DOREAN Dorean a tutti voi Sono una delle nipoti di Luisito ...

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DOREAN Dorean a tutti voi Sono una delle nipoti di Luisito, che era il fratello della mia mamma. siamo cresciuti con il suo esempio vivente di Gratuità e Resistenza. Faccio il medico ed ho avuto il privilegio di stargli vicino in questo ultimo anno di continui problemi di salute, sempre più gravi e sempre più mutilanti (non poteva più scrivere a mano!). Lo piango senza consolazione, ma vedere quanti in realtà l’hanno conosciuto e condiviso il suo unico ed indomabile pensiero mi riempie di gioia….se come dite le sue parole continuassero a viaggiare e si diffondessero come un’epidemia contagiosa, che meravigliosa rivoluzione sarebbe. Poco prima di morire mi disse: tutto è stato detto: Dorean (gratuitamente, in greco). Dorean è anche il nome che diede ad un cane randagio che descrive in uno dei suoi ultimi libri (Quando si pensa coi piedi ed un cane ti taglia la strada) e allora Dorean a tutti voi Grazie, Licia Valerio Gigante su Adista di Adista Notizie n. 3 del 21/01/2012 È MORTO LUISITO BIANCHI, PRETE OPERAIO, PROFETA DELLA GRATUITÀ 36489. ROMA-ADISTA. Prete-operaio, prete-poeta, prete della Resistenza, prete-scrittore, prete- monaco. Luisito Bianchi è stato tutto questo e altro ancora. Ma soprattutto è rimasto sempre testardamente prete, cioè un uomo di Chiesa che ha cercato di portare in tutti i contesti in cui ha vissuto e lavorato la testimonianza di una Chiesa diversa dal modello gerarchia-potere-ricchezza, segnalando al contrario la drammatica urgenza di rimettere al centro di tutta l’attività ecclesiale il valore della gratuità. Una contraddizione, quella tra la limpida testimonianza individuale e i limiti e i compromessi dell’istituzione a cui apparteneva, che ha accompagnato tutta la vita di don Luisito, segnandone profondamente l’azione pastorale e l’esperienza di fede e che è stata al centro della riflessione di molti suoi libri.

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DOREAN Dorean a tutti voi Sono una delle nipoti di Luisito, che era il fratello della mia mamma. siamo cresciuti con il suo esempio vivente di Gratuità e Resistenza. Faccio il medico ed ho avuto il privilegio di stargli vicino in questo ultimo anno di continui problemi di salute, sempre più gravi e sempre più mutilanti (non poteva più scrivere a mano!). Lo piango senza consolazione, ma vedere quanti in realtà l’hanno conosciuto e condiviso il suo unico ed indomabile pensiero mi riempie di gioia….se come dite le sue parole continuassero a viaggiare e si diffondessero come un’epidemia contagiosa, che meravigliosa rivoluzione sarebbe. Poco prima di morire mi disse: tutto è stato detto: Dorean (gratuitamente, in greco). Dorean è anche il nome che diede ad un cane randagio che descrive in uno dei suoi ultimi libri (Quando si pensa coi piedi ed un cane ti taglia la strada) e allora Dorean a tutti voi Grazie, Licia

Valerio Gigante su Adista di Adista Notizie n. 3 del 21/01/2012

È MORTO LUISITO BIANCHI, PRETE OPERAIO, PROFETA DELLA GRATUITÀ 36489. ROMA-ADISTA. Prete-operaio, prete-poeta, prete della Resistenza, prete-scrittore, prete-monaco. Luisito Bianchi è stato tutto questo e altro ancora. Ma soprattutto è rimasto sempre testardamente prete, cioè un uomo di Chiesa che ha cercato di portare in tutti i contesti in cui ha vissuto e lavorato la testimonianza di una Chiesa diversa dal modello gerarchia-potere-ricchezza, segnalando al contrario la drammatica urgenza di rimettere al centro di tutta l’attività ecclesiale il valore della gratuità. Una contraddizione, quella tra la limpida testimonianza individuale e i limiti e i compromessi dell’istituzione a cui apparteneva, che ha accompagnato tutta la vita di don Luisito, segnandone profondamente l’azione pastorale e l’esperienza di fede e che è stata al centro della riflessione di molti suoi libri.

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Malato da tempo, don Luisito è morto all’età di 84 anni, il 5 gennaio scorso, a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese, nel monastero benedettino guidato da madre Ignazia Angelini, in cui viveva da molti anni e di cui era cappellano.

Era nato il 23 maggio 1927 a Vescovato, in provincia di Cremona. Ordinato nel 1950, era stato insegnante al seminario vescovile di Cremona (1950-1951) e missionario in Belgio (1951-1955). Tornato in diocesi, fu nominato vicario a S. Bassano in Pizzighettone (1956-1958), con l’impegno di interessarsi dei giovani della fabbrica Pirelli. Dopo due anni, il vescovo lo volle assistente provinciale delle Acli. In quel periodo fu molto vicino al mondo del lavoro, soprattutto al settore dell’agricoltura. Poi le Acli lo chiamarono a Roma, per diventare vice assistente nazionale. Ma dopo tre anni fu lo stesso Bianchi a chiedere di potersene andare, perché nutriva riserve sull’impostazione della funzione dell’assistente. «Si voleva fosse la coscienza cristiana del movimento, mentre io pensavo che ogni cristiano dovesse avere una sua autonomia, non dettata, nelle scelte politiche e sociali, da una direttiva esterna. Fu così che tornai indietro e chiesi di poter andare a lavorare in fabbrica. Il vescovo, forse per il rimorso di avermi mandato a Roma, acconsentì». Con alcuni aclisti avviò l’esperienza di “Ora Sesta”, l’ora dell’incontro e del dialogo, secondo il Vangelo di Giovanni (cap. 4). Il gruppo cercava (e cerca) di incarnare le attese e le speranze del Concilio soprattutto nei confronti del mondo operaio e contadino, attraverso l’approfondimento culturale dei grandi temi della pace, del lavoro, dell’ecumenismo, della solidarietà internazionale, della libertà, della partecipazione democratica, della fratellanza universale. “Ora sesta” ha pubblicato anche dischi (di alcune canzoni, don Luisito è autore, seppure sotto pseudonimo, sia dei testi che della musica) e libri. Tra questi, anche un lavoro dello stesso Bianchi, Salariati (1968), uno studio sociologico sul salariato di cascina nel cremonese.

L’esperienza della fabbrica

Don Luisito, che si era nel frattempo laureato anche in Scienze Politiche (titolo: “I contadini della Val Padana”, relatore: Francesco Alberoni), fu ancora insegnante nel Seminario di Cremona (1964-1967). Poi, nel 1968, decise di occuparsi dei problemi del lavoro dall’interno, scegliendo la condizione operaia. Erano gli anni in cui, soprattutto in Francia, cominciava a prendere piede il fenomeno dei preti-operai. Bianchi scelse la fabbrica soprattutto per coerenza al suo ministero: «Come posso restare coerente nell’annunciare la gratuità del Vangelo, se in cambio, proprio per la mia funzione di prete, ricevo del denaro o una paga mensile?». Don Luisito maturava infatti la convinzione che essere prete significasse soprattutto vivere il dono della gratuità, rifiutando qualsiasi compenso in denaro che riducesse il suo ministero a quello di “funzionario del sacro”. Per vivere decise quindi di lavorare. E di non percepire più la “congrua”. Così, il 5 febbraio del 1968, don Luisito Bianchi, con il permesso del vescovo (che lo inviò però fuori diocesi, ad Alessandria), fece il suo ingresso in una fabbrica chimica, la Montecatini di Spinetta Marengo, come operaio turnista addetto alla lavorazione dell’ossido di titanio. Per tre anni registrò le sue giornate, i suoi dialoghi con i compagni di turno, le sue vicissitudini lavorative e spirituali in alcuni taccuini, che composero una sorta di “diario di fabbrica”. Pubblicato nel 1972 da Morcelliana con il titolo Come un atomo sulla bilancia, quel testo fu ristampato da Sironi, nel 2005: si intitola I miei amici: diari (1968-1970), e si riallaccia, ma in un’ottica cristiana, a quella narrativa di

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fabbrica che, a partire dagli anni ’60, aveva indagato (attraverso i romanzi di scrittori come Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Lucio Mastronardi, Nanni Balestrini e Luciano Bianciardi) nevrosi e alienazione sociale prodotti dalla riorganizzazione neocapitalistica del lavoro (v. Adista n. 41/08).

Nei suoi appunti, Bianchi si sofferma però soprattutto sui rapporti tra la Chiesa e il potere, le relazioni tra teologia e politica; ma affrontando anche motivi di scottante attualità, come le relazioni sindacali in fabbrica, il rapporto tra cattolici e marxisti, l’ipocrisia delle dirigenze sindacali, la sicurezza sul lavoro, le morti bianche. «Ho capito – scrive nei suoi diari – che i quadri dirigenti non richiedono di apprendere qualche cosa ma solo di chiudere gli occhi, eseguire gesti una volta, due volte, cento volte, finché sei ammaestrato per bene, come succede con gli animali del circo».

Prete nella gratuità

Quando l’esperienza di fabbrica finì, alla fine del 1970, don Luisito fece un amaro bilancio di quell’esperienza, ricchissima invece dal punto di vista umano e relazionale: «I tre anni di fabbrica m’hanno persuaso che oggi, nella situazione attuale, l’evangelizzazione non è possibile». Ma quello che più tormentava don Luisito era di essere accettato come compagno di lavoro, amico e confidente, ma non come prete. «Perché a loro il Dio che presenta la mia Chiesa non interessa?», è la tormentosa domanda che don Luisito si ripeteva. «Perché la Chiesa lo predica e ne trae profitto e potere come da una merce», fu l’amara risposta giunta al termine dell’esperienza di fabbrica. Uscito dalla Montecatini, nel 1971 Luisito, con il consenso del vescovo, fece una brevissima esperienza da benzinaio a Milano. Poi cominciò a lavorare come traduttore, inserviente in ospedale e in seguito infermiere. Prete-operaio più che operaio-prete, perché l’idea della evangelizzazione e della presenza della Chiesa nel modo del lavoro rimanevano per lui prioritari rispetto alla dimensione “militante”. L’obiettivo, sempre il medesimo: trovare il sostentamento dal proprio lavoro per essere veramente gratuiti – e credibili – nel ministero. Un atteggiamento di radicalità evangelica che lo ha sempre nettamente contrapposto al sistema della “congrua” prima, all’8 per mille negli anni successivi alla revisione concordataria.

L’archetipo della Resistenza

Nel 1975, intanto, don Luisito pubblicava Dialogo sulla gratuità (edito da Morcelliana, riedizione Gribaudi, Milano 2004). Lo stesso anno, cominciò anche a maturare l’idea di un grande romanzo sulla Resistenza, periodo che Luisito aveva intensamente vissuto, anche se non come protagonista. La mattina scriveva, il pomeriggio studiava e traduceva per vivere. Cinque anni dopo, il romanzo era pronto. Restò un dattiloscritto che venne letto da alcuni amici, che ne intuirono il valore e lo diffusero. Ebbe una sua prima edizione, autofinanziata, solo nel 1989, con il titolo Resistenza. Nel 1991 venne addirittura fatta una ristampa, anch’essa esaurita. Nel 2003 l’editore Sironi propose il romanzo con un nuovo titolo, La messa dell’uomo disarmato, al grande pubblico, facendolo divenire un caso letterario. Il testo venne infatti considerato dalla critica come il maggiore romanzo cristiano sulla lotta partigiana. Si tratta di un romanzo che affronta il tema sia nella sua accezione storica sia in un significato più profondo, civile, filosofico e religioso (v. Adista n. 1/04).

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Dopo quel romanzo, Bianchi ha pubblicato Dittico vescovatino (2001); Simon Mago (2002), un testo che riabilita il personaggio da cui deriva il peccato della simonia, che l’autore attribuisce invece ai tanti Simon Pietro succedutisi alla guida della Chiesa; Monologo partigiano sulla Gratuità (2004), una serie di appunti e riflessioni per una storia della gratuità del ministero nella Chiesa; Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada (2010), romanzo in cui viene fortemente criticato il sistema che relega i preti ad una mera funzione impiegatizia (v. Adista n. 50/10). Bianchi era anche poeta e ha pubblicato diverse raccolte di poesie tra cui Vicus Boldonis terra di marcite (1986) In terra partigiana (1992) Forse un’aia (1993) e Sulla decima sillaba l’accento (1995), Parola tu profumi stamattina (1999).

La tuta e la stola

Il funerale di don Luisito, celebrato il 7 gennaio prima all’abbazia di Viboldone e poi a Vescovato (Cremona), il suo paese, ha visto una straordinaria partecipazione di persone, amici ed estimatori. A presiedere il rito, il vescovo di Cremona, mons. Dante Lanfranconi. Sulla bara di don Luisito, come da lui espressamente chiesto, la sua tuta da operaio, la Bibbia, la stola e tre rametti di agrifoglio. Ad accompagnarlo al cimitero un asinello (animale di cui don Luisito parla nella sua “Messa”) e lo stendardo dell’Anpi. (valerio gigante)

Da http://www. aclicremona.it/ "Un cantore innamorato della gratuita" Don Luisito ci ha lasciato mentre ci si apprestava ad udire nella liturgia festiva dei primi vespri dell'Epifania I'annuncio di una Parola che si è fatta carne, rivelando e manifestando la verità di un Dio con il volto della gratuità, amico dell'uomo. Chi ha avuto il privilegio di conoscere da vicino don Luisito ritrova in questa pagina della Scrittura tutti i tratti inconfondibili di un uomo e di un prete, inarrivabile cantore innamorato della gratuità, appassionato ricercatore di Dio tra le rughe e le pieghe di un'umanità spesso dimenticata o confinata ai margini dell'esistenza. Non è facile condensare in poche righe l'incalcolabile densità della personalità di don Luisito: uomo, prete, studioso, scrittore, conoscitore della Parola di Dio, maestro e acrobata della parola scritta, poeta della resistenza, contemplativo della bellezza della lingua, dell'arte, della musica, della natura. Uomo dal cuore e con lo sguardo di un bambino sapeva lasciarsi interrogare stupire dalla complessità di un Dio cercato ininterrottamente nella semplicità di un paesaggio divenuto amico e compagno di viaggio nel suo instancabile peregrinare dietro le orme di Colui che si è fatto uomo per amore. Per chi non ha avuto il privilegio di accostarlo di persona e di conoscerlo da vicino rimane a disposizione, come specchio fedele e luminoso, la grande produzione letteraria alla quale attingere tutte le informazioni e le considerazioni che lo riguardano, perché il patrimonio del suo pensiero e della sua riflessione dentro la Chiesa, diventi motivo di ricchezza da non disperdere. Ai meno distratti Luisito è noto come l'autore del romanzo sulla resistenza diventato immediatamente un caso letterario: "La Messa dell'uomo disarmato", nel quale trasfonde la forza

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del suo pensiero raccolto e sistemato nel 'Dialogo sulla gratuità', libro simbolo del suo impegno intellettuale ed espressione totalizzante del suo amore alla Chiesa. Nell'introduzione al libro, Alessandro Pronzato descrivendo il suo incontro con I'autore, coglie in tutta la sua verità I'aspetto più significativo della vicenda di don Luisito e la nota più illuminata della sua personalità. Possiamo usare le stesse parole per cominciare a 'raccontare' chi è don Luisito e spiegare perché non sarà facile dimenticarlo: "E adesso dove ti metto?" domandava, sconsolato, mons. Dario Bolognini. Non doveva essere facile per un vescovo trovare una sistemazione adeguata per un tipo irrequieto come don Luisito Bianchi. Uno che era alla ricerca della 'sua' strada, ancora imprecisata, ne aveva già abbandonate alcune, con I'accortezza di bruciarsi alle spalle il vascello - o la barchetta, come dice lui -, in modo da impedirsi qualsiasi tipo di ritorno all'indietro, ma essendo costretto, a motivo di quel chiodo che gli si era conficcato nel cervello, di spingersi sempre più avanti, ad esplorare un territorio insolito, già scoperto nei tempi antichi dalla Chiesa e poi malauguratamente abbandonato. Quel terreno aveva un nome preciso: gratuità... Per capire il suo stato d'animo, sono andato a rileggermi una pagina stupenda dedicata al tema della Resistenza come gratuità: "... La Resistenza (sempre con la maiuscola, n.d.r.) e un fatto di gratuità. La vera: la Resistenza al potere, non per instaurare una altro potere ma per la libertà dell'uomo. Per questo Resistenza è Gratuità, e Partigiano I'uomo gratuito. ll Dio gratuito non è forse il Dio Partigiano, che prende le parti di chi, in un modo o nell'altro, è perseguitato dal potere?" Chi si awicinava a don Luisito, chi lo ascoltava attentamente, percepiva in lui un sentimento di profondo amore alla Chiesa, che desiderava fosse più autenticamente evangelica, al punto da ripetere. "Ti prego; e se la voce mia è lo stridore d'un fantasma notturno o il cicaleccio d'un passero su sterile ramo, accogli, ugualmente materna, la mia riconoscenza per aver fatto assaporare, centellinato, attraverso la tua storia, che e la stessa di quegli uomini, cose, avvenimenti, e di Dio, che me lo hanno fatto scoprire, il gusto della Gratuità". Un'ultima annotazione: il grande amore e il suo profondo legame a Vescovato, il paese della sua infanzia e della sua maturazione umana e cristiana. In particolare il legame con I'Arciprete don Giovanni Gusberti, uomo d'intelligenza raffinata, al quale si è continuamente ispirato nella sue scelte di vita e nella sua formazione culturale. Per questo don Luisito ha deciso di ritornare là dove tutto è cominciato, il luogo in cui ha appreso in famiglia e alla scuola dell'Arciprete il gusto dell'onestà con se stesso e con gli altri, il primato della coerenza e la centralità della Parola alla quale abbandonarsi nel riconoscimento della sua assoluta signoria. Don Angelo Lanzeni Arciprete di Vescovato

PER DON LUISITO

“Hoo vist on pret, “Ho visto un prete, ma adess l’è mort. ma adesso è morto: L’ha faa l’operari, ha fatto l’operaio, e anca l’infermer.” e anche l’infermiere”. “E l’ha faa anca el pret?”. “E ha fatto anche il prete?” “Appont” “Appunto”.

“Hoo vist la gesa “Ho visto la Chiesa ch’el pensava lù, che immaginava lui,

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l’ha scritt in di liber l’ha scritta nei libri e la predicava”. e la predicava”. “Ma el faseva el pret?” “Ma faceva il prete?” “Appont”. “Appunto””.

“L’hoo leggiuu, “L’ho letto, l’era difficil de cominciaa. difficile da cominciare, Ma poeu el cuntava poi raccontava di robb che capitaven cose che capitavano a chi credeva e a chi no, a chi credeva e a chi no, e se capiven”,. E si capivano.”. “E l’era on pret?” “Ed era un prete?” “Giust”. “Appunto”

“L’è nassü in campagna “E’ nato in campagna e rustich l’è staa ona vita. e ruvido è stato per una vita. L’è finii in convent E’ finito in convento a dare A dagh a traa ai monegh”, ascolto alle monache” “E l’era on pret? “Ed era un prete?” “Giust”. “Appunto”.

“Diseva messa a Viboldon, “Diceva messa a Viboldone, la gesa l’era pienna la chiesa era piena de gent de fed, de gent de dubbi di gente di fede, di gente del dubbio e anca miscredent. e anche miscredenti. E le sue parole E i so paroll andaven ben a tucc”. andavan bene a tutti”. “E l’era on pret?” “E era un prete? “ “Ma sacramembal, . “Ma sacramembal, l’era finamai on pret” era sicuramente un prete”

Piergiorgio Mora

7 gennaio 2012

Roberto Carnero su “il Sole 24 ore” – 8 gennaio 2011

DON LUISITO BIANCHI, PRETE E SCRITTORE OPERAIO Con la scomparsa di don Luisito Bianchi, avvenuta il 5 gennaio, abbiamo perso non solo uno scrittore, uno

dei più originali degli ultimi decenni, ma anche il testimone scomodo di un radicalismo evangelico profetico

e mai accomodante. Nella sua vita Luisito Bianchi ha fatto l'insegnante, il traduttore, l'operaio, il benzinaio,

l'inserviente in ospedale. Nato a Vescovato, in provincia di Cremona, nel 1927, sacerdote cattolico dal 1950, il

grande pubblico l'ha conosciuto a partire dal 2003, quando Sironi editore ripubblicò La messa dell'uomo disarmato, un ampio, suggestivo romanzo sulla Resistenza, uscito per la prima volta nel 1989 in un'edizione

autoprodotta.

Di quel periodo, l'autore non offriva soltanto una lettura storiografica. C'era una dimensione filosofica e

religiosa (una religione civile, oltre che trascendente) che faceva della Resistenza una categoria quasi

esistenziale.

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Nel 2005 sempre Sironi manda in libreria una nuova edizione di un suo libro del 1972, dal titolo Come un atomo sulla bilancia, il racconto, alternato alla riflessione, dell'esperienza vissuta da don Luisito, a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, come prete operaio. In occasione dell'uscita di quel libro, lo incontrai

presso l'abbazia trecentesca di Viboldone (una manciata di chilometri da Milano), dove da alcuni anni

prestava la funzione di cappellano presso la comunità delle suore benedettine. Parlammo della sua vita, del

suo amore per la scrittura, della sua idea di Chiesa. Parlava lentamente, a voce bassa, di tanto in tanto

socchiudendo gli occhi. Ma le sue parole erano molto precise. Don Luisito non risparmiava le critiche ai modi

con cui l'istituzione ecclesiastica ha organizzato la propria vita. Tuttavia ci teneva a ribadire il suo amore per

la Chiesa: «Amo questa Chiesa perché è lei che mi ha trasmesso Cristo. Ed è nella Chiesa che ho sentito

parlare di un Dio che sceglie di perdere ogni potere, preferendo la povertà. Di fronte a certi atteggiamenti

della Chiesa mi viene da chiedermi: è possibile che si cerchi il potere per affermare la parola di colui che ha

rifiutato il potere?».

Uno dei concetti su cui insisteva maggiormente era quello della "gratuità". Nel 1968 si chiedeva: «Come

posso restare coerente nell'annunciare la gratuità del Vangelo, se in cambio, proprio per la mia funzione di

prete, ricevo del denaro?». È da questa riflessione che scaturì in lui la decisione di diventare operaio. Così

entrò in fabbrica (alla Montecatini di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria), per condividere tutto

con i colleghi: salario, turni di lavoro, amicizie. Per tre anni registrale sue giornate in alcuni taccuini. Nel 2008

pubblica da Sironi I miei amici. Diari (1968- 1970), in cui rievoca quell'esperienza. Il suo ultimo libro, uscito

due anni fa sempre presso Sironi, si intitola Le quattro stagioni di un vecchio lunario. Quasi un testamento

spirituale, incentrato su una sorta di ritorno alle *origini: una ricostruzione dell'infanzia e della giovinezza, alle

radici della propria vocazione di uomo e di scrittore.

Vittorio Bellavite su Il Manifesto Il 5 scorso è morto a 84 anni, presso Milano,don Luisito Bianchi. La sinistra, a oggi, pare non essersene accorta e il fatto lascia perplessi. Luisito Bianchi era un prete che si era tirato fuori dal sistema ecclesiastico, lavorando in fabbrica e altrove, senza stipendio garantito. E ha teorizzato la povertà della Chiesa e nella Chiesa come condizione per un annuncio credibile del Vangelo. Su ciò ha scritto libri e fatto ricerche storiche che lo hanno portato a contrastare apertamente il Concordato, l’ottopermille e tutto il resto. Egli era genuina espressione di quel filone della Chiesa italiana che si richiama al Concilio Vaticano II e che è ancora ben presente, anche se disperso. Anche solo ciò dovrebbe molto interessare in questi giorni. Ma Luisito Bianchi è e resterà nella storia della cultura e della letteratura (e della Chiesa) per il suo romanzo “La messa dell’uomo disarmato” (editore Sironi), giudicato un capolavoro da alcuni dei maggiori critici letterari quando uscì nel 2003 (dopo che per 14 anni circolò underground senza trovare un editore). La “Messa” , 840 pagine che si leggono d’un fiato, è un’interpretazione teologica della Resistenza, vista e vissuta come un progressivo svelamento della Parola di Dio nella storia . Questo disegno del romanzo si esprime mediante una straordinaria capacità narrativa nel “fare” dei personaggi (moltissimo con il ritmo dei dialoghi), nel raccontare la natura della pianura padana, nel descrivere il 10 giugno, il 25 luglio, l’8 settembre e il 25 aprile visti dal “basso”, nell’affrontare anche il problema della violenza che “imposta dall’occupazione straniera e dalla pressione del collaborazionismo fascista, pone seri problemi morali, giustificandosi soltanto come dolorosa difesa della comunità dalla tempesta bellica e lacerata dalla guerra

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civile” come ha scritto Mimmo Franzinelli. Mentre Vito Mancuso ha detto “Ho letto la “Messa” e posso dire che ho pianto tanto sono stato toccato dalla profondità con cui il dramma della vita è stato portato alla scrittura”, e Roberto Saviano ha scritto di “preziosissimo romanzo, meravigliosa narrazione di terre e di coscienze”.

http://www.oggicronaca.it/2012/01/14/alessandria ALESSANDRIA: E’ DECEDUTO DON LUISITO BIANCHI. IL RICORDO DI CHI LO HA CONOSCIUTO E’ morto a 84 anni don Luisito Bianchi. Il sacerdote ha abitato per qualche tempo ad Alessandria ed è stato un personaggio unico, un caso letterario. Proprio Alessandria rappresentò una tappa fondamentale nella sua vita, oggi definito dalla critica “una rivelazione non solo come teologo scomodo o come sacerdote inquieto, ma anche come narratore” e paragonato a Rosetta Loy e Pupi Avati. Il suo romanzo “La messa dell’uomo disarmato” infatti ha guadagnato “terze pagine” nazionali del tenore: “E’ un capolavoro, sì un capolavoro complesso e multiforme, che affronta la Resistenza sia nella sua accezione storica sia in senso civile e filosofico, anzi teologico”. Resterà nella storia della cultura e della letteratura, non solo ecclesiale. Ma è anche un romanzo storico di personaggi raccontati “dal basso”.

“Per noi alessandrini – dice Lino Balza – non è una scoperta né come scrittore, né come uomo, né come prete. Prima di approdare, quarantenne, nel febbraio ’68 alla Montecatini Edison di Spinetta Marengo don Luisito non si sente a suo agio nel ruolo di prete come viene inteso dalla Chiesa. Neppure gli anni trascorsi dopo il seminario e la laurea (sui contadini della Val Padania) come vice presidente alle Acli di Roma lo hanno rasserenato: “Riflettevo su una Chiesa come fonte di denaro e potere: io non volevo essere pagato in quanto sacerdote, perché l’annuncio del gratuito deve essere fatto gratuitamente”. Così fu prete operaio, turnista al reparto Titanio della Montecatini.”

L’ultima sua visita ad Alessandria è di pochi anni fa, fra un folto pubblico di ex compagni di lavoro nel salone della sua ex fabbrica di Spinetta.

“Lavoravamo nello stesso reparto, addirittura nello stesso turno – raccontava Salvatore Del Rio, in seguito segretario generale della Camera del lavoro – una persona riservata, che non lasciava trapelare il suo travaglio interiore. Benché io tentassi con lui il proselitismo sindacale, non mostrava impegno o interesse politico e sociale”.

Giovanni Carpenè, prete operaio e funzionario della CGIL da sempre impegnato nel sociale, ricordava: “Eravamo entrambi assistiti dal vescovo Almici. Lo accompagnai io stesso presentandolo al direttore della Montecatini. Abbiamo vissuto tre anni nella stessa casa in via Volturno. Si divideva fra i turni e il padre ammalato a Cremona. Da allora ci siamo sempre mantenuti in contatto. Ogni tanto mi mandava un libro.”

“Di questa esperienza spinettese, la svolta della sua vita – continua Lino Balza – don Bianchi fornì testimonianza in un libro scritto di getto in due mesi, “a testa bassa” come ha sottolineato con modestia, edito nel ’71 da Morcelliana (pp. 281): “Come un atomo sulla bilancia. Storia di tre anni di fabbrica”. Chi scrive ha voluto più volte negli anni seguenti recensire l’opera prima di don Luisito e l’ha raccomandata alla lettura non solo quale prezioso patrimonio della storia operaia locale ma soprattutto per le qualità di romanziere del suo autore: che senza complicazioni teologiche o sociologiche racconta. Semplicemente e splendidamente racconta la vita in fabbrica, l’amicizia, l’amore per il prossimo. Con passione religiosa, poesia, ironia. Suo padre gli disse: ‘se proprio vuoi fare il prete, almeno fallo giusto’. Pensiamo che ci sia riuscito.” 14 gennaio 2012

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HTTP://REMOBASSINI.WORDPRESS.COM/2012/01/05/

E’ morto oggi don Luisito Bianchi, un carissimo amico, un grande scrittore, un uomo coraggioso, buono, umile. Aveva una voce flebile, ma potente. Che le tue parole si diffondano il più possibile, caro Luisito. Riposa in pace. Io stanotte scriverò di te, tentando di trovare le giuste parole. E poi domani cercherò le tue lettere, dalla grafia per me incomprensibile. Nel 2007 andai alla festa di compleanno di don Luisito. Mi pare ancora di risentire Addio Lugano bella cantata dai vecchi amici, ex colleghi di fabbrica di don Luisito, e di rivedere gli sguardi delle suore di Viboldone.

Dorean a tutti voi Sono una delle nipoti di Luisito, che era il fratello della mia mamma. siamo cresciuti con il suo esempio vivente di Gratuità e Resistenza. faccio il medico ed ho avuto il privilegio di stargli vicino in questo ultimo anno di continui problemi di salute, sempre più gravi e sempre più mutilanti (non poteva più scrivere a mano!). Lo piango senza consolazione, ma vedere quanti in realtà l’hanno conosciuto e condiviso il suo unico ed indomabile pensiero mi riempie di gioia….se come dite le sue parole continuassero a viaggiare e si diffondessero come un’epidemia contagiosa, che meravigliosa rivoluzione sarebbe. poco prima di morire mi disse: tutto è stato detto: Dorean (gratuitamente, in greco). Dorean è anche il nome che diede ad un cane randagio che descrive in uno dei suoi ultimi libri (Quando si pensa coi piedi ed un cane ti taglia la strada) e allora Dorean a tutti voi Grazie, Licia

Che bello, Dorean! Grazie Licia per il tuo ricordo. E che il balsamo della consolazione ti giunga, se non dalle povere parole degli altri, da un Altrove che è più vicino di quanto pensiamo.

Nel 2003 per puro caso mi sono imbattuto nella deflagrante lettura de “la messa dell’uomo disarmato”. Timido e commosso mi sono spinto alla ricerca del volto dell’autore presso l’abbazia di Viboldone. Pensavo che un simile capolavoro dovesse essere donato e condiviso con la mia comunità . Così ho avuto l’onore di farne la conoscenza e di poter organizzare la presentazione del romanzo presso la nostra sala consiliare (sono assessore alla cultura del comune di cassinetta di lugagnano ). Da allora ho mantenuto la bellissima abitudine di coltivare dei fugaci ma intensi incontri nella sacrestia dell’abbazia ,dopo le celebrazioni dei Natali e delle Pasque. Lo ricordo così; sommesso, sottile ma intenso ricco e imponente. grazie don Luisito Andrea

Massimo Sartori

Emozionante dopo aver seguito Don Luisito attraverso i suoi scritti trovarmi al cospetto della bara

contenete le sue spoglie. Difficile credere che tutto Don Luisito possa essere contenuto in uno

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spazio così angusto ed infatti è solo il corpo mortale che abbiamo salutato stamane nella "Sua"

Basilica di Viboldone. Don Luisito è con noi nei suoi testi, nelle sue riflessioni, nei suoi insegnamenti

ma soprattutto nel suo esempio. Per me, vescovatino come lui e, come lui, lontano dalla terra di

origine, il Dittico Vescovatino rimane, ovviamente col suo romanzo principe ambientato anch'esso

in parte a Vescovato, il modo per riandare a tradizioni e linguaggi familiari così come la comune

abitudine di pensare in dialetto. Dopo la lettura della "Messa dell'uomo disarmato" ho sentito

l'esigenza di cominciare a "lavorare" sulla Parola pur se partendo da basi decisamente meno

favorevoli delle sue ma sempre percependo che ogni passettino in avanti è pur sempre fonte di

grande gioia. Ora so che ogni mattina prima della recita dell'Angelus avrò un amico in più da

ricordare dal quale trarrò comunque più forza per sostenere la giornata. Da buon vescovatino

discendente dai "giradur" dedicherò la 1001 miglia in bicicletta che partirà da Nerviano (MI) il

16/08/2012 ed è chiaro che in questa impresa, che lo voglia o meno!, dovrà sostenermi dall'alto.

Ciao Don Luisito

HTTP://ANPIMILANO.COM/ LA SCOMPARSA DI DON LUISITO BIANCHI

10 gennaio 2012 di anpimilano

L’ANPI Provinciale di Milano ha appreso con profondo dolore della scomparsa di Don Luisito Bianchi che, nel corso della sua vita è stato prete operaio, insegnante e inserviente d’ospedale. Nato a Vescovato, in provincia di Cremona, svolgeva funzione di cappellano presso il monastero benedettino di Viboldone in provincia di Milano.

Abbiamo avuto modo di conoscere don Luisito, in occasione della presentazione dei suoi libri, di apprezzarne le sue doti di umanità e di cultura profonda.

Il suo romanzo sulla Resistenza La messa dell’uomo disarmato, ambientato nell’Italia rurale di allora è un vero e proprio capolavoro, un’opera corale sulla Resistenza, di altissimo valore letterario e civile.

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ANPI Cremona ricorda don Luisito Bianchi

L’ANPI di Cremona partecipa al dolore di quanti piangono la scomparsa di don Luisito Bianchi. I valori che

animarono la Resistenza e la Liberazione hanno trovato in lui un testimone che li ha vissuti con integrale

coerenza. Resistenza come cammino verso la giustizia, la pace, la libertà. Un cammino, diceva, che ha visto

tanto “sangue gratuitamente versato”. Una cosa che don Luisito ha creduto profondamente e che ha

ricambiato col modo in cui è vissuto e con le cose che ha fatto. Ne ritroviamo una traccia emozionante,

espressa nel modo più elevato ed appassionato in uno dei libri che Luisito Bianchi ci ha lasciato: “La messa

dell’uomo disarmato ‒ Romanzo sulla Resistenza”, evocazione ispirata alla vita di uomini e donne delle

nostre cascine durante il fascismo e la guerra.

Lo ha ricordato l’allora presidente dell’ANPI Mario Coppetti quando nel 2004, insieme al Sindaco Corada,

incontrarono don Luisito nella sala consiliare del nostro Municipio. Don Luisito, nostro conterraneo, è stato

insegnante e prete operaio, cappellano in un monastero, ha scritto libri importanti di livello nazionale.

Soprattutto ha fatto, in silenzio e senza nulla chiedere, del bene a tanti che ne avevano bisogno. Egli ha

davvero onorato ed interpretato lo spirito ed il sacrificio di tanti partigiani e della Resistenza. Così lo

ricorderemo.

Una delegazione dell’ANPI con la presidente provinciale è presente alle onoranze funebri.

(per anpi di Cremona, Giuseppe Azzoni) – 6 gennaio 2012

ANPI VOGHERA ADDIO A DON LUISITO, PRETE DELLA RESISTENZA 06 Gennaio 2012 il ricordo di Antonio Corbeletti, Presidente dell’ANPI Voghera

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Apprendo oggi la notizia della scomparsa di Luisito Bianchi ed oltre alla tristezza per la perdita dello scrittore, del prete operaio e dell’uomo coerente, mi pare giusto ricordare la sua presenza a Voghera per un incontro promosso dalla sezione ANPI e dall’Associazione Insieme due anni fa. Esattamente il 5 giugno 2010, nonostante la calura, la saletta di Adolescere era quella delle grandi occasioni con i posti a sedere completamente occupati, per incontrare l’autore dello straordinario romanzo “La messa dell’uomo disarmato” (chi non l’ha ancora letto lo trova pubblicato da Sironi editore, è ormai arrivato alla settima edizione, senza un filo di pubblicità ma solo con il passa parola…). Il libro “un romanzo sulla Resistenza”, parla di quella stagione ed anche di moltissime altre cose che Luisito Bianchi – stimolato quel pomeriggio dalla presentazione di Giuseppe Calandra, autore di una recensione del volume fatta alcuni anni prima – ricordò senza risparmiarsi e senza evitare le questioni che erano (sono) aperte in quel momento: dall’articolo 41 all’art. 11 per appellarsi alla Costituzione con un forte richiamo sulla “precedenza del bene comune” e sulla necessità della pace e del disarmo, dalla citazione dei “ribelli per amore” di molti che scelsero la lotta partigiana e delle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, senza risparmiare la “sua” Chiesa… Del resto era la sua storia di impegno e testimonianza (insegnante, traduttore, prete operaio alla Montecatini di Spinetta Marengo, inserviente in ospedale fino all’incarico di cappellano presso il monastero benedettino di Viboldone, nei pressi di Milano) a renderlo una bella persona. Per questo mi è parso opportuno ricordarlo. Voghera 06/01/2011 Antonio Corbeletti

HTTP:// ANPI CINISELLO.

5 gennaio 2012, è scomparso don Luisito Bianchi, partigiano, prete operario, cappellano al monastero di Viboldone «Il monastero di Viboldone è come una luce, ma il mio ascolto è stato preparato durante gli anni di fabbrica, con il vociferare dei motori. È in mezzo al rumore che ho ricevuto il dono del silenzio». Don Luisito Bianchi È morto il 5 gennaio 2012, all’età di 84 anni dopo anni di sofferta malattia. Finché le forze glielo hanno consentito ha sempre fatto la spola tra il monastero di Viboldone, cuore della diocesi ambrosiana, e la città perché, diceva, «c’è sempre una tentazione: quella di confinare la preghiera, la fede, il silenzio, il dono gratuito di Dio, all’interno di una istituzione. Il silenzio non è patrimonio dei monasteri, è una grazia. Ed è grazia quando si vive in un monastero, quando si lavora, quando si è a casa propria. Anche per rendere evidente questo non confinarsi in una struttura, da anni, io trascorro una settimana qui e una nella mia città. Da quando ho avuto un piccolo incidente mi sono dovuto fermare qui, ma al più presto spero di poter riprendere il mio andirivieni. Non dobbiamo cedere alla tentazione dei discepoli che chiedono al Signore "facciamo tre tende"». Don Luisito Bianchi prete dal 1950. Aveva lavorato come insegnante, traduttore, prete operaio, inserviente in ospedale e cappellano delle benedettine del monastero di Viboldone, anche se era rimasto sempre prete diocesano Ha pubblicato numerose opere di poesia e di teatro; tra queste, Simon Mago (2002), Dialogo sulla gratuità (Gribaudo 2004) e Monologo partigiano (Il Poligrafo, 2004). Il suo testo più noto è il grande romanzo sulla Resistenza La messa dell’uomo disarmato (Sironi, 2003). Nel 2008 è uscito I miei amici (Sironi), la raccolta dei diari degli anni di fabbrica (1968-1970). Era noto per le sue prese di posizione per una Chiesa povera accanto ai poveri.

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HTTP://SPERAREPERTUTTI.TYPEPAD.COM/SPERARE_PER_TUTTI/2012/01

Luisito Bianchi, la fiamma della gratuità

La Resistenza, l'eredità di don Primo Mazzolari, il lavoro, la scrittura: sono alcune delle dimensioni che hanno segnato la vita di don Luisito Bianchi (1927-2012), appena passato nelle braccia del Padre. Trovo in queste parole di Tullia Fabiani una descrizione sintetica e precisa del suo messaggio e del suo ministero.

Luisito Bianchi è stato un uomo, un sacerdote, un narratore la cui vita ha rappresentato un lungo, intenso, racconto della Gratuità.

"Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Non c'era altro modo di essere Chiesa per lui, non c'era altro modo di spezzare la Parola e condividerla. Anche per questo non ha mai accettato di essere remunerato in quanto sacerdote, e ha chiesto dispense ai vescovi per poter lavorare. E' stato infermiere e poi tanti anni operaio in fabbrica. Una delle esperienze che più lo hanno segnato e ha poi raccontato in diversi testi: "Salariati", "Sfilacciature di fabbrica", "Come un atomo sulla bilancia".

Nel lavoro, nella fatica, nel sacrificio condiviso con gli altri Bianchi trovava la sua dimensione di servizio sacerdotale.

Il suo importante romanzo ("La messa dell'uomo disarmato", Sironi) è uno dei più evocativi affreschi del mondo rurale padano precedente alla guerra - insieme alle "Quattro stagioni di un vecchio lunario", Sironi - e delle tensioni ideali, civili e cristiane, che hanno animato la Resistenza.

Era un cristiano non conformista, per il quale la testimonianza evangelica prevaleva sulla tendenza a vivere il cattolicesimo come adesione alla mentalità clericale.

Ho avuto occasione di ascoltarlo alcune volte nei suoi ultimi anni, l'ultima delle quali qui a Crema nella primavera 2010. Nel fisico e nella voce consunti, come ridotti a esile fiammella, rimaneva l'impronta incancellabile delle scelte di gratuità che erano divenute l'essenziale della sua vita. Come un uomo scavato, di cui resta solo ciò che più di tutto conta. E questo essenziale brillava come di una luce propria:

“Ma qual è questo volto di chiesa che i miei amici mi richiedono? Ecco, è molto semplice: quello di una comunità che non ha nessun potere, di nessuna sorta, che non possiede oro né argento ma che dà gratuitamente quello che gratuitamente ha ricevuto: la fede la speranza e la carità”.

DA [email protected] (ALESSANDRIA) GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2012 Don Luisito Bianchi: civilissimo gelso....

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… non possiamo non dire di una persona che ci ha lasciato la settimana scorsa: don Luisito Bianchi, un prete, uno scrittore di rara finezza e profondità. Lo ricordiamo perchè in un certo modo ha avuto a che fare con la nostra terra ed anche nella formazione civile e sociale di molti. Era nato a Vescovato in provincia di Cremona il 23 maggio 1927, ed è morto nell'Ospedale di Melegnano vicino a Milano, come si è detto, il 5 gennaio scorso.

Nel 1950 fu ordinato sacerdote, sollecitato ad una simile scelta dall'esempio e dalla predicazione di don Primo Mazzolari. Si laureò in Scienze politiche all'Università Cattolica di Milano con una tesi sui contadini della Val Padana con il prof. Alberoni. Fu insegnante nel Seminario vescovile di Cremona (1950-51) e poi missionario in Belgio (1951-55). Vicario a S. Bassano in Pizzighettone (1956-1958), nel 1964 divenne vice-assistente delle Acli nazionali a Roma ed assistente delle Acli cremonesi. Quindi ancora insegnante in Seminario (1964-1967).

Successivamente lasciò tale incarico ed arrivò nella nostra terra (1967-71) per diventare operaio turnista ai forni del biossido di titanio nella Montecatini di Spinetta Marengo, mosso dal desiderio di vivere in forma radicale la povertà e la gratuità del ministero ordinato.

Poi, fu inserviente nell'Ospedale "Galeazzi" di Milano, da cui si licenziò per seguire la madre ammalata; al suo capezzale iniziò a scrivere quello che diventò il suo romanzo più famoso, allora intitolato semplicemente "Una Resistenza". In seguito e fino alla fine è stato Cappellano delle monache benedettine di clausura del Monastero di Viboldone a San Giuliano Milanese. Tra le sue opere, si ricordano "Salariati", uno studio sociologico sulle condizioni di lavoro nelle cascine cremonesi; "Come un atomo sulla bilancia", il resoconto dei tre anni come operaio alla Montecatini (l'intero diario venne pubblicato nel 2008 con il titolo "I miei amici"). In diversi testi è tornato sul tema della gratuità: "Dialogo sulla gratuità", "Gratuità tra cronaca e storia", "Monologo partigiano sulla Gratuità" (quest'ultimo è un abbozzo di storia della gratuità del ministero ecclesiale). L'opera maggiore è un romanzo sulla Resistenza, intesa non solo come momento storico, ma come ideale di vita ed espressione di gratuità: "La Messa dell’uomo disarmato". Rifiutato da più editori per la sua eccessiva lunghezza, venne stampato da amici nel 1989 e successivamente edito da Sironi solo nel 2003. L'ultima pubblicazione significativa fu la traduzione delle opere di san Giovanni della Croce (EDB, Bologna 2011).

Per ricordarlo proponiamo una poesia che ha sempre colpito intimamente la nostra sensibilità non solo di gente di pianura...Leggiamola lentamente, ruminando bene ogni espressione, ogni singola parola.

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CIVILISSIMO GELSO Civilissimo gelso che t'ostini a sopravvivere come straniero su qualche proda della mia pianura, tu una volta gentile custode di geometriche piane e di limpide acque, l'antica gioia ancora serbi ai miei occhi e parabole mi scrivi di fanciulleschi giochi quando incontro festinante mi vieni a imporporare le labbra con memorie di dolcezza e a stupirmi il sangue con fruscii nello scrigno fatato del solaio della paterna casa alla stagione dei bachi ghiotti di sériche foglie. Legno di gelso fu certo la croce e l'incantato secchio del lavacro già che resisti all'umana insipienza che il vorace trattore elesse a nuovo signore della mia pianura e pronto ti dichiari a rinnovate alleanze che ti conducano al dono compiuto per esultanti fuochi di camini e bozzoli dorati e labbra turgide di bambini e riparo alla stanchezza di mietitori. All'ultima parabola dai tuoi rami tracciata all'orizzonte dell'infuocata mora che per troppa dolcezza muore, muto m'avvicino. 25 aprile 1991 - Luisito Bianchi

http://ernestodiaco.wordpress.com/ da http://ernestodiaco.wordpress.com/

“Spesso, nel mio dormiveglia, turbinano pensieri e piccoli racconti, vuoti e trasparenti come bolle di sapone, vorrei poterli catturare su un pezzo di carta…” (Etty Hillesum, 11 agosto 1943

È morto ieri don Luisito Bianchi, grande prete e scrittore, a cui anch’io devo moltissime occasioni di contemplazione e di sapienza. Lo ricordo con un passaggio del suo romanzo più famoso, “La messa dell’uomo disarmato”, che mi sembra fatto apposta per questo momento in cui qualcosa scompare ai nostri occhi ma non alla vita, né all’amore. “Non senti – scriveva – che siamo immersi nella misericordia?”.

“Da due settimane il nebbione stagnava sulla pianura, dando un colpo decisivo alle foglie dei platani e dei gelsi. Finita la grande sagra, la terra riponeva i suoi scenari per riaggiustarli, e apprestati, freschi e completamente rinnovati, a primavera. La nebbia era il lenzuolo che la terra si gettava addosso per non rattristare gli uomini della sua spogliazione. Poi, chiamato il vento, la terra avrebbe sollevato il lenzuolo fin sopra il cielo”.

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Le Acli piangono don Luisito Bianchi

È morto don Luisito Bianchi, sacerdote cremonese, classe 1927, uomo di grande cultura e sensibilità, fu insegnate in Seminario, missionario in Belgio, vice assistente nazionale delle Acli, prete operaio. Ma sopratutto fu un fine scrittore e poeta: l'opera più bella e famosa è senz'altro «La messa dell'uomo disarmato», un avvincente romanzo sulla Resistenza. Nato a Vescovato nel 1950 don Bianchi da diversi anni era cappellano dell'abbazia di Viboldone a San Giuliano Milanese.

Le ACLI pavesi partecipano al lutto per la scomparsa di don Luisito Bianchi Si è spento all'età di 85 anni don Luisito Bianchi, sacerdote cremonese e fine scrittore di numerose opere letterarie nato a Vescovato il 23 maggio 1927. Da anni era cappellano nell'abbazia benedettina di Viboldone aSan Giuliano Milanese, dopo esser stato insegnante al seminario vescovile di Cremona, missionario in Belgio,vice assistente nazionale delle Acli, prete operaio in una fabbrica di Alessandria e inserviente in ospedale. Da ricordare anche la sua produzione letteraria, all'interno della quale l'opera più bella e famosa e' 'La messa dell'uomo disarmato', un avvincente romanzo sulla Resistenza.

Don Luisito Bianchi ha sempre avuto a cuore e come centro della propria esperienza il tema della gratuità, ricorrente in tutti i suoi scritti, da quelli strettamente narrativi a quelli di memoria, fino ai diari.

http://www.aclicremona.it/La scomparsa di don Luisito Bianchi, del 07/01/2012

"Un cantore innamorato della gratuità", così lo ricorda l'arciprete di Vescovato don Angelo Lanzeni. In questo triste momento le Acli cremonesi lo ricordano con tanto affetto come assistente e prezioso formatore insieme al suo grande amico, l'indimenticabile presidente provinciale Enrico Anelli.

da http://www.giornaledeilavoratori.it/ La figura umana e sacerdotale di don Luisito Bianchi un dono grande per le Acli

Per una Chiesa che non annuncia se stessa ma Colui che l'ha mandata di Lorenzo Gaiani - 09/01/2012

Don Luisito Bianchi, morto a 85 anni alla vigilia dell’Epifania, è stato un uomo segnato da grandi avvenimenti storici che non visse passivamente ma che interpretò con larghezza di spirito e profondità di intelletto. Ebbe una lunga frequentazione delle Acli che, in un'intervista per il Giornale dei Lavoratori di qualche anno fa, esortava a "farsi interpreti di una Chiesa non solo dei poveri ma anche povera". E’ difficile inquadrare la figura umana e sacerdotale di don Luisito Bianchi, morto a 85 anni alla vigilia dell’Epifania, soprattutto perché fu lui a cercare in ogni modo di evitare di farsi inquadrare in un cliché qualsiasi, riuscendovi peraltro perfettamente. Nello stesso tempo egli non amava l’etichetta dell’ “irregolare”, perché subodorava come essa molto spesso fosse una specie di comodo rifugio, di conformismo al contrario che era completamente distante dalla sua

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mentalità. Si può dire che egli sia stato un uomo segnato da grandi avvenimenti storici che non visse passivamente ma che interpretò con larghezza di spirito e profondità di intelletto, a partire dalle sue origini contadine, dalla Resistenza, che egli rese magistralmente in quello che probabilmente rimane uno dei più bei romanzi dedicati a quell’evento tragico e glorioso “La messa dell’uomo disarmato”, e poi la lunga frequentazione delle ACLI, prima come assistente provinciale a Cremona, dove collaborò con quella figura singolare di dirigente ed intellettuale autodidatta che fu Enrico Anelli, con il quale condivideva le radici contadine e la passione religiosa e civile. Successivamente, chiamato da mons. Cesare Pagani, don Luisito si trasferì a Roma nell’ Ufficio assistenti nazionale proprio nell’ultima fase della celebrazione del Concilio Vaticano II . In quel periodo egli, insieme ad altri sacerdoti e a dirigenti e collaboratori delle ACLI nazionali, fu uno degli animatori dell’esperienza di Ora Sesta, un gruppo informale di credenti che cercava nella preghiera e nella riflessione sulla Parola le modalità di un nuovo impegno nella storia degli uomini attraversata da tensioni sempre più forti. Fu così, anche per qualche malinteso con mons. Pagani, che egli maturò la scelta di vivere l’esperienza del lavoro manuale pur rimanendo nella sua condizione di sacerdote, divenendo operaio in una grande azienda di Alessandria e successivamente infermiere in un ospedale milanese. Di quell’esperienza, soprattutto di quella della fabbrica, don Luisito ha lasciato viva testimonianza in alcune sue opere – in particolare “Come un atomo sulla bilancia” e “I miei amici”, che raccoglie il suo diario personale di quegli anni- evidenziando un duplice disagio: da un lato, l’incomprensione della Gerarchia ecclesiastica che, pur tollerando l’esperimento, non ne coglieva l’importanza come via di un possibile ripensamento del ruolo del sacerdote nella vita della Chiesa e della società. Dall’altro, lo convinceva poco la torsione ideologica di frange consistenti del movimento – allora rigoglioso- dei preti operai dei quali si considerò compagno di strada più che membro a pieno titolo. A lui interessava essenzialmente poter testimoniare quello che era il nocciolo del suo pensiero, maturato progressivamente a partire dalle parole di Gesù: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8), che per lui simboleggiavano l’impossibilità di una concezione mercificata dei sacramenti – ai quali appassionatamente credeva- e, di conseguenza, di una concezione del ruolo del prete come quello di impiegato di una struttura burocratica. Per questo, pur rinunciando al lavoro subordinato, egli volle sempre vivere dei suoi scritti e delle sue traduzioni, e quando si ritirò all’Abbazia di Viboldone egli non volle mai essere concepito nel ruolo formale di cappellano delle monache benedettine che ivi risiedono, ma semplicemente come un presbitero che condivideva la loro vita di preghiera amministrando in tutta semplicità - e libertà e povertà- i sacramenti. In effetti, la Messa che lui celebrava alle 10 di ogni domenica mattina era un richiamo per molte persone, e sarebbe importante che qualcuno raccolga e pubblichi i suoi commenti alla Parola. Se è consentito un ricordo personale, ebbi modo di incontrarlo da vicino nel dicembre del 2005, intervistandolo per il “Giornale dei lavoratori” sul senso della sue esperienza . Mi limito a riportare alcune battute: “Dei beni spirituali e materiali che ha ricevuto nel tempo la Chiesa non è proprietaria, ma amministratrice, a favore dei poveri …. La Chiesa ha ricevuto, e ogni giorno consacra, il Corpo vivo del Signore Gesù, non una dottrina arida, ma una Parola ed un Corpo. Vorrei che la Chiesa sentisse la propria struttura visibile come un limite, e che non annunci se stessa, ma Colui che l’ha mandata, senza pretendere di incanalare lo spirito… Mi piacerebbe che le ACLI sapessero farsi interpreti di una Chiesa non solo dei poveri ma anche povera, che faccia della gratuità la sua divisa, il suo modo d’essere”. E accompagnandomi all’uscita, con un sorriso: ”In fondo io non ho mai fatto nulla da me, sono stato portato per pura grazia”. Ora che è entrato nel grande Mistero d’ amore, don Luisito potrà gustare fino in fondo la pienezza di questa Grazia.

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Comunicato ASFER (Associazione per lo studio del Fenomeno Religioso) Venerdì, 06 Gennaio 2012

"Apprendo in questo momento la notizia della scomparsa di Luisito Bianchi, un grande personaggio, un amico che ho conosciuto a Roma ai miei tempi delle Acli. Da alcune settimane attendevo una sua risposta dopo una mia lettera in cui lo ragguagliavo di cose fiorentine. Solo adesso Vittorio Bellavite, un amico comune, invia questo doloroso comunicato. Di Luisito ci sarebbe da parlare a lungo: fu un prete operaio, un mazzolariano convinto, un poeta, e suonava la chitarra divinamente. Sì, è certamente arrivato in paradiso. Se non lui chi?" (A.N.)

http://www.asfer.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=37107