don Oreste Benzi: Amare Sempre!

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don Oreste Amare sempre! Immagini, pensieri e parole per ricordare don Oreste Benzi a un anno dalla morte. Catalogo della mostra fotografica . Comunità Papa Giovanni XXIII

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Immagini, pensieri e parole per ricordare don Oreste Benzi fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII. Catalogo della mostra fotografica .

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Comunità Papa Giovanni XXIII

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Comunità Papa Giovanni XXIII

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Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”

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Segreteria GeneraleVia Valverde 10/C - 47900 Rimini (RN)Tel. +39 0541 909600 • Fax +39 0541 [email protected]

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Centro DocumentazioneVia Della Grotta Rossa 6 - 47900 Rimini (RN)Tel. +39 0541 753000 • Fax +39 0541 751624

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Progetto grafico della mostrae impaginazione del catalogo:Kaleidon

Finito di stampare nel dicembre 2008 pressoLithos Arti Grafiche

Autori delle fotografie del catalogo.Stefano Amadei Copertina e pag. 84; 85 (2)Cesare Biondelli pag. 21Daniele Calisesi Pag.49; 50; 51 (3); 55 (1, 2); 57 (2, 3); 62; 63 (3); 64; 65; 66; 67 (2, 3); 68; 69; 70; 71; 72; 73 (1, 2); 76; 77; 78; 79; 82; 83; 85 (3); 86; 87; 89 (4); 91; 93 (2, 3); 94; 95 (1, 3, 4)Giampiero Cofano pag. 44; 45; 55 (3)Anna Donati pag. 30Riccardo Ghinelli pag. 4; 5; 6; 7; 8; 9; 26; 27 (1, 2, 3); 31 (2, 4); 32; 35 (1,3,4); 36; 39 (1, 2); 40; 41 (2, 3), 42; 43 (1, 2); 46; 47 (1, 2); 48; 51 (1); 52; 53 (1, 2); 54; 57 (1), 58; 63 (1); 67 (1); 73 (3); 74; 75 (1, 3), 93 (1); 95 (2)Rudi Guerrieri pag. 75 (2)Raffaele Monticelli pag. 23Roberto Soldati pag. 38; 39 (3) 41 (1); 55 (4)

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Introduzione

La vita di don Oreste, riscoperta alla sua morte o meglio alla sua nascita al cielo, ci fa ripercorrere l’itinerario mi-sterioso, affascinante e coinvolgente di un uomo che fin da bambino è stato coinvolto dall’amore di Dio, nell’av-ventura più stupenda che si possa vivere su questa terra: poter essere collaboratore della grazia di Dio. “Siamo i collaboratori della vostra gioia”, questo è lo slogan di san Paolo reso attuale dal don per tutti quelli che lo hanno incontrato. Questo libretto fotografico dimostra come la santità passa attraverso la nostra umanità. Così ricca in questo sacerdote innamorato di Cristo, entusia-sta nell’annunciare il Vangelo ai piccoli e ai poveri. Vera-mente quando il divino si ferma in una persona, anche noi siamo coinvolti nella nostalgia dell’Assoluto. Dicia-mo grazie a don Oreste perché si è consumato senza ri-serve, “infaticabile apostolo della carità”, per tutti. Ed è per questo che vogliamo che molti abbiano la possibilità di conoscere e vedere la tenerezza di Dio nascosta nella sua “tonaca lisa”.

Giovanni Paolo Ramonda Responsabile Generale Associazione Comunità

Papa Giovanni XXIII

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Mostra a cura diKristian GianfredaRoberto SoldatiRiccardo GhinelliDaniele CalisesiFrancesca CiaralloWalter Toni

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“Amare sempre!” Certo, è impossibile ridurre don Oreste a due parole, ce ne sarebbero tante altre. E allo stes-

so tempo nessuna. Ogni parola sembra inadeguata. Ma un titolo dovevamo darlo. Questa è stata la scelta: “Amare sem-pre!” E non è una sua frase, sono due parole che noi riferiano a lui, perché è uno degli insegnamenti più importanti che ci ha lasciato.La mostra è un dono della Comunità Papa Giovanni XXIII al suo fondatore. Come era nel suo stile, anche questa volta don Oreste ha rivoluzionato tutto: guardare le foto che lo ritraggono in tanti episodi della sua vita pubblica e soprat-tutto privata, leggere i testi – i suoi testi – colmi di lui, della sua profonda bellezza interiore, è stato l’ennesimo dono che don Oreste ha fatto a tutti noi. Quarantadue pannelli, su ognuno stampate quattro o cin-que foto accompagnate da un testo, disposti in circolo nella prima mostra a Rimini, come a segnare i confini di una piaz-za, dove la gente comune, la gente della strada, a cui don Oreste ha dedicato la vita, potesse incontrarsi e incontrarlo ancora. La scelta fondamentale è stata quella di fare una mostra non cronologica, ma emozionale. Che non descrives-se gli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia di Don Oreste, ma lasciasse alle foto ed ai suoi scritti il compito di far intuire, commuovere, non spiegare. Cercare di trasmet-tere cosa aveva nella testa e nel cuore.

Presentazione della mostra

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La mostra è divisa in due sezioni: 24 pannelli “biografici”, e 17 che rappresentano il mondo nato dallo spirito profetico e missionario del don, gli ambiti in cui le sue intuizioni, le sue parole, sono diventate vita. In totale 42 con il pannello di “benvenuto”, in cui è raffigurato il don giovanissimo, a san Nicolò, la sua prima parrocchia, con la stessa espressione e lo stesso calore di don Oreste ottantenne, i segni della capa-cità di amare che avrebbe caratterizzato tutta la sua vita. Anche la foto scelta per il giorno della sua morte non è ca-suale: un’espressione tipicamente sua, quando voleva dirti ‘fidati, ci sono cose che ora non riesci a vedere, ma fidati di me’. È come se, anche oggi che conosce il mondo dell’Aldilà, volesse dirci: “Fidatevi!”; l’ennesimo passo che lui fa davanti a noi per prepararci la strada.La mostra fotografica è accompagnata da un video che por-ta lo stesso titolo e nasce dalla stessa motivazione di fondo. Molte persone, dopo aver visitato la mostra, si fermavano a seguire il video, e spesso tornavano alle foto, probabil-mente con uno sguardo diverso. Le immagini in video sono una sorta di backstage della vita di don Oreste: non il don mediatico e stereotipato visto tante volte in televisione, ma l’uomo di tutti i giorni, che solo chi gli stava vicino poteva raccontare così.

Kristian Gianfreda

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“Questa mostra fotografica ci aiuta non solo a tenere vivo il ricordo di quel grande fuoco di carità che ha

acceso don Oreste, ma ci aiuta a tenere acceso quel fuoco. La foto di un fuoco non riscalda, ma quando è la foto del fuoco della carità, quella foto illumina e riscalda. Questo mi sembra che sia il modo per non limitarci a ricordare don Ore-ste, ma a proseguire la sua opera.”

Mons. Francesco Lambiasi, vescovo di RiminiTratto dall’Intervento all’inaugurazione della mostra

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“La grandezza di Don Oreste, credo, ha due dimensioni: la prima, a mio parere, è la sua capacità di non sepa-

rare mai la persona di Cristo dalla miseria dell’uomo; perché per il credente e per l’uomo questo rischio è molto insidioso e molto reale: di vedere Cristo e in Cristo di non vedere la miseria dell’uomo, oppure di vedere la miseria dell’uomo e in essa di non vedere Cristo. “Avevo fame, mi avete dato di mangiare”. “Ciò che farete al più piccolo di questi, lo farete a me”. La miseria non vista in Cristo diventa alla fine la de-gradazione della dignità dell’uomo. E Cristo non visto come Redentore dell’uomo è una idea astratta di Cristo stesso. Questa mi sembra la prima grande dimensione della sua grandezza.Ce n’è una seconda sulla quale forse dovremmo meditare e penso anche studiare, sulla base dei documenti che don Oreste ci ha lasciato, degli incontri che abbiamo avuto con lui: donde derivava a questo uomo questo occhio così acu-to, questa capacità cioè di far toccare le cose eterne. Donde derivava in lui? Io ho sempre avuto il “sospetto”, ogni volta che potevo parlare con lui a tu per tu, di trovarmi di fronte ad un grande mistico. Non prendete paura di questa parola a cui sono stati dati tanti significati falsi in fondo. Don Ore-ste è stato un uomo che viveva in profondità, in continuità, una grande unione con Cristo che era sentito vivente nella sua Chiesa. E la conferma – è una piccola confidenza che vi faccio e credo che don Oreste non me ne vorrà dal cielo – la conferma, dicevo, l’ho avuta alla fine di un lungo colloquio

Mons.Francesco Lambiasi, Card. Carlo Cafarra e Giovanni Paolo Ramoda durante l’inaugurazione della mostra a Rimini il 31 ottobre 2008.

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molto personale, sia da parte sua che da parte mia, quando a me sono come sfuggite di bocca queste parole: “don Ore-ste, tu sei un santo!”. Gliel’ho detto proprio seriamente! E lui, direi quasi con le lacrime agli occhi, mi disse: “Eminenza, non dica mai più una cosa simile: io sono lo scarabocchio di Dio!”.Ecco, questo senso di una piccolezza, di una insignificanza che però era abitato da una grandezza, da un senso che era l’amore di Cristo verso il povero, la passione di Dio per la di-fesa della dignità dell’uomo. E qui non posso non pensare ad un suo grande fratello nello Spirito, ma padre nella fede: Giovanni Paolo II, a cui don Oreste era molto legato. Tutto questo e altro ho pensato mentre entravo in questo salone che narra in maniera tanto suggestiva la vicenda umana, cristiana e sacerdotale di questo grande testimone di Cristo e del suo amore. Grazie ancora per avermi dato la possibilità di vivere questo momento.”

Card. Carlo Caffarra, arcivescovo di BolognaTratto dall’Intervento all’inaugurazione della mostra

Padre Alex Zanotelli è intervenuto il 4 novembre 2008 per ricordare l’impegno per la pace e la nonviolenza in don Oreste.

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“Mia mamma faceva spesso il ricamo ed io, curioso, la osservavo. Chiedevo: «Mamma, cosa fai?» «Adesso non puoi capire,

aspetta e vedrai che cosa bella viene fuori.» Poi mi mostrava il lavoro compiuto: «Visto che avevo ragione?». Dio ha un disegno su ognuno di noi, un progetto preciso che però non ci rivela tutto in una volta. Ce lo rivela invece un passo dopo l’altro. Come faceva mia mamma: un punto qui, un punto là e alla fine emergeva il disegno completo. Lei però il disegno l’aveva già tutto in mente, fin dall’inizio. E se io mi fido di questo grande disegno d’amore, allora entro da protagonista in quella storia preparata da Dio, che è padre.”

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Le principali intuizioni che hanno avviato la storia

Negli anni ‘50 Don Oreste, seguendo in particolare i gio-vani della diocesi di Rimini, cercava di organizzare loro un “incontro simpatico con Cristo”, attraverso campeg-gi estivi sulle Dolomiti. Nel 1968 si decide di coinvolgere attivamente, in un soggiorno estivo, anche ragazzi con handicap provenienti da famiglie ed istituti. Fu un even-to storico dovuto all’intuizione di don Oreste: “Là dove siamo noi, lì anche loro” , a cui si può far risalire la nasci-ta dell’odierna Comunità Papa Giovanni XXIII, perché fu la prima forte e significativa esperienza di condivisione diretta con gli ultimi. Nel dicembre 1972 Don Oreste, andando a casa di un uomo che che viveva in condizioni di estrema solitudine e povertà, ebbe un’altra forte intuizione: “Dare una fami-glia a chi non ce l’ha”.Dopo pochi mesi, nel luglio 1973, nacque la prima casa famiglia a Coriano, vicino a Rimini. Con la Casa Famiglia si vuole rispondere alla necessità essenziale e più pro-fonda di chi viene accolto: il bisogno di sentirsi amati da qualcuno e il bisogno di essere utile ed importante per qualcuno; in definitiva una relazione significativa con un papà e una mamma. La Casa Famiglia accoglie tutti senza distinzione di età o situazione di provenienza. La relazione significativa e individualizzata con la figura paterna e materna e le relazioni che nascono fra le per-sone accolte creano l’ambiente terapeutico che lenisce e cura le ferite, che rigenera nell’amore, che riaccende la speranza nella vita. Dall’apertura della prima Casa Famiglia in poi, la Comu-nità si è sempre interrogata riguardo alle nuove situa-zioni di emarginazione, disagio sociale, povertà e abban-dono con cui viene a contatto. Le sue risposte sono state le circa 520 realtà di condivisione oggi presenti in tutto il mondo, con più di 40.000 persone che siedono alla nostra tavola ogni giorno.

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“In famiglia noi eravamo nove fratelli, cinque sorelle e quattro maschi. Una sera papà fece un po’ più tardi. Ci ha raccontato che c’era una

macchina che si era incagliata e lui chiese all’autista: «C’è bisogno di una mano?» Pioveva, papà l’ha aiutato a spostare l’auto. Noi eravamo attenti ad ascoltare e ci ha fatto vedere due monete “e mi ha dato la mancia”, mi ricordo come se fosse adesso, e le ha messe sull’assa dove si teneva il formaggio.

1938, S.ClementeA 13 anni, già seminarista, nei campi vicino casa.

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E poi ha detto: «E po’ u m’ha de la mena» (e poi mi ha dato la mano). Allora ho capito che apparteneva a quella grande fascia, immensa, di gente che crede talmente di non avere nulla, che quasi chiede scusa di esistere. Chi dirige l’umanità ne approfitta tanto di questa gente. È lì che è nato il desidero, forte forte, di stare sempre con quelli che credono talmente di non avere nulla, che quasi chiedono scusa di esistere.”

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1.Anni ‘30I genitori Rosa e Achille.

2. 1941Foto tessera di Achille Benzi.

3. 1941, S. ClementeAutenticazione della foto da parte del Podestà.

4. Mamma Rosa.

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“Fondamentale è stato l’incontro con la mia maestra elementare, Olga Baldani. Un episodio avvenuto in seconda elementare,

ha segnato la mia vita per sempre. Il Signore si è servito di lei, di questa donna che in casa soffriva moltissimo ed aveva un profondo senso di Dio.

1940, UrbinoScuole medie al Seminario.V

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Un giorno in classe parlò di tre figure umane: lo scienziato, il sacerdote e l’esploratore. Non so cosa avessi capito, avevo solo sette anni, però quel giorno tornai a casa e dissi: «Mamma, io mi faccio prete.» E sono rimasto sempre fedele a quella decisione. Sono sempre stato tranquillo sul mio sacerdozio: mai avuto incertezze sul fatto di diventare prete o crisi di abbandono della vocazione.”

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1. Ottobre 1942, BolognaIn V ginnasio al Seminario Regionale.

2-3.1943, BolognaDon Oreste non ancora diciottenne, I° camerata, I° liceo.

4. giugno 1944, Santuario di BonoraFoto ricordo delle ordinazioni sacerdotali con Monsignor Santa, vescovo di Rimini.

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“Don Oreste fu ordinato sacerdote il 29 giugno del 1949. I primi giorni di luglio è stato mandato a San Nicolò a fare il cappellano.

Don Oreste, come è nel suo stile, non lo abbiamo incontrato, ma è stato lui che ci è venuto incontro. Ha cominciato a girare andando a bussare alle porte e invitando i giovani; in pochi giorni la parrocchia era stracolma di gente.

1949, S. NicolòPochi giorni dopo il suo arrivo con un piccolo parrocchiano.

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La chiesa non esisteva, perché era stata distrutta dagli eventi bellici, c’erano mucchi di macerie da tutte le parti. Quando ci siamo presentati in parrocchia, don Oreste aveva già un calciobalilla; dove l’avesse preso non si sa, «dono della provvidenza». Dopo di che, con l’aiuto dei parrocchiani, è riuscito a fare un ping-pong.”

Testimonianza di Giorgio Restelli

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2-3-4.1950, S. Nicolò.

1.1950, Civita CastellanaPellegrinaggio in bici con i parrocchiani.

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“Per Cristo noi siamo qualcosa di importante, siamo coloro che lo aiutano a trasformare

il mondo, siamo coloro che hanno scelto di vivere come lui. Il suo successo nel mondo dipende da noi, se noi falliamo fallisce Lui; abbiamo la sua stessa vista, siamo un po’ lui stesso. Tra noi e Cristo ci può essere amicizia. Se siamo uniti a Lui abbiamo la sua vita, la riceviamo in noi. Se abbiamo gli stessi interessi, gli stessi ideali, gli stessi gusti, se accettiamo di aiutarlo egli ci aiuta e ci completa”.

1953, RiminiConvegno diocesano Gioventù Italiana di Azione Cattolica.

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1.1951, Castel GandolfoIncontro di formazione dirigenti di Azione Cattolica.

2.1952Don Oreste, appena nominato assistente dell’Azione cattolica della diocesi, con Don Meo e i ragazzi.

3. 1954Evento sportivo con i ragazzi di Azione Cattolica.

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“Questa vita spesa per un ideale non è una vita di dolore, non è una vita di sofferenza, non è una vita di frustrazione, non è una vita di

gente che è fuori dal mondo, ma è una vita di gioia, perché Cristo ti riempie il cuore di gioia”. “Diventando completo e perfetto raggiungi la pienezza della gioia e anche l’affermazione in mezzo agli altri, acquisti la gioia e ti affermi in mezzo agli altri perché hai abbracciato Cristo e Cristo ti riempie il cuore e dà il senso alla tua vita”.

1955, Carpegna (PU)Da due anni nominato padre spirituale del Seminario di Rimini, Don Oreste in preghiera.

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1-2-3.1956, Punta PeniaIn cordata ed in vetta sulla Marmolada con i ragazzi del primo campeggio pre-ju.

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“Ho fatto questa esperienza per cinque mesi in

America, dalla mattina alla sera. Sempre in cerca di elemosina e ho provato cosa vuol dire stendere la mano nelle fabbriche, nei negozi, nelle chiese, lungo le strade; capite?Ero insieme a Don Filippo nel primo viaggio e a Don Sisto nel secondo.

Don Oreste in America

Primi anni 50’L’idea che Don Oreste aveva dell’attuale Casa Madonna delle vette.

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Solo che nessuno dei due parlava inglese e allora mi sono trovato spesso nei guai, anche perché per me chiedere i soldi la prima volta non è nessuna fatica, ma chiederli la seconda, che fatica!Il Signore mi aveva dato Don Sisto, e lui più doveva ripetere, più prendeva coraggio, per cui alla quarta volta che andavamo a chiedere i soldi io ero «sfatto netto» e lui diceva «oh, come si sta bene».

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1.1960, Alba di Canazei (TN)Sopralluogo al cantiere della Casa Madonna delle vette.

2.1957, Alba di Canazei (TN)Casa Madonna delle vette in costruzione.

3.1961, Alba di Canazei (TN)Casa Madonna delle vette appena terminata.

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“Signore... voglio entrare dentro di Te perché in Te entro nella pienezza della libertà e sono totalmente me stesso... Più io obbedisco a

Te, più divento me stesso, più obbedisco, più divento libero. La libertà cos’è? È essere sé stessi.

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1961, Madonna delle vette, Canazei (TN)Confessioni.

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Infatti voi dite: «Voglio essere libero, voglio essere me stesso». Proprio perché pensato e amato da Lui, nella misura in cui divento come Lui mi ha pensato e amato, io divento me stesso: la mia libertà è Lui.”

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1-2.Luglio 1966, Canazei (TN)Campeggio pre-ju, Don Oreste propone “l’incontro simpatico con Cristo”.

3.1961, Madonna delle vette, Canazei (TN)Uno dei numerosissimi colloqui con i ragazzi della diocesi.

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“Quanti giovani “vecchi” io ho visto e vedo nella mia vita! Dicevo ai miei alunni dei licei nei quali ho insegnato religione: «Vi aspetto

al primo salario». Dati gli studi, molti entravano nelle stanze dei bottoni di comando. Ottenuto il primo «buon stipendio», da «incendiari» diventavano «tutti pompieri». Il loro dorso diventava «flessibile», di fronte ai vari caporali e comandanti, nei posti dove si poteva fare carriera. S’inchinavano fino a leccare la terra. Ho trovato purtroppo alcuni tra i più rivoluzionari del ’68, seduti nei primi posti, nelle pubbliche amministrazioni, seduti non su una sedia, ma due. Perché? La rivoluzione era solo “contro”, non era «per». Quanti, anche oggi, amano i primi posti, ma Cristo l’hanno buttato nella spazzatura! Non lo nominano neanche più!

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1.VicenzaFesta per un matrimonio in Comunità.

2.Miramare di RiminiGiochi sulla sabbia.

3.Miramare di Rimini Santa Messa sulla spiaggia con i ragazzi dei campeggi e i bagnanti.

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“A maggio visitai il centro discinetici dell’Ospedale Rizzoli di Bologna, diretto da Suor Gabriella; la invitai a portare quei

bambini sulle Dolomiti, nella Casa Madonna delle Vette. Il campeggio è stato realizzato a settembre, l’ha diretto e animato Don Elio in modo molto bello. Collaboravano alcuni studenti del Liceo Scientifico Serpieri in cui insegnavo religione. L’azienda di soggiorno di Canazei reagì molto male alla presenza degli handicappati nella Casa Madonna delle Vette. Fui convocato dal direttore, mi disse: «Portate via da Canazei questi ragazzi. Noi non siamo razzisti, ma questi ragazzi ci danneggiano, i turisti sono disturbati. Noi vi paghiamo il trasporto e il soggiorno se andate altrove, qui non potete rimanere.» Non siamo andati via. I ragazzi salivano sugli autobus dove salivano gli altri, facevano l’autostop. Don Elio li condusse nel cinema dove andavano tutti, nel palazzetto del ghiaccio, nella piscina, in funivia, dove andavano tutti.”

1968, BolognaPartenza dal Rizzoli.

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1.1968 Madonna delle vette, Canazei (TN)“Campeggio spastici”, 10 giorni in montagna con studenti, seminaristi e i ricoverati presso il reparto discinetici del Rizzoli di Bologna e centro spastici di Rimini e Forlì.

2.1969, Pian TrevisanDon Oreste celebra la messa con i ragazzi del campeggio.

3.Maggio 1967, Liceo Scientifico SerpieriDon Oreste insegnante di religione. Con alcuni ragazzi della 5ªA organizzò il primo “campeggio spastici”.

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“Non siamo partiti allora dicendo «ci fa compassione», non abbiam detto: «Questo ragazzo, Gennaro, ha bisogno di aiuto»,

non abbiam detto «non può vivere senza di noi», ma abbiamo detto che ha una dignità intrinseca e questa dignità viene calpestata. Noi, allora, lo liberiamo.

1968, MarmoladaDon Oreste gioca con i piccoli ricoverati del Rizzoli.

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Ecco, le parole di Gesù: «sono venuto a liberare gli oppressi, gli schiacciati, coloro che vengono soffocati» e siamo partiti da quella linea lì. Come vorrei che capissimo questo!”

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1. 1969, Penia (TN)Don Elio Piccari celebra la messa.

2. Ciampac, Val di FassaMomenti di pausa in montagna.

3. 1969, Torre Pedrera (RN)Dal campeggio all’incontro quotidiano con i ragazzi ricoverati negli istituti.

4. Rimini, via FlaminiaSede della Papa Giovanni XXIII.

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“I tanti fratelli che sono considerati nel mondo i più deboli, sono soggetti attivi di salvezza. Essi sono la carta di credibilità della Chiesa.

Le case famiglia sono centri di evangelizzazione. Tutta la Comunità è grata a Dio per questi piccoli cuori donati per questi fratelli e sorelle che insieme costituiscono un nuovo tipo di vera famiglia nel Signore. Ai giovani che scelgono liberamente ciò che questi fratelli sofferenti sono costretti a portare per forza e ai genitori che a costo di qualsiasi sacrificio tengono i loro figli in famiglia, bisogna riconoscere che sono la frontiera avanzata di Dio nella liberazione degli oppressi.

Giulietta, una delle primissime accolte in casa famiglia, che Don Oreste adorava, anche perché aveva imparato a dire: Alleluia!

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1.Coriano (RN)“Nel 1973 inauguro la prima famiglia, Casa Betania. Nel discorso dissi che il cuore della casa sarebbe stata la cappella e l’adorazione quotidiana sarebbe stata la nostra forza.”

2.1981 Casa Betania, Coriano (RN)Da subito gli obiettori partecipano alla vita della casa famiglia.

3.1981 S. Ermete (RN)La casa di S.Ermete, tra le prime case famiglia.

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“Fin dall’inizio della nostra presenza agli handicappati abbiamo capito che non bastava mettere la spalla sotto la croce del

fratello, ma bisognava anche dire a chi fabbricava le croci: “Basta!”. Non era sufficiente stare con gli handicappati, bisognava rimuovere le cause che facevano diventare handicappato. Infatti si nasce con dei limiti, ma è la società che ti fa diventare handicappato. Era in atto una rivoluzione culturale: non pietà, ma lavoro”.

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1. 1979, RiminiManifestazione del 1° maggio; Don Oreste rivendica il lavoro per i disabili.

2. 1976, Rimini“Vennero da me a chiedere aiuto e solidarietà alcuni rappresentanti del Comitato di lotta per la casa. La domenica celebravo la Messa fra gli occupanti, in via Acquario, con una gioia grandissima. Furono mesi intensissimi: manifestazioni, assemblee, polemiche.”

3. 1985, via Ducale, Rimini“I partiti che governavano la città si erano accordati per la chiusura dell’ «Ospedalino» dei bambini con problemi psichiatrici. Guidavo la resistenza attiva dei genitori. Assieme a loro si decise l’occupazione.”

4. 1980, 1° maggioSandra Sabatini, serva di Dio, distribuisce il giornale Sempre durante la manifestazione.

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“Fratelli che si trovavano in necessità venivano da noi e noi, di fronte a situazioni che non potevamo risolvere, dicevamo:

«Non ci posso far niente». Un bel giorno il Signore ci ha fatto capire che, così dicendo, noi rimanevano liberi, ma il fratello continuava ad avere bisogno. Abbiamo cominciato a mettere in crisi i motivi che ci facevano dire di no e abbiamo visto che toccava a noi modificarci per fare posto a chi era rifiutato, escluso, emarginato. Così è nato qualcosa di nuovo.Abbiamo scoperto che molte volte, anzi quasi sempre, gli emarginati, gli esclusi, portavano su di sé le conseguenze di un peccato che essi non avevano commesso, ma che era ed è di tutti noi. Abbiano capito allora che dovevamo prenderci la nostra parte del loro dolore.”

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1980, Sede di via Tiberio (RN)Don Oreste conduce i colloqui con giovani tossicodipendenti.

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1. 1980, Rimini, sede della Comunità in via Tiberio

2.1983 Comunità terapeutica.Prendersi responsabilità nella gestione della casa è uno dei primi passi del percorso per l’uscita dalla tossico-dipendenza.

3.1983 Bagnolo. I ragazzi della Comunità stendono il resoconto giornaliero.

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“Da che mondo è mondo gli uomini hanno sempre organizzato la guerra per risolvere i problemi tra i popoli, per appagare la sete

di conquista e di sfruttamento e per difendersi. La guerra è strutturale a questa società. Bisogna ribellarsi. L’obiezione di coscienza al servizio militare è la ribellione a questo tipo di società. Da che mondo è mondo la terra non ha mai cessato di bere sangue umano. Basta! È il grido di dolore che è nel cuore di ogni uomo. Gli obiettori di coscienza vogliono impegnare la vita nella difesa popolare nonviolenta, facendosi carico delle vittime di questa società.”

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1.Coriano, 1978Nelle case famiglia gli obiettori condividevano la vita della casa, similein tutto a quella di una famiglia.

2-3.Rimini, 1983 Conferenza in cui veniva annunciata l’autoriduzione del periodo di obiezione di coscienza da venti a dodici mesi da parte di Antonio De Filippis, per ottenere l’effettiva equiparazione del servizio civile a quello militare.

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“Il genitore spende il 95% del suo rapporto con i figli in prediche. È una espressione della debolezza dell’uomo; non sa mettersi in

relazione. Il genitore esiste per favorire quel miracolo che è ogni figlio; non se ne può servire, deve solo guidare questo figlio, aiutandolo a scoprire il disegno di Dio su di lui. L’educazione è il lavoro fatto insieme: genitori e figli per scoprire questo disegno, per vederne lo svolgimento..”

1980, VicenzaFesta per i bambini della Comunità.

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1.1985, Frontino (PU)Prima “due giorni delle famiglie”, crescono le famiglie nella Comunità.

2-3.1984, Villa VerucchioIl primo deserto per bambini, voluto fortemente da Don Oreste.

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“Noi vogliamo che anche altri, come noi, incomincino ad intervenire per combattere le ingiustizie o le situazioni

di emarginazione , che si possano unire comunità cristiane, gruppi politici, sindacati, associazioni e gli ultimi stessi, per fare un serio lavoro politico sia su obiettivi concreti, come la prevenzione, l’inserimento nel lavoro, sia su un progetto ed una strategia di trasformazione della società.”

Rimini,1981Convegno intenazionale. Conferenza stampa con l’Abbè Pierre.

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1.Rimini, 1979Convegno nazionale degli handicappati per l’inserimento nel lavoro.

2.Rimini, 1989Quarta assemblea nazionale famiglie affidatarie – adottive e case famiglia.

3.Roma, 9 maggio 1980 Don Oreste, insieme ad altre associazioni, presenta i diritti degli handicappati a Governo e Parlamento. Inaspettata-mente il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, li riceve.

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“Gente che ha fame, gente senza casa, gente dimenticata, chi sono? Gli amati da Dio! Coloro con i quali Gesù si è confuso

fisicamente. «Avevo fame…». Gesù non vuole che ci laviamo le mani di fronte a chi ha bisogno, perché nessuno ha le mani pulite di fronte ai poveri. Dobbiamo renderci insopportabile l’ingiustizia. Ogni volta che incontriamo gli oppressi dobbiamo

La Paz, Bolivia.Festa con i “meninos de rua” che lo eleggono loro presidente.

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urlare a noi stessi, nel cuore: «Non è giusto, non è giusto». Una vita incentrata su noi stessi e che non ci fa sentire corresponsabili delle lacrime degli innocenti è complicità con coloro che opprimono. Dobbiamo sentire su di noi il peso di peccato e di morte che opprime l’umanità. Sono gli atti che trasformano la storia.”

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1. 1997, Tanzania, Iringa Don Oreste fa da nonno ad un bambino della casa famiglia.

2.La Paz, Bolivia.Incontra i “meninos de rua”.

3. Una grande aspirazione era arrivare in Cina, dove il regime comunista impediva l’ingresso agli stranieri.

4. RomaniaDon Oreste e Vittorio Tadei nei pressi di Timisoara per l’apertura di una nuova missione.

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“Scusate questo paragone: mi ha sempre colpito, studiando genetica e meditando la creazione, come i

23 cromosomi dell’ovulo e i 23 cromosomi dello spermatozoo si mettano l’uno davanti all’altro e poi si abbraccino e prendano le caratteristiche del padre e della madre con un’architettura finissima, che sfugge all’intelligenza umana.” “... per cui viene fuori il fenotipo, il nuovo essere che è il fenomeno, il nuovo tipo fenomenico. Viene cioè fuori il grande fenomeno, che è la creatura: unica, irripetibile ed eterna.”

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RiminiFiaccolata in piazza per la giornata della vita.

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1.Rimini Manifestazione per la vita di fronte al Municipio.

2.Preghiera per la vita davanti all’ospedale di Rimini.

3.Rimini, maggio 2001Nonno Oreste.

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“Lasciatemelo dire, ce l’ho nel cuore, ma lo sento proprio forte: quando si afferma che

sono schiave e poi dopo si dice che non si possono punire i clienti, credo proprio che questi non meritino il nome di clienti, perché il cliente richiede la parità e non esiste parità tra uno schiavo ed uno libero. Prima bisogna restituire la libertà, poi ci sarà parità. Una sera, sulla strada, sono andato via chiedendo perdono e mi sono detto: «Don Oreste, le prostitute ti precederanno nel Regno dei Cieli, perché lei che è schiava si sente sporca, ed io mi sento pulito, ma non lo so di fronte a Dio chi è veramente pulito, lei certamente.”

Piazza San Pietro, 24 maggio 2000 L’immagine che ha fatto il giro del Mondo: Don Oreste porta una ex prostituta al Papa.

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1-2.“Dio ti benedica, sei tempio di Dio”.

3.Senigallia marcia e processione per la liberazione delle ragazze schiavizzate, con la presenza di alcuni Vescovi.

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“Mai come oggi la Chiesa deve gridare forte la verità, la giustizia, l’amore, dandone testimonianza, cioè dando una prova forte

che quanto grida con la parola è prima gridato con la vita. La chiesa è voce che grida nel deserto, cioè che spezza il silenzio sulle ingiustizie, sulle oppressioni, sull’uccisione degli innocenti, sulle vigliaccate umane. Oggi nella Chiesa si fa moltissimo per diffondere la parola sui tetti, con tutti i mass media. Permane però il problema dei linguaggi. Si fanno discorsi che non toccano il cuore, che non scardinano la persona. Discorsi giustamente preoccupati della fedeltà alla verità, ma non altrettanto preoccupati della fedeltà al cuore dell’uomo, soprattutto al cuore dei giovani. Oggi i giovani hanno bisogno assoluto di vedere per poter poi credere. Occorre la testimonianza, che oggi è carente.”

RomaDon Oreste saluta la folla in Piazza San Pietro.

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1. Primi anni ‘80 Si registra la prima apparizione televisiva di Don Oreste.

2. Rimini, dicembre 2001 Intervista in occasione della visita del Cardinal Poletto.

3. Padova, giugno 2007. Manifestazione contro lo sfruttamento della prostituzione.

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“Il riconoscimento dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII come Associazione internazionale privata di fedeli di diritto

Pontificio avvenuto il 7 Ottobre 1998, memoria della Madonna del Rosario, è un dono inestimabile – scrive don Oreste nel suo editoriale su Sempre, il mensile dell’associazione – perché i fratelli e le

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sorelle membri della Comunità e coloro che vivono il periodo di verifica vocazionale possono vivere gioiosi e sereni, nella certezza assoluta che la vocazione della Comunità è via sicura per santificarsi, per costruire il Regno di Dio, per partecipare alla missione di salvezza della Chiesa, per rimuovere le cause dell’emarginazione, per realizzare i cieli nuovi e la nuova terra, dove regna la giustizia di Dio”.

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29 Nov 2004, RomaUdienza dal Santo Padre in Vaticano.

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“È la grande ora della Chiesa. Questo è il kairos; il tempo dell’intervento di Dio è giunto, il vento è favorevole, però bisogna dare una

mossa creativa. I nostri ragazzi, i nostri piccoli angeli crocifissi, i nostri barboni che andiamo a prendere

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Rimini, Stadio Romeo NeriSempre presente; più di mille ore di telefono all’anno.

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tutte le sere alla stazione, in realtà sono i soggetti attivi e creativi di umanità. Il bene che fanno loro ai giovani è incalcolabile. Dobbiamo riconoscerlo e dare una svolta più concreta. Come dice il proverbio: chi sa fa, chi sa e non fa si mette ad insegnare; e questo è un problema grave per tutti noi.

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1-2. 2003, Marina di RavennaLe notti alla consolle.

3. Cina, 2004700 ore di volo all’anno, preghiera e lavoro in ogni viaggio.

4. Fiera di RiminiDormiva pochissimo nel suo letto, sempre giacigli di fortuna.

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“È arrivata l’ora dell’azione. No, meglio, della concretezza. E concludo: oggi voglio dire ancora che occorrono strategie comuni da

attuare, ognuno nel dono carismatico che ha, nel dono della parrocchia in cui è, nella diocesi in cui si trova. Ma dobbiamo vedere i fatti, la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo le parole di speranza, ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione

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19 Ott. 2007, PisaRelazione alle Settimane sociali dei cattolici italiani.Ultimo intervento pubblico di Don Oreste.

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non basta, non basta. Soprattutto le masse giovanili non le avremo mai più con noi, se non ci mettiamo con loro per rivoluzionare il mondo e far spazio dentro. Ma il vento è favorevole, perché il cuore dei giovani, ve lo dico – e non badate alle cassandre – oggi batte per Cristo. Però ci vuole chi senta quel battito, chi li organizzi e li porti avanti in una maniera meravigliosa.”

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1.17 Ottobre, RiminiGiornata dei senza dimora, una notte in stazione.

2.Stazione di RiminiInsieme ai coinquilini della Capanna di Betlemme, dove Don Oreste si era trasferito a vivere nel settembre del 2007.

3.Al termine della messa con i giovani del Congrosso.

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“Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: – È morto.–

In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste, perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio. «Noi lo vedremo,» come ci dice Paolo, «faccia a faccia, così come Egli è (1Cor 13,12).» E si attuerà quella parola che la Sapienza dice al capitolo 3: «Dio ha creato l’uomo immortale, per l’immortalità, secondo la sua natura l’ha creato.» Dentro di noi, quindi, c’è già l’immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell’abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura.”

Commento di Don Oreste su “Pane quotidiano” alla prima lettura del 2 novembre 2007

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Spiritualita e Vocazione specifica della Comunità Papa Giovanni XXIII

L’associazione è un’unica famiglia spirituale, composta da persone di diversa età e stato di vita che s’impegnano a rispondere all’universale chiamata alla santità, a con-tribuire alla realizzazione del Regno di Dio, a partecipa-re alla missione di salvezza della Chiesa. Il senso di forte appartenenza alla Chiesa ci è stato inse-gnato da don Oreste Benzi, il quale si è sempre confron-tato con il Vescovo di ogni diocesi, prima di realizzarvi una qualche realtà di accoglienza e condivisione. Per avere la conferma dei propri passi, la Comunità ha chie-sto alla Santa Sede il riconoscimento ufficiale.Il 7 ottobre 1998, solennità della Madonna del Rosario, la Comunità ha ricevuto il riconoscimento “ad esperi-mentum”, e in data 25 marzo 2004, solennità dell’Annun-ciazione, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII è stata definitivamente riconosciuta dalla Chiesa tramite il Pontificio Consiglio per i laici, come Associazione inter-nazionale di fedeli di diritto pontificio con personalità giuridica. “La vocazione della Comunità consiste nel conformare la propria vita a Gesù povero, servo, sofferente, che espia il peccato del mondo (specifico interiore della vocazione) e nel condividere direttamente la vita degli ultimi (speci-fico visibile)”. (dalla Carta di fondazione)

Le linee di vita spirituale secondo le quali la Comunità Papa Giovanni XXIII intende seguire Cristo povero, servo e sofferente, sono articolate in cinque punti.

1 – Condividere la vita degli ultimi. I membri della Comu-nità s’impegnano a condividere la vita degli ultimi met-tendo la propria vita con la loro vita, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce, accettando di farsi liberare dal Signore attra-verso loro.

2 – Condurre una vita da poveri. Coloro che hanno scel-to questa via di santificazione si lasciano confermare a Gesù povero e servo, per condurre concretamente una vita da poveri alla sequela di Gesù. Il povero che il Signo-re fa loro incontrare modifica la loro vita, sconvolge le loro sicurezze, può chiedere anche il posto nella fami-glia. I membri della Comunità non si ritengono proprieta-

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ri o padroni ma amministratori fedeli, sia dei doni e della grazia ricevuti dal Signore, sia del denaro di cui vengono in possesso. Essi ricercano anche le virtù connesse alla vita da poveri: la frugalità, la semplicità, il coraggio della verità, l’essenzialità, l’umiltà, il sacrificio accompagnato in maniera particolare dalla scomodità.

3 – Fare spazio alla preghiera e alla contemplazione. I membri della Comunità trovano lo strumento privilegia-to per vivere ed approfondire la loro relazione di figli ver-so il Padre, nella preghiera e nella contemplazione; cer-cano di fare dell’unione con Dio una dimensione di vita.

4 – Lasciarsi guidare nell’obbedienza. Per non correre invano, coloro che appartengono alla Comunità ricono-scono il servizio di conferma e di guida esercitato dal re-sponsabile generale.

5 – Vivendo la fraternità. L’amore a Dio diretto ai fra-telli è la fraternità. La prova che si ama Dio è l’amore ai fratelli (1Gv. 4,20). Il segno che si amano gli ultimi è dato dall’amore esistente fra i membri della Comunità.

La comunità nel mondo

La “Comunità Papa Giovanni XXIII” oltre ad essere pre-sente in quasi tutte le regioni italiane, con l’apertura della prima Casa Famiglia in Zambia, a metà degli anni ‘80, iniziò anche la sua attività missionaria. Oggi la Co-munità è presente in 25 nazioni. Ogni giorno i circa 1850 membri della Comunità si siedono a tavola assieme a più di 40.000 persone fra le più povere e dimenticate.

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felice. Anche nelle situazioni più disperate è sempre felice, contento: il suo modo di vivere, infatti poggia sul suo modo di essere. Quando c’è corrispondenza tra il modo di essere e il modo di vivere c’è pienezza di gioia. Il resto è tutta evasione: infatti quando il suo operare non segue il suo modo di essere, l’uomo deve ingannarsi per poter sopportare sé stesso e continuare a vivere. La felicità piena

è nella corrispondenza tra l’operare e l’essere; e

l’essere lo costituisce lo Spirito Santo.”

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in famiglia; poiché amiamo, accogliamo in famiglia i figli di nessuno;

poiché amiamo, accogliamo i poveri che vengono a noi e andiamo da quelli che non ci cercano; poiché amiamo, vogliamo che i nostri malati di Aids concludano la loro vita terrena tra noi e non tra i malati terminali. Poiché amiamo, lottiamo contro le fabbriche dei poveri. Poiché amiamo, ci è insopportabile l’ingiustizia. Poiché amiamo, condividiamo. È grande la differenza tra il servizio e la condivisione.”

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nove mesi che è qui, i suoi genitori sono in prigione. Alla Messa della comunità ho detto che quel bambino aveva diritto di morire fra le braccia di una mamma. E subito le braccia di una mamma di casa famiglia si sono alzate. Quel bambino, che doveva morire subito, adesso ha trenta mesi corre, cammina, gira, gioca. Ho pensato: «Toh, l’amore uccide anche l’Hiv». È bellissima questa avventura che Dio ci ha dato da compiere su questa terra. Io grido sempre: «Dateci una mano». Dio ha creato la famiglia e gli uomini hanno inventato gli istituti; Dio ha creato la famiglia e gli uomini hanno inventato i ricoveri dei vecchi e spendono miliardi per le anticamere della morte; Dio ha creato la famiglia, gli uomini hanno creato i manicomi. Riappropriamoci di coloro che abbiamo eliminato per difenderci. Vi supplico, facciamo questo mondo nuovo. È l’ora di Dio, è un’ora di Grazia.”

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“Ho meditato sui bambini di Sarajevo che

giocavano all’aperto, tra un bombardamentoe l’altro. Dove trovavano la voglia di giocare, di vivere?Ho visto tanti, tantissimi bambini handicappati gravissimi, in molti paesi del mondo, sorridere e gioire per una piccola carezza. Chi dà loro la forza? Questi bambini portano in sé stessi, nell’intimo del loro essere, un progetto, un disegno che contiene in sé anche le energie per realizzarsi.Il bambino cresce guidato dal mistero del suo io interiore, unico ed irripetibile.Il bambino chiede agli adulti soltanto di lasciarlo crescere e di creargli le condizioni per potersi sviluppare, per non essere soffocato.”

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“A volte si incontrano dei poveri che

sono talmente convinti di essere nulla, che sembra quasi ti chiedano scusa di esistere. lo ne ho incontrati pochi, ma uno mi ha schiantato. Una sera alla stazione vedo un uomo: si vedeva che soffriva. Allora mi sono accostato a lui e prima di tutto egli si è meravigliato che qualcuno si accostasse a lui. Da quattordici anni era sulla strada e da un anno e mezzo aveva subito un’operazione all’intestino. Uscito dall’ospedale, chi lo aspettava? La strada. Quando io mi sono avvicinato a lui, non mi ha parlato, ma semplicemente mi ha guardato, come se mi volesse dire: «Ma chi sono io perché tu venga da me?»

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“N on esiste nessuno su questa

terra, fosse anche il più disgraziato, che non attenda qualcuno che creda in lui. Ad ogni tossicodipendente al quale ho chiesto cosa è stato a farlo rinascere, mi è stato risposto: «La fiducia concessami da quelli che mi hanno amato».Perché non provate a vedere il bello che c’è nell’altro, non solo i difetti?I tossicodipendenti, gli alcolisti, sono persone che gridano aiuto, che vogliono farti capire che esistono anche loro. Perché non cercare il bene che è dentro di loro e non solo l’apparenza dei loro comportamenti?”

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e “Pregare è entrare nell’armonia infinita di Dio.

La musica fa entrare nell’armonia di tutta la creazione.Nei giovani c’è ancora la capacità viva di contemplare le meraviglie dell’universo,di stupirsi del bello che emerge, di lasciarsi conquistare dalla vita che irrompe,dalla novità della vita.Preghiera e musica si integrano a vicendanell’aprirsi all’Infinito,portano l’uomo a Dioe restituiscono, trasformato, l’uomo a se stesso.Il risultato è la conquista,la gioia,l’Amore”.

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“B isognerebbe scrivere sulle carceri: «Quelli

che sono qui non sono tutti colpevoli, ma quelli che colpevoli lo sono non sono tutti qui». Andando in carcere ho sentito la loro sofferenza, non per l’espiazione della pena, che riconoscono giusta, ma perché nell’opinione pubblica e nel trattamento loro riservato non sono più considerati persone, ma vengono identificati con il reato compiuto. Nella società essi saranno sempre chiamati con il nome dell’illecito commesso: ladri, assassini, avanzi di galera. Essi non saranno più ritenuti uomini che soffrono, piangono, sperano, che amano i loro figli, che possono operare per trasformare la società. Usciti di prigione fisicamente, vi resteranno per sempre nella reputazione di chi li incontra.»

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“L e cooperative facciamole come profezia, non

come alternativa. Questi fratelli devono vivere là dove viviamo noi, perché umanizzano l’ambiente di lavoro. Ogni passo in avanti per i deboli, per i poveri, è un passo in avanti per tutta l’umanità. Il lavoro è partecipazione all’attività creatrice di Dio che ha dato all’uomo un mondo grezzo dalle infinite possibilità. Voi, che trasformate la materia inerte, non siete i primi contemplativi di Dio? San Paolo, nella prima lettera ai Corinti, ha detto che le parti del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie. Se mancano, la realtà non è completa.”

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iesa “Il paragone della piramide

con al vertice il Papa è fuori posto. La Chiesa è

meglio paragonarla a una sfera. Vedi, ogni punto su cui poggia la tiene in piedi. In questa sfera ognuno ha un compito insostituibile, per cui tutti i punti hanno uguale dignità e importanza.Le funzioni si distinguono. Non c’è differenza di dignità tra un cardinale e un vecchietto che ha fede. (…) Certo, ci sono funzioni più essenziali. La sfera non potrebbe esistere se non ci fosse un baricentro. Se non ci fosse , tutti i punti si disperderebbero. È la funzione del Papa e di tutti i vescovi uniti a lui. Alla fine dell’incontro ecumenico di Assisi, nel 2003, andai vicino alla papamobile. S.E. Stanislaw, segretario del Papa mi chiamò: «Don Benzi, don Benzi, salga, salga». Io salii sulla papamobile, vicino, vicino al Papa e lui mi disse: «Continua, continua!».

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“Quanti giovani sono venuti da noi per trovare

una speranza? Quanti! Specialmente in alcune fasi io ho visto alcune case famiglia che sono diventate il centro di gravitazione di tantissimi giovani. Cercano Dio. Potrei portare l’esempio di un numero infinito di ragazzi, ma l’ho toccato con mano con la figlia rigenerata nell’amore da Ida Maria, Jasmine, gravemente disabile. Lei attirava decine e decine di giovani universitari di Siena. Incontrandosi con lei, si sono sentiti svuotati di sé, di un peso enorme, e lo Spirito Santo approfitta di quel momento per entrare dentro e per trasferirli in altri spazi.

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“Le nostre missioni sono nate in modo

spregiudicato, senza progetti a tavolino, seguendo unicamente il richiamo dello Spirito.Lo dico sempre: la Chiesa dovrebbe essere un grande movimento in missione. Anche alle famiglie farebbe bene partire e vedere. La via, che stravolge e travolge, è la condivisione diretta.L’ex carcerato che accogli in famiglia, il figlio di nessuno che fai diventare tuo figlio, l’anziano al quale dai la possibilità di essere protagonista facendolo vivere con te, diventano fari luminosi che spandono luce e donano la vista ai ciechi dello spirito.Si è missionari se si è popolo: la medesima salvezza viene portata da tutti i membri della Chiesa, ognuno secondo il carisma specifico vissuto nella sua comunità. «Vogliamo vedere Gesù»: essere missionari vuol dire mostrare la nostra gioia di vivere in Lui.”

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mi è arrivata da un comitato contro gli

zingari. Ne ho una cartella. Una finisce così: “Sei un maledetto.” Ho pensato: bene, maledetto coi maledetti. Enrico, un nomade che qui a Rimini volevano cacciare via, alzando la sua bambina verso il cielo ha detto: “Questa bambina è battezzata, siamo cristiani, perché ci trattano come le bestie?” Quella frase mi ha sconvolto e mi ha fatto capire tutto. Quelle persone sono battezzate, ma sono pochi i cristiani che vanno in mezzo a loro. Voi direte: rubano. È vero, l’importante è che abbiate il portafoglio piccolo.”

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nell’ex-Jugoslavia o in Palestina per far propaganda

con i Musulmani o con gli Ortodossi o chicchessia. Il nostro specifico è creare rapporti di amicizia, di comunione con ogni persona e ogni popolo, a partire da coloro che più soffrono. Vogliamo condividere la nostra vita con qualunque persona e ogni popolo, a partire da coloro che più soffrono. Vogliamo condividere la nostra vita con qualunque persona, soprattutto se è nella sofferenza, al di là della nazionalità, del colore della pelle, della religione.È facile esporre una bandiera… più difficile scegliere quotidianamente la pace. La pace come scelta concreta, lo sporcarsi le mani con i poveri, lottare per la giustizia, rinunciare ai privilegi.”

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“C entomila donne oggi sono tenute sotto

sfruttamento in Italia. Non ascoltate quel che dicono, che sono libere. Vorrei portarvi tutti sulla strada, portare almeno due donne in casa ad ognuno di quelli che sostengono che sono libere. Vergogna! E allora io dico: perché viene mantenuto un massacro, un orrore simile? Non si vuol perdere il voto di 10 milioni di cosiddetti clienti.Mi diceva un pezzo grosso, grossissimo (siccome abbiamo fatto una proposta di legge di iniziativa popolare): «Chi vuole che glielo approvi, padre? Qual è quel partito che è disposto a perdere anche un solo voto?» E io ho detto: «Siete dei prostituti politici. Date le dimissioni e andatevene. Non potete fare questo, la dissacrazione.»

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“L a nostra è una supplica a Dio Padre per salvare

la vita di questi nostri fratelli, i più piccoli del genere umano, vittime innocenti che non hanno voce per potersi difendere e che, se nessuno difende, il loro diritto alla vita non viene riconosciuto. Vogliamo essere vicini alle mamme, anche loro vittime dell’aborto in quanto lasciate sole ad affrontare una gravidanza inattesa o problematica; illuse che l’aborto sia un atto liberatorio, non informate della ferita incancellabile che procura dentro di loro e non sostenute dalla presenza rassicurante del padre del loro figlio. Con la preghiera in pubblico vogliamo portare alla luce questa strage che avviene nell’indifferenza e nel silenzio generale, ed essere accanto a questi piccoli per unirci al loro silenzioso grido di aiuto.”

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“T anto più è profonda l’intimità con

Dio e tanto più si trasforma in un atto di comunione concreta e di liberazione perché ti unisce a quel Dio che è Padre, ti unisce a quel Dio che è Figlio, che è venuto a liberare l’uomo; ti unisce a quel Dio che è Spirito Santo che fa incarnare l’amore. Quanto è più profonda la contemplazione di Dio, tanto più intensa diventa la presenza ai miei fratelli. C’è tutta un’armonia che ha origine dalla vita spirituale, non c’è mai un contrasto. Questo nostro immergerci nel Signore, come conseguenza immediata, fa entrare nel nostro cuore il cuore di tutti. Per questo io dico che, se si sta con Dio, si sente il grido dei poveri che a Lui sale. Quando non si sente più questo grido vuol dire che c’è qualcosa che non funziona, che quel rapporto con Dio va un tantino migliorato.”

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www.apg23.org

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“Amare sempre!” è il titolo della mostra che la Comunità Papa Gio-vanni XXIII ha voluto dedicare al

suo fondatore, don Oreste Benzi, nel primo anniversario della sua chiamata al Cielo.Un storia iniziata a Rimini, la città in cui don Oreste ha svolto la sua ricchissima e fruttuosa missione sacerdotale, come cap-pellano, insegnante, direttore spirituale in seminario, educatore, parroco e fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, che poi ha esportato, sempre sollecitato dai vescovi, in tutto il mondo.