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DON BOSCO e DON MILANI, BENCHÉ ENTRAMBI SACERDOTI ED ENTRAMBI IMPEGNATI NELLA EDUCAZIONE DEI GIOVANI E NELLA VITA PASTORALE, NON POTREBBERO APPARIRE PIÙ LONTANI E DIVERSI.

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DON BOSCO e DON MILANI,

BENCHÉ ENTRAMBI SACERDOTI ED ENTRAMBI IMPEGNATI NELLA EDUCAZIONE DEI GIOVANI E NELLA VITA PASTORALE, NON POTREBBERO APPARIRE PIÙ LONTANI E DIVERSI.

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SONO DIVERSI:

• IL CONTESTO STORICO, AMBIENTALE E SOCIALE IN CUI MATURÒ E PRESE CORPO LA LORO ESPERIENZA

• LE LORO PERSONALI PARABOLE ESISTENZIALI CHE, DALL’INIZIO ALLA FINE, TRACCIANO DUE PERCORSI DI VITA OPPOSTI

In sintesi queste sono le principali differenze:

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DON BOSCO nasce poverissimo nel 1815, in una umilissima casa di contadini, (i Becchi)

in una remota zona rurale del Monferrato,

lontano non solo dalla città, ma anche dal più vicino centro urbano

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DON MILANI nasce nel 1923 da una ricchissima famiglia di signori,

in un elegante palazzo nel centro di Firenze (Viale Principe Eugenio)

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DB vive l’infanzia tribolata di un orfano di padre che deve ben presto provvedere a se stesso.

Lavora duramente come garzone lontano dalla famiglia.

Deve patire anche la forte opposizione di un fratellastro, come si diceva all’epoca.

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DM vive l’infanzia dorata e protetta del giovane privilegiato, amato dai genitori,accudito e riverito dalla numerosa servitù.

Cresce tra un fratello maggiore e una sorella più piccola, in compagnia di molti cugini.

Con loro divide le vacanze in lussuose case di proprietà al mare e in montagna. 

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DB vive in un ambiente dove l’analfabetismo accomuna i suoi simili.

E’ costretto per lungo tempo ad accantonare la passione per gli studi.

Per lui quella della conoscenza è una vera e propria fame.

Ad essa è disposto a sacrificare il sonno e il pane per poter avvicinare i libri e accostarsi a modesti maestri.

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DM cresce in una famiglia coltissima in cui lo studio della cultura classica e la passione per gli studi filologici e linguistici sono pratica quotidiana.

Molti dei suoi componenti si sono dedicati alla vita accademica, come docenti e ricercatori universitari.

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Per lui la conoscenza è un bene naturalmente a disposizione, come l’acqua che esce dai rubinetti e la luce accesa dagli interruttori.

Il suo percorso di studi è altrettanto naturalmente quello classico, che porta a compimento senza mostrare particolare passione per le materie che affronta spesso con superficialità.

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Le difficoltà portano DB a intraprendere

studi regolari già piuttosto

avanti in età.

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DM affretta la conclusione degli studi liceali.

Salta un anno e rifiuta di proseguire quelli universitari, secondo la tradizione e le attese della famiglia.

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DB, educato nella fede e nella preghiera, entra in seminario a …anni

Coniuga in questo modo la sua vocazione per lo studio a quella, per Dio e la vita ecclesiastica già presentita e anticipata da fanciullo

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DM, non riceve alcuna educazione religiosa nella sua famiglia, ebrea per parte di madre e laica per convinzione e comportamenti di tutti i suoi componenti.

Entra in seminario a 20 anni. Sorprende tutti, familiari ed amici, con la rivelazione di una vocazione inaspettata.La sua conversione improvvisa non ha avuto né ispiratori né consiglieri.

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DB conclude gli studi in un seminario di provincia (Chieri) nel 1841.

A 26 anni, si trasferisce per completare la sua formazione e avviare la sua esperienza sacerdotale a Torino, capitale del regno.

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Torino comincia allora ad affrontare le conseguenze e i problemi di una rapida e una impetuosa industrializzazione.

Le trasformazioni economiche riversano nella città ondate di poveri immigrati dalle campagne e dalle province vicine.

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DM frequenta il seminario metropolitano di Firenze.

Nel 1947, a 24 anni, viene affidato come vice-parroco alla pieve di San Donato di Calenzano, una parrocchia rurale popolata di contadini, che comincia a conoscere il problema del pendolarismo e dell’emigrazione verso la città, che ha fame di operai per le nascenti industrie tessili.

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Come si vede, l’esperienza di DB e di DM si è snodata lungo percorsi opposti.

Quella dell’uno sembra il negativo fotografico dell’altro. Solo la consacrazione sacerdotale apparentemente accomuna entrambi.

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In realtà, l’avvio dell’esperienza pastorale porta entrambi a privilegiare l’educazione e la formazione dei giovani.

Questa scelta rappresenta sia per DB che per DM una vera e propria vocazione nella vocazione.

Ad essa resteranno fedeli per tutta la vita.

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MA ANCHE IN QUESTO CASO LE DIFFERENZE FRA LE DUE ESPERIENZE SONO GRANDISSIME.

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DB educa e istruisce migliaia di giovani.

Crea per loro oratori e collegi, allestisce laboratori e scuole domenicali e serali.

La sua opera si radica a Torino per poi estendersi fino a diventare internazionale.

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Nella sua lunga vita – morirà a 73 anni- DB è un viaggiatore e un organizzatore instancabile.

Dà vita alla congregazione salesiana.

Prima di morire, vede i suoi discepoli proseguire il suo lavoro in altre zone di Italia, in Francia e oltre oceano, in America latina.

 

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DM vive la sua vita di sacerdote e di maestro nel raggio di pochi chilometri.

La sua breve vita si divide fra San Donato dove risiede per 7 anni e Barbiana, nel Mugello, dove è trasferito nel 1954.

Muore a Barbiana nel 1967 a soli 44 anni.

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Salvo un unico breve viaggio in Germania, non si muove dalla sua parrocchia se non per brevi visite alla madre a Firenze e per qualche gita nei dintorni con i suoi parrocchiani.

E’ maestro di poche decine di studenti, i giovani delle sue parrocchie.

Scuola e parrocchia sono una cosa sola.

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DM non costruisce strutture, non istituzionalizza la sua esperienza, non crea seguaci e non lascia discepoli.

La sua esperienza muore con lui e insieme a lui muoiono anche la parrocchia e la piccola comunità di Barbiana.

Il suo grande insegnamento sopravvive nei suoi scritti e nella testimonianza di chi lo ha conosciuto e lo ha avuto come maestro.

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DON BOSCO morì venerato

e già in odore di santità.

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DON MILANI morì all’apice di una polemica che lo faceva guardare con sospetto dentro e fuori dalla chiesa.

La polemica innescata dai suoi scritti, dal suo rigore, dalla sua inflessibilità morale e dalla sua durezza personale gli sopravvisse e ha continuato a fargli ombra negli anni a venire.

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E’ POSSIBILE ALLORA INDIVIDUARE DEI SIGNIFICATIVI PUNTI DI CONTATTO FRA QUESTE DUE ESPERIENZE COSÌ DIVERSE?

CHE COSA LI ACCOMUNA, OLTRE LA SCELTA RELIGIOSA E QUELLA AL SERVIZIO DELL’EDUCAZIONE E DELL’ISTRUZIONE DEI GIOVANI, PORTATE AVANTI CON METODI TANTO LONTANI?

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Il filo rosso tra DB e DM che rappresenta il lascito più importante del loro insegnamento si può indicare nell’amore appassionato e spassionato che entrambi nutrirono nei confronti dei giovani che scelsero di educare.

Entrambi vollero contribuire, attraverso la loro opera di maestri, alla formazione delle coscienze dei loro allievi con l’obiettivo di portarli a raggiungere dignità e libertà.

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LIBERTÀ DALL’IGNORANZA,

primo e irrinunciabile passo in vista della libertà anche dal bisogno, dalla sopraffazione e dalla mortificazione a cui troppo spesso sono soggetti gli ultimi, i più poveri e impotenti fra i figli di Dio.

 

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In definitiva aiutare gli ultimi a farsi strada nella vita rispondeva anche per entrambi ad un bisogno di giustizia. Quella giustizia che si deve a Dio che, nel messaggio evangelico, ha voluto fare dei più deboli e poveri le sue creature privilegiate. Privilegiate da Dio ma troppo spesso neglette e oppresse dalla ingiustizia degli uomini.