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www.laRecherche.it Domenico Cara Stringere l’aurora fotografia di Roberto Maggiani nei continui fremiti mancava il sole, nel viola si smagliava la fantasia,

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Domenico Cara

Stringere l’aurora

fotografia di Roberto Maggiani

nei continui fremiti mancava il sole,

nel viola si smagliava la fantasia,

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eBook n. 88

Pubblicato da LaRecherche.it

[ Poesia ]

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SOMMARIO

ESERGO

POESIE

NOTE SULL’AUTORE

INDICE

AUTORIZZAZIONI

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… non oso domandare

se è piena o vuota la realtà.

Vittorio Bodini

Non ci può essere che la fine del mondo

andando più avanti!

Arthur Rimbaud

Presto sarà la morte e tu non sai

che sul battello della vita risalirai altri paesi

ove su occulte rive ti attende l’aurora.

Par Fabian Lagerkvist

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POESIE

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Una recita migliore

Con ali tese, in primavera tutto

è stato lessico vermiglio,

e nel cuore le astuzie contavano

altri sorrisi; i propositi insepolti,

intrisi di desideri scuciti; fallivano

come il canone del nero in cui

crolla ogni luce (non il viaggio)

e l’onestà giocava spontanea per aneliti

precari, un’identità abitata da menzogne

arcaiche che non hanno Sirene

in quella dolcezza ogni incanto

è diventato spoglia insolita;

quasi spiga, un uccellino attivo

si appoggiava veloce a un filo diafano

della Natura, a un primo amore

irraggiungibile e, in oltranze madornali,

informi, stringeva l’Aurora mai cieca

nei continui fremiti mancava il sole,

nel viola si smagliava la fantasia,

una brezza nuda brucava tra rovi residui,

ghermiva polveri da cretti piumosi

eludendo la propria ilare corsa…

(ma con lo humour salvava la favola:

occidentale, meravigliosa recita)

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Spoglia terrestrità

S’accovacciano tra fregi scorticati

i margini di epoche scomparse,

gli zampilli sostituiscono valori

e perdite d’acqua, in palpiti

il desolato calore si allontana

dalla piazza più accesa, mansueta;

le varie plastiche-in fondo sbieche-

assediano spazi commerciali

con la coerenza d’una festa

e un walzer di istmi allegorici,

fra leit-motiv banali, levità di aedi recenti

carichi di passione remota

restano mobili tra i fiori poco fertili

nello scirocco, e in ogni altro

fogliame della macchia aperta,

una speranza di contratta tersità,

complice una verità inferma

le ombre non più art nouveau,

cercano - chissà come- un dove

per rifugiarsi tra stelle introvabili,

nascoste, e la salsedine di luglio,

e forse- con perlacea tenerezza-

scopre rami di rondini diseguali,

i pomodori dei muri, il grido dei fichi d’india,

le lingue di basilico che snodano odori

inondati di spoglia o vasta terrestrità

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Gotico bianco

Ma tu confidi nella pietà: metamorfosi

del silenzio, stanco rumore, lesi soffi,

se tutto grida e avvampa degli ingorghi;

la domenica religioterapica è ingiallita

fra aliti di precisi esili e stantie frasi

di rimorso o tracce private, pratiche

di non -io- occasionale, opachi incensi

di là intanto si sposa all’insaputa

-in gotico bianco-la morbidità di iodio

del piccolo mondo marino, screziata

nel sogno dei limoni, in sobrie oasi d’orto

dove qualcuno scatta fotografie, non estraneo

ai commenti che discutono in dialetto,

per esempio, la transizione costiera…

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L’Ovunque

Su preavviso il telefono chiama

dall’Ovunque, riesca o no

a capire l’inutile messaggio

che cita amarcord, decenti

spostamenti, consumati echi

d’amore e di pietà, ardori,

frammenti di via crucis ascensionale

riconosco però gli speciosi

moti del cuore in pubblico,

i sottintesi clamori d’una rana

nel chiaroscuro, un riferirsi

a moventi retrò spenti di senso,

monotoni o ipertesi nella mappa;

niente contatti con i vicini, o

immobile nesso tra coloro che

ti conoscono per negativa solennità,

in vista sul lungomare notturno,

e- forse – scoria di qualche segno

che scompare e fa soffrire chiunque,

nella medesima ondosità di distanze

fragranti, rosa epidermide infantile

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Esperienza eretica

Il teso addio del vento oggi ridacchia

all’aperto, e forse dileggia dai sentieri

le notizie violente che conosce, dirama

parodie, di cui il disguido qui disceso

cerca effetti sani nel monologo

delle salse e iridescenti risacche …

invece le palpebre si legano

alla più attigua luce dell’alcol,

per evitare un trito sogno;

nel loro grembo è disegnato

lo scirocco locale, l’isteria stride,

evita di possedere l’aria putrida

con l’irta libido, un cruccio

in una linea retta, delusa belva

della sua provvisoria recita,

ma esperienza eretica, forte follia

rispetto agli orizzonti, soltanto trasformati

in trasparenza estromessa dal vero cosmo

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Afflato religioso

Fioriva e rifioriva il nome

dell’Altissimo, del Credo,

quando pulsava una nuvola

sostanziale, ricca di cause

reali al divino, della Fede

persino un alone decorava

i territori del mio Sud,

incisi nell’invocazione

segreta, assorta, emotiva,

e la preghiera reinventava

il regno in cui l’ascesi

è un pragmatismo onnivoro,

fluviale, e memoria di salmo

rinascente, un non-confine

soffice come foglia obliata,

nessi di assenze, logori spiriti

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Eventi di trame

Non lotterà con stupide finzioni

per rivedere le cose conosciute,

i molti passaggi dell’inerzia,

la solida messa in questione

dell’antico, greve di citazioni, verità,

fogli di archivio, dimensioni o radici

minori dell’aneddoto, furti d’occhio

Continuerà a fabbricare idilli

con ironia; nel mucchio di articoli

sceglierà frasi sconfitte, avanzi

di significato sepolcrale, vaghi

scorci di sintesi affatto dinamiche

E sulla darsena spettacolare

esclamazioni non fiabesche, recise

dallo schermo quotidiano, intriso

delle non riapparse pantegane,

nascoste tra i rifiuti dei Navigli

in lingua meneghina; ciò che sarà

la città che invecchia nei silenzi,

tra solchi di corruzione e atrofie di famiglie

senza eredi o misteri notarili, dichiarazioni

stravolte da una legge provocatoria…

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Sopportazione

Rivelatrice alba di destini e suono,

e di puntuali orologi, tra le bilance

che pesano corpi flaccidi e bottiglie

nuotanti in flussi liquidi, domeniche

sospette, quando persone senza vincoli

con il futuro o ricordi, liberano poltiglie

lutulente, fetidi magmi, anticorpi

Dovrà finire il mondo che non piace:

discariche teatrali, stabilimenti

ingabbiati per il rinnovo, auto remote

per la rottamazione infinita, germogli

di balconi da cui in tanti concedono

la vita ad una rabbia non casuale,

nel vanto di finire, non avendo avuto

una risposta dopo l’auto-certificazione

dell’essere precari dalla nascita

non chiesta al tempo difficile e tensivo,

e tanto meno a una rugginosa picture history

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In bilico sul Nulla

Potrà ottenere la felicità il perturbante

che su un terriccio cerca bruchi e vincoli

per ingannare, esaltati dall’esistere?

o inseguire à rebours quei miti del piacere

che l’amore descrive brevi, la morte

freddi, e con un piede in bilico sul Nulla?

Tra i sassi la lucertola verde s’accosta

a superfici più ambiziose, scorge un cane

o un altrove insospettabile, legge male

la forma del cappio, e la sottile amarezza

ritrova il sole sulla sua lapide non scritta,

nei paraggi del ruscello agile e senza

ressa di girini dolci, o sussurri di fresco

sulla fronte del cielo, le radure tragiche,

i saluti d’una foglia esposta all’aria,

il cui pudore niente ha mai avuto dal demanio,

che tenta di risolvere esigenze del reale

incominciando dalla sabbia, le corrosioni

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Zeli del malumore

E il seme si consuma per rinascere

più vero, dopo le fasi gonfie, i lucenti

virgulti, lo spogliarsi intero dei sottintesi

il seme muore con la lingua di Gide

a cui in tanti non credono, e spiega

alle stagioni un motivo dell’essere

nel morire, il profumo stellato, il punto

lieve dell’infinito dove respira e sogna

spaesato dinanzi ad atroci dilemmi

il seme divora gli entusiasmi del sole,

lascia dietro di sé lo sterminio

delle audaci derive, un corto - circuito

di papaveri ed asfodeli ; succede

a chissà quante diverse nascite,

e alle bionde astrazioni fatte pane,

quando il mare diviene uguale ad esso,

grazie ai dettagli di cui un eccesso si teme

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Febbre d’esistenza

Il prete ucciso non avrà paura dei vermi,

e neanche giusta croce o plauso;

la sua solitudine s’inoltra più in là

del cielo aperto, mai indesiderabile,

ferito dal tempo, e nel suo lutto

più azzurro, scontento se privo d’ogni

sacra tersità c’è attrazione

per il male

La rosa posta al centro delle mani

prova che il nulla è retto dalla comune

pietà, quando l’ansia è morta sul vertice

di desideri anomali, nel passato curvo

delle sue appendici di errori fiochi;

slittato nella godibilità terrestre dove

ormai s’interpreta il requiem negato

dai più. Non tornerà fin qui a pentirsi,

fra i bambini sottratti alla storia

dei loro giochi: innocenti, non sediziosi …

Lontano dalla vita s’arrampica a tesi

soprannaturali, dopo il deserto osseo

al quale ha affidato l’immaginario del vizio

infermo, vessato da febbre d’esistenza

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In questa valle di neve

In questa valle di neve e di ali attente

al non-essere, le finestre non esistono

più, i diversi ospiti (ragni compresi)

si sono dispersi fra alberi di crisi

e aree tristi, sapori vespertini, ritorni

di menta, insonnie spostate, crucci flessi

fra gli stupori del fiume inesistente

La gente che non torna sugli spalti confusi,

rievoca fioriture d’erbe commestibili, diluvi,

scorci di case inzuppate di pioggia a visione

improvvisa, gli adattamenti smarriti (dove?)

a cui hanno fatto capo la tenerezza, il costruire

un’umanità ingentilita, trafitta dal disagio,

dalle migrazioni, da luci monche, assenze

turgide, ed esemplari miserie del finito

sconfitto da nubi e imprevedibili vulcani…

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Donna di mare

Donna di mare senza gioia, né unità,

mentre luccica uno smeraldo d’onda;

donna che sfugge ad ogni schermo

e lascia per enigma l’acqua d’improvviso

cerco la tua voce muta (o sospesa?)

nei segni del nome in cui bellezza

ti accendi al guizzo d’una risacca,

quindi ti affidi al sole, anima e sale

Somiglia a un’insipienza inaudita

il tuo pudore brado, rosa d’angoscia,

ma attrai in ogni luogo il gabbiano

nel gesto effimero dell’occhio, lo scoglio

in ogni teso sguardo tuttavia cerca l’uomo

con l’iride veloce, sfugge a Sodoma

la noia che l’attrae, quasi tormento,

all’apparenza frainteso trasporto dell’ego

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Suggello intenzionale

La notizia crudele e sgretolata

cede alla conoscenza collettiva,

tra fumi sparsi, bandiere di salute

marina, scorie succhiate dalle vespe,

umori limpidi di cocomero rosso e limoni

senza candore le ciglia cercano

frammenti di paglia sconvolta, lottano

come un’informazione che s’inventa

Dal tacere, tra Scilla e Cariddi,

più vorace il refolo si affida a un vuoto

movimento di contrasto, umiliato

tra grumi di frutta, filtri gustosi , odori,

e la santina laica commenta sottomessa

ciò che ascolta con labbra vivaci

dall’ostrica degli occhi, o da Gerace

scruta i nuovi Ulisse la secca sete

enucleata dal sudore, negli illesi percorsi

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Lontane galassie

Inizia ormai dal crespo degli abeti

l’oscurità serale, il tremore malato

dell’afa animalesca che protegge

l’estate dalle stesse previsioni

in basso e più in là le voci, discese

da una storia anonima, continuano

a contare galassie lontane, ed eventi

spiccioli o isolati (non si sa con quale

metodo umano o sostanziale cattura)

il bianco e nero delle mie ipotesi

ormai non hanno colore, e i sussurri

sfiorano l’assurdo blu delle circostanze

sulle colline, comunque intollerabile

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Il proprio visibile

La nostalgia ha sepolto gli anacronismi,

malgrado i contatti con lo spazio delle

cose del tarlo, fora le spicciole memorie,

quasi debbano essere immortali convergenze,

o estratte dalle soglie del vuoto clima, a cui

l’intrinseco rapporto si affida con ansie

orali, carte piegate, immediatezze d’archivio

Così, invano, tento di conoscere l’ordine

del grigio, ciò che mi assedia e che ama l’io

dentro la tersità lunare, a fasi dolorose,

riportando nei mementi un sapore di datteri

al Natale iridato e mieloso, in stile pacis

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Bunker

Queste visioni dilatabili, diffuse

più che mai, danno solerzie a un buio

bunker: passato, presente, in regola

con il tempo precario, e Dio infatti

non entra nel rituale degli aloni

accesi e fiochi; la lingua tace amico

sui discorsi fatti male, sui salti

sciocchi di pensieri abitudinari,

e niente è sogno se non scova un Oltre,

a un culmine d’intese trasparenti

Talvolta un’idiozia diviene nostra,

anche se giunge da lontano e la bugia

s’immette nella vita reale, non isterica,

contamina l’asfalto della mente;

il ritmo stremato del giorno passa

e lascia impronte nitide di rischio

A volte si dilata per l’irritazione,

inquadra soluzioni puntiformi,

riflessioni oblique, forme inette

di tensione senza miraggio o riva,

dove si aspetta il pescatore di polipi

che ha cercato per noi un grongo

cresciuto sotto un gorgo, in alga pigra

e sospesa come un ossimoro cieco,

non frivolo, su più moventi umani,

in cima ad incertezze inconsce,

o voluttà di alterazioni e grovigli

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Afa e silenzio

In primis, tanti visi opachi e ambigui

sono assidui nemici, pesanti presenze,

tonte fibre mattutine e crepuscolari;

infine il concetto si sposta dal disgusto

sospettoso al bere comune con qualche

mite declamazione, una confessio oris

ottimista e quasi docile, il riempire

la pipa di rancori occulti, quindi

in uno sforzo metodico l’uso antico

Nel temporale la lezione più efficace

è la furia totale, la sua implicita ira

ondulata; gli oggetti perdono corpo

e il delirio accosta nebbie allo sguardo

I gusci artificiali smarriscono in parte

le emozioni rappresentative e le rocce,

gli ornamenti sconfiggono illusioni,

posti comodi di pietra e di irsuto ferro;

le incongrue musiche cedono intanto

al disastro provvisorio: afa e silenzio

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In fabula celata

Non è corretto ostacolare gli echi

nella commedia notturna, se lottano

con un vento superstite, e contro

castelli d’aria marina, in ogni caso

beneficio e pubblica disperazione

di orditi, assimilati in celata fabula

Domanderò alla montagna corrugata

quanti uccelli ospiterà tra le foglie

dei suoi alberi la notte degli spari,

quando le loro danze, comunque a rischio,

slitteranno nella valle del disamore

tra stelle e aggiornate radiosità

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Vicenda esistenziale

Stanotte ho scortato l’evanescenza

dal primo stadio fumoso alla svolta;

ho ipotizzato la morte di una noia

parassita, incerto, assai inferiore

agli effetti previsti o di progetto

ho acceso lumi spioventi tra flabelli

poco mobili, ventagli sivigliani contro

i fuochi non arcani del caldo sottile

a modo mio ho detto: non lamentarti cuore

di ciò che vedi sotto quello che non conosci;

apri gli occhi ai segreti che incominciano

a galleggiare nella medesima curiosità,

e inoltre usa l’anima senza fare nomi,

perché solo così il cielo scioglie voli

nella filologia del magnetismo astrale,

e il bosco ci accoglierà fra i suoi rami

con le esultanze non crollate e ultime

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Complicità

Attimo dopo attimo qualcuno si sposta

dalle proprie abitudini, e poi subito

un altro scopre implicite vie d’uscita,

un’oltranza inedita o speciosa apocalisse

così ognuno impara come stare al mondo

dissipando cose, solchi di spostamento, scissi

resoconti d’esperienza, tessiture epistolari

diventate muschi del ricordo privato, metafisiche

e, sebbene nessuno insegnerà la traccia

dell’avvio, dalla sua postazione inventerà

una dinamica per la complicità più anomala

nell’uniformità, quando il naturale febbrile,

stanco e convenzionale, risponde tormentato

alle sottese mutazioni, sfida il terrore di certi

presentimenti metaforici a più interagenze …

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Ira d’Africa

Eppure l’universo, con le sue antenne ottuse,

si accosta verso di noi che siamo assenti

per un esilio estivo: i fratelli nemici o remoti,

i torvi disamori colti da foschia tra nidi sparsi

su alberi alti e disfatti, restano senza grido

la morte s’accompagna ai voleri del sole,

le insegne abbreviano più indicazioni,

le sorprese custodiscono ciò che s’increspa;

nella dissertazione sui nodi poi, si teme

che nessuno si salverà dall’ira d’Africa

inconsapevole e dentro epocali bisogni

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Beltà

Le pesche già le ho viste rosse come

la contadina calabrese che vive a Milano;

il cielo nei vispi occhi appenninici

spettatore delle sue carni; ho foggiato

una serie di sorrisi roventi e l’ottimismo

di periferia con un tono mediterraneo:

Afrodite catanzarese, inferma di voluttà,

non ha mai avuto voglia di essere una scelta

o di fare festa al suo corpo magnogreco!

le prossime epoche non adotteranno il nome

di donna incantevole, ma lei è già vissuta

come un capolavoro, spostando oggetti splendidi,

calcolando su passi irregolari tutta la sua beltà

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Un senso di perdita

Accetterò la proposta di alcune ombre

che accarezzano le scale, da cui scende

un’ombra-madre, e di frammenti d’eco

in tane non spettacolari, labili insetti

tra i fatti, altri aspetti del mio borgo,

i campi con le fiumare centrali arse,

sotto il chiaro del meandro assolato,

e il verde per arati rettangoli, in mesti,

totali bruciature, spirali di vento

divenute interrotta cupità, feticci

evanescenti del paesaggio (che più amo)

(in tali sussulti il chiodo dell’aratro

abitava un celato fervore; osservava

la zolla dura, proseguiva nel viaggio

d’una giornata di fuoco, le palpebre

poco aperte, con un’arcaica resistenza)

In itinere è partito il magro passero,

ascoltando una musica di usure e foghe

che liberava soffioni in aria tersa,

inseguita dal movimento stagionale,

selvaggio, suppongo mordicchiando

disequilibri e oasi distratte, muschi, colori,

abbracci di un addio accanto agli steccati

colmi di primavera e di pubblici motori,

devianti o adottati con un senso di perdita

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Riti del gatto

Un gatto sotto il tiglio si traveste di letizia

con uno sghembo gesto, un certo astio

per la sua solitudine e la stasi, i giri

di nulla in capricci abortiti, torna

caparbio per inaridimento dal suo

mucchio d’esche e incetta di succhi

salini, di lucenti opportunità, inghiottite

con lo sguardo la sua filosofia, curva

i risvegli ai gusti personali, su miagolii

insoddisfatti, tuffi dai tetti, ebbre

estasi dinanzi ad acque chete, iridi

con sospetto glaucoma, mediovedenti

veglie, in fuga diretta al rigore affiorato,

restando nel confine degli ascolti

possibili, onde rinascere beige, si fa

protagonista di ogni suo gemito

tra i lutti d’una insidia indifferente, poi

muto, e in attesa di un delirio o graffio

sornione nelle sue smorfie apolidi,

o tenerezza della vita privata, fisso

dopotutto in una spiaggia dello Jonio,

dove si mima una sapienza sibillina,

fittizia, e comunque assai debole rogo,

non degno di forma regolare, né rimosso

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Contrappunto

L’innocenza ipotizza col sorriso

la sua fiaba serale, scioglie le giade

sugli asfalti della città, i tentativi

ingenui che decollano nel paesaggio

preferisce l’allegria dei folletti

quando canta i suoi desideri dentro

la prassi trasparente, i sogni letti

nelle parole illustrate da mani

indecifrabili, confuse nell’apparire

un tempo avrebbe voluto una luna frugale

per i giochi e gli arcobaleni, immersi

in un temporale; adesso fornisce appena,

in economia, inchiostri di storia innocua,

per citare un cambio d’animazione,

in cui la musica diffonde ozi e suoni

filosofici ma pigri, visionari, continuando

ad abusare dei bradisismi di Mahler…

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Disappunto

Nemmeno tu consoli gli ebbri coleotteri

che invadono il geranio o l’esatta natura

degli idilli vespertini, pupilla d’Aprile,

quasi fulva nel potere delle attese, gaio

nome a cui corrisponde un segreto paradiso

ma i tradimenti slittano, hanno riscontro

critico, menzogne lusinghiere, spostamenti

contratti di vista, e malumori di giudizio

insieme, indocili e strani disguidi, tra flash

consecutivi, sinuose, rapaci lacerazioni,

complici di nostre intese; le parole d’uomo

si dispongono nella stessa penombra

per sfiorire, a volte prive di peso o volo,

lette per nutrire il silenzio sublime, altra

inerzia di fondali nel puro disfacimento

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Nube dolente

Scorie di ostinazione, ambre celesti

citano l’amore delle persone sotto il cielo;

scoprono il disincanto d’una nube dolente,

cambiano i propri discorsi, oltre il purpureo

spessore del kitsch non vecchio, che gronda

fiamme nell’intero modo della dilatazione

Tuttavia il tacere resta obliquo e perverso,

la Quaresima priva di carne, e ostriche

nascoste per la continenza; e il vizio incauto

luccica di immagini mediocri ancora,

quando la lacrima evita uno sguardo o

il senso del sacro è in tutto simile al tempio,

dove il tragico splendore è crocifissione,

lento avvenimento d’una storia faticosa…

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I volti dell’assenza

Ogni civiltà gode delle sue malizie attive,

rimuove mobili di legno secolare, altre

modanature aspre; slaccia in libertà assenti

intese come orditi evocativi, incorreggibili

tessuti senza umiltà, facce e larve divorate

dal pianto, quando i viaggiatori raccontano

navigazioni di argonauti e distanze naufraghe

In tutto la lingua è una luce inter-detta,

confessa riflessioni, prove di ragione

generazionale; appartiene a ciò che porta

il cittadino dalla sua dimora araldica più

o meno, e il sangue del mondo, credo connesso

a troppe fasi di povertà, con la legna che brucia

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Quel nume della lingua

Mi affido al Nulla per evitare il largo

delle chiacchiere d’uso, fra saperi altri

che si rincorrono: ali d’incendio

assoluto, la polvere che riconosce

nel proprio tragitto il nume che passa

Le sue sono parole d’una continuità

noiosa, dicono tutto di ciò che sa

la lingua dall’alito non roco, assidua

e ininterrotta. E’ una fazione insistente,

un dileggiare ulteriore della mattutina

quiete. Non compra, né vende il Tempo;

resta a disposizione dello sputo la glottide

che lo rincorre o trotta per la scialba onda

della Storia, quando tenta di riannunciare

uno scandalo, tutto in offerta d’epoca

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La linea della casa

La mia casa era lontana dal porto

sognato, anzi da un’armonia ferita,

limpida tra i muri come una nascita

deliziosa e felice del suo limitare

Nel primo diario scritto gli aquiloni

percorrevano lo spazio esteso, quasi

raggomitolati nel loro nevrotico filo,

e l’intero flusso del viaggio risolveva

una rincorsa èbete, da gioco evanescente

In quel settimo cielo di ludi inesorabili,

anch’io ritornavo con i surreali colori

di scarne amnesie, tirando fuori l’ago

che percepiva un allontanarsi efficace

in un altrove, in cui dal cortile tutto continua

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Salsedine salubre

La brezza che protegge le meduse e il divenire,

chissà per quali vincoli, e già istantanea,

morde l’equilibrio dei passi sulla ghiaia,

forse per un vantaggio all’attrazione

dell’acqua inquieta, ma cauta, spoglia,

giunta da più ricordi a fortuità arteriose

a ridosso di quel movimento lentissimo

s’aggrega quella moltiplicità di pensieri

che sormonta il giorno nel suo ambiente

naturale, dolce, lieto, evitando comunque

le infezioni di sabbia , gli assilli grumosi

intorno ai cani stremati d’asma; ormai

salvarmi con i commenti non basta; ricordo

mie ansie, dubbi nidificanti, disordini,

atrocità sottintese, forse pallori viscidi,

sconosciuti alla salsedine salubre…

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Scavi indivisi

Qualunque diceria fa discutibile la cronaca

in cui dopotutto mi assopisco; cedo

al fallace monito del pettegolezzo,

cerco di cambiare pronuncia per dire

verità diverse, cercando di schiarirmi

la vista che osserva in più punti

la vita errata, errante, contraffatta

resto sorpreso del gatto che diventa

custode della casa, atteggiandosi

a padrone della sonnacchiosa portineria,

con una maschera benigna, forse rigida-

mente cartesiana, nell’ameno riposo

a cui mi avvinghio con innumerevoli

parvenze, chiome di pensieri, evi indivisi,

profili d’insonnie, esclamazioni d’ogni luce

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NOTE SULL’AUTORE

(da “Vernice” n.44 – Torino, febbraio 2011)

Lo scrittore, saggista e

poeta Domenico Cara, di

origine calabra e milanese di

adozione, è noto in tutta

Italia per la sua autorevole e

consolidata negli anni attività

di protagonista della

letteratura italiana, nei diversi

campi della poesia, narrativa,

saggistica, aforismi, a

principiare dal 1959 e senza

interruzioni per oltre mezzo

secolo di prestigioso lavoro

intellettuale. Ha diretto diverse riviste letterarie e artistiche, e

ha fondato le edizioni Laboratorio delle Arti; ha organizzato

molte esposizioni in Europa, ha partecipato alla formazione

di giurie internazionali di prestigiosi premi letterari, lui stesso

ne ha conseguiti numerosi per i suoi libri. Sulla sua figura e

sulle sue opere sono già state scritte quattro differenti

monografie. Il suo ultimo libro di poesia si chiama Le

diagonali della psiche, è uscito a novembre del 2010 nei caratteri

di Scrittura Creativa di Borgomanero (No), e nella bandella di

copertina si legge: “Una poetica del frammento che

comprende inesausta tagli e ricuciture, dettagli e significati,

evoluzioni e stimoli, provocazioni e agnizioni. L’avventura

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del verso nella vocazione conoscitiva e dialettica, interpreta

le vibrazioni dei tempi e le sfumature dei caratteri che

rendono i passaggi approfondimenti acuti e avvolgenti.

Domenico Cara è tra gli autori più stilisticamente ricchi, non

solo della sua generazione (nata nella seconda metà degli

anni Venti) ma dello stesso scenario poetico contemporaneo.

Molti gli apprezzamenti della critica che hanno

accompagnato il suo lungo percorso: da Mario Apollonio a

Giuseppe Prezzolini, da Carlo Betocchi a Salvatore

Quasimodo, da Alfonso Gatto a Franco Fortini”.

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INDICE

Esergo ........................................................................................... 3

POESIE

Una recita migliore ....................................................................... 5

Spoglia terrestrità .......................................................................... 6

Gotico bianco ................................................................................ 7

L’Ovunque ................................................................................... 8

Esperienza eretica ......................................................................... 9

Afflato religioso .......................................................................... 10

Eventi di trame .......................................................................... 11

Sopportazione ............................................................................. 12

In bilico sul Nulla ...................................................................... 13

Zeli del malumore ....................................................................... 14

Febbre d’esistenza ....................................................................... 15

In questa valle di neve ................................................................. 16

Donna di mare ........................................................................... 17

Suggello intenzionale ................................................................... 18

Lontane galassie ......................................................................... 19

Il proprio visibile ......................................................................... 20

Bunker ....................................................................................... 21

Afa e silenzio ............................................................................. 22

In fabula celata ........................................................................... 23

Vicenda esistenziale .................................................................... 24

Complicità .................................................................................. 25

Ira d’Africa ................................................................................ 26

Beltà .......................................................................................... 27

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Un senso di perdita ..................................................................... 28

Riti del gatto ............................................................................... 29

Contrappunto ............................................................................. 30

Disappunto ................................................................................ 31

Nube dolente .............................................................................. 32

I volti dell’assenza ....................................................................... 33

Quel nume della lingua ............................................................... 34

La linea della casa ...................................................................... 35

Salsedine salubre ......................................................................... 36

Scavi indivisi .............................................................................. 37

NOTE SULL’AUTORE .......................................................... 38

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