beneficia direttamente il parlante. Per cui se ho sete e chiedo

l’acqua, il rinforzo che ricevo è l’acqua stessa. La richiesta ha già direttamente in sé il rinforzo e

insegna che il comportamento verbale, quando viene prodotto, procura dei benefici, ha un valore e

di conseguenza anche la persona stessa che soddisfa le richieste verrà associata a situazioni

piacevoli e positive e aumenterà anche il valore della persona che sta intorno. Se l’insegnante, nella

situazione di insegnamento, crea tante opportunità perché io richieda, quando il bambino vede

l’insegnante è contento. Considerate che per i bambini con disturbo dello spettro autistico l’altro

ha un valore estremamente relativo, considerate quanto può essere utile ed aiutarlo questo tipo di

lavoro, in cui la persona che lo aiuta a imparare a richiedere è anche quella che offre un sacco di

cose piacevoli e il valore della persona aumenta enormemente.

È importante sapere che nei trattamenti logopedici si punta spesso all’aumento del vocabolario del

bambino, ma se un bambino ha imparato ad etichettare 50 nomi, non è matematico che impari a richiedere

le cose quando gli servono perché non c’è sempre un trasferimento così naturale e diretto tra la possibilità

di denominare semplicemente e quella di richiedere, ma spesso sono tutte aree che vanno insegnate

separatamente. Per questo è necessario creare un lavoro il più omogeneo e globale possibile.

La comunicazione va anche distinta e questo è molto importante per capire quale è la procedura per

insegnare a richiedere, perché spesso si confonde la comunicazione spontanea con la risposta ad una

domanda. Quando noi chiediamo di lavorare sulla richiesta diciamo che bisogna stare in silenzio e questo è

molto contro-intuitivo, perché tutti noi siamo portati a chiedere all’altro se ha bisogno di qualcosa,

cercando di creare una situazione in cui lui possa dire di sì. È importante invece che l’adulto rimanga in

silenzio perché vogliamo insegnare una comunicazione spontanea, non semplicemente una possibilità di

rispondere ad una domanda. Perché se il bambino impara a richiedere l’acqua solo quando gli viene

richiesto, non imparerà mai a richiederlo sentendo il suo bisogno e questo sembra una banalità ma

purtroppo è quello che succede comunemente ai bambini con questo tipo di disturbo. Imparano a

rispondere a domande, ma se non sottoposti ad un training specifico non imparano a fare richieste

spontanee. La prima cosa da fare è aspettare in silenzio e vedere se il bambino è interessato o meno

all’oggetto che gli proponiamo. Quello che è importante è creare innumerevoli possibilità di fare richieste

durante la giornata, lavorare in tutti i contesti di vita, tutti devono essere addestrati a creare la situazione

perché il bambino possa richiedere.

Per prima cosa dobbiamo valutare i rinforzatori, cioè le cose che al bambino piacciono, facendo interviste ai

genitori, facendo proposte diversificate e quindi associarci a questi oggetti piacevoli per acquisire anche noi

un maggior grado di piacevolezza da parte del bambino e poi dobbiamo controllare l’accesso a questi

oggetti perché spesso sono bambini molto autonomi, fanno tutto da soli, se la cavano, ma non vanno

dall’adulto a chiedere. Oppure usano l’altro come strumento: prendono la mano dell’adulto, la mettono

sopra la maniglia senza un contatto oculare, c’è una difficoltà enorme in questo senso. Quello che è

indispensabile fare è non renderli autonomi, che sembra un controsenso però in una prima fase è

indispensabile limitare l’autonomia di un bambino per potergli insegnare a richiedere in maniera

spontanea. Quindi metterò l’oggetto del desiderio in vista ma in posto inaccessibile così da fargli venire la

voglia, ma non avendo la possibilità di accedervi liberamente così da creare l’opportunità di comunicare e

sollecitare la richiesta spontanea da parte del bambino. La pria cosa di cui dobbiamo essere sicuri è che il

bambino in quel momento abbia desiderio di quello che io gli propongo, perché altrimenti se non c’è

desiderio non c’è motivazione e l’operazione motivativa non parte. Quindi mi assicuro che lui desideri

quella cosa, gliela mostro in silenzio, aspetto che si fa avanti spontaneamente e solo allora nomino

l’oggetto. Dopo un certo allenamento arriverò al punto che non dovrò più suggerire il nome dell’oggetto

ma sarà lui spontaneamente a nominarlo.

Un’altra cosa importante da fare è di consegnare piccole porzioni di cibo o consegnare l’oggetto del

desiderio solo per poco tempo, in modo che rimanga sempre il desiderio, la voglia di riaverlo e la necessità

di fare ulteriori richieste e domande. Più il bambino si allena nella possibilità di richiedere e più è probabile

che acquisisca quella competenza.

Facciamo l’esempio della richiesta verbale: nel caso in cui c’è un bambino in grado di ripetere il mio

linguaggio, io posso insegnargli a richiedere utilizzando l’aiuto imitativo: io gli do un modello, il bambino

ripete e io gli do l’oggetto. In questo modo io andrò poi a sfumare l’aiuto fino a che non produrrà

spontaneamente la parola. Si può dare un aiuto fonologico, dicendo la prima parte della parola, oppure

tutto il modello che il bambino ripete. La volta successiva aspetterà qualche secondo prima di dare l’aiuto,

perché il nostro obiettivo è quello che il bambino batta il nostro aiuto, il nostro prompt e noi possiamo

rinforzare una risposta data o una richiesta emessa in modo spontaneo, senza aiuto.

Un’altra strategia importante è differenziare il rinforzo in base alla prestazione del bambino: se il bambino

ha ancora bisogno di un aiuto totale, darò un pezzettino del cibo od ottiene l’oggetto per un po’; nel

momento in cui batte il mio aiuto e lo dice spontaneamente allungo i tempi o aumento le quantità. Il poter

differenziare il rinforzo in base alla prestazione aiuta a far capire che è quello il comportamento richiesto.

Il bambino mostra interesse per l’oggetto, l’adulto dà il prompt call, cioè pronuncia il nome dell’oggetto, il

bambino ripete e fa la richiesta, la consegna dell’oggetto richiesto è il rinforzo. Il prompt call viene

gradualmente ritardato fino a che il soggetto produce spontaneamente la parola per richiedere il

rinforzatore. Quello che ci tengo che capiate è questo aspetto della spontaneità, della comunicazione fatta

spontaneamente, intenzionale, indipendente dall’aiuto o dalla richiesta dell’altra persona.

Nella scuola primaria c’è una parte di lavoro academico, che dipende dal livello del bambino, ma c’è una

parte di lavoro che va fatto in classe e che prevede una situazione più strutturata e direttiva da parte

dell’insegnante. Però se si tratta di un bambino che non ha un buon repertorio di richiesta è comunque

indispensabile uscire dalla classe e lavorare anche con attività piacevoli, non strettamente legate al

curriculum della scuola primaria, ma che gli consentano di fare le richieste e di stabilizzare questa

competenza. È indispensabile per poter poi lavorare su tutto il resto, perché consegnando al bambino lo

strumento comunicativo linguistico o con altre strategie, diamo a lui la possibilità di esprimere il suo

bisogno e la sua intenzione di quel momento. Considerate poi che più è alta l’abilità comunicativa e più

inferiori sono i comportamenti problematici, le due cose vanno di pari passo. Se un bambino ha un

repertorio comunicativo molto ristretto è molto probabile che metterà in atto comportamenti problematici

in numerosi contesti proprio perché non riesce a spiegarsi e l’altro non lo capisce. Da un insegnamento

incidentale sulla richiesta trae beneficio tutto il resto dell’insegnamento e dello stare insieme relazionale.

Se non c’è un buon repertorio richiestivo un buon 40% dell’insegnamento va fatto in questo modo.

Vediamo l’aspetto della collaborazione: come fare con un bambino che si oppone, vuole l’acqua ma non

vuole chiederla e mette in atto tutti i comportamenti problema pur di non chiederla. Questo è un bambino

che necessita urgentemente di un comportamento di questo genere proprio perché i comportamenti

problematici hanno assunto una funzione comunicativa. La storia di apprendimento del bambino ha fatto sì

che lui desse testa, morsi ecc., per ottenere qualcosa o per evitare di fare qualcosa. Cosa fare? Nel caso del

bambino non collaborante con l’altro, il primo lavoro che si fa quando si inizia a lavorare è il PAIRING, cioè

l’associarsi a situazioni piacevoli e divertenti, prima di arrivare a pretendere dal bambino una richiesta io lo

devo conquistare secondo la “regola della nonna” e cioè si da tutto gratuitamente per diverso tempo

affinchè si crei un legame con cose piacevoli e ci trasformiamo noi stessi in rinforzanti. Prima di iniziare

qualsiasi tipo di lavoro è indispensabile passare per questa fase; l’obiettivo è che il bambino ci veda e sia

contento e ci siamo tolti una parte del problema che può essere quella dell’accettazione dell’altro. Poi ad

un certo punto bisogna dare un freno: all’inizio viene tanto gratificato, poi quando ha acquisito una

capacità stabile a richiedere, dovrò cominciare a dire dei no. Anche questo lavoro viene fatto

gradualmente, perché i bambini si devono allenare a riconsegnare l’oggetto che desiderano. All’inizio, per

non creare una situazione di astio con il bambino, si cerca di utilizzare rinforzatori consumabili, che il

bambino non è costretto a riconsegnare, oppure giochi che prevedono tante parti (esempio puzzle: il

bambino è motivato a richiedere un altro pezzo perché gli serve e io non devo togliergli niente). All’inizio si

cercano escamotage per cui io non debba togliere dalle mani e quando questo è necessario si fa un lavoro

di scambio, proprio per non creare situazioni spiacevoli. Se il bambino riesce a produrre delle cose ma non

quello che io richiedo, oppure produce qualcosa che viene compreso solo dai genitori, l’insegnante,

l’educatore, questa forse non è la comunicazione ideale perché nel momento in cui insegno a richiedere,

questa richiesta deve essere comprensibile in ogni contesto, altrimenti non è uno strumento comunicativo

efficace. Quindi prevedere con una strategia aumentativa un altro tipo di comunicazione che preveda poi

un abbinamento graduale dell’approssimazione della parola fino a che non riesca a ripetere bene. Davanti

alla frustrazione di non produrre bene un suono, potrebbe far scaturire comportamenti problematici che

poi sono difficili da gestire.

Usare il segno per caramella, scambiare l’immagine di una caramella con la caramella vera sono tutti

esempi di MAND , indipendentemente da quella che è la funzione e sono tutti considerati comportamenti

verbali, anche senza emissione di suono perché è comunicazione.

I sistemi di comunicazione aumentativa alternativa che si usano in ABA sono:

- PECS, lo scambio di immagini strutturato in un certo modo, sempre utilizzando una procedura

simile all’insegnamento della richiesta vocale.

- I SEGNI. Che sono gesti che si possono prendere dalla LIS o anche inventati

- La scrittura: a volte è capitato che bambini che usano tranquillamente il PECS poi creassero delle

immagini spontaneamente. Quando poi impara a scrivere, invece di scambiare l’immagine del

bagno lo scrive direttamente.

- VOCA o TABLET che sono più una comunicazione alternativa che aumentativa e si usano nei casi di

ragazzi, adolescenti e non bambini piccoli, che non hanno possibilità di produrre suoni ed utilizzano

il tablet con programmi specifici con sintesi vocale. È utile in adolescenza quando si portano i

ragazzi a fare esperienze di comunicazione al di fuori dell’ambito familiare. Il ragazzo compone sul

tablet la frase su un programma apposito e la sintesi vocale legge la frase scritta. Questo è utile nei

lavori sociali e nei lavori sull’autonomia.

La comunicazione può essere aumentativa: c’è una possibilità embrionale da parte del soggetto di produrre

qualcosa ma non è sufficientemente chiaro quindi ho bisogno di uno strumento di sostegno alla sua

capacità comunicativa.

Si parla di comunicazione alternativa quando il soggetto è quasi muto, non in grado di produrre suoni.

Le domande che dobbiamo porci sono:

- È utile per compensare parzialmente o totalmente gravi difficoltà nell’emissione del linguaggio

parlato?

- È presente il linguaggio?

- È comprensibile anche da estranei?

- È presente intenzionalità comunicativa?

- Vengono utilizzate frasi?

Queste sono le domande che ci possono condurre nella scelta dell’utilizzo di uno strumento di

comunicazione alternativo o meno.

Come facciamo a scegliere? Indicativamente, quello che prendiamo in considerazione è l’età del soggetto,

la sostenibilità dell’intervento all’interno dell’ambiente di vita del bambino. Per il resto , tutte le abilità

(motorie, di attenzione, abilità visive, lo sguardo, il comportamento) sono del tutto indifferenti, non è

necessario che il bambino abbia chissà che livello cognitivo, per scegliere uno strumento rispetto ad un

altro. Che sappia discriminare immagini, che abbia un certo livello di attenzione sono tutte cose che

vengono insegnate durante l’apprendimento di questo tipo di strumento. Quello che è importante è

valutare quella che può essere la proposta migliore per quel soggetto in quel contesto dove vive perché, ad

esempio, un sistema comunicativo come il PECS può essere adeguato per bambini o ragazzi che si

affacciano a comunicazioni con persone che non sono strettamente nella cerchia dei famigliari. Quello che

ha di positivo l’immagine è che la può comprendere chiunque, mentre un segno che può essere arbitrario,

può risultare ambiguo. Il PECS è però uno strumento macchinoso, specialmente per la famiglia che deve

preparare tutte le immagini, deve avere immagini di riserva, perché se sono perse devono essere cambiate,

il bambino non può rimanere con un quaderno sprovvisto di immagini perché significherebbe

imbavagliarlo; il bambino lo deve portare ovunque con sé ed è impegnativo per la famiglia organizzare una

comunicazione di questo tipo. I pro e i contro vanno valutati situazione per situazione è importante sapere

che entrambi gli strumenti di comunicazione non inibiscono lo sviluppo del linguaggio parlato ma anzi lo

incentivano. Il fatto di insegnare precocemente la comunicazione fa sì che l’abilità comunicativa si sviluppi e

quando possibile proceda anche il linguaggio parlato.

Parliamo di segni: si scelgono dei segni che possono essere convenzionali, di solito si preferiscono segni

iconici che ci rappresentano l’oggetto che richiedono. Quando non è possibile, si usano i segni della LIS, e

quando questi sono troppo complessi come per il movimento, i segni vengono modificati in base al livello

imitativo e motorio del soggetto che abbiamo di fronte. L’importante è che ogni bambino abbia il suo

vocabolario, la sua rubrica che i genitori aggiornano quotidianamente e che deve essere disponibile con

tutti colori che ruotano intorno al bambino, propri per il rispetto della sua comunicazione.

La procedura di insegnamento: possiamo utilizzare due tipi di aiuto, il bambino che imita può usufruire

semplicemente del modello, copiando il mio gesto. Quando non è in grado di imitare lo aiuto fisicamente,

la bravura sarà sfumare l’aiuto fino a che il bambino lo produce spontaneamente. Nel caso dell’imitazione è

il tipo di lavoro che si fa con il modello vocale; prima lo imita, poi dopo alcune prove aspetterò qualche

secondo per vedere se lo fa senza il mio aiuto. Con il bambino che non imita, quello che posso fare è dare

sempre il modello, e dopo aver provato alcune volte con l’aiuto fisico, proverò a ridurlo passando al

semplice aiuto di imitazione. A questo punto forse avrà bisogno di meno aiuto e lo faccia spontaneamente;

la bravura dell’insegnante è quella di riuscire a sfumare l’aiuto in modo che il bambino non rimanga

dipendente da esso e questo accade quando l’aiuto è invasivo e protratto per lungo tempo e questo non gli

permette di acquisire una comunicazione spontanea ed autonoma. Devo invece ridurre progressivamente

l’aiuto affinchè lo produca progressivamente da solo.

Lavorare al massimo su 3 parole, meglio se sono segni “chiusi” non segni in movimento, che hanno un

movimento che termina e che riguardino aree diverse, un cibo, un gioco, un’attività. Poi vengono inseriti i

verbi, e il lavoro è lo stesso che si fa con il vocale e si possono creare NET con i segni. È vero che il segno è

meno comprensibile, è vero che sono bambini che hanno una gravità tale per cui non sono mai soli e non

hanno chissà quali esperienze di uscita da contesti conosciuti, ma il segno ho la possibilità di averlo sempre

e ovunque. Il linguaggio dei segni ha un livello di astrazione superiore rispetto alle immagini ed è più simile

ad un linguaggio parlato e con un gesto posso denominare, fare un commento, mentre con le PECS è molto

più difficile e macchinoso.

L’uso del tablet ha la stessa procedura del PECS e deve essere dedicato solo a quello, non ci possono essere

altre applicazioni. L’importante che sia insegnato in questo modo: che si aspetti l’iniziativa del bambino,

che gli venga insegnato a digitare l’immagine che desidera, che impari a discriminare tra le varie immagini.

Anche qui c’è un insegnamento preciso per imparare a discriminare tra le varie immagini. La stessa cosa si

fa con lo strumento digitale o tridimensionale. Si tratta però di strumenti un po’ delicati e nonostante

abbiano il guscio sono comunque un po’ ingombranti. Per alcuni bambini è più facile ed immediato sfogliare

le pagine della PECS, mentre con il tablet fanno più fatica a trovare le sottocategorie delle varie immagini.

La modalità di insegnamento della comunicazione non cambia con l’età del soggetto ed è un insegnamento

trasversale che può essere fatto per tutta la vita, senza un limite di età.

Con le PECS, a differenza dell’insegnamento del segno o della richiesta vocale, c’è bisogno di un partner

comunicativo, qualcuno che aiuta il bambino a scambiare l’immagine. All’inizio deve semplicemente

prendere l’immagine e metterla nella mano dell’adulto: questo è il primo requisito di base.

Successivamente, sempre con l’aiuto, c’è un partner comunicativo che è quello che riceve l’immagine, c’è il

bambino che comunica e il prompt fisico, la persona ombra, che in silenzio lo aiuta a prendere il quaderno,

a cercare l’immagine, a scambiarla, un aiutante. Quindi nella prima fase si insegna a dare l’immagine, nella

seconda fase si insegna al bambino a cercare il quaderno che può essere in diversi contesti e a cercare

l’interlocutore, che può essere girato rispetto a lui, per insegnare ad insistere sull’intenzionalità della

comunicazione. Quello che è indispensabile è coinvolgere la famiglia in prima persona perché i bambini,

oltre che a stare a scuola stanno a casa e i genitori devono essere attori partecipi.

Nella terza fase si insegna a discriminare tra due immagini, una gradita e una non gradita, poi due immagini

gradite e qui iniziano i problemi perché molti non sono bravi a discriminare. Il bambino discrimina

l’immagine che gli serve, quella che corrisponde all’oggetto che ha davanti. In un primo tempo si

propongono due immagini, una gradita e una no, per cui se mi offre l’immagine non gradita e io gli do

l’oggetto lui lo butta e sono sicuro che la volta successiva discriminerà meglio. Poi due egualmente gradite

dove poi si va a fare un controllo di corrispondenza, proprio perché entrambe le immagini sono desiderabili

per lui, e cioè gli si offrono tutte e due le scelte e se il bambino è coerente nel prendere l’oggetto

corrispondente all’immagine abbiamo la certezza della sua scelta consapevole e glielo facciamo prendere,

altrimenti non glielo facciamo prendere e lo correggo facendogli scegliere l’immagine giusta.

Nella quarta fase si insegna a costruire delle frasi, “Voglio la caramella”, e si può decidere di insegnare gli

aggettivi. Nella quinta fase si insegna a rispondere alle domande e nella sesta fase si insegna a

commentare quello che vede o fa. È un procedimento lungo che porta a dei livelli alti di capacità

comunicativa.