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Anno 3 - Numero 4 Aprile 2008 Liceo Classico e Linguistico V. Gioberti Via Sant’Ottavio 9/11 10124 Torino Iniziamo dalla più importante ed evidentissi- ma novità, già preannunciata, con cui si pre- senta il Joe Ber- ti: la nuova ve- ste grafica. In- fatti, un po’ per una semplice esigenza di rin- novamento e un po’ per volontà di una parte della redazione, siamo finalmen- te riusciti a ela- borare questa nuova grafica, che dovrebbe rendere più faci- le e scorrevole la lettura, non più tre ma due colonne, e la stampa, non più i numeri di pagi- na e l’in- testazione a lato ma in alto, e dovrebbe, non (CONTINUA A PAGINA 3) Don Ciotti al Gioberti Parlare di don Luigi Ciotti significa parlare di quarant’anni di attività e impegno per tutto ciò che riguarda la persona in difficoltà... A PAGINA 16 Sono mesi - be’, in realtà è tutto quest’anno - che il tema di cui si parla di più riguardo a questo nostro Joe Berti è... A PAGINA 6 Che cos’è la CENSURA J O E B E R t i La persistenza della memoria Sì signora, il mio nome è Yasmin; nella tua lingua significa “gelsomino”. Sì,g elsomino. G-e-l-s-o-m-i-n-o: possono queste nove lettere così sgraziate trasmettere il profumo... A PAGINA 26

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Anno 3 - Numero 4 Aprile 2008

Liceo Classico e Linguistico V. Gioberti Via Sant’Ottavio 9/11 10124 Torino

Iniziamo dalla più importante ed evidentissi-ma novità, già preannunciata, con cui si pre-senta il Joe Ber-ti: la nuova ve-ste grafica. In-fatti, un po’ per una semplice esigenza di rin-novamento e un po’ per volontà di una parte della redazione, siamo finalmen-te riusciti a ela-borare questa nuova grafica, che dovrebbe rendere più faci-le e scorrevole la lettura, non più tre ma due colonne, e la stampa, non più i numeri di pagi-na e l’in-testazione a lato ma in alto, e dovrebbe, non

(CONTINUA A PAGINA 3)

Don Ciotti al Gioberti

“Parlare di don Luigi Ciotti significa

parlare di quarant’anni di attività e

impegno per tutto ciò che riguarda la

persona in difficoltà... A PAGINA 16

Sono mesi - be’, in realtà è tutto quest’anno - che il tema di cui si parla di più riguardo a questo nostro Joe Berti è...

A PAGINA 6

Che cos’è la CENSURA

J O E B E R t i

La persistenza della memoria

Sì signora, il mio nome è Yasmin; nella tua lingua significa “gelsomino”. Sì,g elsomino. G-e-l-s-o-m-i-n-o: possono queste nove lettere così sgraziate trasmettere il profumo...

A PAGINA 26

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2 Joe Berti Anno 3 n. 4 Aprile 2008 Contenuti

In questo numero:

Tutto non funziona Eliana Vitolo pag. 4-5

Che cos’è la CENSURA Francesco Delù pag. 6-7

Tutti al cesso a vedere Toy Story Simone Cattaneo pag. 8-9

Ne va dei nostri neuroni? Fosca Vercelli pag. 10-11

Che c’entriamo noi con

l’istruzione?

Renato Leoni pag. 12-13

In una vita di speranze Giulia Voghera pag. 14-15

Compagno di scuola, compagno

di niente...

Francesca Voci pag. 14-15

Don Ciotti al Gioberti Adriano Bollani pag. 16-18

Liberi di scegliere per il Tibet Alberto Leone pag. 18

CPT Giulia Trivero pag. 19-20

Il dramma olimpico Tommaso Pirfo pag. 21

Martin Eden Tommaso Pirfo pag. 22

“Gioberti Bella lì” Giada Aloi pag. 23

Il calcio Giulia Ferrero pag. 24-25

Flusso di coscienza: la persisten-

za della memoria

Jun Rail pag. 26-27

La Mezzana del Gioberti pag. 28

A tua immagine e somiglianza Giulia Trivero pag. 29

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Aprile 2008

da ultimo, consentire a tutti noi di dire: “Oh, che bello!”. Speriamo che i più condividano questo giudi-zio. Pur non avendo nuova-mente così tanti articoli da ripetere l’esperienza delle trentasei pagine del nume-ro precedente, siamo tut-tavia riusciti a mantenerci sopra le vecchie ventiquat-tro, trovando una buona mediazione. Per quanto riguarda, inve-ce, i contenuti, su richiesta di molti, abbiamo “spezzato” gli articoli con parti più leggere, inseren-do un fumetto che, pagina per pagina, si distribuisce su tutto il giornale. Parlando, poi, delle varie iniziative che hanno inte-ressato e interessano il nostro giornale in questi mesi, in primo luogo c’è il convegno che si è svolto a Piacenza il 14 Marzo scor-so, in cui abbiamo incon-trato i redattori di circa sessanta scuole, distribuite nelle province del Piemon-te, della Lombardia e dell’Emilia-Romagna: ab-biamo avuto modo di con-frontarci, parlare dei ri-

spettivi giornali, scambiar-celi (siamo tornati con una borsa piena), insomma, capire un po’ come funzio-na nelle altre scuole. È stato davvero interessan-te, e pensiamo di aver ricevuto stimoli positivi e informazioni molto utili; non abbiamo ancora rice-vuto alcuna notizia, inve-ce, dagli organizzatori del concorso bandito dalla provincia di Avellino, cui abbiamo deciso di parteci-pare con il numero scorso. Aspetteremo. Un’altra cosa di cui vor-remmo dirvi, infine, è il coordinamento dei giorna-li scolastici che stiamo cercando di realizzare tra le scuole di Torino, e per il quale ci siamo messi finora in contatto con le redazio-ni dei giornali dei licei Al-fieri, D’Azeglio, Cavour, Gobetti e Segré. L’idea è stata accolta favorevol-mente da tutti, ma ci sono ancora opinioni diverse su quali potrebbero essere le funzioni del coordinamen-to, se solo di scambio di idee, se di richiesta di fi-nanziamenti, se di creazio-ne di uno spazio comune (qualche pagina) su tutti i

giornali, in modo tale da estendere il confronto tra studenti oltre la singola scuola. Comunque do-vremmo a breve program-mare un incontro tra tutti proprio per discutere di queste cose. Infine, si tratta di pensare all’ultimo numero di quest’anno; visto che quest’anno siamo riusciti a crescere tanto, vorremmo cercare, come si dice, di “concludere in bellezza”. Il fondo a disposizione del giornalino consentirebbe infatti - ed è una proposta emersa in redazione - di realizzare la copertina del prossimo ed ultimo nume-ro a colori. Detto questo, bisogna anche pensare a che cosa mettere su di queste due pagine a dispo-sizione: ogni vostro sugge-rimento o materiale (a colori, finalmente!) sarà graditissimo. Non ci resta null’altro da dire, dunque, se non augu-rarvi buona lettura.

(CONTINUA DALLA COPERTINA)

Salve a tutti!

Editoriale

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Il 31 marzo e l'1 aprile nel nostro liceo si è te-nuta l'ormai celebre “assemblea d'Istituto” e lo specifico perché molti credevano invece che fossero due giorni di totale anarchia. Certo non si può dire che fino ad ora queste assemblee abbiano goduto di chissà quale par-tecipazione: sono solo due gli anni che ho tra-scorso qui al Gioberti e ho già potuto notare come le cosiddette “aule studio” facciano molti più proseliti dei gruppi di discussione, di qualsi-voglia genere essi siano. Questi gruppi sono come la pizza margherita, aspettate lasciatemi spiegare. Quando si va in pizzeria, ci si siede, se si è inde-cisi si apre il menù e si cominciano a scorrere i nomi delle pizze a partire dalla seconda che c'è scritta. Sapete perché? Pensateci un nano-secondo: qual è la pizza scritta in cima a tutte le altre, quella il cui nome nessuno mai legge e che nessuno mai sceglie, se non in circostanze disperate, ovvero obbligo di scelta oppure piz-zerie pessime oppure giornate nelle quali lo stato di apatia supera ogni limite? Ebbene, vi lascio ancora un po' per pensare, ma i più sve-gli hanno già capito: è la Margherita, la pizza più banale, scontata e comune che esista. Ricolleghiamoci quindi alla nostra scuola e ragioniamo un attimo sull'assemblea, perché in fondo è di questo che vi voglio parlare. Nella mia piccola esperienza giobertina ho sempre considerato le assemblee un elemento impor-tantissimo, uno spazio fondamentale per po-terci confrontare ed esprimere. Perciò il 31 marzo sono arrivata a scuola e, piena di aspettative per la giornata che mi si presentava davanti, sono subito andata a leg-gere il tabellone dei gruppi appeso nell'atrio. Così cominciava la mia delusione. Mafia, neofascismo, laicismo e religione, cine-forum, femminismo e aborto. Mi si è acceso un

flash nella mente, fatto di ragazzi degli ultimi due anni che, additati per non partecipare alle assemblee, ripetevano stanchi di aver discusso decine di volte degli stessi argomenti. Non ero mai riuscita ad accettare questa spie-gazione. Ora finalmente potevo capirli! Ma c'è un' enorme differenza: loro erano stufi all'ulti-mo anno... io che sono delusa in una misera 5^ ginnasio, cosa devo aspettarmi per i tre duri e lunghi anni che ho di fronte? Ed ecco quindi che si torna alla pizza Margherita: soliti gruppi, solite discussioni, e alla fine si sceglie perché si è obbligati a scegliere (circostanza disperata, vedi sopra), a meno che non si voglia finire in un'aula studio dove tutto si fa tranne studiare e dove è assicurata un'emicrania lancinante in meno di cinque minuti. A questo punto tutto è affidato alla sorte: se il gruppo in cui si sceglie di andare è, per puro caso, gestito da persone competenti, e seguito da studenti la cui voglia di partecipare non è ancora precipitata ad un livello non definito nelle viscere del globo, allora potrebbe addirit-tura capitare che nasca una discussione inte-ressante. Ma se per enorme disgrazia si sceglie un grup-po che non ha quelle caratteristiche, è la fine: può comunque venirvi un'emicrania lancinante perché siete finiti in un gruppo dove si URLA e non si DISCUTE, oppure, se la vostra scatola cranica non è ancora esplosa, può balenarvi la folle, nonché disperata, idea di scappare (poiché è una vera e propria fuga) verso un altro gruppo meno straziante. Ebbene, è co-munque la vostra fine. Non appena la punta delle vostre Converse sporche e consumate avrà assaggiato il sapore della libertà, un centi-metro al di là della porta dell'aula in cui siete rinchiusi, ecco che piomba su di voi il (rullo di tamburi...) SERVIZIO D'ORDINE! Studenti che hanno capito come imbrogliare il sistema, co-me fuggire dalle grinfie dei gruppi di discussio-ne e sopravvivere ancora un po' in questa real-tà. Venite braccati da ogni parte, vi viene chiu-sa ogni via di fuga e vi viene detto con tono

(CONTINUA A FIANCO)

Tutto non funziona

Eliana Vitolo

Liberopensiero

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Aprile 2008 Liberopensiero

minaccioso: “Devi scegliere un gruppo. Non puoi stare in giro nei corridoi.” Voi vorreste gridare: “Non è il mio intento girare per i corri-doi!”, ma è troppo tardi: il SERVIZIO D'ORDINE agisce quando meno ve lo aspettate e senza che voi abbiate il tempo di reagire vi avranno già cacciato da qualche parte, generalmente il gruppo più vicino al punto in cui siete stati fermati. Questo significa che magari potreste essere trasferiti in un'aula che VOLUTAMENTE avevate evitato perché si teneva l'ultima di-scussione che avreste mai voluto sentire, oppu-re potreste essere portati in un'aula studio, i cui effetti sono già stati analizzati, oppure potreste essere spostati in un gruppo interes-sante, e se ciò accade, consideratevi miracolati. Pensando alla già scarsa partecipazione, tutto questo non può far altro che peggiorare le cose. Ma torniamo un attimo alla frase incoraggiante

che vi viene gentilmente pronunciata dal SER-VIZIO D'ORDINE, ovvero “Devi scegliere un gruppo”, appunto, devo scegliere quale potreb-be essere la discussione che più mi ispira. Ma-gari così verrebbe raggiunto il vero scopo di

queste assemblee, cioè confrontarsi ed espri-mersi. Ma se vengo cacciata dentro la prima aula dei dintorni, tanto per non farmi girare tra i corridoi, come potrà mai venirmi voglia di discutere? Insomma, tutto non funziona. Gruppi ormai soliti, SERVIZIO D'ORDINE opprimente, spazi mal gestiti (un'intera palestra per l'AIZO, a cui assistevano si e no 20 persone, mentre una misera aula per neofascismo e neonazismo che, si sa, è un gruppo scelto da molti in circo-stanze disperate). Ma non mi sono limitata a criticare e basta: tempo fa, quando quest'assemblea era ancora in fase di elaborazione e nulla era certo, mi ero rivolta ad una delle rappresentanti di Istituto insieme ad una mia compagna, per proporre un gruppo che prevedeva un possibile invito di Stefano Benni. La proposta era stata bocciata perché era in preparazione una “grande cosa per il quarantennio del '68” (testuali parole). Ero più che contenta, sarei stata interessatissi-ma ad un'assemblea con questo tema: ma qualcuno di voi l'ha vista? La delusione continua.

(CONTINUA)

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Chi oggi non è mai andato in discoteca e non ha mai ballato secondo i ritmi alluci-nanti della musica techno?Chi non ha mai ascoltato un brano techno?Penso quasi nessuno. Techno, nasce negli anni ’80 a Detroit, era un fenomeno underground poi si evol-ve in molte forme per poi diventare la musica delle “giovine Italia” e non solo. Techno, musica che manda in delirio milioni di ragazzi e li diverte ad ondate, a volte può raggiungere livelli impensabili:fa amare, sognare, fa vivere trasmettendo la sua dinamicità. Techno, musica che ha rivoluzionato anche i modi di ballare, oggi siamo tutti “elettronici” la tecnologia si impadronisce di noi ed i movimenti diventano sempre più robotici seguendo i ritmi frenetici della nuova rivoluzione musicale. Nonostante la sua diffusione la techno non ha il suo spazio di alto livello perché le stazioni radiofoniche non la trasmetto-no a maggioranza preferendo ancora la veterana musica house da dove deriva forse anche la techno.

La Generazione Technofolle

Al di là della punteggiatura… rispondi alle interrogative retoriche?

Dunque le “giovine Italia” sono due o una? Ma poi che c’entra Mazzini?!?

Esiste il punto e virgola.

Mio Dio! Permettimi… “La tecnologia si impadronisce di noi”? E poi rispar-miamoci i “gerundi da versione”.

Neanche una virgola. Neanche un due punti. La musica house è un luogo? Perché usi dove? La musica è veterana nel senso che ha fatto la guerra di Corea? Se no in che senso?

Liberopensiero

Sono mesi - be’, in realtà è tutto quest’anno - che il tema di cui si parla di più riguardo a que-sto nostro Joe Berti è quello della censura. Ci si accusa (su su fino alle alte sfere) di esercitare un controllo sull’espressione delle opinioni di noi costudenti, ciò che risponde alla più ele-mentare definizione di censura. Ebbene, come

già più volte ho avuto modo di dire, allo stato attuale la censura non esiste , con ciò non ne-gando che in passato qualche spiacevole inci-dente si sia verificato. Non bisogna tuttavia ritenere che ogni articolo venga pubblicato per il solo fatto di essere stato inoltrato alla reda-zione: è necessario innanzitutto precisare che semplicemente lo spazio a disposizione non lo permette; poi, nell’opinione di me che leggo e ogni contenuto che arriva alla mail, ogni artico-lo deve soddisfare una serie di requisiti. In primo luogo il contenuto deve essere sostan-

ziale, ovvero il pezzo deve trasmettere qualche cosa che vada al di là della semplice voce di

(CONTINUA A FIANCO)

Che cos’è la CENSURA

Francesco Delù

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La techno è un genere di musica apparte-nente alla Elettronic-dance-music. La techno si divide in molti sotto generi in base al ritmo, e ai suoni inseriti. È un genere ritmico spesso poco melodico ma accompagnato da suoni elettronici più tosto originali che non la rendono mono-tona. La techno la si può trovare ovunque, so-prattutto nelle discoteche, dove il Dj im-provvisa sul momento. Torino ospita due grandi Dj: Gabri Ponte e Gigi d’Agostino. Quest’ultimo è il più famoso Dj d’Italia inizia a lavorare sul finire degli anni 80 per poi stabilirsi alla discoteca “ultimo impe-ro”. Nel 1998 compone The Riddle, un singolo che vende più di un milione di coppie all’estero. Il suo stile si definiva Mediterrean pro-gressive, ma oggi come molto artisti e-sperti nel loro campo raggiungono uno stile proprio per la musica di Gigi d’Agostino è accompagnata da ramifica-zioni di ogni genere.

Techno

“La techno è un genere musicale ap-partenente alla Electronic Dance Music (EDM) ed a sua volta è diviso in innumerevoli sottogeneri” Pardon, “sotto generi”

“più tosto”?

Anacoluto per dire un’ovvietà, anzi due. Si può improvvisare non sul mo-mento?

“inizia a lavorare come dj alla fine degli anni '80 [...] per poi passare [...] alla discoteca ‘Ultimo Impero’“

“Lo si definiva inizialmente Mediterra-nean progressive ma oggi si definisce ‘Gigi D'Agostino’ come uno stile a sè, pieno di ramificazioni ed esperimenti d'ogni genere.”

Le citazioni sono tratte dalle voci “Techno” e “Gigi

d’Agostino” di Wikipedia.

Ci sarebbe da citare… Ma se sono un milione di coppie, allora sono due milioni?

Liberopensiero

dizionario. In secondo luogo il contenuto deve essere originale: è capitato più volte, e sicura-mente capiterà in futuro, che siano state inol-trate catene o articoli copiati direttamente da internet o da Wikipedia... Chiaramente questo genere di scritti non viene pubblicato; ancor più chiaramente, di ogni articolo vengono con-trollate un paio di frasi online: di solito basta. Infine, è necessario che il contenuto sia com-

prensibile; è necessario, in altre parole, che l’articolo mi sia chiaro in ogni sua parte, dal punto di vista strettamente sintattico. Capita a volte che ci siano delle sviste, degli errori di battitura: una correzione più o meno automati-

ca da parte mia è generalmente possibile. Altre volte ci sono dei punti in cui sembra che man-chi una parola o che per errore una parte della frase sia stata tagliata via: generalmente mi consulto con l’autore e mi viene fornita una correzione. Capita a volte, invece, che tutto o parte di un articolo sia incomprensibile: non posso che chiedere di rivederlo ampiamente. Solitamente un articolo non pubblicato non soddisfa un paio di questi requisiti. Vi propongo ora un paio di articoli degli ultimi tempi, con le mie note a margine, affinché sia chiaro ciò che intendo coi requisiti di cui sopra. I miei venticinque lettori non me ne abbiano troppo.

(CONTINUA)

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Chi era presente a scuola il 1 IV 2008 avrà sicu-ramente notato, anche distrattamente, che il programma relativo agli stands dell'assemblea d'istituto si era magicamente sdoppiato: da una parte, in una forma del tutto "didattica", con tanto di righe e colonne fatte grazie ad un prezioso e rigoroso righello, colori soavi ma sobri per le scritte ed un verde rilassante che costituiva lo sfondo, riportava fedelmente tutti i temi di ogni stand con relativa locazione e relatore. Subito a fianco, ecco che spunta un foglio di medesime dimensioni, strutturato apparentemente nello stesso modo (se si esclu-de l'acceso e fresco colore arancio di sfondo) ma con molte differenze di contenuto: da Al-berta (che vince sempre), al torneo di Scala 40 in aula professori, dall'albero di natale addob-bato in due mosse, alle indimenticabili due ore dedicate al Sumo (storia, regole e anche qual-che dimostrazione), serpeggia da subito nell'a-ria un senso di straniamento nei cuori degli studenti, ravvisabile dagli sguardi e, soprattut-to, dai dubbi espressi a voce alta come "Ma come fanno a giocare a scala 40 in aula prof?" "Eh ma se c'è scritto cosi...", oppure "Io faccio Alberta, Tacheles e poi Sumo, deciso", o ancora "Bom, vado a Toy Story", senza accorgersi che il cartone sarebbe stato trasmesso nell'aula "CESSO" (anche se la scelta può essere ricon-dotta proprio a ciò). Altri invece, integerrimi, non ci cascano: "È chiaro che il verde è per il mattino e l'arancione per il pomeriggio", esten-dendo l'assemblea d'istituto a loro piacimento e mettendo in crisi tutti quelli che, oltre a cre-derci, sono costretti a spostare i loro impegni pomeridiani per non perdersi lo scontro me-

morabile tra pandoro o panettone, tra ciocco-lato al latte o fondente oppure, e qui ci sareb-be stato sovraffollamento assicurato, il dibatti-to tra gay e omosessuali e/o homersessuali contro ettoresessuali. Sfide che si debbono necessariamente affrontare a pancia piena, cioè dopo pranzo, cioè al pomeriggio, quando a scuola girano le balle di fieno (al cui interno si trovano i prof di sorveglianza). Dopo circa mezzora di marasma causato dalla fuorviante doppia cartellonistica, si inizia anche a teorizzare su cosa si cela dietro ai magici titoli degli stand offerti dal foglio arancio, permet-tendo di dubitare non solo delle capacità dei singoli giobertini (che, fatti alla mano, incauta-mente vengono considerate "persone intelli-genti"), ma anche del loro livello di cultura generale: ad esempio, si stampa più volte un buco nero sui volti di chi legge il nome Renzo Piano, altri, ancora meno perdonabili, rimango-no attoniti nel leggere P.G.K., ma, tra questi, molti fanno furbescamente finta di aver capito e cercano persino di convincere i loro amichetti che si tratta della scelta giusta... Il successo del cartoncione mandarino spopola in tutta la scuola, molti corrono a chiamare la gente perchè convinti che leggerlo sia in realtà uno stand a sè stante, tanto cattura l'attenzio-ne delle persone, neanche Zamburru con sup-porto fonico degli U2 avrebbe raccolto più consensi. È uno dei pochi casi in cui il pesce d'aprile non solo funziona alla grande, ma ci si sgaggia di esserne vittima: non poche le perso-ne a fissare l'opera per minuti, con tanto di occhi lucidi e sorriso perenne (forse stavano pensando, invano, a come addobbare l'albero in due mosse, nessun sussulto invece per la relatrice Galla, in sintonia col Natale e con tut-to ciò che luccica, grida, colora, canta, balla, recita e via agitando). L'unica a non essersi divertita, forse per paura che il gruppo sulla degustazione delle droghe schiacciasse gli altri, è stata la simpaticissima rappr. d'ist. di cui non

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Tutti al cesso a v e d e r e Toy Story

Simone Cattaneo

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faccio il nome (Emma Prosdocimo 1C), alla quale non andava giù che il colore arancio sgar-giante, di certo molto più strategico del verde islam (si dice cosi oh), avesse conquistato tutto il pubblico non pagante ma ridente, tanto da sottrarlo più volte (e chi la biasima: tutti lo vorrebbero come souvenir) dalla vista degli impazienti spettatori: fare uno scherzo il 1 Aprile non è solo moralmente inaccettabile, ma DEVE necessariamente essere seguito da puni-zioni severe agli artefici del misfatto, che, per non lasciare le loro tracce e per far vedere che

sono un gruppo compatto, utilizzano l'acroni-mo che mai prima d'ora aveva ricordato l'anar-co-insurrezionalismo subdolo e meschino im-pregnato nelle scuole di brigatisti come la no-stra, un nomignolo che ci ricorda gli attentati più crudi della storia dell'uomo...Gli ALONZI UNITI! Il pugno di ferro va usato da subito per moraliz-zare queste bestie: non possiamo permetterci un nuovo triste 1 Aprile macchiato da una bur-la...

(CONTINUA)

Cercasi Batterista

zero professionalità

molta motivazione

e batteria

3479718563, 3467334989,

3463150283, 3336845681

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Devo davvero ringraziarti Stefano (Ugliano) per il tuo articolo uscito sull’ultimo giornalino sco-lastico. Come avrei fatto se no ad aprire gli occhi su questi gran cattivoni che agli angoli delle strade cercano di rifilarmi giornali che ledono la mia povera mente, incapace di reagi-re a cotanta distruzione di neuroni?? È forse una fortuna che il tuo articolo sia uscito sul Joe Berti e non su una testata con un raggio di distribuzione più ampio, o il numero di quelli che si sarebbero sentiti schifati e offesi dal tuo utilizzo come insulto di professioni come casa-linghe o sciampiste sarebbe stato almeno 10

volte superiore. Ti credi forse più intelligente e dotato di persone che, magari nemmeno per loro volontà, eseguono questi lavori? Beh cer-to, tu sei uscito dal Gioberti… Sono sicura anche io che questi giornali gratuiti siano dannosi, eh si… potrebbero invadere il mondo! Potrebbero sommergerci e ridurci a Metro/Leggo/City-dipendenti! È una minaccia reale questa signori, non come quella aliena… qui ne va dei nostri neuroni! Noi adolescenti infatti non saremmo mai in grado di distinguere un articolo ben scritto da una pedestre copiatura di una notizia ANSA, no no… non siamo mica tutti come te, proprio un vero rivoluzionario! Ma io sì! Io al mattino entro a scuola con un mano quei penosi giornalacci, li leggo e atten-zione, ho addirittura il coraggio di ridere sulle previsioni del giorno del mio oroscopo (proprio una cosa totalmente femminile caro il mio

(CONTINUA A FIANCO)

Ne va dei nostri neuroni?

Fosca Vercelli

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misogino…) e fare anche il sudoku o il cruciver-ba… oddio… non sverrai mica eh?? Sono proprio un’imbecille, un pirla (esisterà il femminile?), anzi adesso vado ad aiutare quei contadini ed agricoltori che permettono alla tua santa bocca di ingurgitare i pomodori con il loro lavoro… e magari per strada mi butto an-che sotto un 15 di passaggio… (cos’è… hai pro-blemi anche con i tram di altri numeri?)… sono queste le tue maledizioni per chi osa commet-tere sacrilegi come il sudoku o il cruciverba no? Magari le estendiamo anche ai discendenti, che ne dici? In questo caso sei tu che mi fai pena, non quei poveri ragazzi sottopagati che cercano di gua-dagnare qualcosa passando le mattine sugli angoli delle strade a contatto con gente come te. Non ti piacciono quei giornali? Rispondi “No grazie” e vai avanti, senza staccare teste varie… Per quanto riguarda il link del video scabroso, ti

voglio solo fare una domanda: sono forse me-glio le foto di un grave infortunio sportivo o di vari incidenti stradali stampate su OGNI giorna-le, dal più caro a quello gratis? È ormai triste-mente noto che il trash e il dolore fanno notizia e attirano spettatori e lettori; ti saresti dovuto indignare per molte altre cose allora… Non sto difendendo questo tipo di giornali, anche se credo comunque che possano avvici-nare il mondo giovanile a quello dei giornali. Pensi sia fantascienza il fatto che un ragazzo leggendo di un fatto (notizia ANSA o non ANSA, notizia è) voglia approfondirlo con altri mezzi quali giornali più quotati o internet? Concludo quindi dandoti ragione e ringrazian-doti: ho davvero la materia cerebrale atrofizza-ta, non distinguo il bene dal male, sì insomma, non sono come te! (e questo sarà un insulto o no??)

(CONTINUA)

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George Bernard Shaw disse “L'unico periodo in cui la mia educazione si è interrotta è stato quando andavo a scuola”. Io devo dire che nella scuola dove vado ora, che è una privata, l’educazione è addirittura più astratta di un quadro astrattista. Per educazione si intende cultura, avere una vaga idea delle materie, conoscere il congiunti-vo, ma anche capire che cantare in coro “Jingle bells” durante un’ora di storia dell’arte (con tanto di docente che fa lezione) non è molto indicato. Ora vi chiederete “cosa ce lo dice a fare?”. Bene, lo faccio per informarvi del fatto che quelli che sono i miei attuali compagni di classe (perché l’anno scorso non andavo in una privata, ma al Gioberti) anche se non sanno distinguere un p. remoto da un futuro e quindi nella vita, con una cultura tale, non potrebbero concludere granché in un mondo che è molto selettivo, potranno benissimo occupare incari-chi importanti (già appartenenti ai loro genito-ri) e comandare chi magari ha faticato più di loro sui libri (e magari gli ultimi citati siete pro-prio voi che state leggendo). Perché? Ma il motivo è che la meritocrazia in questo paese è un’utopia. Se ne parla molto, tutti sono d’accordo per metterla in pratica, ma poi quan-do si tratta di farlo tutti rimandano a data da definirsi. Non so come spiegarvi le prime im-pressioni che ho avuto venendo a contatto con i miei attuali compagni di scuola (non voglio citare la scuola per privacy, o meglio perché le querele sono una realtà dura). Io, che ero abi-tuato ad anni di serie scuole statali, di colpo mi sono trovato in qualcosa paragonabile ad un carcere psichiatrico.

I miei genitori erano sicuri che una scuola con così tanta fama (e così tanta retta mensile) potesse quanto meno istruirmi bene. Adesso passo le ore a cercare di deviare le palle di carta che piovono dall’alto mentre un docente ripete fra sé e sé la lezione, rassegnato, avvili-to, triste. La situazione è questa: su 30 allievi 1 solo se-gue la lezione e non cede alle tentazioni di far casino. All’inizio la classe era di 22 allievi circa, ma ne sono arrivati mano a mano altri da altre scuole. Durante le ore di lezione gli sport più praticati sono: tennis con palle di carta, calcio con rotoli di scotch, prato fiorito sul cellulare e spettego-lare del prossimo. Poi c’è anche l’optional di seguire la lezione. Volendo potrebbe essere una buona scuola perché i professori sono persone colte. Ma con una classe in costante subbuglio non possono fare molto altro che mettere note, rallentare inevitabilmente il programma, assegnare verifi-che di rappresaglia e cercare di sospendere qualcuno non è facile perché si rischia di rende-re una scuola privata seria quanto una statale (non sia mai!). Comunque ci hanno provato a fare sospensioni, qualcuno è stato anche espul-so perché non se ne poteva proprio più, e c’è la leggenda metropolitana che una volta venne anche bocciato un allievo. Ma tanto anche quando un allievo viene sospe-so, c’è subito pronta alle sue spalle la famiglia a proteggerlo e fargli credere che ha il pieno diritto di mandare a quel paese un insegnate. Ma no! Non l’ha neanche mandato a quel pae-se, è una menzogna inventata dal docente che è scemo perché sa il congiuntivo. Avete capito dove vado a scuola? I docenti mi adorano per la mia educazione e allo stesso tempo mi compatiscono perché, come mi hanno detto loro stessi, non sanno come faccio ad avere la forza per resistere con i mie compagni, che tra l’altro mi disprezzano per ragioni molto importanti (non ho capi fir-mati, un motorino truccato senza patentino,

(CONTINUA A FIANCO)

Che c’entriamo noi con l’i-struzione?

Renato Leoni

Liberopensiero

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13 Joe Berti Anno 3 n. 4

Aprile 2008

casa a Sestriere e ad Alassio, presenza fissa settimanale al Lucignolo, e soprattutto perché ho un cervello in grado di mandarli a quel pae-se formulando frasi in italiano). Io mi sento davvero un laureando in psichiatria che fa il tirocinio in un manicomio che, mentre la corsia di malati fa baldoria, ripassa gli appun-ti per gli esami.Quella scuola, se non ci si sta attenti, può veramente fare male alla salute. Avevo un compagno di banco ad inizio anno, Gianmario, che veniva come me da una scuola statale. Io e lui ogni giorno contavamo quante ore di “assistenza per gli psicolabili” avevamo fatto. Era una bravissima persona. Ma non ne poteva più di dover sopportare gente infantile, saccente, ignorante, maleducata e talvolta violenta. Col passare del tempo diventava sem-pre più nervoso. Un giorno non ne poté più: esplose contro gli altri e se ne andò dalla scuo-la. Non è più tornato e non lo biasimo. Ma voglio farvi qualche esempio dell’ignoranza dei miei compagni: è gente che studia da due anni lingue straniere, tra di esse francese, ma non sa che nella lingua in questione la congiun-zione è “et” ma si pronuncia “e”. Comunque è

gente che ama la perfezione: sono stati a stu-diare per 3 mesi come si fa una frase con la negazione “ne-pas”. Un giorno l’insegnante madrelingua d’inglese ha detto che era origina-ria del Kenya, ex colonia inglese: degli studenti sono rimasti sconvolti e sbalorditi hanno do-mandato “ma allora perché se lei è africana non è negra?” (notate la loro grande proprietà del linguaggio). L’insegnate di latino ha chiesto cosa vuol dire “lecturus sum”, uno studente ha risposto che forse era un pianeta vicino a Mar-te. Un’altra cosa che mi ha molto colpito per la differenza con il Gioberti è la totale ignoranza civico-politica o il grande disinteresse che gli studenti nutrono: sono dei qualunquisti mili-tanti. Adesso, aspetto noiosamente la fine dell’anno scolastico e l’eventuale chiusura del mio manicomio, questa è una cosa che mi con-forta. Non mi conforta tanto, però, il fatto che domani questi assurdi esseri potrebbero occu-pare i posti dei loro potenti genitori col preciso compito di dare il colpo di grazia al Belpaese, che poi non è tanto bello. Mah, magari avendo fortuna potrebbero venir stroncati il giorno in cui il ministero dell’istruzione approvasse la pena di morte.

(CONTINUA)

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La vita. Già, cos’è per noi? Attività degli esseri animali e vegetali dalla nascita alla morte; du-rata, esistenza. No grazie… La vita non è l’essere in grado di respirare, la vita è il fiato trattenuto prima di scoprire cosa nasconde uno dei tanti tornanti presenti sul cammino che abbiamo iniziato a percorrere la prima volta che abbiamo aperto gli occhi… Non lasciamo che diventi fragile e cupa! Quando ricorderemo a stento i tram affollati e le nuvole di fumo fra

libri stropicciati e risate, non rimaniamo a sba-digliare seduti su un divano vecchio e logoro davanti a un telecomando che non sapremo usare, con una rivista insignificante semiaperta su un comodino impolverato vicino a una sca-tola di pastiglie inutili! Ricordiamoci, vi dico, di questi momenti, in cui ci si butta a capofitto nella mischia correndo insieme verso un futuro incerto, non lasciamo scivolare via i ricordi, non facciamoli diventare un’abbronzatura sbiadita di fine Settembre! Manteniamoli vivi! Perché la nostra vita è come un sole nascosto dai rami contorti di un albero antico, è presen-te, ma non fa abbastanza luce, eppure disegna fantastiche ombre su un mondo nebbioso ma splendido. Noi balliamo come rosseggianti fiamme agli orizzonti del nostro cuore, tambu-ro di mille orchestre melodiose… A volte ci

(CONTINUA A FIANCO)

In una vita di speranze

Giulia Voghera

La mattina, forse la parte più bella della giorna-ta: ti svegli, ti prepari per andare a scuola. L’andare a scuola non deve essere visto per forza come qualcosa di negativo, anzi bisogna prendere gli aspetti più positivi ed andare a-vanti pensando solo a quelli. La bellezza di ritrovarsi davanti ai cancelli prima che suoni la campanella a fare due chiacchiere e fumarsi una sigaretta in mezzo a tutti quei ragazzi sia più grandi che più piccoli di te. Tutti li defini-scono amici ma secondo me, tutte le persone incontrate a scuola, che si conosce per i corri-doi o in cortile è da considerare solo un cono-scente e non un amico. Gli amici sono persone

davvero importanti di cui quelli veri si contano sulla punta delle dita. Suono della campanella, i più piccoli che corro-no nelle classi per paura della reazione del professore della prima ora nel caso arrivassero con un po’ di ritardo, i ragazzi degli ultimi anni ancora indecisi: taglio o non taglio oggi? Inizio delle lezioni, per la scuola praticamente nessu-no, tutti sui banchi in un dormiveglia generale. Si risente il suono della campanella, che a tutte le ore è come una liberazione, per non parlare quando suona per segnalare l’inizio dell’intervallo: ore 10:05, in un secondo svani-sce tutto il sonno e tutti sono belli arzilli per i 10 minuti di pausa concessici. In questi 10 mi-nuti, che sembrano durare 10 secondi, quanti pettegolezzi, quante allegre chiacchierate, quante “sbolliture” per un brutto voto che secondo noi non ci meritavamo. Tutte queste situazioni, che raccontate ad un adulto fanno venire il sorriso sulle labbra perché ricollega tutto a quando lui andava a scuola e viveva, in modo diverso, le stesse circostanze, sono le cose positive che devono far venire la voglia di

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Compagno di scuola, compagno

di niente... Francesca Voci

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capita di essere tristi, e arrabbiati, adirati con il mondo, e magari piangiamo, ci sfoghiamo in questo modo perché il nostro cuore galoppa senza redini portato da un vento insolente… è vero, ma ci siamo mai accorti di quanto sia dolce il sapore di un’ultima solitaria lacrima che viaggia ormai sconfitta sulle distese delle nostre guance salate? Ci siamo mai soffermati sulla bellezza dei colori che l’arcobaleno proiet-ta nel cielo immenso dopo un furioso tempora-le? Impariamo a vivere di piccole cose… Vivia-mo in una corsa nel bosco, nella nebbia mattu-tina, viviamo in un fiore che sboccia e in un cielo di stelle luminose. E pensiamo sempre a chi vive di polvere e di pane secco, di chi lavora e lavora e lavora soltanto, ed è solo un bullone arrugginito che serve a far funzionare l’ingranaggio di una macchina crudele e spieta-

ta manovrata da scheletri grigi e senza anima… Ci sono luoghi abbandonati dal sorriso di un bambino, ci sono luoghi in cui non si ha nean-che più la forza di piangere, ci sono interi mon-di dove occhi scuri e profondi esprimono muto dolore specchiandosi in un’acqua fangosa e dimenticata… Per questo non mi stancherò mai di ripetervi: viviamo di speranze, e di sogni, viviamo di ideali, e ricordiamoci che, se solo lo vogliamo con il cuore, tutto ci è possibile, per-ché siamo giovani e abbiamo il mondo nelle mani, spetta a noi cambiarlo, è come acqua e scivola, ma ce la possiamo fare, voliamo oltre i limiti dell’ignoranza e dell’odio, raggiungiamo verdeggianti terre di uguaglianza, e di pace, dimentichiamo l’uomo che, per la patria, ucci-de fra insanguinate nuvole di polvere su un terreno che ormai non sente più suo! Possia-mo.

(CONTINUA)

Liberopensiero

andare a scuola e tenere duro per arrivare alla fine dei cinque anni a testa alta per dire: “ce l’ho fatta!”. Arrivano le 14:00, in branco giù per le scale di corsa per non perdere l’autobus, mentre tu sei ancora tranquillo in mezzo ai tuoi libri che devi ancora mettere nello zaino: questo “prendersela comoda” solo perché cerchi di allungare il più possibile l’ora di ritorno a casa. Certo che rimanere tutto il giorno chiusi in un appartamento sarebbe davvero triste: da soli, controllati 24 ore su 24 da due figure in certi momenti, per noi ragazzi, quasi estranee alla nostra vita, alla vita che in qualche modo ci scegliamo, di cui loro non fanno parte, di cui molto spesso loro non sanno nulla, la nostra vita fuori di casa, la vita che viviamo quando diciamo “mamma vado a farmi un giro in cen-tro” oppure “mamma vado a prendermi un gelato” . È bello vedere il cambiamento, il più delle volte radicale, degli adolescenti, una volta varcato il portone di casa. Con i genitori siamo sempre tutti dolci e simpatici, intimiditi dal mondo esterno ma, una volta da soli, diventia-

mo sprezzanti del pericolo con una sigaretta in bocca e in alcuni casi una bottiglia di birra in mano. Questa fascia d’età è stata superata da tutti, gli ostacoli sono sempre gli stessi da ge-nerazione in generazione, però cambiando tutto quello che ci fa da scenario, inevitabil-mente cambia anche il modo di affrontare questi ostacoli e secondo me più si va avanti e più vengono affrontati malamente, perché sempre più spesso tutte le “ragazzate” a volte molto, troppo pericolose vengono giustificate proprio perché considerate tali. Secondo il mio punto di vista se fin da subito non si inizia a far notare la differenza fra “giusto” e “sbagliato” sarà molto difficile capire il comportamento più opportuno da adottare a seconda delle diverse circostanze e sapersi controllare e darsi dei limiti. Questo non vuol dire togliere l’indipendenza e la possibilità di sbagliare per avere una crescita e una maturazione persona-le, ma dare un’inquadratura generale, come dice il proverbio: “uomo avvisato, mezzo salva-to”.

(CONTINUA)

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“Parlare di don Luigi Ciotti significa parlare di

quarant’anni di attività e impegno per tutto ciò

che riguarda la persona in difficoltà, dagli anni

sessanta ad oggi.”

Questa la presentazione che fa il giornalista Maurizio Versaci, da anni amico del Gioberti, chiamato proprio qui a condurre l’incontro che ha visto la partecipazione di tutte le classi del quar-to anno, di uno dei più importanti, senz’altro più impegnati personaggi della nostra società. Don Luigi Ciotti, sacerdote e giornalista dal 1988, ha scelto di mettere la sua attività e la sua esperien-za a servizio della società, lottando contro la pover-tà e la corruzione, la de-linquenza e il narcotraffico, e, soprattutto, le mafie. Dagli anni novanta si è dedicato a tempo pieno alla lotta contro le mafie, collaborando con lo Stato italiano e la Magistratura, dando vita a un’importantissima associazione di livello nazionale come Libera – di cui da quest’anno ospitiamo un presidio nella nostra scuola - , coinvolgendo e motivando molti giovani che oggi partecipano attivamente in tutta Italia al tentativo di sconfiggere il più grande flagello della nostra società. Costretto da anni a vivere sotto scorta armata – è stato accompagnato con un’auto blindata fin nel cortile della nostra scuola – non rifiuta mai di recarsi tra i giovani a raccontare le sue esperienze e, eventualmente,

a trasmettere un po’ del suo impegno. Il suo intervento è un lungo racconto. Comincia raccogliendo provocazioni e suggestioni pro-prio dagli studenti, e poi inizia a raccontare. “Se noi andiamo a leggere un po’ di storia, la

storia dei giochi criminali,

scopriamo che il primo

mafioso lo troviamo nel

1640, è un frate di Nola,

che invece del breviario,

per fare i suoi affari, scelse

il coltello: aveva messo

insieme dei picciotti, uomi-

ni in gran parte giovani

che per fare i suoi affari

facevano un po’ i gruppi di

fuoco. Quindi c’è un pezzo

di storia che parla di que-

sto modo di essere mafia,

anche se il termine mafia,

quando Garibaldi arriva in Sicilia, non è ancora

in uso; la prima volta che si parla di mafia è

quando il prefetto di Palermo, nel 1865, scrive

al ministro degli Interni di allora e dice: qui c’è

un problema di mafia. Ora noi questo termine,

che poi si è abbinato a Cosa Nostra di Sicilia, lo

usiamo per parlare di tutte le mafie che interes-

sano molto il nostro paese. Oggi la ‘ndrangheta

calabrese ha in mano e gestisce tutto il merca-

to di cocaina del Nord Europa: è quella che ha

fatto forse meno notizia, perché Cosa Nostra è

quella più storica, abbiamo visto un sacco di

film, ma è quella che ha attirato anche

l’attenzione dei media con le grandi stragi.

(CONTINUA A FIANCO)

Don Ciotti al Gioberti

Adriano Bollani

Incontri

Le mafie

hanno sem-

pre ucciso

in ultima analisi,

perché vivono di

c o m p i a -

cenze.

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17 Joe Berti Anno 3 n. 4

Aprile 2008

Pensiamo alla Sacra Corona Unita, che è

un’anomalia, perché è nata in carcere: si sono

trovati in carcere, in Puglia, camorristi, uomini

della ‘ndrangheta e delinquenti per reati comu-

ni, e dopo anni di carcere insieme, è nata que-

sta nuova organizzazione. La camorra, poi, ha

una composizione variopinta, perché ognuno

va per conto suo nella camorra. Ma l’obiettivo

è uguale per tutti: fare affari, potere, denaro, e

se per raggiungere quell’obiettivo ci sono osta-

coli… Non dimenticate che le mafie hanno sem-

pre ucciso solo in ultima analisi, perché le mafie

vivono di compiacenze: le mafie riescono a

realizzare tutto questo perché hanno delle stra-

tegie, hanno delle alleanze, con segmenti del

mondo economico, con

parti della società, con

segmenti del mondo politi-

co. La differenza tra mafia

e crimine organizzato sta

qui: che la mafia è un

crimine organizzato che

per raggiungere i suoi

obiettivi fa queste allean-

ze, usa queste compiacen-

ze, costruisce questi rap-

porti. Allora voi capite che

il problema non è solo il

contrasto ai grandi perso-

naggi della mafia, ma

anche al bacino in cui essa si alimenta: quella

cultura mafiosa, quella mafiosità.”.

Ma non manca, nella sua analisi, il tema della religione. Il rapporto mafia-religione viene anch’esso trattato attraverso il racconto, in questo caso dell’incontro segreto avuto a no-me dello Stato italiano e della Magistratura con la signora Riina, dopo l’arresto del marito, in occasione di una delicata trattativa che, se non fosse stata misteriosamente rivelata da alcuni giornali, avrebbe potuto portare ad una svolta nella guerra mafia-Stato. “Appena io la incontro lei mi dice: -Parrino, noi

siamo molto cattolici, io sono cresciuta

nell’Azione Cattolica -. Le ho risposto: - Anch’io,

signora, ma abbiamo preso strade diverse-. –

Noi preghiamo molto -. E mi ha colpito: lei si è

presentata subito, la signora Bagarella, moglie

di Riina, tra l’altro una maestra, una persona di

un certo spessore culturale, come molto cattoli-

ca. – No mi scusi, signora, un solo particolare,

mi permetto di dirglielo: la preghiera, non è

l’elenco delle nostre parole a Dio, ma è tradurre

la sua parola. La sua parola è una parola di

pace, di non violenza, di speranza, di impegno,

di giustizia-. E ti trovi davanti, e lì capisci la

distorsione che c’è, come il mafioso tiene le

radici: i simboli religiosi, i linguaggi religiosi, li

trovi in tutte le mafie. Ma diventa un feticcio:

tu troverai che, nelle

grandi feste patronali, a

gestire, i priori, sono i

mafiosi, pagano per por-

tare la Santa, ma è un

feticcio, quello. Dio non

vuole quello. Per il mafio-

so, però, fare il priore

della festa è un modo di

trovare una legittimazio-

ne sociale, fare vedere

che lui è uno buono, che

lui è con la Chiesa, che sta

dalla parte di Dio. Ma Dio

non sta dalla sua parte.

Dio non può cogliere la violenza. Io l’ho spiega-

to un po’ alla signora, in un momento anche di

sua fatica, ho rispettato non le sue idee ma la

sua richiesta che mi faceva in quel momento

rispetto a una situazione difficile. Allora io sono

riuscito a cogliere in quei volti,

quell’espressione, quel linguaggio, la struttura,

il feticcio, l’inseguire queste forme di religiosità.

Cito una frase dal diario di un magistrato, mor-

to a trentasette anni perché faceva indagini

serie, che è una mazzata per me:

-Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma

credibili-. Non basta dire che il Signore è il Si-

gnore, capite? E io gliel’ho detto alla signora

(CONTINUA)

(CONTINUA NELLA PAGINA SUCCESSIVA)

Incontri

Cito dal di-

ario di un

PM: ‘Non ci

sarà chiesto se

siamo stati cre-

denti, ma

credibili’.

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18 Joe Berti Anno 3 n. 4 Aprile 2008 Mondo

Riina.”.

Ma l’argomento centrale dell’intervento resta la storia della lotta alle mafie, nelle sue tappe fondamentali. “Solo nel 1982 esce la prima legge che parla di

mafia in Italia. La firmano La Torre e Rognoni.

La Torre, però, l’hanno ammazzato, e la legge

esce quattro mesi dopo che è stato ucciso. Que-

sta legge stabilisce per la prima volta cos’è la

mafia, e parlo di quell’articolo, il quattrocento-

sedici-bis, che dice che ci sono dei reati di ma-

fia. E per la prima volta parla anche della confi-

sca dei beni, cosa che poi noi abbiamo ripreso

dopo, fatta in un certo modo. Ma c’è un inter-

vento stupendo di Paolo Borsellino, poi ucciso

anche lui, che un giorno disse: -La lotta alla

mafia è anche un movimento culturale, mora-

le, etico e religioso-.”

E dopo quasi due ore di racconto, dopo aver narrato almeno dieci anni di lotta alle mafie, almeno un secolo di storia delle mafie, don Luigi Ciotti ci saluta così:

“Io sono venuto qui a titolo di amicizia. Guarda-

te, che si parli il meno possibile di don Ciotti! Vi

sono grato. A me interessa parlare di problemi,

di prendere coscienza di tutto quello che si fa

insieme a tante realtà: io sono una piccola par-

te, che ha gestito in questi anni un piccolo ruolo

di servizio per mettere insieme tante tante

realtà.”

(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)

Se, da un punto di vista critico, le nazioni del mondo decidessero di non partecipare, sareb-be un gran gesto di umanità che scavalchereb-be qualsiasi interesse politico-economico, ma del resto non sarebbe del tutto corretto per quegli atleti che tanto si sono impegnati. Sto parlando, come avrete già capito, delle Olim-piadi di Pechino 2008, l’argomento più discusso e più controverso degli ultimi mesi. I giornali italiani e non solo prestano le loro pagine a notizie più o meno fondate sui prossimi giochi. Per chi non lo sapesse, questi contrasti nei confronti della Cina si sono accesi ulteriormen-te dopo la rivolta del Tibet contro il governo di Pechino, e dopo la pesante repressione che il più grande comunismo asiatico ha messo in atto negli ultimi mesi. Come può un paese, le cui imminenti Olimpiadi echeggiano beffarde lo

slogan “One World, one Dream” (Un mondo, un sogno), ospitare le più grandi competizioni sportive sotto il motto della pace, della sana competizione, opprimere un popolo tanto nu-meroso qual è il Tibet? Questa domanda se la sono posti in molti, ma pochi hanno davvero provato a rispondere. Astenersi dal partecipare ai giochi olimpici di Pechino non è l’unica possibilità. Ci sono molti più modi per boicottare i giochi, modi indiretti ma comunque efficaci, che davvero intimidi-rebbero l’intera struttura cinese. Perché sfavo-rire a tal punto gli atleti da non farli gareggia-re? Basterebbe non guardare le Olimpiadi per tutta la loro durata. Un metodo comunque drastico, una presa di posizione di consapevolezza nei confronti e nel rispetto dei monaci tibetani, perché no, di tutti i tibetani, che altro non vorrebbero che essere liberi, indipendenti, fuori da un governo così repressivo e oppressivo. Basterebbe far sapere alla Cina che l’opinione

di due miliardi di persone che avranno accesso

ad un televisore conta, conta per decidere le

sorti di un popolo duramente colpito.

Liberi di scegliere per il Tibet

Alberto Leone

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Spesso leggiamo sui muri “fuoco ai CPT”, ma sappiamo realmente di cosa si tratta? In questi mesi ho avuto il compito di svolgere una tesina sull’immigrazione in Italia, e per non cadere in argomenti sentiti e risentiti (che spesso possono scatenare dibattiti ideologici ben poco piacevoli…) ho scelto un aspetto dell’immigrazione che non conoscevo appro-fonditamente, anzi, devo ammettere con ram-marico che le mie conoscenze si basavano su banali ed infondati luoghi comuni. La mia ricerca è iniziata con un’intervista al colonnello responsabile del CPTA (centri di permanenza temporanea “e accoglienza” è la corretta denominazione, ma come mi ha bona-riamente spiegato il colonnello nel gergo quest’ultima parola è spesso omessa) di Torino, in Corso Brunelleschi. Partiamo da una breve descrizione dei luoghi comuni da me succitati, che ho riscontrato propri non soltanto in me, ma anche nelle per-sone che ho intervistato, tra ragazzi e professo-ri, tutti Giobertini. Nonostante la disinformazione generale, molti si trovavano sicuri nell’affermare che la nascita dei Cpt sia stata l’equivalenza della costruzione di “simil-lager”, dove gli immigrati vengono picchiati e dormono stipati in container. Il fron-te opposto arriva invece ad affermare che sia-no luoghi quasi idilliaci, per la loro funzione di tipo utilitario e, con mio rammarico, anche umanitario… Per trovare una soluzione al problema degli immigrati irregolari e clandestini sono nati i centri di permanenza temporanea (CPT), che sono strutture istituite dall’articolo 12 della legge Turco-Napolitano, (le cui regole sono state modificate e inasprite dalla Bossi-Fini) per tutti gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompa-gnamento coattivo alla frontiera non immedia-

tamente eseguibile”. Ciò significa che gli stra-nieri che vengono trovati dalla polizia senza documenti, nel caso in cui non siano donne in gravidanza o minori, devono essere trattenuti all’interno del CPT più vicino per massimo ses-santa giorni. In questo arco di tempo le autori-tà competenti si occupano di capire il luogo di provenienza del clandestino e di farlo tornare in patria. Nel caso in cui non si riesca a risalire al luogo natio dell’extracomunitario, quest’ultimo viene lasciato libero (la legge vieta infatti il trattenimento all’interno del centro per più di sessanta giorni…) con un do-cumento che attesta che nel giro di cinque giorni deve trovare l’idoneo vettore per recarsi in patria. E questo, ovviamente, accade. Se vengono ripresi, per legge vi è una pena (che non viene scontata) di tre anni di galera. Ven-gono quindi tenuti altri sessanta giorni, e nuo-vamente rilasciati. Nel caso paradossale (ma purtroppo per niente sporadico) che vengano fermati una terza volta, la pena da scontare è invece di sei anni. Ci sono norme che per legge vanno rispettate all’interno dei centri: il diritto dei clandestini (o irregolari) di consumare pasti caldi, avere con-dizioni igieniche favorevoli. Inoltre mi è stato detto dal colonnello responsabile del “nostro” centro di permanenza temporanea che a breve sostituiranno i normali televisori all’interno dei Cpt con quelli al plasma “anche se già ci rom-pono questi…” . Ma ha anche aggiunto che ci sono persone che finiscono per terra a sniffare la polvere agli angoli delle stanze, e che tentano il suicidio cercando di strozzarsi con le loro magliette… Ho esitato a scrivere questo articolo, promet-tendomi di non esprimere giudizi, di essere più neutrale possibile. Quello che desideravo era essenzialmente far luce su un “problema”, poiché è un problema, che dir si voglia, attuale; lascio a voi il giudizio, con la speranza che que-sto articolo vi motivi a spingere i vostri orizzon-ti di conoscenza riguardo all’argomento più in là.

(CONTINUA ANELLA PAGINA SUCCESSIVA)

CPT Giulia Trivero

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Per mancanza di volontà lascio una sola riga per esprimere il mio disappunto, osservando che, almeno, abbiamo fatto un passo in più

della Grecia, che per tenere lontani “i diversi” piazza dei cannoni pronti a sparare all’arrivo del primo gommone…

(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)

Ti piace leggere? Vorresti che a scuola si

costituisse un gruppo di lettura che si riuni-

sca una o due volte la settimana per un

LABORATORIO DI LETTURA gestito da studenti

con iniziative varie da realizzare assieme?

Abbiamo bisogno di idee, contributi e… sen-

sibilità creativa.

Per informazioni e contatti

[email protected]

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Aprile 2008

La fiaccola olimpica è ancora accesa, prosegue incessante il suo cammino nonostante le prote-ste e i numerosi tentavi di spegnerla. La fiacco-la non è più quella di una volta, non porta gioia ed emozione, ma dimostranti e rivoltosi. La fiaccola non incanta più i luoghi che visita, li agita e li disturba. Da qualche mese migliaia di persone affollano le grandi città e chiedono di sospendere le Olimpiadi. Ciò che accade in Tibet è sotto gli occhi del Mondo e le più importanti nazioni si stanno ribellando ad un simile dramma. Pechino tuttavia non ha intenzione di cedere, i cinesi vogliono portare a termine la mani-festazione sportiva più importante e vincere la loro scommessa, senza avere danni politici e di immagine. Non sembrano preoccupati della situazio-ne, gestiscono i problemi, è il caso di dirlo, con calma “olimpica”. La sensazione è che la rivolta in Tibet non li riguardi troppo da vicino, in ogni caso andranno avanti e raggiungeranno il loro intento, forti della loro importanza economica e politica. Questa volta però qualcuno ha deciso di opporsi. Fatta ecce-zione per gli Stati Uniti, alcune tra le più impor-tanti potenze hanno scelto di boicottare le Olimpiadi e mandare segnali di insofferenza al gigante cinese. Sicuramente molti torneranno sui propri passi, ma resta lo stesso

un’importante iniziativa: sappiamo tutti quale importanza abbia la Cina per l’economia euro-pea. Una situazione quindi molto complicata, il popolo sta alzando la voce e, per una volta, anche i suoi rappresentanti gli danno ragione. Che ci siano le Olimpiadi di mezzo è puramente casuale, vi sarebbero state ugualmente prote-ste e manifestazioni anche con eventi di mino-re importanza, ma dare alla Cina il dispiacere di perderle certo alletta molto. Il Mondo Occiden-tale stavolta sembra davvero schierato, seppur con qualche preoccupazione, contro i Cinesi. E

le pressioni cadono inevita-bilmente sul Comitato Olim-pico. Piovono richieste, c’è bisogno di fare chiarezza. La fiaccola deve continuare il suo percorso? Le Olimpiadi devono ancora essere di-sputate? Aumentano inces-santi le proposte di boicot-taggio, la crisi in Tibet peg-giora, ma il Comitato ha deciso: la fiaccola andrà avanti. È la prima volta che un sim-bolo di pace viene disprezza-to e odiato, per la prima volta al suo passaggio la gen-te fischia e protesta. Il tempo

incalza, niente è come sarebbe dovuto essere, si prospettano disordini a livello mondiale. Il

futuro delle Olimpiadi è più che mai incerto, e il mondo si chiede

perché stia succedendo tutto ora. Forse dietro al dramma del Tibet

c’è qualcosa di più grosso, qualche interesse non tanto celato: probabilmente il dio denaro ha colpito ancora, probabilmente gli affari ancora una volta si sono dimostrati più forti della dignità dell’uomo. Non potremo mai intuire a fondo la verità, ma abbiamo una sola certezza: la fiaccola, attra-versando il mondo, si sta spegnendo, triste e sconsolata!

Mondo

Il dramma Olimpico

Tommaso Pirfo

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Quando Jack London scrisse Martin Eden, cele-bre romanzo di stampo americano, voleva certamente stupire il mondo, scuoterlo e dare segnali di ribellione. Il libro risultò essere una critica diretta alla società americana degli anni 90’, segnata da profonde differenze culturali e sociali. Ricchi e poveri, laureati e braccianti, filosofi e senza tetto. Jack London non rispar-miò nessuno: le critiche erano rivolte all’intero sistema, ai borghesi troppo materiali e al popo-lo eccessivamente rassegnato ad una condizio-ne di semi schiavitù. L’America di quegli anni era molto diversa da quella attuale: una terra che offriva grandi possibilità di ricchezze, at-traeva genti disperate da tutto il mondo e si apprestava ad affacciarsi al grande scenario mondiale. Chi sapeva cogliere le occasioni face-va fortuna, chi invece si dimostrava poco intra-prendente era inevitabilmente perduto. Abis-sali differenze culturali e sociali rendevano ancora più confusa la situazione. Vecchi bor-

ghesi rivendicavano antichi privilegi tentando in ogni modo di non essere schiacciati da un popolo sempre più affamato, nascevano i primi veri pensatori americani. L’opportunismo e la possibilità di guadagno regnavano sovrani, gli uomini accantonavano i propri sentimenti e desideri pur di trovare nuove condizioni di vita. La società tesa nel massimo sforzo di diventare la più grande potenza al mondo non conosceva limiti e non arrestava la sua crescita. In questo scenario dominato da tante contraddizioni e difficoltà si fece spazio Jack London, intento a sbandierare al mondo quali conseguenze aves-se un simile espansionismo. Il suo romanzo, definito “arrabbiato”, testimonia i contrasti dell’America e il suo personaggio, Martin Eden, è un uomo intenzionato a smascherarli. Il pro-tagonista è il ritratto autobiografico di Jack London; Martin vive un’infanzia turbolenta e complicata, divorato dall’amore per una giova-ne ragazza borghese e convinto di poter cam-biare il mondo con le sue idee e pensieri. Que-sto straordinario personaggio vivrà esperienze per lui indimenticabili e con la forza dell’umiltà raggiungerà traguardi straordinari. Un libro imprevedibile, vivace, piacevole e dal finale sorprendente. Buona lettura!

Martin Eden

Tommaso Pirfo

Recensioni

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Aprile 2008 Sport

“Gioberti bella lì!”. Così i bianchi sono scesi in campo. 21 febbraio 2008, Gioberti VS Peano. Classico-linguistico VS tecnico-informatico. Una partita di pallacanestro ben giocata da entram-be le squadre, svoltasi nella palestra della suc-cursale del nostro istituto. Ho provato ad avvicinarmi ai nostri gioca-tori prima dell’inizio della partita, ma non è stato possibile. Erano piuttosto agitati (così ha confessato anche l’allenatore alla fine), si allenavano e non sbagliavano un tiro, provavano qualche azione, qual-che difesa. Erano impegnati, caldi, f r e m e v a n o . Q u a l c u n o ancora non si c o n o s c e v a , perché alcuni venivano dalla sede, hanno do-vuto allenarsi e tro-varsi in intesa con tutti gli altri. Non conosceva-no ancora i loro avversari. Sono arrivati poco più tardi, in divisa blu, seri. Devo ammettere che sembravano più muscolosi dei nostri gioca-tori (senza offesa!). La partita è iniziata quasi subito. L’arbitro ha tirato la palla e il gioco si è fatto subito duro. Si avvertiva concentrazione da parte di tutti. Una rincorsa, un salto, una finta, un canestro, un cambio, un fischio, un punto. E via discorrendo. Alla fine del primo tempo il risultato era di 44 a 34 per il Gioberti. Sembrava una partita persa ancor prima di iniziare, vedendo i soggetti. Eppure, colpo di scena, si è andati avanti così. Intanto da dietro soprattutto nel secondo tem-po, si sentivano le urla e il tifo delle ragazze compagne, amiche o sorelle dei giocatori. Ma

loro niente, sembravano non farci neanche caso. Continuavano a correre determinati, senza farsi spaventare né distrarre. Hanno dimostrato una concentrazione e un’intesa degna di una vera squadra. Tutto ciò ha deter-minato le sorti della partita. Ultimo fischio. Risultato finale: 75 a 57 per i nostri. Felici, sod-disfatti, sorridenti hanno finalmente potuto tirare un sospiro di sollievo. Quasi saltellando sono andati a cambiarsi. Poi qualcuno è tornato in palestra, compreso il

capitano. Chiacchierando abbiamo chiesto di commentare il tutto.

È stata una bella partita, gio-cata correttamente da parte di entrambe le squadre; per quanto riguarda la nostra, si sentivano affiatati, uniti, in armonia. Anche il capitano è

soddisfatto (nonostante abbia confessato che

potevano fare di meglio). Sotto la

sua guida sono c o m u n q u e riusciti a vin-cere. A parte gli scherzi, giocatori lo con s id e ra no

una figura di riferimento, un tipo

simpatico e spigliato. Abbiamo chiesto anche ad alcune spettatrici di commentare la competizione. È piaciuta tantis-simo (soprattutto perché ha vinto il Gioberti!); secondo loro hanno giocato tutti bene, ma i migliori erano in quattro o cinque. I momenti più emozionanti sono stati i primi punti. Co-munque hanno ritenuto bravi tutti i giocatori e si sono divertite moltissimo. Che dire per concludere? Complimenti a tutti e… Gioberti bella lì!

“ G i o b e r t i Bella lì”

Giada Aloi

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Ed eccoci di nuovo tutti qui riuniti per parlare di un argomento molto importante, che ormai coinvolge tutto il mondo, TUTTO: il grande calcio. Ovviamente, grande si fa per dire, giusto un epiteto per aumentare l'enfasi. Il calcio: uno sport che vanta una tradizione antichissima e primordiale, una fantastica sto-ria. Perché ormai il calcio è storia. Un sport nobile e di alto rango, famoso e importante dappertutto. Fondamentalmente, il calcio è inutile. Undici persone che corrono dietro un pallone (anche brutto, direi) e tirano calci a destra e a manca, alzano le scarpe e sulla suola mostrano affilati tacchetti pronti ad uccidere chiunque. Che bello! Il calcio è uno sport pulito, dalle nobilissime e antichissime origini: volano insulti e parolacce per 90 minuti. Non vorrei mettere il dito nella

piaga, da brava italiana dovrei stare zitta e buona, ma come possiamo vantarci di aver vinto i mondiali quando ognuno di noi dentro di sé sa perfettamente che praticamente abbia-mo rubato? (Eresia). Se non fosse stato per quel demente di Materazzi noi saremmo se-condi. Chissà cosa avrà detto a Zidane. Non oso immaginare. E il genio (Materazzi, ovviamente) è fiero di aver detto ciò, tanto che si vanta di esser finito in 'nomination' in quell'orribile classifica degli insulti migliori. Quindi proporrei un bell'applauso per Materazzi: tu sì che tieni alto l'onore della nostra nazione. Bisogna ammettere che tutti quei soldi che ogni giocatore guadagna sono pienamente meritati; eh sì, certo, perché fanno un lavoro a dir poco durissimo. Ma dove? Come? Corrono? Sudano? Oooh, mi dispiace, poverini. Effettiva-mente si stancano. NO COMMENT. Ormai la nostra società è coperta da questo inutile e frivolo divertimento. Non c'è più nulla da fare: calciopoli, calcio-mercato, schedine

(CONTINUA A FIANCO)

Il Calcio Giulia Ferrero

Sport

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Aprile 2008 Sport

varie, etc. In particolare, sono stati colpiti gli uomini. Se messi davanti ad una televisione con una partita e qualche pop-corn, non daran-no alcun fastidio, assicurato. Garantisco io, e se il televisore è al plasma, ben venga. Diventano automaticamente delle larve in stato "zombie": persi. Probabilmente è una buona cosa. "Che squadra tifi?" "Mah,veramente non mi interesso di calcio" "Nuooo. Davvero? Dio, mio ma dove vivi?" Ed è così che nel giro di pochi secondi diventi uno scarto della società. Emarginato ed esclu-so: un perfetto alieno sul pianeta Terra. E per cosa? Perché non sai chi è quel cretino di Tor-res o sei all'oscuro del due goal di ieri a Sansiro di Luca Toni. "Guardalo, quello ieri non ha visto Juve-Milan". Sei out ormai, fratello. La scusa del disinteresse non finge più. Poco fa avevo la casa piena di gente. Il mio salotto si era trasformato nella stadio Delle Alpi: striscioni bianconeri, cappelli ridicoli e trombette. P A N I C O. Casa mia non era più

una casa, era il ritrovo degli ultras under 15 e over 40 che si ritrovavano a far casino. Esatto, proprio mentre io dovevo studiare. "Mamma che succede qui?" "Juve-Genoa tesoro. Non ti preoccupare, torna a studiare". Certo, come se fosse facile. Fischio d'inizio: da lì, urla e schia-mazzi presero il sopravvento. Fino al goal del fantasmagorico Del Piero, che salva la partita. Fiu, meno male. Cioè, ma chissenefrega! La partita finisce con il seguente risultato: 1 Juve - Genoa 0. Dio sia lodato: Pace in terra e negli altissimi cieli. Del Piero santo subito e bla,bla,bla... ci risparmiamo una serie di rotture di scatole in famiglia "la Juve ha perso,gnè gnè". Ora so che Dio esiste. G R A Z I E. Olè olè, la Juve ha vinto, olè. La gioia si respira nell'aria, a casa mia. Fi-nalmente l'ammasso di buzzurri bianconeri torna a casa, silenzio e pace tornano. Grazie al cielo. Nel nome di Alex, Ranieri, e di Lapo Santo. Amen.

(CONTINUA)

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26 Joe Berti Anno 3 n. 4 Aprile 2008 Ultimopensiero

Sì signora, il mio nome è Yasmin; nella tua lin-gua significa “gelsomino”. Sì, gelsomino. G-e-l-s-o-m-i-n-o: possono queste nove lettere così sgraziate trasmettere il profumo ed il candore di un fiore tanto bello nella sua delicatezza? Domanda retorica. Evanescente come il pensie-ro che si perde fra deserti di ceci e montagne d’ananas. “Due chili di patate”. Certo, signora che mi osservi sprezzante dal momento che la mia carnagione è più scura della tua (nonostante il vano tentativo di ravvivare il tuo smorto pallo-re con lampade, fard e simili amenità). Puoi lontanamente immaginare quale sia la mia storia, quale cielo abbiano scorto questi occhi che ti disgustano al punto da non poterli guar-dare? Ancora una volta lascio cadere il ragionamento e mi arrendo di fronte all’asprezza di una dispa-rità non giustificata. Torino sarà pure multietni-ca, centro nevralgico di mille culture diverse, ma la varietà prevede anche un discreto nume-ro di persone che usano il cervello solo per metà. Forse temono di sciuparlo, dice Iusef; ha ragio-ne, ma mi dà fastidio il loro senso di superiorità (sorto da cosa poi?) e il loro atteggiamento disdegnoso. Eh già, si è esseri umani da Reggio Emilia in su, poi quello che rimane è un’indefinita mistura di esseri spregevoli, siano terroni o- massimo disonore! – maghrebini. La civiltà infatti non è nata in Mesopotamia, nossi-

gnore, spuntò un bel dì a Torino (sempre terra tra due fiumi, neh). “Basta Yasmin, non rispondere all’ignoranza con l’odio.” Hai ragione papà,scusa... Ma è difficile, davvero difficile riuscire a sopportare tutto questo fiele, che il mio saggio genitore cerca di addolcire con il suo sorriso: “Quando sono arrivato a Torino dieci anni fa la popola-zione straniera era un quarto di quella attuale. Era strano per i Torinesi vedere individui dai lineamenti orientali e africani, e pertanto li trattavano con la medesima asprezza che ave-vano riservato agli operai meridionali. Ti ricordi le loro espressioni quando cominciammo a lavorare al mercato?” E come potrei dimentica-re quei visi curiosi e spaventati, quelle parole masticate fra i denti “Ora ci rubano anche il lavoro”. “‘Tralasci un particolare importante, raggio di sole”. Già, Francesca. Non posso astenermi dal sorridere quando penso a quella signora di cinquant’anni dai capelli rossi e la pelle chiara, tanto bianca da sembrare trasparente... Fu la nostra prima cliente. “Proprio lei. Dopo una settimana trascorsa senza vendere nemmeno una foglia di basilico mi sentivo terribilmente scoraggiato: mi ero trasferito con la mia famiglia per scampare alla miseria e mi ero imbattuto in nuova povertà! Stavo togliendo la merce dal banco, rimaneva-no solo una pesca e due zucchine quando arri-vò, volando fra la folla. Aveva le mani piene di sacchetti della spesa - era ovvio che non le occorreva nulla - ma restò per un quarto d’ora ferma davanti al bancone. Quando le chiesi se aveva bisogno di aiuto mi rispose: ‘Vede quella pesca lì? Non ho mai visto un frutto tanto solo, è assolutamente necessario che allievi il suo dolore!’” Le sue parole seriamente ironiche impressionarono talmente la mia mente di bambina che le conservo gelosamente nell’abbraccio della memoria. Da quel momen-to non passò giorno senza che Francesca venis-se a comprare qualcosa da noi, fosse anche solo un ramoscello di rosmarino (“È il migliore

(CONTINUA A FIANCO)

F l u s s o d i coscienza: l a p e r s i -stenza del-la memo-ria

Jun Rail

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Aprile 2008 Ultimopensiero

del mercato: profuma di serenità!”) e lenta-mente altri seguirono il suo esempio. “E con tanto lavoro ed infinita pazienza siamo giunti ad una buona posizione: tu e tuo fratello frequentate il liceo, siete studenti brillanti e saprete cogliere il meglio dei vostri due Paesi’~. Due paesi..? Io mi sento solo italiana pa-pà,viviamo qui da quando avevo sette anni,non rammento nulla della Siria! “La tua anima però non riesce a dimenticare i colori della sua primavera, te lo leggo negli occhi.” Mio padre ama improvvisare metafore per impressionare il suo uditorio che, anche se avvezzo a simili uscite, non riesce ad evitare nuova meraviglia. Non posso negare di serbare il ricordo di tutti gli ibiscus che avevamo in giardino, che osservavo fiorire con un’attenzione quasi maniacale... Basta, il passa-to è passato, adesso guardiamo al futuro! “Attenta a non trascurare il presente!” aggiun-ge con tono divertito .Scuoto la testa, dispera-ta. “Hai lo stesso sguardo di tua madre quando ti affliggi.” Chissà se anche bagnati dalle lacri-me i miei occhi brilleranno della stessa luce che

emanava la mamma... È morta nove anni fa, un anno dopo il nostro arrivo in Italia; una diagno-si errata, un piccolo errore del medico che aveva confuso un peritonite con una banale colite. Succede. Però fa male: meglio evitare di addentrarsi in emozioni così dolorose. Esco, papà, vado a fare due passi... “Da sola?” Sì,ho bisogno di riflettere. “Va bene.” Eh, questi orientali retrogradi che negano ogni libertà alle donne! Cammino vicino alle rive della Dora; Francesca mi ha raccontato che una volta il fiume separa-va la zona in cui abitavano i torinesi DOC da quella in cui vivevano gli operai venuti dal sud. Ironia della sorte, adesso i calabresi desiderano epurare le loro città dagli extracomunitari... Un’ombra che avanza nella nebbia mi sottrae ai pensieri che scorrono più veloci della corrente. E tu, che procedi con meravigliosa noncuranza verso di me, chi sei, qual è la tua storia? (e soprattutto: cosa vuole il tuo cane dalle mie scarpe?) ...Fine. O meglio, attesa di un nuovo inizio.

(CONTINUA)

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La Mezzana del Gioberti La tanto celebrata -e vituperata -posta del cuore de Joe Berti.

X Alberto 1A Sn 1 tua ammiratrice… Dal 1° giorno che ti ho viusto mi 6 subito piaciu-to ma non ho il coraggio di presentarmi… ti seguo sempre con lo sguardo e spero che tu possa capire chi sono...

X Emanuele 3C Sn 1 tua ammiratrice segreta… Sn rimasta affascinata da te dal 1° giorno di scuola… Mi piacerebbe tanto parlarti ma purtroppo non ho il coraggio di presentarmi mi basta che tu legga qst lettera e mi risponda nel prossimo numero...

Ad Alessia 1G Sei la mia stellina cicciottina! Ogni mattina vengo a scuola solo per vedere te…. Con il tuo sorriso illumini il mio cuore! Stabiliamo un luogo dove incontrarci...

Il tuo più grande sognatore

Al mio Romeo non credevo di poter, un giorno, provare qual-cosa per te. Finalmente sono riuscita a leggere quella pagi-na del mio cuore che fino ad adesso è rimasta nascosta: “Mi piaci tantissimo”

Ultimopensiero

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A chi ha partecipato perché il miracolo -

neanche il sangue di San Gennaro è così

puntuale! - si compisse un’altra volta. Ai

soliti volti noti, che in fondo rendono sem-

pre possibile questo: la professoressa

Genta, la signora Raffaella De Chirico, le

alte sfere.

Agli ignoti, infine, che tramite la scatola ci

hanno fatto sapere le loro opinioni, al

solito lusinghiere (sic).

GRAZIE

LA REDAZIONE

COLLABORATE CON NOI

Compilate questo tagliando, staccatelo e

deponetelo nella scatola posta nell’atrio.

Grazie!

Esprimi con un voto compreso tra 0 e 10 il tuo giudizio sul “Joe Berti”…………. Quali articoli trovi più interessanti? ………………………………………… ………………………………………… Quali argomenti, non trattati da questo numero, vorresti vedere sul “Joe Berti”? ……………………………………………… ……………………………………………… Per suggerimenti, proposte, critiche al Joe Berti, è a disposizione un’apposita scatola nell’atrio. Scriveteci, vi risponderemo!

A tua immagine e somiglianza,

Ci hai creati.

Non credevo che un dio avesse tante

cicatrici

Non credevo che un dio coltivasse tu-

mori d’odio

Tanto estesi da essere sporco grigiore

Tanto sporchi da coprire il mai esistito

colore

A tua immagine e somiglianza

Ci hai creati

E mai avrei pensato che un dio potesse

Recidere ciò che lui stesso ha creato

E mai avrei creduto che un dio

Lasciasse putrefare il cadavere

Del vicino,

Pugnalato alle spalle con un mero sor-

riso

Che dietro a un dio nasconde la realtà

Di un’umanità che mai è esistita

Perché

A tua immagine e somiglianza

Ci hai creati

E noi

dal tuo vaso di pandora

Abbiamo tirato fuori la bellezza

Per far fede allo sporco gioco che

Hai creato per noi

A tua immagine e somiglianza

A tua immagine e somiglianza

Giulia Trivero

Ultimopensiero

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Editoriale a cura di Adriano Bollani

Impaginazione a cura di Francesco Delù

Giochi matematici a cura di Daniele Cretier

Vignette a cura di Matteo Allasia e Delia San Martino

Docente referente: Maria Luisa Genta

Potete inviare i vostri

articoli o le vostre pro-

duzioni artistiche, ad

esempio vignette,

all’email del Joe Berti,

oppure metterli nella

scatola che c’è nell’atrio

in sede e succursale o

consegnarli direttamen-

te ai redattori.

9,00 - 19,00

Le soluzioni dei giochi mate-matici dello scorso numero

I melisti e i peristi sono rispettivamente 5 e 7. I mentecatti erano 15. Se ce ne fosse stato uno solo, questi l’avrebbe saputo non ap-pena fatto il discorso, e quindi il giorno seguente si sarebbe presentato. Se ce ne

fossero stati due, entrambi si sarebbero aspettati che l’altro si presentasse il girono dopo; non avendolo visto avrebbero capito di esserlo anche loro. Procedendo in que-sto modo, si dimostra per induzione che se i mentecatti sono n, si presenteranno tutti il giorno n.

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1

Noi

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Aprile 2008

LA REDAZIONE

Francesco Delù III C sede [email protected]

Adriano Bollani II C sede [email protected]

Emma Prosdocimo IC sede

Dario Barbaro IC sede

Delia San Martino VA sede

Eliana Vitolo VA sede

Giulia Trivero VD succursale

Giada Aloi IV beta succursale

Alberto Leone IE sede

Lucrezia Mele IH sede

Coordinatori della Redazione

Redattori

[email protected]

Noi

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I giochi Matematici

Il Kakuro

Stampato presso la Copisteria di Devalle Thea Samantha

Nella repubblica dei matematti si è eletta una commissione bica-

merale per riformare la legge elettora-le: di essa fanno parte 500 onorevoli. Nella prima riunione della commissione ognuno dei membri fa le seguenti affer-mazioni, progressivamente. 1 “Non ci sono sinceri tra noi” 2 “C’è al massimo un sincero tra noi” ... 499 “Ci sono al massimo 498 sinceri tra noi” 500 “Ci sono al massimo, tra noi, 499 persone sincere” Quanti sono gli onorevoli di nome e di fatto?

Ad un Referendum hanno partecipato 10.000 elettori, i quali hanno dovuto pronun-

ciarsi sulla legge elettorale in vigore nella repubbli-ca dei matematti, un sistema ispano-franco-tedesco-bulgaro. Tutti hanno regolarmente votato o “Sì” o “No”. All’uscita dai seggi un’agenzia di sondaggi ha chie-sto a tutti gli elettori di ripetere il proprio voto, in modo da preparare gli exit polls. Tuttavia, come regolarmente accade, il 90% di quelli che hanno votato “S`ı” ha dichiarato di aver votato “No”, ed il 90% di quelli che hanno votato “No” ha dichiarato di aver votato “S`ı”. Sapendo che 3600 elettori hanno dichiarato di aver votato “S`ı”, quanti effettivamente hanno votato “sì”?

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Paragonabi le alle parole crociate, que-sto gioco ri-chiede che ogni casella venga riempita con un numero da 1 a 9 al fine di rispettare tutte le som-me, banalmen-te.