Domande Di Esame Per Architettura 100 Quesiti Per Prepararsi All'Esame Di Stato

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Domande possibili all’esame di stato per architetto 1 Pozzetti ispezionabili I pozzetti ispezionabili facilitano le operazioni di manutenzione e d'ispezione di un impianto interrato. Si utilizzano per impianti di fognatura, acquedotti e cavidotti. Possono essere costruiti in muratura o prefabbricati in c.a. con coperchi (carrabili o pedonali) in c.a. o ghisa. Hanno dimensioni diverse secondo la loro funzione (per l'ispezione di tubature fognarie non possono essere più piccoli di un cubo di 70 cm x 70 cm e devono essere collocati ogni 50 m e ad ogni cambio di direzione). Per le fognature si possono avere pozzetti: di raccolta per acque piovane (dette anche bianche o meteoriche) con griglia e vasca per sifone; di direzione e di raccordo nei punti in cui convergono più tubazioni e devono essere convogliati in un'unica direzione; d'ispezione alle condotte per manutenzione; di servizio per alloggio pompe di sollevamento ove non esiste pendenza naturale. Per acquedotti si possono avere pozzetti: di depressione, per abbassare la pressione nelle tubazioni e portarla a quella di normale esercizio; di servizio per alloggio di sfiati (tipo Roma o Crotone) saracinesche di sezionamento e scarichi di fondo. Per cavidotti si possono avere pozzetti: per infilare e sfilare cavi dalle tubature di protezione; di servizio per le varie apparecchiature tecniche. 2 – Definizione di acque reflue Acque reflue domestiche: Si intendono per acque reflue domestiche, le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche; Acque reflue assimilate a domestiche: le acque reflue scaricate dagli insediamenti di cui alla tabella 1 dell`allegato 1 al presente regolamento hanno caratteristiche qualitative equivalenti ad acque reflue domestiche sempreché` rispettino tutte le condizioni di cui all`allegato 1.(Art. 17 D.P.G.R. 28/R/03) Acque pluviali o meteoriche provenienti da coperture e aree pavimentate, devono essere tenute separate dai reflui domestici. 3 – Tipi di scarichi di consentiti per il trattamento delle acque reflue I sistemi di trattamento delle acque reflue domestiche possono essere classificati in trattamenti di tipo primario e di tipo secondario. L'uso del trattamento primario è reso obbligatorio dai Regolamenti Comunali e dal Regolamento del Servizio Idrico Integrato (S.I.I.) anche per l'allacciamento alla pubblica fognatura, indipendentemente dal fatto che la stessa sia soggetta o meno a depurazione finale. Lo scarico di reflui domestici o assimilati in pubblica fognatura è sempre ammesso, non richiede autorizzazione e l’obbligo di allacciamento è disposto dal già menzionato Regolamento S.I.I. o da provvedimenti dell’Autorità Comunale. Il solo trattamento primario non è più ritenuto sufficiente per gli scarichi domestici, derivanti da edifici ubicati in aree non servite da pubblica fognatura, che perciò devono recapitare sul suolo, sottosuolo o acque superficiali. Art. 27 comma 4 D.Lgs. 152/99 e s.m.i. In pratica, al trattamento primario va abbinato un trattamento secondario per costituire complessivamente un “trattamento appropriato” che, se condotto in modo corretto, garantisce l’immissione nell’ambiente di uno scarico adeguatamente depurato.

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Domande possibili all’esame di stato per architetto 1-­‐  Pozzetti  ispezionabili    I pozzetti ispezionabili facilitano le operazioni di manutenzione e d'ispezione di un impianto interrato. Si utilizzano per impianti di fognatura, acquedotti e cavidotti. Possono essere costruiti in muratura o prefabbricati in c.a. con coperchi (carrabili o pedonali) in c.a. o ghisa. Hanno dimensioni diverse secondo la loro funzione (per l'ispezione di tubature fognarie non possono essere più piccoli di un cubo di 70 cm x 70 cm e devono essere collocati ogni 50 m e ad ogni cambio di direzione). Per le fognature si possono avere pozzetti: di raccolta per acque piovane (dette anche bianche o meteoriche) con griglia e vasca per sifone; di direzione e di raccordo nei punti in cui convergono più tubazioni e devono essere convogliati in un'unica direzione; d'ispezione alle condotte per manutenzione; di servizio per alloggio pompe di sollevamento ove non esiste pendenza naturale. Per acquedotti si possono avere pozzetti: di depressione, per abbassare la pressione nelle tubazioni e portarla a quella di normale esercizio; di servizio per alloggio di sfiati (tipo Roma o Crotone) saracinesche di sezionamento e scarichi di fondo. Per cavidotti si possono avere pozzetti: per infilare e sfilare cavi dalle tubature di protezione; di servizio per le varie apparecchiature tecniche. 2  –  Definizione  di  acque  reflue      • Acque   reflue   domestiche:   Si   intendono   per   acque   reflue   domestiche,   le   acque   reflue  provenienti   da   insediamenti   di   tipo   residenziale   e   da   servizi   e   derivanti   prevalentemente   dal  metabolismo  umano  e  da  attività  domestiche;  • Acque  reflue  assimilate  a  domestiche:  le  acque  reflue  scaricate  dagli  insediamenti  di  cui  alla  tabella  1  dell`allegato  1  al  presente  regolamento  hanno  caratteristiche  qualitative  equivalenti  ad  acque   reflue   domestiche   sempreché`   rispettino   tutte   le   condizioni   di   cui   all`allegato   1.(Art.   17  D.P.G.R.  28/R/03)  • Acque   pluviali   o   meteoriche   provenienti   da   coperture   e   aree   pavimentate,   devono   essere  tenute  separate  dai  reflui  domestici.   3  –  Tipi  di  scarichi  di  consentiti  per  il  trattamento  delle  acque  reflue      I  sistemi  di  trattamento  delle  acque  reflue  domestiche  possono  essere  classificati  in  trattamenti  di   tipo   primario   e   di   tipo   secondario.   L'uso   del   trattamento   primario   è   reso   obbligatorio   dai  Regolamenti   Comunali   e   dal   Regolamento   del   Servizio   Idrico   Integrato   (S.I.I.)   anche   per  l'allacciamento  alla  pubblica  fognatura,   indipendentemente  dal  fatto  che  la  stessa  sia  soggetta  o  meno   a   depurazione   finale.   Lo   scarico   di   reflui   domestici   o   assimilati   in   pubblica   fognatura   è  sempre   ammesso,   non   richiede   autorizzazione   e   l’obbligo   di   allacciamento   è   disposto   dal   già  menzionato  Regolamento  S.I.I.  o  da  provvedimenti  dell’Autorità  Comunale.  Il  solo  trattamento  primario  non  è  più  ritenuto  sufficiente  per  gli  scarichi  domestici,  derivanti  da  edifici  ubicati  in  aree  non  servite  da  pubblica  fognatura,  che  perciò  devono  recapitare  sul  suolo,  sottosuolo  o  acque  superficiali.  Art.  27  comma  4  D.Lgs.  152/99  e  s.m.i.  In  pratica,  al  trattamento  primario   va   abbinato   un   trattamento   secondario   per   costituire   complessivamente   un  “trattamento   appropriato”   che,   se   condotto   in   modo   corretto,   garantisce   l’immissione  nell’ambiente  di  uno  scarico  adeguatamente  depurato.    

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Vanno  annoverati  tra  i  trattamenti  di  tipo  primario:  - Fosse  settiche  di  tipo  tradizionale  a  due  o  tre  camere - Fosse  settiche  di  tipo  IMHOFF - Pozzetti  degrassatori Provocano   la   sedimentazione   del   materiale   grossolano   trasportato   dallo   scarico   oppure   la  separazione  di  materiale  che  tende  ad  affiorare:  grasso,  olio,  sapone  ecc.  In  pratica  il  trattamento  primario  produce  una  chiarificazione  del  liquame  riducendone  il  carico  inquinante.  Il  sedimento  delle   fosse   settiche  può  andare   incontro  a  digestione  anaerobica  e  deve  essere  periodicamente  asportato  mediante  auto  spurgo.    Sono   da   privilegiare   quei   trattamenti   secondari   che   comportano   uno   scarico   in   acque  superficiali.   L’immissione   di   scarichi   sia   pure   depurati   nei   primi   strati   del   suolo   deve   essere  limitata   ai   casi   non   trattabili   diversamente.   Comunque,   per   la   definizione   dei   massimi   volumi  scaricabili,  restano  vincolanti  le  capacità  di  assorbimento  del  terreno.  I  trattamenti  secondari  sono  i  seguenti:    a)-­‐  POZZI  PERDENTI  (O  ASSORBENTI)    Tale  sistema  è  costituito  da  un  pozzo  coperto  che  attraversa   lo   strato  di   terreno   impermeabile  penetrando  fino  allo  strato  sottostante  permeabile,  consentendo  la  dispersione  del  liquame.  Non  sono  ammessi  per  i  nuovi  insediamenti.  Per  gli  impianti  ancora  presenti  nei  vecchi  insediamenti  il   loro   utilizzo   dovrà   essere   valutato   dalle   autorità   competenti   caso   per   caso   sulla   base   di   una  relazione   redatta   da   un   tecnico   abilitato   che   tenga   conto   dello   stato   di   conservazione   del  manufatto,  del  dimensionamento,  delle  caratteristiche  del  suolo  e  della  vulnerabilità  della   falda  acquifera.  La  superficie   in  m2  della  parte  perdente  del  pozzo  deve  essere  proporzionale  al  n°  di  AE.    b)-­‐  SUB-­‐IRRIGAZIONE    Questo  sistema,  applicato  all’effluente  di  una  vasca  IMHOFF  o  di  una  fossa  settica,  consente  sia  lo  smaltimento   che   una   ulteriore   depurazione,   sfruttando   le   capacità   depurative   del   terreno;  meccaniche,  chimiche,  biologiche.  L’effluente  si  disperde  nel  suolo  senza  determinare   fenomeni  di  inquinamento  o  problemi  di  natura  igienica  (impaludamenti).  6A  monte  deve  essere  presente  un  sifone  di  cacciata,  in  modo  che  vengano  convogliate,  seppur  in  maniera  intermittente,  portate  di  una  certa  entità  in  grado  di  interessare  anche  le  zone  terminali  del   sistema.   Tale   metodologia   è   applicabile   a   terreni   naturali   permeabili   con   falda   acquifera  sufficientemente  profonda.  Il  sistema,  può  essere  impiegato  quando  si  ha  un  sufficiente  spazio  libero  vicino  all'edificio  per  la  dispersione   delle   acque   chiarificate   in   sottosuolo,   per   insediamenti   assimilabili   al   civile   di  consistenza  minore  ai  50  vani  o  5000  mc  di  volume  .    c)-­‐  SUB-­‐IRRIGAZIONE  DRENATA    Tale   sistema  viene  utilizzato   in   caso  di   terreni   impermeabili.   Il   liquame  emesso  dalla   condotta  disperdente   percola   in   uno   strato   di   pietrisco   e   viene   raccolto   da   una   seconda   condotta  denominata   drenante   posizionata   al   di   sotto   della   prima.   Vi   sono   inoltre   tubi   di   aerazione   che  consentono  al  liquame  di  essere  ossidato.    d)-­‐  FITODEPURAZIONE    Con   il   termine  di   fitodepurazione   s’intende  un  processo  naturale  di   trattamento  delle   acque  di  scarico  di   tipo  civile,  agricolo  e   talvolta   industriale  basato  sui  processi   fisici,   chimici  e  biologici  

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caratteristici   degli   ambienti   acquatici   e   delle   zone   umide.   Si   tratta   essenzialmente   di   sistemi  ingegnerizzati   progettati   per   riprodurre   i   naturali   processi   autodepurativi   presenti   nelle   zone  umide.   Tali   sistemi   sono  posti   a   valle   di   un  primo   trattamento  del   refluo   tramite  degrassatori,  fosse   settiche,   fosse   IMHOFF.   Di   norma   funzionano   per   gravità   e   non   necessitano   di   energia  elettrica.  

d.1  -­‐  FITODEPURAZIONE  A  FLUSSO  SUB-­‐SUPERFICIALE  ORIZZONTALE   SFS  -­‐  h  E’  un  trattamento  di  tipo  biologico,  che  sfrutta  letti  di  terreno  saturo  (ghiaia  e  sabbia)  contenuto  in   "vasche"   o   “vassoi   assorbenti”   in   cui   si   sviluppano   piante   acquatiche.   L’alimentazione   è  continua  ed   il   livello  del   liquido  in  vasca  è  stabilito  dal  sistema  a  sifone  contenuto  nel  pozzetto  d’uscita.  Questo  sistema  non  consente  l’abbattimento  spinto  delle  sostanze  azotate  (ammoniaca).  La  depurazione  avviene  per:  � azione   diretta   delle   piante   che   sono   capaci   di   mantenere   ossigenato   il   substrato,   assorbire  sostanze   nutritive   (nitrati,   fosfati,   ecc.),   fanno   da   supporto   per   i   batteri   ed   hanno   azione  evapotraspirante.  � azione  dei  batteri  biodegradatori  che  colonizzano  gli  apparati  radicali.  

d.2  -­‐  FITODEPURAZIONE  A  FLUSSO  SUB-­‐SUPERFICIALE  VERTICALE   SFS  -­‐  v  Il  refluo  da  trattare  scorre  verticalmente  nel   letto  assorbente  e  viene  immesso  nelle  vasche  con  carico  alternato  discontinuo  (tramite  pompe  o  sistemi  a  sifone).  Il  refluo  fluisce  impulsivamente  dalla   superficie   attraverso   un   letto   di   ghiaia   (zona   insatura)   e   si   accumula   sul   fondo   del   letto  (zona   satura)   consentendo   di   non   ossigenare   tale   zona   e   favorendo   così   i   processi   di  denitrificazione.  Anche  in  questo  caso  il  livello  del  liquido  in  vasca  è  stabilito  dal  sistema  a  sifone  contenuto  nel  pozzetto  d’uscita  

d.3  -­‐  FITODEPURAZIONE  CON  SISTEMA  IBRIDO  Per  utenze  medio-­‐grandi  possono  essere  predisposti  sistemi  di  trattamento  con  fitodepurazione  che  alternano  vasche  a  flusso  orizzontale  con  vasche  a  flusso  verticale  anche  a  coppia  in  batteria,  per  sfruttare  le  capacità  depurative  di  entrambi  i  sistemi  per  le  sostanze  azotate.  Come  ulteriore  sistema  di  rimozione  delle  sostanze  azotate  e  di  abbattimento  della  carica  batterica,  può  essere  previsto   anche   uno   stadio   finale   a   flusso   libero.   Questi   sistemi   ibridi   possono   essere  particolarmente  indicati  per  trattare  scarichi  recapitanti  in  aree  sensibili.    e)-­‐  DEPURATORI  BIOLOGICI  AD  OSSIDAZIONE  TOTALE    Sono   impianti   compatti   che  sfruttano   il  processo  di  ossidazione  dei   fanghi  attivi.  Tale  processo  prevede  le  fasi  di  aerazione  e  sedimentazione  secondaria.  Nella  zona  (vasca)  di  ossidazione  viene  apportata   aria   tramite   diffusori,   nella   successiva   vasca   di   sedimentazione   avviene   la  chiarificazione   del   refluo   depurato.   Costruttivamente   l’impianto   è   suddiviso   in   due   comparti  comunicanti  idraulicamente  e  percorsi  in  serie  dal  liquame  e  realizzato  in  carpenteria  metallica  o  in  struttura  prefabbricata.  I  fanghi  di  supero  devono  essere  periodicamente  estratti  ed  inviati  allo  smaltimento.  Gli  impianti  ad  ossidazione  totale  sono  limitati  nel  loro  utilizzo  poiché:  � richiedono  energia  elettrica:  anche  se  il  consumo  energetico  non  è  elevato;    � richiedono  manutenzione  specializzata    � sono   sensibili   alle   variazioni  di  portata   che  avvengono  normalmente  negli   scarichi   civili,   con  maggiore  intensità  per  quanto  minore  è  il  numero  di  utenti.    E'  dunque  auspicabile  la  previsione  a  monte  di  sistemi  di  equalizzazione  che  possono  distribuire  il  carico  in  arrivo  in  modo  omogeneo  durante  la  giornata.  Anche  una  vasca  IMHOFF  in  ingresso,  tuttavia,  può  smorzare  quanto  meno  i  picchi  di  portata.    f)  -­‐  IMPIANTI  SBR  –  “SEQUENCING  BATCH  REACTOR”    Gli   SBR  sono  dei   sistemi  di   trattamento  biologici   a   flusso  discontinuo,   costituiti  da  bacini  unici  (due  o  più   in  parallelo)   in  cui  si  sviluppano  sia   i  processi  biologici   (ossidazione/nitrificazione   -­‐  

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denitrificazione   -­‐   rimozione   biologica   del   fosforo)   che   la   fase   di   sedimentazione   e   dai   quali   si  provvede   altresì   all'estrazione   dell'effluente   depurato   e   dei   fanghi   di   supero.   Tali   processi  vengono   condotti   in   tempi   diversi,   variando   ciclicamente   le   condizioni   di   funzionamento  dell'impianto  mediante  un   sistema  di  programmazione   temporale   automatizzato:   operando   sui  tempi  delle  varie   fasi,  si  ripropone,  di   fatto,  un  processo  a   fanghi  attivi,  con  una  sequenza  delle  diverse  fasi  di  processo  temporale  piuttosto  che  spaziale  come  negli  impianti  tradizionali.  La  peculiarità  degli  SBR  consiste  nella  possibilità  che  essi  offrono  di  poter  variare  di  volta  in  volta  la  durata  dei  tempi,  a  seconda  delle  reali  esigenze  di  trattamento  del  refluo,  quasi  come  se  in  un  impianto  convenzionale  si  potesse  modificare  la  configurazione  geometrica  e  la  proporzione  tra  i  volumi  dei  singoli  comparti.  I   principali   vantaggi   degli   SBR   rispetto   ai   tradizionali   impianti   a   fanghi   attivi   consistono:   nella  semplicità   impiantistica   (mancanza   di   ricircoli)   e   nelle   ridotte   volumetrie   (assenza   del  sedimentatore   secondario);   nella   flessibilità   gestionale,   che   garantisce   una   buona   efficacia  depurativa   anche   in   condizioni   di   elevata   variabilità   del   carico   idraulico   ed   inquinante;   nelle  migliori   efficienze   depurative,   in   virtù   della   migliore   selezione   microbica,   garantita  dall'alternanza  nella  stessa  vasca  di  fasi  anossiche,  anaerobiche  ed  aerobiche.    4  –  Cosa  è  a  cosa  serve  il  calcolo  dell’“Abitante  Equivalente”      • "Abitante Equivalente" AE: è un modo per esprimere il carico organico biodegradabile dello scarico. Il dimensionamento dell’impianto di trattamento dei reflui deve essere fatto in base al numero degli AE che possono essere calcolati: 1. Con sistema convenzionale - adatto per scarichi da insediamenti essenzialmente residenziali 2. In base alla portata di punta al momento di massima attività dell’insediamento produttivo – per gli scarichi assimilati a domestici Come esempio di sistema convenzionale di calcolo, riportiamo la seguente tabella tratta dal “Regolamento dell’edilizia del Comune di Firenze - Cap. Smaltimento dei Liquami” : • un abitante equivalente ogni mq. 35 di superficie utile lorda (o frazione) negli edifici di civile abitazione (oppure 1 AE per 100 m3 di volume abitativo) • un abitante equivalente ogni due posti letto in edifici alberghieri, case di riposo e simili; • un abitante equivalente ogni cinque posti mensa in ristoranti e trattorie; • un abitante equivalente ogni due posti letto in attrezzature ospedaliere; • un abitante equivalente ogni cinque addetti in edifici destinati ad uffici, esercizi commerciali, industrie o laboratori che non producano acque reflue di lavorazione; • un abitante equivalente ogni cinque posti alunno in edifici scolastici o istituti di educazione diurna; • quattro abitanti equivalenti ogni wc installato per musei, teatri, impianti sportivi ed in genere per tutti gli edifici adibiti ad uso diverso da quelli in precedenza indicati. Come esempio di scarico assimilato a domestico possiamo riferirci al lavaggio dei tini da parte di un’azienda vinicola. In questo caso il calcolo degli AE deve essere effettuato sulla portata massima di refluo che viene istantaneamente scaricato dopo i/il lavaggi/o, tenendo conto che 1 AE equivale, in termini di portata, a 200 litri per abitante per giorno. Possono essere reperite in testi specializzati anche tabelle comparative, che per specifiche attività, danno il numero di AE per persona addetta o per unità di prodotto. 5-­‐  Sezione  stradale      Una sezione stradale normalmente è a "schiena d'asino" per agevolare il deflusso delle acque meteoriche lungo i bordi dove si trovano gli appositi pozzetti di raccolta. La realizzazione di una sede stradale inizia sempre dallo sbancamento di 40-50 cm pari alla larghezza della strada che deve essere opportunamente spianato per l'alloggiamento dello strato del tessuto non armato.

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Gli strati dall'alto verso il basso della sezione sono: asfalto (8 cm); stabilizzato (10 cm); ciottolame (30 cm); tessuto non tessuto armato; terra. 6-­‐  Che  funzione  ha  e  come  è  fatto  il  vespaio    Il vespaio è uno dei sistemi più semplici di protezione dall'umidità che si possono prevedere negli attacchi a terra degli edifici per assicurare che l'acqua contenuta nel terreno non si infiltri nelle strutture a diretto contatto con esso o non renda umidi i locali seminterrati o interrati. l  vespaio  ventilato  realizzato  con  l'Iglù    rappresenta  il  rimedio  efficace,  rapido  ed  economico  che  consente   la   dispersione   in   atmosfera   del   pericoloso   gas   Radon   e   dell'umidità.   L’intercapedine  d’aria  formata  dagli  Iglùdeve  essere  collegata  con  l’esterno  tramite  semplici  tubi.  In  questo  modo  si  crea  un  flusso  d’aria  naturale  che  attraversa  l’intercapedine  ed  elimina  umidità  e  gas  Radon.  La  forma   dell’Iglù     è   studiata   per   consentire   la   minima   resistenza   all’aria   nell’intradosso   degli  elementi.  Per  ottenere  un  naturale  "effetto  camino"  occorre  posizionare   i   fori  di  entrata  sul   lato  nord,  ad  altezza  di  poco  superiore  al  terreno,  e  quelli  di  uscita  sul  lato  sud,  alla  quota  più  elevata,  avendo  cura  di  collegare  tra  loro  i  diversi  vani  del  reticolo  di  fondazione  in  modo  che  l’intero  vespaio  sia  intercomunicante.  Le  canalizzazioni  poste  all'interno  della  parete  esposta  a  sud  surriscaldandosi  provocheranno  un  moto  ascensionale  aspirando  l'aria  del  vespaio.   7-­‐  Con  quale  criterio  si  determina  la  pendenza  di  un  tetto   La pendenza di una falda di copertura è data dal rapporto tra il dislivello compreso tra la linea di gronda ed il colmo e la loro distanza in proiezione ortogonale. Tale rapporto si esprime in percentuale %. La pendenza della falda è determinata sempre in relazione al tipo di prodotto usato come manto di copertura. Esso può essere a sovrapposizione fissa, se esiste un unico modo di posizionamento (ad esempio, tegole piane in laterizio) oppure a sovrapposizione variabile se è possibile variare in fase di posa tale valore (ad esempio, lastre piane o ondulate di metallo). Nel primo caso si individuano valori di pendenza minimi (30%-35%) al di sotto dei quali non è più garantita l'impermeabilità della copertura. Nel secondo caso le pendenze, a parità di altre condizioni (lunghezza della falda, regione climatica, esposizione locale), sono legate al valore di sovrapposizione. Perciò riducendo le pendenze occorre aumentare la sovrapposizione e viceversa. Analogamente con l'aumentare della lunghezza della falda occorre aumentare la pendenza, ciò perché nelle falde lunghe si hanno maggiori quantità d'acqua di ruscellamento nelle zone di copertura più basse. In genere i produttori segnalano i valori massimi di lunghezza di falda, oltre i quali conviene dividere in parti la stessa ricorrendo ad un canale intermedio di raccolta delle acque meteoriche (o bianche). Oltre al valore di pendenza minima della falda, per molti prodotti occorre definire una pendenza massima, oltre la quale è richiesto il fissaggio degli stessi su opportuni elementi di supporto per evitare lo scivolamento. Percentuali e gradi: 100% = 45° 8-­‐  Com'è  fatto  un  solaio  di  copertura  praticabile  e  non    I solai di copertura praticabili (tetti a terrazza) e quelli non praticabili, rientrano nella categoria delle cosiddette coperture piane, in quanto hanno una pendenza minima per garantire lo smaltimento delle acque meteoriche (o bianche). A tal fine si deve realizzare sopra il solaio dell'ultimo piano un massetto in cls che abbia una pendenza con inclinazione pari al 2%-3%, in modo da convogliare l'acqua verso i punti di raccolta opportunamente posizionati sulla superficie dello stesso.

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I massetti di pendenza possono essere realizzati anche con cls alleggerito con funzione coibente, in tal caso si può evitare di inserire nel pacchetto del solaio uno strato di materiale isolate, ma lo spessore del massetto non deve essere minore di 15 cm. Sopra il massetto generalmente si trova lo strato di materiale isolante e ancora sopra l'elemento di tenuta o impermeabilizzazione, la cui efficacia dipende sostanzialmente dalle modalità di posa in opera soprattutto in corrispondenza dei giunti e dei raccordi con le superfici verticali. La posizione delle impermeabilizzazioni, rispetto allo strato isolante, determina il comportamento termico della copertura. Nella maggioranza dei casi, l'elemento di tenuta si trova sopra lo strato coibente (tetto caldo), ma ci sono casi in cui la posizione viene invertita (tetto rovescio) per conferire una maggiore inerzia termica alla copertura, a discapito dello strato coibente che si trova ad essere più esposto agli agenti atmosferici. L'impermeabilizzazione deve essere sempre protetta, nel caso di copertura praticabile si realizza una pavimentazione vera e propria costituita da uno strato di allettamento (4-5 cm) su cui viene montato il pavimento; nel caso di coperture non praticabili si può usare uno strato di ghiaia di fiume lavata, da stendersi sull'elemento di tenuta per uno spessore di 8-10 cm, oppure si utilizzano impermeabilizzazioni prefabbricate autoprotette, in quanto dotate di finitura esterna costituita da lamine metalliche in alluminio o rame che proteggono i manti dall'azione nociva delle radiazioni solari. 9  -­‐  In  base  a  quale  criterio  si  dispongono  i  pluviali  di  scarico  per  le  coperture   I pluviali dovranno essere dimensionati e posizionati in modo da garantire un efficace drenaggio delle acque piovane (dette anche meteoriche o bianche). Un pluviale di 10-16 cm di diametro riesce a smaltire normalmente l'acqua di una superficie di circa 60-70 mq, pertanto effettuata la disposizione in campi dell'intera copertura si può facilmente definire la disposizione ed il numero dei pluviali necessari. Per quanto riguarda la tenuta della copertura è fondamentale prevedere agli imbocchi dei pluviali un ispessimento del materiale impermeabilizzante, oltre ad una speciale conformazione dei pluviali stessi per evitare il ristagno d'acqua. 10  -­‐  Vetrocemento   Una parete in vetrocemento ("glass brick" o "glass block" in inglese) è realizzata con "mattoni" in vetro tenuti da una cornice cementizia: gli elementi modulari possono avere diverse dimensioni, 15x15 cm, 30x30 cm o 45x45 cm per le forme quadrate, 12x15 cm per quelle rettangolari; lo spessore varia dai 6 agli 8 cm. La messa in opera richiede tempo e precisione. La parete è realizzata preparando dapprima una cornice d'inserimento lungo l'intero perimetro, mediante la predisposizione di cartoni catramati e feltri bitumati, in modo da consentire piccole traslazioni o rotazioni. Quindi si inizia il posizionamento dei mattoni, previa disposizione di armatura metallica in giunti verticali e orizzontali che vengono sigillati con interposizione di malta cementizia o collante nel caso di divisori interni. La connessione alle strutture murarie è assicurata tramite incasso o profili metallici. I mattoni in vetro possono essere semplici o doppi, quest'ultimi presentano una doppia parete vetrata saldata a fuoco con interposta camera d'aria disidratata e forniscono alle pareti un miglior isolamento termo-acustico, sono generalmente utilizzati per tamponature esterne. 11  –  Pannelli  in  legno.    L'MDF (Medium density fibreboard) viene considerato un derivato del legno: è il più famoso e diffuso della famiglia dei 'Pannelli di Fibra' comprendenti tre categorie distinte in base al processo impiegato e alla densità: bassa (LDF), media (MDF) e alta (HDF).

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L'OSB (Oriented Strand Board) è un pannello in scaglie di legno orientate composto da scaglie di grande dimensione (strand) distribuiti sul piano con fibre orientate. Il piano individuato dalla direzione delle scaglie, generalmente coincidente con quello del pannello, ha valori di resistenza molto elevati. 12  –  Cosa  è  X-­‐lam.      L'X-Lam nasce alla fine degli anni '90, in Austria e in Germania. In Austria si può identificare all'origine dell'X-Lam un progetto di sviluppo e ricerca, realizzato presso l'Università di Graz, che portasse ad aprire nuove vie per un migliore sfruttamento delle risorse messe a disposizione dalla lavorazione del legno in segheria, realizzando elementi piani di grandi dimensione. I pannelli di legno massiccio a strati incrociati X-Lam sono pannelli di grandi dimensioni, formati da più strati di tavole, sovrapposti e incollati uno sull'altro in modo che la fibratura di ogni singolo strato sia ruotata nel piano del pannello di 90° rispetto agli strati adiacenti. Il numero di strati e il loro spessore può variare a dipendenza del tipo di pannello e del produttore dello stesso. Il numero minimo di strati per ottenere un pannello X-Lam è di 3; va però subito sottolineato che per ottenere un comportamento fisico e meccanico efficace sotto tutti i punti di vista e corrispondente alla definizione di elemento multistrato, il numero minimo di strati dovrebbe essere uguale a 5. I pannelli X-Lam sono prodotti con legno di conifera, come la maggior parte degli elementi di legno per uso strutturale realizzati secondo le tecnologie più moderne. La produzione normale di pannelli X-Lam è quindi realizzata con legno di abete (in prevalenza abete rosso). I singoli strati di tavole sono composti da tavole di spessore variabile, di regola fra 15 e 30 mm. La larghezza delle singole tavole è pure variabile e si situa di regola fra gli 80 ed i 240 mm. In modo generale si può affermare che i pannelli X-Lam sono disponibili in dimensioni che possono raggiungere i 24,0 m in una direzione, i 4,80 m nell'altra e uno spessore di 500 mm. 13  -­‐  Com'è  la  tessitura  della  muratura  a  due  e  a  tre  teste   Gli spessori dei muri in laterizio sono ottenuti e misurati come multipli della larghezza o "testa" del mattone utilizzato. La "testa" è perciò il modulo base di riferimento. Un muro il cui spessore è uguale alla larghezza di un mattone si definisce "a una testa"; un muro il cui spessore è uguale alla lunghezza (o a due volte la larghezza) di un mattone si definisce "a due teste"; un muro il cui spessore è uguale ad una lunghezza e mezzo (o a tre volte la larghezza) di un mattone si definisce "a tre teste" e così via. Normalmente il mattone pieno (quello unificato) misura 5,5 cm x 12 cm (la testa) x 25 cm, per cui le misure delle murature corrisponderanno alle seguenti misure: muro ad "una testa" = 12 cm; muro a "due teste" = 25 cm (un mattone in lunghezza oppure due mattoni di testa ed 1 cm di malta di separazione); muro a "tre teste" = 38 cm (un mattone in lunghezza separato da 1 cm di malta da un mattone di testa oppure tre mattoni di testa separati da due spessori da 1 cm di malta). 14  -­‐  Come  si  esegue  il  raccordo  tra  pavimento  dell'alloggio  e  quello  del  terrazzo   Il raccordo tra pavimento interno ed esterno si realizza interponendo tra i due una soglia (lastra piana di materiale lapideo) provvista di una battuta in corrispondenza dell'infisso a portafinestra che collega gli ambienti della casa al terrazzo o al giardino. La soglia deve trovarsi a livello del pavimento interno, cioè a 3-4 cm al di sopra di quello esterno per evitare che eventuali accumuli di acqua presenti sul terrazzo possano facilmente infiltrarsi all'interno. Il pavimento del terrazzo deve essere sempre leggermente inclinato verso i gocciolatoi esterni, nel caso di balconi di piccole dimensioni, oppure verso i bocchettoni di smaltimento per l'acqua, nel caso di terrazzi di dimensioni maggiori. Per l'esecuzione di pavimenti esterni si preferiscono quei tipi che garantiscano una buona resistenza

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alle escursioni termiche e che presentino una superficie corrugata poco sdrucciolevole come il gres, il cotto non levigato, il klinker, ecc. 15  -­‐  Come  sono  fatti  i  "muri  a  cassetta"    Il muro "a cassetta" è un sistema di isolamento alternativo al rivestimento a cappotto. Il sistema è costituito da due pareti (teoricamente a tenuta stagna) separate da una camera d'aria (intercapedine) al cui interno è può essere inserito uno strato isolante (Il valore della trasmittanza termica si alza se si prevede solo la camera d'aria senza isolante.). La parete più esterna è più pesante e ha una dimensione maggiore mentre la parete interna più leggera ha uno spessore minore. La parete esterna è realizzata con mattoni o blocchi pieni o forati, disposti ad una o due teste. La superficie esterna può essere intonacata o lasciata a vista, oppure finita con vari rivestimenti. La parete interna è di solito di mattoni forati posti in foglio. Una delle superfici delimitanti l'intercapedine può essere attrezzata con opportuno materiale isolante. La  posa  in  opera  generalmente avviene partendo dalla parete esterna che, una volta completata, viene opportunamente isolata; quindi si procede alla realizzazione della parete interna ad una distanza non superiore ai 10 cm, con misure ottimali intorno ai 5-6 cm quando c'è anche l'isolante. Ciò per evitare la formazione di movimenti d'aria all'interno delle intercapedini stesse che farebbero aumentare la capacità di trasmissione termica della parete, diminuendone il potere isolante. La fodera interna può essere realizzata anche con materiali diversi, quali ad esempio le lastre in latero-gesso, o i pannelli in cartongesso. 16  –  Intonaco    L'intonaco rappresenta il sistema di finitura più economico per i diversi elementi costruttivi, la superficie di "sacrificio". Esso è costituito da un insieme di strati di malta. Per gli intonaci esterni le malte devono essere preparate in modo tale da resistere agli agenti atmosferici, sono pertanto utilizzate malte cementizie o, meglio, eseguite in calce idraulica in quanto meno sensibili ai fenomeni di ritiro e fessurazione. L'intonaco è facilmente aggrappabile su superfici in muratura o in cls, purché non eccessivamente lisce, in caso contrario si deve ricorrere a reti metalliche o particolari collanti sintetici. L'esecuzione dell'intonaco richiede una prima operazione di pulitura e raschiatura della parete di supporto con abbondante bagnatura di quest'ultima, in modo che non venga sottratta acqua all'indurimento dei successivi strati di malta che verranno applicati. Si procede quindi all'esecuzione dell'intonaco grezzo o arricciatura, costituito da due strati di malta, il primo destinato all'aggrappaggio, il secondo con funzione di livellamento. Il terzo strato è quello che dà la finitura e a seconda del tipo di malta e della lavorazione si avranno diverse soluzioni (intonaco a gesso, graffiato, a marmiglia, martellinato, ecc.). Il completamento può prevedere la coloritura finale. Esistono anche intonaci additivati con sostanze idrorepellenti o resine epossidiche che conferiscono alle pareti notevoli proprietà impermeabilizzanti. Normalmente lo strato di intonaco varia tra 1,5 cm e 2,5 cm. Intonaci a base di calce idraulica, gli ultimi sono idonei per l’intonacatura traspirante e protettiva di murature portanti e di tamponamento in laterizio, mattone, tufo, pietra e miste interne ed esterne 17  -­‐  Come  si  realizza  un  elemento  strutturale  in  calcestruzzo  armato    La tecnologia del calcestruzzo armato (c.a.) prevede innanzitutto la realizzazione delle casseforme per contenere il getto di calcestruzzo (cls). Nei sistemi tradizionali si usano casseforme in legno o in metallo riutilizzabili, costituite da elementi bidimensionali di varie dimensioni che vengono montati in opera a seconda della forma e delle dimensioni delle strutture che si devono realizzare e che vengono poi tolte una volta che il calcestruzzo sia sufficientemente stagionato.

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Nei sistemi industrializzati si usano invece dei tipi di casseforme "a perdere", cioè dei pannelli in fibra di legno o schiume dure additivate che formano l'involucro entro cui viene realizzato il getto in cls., con il quale vengono a formare un insieme solidale che costituisce la struttura. Tornando al sistema tradizionale, una volta montate le casseforme si è pronti per l'esecuzione del getto, la buona riuscita di questa operazione dipende soprattutto dalla lavorabilità del cls che deve essere facilmente manipolato e sistemato nei casseri in modo che non si formino dei vuoti che possono indebolire la struttura finita. A tal fine durante il getto si usa vibrare e compattare il cls con apposite apparecchiature per garantire che si distribuisca il più uniformemente possibile. Molto influenti sono gli effetti dell'ambiente sul cls fresco, in modo particolare l'umidità, la temperatura ed il vento. Quando ad esempio la temperatura si trova tra gli 0° ed i 10° C si può registrare un rallentamento delle fasi di presa e di indurimento, di cui tenere conto per non incorrere in problemi di disarmo troppo affrettato, cioè prima che il cls abbia raggiunto un sufficiente grado di indurimento. Per temperature inferiori agli 0° C si possono avere gravi per il cls fresco e devono pertanto adottarsi particolari misure protettive o aggiungendo additivi antigelo o ritardanti. Le alte temperature esterne non sono invece così dannose per la presa e l'indurimento, soprattutto se si controlla l'evaporazione dell'acqua. Questa diventa pericolosa quando si supera 1 litro / mq h, perché in tal caso il ritiro è molto forte. Quando ad esempio la temperatura esterna è 30° C il tempo entro cui il cls può essere lavorato è inferiore alle tre ore (momento in cui inizia la presa) e appena rifinito superficialmente deve essere protetto dalla rapida evaporazione dell'acqua con teli impermeabili per almeno sette giorni. in condizioni normali il getto può essere disarmato dopo 28 giorni quando cioé il cls ha raggiunto i valori finali delle resistenze meccaniche e si può iniziare la successiva fase di lavorazione. Le barre di acciaio (tondini) devono essere preferibilmente ad aderenza migliorata e opportunamente controllate per verificare che siano prive di ruggine. Le staffe devono essere tutte legate in modo che il telaio risulti perfettamente squadrato. Particolare attenzione va posta nel posizionamento dei tondini in modo che non affiori o, al contrario, sia troppo interno al manufatto. 18  -­‐  Che  cos'è  un  infisso  a  "taglio  termico"  e  a  "giunto  aperto"   Gli infissi "a taglio termico" e a "giunto aperto" sono particolari infissi, generalmente in alluminio, atti a garantire una migliore tenuta nei confronti delle dispersioni termiche e a risolvere il problema del ponte termico in corrispondenza dei serramenti. Infatti la guarnizione esterna utilizzata nei serramenti normali non è sufficiente ad evitare infiltrazioni di aria ed acqua all'interno del serramento quando, ad esempio, in presenza di elevata pressione esterna il profilo dell'anta tende ad inflettersi determinando il distacco della guarnizione dal controtelaio. Nel caso di infissi "a giunto aperto" l'acqua eventualmente penetrata all'interno viene drenata attraverso fori di scarico grazie ad un fenomeno di equilibrio della pressione interna al profilato con quella esterna, che rende noto questo tipo di infisso anche con il nome di "giunto a compensazione di pressione". I profilati a "taglio termico", invece, si basano sul principio dell'interruzione della continuità del metallo attraverso l'inserimento di un opportuno materiale a bassa conducibilità termica in corrispondenza di una camera interna al profilato. Il sistema più diffuso consiste nell'iniettare una schiuma poliuretanica all'interno del profilato estruso e provvedere alla successiva asportazione meccanica di strisce dell'estruso. Ai fini termici può avere importanza anche la finitura superficiale dei profilati, infatti lo scambio di calore per irraggiamento è diverso in relazione alle caratteristiche dello strato superficiale (lucidato, satinato) e del colore (naturale, bronzo).

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19  –  Prestazioni  Energetiche  dei  serramenti   La trasmittanza termica U è il flusso di calore medio che passa, per metro quadrato di superficie, attraverso una struttura che delimita due ambienti a temperatura diversa (per esempio un ambiente riscaldato dall'esterno, o da un ambiente non riscaldato). L'unità di misura della trasmittanza termica è il W/m2 K. Per finestre e porte-finestre, la trasmittanza termica del serramento rappresenta la media pesata tra la trasmittanza termica del telaio Uf e di quella della vetrata Ug, più un contributo aggiuntivo, la trasmittanza termica lineare Ψg, dovuto all'interazione fra i due componenti e alla presenza del distanziatore, applicato lungo il perimetro visibile della vetrata. Per altre strutture, tipo porte e porte blindate, in genere si calcola la trasmittanza termica come il contributo dell'elemento omogeneo stratificato Up più un termine di trasmittanza termica lineare Ψg che viene applicato alla lunghezza dei ponti termici (per esempio i telai perimetrali metallici o i rinforzi metallici centrali). In genere, la trasmittanza termica Uw di un serramento, può essere determinata sia tramite calcolo che tramite prova sperimentale su un campione fisico. Di seguito riportiamo degli schemi utilizzabili per: 1a) la stima dei valori di Uw degli infissi esistenti , in assenza di documentazioni a corredo utilizzabili per un calcolo rigoroso; b) il calcolo semplificato, secondo la norma EN 10077 per la determinazione del valore di Uw in riferimento a tutte le tipologie di infissi; c) il metodo di calcolo rigoroso di Uw, secondo la formula di letteratura; d) la metodologia di calcolo di Uw in riferimento all'infisso normalizzato e le relative regole di estensione, secondo la UNI EN 14351-1 Ai fini di semplificare la stima dei valori di trasmittanza termica Uw degli infissi esistenti, da inserire nella certificazione del produttore o in alternativa nell'asseverazione del tecnico, riportiamo alcuni valori che riteniamo i più rappresentativi dei serramenti presumibilmente esistenti negli immobili oggetto di intervento La caratterizzazione degli infissi riguarda: - il tipo di componente; - la tipologia di vetro; - la tipologia di telaio. Vetro PLANITHREM 4S è prodotto da Saint-Gobain Glass e consta di un’esclusiva combinazione di più strati di ossidi metallici applicati al vetro float chiaro SGG PLANILUX, mediante un processo di sputtering catodico magneticamente potenziato in condizioni di vuoto. Il deposito metallico di spessore microscopico che ne deriva riflette efficacemente la radiazione termica sia ad onda lunga che corta ed è adatto per il controllo solare e l’isolamento termico. Il vetro aiuta a risparmiare energia sia di inverno che d’estate. Nella stagione estiva riduce i costi dell’aria condizionata di almeno il 40%, mentre di inverno SGG PLANITHERM 4S aiuta a ridurre drasticamente le bollette del riscaldamento. 20  -­‐  Come  si  montano  e  di  che  materiale  possono  essere  i  controsoffitti    Si definisce controsoffitto una struttura di tipo leggero, collegata all'intradosso del solaio con funzione di isolamento termo-acustico e/o di mascheramento di impianti e travature in genere. I controsoffitti sono costituiti da: una   struttura   di   sostegno   realizzata   con   intelaiature   (legno,   metallo)   fissate   al   soffitto   o   lungo   le   pareti  perimetrali,  oppure  appese  con  sospensioni   (pendini)  all'intradosso  del  solaio;  una  chiusura  o  schermatura,  a  seconda  che  sia  una  controsoffittatura  piena  o  grigliata.  La chiusura è di tipo continuo e si realizza fissando alla struttura di sostegno una rete metallica a piccole maglie (graticcio) o un lamierino sui quali viene applicato, dal basso, l'intonaco realizzato con malta di calce o cemento. Questa soluzione, per le caratteristiche di inamovibilità, viene utilizzata quando ad un controsoffitto non sono richiesti requisiti di ispezionabilità e/o di flessibilità.

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La chiusura realizzata con elementi modulari è invece di tipo discontinuo per la presenza dei giunti di connessione fra i diversi elementi che sono facilmente smontabili, risultando particolarmente adatti al passaggio degli impianti. La schermatura si realizza con elementi modulari aperti, costituiti da griglie organizzate in vere e proprie maglie, queste ultime sono studiate per conferire alla controsoffittatura proprietà fonoassorbenti. Le caratteristiche fondamentali per un controsoffitto sono la resistenza meccanica, un elevato potere termocoibente, un elevato potere fonoassorbente, caratteristiche di imputrescibilità e durata. I materiali più comuni per la loro realizzazione sono il legno, il gesso o cartongesso, le fibre minerali, i materiali isolanti in genere, i materiali plastici, i materiali metallici, i laminati. In generale i controsoffitti in materiali isolanti o fibre minerali offrono una resistenza meccanica inferiore a quelli realizzati in legno o in metallo, ma presentano al contempo un maggiore potere isolante. 21  -­‐  Che  cosa  si  intende  per  tecnologia  a  "tunnel"    È uno dei sistemi più evoluti nel settore delle casseforme industrializzate che necessitano di attrezzature di cantiere complesse e costose, tali da rendere conveniente l'impiego di questa tecnologia soltanto per interventi di notevoli dimensioni (oltre i 250 alloggi). I tunnel meccanici sono costituiti da una matrice piana in lamiera metallica a forma di U rovesciata che ha il compito di sagomare e contenere il getto in cls. L'uso del "tunnel" consente il getto contemporaneo di setti e di solai che vengono a costituire un insieme monolitico senza soluzione di continuità, realizzando così una compagine strutturale molto solida che permette l'uso di questa tecnologia anche in zone sismiche. Le casseforme vengono posizionate una di seguito all'altra fino a formare una "canna" di profondità, luce e altezza pari a quella di un piano dell'edificio da realizzare. La lunghezza di ciascun tunnel è di 2,5 m, la larghezza può variare da un minimo di 1,25 fino ad un massimo di 6,00 m grazie alla presenza di una trave estensibile sotto il pannello orizzontale. Il ciclo di lavorazione giornaliera prevede la realizzazione di una batteria di canne, cioè il getto di una serie di tunnel affiancati che costituiscono il nucleo operativo del cantiere e che in media corrispondono a 80-120 mq di piano, vale a dire un alloggio al giorno. Naturalmente per poter avere questo ritmo di lavorazione si deve ricorrere ad un sistema di indurimento forzato del getto che il mattino successivo deve essere disarmato per poter utilizzare i tunnel in un altro ciclo giornaliero. La velocità di indurimento del getto viene assicurata sia dalla presenza di poca acqua nell'impasto (si usano dei fluidificanti per rendere il composto lavorabile), sia dal riscaldamento dei tunnel con stufe a gas a raggi infrarossi o con ventilatori di aria calda, per non disperdere il calore, vengono inoltre abbassati dei teloni alle estremità del tunnel. 10  L'intero sistema produttivo a tunnel necessita di una razionale organizzazione del cantiere per quanto riguarda l'uso dell'attrezzatura e la programmazione delle diverse fasi del processo costruttivo. 22  -­‐  Quale  deve  essere  la  giusta  esposizione  di  un  edificio  rispetto  ai  punti  cardinali   La collocazione dell'edificio nell'area interessata deve comportare un'attenta valutazione della sagoma e dell'altezza degli edifici circostanti, in relazione al percorso del sole in inverno ed in estate, al fine di individuare le zone d'ombra e le zone di massima insolazione. Nei climi temperati l'orientamento da preferire è quello con sviluppo dell'edificio lungo la direzione Est-Ovest (asse eliotermico), con sviluppo di superfici vetrate a Sud e superfici piene a Nord. In altre condizioni climatiche può risultare vantaggioso posizionare l'edificio secondo direzioni diverse da quelle dell'asse eliotermico. La progettazione e la distribuzione degli spazi interni dovrà seguire la stessa logica al fine di garantire

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condizioni di benessere climatico. In generale, si dovranno disporre a Nord tutti quegli ambienti che non necessitano di particolare illuminazione, quali scale, corridoi, servizi, lasciando alle zone giorno o agli spazi lavorativi di primaria importanza, gran parte dello sviluppo lungo la facciata Sud. Le camere da letto potranno essere disposte a Sud-Est, Sud-Ovest, le cucine generalmente ad Est, preferendo per queste, soprattutto d'estate, il sole meno caldo della mattina. L'ingresso deve essere protetto per difendere lo spazio interno dall'aria fredda che entra ogni volta che si apre la porta, in primo luogo si deve avere l'avvertenza di non esporre mai l'entrata all'azione dei venti invernali dominanti. A questo proposito sarebbe sempre necessario proteggere la parete Nord dall'azione del vento, ad esempio su terreni con pendenza verso Sud si preferisce incassare l'edificio per sfruttare l'azione di protezione della parete determinata dallo scavo. 23  -­‐  Cosa  sono  e  a  cosa  servono  i  giunti  di  dilatazione    I giunti di dilatazione nelle strutture sono dei punti di distacco inseriti a distanze prefissate (generalmente ogni 30 m) in relazione al tipo di materiale, per assecondare le dilatazioni e le contrazioni che i materiali subiscono in seguito ai fenomeni di escursioni termiche stagionali. 24  -­‐  In  base  a  quali  caratteristiche  un  materiale  si  definisce  isolante    La trasmissione del calore È il processo di scambio energetico che avviene tra una fonte a temperatura più alta e una fonte a temperatura più bassa. Questo enunciato (alla base del secondo principio della termodinamica) sottolinea che la direzione “spontanea” della trasmissione di calore è sempre governata dal salto termico tra le due fonti. o, per dirla con celsius, che “è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo”. Nel nostro settore questo significa che l’involucro di un edificio è attraversato da flussi di energia con le seguenti caratteristiche: 1) si verificano ogni volta che esiste un salto termico tra ambiente interno ed esterno; 2) avvengono in modo spontaneo, ovvero l’energia tenderà sempre a uscire o a entrare nei nostri ambienti; 3) tenderanno a trasportare energia nella direzione “sbagliata”: il fenomeno sottrae energia agli ambienti che vorremmo mantenere caldi d’inverno o la fornisce a quelli che vorremmo mantenere freschi d’estate. compito di una corretta progettazione è cercare di limitare il più possibile le trasmissioni di calore non gradite. L’energia dispersa dall’involucro La quantità di energia che attraversa una struttura dell’involucro è proporzionale al salto termico interno-esterno (che governa anche la direzione del flusso), alla durata del fenomeno, all’ampiezza della superficie interessata (più è grande la struttura più energia può attraversarla) e alla sua trasmittanza. Visto che l’ampiezza della struttura, la durata nel tempo e il salto termico non sono progettabili (non si possono progettare pareti piccole per disperdere meno o abbassare la soglia della temperatura interna per limitare il gradiente termico) l’attenzione del progettista si deve concentrare sulla trasmittanza termica. come si sa, per verificare il valore della trasmittanza u [W/m2K] si devono analizzare le resistenze termiche dei singoli strati che compongono la struttura. e la resistenza termica r [m2K/W] di un materiale omogeneo è definita dal rapporto tra lo spessore s [m] e la conduttività termica λ [W/mK] del materiale stesso. Quindi basta un elemento della stratigrafia con un congruo rapporto s/λ per ottenere la trasmittanza desiderata. i materiali ai quali è affidato questo compito sono i materiali isolanti. La conduttività termica λ È il parametro espresso in W/ mK che misura l’attitudine di un materiale a lasciarsi attraversare dal calore. infatti, rappresenta la quantità di energia trasmessa in un’unità di tempo (1 secondo) attraverso una superficie di 1 m2, attraverso 1 m di spessore e con un salto termico di 1 grado tra le facce del materiale stesso. i materiali isolanti sono caratterizzati da un basso coefficiente di conduttività (generalmente si fanno rientrare in questa categoria i materiali con λ inferiore a 0.065 W/mK), che viene definita “apparente” perché a livello microscopico questo parametro è legato non solo alla trasmissione di energia per conduzione, ma anche per convezione e irraggiamento. Questo aspetto è illustrato dal grafico sotto, in cui si può osservare il contributo dei singoli effetti al

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trasferimento totale di calore attraverso un materiale isolante. Alle basse densità prevalgono il contributo radiativo e quello convettivo, mentre aumentando la densità tali contributi diminuiscono e aumenta quello conduttivo della fase solida. sempre dal grafico si può osservare come vi sia un ampio intervallo di densità apparente dove la conduttività raggiunge un minimo a parità di prodotto, mentre a bassa densità piccole variazioni della stessa possono portare a notevoli variazioni della conduttività. i materiali isolanti sfruttano il forte potere coibente dell’aria immobilizzata come principale meccanismo d’isolamento. Generalmente, infatti, i materiali isolanti hanno una matrice cellulare, porosa o fibrosa che ha proprio il compito di intrappolare le molecole d’aria (con una conduttività pari a 0.022 W/mK di gran lunga molto più bassa di quella della matrice stessa). il risultato, a livello macroscopico, è un prodotto con un’alta prestazione di resistenza termica. in passato, a volte il gas contenuto negli alveoli dei materiali era un gas espandente cfc o Hcfc, che possedeva una conduttività ancora più bassa rispetto a quella dell’aria. Per motivi ambientali tali gas sono stati completamente eliminati dai processi produttivi.

25  -­‐  Dove  si  deve  mettere  la  barriera  al  vapore  e  perché    La barriera al vapore si trova all'interno degli elementi costruttivi perimetrali (tamponature e solai) e serve a proteggere l'isolante dalle infiltrazioni di acqua dovute all'eventuale formazione di condensa negli strati interni. Infatti i materiali isolanti perdono quasi totalmente la loro capacità termo-isolante quando vengono a contatto con l'acqua. La posizione della barriera al vapore dipende sempre dal flusso del calore e deve esser messa a ridosso dell'isolante dalla parte da cui arriva l'aria calda dell'ambiente interno riscaldato. La condensa si forma per effetto della presenza del vapore acqueo all'interno degli elementi costruttivi, in quanto tutti i materiali, compresi gli isolanti sono permeabili al flusso di vapore che si crea quando si hanno delle condizioni climatiche tali da avere all'interno una temperatura più alta che all'esterno. La pressione di saturazione del vapore (corrispondente alla massima quantità di vapore che l'aria può contenere ad una certa temperatura - Ps) diminuisce al diminuire della temperatura quando, ad esempio, l'aria passa attraverso i diversi strati di cui è costituita una parete, aventi tutti temperature progressivamente decrescenti verso l'esterno. Si ha la formazione della condensa nelle zone in cui la Pressione effettiva del vapore (corrispondente alla quantità di vapore contenuta nell'aria ad una temperatura-Pd) raggiunge o supera il valore della Ps.

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La funzione della barriera al vapore è quella di ridurre drasticamente la traspirabilità del materiale isolante per abbattere il valore della Pd del vapore in modo tale che il valore di quest'ultima si mantenga sempre al di sotto di quello della Ps per tutto lo spessore dell'elemento costruttivo interessato. 26  -­‐  Qual  è  il  diagramma  di  passaggio  di  una  diatermica  attraverso  una  parete  esterna    Nel periodo invernale gli elementi costruttivi costituenti l'involucro di un edificio riscaldato sono interessati dal passaggio di calore prodotto all'interno, verso l'ambiente esterno caratterizzato da una temperatura più bassa. La trasmissione del calore avviene all'interno dei corpi solidi per conduzione, mentre tra i corpi solidi e l'aria per convezione e irraggiamento. L'isolamento fornito da una parete esterna sarà tanto più efficace quanto minori risulteranno i flussi termici attraverso di essa, a parità di temperatura esterna ed interna, ovvero quanto maggiore sarà la resistenza termica della parete stessa. La resistenza termica di una parete non omogenea sarà pari alla somma delle resistenze termiche dei singoli strati a cui si devono aggiungere gli scambi termici che avvengono tra le due superfici della parete e l'aria ambientale, sia interna che esterna. Detti scambi sono regolati dai coefficienti di adduzione interno (alfa i) ed esterno (alfa e), i cui inversi, detti "resistenze liminari" sono i valori da sommare alle resistenze termiche dei singoli strati. Lo scambio termico attraverso una parete è dovuto ad una serie di salti termici regolati dalle differenti temperature tra aria e superficie interna della parete, tra le facce dei diversi strati di materiale ed infine tra superficie esterna ed aria fredda. La caduta di temperatura tra le due facce di uno strato solido dipende ovviamente dalla conducibilità lambda del materiale e risulterà tanto maggiore quanto minore é lambda, cioè quanto maggiori risultano le capacità isolanti del materiale. 27-­‐  Che  cosa  si  intende  con  "ponte  termico"  e  come  si  risolve    I fenomeni di dispersione del calore non avvengono soltanto attraverso gli elementi costruttivi in direzione perpendicolare alle loro superfici, ma anche in corrispondenza di tutta una serie di punti critici dell'involucro edilizio, detti "ponti termici" che si configurano come vie privilegiate di trasmissione del calore, in quanto caratterizzati da maggiore trasmittanza rispetto al resto dell'involucro. I ponti termici possono essere considerati come delle discontinuità di tipo sia geometrico che costruttivo. Sono discontinuità geometriche quelli in corrispondenza degli angoli e delle intersezioni tra i diversi elementi costruttivi (muri, setti, solai, ecc.). Sono invece discontinuità di tipo costruttivo quelle in corrispondenza delle interconnessioni tra sistemi e sottosistemi di completamento e nell'ambito di quest'ultimi i nodi strutturali, i serramenti ed i collegamenti di questi con la tamponatura rappresentano i casi più frequenti di ponti termici. In corrispondenza dei nodi strutturali, il ponte termico si può risolvere con l'adozione di tamponature passanti o di isolamento a cappotto, in ogni caso si dovrà procedere alla protezione della discontinuità tecnica con interventi anche di tipo localizzato. Per quanto riguarda i serramenti la risoluzione del ponte termico dipende dal tipo di serramento adottato, ad esempio, per garantire le minori dispersioni, si possono avere i vetri termoisolanti, gli infissi realizzati con materiali a bassa conducibilità termica, l'inserimento di guarnizioni nei punti di battuta tra infisso e tamponatura, ecc. 28  -­‐  Cosa  si  intende  per  "isolamento  a  cappotto"(schema  Caparol)    Ogni sistema di isolamento termico frena il flusso di calore che attraversa gli edifici. La capacità di trasmettere il calore viene calcolata per i materiali omogenei attraverso la conducibilità termica “λ”,

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espressa in W/mK, divisa per lo spessore del materiale, espresso in m. Il valore della trasmittanza U (W/m2K), fornisce la dispersione di calore di un metro quadrato di un elemento costruttivo per una differenza di temperatura di un grado. Più piccolo è il valore U, più basso è il passaggio di calore e minore è il fabbisogno di energia (per compensare le dispersioni). Ogni sistema di isolamento termico frena il flusso di calore che attraversa gli edifici. La capacità di trasmettere il calore viene calcolata per i materiali omogenei attraverso la conducibilità termica “λ”, espressa in W/mK, divisa per lo spessore del materiale, espresso in m. Il valore della trasmittanza U (W/m2K), fornisce la dispersione di calore di un metro quadrato di un elemento costruttivo per una differenza di temperatura di un grado. Più piccolo è il valore U, più basso è il passaggio di calore e minore è il fabbisogno di energia (per compensare le dispersioni). I ponti termici estraggono calore dagli ambienti interni e lo portano all’esterno. Si formano dove vengono utilizzati uno accanto all’altro materiali con differente trasmittanza termica, in special modo dove un elemento ad alta trasmittanza (per es. un pilastro in c.a.) è inserito in una parete con strato isolante. Esempi classici sono le zone muro-soletta o muro-pilastro/trave. Mediante un isolamento termico dall’esterno con il sistema Capatect i ponti termici vengono corretti e pertanto eliminati. Il comfort negli ambienti abitati dipende principalmente dalla differenza di temperatura tra l’aria e le superfici delle pareti. Se la differenza è troppo elevata, possono verificarsi moti convettivi dell’aria interna. La differenza di temperatura tra le camere e le pareti che le delimitano non dovrebbe superare 3 °C, per avere un ambiente abitativo confortevole e sano. Ogni sistema termoisolante Capatect protegge le facciate dalle fredde temperature esterne, e impedisce grosse differenze di temperatura tra murature e aria interna. Ogni sistema di isolamento dall’esterno frena il flusso di calore da dentro a fuori e da fuori a dentro. Quindi è chiaramente necessaria meno energia per il riscaldamento e per il condizionamento estivo. Come regola approssimata vale: miglioramento di trasmittanza U di 0,1 W/m2 K significa un risparmio di circa 1 litro di gasolio ovvero di 1 m3 di gas metano, riferito a 1 m2 di superficie di facciata. CAPATECT sistema costruttivo 1. Collante: Il collante crea il collegamento tra il supporto e il materiale isolante. Per ogni variante di isolante e supporto esiste il collante Capatect ideale. 2. Isolante: Il materiale isolante frena il flusso di calore. Esistono più varianti a disposizione, che vanno dal più economico ed affidabile polisti- rene espanso nelle versioni tradizionale bianca e ad alta resistività termica con grafite, alla versione con lana di roccia e ai materiali biologici di nuova concezione. 3. Tasselli: In aggiunta all’incollaggio può essere necessario un fissaggio meccanico supplementare. Questo è in funzione del supporto, del peso del sistema e dell’isolante impiegato. 4. Rasatura armata: Malta speciale con rete in fibra di vetro annegata. Lo strato di armatura ha il compito di impedire lesioni dovute alle tensioni indotte dalle variazioni termiche superficiali e dagli urti. 5. Finitura: Il rivestimento protegge il sistema cappotto dagli agenti atmosferici e consente la finitura estetica della facciata con rivestimenti tradizionali o minerali e con mattoncini a vista. Fondamentalmente non esistono, nel caso delle case a basso consumo e delle case passive, dal punto vista della fisica delle costruzioni, esigenze diverse da quelle che si manifestano per l’edilizia tradizionale, tuttavia gli errori influiscono molto più pesantemente sull’involucro edilizio. E’ perciò necessario, già in fase di progettazione, prevedere un buon isolamento termico esterno, con la tenuta dell’involucro all’umidità e la sua resistenza al vento, e la corretta forma e la favorevole disposizione dell’edificio. Una applicazione corretta del sistema di isolamento riveste in questi casi un ruolo molto significativo, e dovrebbe essere eseguita solo da imprese altamente specializzate. Applicazione dei pannelli isolanti senza ponti termici La posa dei pannelli isolanti ad alto spessore deve essere molto accurata in modo da evitare

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discontinuità nell’isolamento. Fissaggio meccanico con rivestimento isolante delle teste dei tasselli Anche i tasselli a taglio termico consentono una dispersione di calore: perciò è necessario inserire i tasselli forzandoli almeno 1,5 cm entro l’isolante, e tapparli con un disco (Dübelkappe) dello stesso materiale isolante. Vedere i componenti alle pagine 22 e 23. Giunzioni agli elementi costruttivi a tenuta Per impedire una ventilazione non controllata, e eventuali infiltrazioni d’acqua, tutti i punti di collegamento alle parti murarie dell’edificio e a elementi come finestre, porte, lattonerie, etc. sono da eseguire a tenuta. Questo accorgimento è basilare per una casa di tipo passivo. Strati di rasatura armata a spessore maggiorato Maggiore è lo spessore di isolante, più alte sono le variazioni di temperatura nello strato superficiale di rivestimento. Le conseguenti alte tensioni possono essere sostenute solo da uno strato di rasatura armata consistente (almeno 5 mm). Alta qualità delle finiture Più alto è lo spessore di isolante, minori sono le trasmissioni di calore dall’interno all’esterno, e dunque la superficie esterna subisce maggiori e più durevoli raffreddamenti. Le superfici fredde favoriscono la presenza di umidità, perciò è necessario utilizzare finiture altamente idrorepellenti e elastiche a base di resine silossaniche. Trattamenti protettivi supplementari Più spesso è l’isolante, più alto e lungo nel tempo è il carico di umidità sulla facciata. Un possibile rischio di infestazione di muffe o alghe, in particolar modo in zone esposte in modo particolare, come le superfici a Nord, può essere limitato con l’applicazione di una protezione supplementare altamente idrorepellente e antimuffa. 29  -­‐  Cosa  si  intende  per  "casa  passiva"  (passivhaus)    la casa passiva è un’innovazione tecnologica dovuta al fisico tedesco Wolfgang Feist e allo svedese Bo Adamson, professore alla Lund University. L’obiettivo che si prefiggeva era quello di ridurre i consumi energetici di un’abitazione. Il primo tentativo fu fatto a Darmstadt, Germania, nel 1990, ed ottenne risultati eccellenti dal punto di vista del risparmio energetico, tuttavia il costo di produzione non la rese molto popolare. Altri esperimenti si susseguirono negli anni, finché nel 1996 nacque la fondazione Passivhaus-Institut a Darmstadt, con il tempo anche i costi si sono abbassati, anche se alcuni materiali hanno ancora prezzi elevati. I vantaggi in termini di consumo energetico sono enormi: una casa passiva consuma il 90% in meno rispetto alle case tradizionali, e circa il 75% in meno rispetto alle nuove case costruite secondo la regolamentazione termica attuale. La casa passiva si basa dunque sul concetto di costruzione a consumi molto ridotti, quindi il riscaldamento non è ottenuto mediante un normale impianto “attivo” a consumo energetico, bensì tramite tutte quelle che vengono chiamate fonti passive di calore: la radiazione solare, le persone, l’inerzia termica. Molto importanti sono i fattori come l’isolamento termico, l’assenza di ponti termici, l’elevata impermeabilità all’aria, il controllo della ventilazione. Molto importanti sono anche l’esposizione della casa e la forma, preferibilmente compatta così da disperdere meno calore a parità di volume. L’efficacia dell’isolamento termico di tutto l’involucro permette di conservare calore all’interno in inverno e di non farlo entrare in estate. L’istituto passivhaus ha stabilito dei criteri generali riassumibili in quattro punti, necessari oltretutto per ottenere il certificato energetico casa passiva. - Consumo di energia primaria totale annuo che non superi i 120 kWh/mq; - Riscaldamento inferiore ai 15 kWh/mq annui; - Tenuta all’aria di n50<0,6 h-1; - Trasmittanza U = 0,15 W/m2K per le pareti opache e U = 0,8 W/m2K per le parti finestrate. Punti che, insieme a tanti altri accorgimenti e consigli che, rispettati, garantiscono n’efficienza globale massima della casa passiva. Tra le critiche al concetto di casa passiva, soprattutto la sua scarsa adattabilità ai climi temperati, che hanno bisogno di accorgimenti diversi, primo fra tutti quello di schermare completamente la casa

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dal sole in estate. Tuttavia da qualche anno i criteri per ottenere il certificato hanno compreso un punto che permette di evitare l’eccessivo surriscaldamento estivo: non si può cioè superare del 10% i 25°C di temperatura interna nel periodo estivo. Il comportamento della casa passiva, come è già stato verificato, è efficace. Resta solo da prendere esempio dagli esperimenti piloti, numerosi anche in Italia, per realizzare una sempre migliore efficienza, non soltanto dal punto di vista energetico, ma anche dal punto di vista economico, che ancora crea difficoltà per la diffusione a larga scala di questo tipo di edilizia. Casa Passiva Rockwool: Una Casa Passiva, per essere certificata come tale, deve essere caratterizzata da un fabbisogno termico non superiore ai 15 kWh/m2a e da un fabbisogno energetico totale inferiore a 42 kWh/m2a, comprensivo di riscaldamento, acqua calda sanitaria ed elettricità utilizzata per illuminazione ed elettrodomestici. In generale, per quanto riguarda il riscaldamento invernale, una Casa Passiva in Italia consente un risparmio energetico di circa il 90% rispetto ad un edificio tradizionale e dell'80% rispetto a una moderna casa standard conforme ai più avanzati regolamenti edilizi europei. Una Passivhaus, dunque, rientra nell'obiettivo del "fattore 10", ossia utilizza solo il 10% dell'energia rispetto ad un edificio tradizionale. In una Casa Passiva, l'energia necessaria a riscaldare un appartamento di 100 m2 in anno è equivalente a 150 litri di gasolio, ossia 2 pieni dell'automobile. Per costruire una casa passiva in fase di progettazione è necessario prendere in considerazione i seguenti aspetti: - la forma dell'edificio: tanto più la superficie che racchiude il volume è elevata, tanto più elevato è lo scambio termico e quindi le perdite termiche; - l'orientamento delle stanze, delle finestre e delle superfici vetrate: per sfruttare al meglio la luce del sole nei diversi periodi dell'anno, è di essenziale importanza valutare i guadagni in termini di energia derivanti dalla radiazione solare/dagli apporti solari. Ad esempio sono ideali ampie aperture rivolte verso sud che permettano al sole di entrare durante l’inverno e siano facilmente schermabili durante l’estate per non dar luogo ad un eccessivo surriscaldamento; - l'utilizzo di fonti rinnovabili di energia: i bassi consumi elettrici totali di una casa passiva possono essere coperti totalmente mediante l'uso di energie rinnovabili; - il super isolamento: il super-isolamento delle pareti e del tetto impedisce al calore di disperdersi verso l’esterno nella stagione invernale e per contro riduce l’entità della calura estiva; un opportuno sistema di isolamento, ad esempio “a cappotto”, consente di ridurre drasticamente o eliminare i ponti termici (discontinuità tra materiali) che costituisce una via privilegiata per gli scambi di calore da e verso l'esterno; - la ventilazione meccanica controllata con recupero di calore in uscita: il flusso dell'aria viene regolato in modo tale da assicurare precisamente la quantità di aria richiesta per avere un'eccellente qualità dell'aria interna. Uno scambiatore di calore ad alta efficienza (>80%) viene utilizzato per trasferire calore dall'aria interna in uscita con l'aria fresca in entrata, che viene pulita attraverso un filtro; - serramenti ad elevati standard prestazionali: questi dovranno essere altamente isolati per evitare il più possibile le dispersioni di calore mentre le finestre saranno costruite con vetri tripli basso emissivi. Casa Passiva nel Mediterraneo: parametri da considerare Quindi, se nel centro Europa sono importanti l’esposizione vetrata a sud, l’impermeabilità all’aria e il controllo della ventilazione, nel Mediterraneo sarà piuttosto il caso di prevedere un accurato sistema di oscuramento dal sole, mentre non sarà così necessaria l’impermeabilità all’aria (considerando anche gli aspetti culturali che ciò comporta, in un territorio in cui l’esterno e l’interno sono sempre stati in stretta relazione) e infine considerare comunque un’appropriata ventilazione. Il parametro sicuramente più importante in clima mediterraneo sarà l’inerzia termica dell’involucro: un’elevata inerzia termica garantisce infatti un passaggio di calore tra esterno e interno graduale, cosa

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che permette di giorno di mantenere una temperatura più bassa rispetto all’esterno, mentre il calore accumulato nella parete, venendo rilasciato di notte, quando le temperature esterne sono molto più basse, potrà facilmente essere controllato mediante un’adeguata ventilazione. L’inerzia termica della parete è collegata alla massa della parete, e su questo parametro sono in corso diversi studi per verificarne il comportamento in diversi tipi di involucri esterni in area mediterranea; in particolare, uno studio condotto dal professor Fabio Fantozzi dell’università di Pisa e dagli architetti Caterina Gargari e Francesca Reale, dell’università di Firenze, è stato condotto su quattro tipi di involucri in laterizio, con l’utilizzo di alcuni software di ultima generazione, che permettono di simulare condizioni climatiche dinamiche di specifiche località, ed in questo caso hanno scelto un edificio semplice e compatto in prossimità di Napoli; mentre Elisa Di Giuseppe, Lorenza Fantini, Marco D’Orazio e Costanzo Di Perna, dell’Università Politecnica delle Marche, di Ancona, hanno preso in considerazione tre tipologie di edificio tipiche del panorama italiano (un edificio a torre, una villetta e un condominio di quattro piani), e ne hanno studiato il comportamento per la zona climatica D. In tutti e due i casi studio, i parametri considerati, sono stati definiti, in accordo con l’ultima Direttiva Europea 2010/31/Eu “sulla prestazione energetica nell’edilizia” (di cui però non sono stati ancora emanati i decreti attuativi), attraverso le norme UNI 10375 del 2011, Metodo di calcolo della temperatura interna estiva degli ambienti, che integrano e migliorano l’analisi del comportamento estivo degli edifici rispetto al modello della UNI Ts 11300, metodo di calcolo affidato a modelli semi- stazionari (queste per la definizione del comportamento estivo si limitavano alla sola trasmittanza termica periodica, mentre le ultime tengono conto dell’oscillazione delle temperature operanti estive). Attraverso studi come questi e una rinnovata attenzione per gli aspetti geografici e culturali dell’architettura, è possibile avvicinarsi alla realizzazione di case passive anche per il mediterraneo 30  -­‐  Cos'è  la  "lana  di  roccia"  e  a  cosa  serve    La lana di roccia è stata scoperta sulle isole Hawaii agli inizi del secolo scorso e deve la sua origine al processo di solidificazione, sotto forma di fibre, della lava vulcanica, lanciata in aria durante le attività eruttive. Il processo produttivo è molto simile all'azione naturale dei vulcani. La lana di roccia è, infatti, ottenuta a partire dalla fusione di rocce vulcaniche, presenti in quantità praticamente inesauribile in natura, insieme a brichette e ad altre materie prime, a una temperatura di circa 1500° C. E’ quindi un prodotto completamente naturale che coniuga in sé quattro doti fondamentali: Isolamento termico: La struttura a celle aperte, tipica della lana di roccia, consente di ostacolare il passaggio di caldo e freddo, assicurando un’elevata performance isolante. Fonoassorbente: La struttura a celle aperte della lana di roccia favorisce l’assorbimento delle onde acustiche e permette di attenuare l’intensità e la propagazione del rumore. Comportamento al fuoco: la lana di roccia è un materiale inorganico, che fonde a temperature superiori ai 1000 °C. Contribuisce, pertanto, a rallentare la propagazione di un incendio e a limitare l’emissione di gas tossici. Inoltre, la lana di roccia è stabile al variare delle condizioni termiche e igrometriche dell’ambiente in cui viene installata. 31  -­‐  Dove  si  fanno  passare  normalmente  i  tubi  dell'impianto  di  riscaldamento   La rete di distribuzione del calore mediante acqua è realizzata con tubazioni in acciaio opportunamente coibentate. La posizione dei tubi varia a seconda del tipo di impianto che si vuole realizzare. Gli impianti si distinguono fondamentalmente in due categorie: quelli a circolazione naturale (senza organi di spinta); quelli a circolazione forzata con elettropompe.

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Anche se oggi gli impianti a circolazione naturale sono quasi in disuso in Italia, a causa degli elevati diametri delle tubazioni e della necessità di grandi serbatoi collocati sui tetti dei fabbricati, in molti altri paesi del mondo rappresentano ancora la soluzione più usata. Le reti di distribuzione possono essere: - "a colonne montanti" prevede la realizzazione di una tubazione verticale in corrispondenza di ogni allineamento verticale di corpi scaldanti, quindi, in tal caso, i tubi si troverebbero all'interno delle pareti perimetrali verticali; "a collettore complanare" prevede per ogni appartamento o unità da servire, collettori di distribuzione collegati alle colonne montanti e una rete di tubazioni orizzontale generalmente installata sotto il pavimento. - "orizzontale" prevede che lungo il perimetro dell'edificio si realizzi una tubazione ad anello cui siano collegati i radiatori. Nel caso di distribuzione orizzontale con montanti e distribuzione al piano, le colonne possono essere inserite nella muratura o in appositi cavedi ispezionabili, mentre i collegamenti ai radiatori sono realizzati in traccia sotto il pavimento. Nel caso di edifici adibiti ad ufficio si può prevedere l'installazione delle tubazioni nel controsoffitto con collegamento ai radiatori del tipo a pioggia. È anche possibile alloggiare le tubazioni all'interno di pavimenti sopraelevati. 32   -­‐   Che   diametro   devono   avere   i   tubi   che   portano   l'acqua   negli   impianti   di  riscaldamento    Il diametro della tubazione è legato alla portata del fluido termovettore e quindi al flusso termico e alla velocità massima del fluido che nell'impiantistica civile è compresa tra 0,8 e 1,8 m/s. I circuiti che richiedono tubazioni di maggiore diametro sono quelli dell'acqua refrigerata dove si utilizzano salti termici da 5-6° C tra la mandata ed il ritorno. I circuiti caldi utilizzano normalmente un salto termico pari a 10-15° C. Nell'edilizia civile le reti di distribuzione principale non hanno mai diametri superiori a 200 mm (20 cm), mentre i rami secondari richiedono tubazioni di diametro non superiore ai 100 mm. 33  -­‐  Che  cos'è  il  decibel  e  come  si  calcola    Il decibel è l'unità di misura convenzionale con la quale in acustica si indica il livello del fenomeno acustico. La relazione che lega la sensazione sonora al fenomeno che l'ha generata è di tipo esponenziale e non lineare. Per cui si è riscontrato che raddoppiando la pressione emessa da una sorgente, non segue un raddoppio della sensazione sonora, ma al contrario si avrà un aumento maggiore. Da queste considerazioni, nasce una misurazione di tipo logaritmico: il decibel (indicativamente, ad un aumento dell'intensità sonora di 3 decibel corrisponde circa un raddoppio della percezione soggettiva del rumore). Il decibel (dB) è definito come: 10 * log10P/P0 dove P è la misura in Pa(Pascal) della pressione sonora e P0 è il livello standard di riferimento, cioè il livello minimo di udibilità stabilito in 20 micro pascal, essendo questo il più piccolo valore di pressione in grado di produrre una sensazione sonora in un orecchio normale (prescindendo per il momento dalla dipendenza di tale sensazione dalla frequenza). Il valore 0 di questa scala deve quindi essere definito con una convenzione, consistente nel fissare un valore di riferimento a cui far corrispondere lo zero e a cui rapportare i valori delle grandezze in esame. E' bene quindi sottolineare che il dB non è una unità di misura, ma un modo di esprimere una certa misura: esso è adimensionale. 34   -­‐   Quali   sono   le   modalità   di   trasmissione   del   rumore   e   quali   i   limiti   di   intensità  sonora  all'interno  degli  edifici  per  garantire  condizioni  di  benessere  acustico    La trasmissione del suono da una sorgente al ricevitore può avvenire in diversi modi e per diverse vie.

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Le traiettorie seguite possono riassumersi in due gruppi: via aerea; via strutturale A sua volta il primo gruppo può essere ricondotto a due sottogruppi: il primo, rumore trasmesso attraverso condotti, finestre, ed altri passaggi d’aria; il secondo è riconducibile ad una trasmissione del rumore aereo attraverso la struttura. Tali traiettorie solamente in alcune parti risultano essere in aria. 35  -­‐  Quali  sono  e  quali  proprietà  devono  avere  i  materiali  isolanti  acustici    I materiali con capacità fonoassorbenti devono essere in grado di intrappolare l'energia di vibrazione delle onde sonore e di dissiparla, trasformandola in calore a mezzo degli attriti, in modo tale che la quantità di energia sonora trasmessa sia molto ridotta rispetto a quella assorbita. E' evidente che inserendo uno strato di materiale fonoassorbente nell'organizzazione di un divisorio, si ha un notevole miglioramento acustico fornito da quest'ultimo. Se lo strato o l'elemento fonoassorbente si affaccia direttamente nell'ambiente dove si trova la sorgente di rumore, si avrà anche una notevole riduzione della riflessione delle onde sonore nell'ambiente stesso. Risultano dotati di capacità fonoassorbente tutti i materiali porosi e fibrosi specie se caratterizzati da basso peso unitario. In ogni caso il coefficiente di assorbimento, inteso come frazione di energia non riflessa e non trasmessa, è funzione della frequenza incidente così come delle modalità di assemblaggio e messa in opera dell'elemento assorbente. Le principali soluzioni adottate per aumentare l'assorbimento di superfici affacciate su ambienti fonti del rumore sono: strati porosi, piastrelle acustiche, pannelli vibranti, risuonatori ecc. Qualora lo strato di materiale poroso sia di dimensioni limitate, il coefficiente di assorbimento dello stesso viene ridotto dalla porzione di suono riflessa dalla superficie rigida retrostante. Lo strato può essere installato anche ad una certa distanza dalla parete, in modo tale da incontrare l'onda incidente in punti dove la velocità delle particelle d'aria è massima, ne consegue a parità di altre condizioni, un più alto assorbimento. 36  -­‐  Qual  è  lo  schema  statico  di  una  capriata  (schema  prontuario)   La capriata, se riceve carichi solo nei nodi e se in questi gli assi degli elementi convergono in uno stesso punto, è soggetta a sforzi di trazione (il monaco e soprattutto la catena) o compressione (i puntoni); altrimenti i carichi che gravano sui puntoni generano in essi dei momenti flettenti mentre le eccentricità nei nodi generano dei momenti in ogni membratura ivi convergente. Non si possono infatti tollerare azioni orizzontali che non siano dovute la sisma, perché si creerebbe un effetto cumulativo molto dannoso per la stabilità della struttura. 37-­‐  Trave  a  spessore     Sono travi la cui altezza è compresa nello spessore del solaio, sono spesso usate negli edifici d'abitazione che non richiedono luci troppo elevate. La forma della sezione è di solito sensibilmente appiattita poiché, restando fissata l'altezza in misure generalmente inferiori a quelle derivanti dai proporzionamenti ordinari, la larghezza, derivante dalla condizione di resistere alle sollecitazioni massime, risulta notevole. Con le travi a spessore conviene, quando è possibile, impiegare solai con soletta di calcestruzzo che, collaborando con la trave, contribuisce ad aumentare il momento d'inerzia della sua sezione retta e a diminuire quindi la deformabilità. Infatti, le travi a spessore risultano in genere sensibilmente più deformabili delle travi con nervatura sporgente, e una eccessiva deformabilità può causare lesioni alle tramezzature, e alle pavimentazioni. Generalmente l'altezza di tali travi è bene che non sia inferiore a 1/20 della luce massima, quindi spesso è opportuno adottare solai di spessore leggermente sovradimensionato e, nel caso di maglie rettangolari, disporre le travi nella direzione del lato più corto.

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Un problema particolarmente delicato per le travi in spessore è quello relativo al trasferimento del taglio in corrispondenza dei pilastri, infatti, avendo questi larghezza in genere sensibilmente inferiore a quella delle travi, tendono a punzonarle. Se le tensioni tangenziali medie superano i valori limiti consentiti dalla normativa, è indispensabile disporre convenienti armature che possono essere costituite da ferri piegati, possibilmente di piccolo diametro e molto ravvicinati al pilastro, talvolta, in alternativa, s'impiegano staffe disposte attorno al pilastro, che hanno la funzione di cerchiatura. Per quanto riguarda l'armatura d'intradosso delle travi, la normativa italiana prescrive che, in corrispondenza di ciascuna sezione estrema, essa debba essere tale da resistere, con adeguato ancoraggio, ad uno sforzo pari al taglio relativo. Almeno due barre superiori devono essere mantenute all'estradosso, per l'intera estensione, con funzione di reggi staffe e analoga disposizione deve essere adottata, per l'intradosso. Sempre secondo la normativa le staffe devono assorbire non meno del 40% del complessivo sforzo di scorrimento. Di solito le staffe sono mantenute di diametro e passo costanti per l'intera lunghezza della trave. Le travi vanno dimensionate in funzione della luce (la distanza che intercorre tra gli interassi di due pilastri (o setti) successivi) e generalmente si usa il criterio secondo il quale lo spessore longitudinale delle travi (o altezze) deve essere pari a 1/10 o 1/12 della luce. Ciò significa che nel caso si abbia una luce di 6 m la trave dovrà essere approssimativamente alta 60 cm. Ne consegue che risulterà sporgente verso l'intradosso del solaio di circa 30 cm (ipotizzando un pacchetto solaio standard di circa 30 cm). In tutti quei casi in cui tale sporgenza, sia nelle travi di bordo che in quelle intermedie, risulti poco opportuna, quando ad esempio si sceglie un taglio della finestra tale da non consentire, per insufficiente altezza, l'alloggiamento del cassonetto per l'avvolgibile, o quando non si vuole vedere al centro delle stanze il rilievo delle travi sui soffitti e non sia possibile controsoffittare, si ricorre all'uso delle travi "a spessore", così definite perché vengono alloggiate completamente nello spessore del solaio, facendo scomparire rispetto ad esso ogni sporgenza. In pratica supponiamo di utilizzare la stessa trave di prima con un h di 60 cm ed una base di 20 cm e di ruotarla di 90 gradi in modo che l'altezza risulti di 20 cm e la base di 60 cm. Da un punto di vista statico il comportamento della trave normale e di quella a spessore è sostanzialmente diverso, infatti nel primo caso la trave offre una maggiore resistenza alla flessione in quanto il suo momento di inerzia è più grande rispetto al momento di inerzia della trave a spessore. Quindi, essendo sottoposta a sollecitazioni maggiori, la trave a spessore deve essere più armata di una trave normale e a volte anche un pò più lunga (invece di soli 20 cm, 30 cm ad esempio).  38  -­‐  Solaio  in  laterocemento   I solai in laterocemento sono solai in cui ad elementi in calcestruzzo armato, normalmente travi con funzioni prevalentemente resistive-strutturali, si uniscono elementi in laterizio con funzioni prevalentemente di alleggerimento e di coibentazione, generalmente blocchi (tipo tavelle, tavelloni e tavelline oppure pignatte). Sono classificati come strutture miste poiché ottenute dall'assemblaggio di questi due tipi di materiale che hanno fra loro buona affinità. Gli elementi in laterizio possono essere collaboranti con la struttura in calcestruzzo ai fini della staticità. Il laterizio viene usato per delimitare, con le sue pareti, i canali all'interno dei quali viene disposta l'armatura di acciaio e che, successivamente, vengono riempiti di calcestruzzo. Questi canali, a calcestruzzo indurito, rappresenteranno le nervature resistenti dell'intera struttura. La funzione resistiva può essere assunta in parte anche dal laterizio che, nello specifico, presenterà particolari requisiti e forme. I solai in laterocemento possono essere fatti in opera, parzialmente in opera o prefabbricati e sono la tipologia più diffusa tra le strutture piane orizzontali adoperate nell'edilizia comune. Nel caso di solai parzialmente o totalmente prefabbricati, l'armatura è contenuta all'interno dei

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componenti prefabbricati. I solai in laterocemento con travi prefabbricate sono molto diffusi nell'edilizia contemporanea. La tipologia delle travi può variare, ma in generale tutti i solai in laterocemento sono piuttosto leggeri e garantiscono un buon isolamento termo-acustico, hanno una notevole rigidezza flessionale e ripartiscono in maniera uniforme i carichi sugli appoggi. Infine, non necessitano di impegnative opere di casseratura e risultano di rapida e semplice esecuzione. Di norma alle travi si associano le pignatte (collaboranti o meno), ma quando è necessario realizzare solai ad intercapedine può essere vantaggioso il ricorso al solaio con travi di tipo "Varese" (detto anche solaio "Varese"), insieme ad elementi di alleggerimento tipo tavelloni o tavelle. Se si prevedono in fase di montaggio elementi di plafonatura rimovibili, la camera d'aria può essere ispezionabile.  39   -­‐   Qual   è   il   peso   di   1  mc   di   CLS   ed   il   peso   di   1  mc   di   acciaio   e   quali   sono   le   loro  caratteristiche  di  resistenza   Il calcestruzzo (cls) è un impasto di pietrisco, ghiaia, sabbia ed eventuali additivi, legato con acqua, calce idraulica o cemento, usato nelle costruzioni stradali ed edili. Il calcestruzzo pesa circa 2300 kg/mc; - la Resistenza Caratteristica Cubica a 28 giorni di maturazione (Rck) è compresa fra 150-400 kg/cmq - la Tensione Massima Ammissibile (sigma) a compressione del cls è s’c = 60+(Rck-150/4 L’acciaio è una lega metallica di ferro (Fe) e carbonio (C)) di colore grigio , molto dura, resistente ed elastica. Possono essere presenti altri elementi accompagnatori e di lega. Tra gli elementi accompagnatori si hanno: fosforo (P), zolfo (S), azoto (N). Tra gli elementi di lega si hanno: manganese (Mn), silicio (Si), Cromo (Cr), Nichel (Ni), molibdeno (Mo). L’acciaio pesa circa 7860 kg/mc; Le resistenze ammissibili variano a seconda del tipo di acciaio che si sta considerando, i tipi più usati sono (ai diversi gradi corrispondono diverse caratteristiche meccaniche del materiale): Fe  360  -­‐  S  235    Fe  460  -­‐  S  275  Fe  510  -­‐  S  355  I valori ricorrenti delle Resistenze sono: sa = 1200-1600-2200-2400-2600 kg/cmq Le barre utilizzate nel c.a. sono prevalentemente di acciaio con resistenza sa = 2200 o 2600 kg/cmq, corrispondenti alle barre ad aderenza migliorata; mentre i valori di sa = 1200-1600 kg/cmq corrispondenti alle barre lisce sono sempre meno usati. 40   -­‐  Nel   caso  di   una   struttura  di   tipo  puntiforme   (pilastri   e   travi)   come   si   contrasta  l'azione  del  vento    La funzione di controventamento può essere assolta con l'inserimento di nuclei irrigidenti (blocchi scala e/o ascensore) ai quali verrà aggrappata, tramite gli orizzontamenti, l'intera maglia strutturale. Nel contesto strutturale il posizionamento dei nuclei di controventatura deve risultare il più simmetrico possibile rispetto agli assi principali dell'edificio. Se necessario inoltre, questi possono unirsi con setti in c.a. in corrispondenza della muratura di divisione degli alloggi per irrigidire l'intera struttura. In caso contrario, in condizioni sismiche, i nuclei stessi possono trasformarsi in "pivot" attorno ai quali può avvenire l'avvitamento dei piani orizzontali con pesante coinvolgimento dei telai più lontani dall'asse verticale di rotazione (torsione di piano). La presenza dei nuclei di controventamento diviene essenziale in casi particolari di sistemi interamente prefabbricati nei quali le modalità di assemblaggio non arrivano a garantire la perfetta continuità e quindi la monoliticità tra i diversi elementi.  41  -­‐  Strutture  di  fondazione  

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 Le strutture di fondazione collegano le strutture di elevazione al terreno, in modo tale da garantire che queste ultime siano sostenute dal terreno stesso. Dovrà pertanto sussistere una condizione di equilibrio fra le sollecitazioni trasmesse dalla sovrastruttura e la reazione del suolo. A tal fine si dovrà sempre verificare il comportamento del suolo per determinarne la sua resistenza in rapporto alle sollecitazioni trasmesse dalle fondazioni. Il criterio di resistenza del terreno viene stabilito in funzione delle caratteristiche meccaniche del suolo e delle caratteristiche geometriche della fondazione. Si determina il valore della tensione al limite del collasso per il terreno e si fissa come carico ammissibile quello corrispondente ad un terzo del carico limite. Le fondazioni si suddividono in: -fondazioni dirette, possono essere isolate (plinti) o continue (travi rovesce e platee) e trasferiscono al terreno i carichi superiori per semplice appoggio sul piano di posa di una superficie più o meno estesa; -fondazioni indirette o profonde (plinti o travi su pali) trasmettono i carichi a strati di terreno non superficiali utilizzando particolari strutture (pali) e con modalità differenti dalla semplice posa. La scelta della tipologia fondale da adottare è di volta in volta condizionata dalla natura del terreno su cui si deve intervenire. 42  -­‐  Tetto  Ventilato      La copertura si configura come un sistema edilizio complesso, finalizzato a fornire determinate prestazioni in relazione alle azioni esterne a cui è sottoposta (impermeabilità all’acqua, isolamento termico, resistenza al vento, ecc.) con un proprio funzionamento dal punto di vista termoigrometrico, statico, idraulico, ecc. Essa è costituita da una serie di elementi e strati, ognuno con precise funzioni, tra i quali, durante la vita utile, si creano interazioni di tipo fisico e chimico che occorre conoscere, e delle quali è necessario tener conto nelle fasi di progettazione e realizzazione. Dal punto di vista funzionale, si possono individuare una serie di elementi e strati, che fornendo ciascuno specifiche prestazioni, concorrono a realizzare la copertura stessa e a determinarne il comportamento globale. La norma UNI 8089 “Terminologia funzionale delle coperture” elenca tali elementi e strati, che vengono definiti in relazione alle funzioni svolte e suddivisi in elementi primari (elemento di tenuta, elemento termoisolante, elemento portante) ed elementi e strati complementari (elementi di collegamento, di supporto, strato di barriera al vapore, strato di ventilazione). La presenza o meno di alcuni degli elementi o strati funzionali della copertura, porta ad un diverso tipo di funzionamento della stessa. Ai fini della progettazione di una copertura discontinua si possono individuare 4 schemi di funzionamento, dal punto di vista termoigrometrico, ai quali è possibile ricondurre la maggior parte delle tipologie attuali: 1: COPERTURA NON ISOLATA NON VENTILATA 2: COPERTURA NON ISOLATA VENTILATA 3: COPERTURA ISOLATA NON VENTILATA (TETTO CALDO) 4: COPERTURA ISOLATA VENTILATA (TETTO FREDDO) COPERTURA NON ISOLATA NON VENTILATA È il tipo di copertura più semplice, dove non sono previsti né l’elemento termoisolante, né lo strato di ventilazione. Questa copertura risulta di impiego limitato ai casi in cui non è richiesto un isolamento termico del sistema (es. tettoie, edifici agricoli, coperture di ambienti non riscaldati, ecc.). Gli elementi o strati presenti sono: elemento portante (continuo o discontinuo), elemento di supporto, elemento di tenuta. COPERTURA NON ISOLATA VENTILATA Rispetto alla precedente esiste in più uno strato di ventilazione, al di sotto dell’elemento di tenuta, che ha lo scopo di migliorare il comportamento complessivo della copertura specialmente in clima estivo,

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ove la ventilazione riduce gli effetti del riscaldamento dovuto all’irraggiamento solare. Può essere utilizzata nell’edilizia agricola. OPERTURA ISOLATA NON VENTILATA (TETTO CALDO) In questo tipo di copertura esiste l’elemento termoisolante, ma non lo strato di ventilazione. L’elemento termoisolante è generalmente disposto lungo la falda inclinata e lo spazio sottotetto è quindi utilizzabile. COPERTURA ISOLATA VENTILATA (TETTO FREDDO) Questo tipo di copertura è quello che, dal punto di vista termoigrometrico, offre le migliori garanzie di buon funzionamento. Lo strato di ventilazione all’estradosso dell’elemento termoisolante evita la formazione di condensazioni del vapore d’acqua all’interno degli strati. È possibile anche creare un’intercapedine ventilata, a spessore costante, lungo la falda, rendendo utilizzabile lo spazio sottotetto. L’ISOLAMENTO TERMICO Con il termine “isolamento termico” si fa riferimento a tutta una serie di disposizioni riguardanti il “rivestimento” dell’edificio al fine di ottenere una temperatura confortevole per l’uomo. Il passaggio di calore può avvenire in modi differenti: per conduzione nei materiali solidi, per convezione nelle sostanze liquide e gassose, per irraggiamento in quelle permeabili alle radiazioni. Il valore λ viene definito in fisica tecnica come coefficiente di conducibilità termica, espresso in W/mK ed esprime la capacità di un materiale di lasciar passare il calore. Tanto minore é il valore, tanto meno il materiale conduce calore, cioé tanto meglio il materiale "isola". L’aria statica possiede una capacità di conduzione termica molto bassa, per questo i materiali che contengono molta aria hanno una penetrazione di calore scarsa; per cui, più è poroso il materiale e più sarà ridotta la sua capacità di conduzione termica (da tempo si utilizzano anche materiali porosi sintetici, le cui cellule non contengono aria ma gas, es. poliuretano). Lo strato isolante può essere inserito all'interno della struttura portante oppure sopra di essa.  43  –  Sistema  Ytong    SISTEMA DI COSTRUZIONE COMPLETO Ytong offre un’ampia gamma di blocchi per divisori interni e murature esterne, e di lastre autoportanti per la realizzazione di solai e tetti. Il sistema assicura risposte sia per edifici tradizionali con telaio in c.a. e tamponamenti in blocchi, sia per edifici in muratura portante ordinaria, garantendo quindi una risposta ottimale, sia per la nuova costruzione che per la ristrutturazione di edifici residenziali e non. ISOLAMENTO TERMICO E RISPARMIO ENERGETICO Ytong è un sistema autoisolante e le ottime caratteristiche del materiale, permettono il rispetto dei parametri di isolamento termico richiesti dal 2010 dal D.Lgs. 311/2006, senza l’uso di ulteriori costose coibentazioni, come gli intonaci termici o sistemi a cappotto. Con Ytong il caldo ed il freddo non sono più un problema, garantendo una temperatura interna sempre ottimale con un notevole risparmio energetico. ISOLAMENTO TERMICO E RISPARMIO ENERGETICO Il principio di un materiale isolante consiste nell’imprigionare l’aria in celle indipendenti l’una dall’altra, creando così una rottura termica, proprio come avviene per un maglione invernale. Per garantire un ambiente confortevole all’interno dell’edificio è necessario che i materiali posseggano diverse caratteristiche tra cui: n buon isolamento termico per diminuire le dispersioni e quindi i consumi energetici, n che non siano igroscopici e quindi deperibili con l’umidità. Un buon isolamento termico contribuisce in modo sensibile ad aumentare il livello di comfort ambientale. Inoltre riveste una grande importanza economica, in quanto incide direttamente sul fabbisogno termico e, di conseguenza, sui costi di gestione del riscaldamento invernale o del condiziona mento estivo. Il calcestruzzo cellulare Ytong, con i suoi numerosi microalveoli pieni d’aria distribuiti uniformemente, possiede eccellenti caratteristiche di isolamento termico (bassa conducibilità, elevata resistenza ter-

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mica R), per cui già con spessori non importanti dei materiali, senza sostanze isolanti supplementari, vengono ampiamente superate le restrittive prescrizioni previste dal Decreto Legislativo 192 del 2005 e successivi aggiornamenti. Il sistema di costruzione Ytong risponde ampiamente ai requisiti delle attuali e future normative, che hanno imposto una drastica limitazione al fabbisogno di energia e quindi, anche una conseguente riduzione di emissione di CO2 e dei carichi ambientali. INERZIA TERMICA E TRASPIRABILITA Una costruzione in Ytong è garanzia di comfort interno. I tre criteri che garantiscono un elevato comfort dal punto di vista termico all’interno di un’abitazione sono: n l’inerzia termica: la capacità di un materiale di immagazzinare calo- re e poi di rilasciarlo per mante- nere una temperatura interna pressoché costante; n l’isolamento termico: la capacità di non condurre calore; n la capacità di un materiale di smaltire la naturale umidità del- l’aria all’interno dell’abitazione. Si tratta di tre criteri che Ytong soddisfa a pieni voti.  44–  Impianto  Geotermico  (Schema  Enel  Green  Power)   Perché dobbiamo puntare all’utilizzo dell’energia geotermica: • la geotermia rappresenta una fonte energetica rinnovabile a elevato potenziale applicativo; • dà un fondamentale contributo alla riduzione della nostra dipendenza dai combustibili fossili; • fa uso di una tecnologia rispettosa dell’ambiente e vantaggiosa dal punto di vista economico. Nell’ambito della geotermia “classica”, di solito, si parla di impianti di grandi dimensioni situati in aree ove è relativamente facile estrarre calore ad alte temperature (in genere superiori ai 100 °C) sia per il riscaldamento che per la generazione di elettricità tramite turbine a vapore. Con il termine geotermia a bassa temperatura o a bassa entalpia, si individuano invece gli impianti per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti che utilizzano il calore terrestre o delle falde acquifere. Si tratta di una tecnologia che può trovare applicazione praticamente ovunque nei più svariati contesti. La presente guida tratta esclusivamente questa seconda tipologia d’impianto. Un impianto geotermico a bassa temperatura sfrutta la temperatura costante del terreno durante tutto l’anno negli strati più superficiali fino a una profondità di 100 metri circa, in Italia compresa tra i 12 e i 17 °C. Questa proprietà caratteristica del terreno superficiale consente di estrarre calore da esso in inverno in modo semplice ed efficiente e di utilizzarlo come sorgente fredda in estate. In alternativa al terreno, come si vedrà più avanti, è possibile utilizzare l’acqua di falda o di bacini lacustri con soluzioni tecniche similari. La geotermia a bassa temperatura è ideale sia per applicazioni di piccola scala (abitazioni singole) che di scala medio-grande (condomini, terziario, industriale). Essa permette un ottimale riscaldamento invernale e raffrescamento estivo degli ambienti, nonché la produzione di acqua calda sanitaria. Per poter usufruire della naturale energia contenuta nel sottosuolo è necessario avvalersi di pompe di calore in genere elettriche, accoppiate a scambiatori termici detti “sonde geotermiche”. Le pompe di calore geotermiche rappresentano l’elemento fondamentale dell’impianto, in quanto permettono il trasferimento dell’energia termica presente nel terreno agli ambienti da riscaldare (funzionamento invernale) e viceversa (funzionamento estivo). In natura il calore tende a spostarsi da una zona a temperatura più alta a una a temperatura più bassa. La pompa di calore, tramite la somministrazione di energia elettrica, contrariamente a quanto avverrebbe naturalmente, trasferisce il calore da una sorgente a temperatura più bassa (denominata sorgente fredda) a una sorgente a temperatura più alta (denominata pozzo caldo). Nel caso delle pompe di calore geotermiche la sorgente fredda è rappresentata dal calore della terra, mentre la sorgente calda dall’aria o dall’acqua che circola all’interno dei terminali di riscaldamento. Benché facciano uso di elettricità, gli impianti geotermici sono considerati una forma di energia rinnovabile in quanto la quantità di energia termica prodotta è ben superiore all’energia primaria

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(gas, petrolio, ecc.) resasi necessaria per generare l’elettricità che alimenta la pompa di calore stessa. Questo è anche il motivo della riduzione drastica dei consumi rispetto ai sistemi di riscaldamento tradizionali a gas/elettrici. SISTEMA DI CAPTAZIONE DEL CALORE Parte essenziale di un impianto geotermico è rappresentato dal sistema di captazione del calore. Tale elemento permette al calore di passare da uno stato di dispersione all’interno del terreno o della falda acquifera a uno stato più concentrato, e quindi utile, all’interno dell’impianto di climatizzazione. Le sonde di captazione geotermica sono generalmente in materiale plastico (polietilene) o in rame. hanno diametro di pochi centimetri (3-4 cm) e sono inserite nel terreno in prossimità dell’edificio formando un circuito nel quale scorre il fluido termovettore che scambia calore con il terreno; la disposizione e il numero di sonde variano in funzione dell’energia termica richiesta, delle caratteristiche del terreno e del fluido termovettore utilizzato. Le tubature possono essere interrate verticalmente nel terreno fino a grandi profondità, 70-130 metri (sonde geotermiche verticali), oppure orizzontalmente a 1–3 metri di profondità (sonde o collettori orizzontali). I tubi affondati verticalmente nel terreno possono avere varie sezioni trasversali: singolo o doppio tubo a U, tubi coassiali semplici o complessi. La scelta degli scambiatori a U risulta essere la scelta adottata nella maggior parte dei casi, in quanto se ben dimensionata è il sistema a più elevata affidabilità. Nelle configurazioni a sviluppo orizzontale, si possono avere circuiti ad anello chiuso o aperto, a serpentina, a spirale. Un impianto a sonde orizzontali è di più facile posa in alcune condizioni (edificazioni e/o sbanchi terra per altri scopi), risente dell’influenza stagionale dell’apporto solare e ha bisogno di un’area più ampia per la posa in opera delle sonde rispetto agli impianti a sonde verticali. Il fluido termovettore che scorre all’interno delle sonde può essere costituito da acqua semplice o da glicole etilenico (miscela di acqua e anticongelante non tossico). In questo secondo caso si può far circolare il fluido a temperature inferiori a 0 °C, con il vantaggio di avere un flusso termico più elevato. In alternativa, alcune soluzioni impiantistiche (impianti a espansione diretta) prevedono la circolazione diretta nelle sonde del fluido refrigerante della pompa di calore (gas della famiglia degli idro-fluoro-carburi utilizzati anche nei sistemi a pompa di calore tradizionali tipo split). I tubi delle sonde sono collegati in superficie a un apposito collettore connesso alla pompa di calore, installata all’interno dell’edificio. MPIANTI CON SONDE GEOTERMICHE VERTICALI è una soluzione che sfrutta il calore presente in profondità nel terreno, che fino a 100-130 metri presenta temperature fisse di 12-17 °C. Viene praticato un foro (di circa 10-15 cm di diametro) nel terreno per mezzo di una macchina perforatrice e viene inserita una sonda geotermica: tramite la circolazione del fluido termovettore in profondità viene assorbito il calore, scambiato in superficie all’interno della pompa di calore. L’impianto occupa poco spazio e può essere installato anche su piccoli terreni; anche il lavoro di ripristino dopo avere effettuato la perforazione è minimo. IMPIANTI CON SONDE GEOTERMICHE ORIZZONTALI Questa tecnologia oltre a sfruttare il calore del terreno risente dell’irraggiamento solare accumulato negli strati superficiali del terreno. I collettori orizzontali sono, come le sonde verticali, degli scambiatori in materiale plastico, interrati orizzontalmente a circa 1-2 metri di profondità. All’interno dei collettori circola, a circuito chiuso, una soluzione di acqua e antigelo che assorbe il calore del terreno e lo cede alla pompa di calore geotermica. La posa di collettori orizzontali richiede grandi superfici, che a seconda dei casi corrispondono dalle due alle tre volte la superficie interna da riscaldare/raffrescare. Una varietà di tali soluzioni prevede l’utilizzo di sonde orizzontali in rame al cui interno viene fatto circolare direttamente il fluido frigorifero delle pompe di calore, con conseguente semplificazione impiantistica (impianti a espansione diretta). IMPIANTI CHE SFRUTTANO L’ACQUA COME SORGENTE TERMICA L’acqua per essere sfruttata come sorgente termica, in alternativa al terreno, deve essere vicina all’edificio in cui è installata la pompa di calore. Negli impianti che utilizzano l’acqua di falda o di superficie, è l’acqua stessa che può fare sia da fluido termovettore che da sorgente termica. Questi sistemi, detti a circuito aperto, necessitano di attente valutazioni e analisi sulla qualità dell’acqua e sulla quantità disponibile, al fine di evitare impatti negativi sulla falda acquifera. Di norma va prevista la

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reimmisione in falda dell’acqua prelevata: vanno realizzati quindi due pozzetti, uno di estrazione e l’altro di reiniezione dell’acqua di falda. Gli impianti geotermici ad acqua di falda sono particolarmente validi per edifici di medie e grandi dimensioni, anche in considerazione del fatto che oltre al consumo imputabile alla pompa di calore, occorre prevedere una pompa elettrica per l’estrazione dell’acqua. Qualora si disponga in prossimità degli ambienti da climatizzare di uno specchio d’acqua è possibile anche realizzare sistemi a circuito chiuso con sonde orizzontali poste al di sotto del livello dell’acqua. FUNZIONAMENTO INVERNALE In modalità riscaldamento il fluido termovettore scende attraverso la sonda di mandata a una temperatura inferiore a quella del terreno (per esempio a 3-4 °C se è costituito solo da acqua, o a 0 °C se è additivata con glicole) e risale a una temperatura di 4-5 °C superiore, dopo avere “estratto” calore dal terreno per conduzione. La pompa di calore è in grado di trasferire il calore estratto dal terreno all’impianto di distribuzione facendo uscire acqua a una temperatura di 30-35 °C (nel caso dei pannelli radianti); l’acqua di ritorno dall’impianto rientra nella pompa di calore a una temperatura di 4-5 °C inferiori, dopo avere ceduto calore all’ambiente. FUNZIONAMENTO ESTIVO Il raffrescamento attivo presuppone il funzionamento della pompa di calore anche in estate. Il fluido di circolazione deve scendere attraverso la sonda di mandata a una temperatura superiore a quella del terreno (per esempio a 25-30 °C) e risalire a una temperatura di 4-5 °C inferiore, dopo avere “ceduto” calore al terreno. Anche in questo caso la pompa di calore trasferisce il calore dal corpo più caldo (ambiente), a quello più freddo (terreno) operando l’inversione del ciclo rispetto alla modalità di funzionamento invernale. In uscita dalla pompa l’acqua può raggiungere la temperatura necessaria per il raffrescamento con pannelli radianti (16-20 °C) o con i fancoil (7-12 °C). Il raffrescamento attivo va abbinato alla deumidificazione degli ambienti. è possibile, in alternativa a quanto sopra detto, raffrescare naturalmente gli ambienti attraverso il cosiddetto free-cooloing: questa particolare applicazione permette la climatizzazione estiva semplicemente facendo circolare all’interno dei pannelli radianti l’acqua di ritorno dalle sonde geotermiche. è necessaria a tal fine la predisposizione del bypass della pompa di calore. Il free-cooling è un sistema di condizionamento molto economico ed ecologico. 45  –  Impianto  Fotovoltaico  (Schema  Enel  Green  Power)    Un impianto fotovoltaico è un impianto per la produzione di energia elettrica. La tecnologia fotovoltaica permette di trasformare direttamente l’energia solare incidente sulla superficie terrestre in energia elettrica, sfruttando le proprietà del silicio, un elemento semiconduttore molto usato in tutti i dispositivi elettronici. Installare un impianto fotovoltaico sulla propria casa non è una “spesa” come comprare un elettrodomestico o un’automobile. è un investimento. In termini economici, l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico sul tetto di una casa genera ricavi superiori all’esborso necessario per installarlo e mantenerlo. Una corretta preventivazione può esser fatta solamente a valle di un sopralluogo che valuti accuratamente le caratteristiche del sito d’installazione. Questo perché il costo può variare, a seconda che l’installazione avvenga a terra, su fabbricati nuovi o già esistenti, che la posa sia in sovrapposizione o integrazione della copertura, che si debbano sostenere spese per i permessi di costruzione, allacciamento alla rete, cavi che coprano grandi distanze (pannelli-inverter e inverter-quadro utente), utilizzo di attrezzature durante il montaggio (gru, impalcature). Il costo annuo di manutenzione è in generale trascurabile, normalmente nelle analisi economiche si stima inferiore all’1% del costo d’impianto, da conteggiare sull’intera vita. In tale stima sono compresi gli eventuali costi di manutenzione straordinaria, dovuti alla riparazione o sostituzione di qualche componente dell’impianto.

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Il costo di esercizio dipende dalla taglia dell’impianto. Per impianti con potenza fino a 20 kWp è limitato al canone annuo da pagare alla società elettrica per l’installazione e la gestione dei sistemi di misura dell’energia prodotta e immessa in rete (attualmente circa 55 € l’anno). a realizzazione di un impianto fotovoltaico comporta un esborso di denaro che viene compensato nel corso di alcuni anni. Per limitare tale esborso è possibile utilizzare uno dei finanziamenti ad hoc concesso da un istituto bancario. Se si utilizzano tali strumenti è possibile pagare l’impianto mediante delle rate, normalmente semestrali, che vengono parzialmente – e a volte totalmente – “coperte” dagli utili derivanti dall’esercizio dell’impianto fotovoltaico e dai risparmi sulla bolletta elettrica. Le società che installano impianti fotovoltaici hanno spesso delle convenzioni con uno o più istituti bancari mediante i quali è possibile ottenere dei finanziamenti con caratteristiche vantaggiose. Un ulteriore strumento è costituito da prodotti assicurativi dedicati a impianti fotovoltaici. Tali assicurazioni possono coprire anche il rischio derivante dalla mancata produzione e quindi dalla perdita all’incentivo in conto energia oltre ai rischi derivanti da eventi dolosi, catastrofici e guasti. I MODULI FOTOVOLTAICI Costituiscono l’elemento principale dell’impianto in quanto la loro esposizione alla radiazione solare determina la produzione di energia elettrica (in corrente continua). All’interno del modulo ci sono le celle fotovoltaiche, generalmente costituite da sottilissime “fette” di silicio che, opportunamente trattate, danno luogo alla conversione diretta dell’energia luminosa in energia elettrica. Sulla base delle caratteristiche della cella si parla di celle a silicio monocristallino (la cella è ricavata da un lingotto in cui gli atomi di silicio sono disposti a costituire un unico cristallo), celle a silicio policristallino (analoghe alle monocristalline, con gli atomi di silicio comunque ordinati ma a costituire molti cristalli uniti fra loro) e celle a film sottile o “thin film” (utilizzano materiali semiconduttori “sottili” depositati direttamente su materiali vari di supporto come il vetro o il metallo). Queste tre tipologie di celle, e conseguentemente i moduli da esse ricavate, si differenziano per svariate ragioni fra le quali l’aspetto esteriore e l’efficienza, quest’ultima via decrescente passando dalla tecnologia monocristallina a quelle a film sottile. Ciò significa che a parità di potenza dell’impianto fotovoltaico, lo spazio occupato da un impianto a film sottile è superiore rispetto a quello in silicio policristallino. Nondimeno gli impianti a film sottile presentano alcuni vantaggi fra i quali un aspetto più uniforme che consente in genere un migliore inserimento nel contesto esistente. I moduli fotovoltaici più diffusi sono rettangolari delle dimensioni di 1-1,5 m2, le celle sono superiormente protette da un vetro con particolari caratteristiche di resistenza e trasparenza, il peso si aggira intorno ai 15/20 kg. La potenzialità del modulo si esprime in “watt di picco” (Wp) il cui valore indica la quantità di energia che il modulo è in grado di produrre nell’unità di tempo in condizioni standard di irraggiamento solare e temperatura che corrispondono indicativamente a quelle riscontrabili a mezzogiorno di una giornata fredda e soleggiata. Generalmente i moduli fotovoltaici per le applicazioni trattate in questa guida hanno potenze comprese fra 100 e 300 Wp. STRUTTURE DI SOSTEGNO DEI MODULI Sono le strutture che sorreggono i moduli e provvedono al loro orientamento, dando un’inclinazione rispetto al piano orizzontale. In Italia l’inclinazione ottimale è di circa 30° e l’orientamento dei moduli verso sud. Le strutture possono essere in acciaio zincato a caldo o in alluminio, e vengono vincolate sulla superficie di installazione mediante degli ancoraggi o delle zavorre. INVERTER è un dispositivo elettronico che consente di adeguare l’energia elettrica prodotta dai moduli alle esigenze delle apparecchiature elettriche e della rete, operando la conversione da corrente continua a corrente alternata con una frequenza di 50 hz. Normalmente gli inverter incorporano dei dispositivi di protezione e interfaccia che determinano lo spegnimento dell’impianto in caso di black-out o di disturbi della rete. SISTEMA DI MONITORAGGIO Il monitoraggio locale è costituito da un dispositivo elettronico opzionale che comunica con l’inverter e con eventuali sensori accessori (misure metereologiche ed elettriche). Mediante tale apparecchiatura è possibile tenere sotto controllo il funzionamento dell’impianto, registrare le misure su un PC e visualizzare alcune grandezze caratteristiche su schermi o display luminosi. Il monitoraggio da remoto consente di inviare i dati dell’impianto e l’eventuale presenza di guasti via internet, e-mail, SMS.

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MISURATORI DI ENERGIA Sono degli apparati che vengono installati sulle linee elettriche e misurano l’energia che li attraversa, ad esempio vengono utilizzati per conteggiare l’energia prodotta dall’impianto e quella immessa in rete. QUADRI ELETTRICI E CAVI DI COLLEGAMENTO Quadri, cavi, interruttori ed eventuali ulteriori dispositivi di protezione sono i componenti elettrici che completano l’impianto. I moduli fotovoltaici possono essere collocati su tetto (sia piano che a falda), sulla facciata di un edificio o a terra. La decisione in merito alla fattibilità tecnica si basa sull’esistenza nel sito d’installazione dei seguenti requisiti, che dovranno essere verificati dal progettista/installatore in sede di sopralluogo: • disponibilità dello spazio necessario per installare i moduli (per ogni 1.000 Wp di potenza installata occorrono circa 7/8/12 m2 di moduli con celle monocristalline/policristalline/thin film); • corretta esposizione e inclinazione della suddetta superficie; • assenza di ostacoli in grado di creare ombreggiamento. Le condizioni ottimali per l’Italia sono: • esposizione SUD (accettata anche SUD-EST, SUD-OVEST, con limitata perdita di produzione); • inclinazione 30°-35° (accettata anche 15°-45° con limitata perdita di produzione). La produzione elettrica annua di un impianto fotovoltaico può essere stimata attraverso un calcolo che tiene conto: • della radiazione solare annuale del luogo; • di un fattore correttivo calcolato sulla base dell’orientamento, dell’angolo d’inclinazione dell’impianto e di eventuali ombre giornaliere e/o stagionali; • delle prestazioni tecniche dei moduli fotovoltaici, dell’inverter e degli altri componenti dell’impianto; • delle condizioni operative dei moduli (con l’aumento della temperatura di funzionamento diminuisce l’energia prodotta). La potenza di picco di un impianto fotovoltaico si esprime in kWp (chilowatt di picco), cioè la potenza teorica massima che l’impianto può produrre nelle condizioni standard di insolazione e temperatura dei moduli (1.000 W/m2 e 25 °C). La mappa a sinistra mostra la produzione elettrica annua per un impianto fotovoltaico da 1 kWp, installato in Italia, considerando le migliori condizioni locali d’installazione (inclinazione 30° rispetto all’orizzontale, orientamento a SUD, assenza ombreggiamenti). Si tratta di valori medi indicativi. La reale produzione dell’impianto può variare leggermente (anche di un più o meno 10%) di anno in anno e da sito a sito in funzione della stagionalità e del microclima. Si conclude che un impianto da 1 kWp in Italia centrale può contribuire a coprire circa il 40% dei consumi elettrici medi di una famiglia (3.000 kWh/anno). La vita utile di un impianto fotovoltaico è almeno pari a 25 anni. Considerando separatamente i componenti più rilevanti si verifica che: • i moduli hanno una durata di vita da 25 a 30 anni, con una diminuzione delle prestazioni energetiche inferiore al 20%. Generalmente la garanzia fornita dai produttori sul mantenimento di tali prestazioni arriva a coprire 25 anni; • gli inverter, apparecchi a elevata tecnologia, hanno una durata nel tempo abbastanza lunga, ma generalmente inferiore a quella dei moduli; il loro costo è peraltro assai contenuto. Un impianto fotovoltaico è un sistema completamente modulare, e la sostituzione di un qualsiasi componente è generalmente facile e veloce, a condizione che questa sostituzione sia prevista nella fase di progetto.  46  –  Pannello  solare  (Schema  Enel  Green  Power)    Un impianto solare termico permette di trasformare direttamente l’energia solare incidente sulla superficie terreste in energia termica, senza nessuna emissione inquinante e con il risparmio economico associato al mancato utilizzo di fonti energetiche tradizionali (energia elettrica o combustibili fossili).

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L’energia termica così prodotta viene raccolta in genere sotto forma di acqua calda. Attualmente la tecnologia solare termica viene utilizzata principalmente per la produzione di calore a bassa temperatura (45-65 °c) per il riscaldamento dell’acqua sanitaria e per il riscaldamento degli ambienti. Esistono inoltre impianti solari termici per la produzione di calore a media e alta temperatura (100-250 °c) per applicazioni in processi industriali e per la produzione del freddo (solar cooling). Un impianto solare termico standard è composto da diversi elementi, ognuno con una funzione specifica. I principali sono il collettore, che serve a captare la radiazione solare e trasformarla in energia termica, e il serbatoio per accumulare il calore generato. completano l’impianto altri componenti, presenti o meno a seconda della tipologia d’installazione: la pompa solare, la centralina solare, il vaso di espansione, le valvole di sicurezza, ecc. Il cuore dell’impianto è costituito dal collettore solare (pannello solare) che opera la conversione in calore dell’energia solare che penetra al suo interno. Il pannello solare più utilizzato e diffuso è il collettore solare vetrato piano, caratterizzato dalla presenza di una intercapedine tra una superficie trasparente e una piastra assorbente. Viene utilizzato per riscaldare l’acqua a temperature medie di utilizzo comprese tra 45 e 65 °c. Sul mercato esistono anche altre tipologie di collettori: • collettori non vetrati scoperti, semplicemente realizzati con tubi in materiale plastico, sono molto economici, ma forniscono prestazioni accettabili solo se utilizzati durante la stagione estiva; • collettori sottovuoto, sono realizzati eliminando l’aria nell’intercapedine tra la tubazione e la copertura in vetro. In tal modo si riducono le perdite di calore ed è possibile lavorare in ambiente più freddo e con temperature del fluido riscaldato più elevate (70-80 °c). Essi sono più efficienti dei collettori vetrati piani, ma sono più fragili e costosi; • collettori a concentrazione, sono caratterizzati da un elemento assorbitore lineare o puntuale sul quale viene concentrata la radiazione solare tramite uno specchio concentratore. Tale sistema viene utilizzato per la produzione di calore ad alta pressione e temperatura (100-250 °c). L’elemento principale del collettore è l’assorbitore (piastra assorbente), che ha la funzione di assorbire la radiazione solare incidente e di trasformarla in calore. è costituito da una sottile piastra di metallo termicamente conduttivo, normalmente di rame (in commercio si trovano anche assorbitori in lega rame-alluminio oppure in acciaio al nickel-cromo), verniciata o trattata con uno strato di materiale selettivo per avere un alto grado di assorbimento della radiazione solare e per ridurre le perdite di calore verso l’esterno. Il calore sviluppato nell’assorbitore, viene trasferito a un fluido termovettore (acqua o una miscela di acqua e antigelo) che fluisce in appositi tubi di rame fissati o saldati sulla superficie posteriore dello stesso. Il collettore solare è dotato di una copertura trasparente (vetro o materiale plastico) posta frontalmente all’assorbitore che ha lo scopo di mantenere intrappolato il calore all’interno, permettendo nel contempo il passaggio della radiazione solare. Inoltre, è presente una coibentazione (isolamento termico) laterale e posteriore che ha lo scopo di limitare il più possibile la dispersione di calore verso l’ambiente esterno. L’altro elemento fondamentale di un impianto solare termico è rappresentato dal serbatoio (isolato termicamente) che ha lo scopo di immagazzinare il calore ceduto dai collettori, per renderlo disponibile nel momento in cui risulta necessario (ad esempio quando si sta facendo la doccia). La configurazione ottimale per un impianto solare termico è definita sulla base dei fabbisogni dell’utenza, della posizione geografica e delle condizioni climatiche del luogo d’installazione. Le configurazioni degli impianti solari termici possono essere raggruppate in due principali categorie. • Impianti a circuito aperto: il fluido caldo proveniente dal collettore è proprio la stessa acqua, che raggiunta la temperatura desiderata, arriva all’utenza. • Impianti a circuito chiuso: il fluido caldo scorre in un circuito chiuso (circuito primario) che cede il calore, attraverso uno scambiatore, all’acqua all’interno di un serbatoio. L’acqua calda così accumulata viene inviata all’utenza tramite un circuito secondario. Attualmente la quasi totalità degli impianti solari termici esistenti è realizzata con un circuito chiuso. L’utilizzo della configurazione a circuito aperto è limitato dai problemi di congelamento dell’acqua e dalla deposizione del calcare nelle tubazioni.

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Gli impianti a circuito chiuso possono a loro volta essere suddivisi in due tipologie. IMPIANTI A CIRCOLAZIONE NATURALE Il serbatoio di accumulo, dotato al suo interno di scambiatore, viene posto al di sopra del collettore stesso. La circolazione è garantita dalla differenza di densità del fluido tra il ramo freddo e caldo del circuito chiuso. è una soluzione impiantistica, interamente installata in esterno, semplice, compatta ed economica, adatta prevalentemente per piccoli impianti. IMPIANTI A CIRCOLAZIONE FORZATA Per impianti di taglia medio-grande e in previsione di un utilizzo durante tutto l’anno, è da preferire lo schema a circolazione forzata con pompa di ricircolo del fluido, che permette di svincolare completamente il posizionamento dei collettori dal sistema di accumulo. Tale soluzione garantisce anche una migliore integrazione architettonica e un migliore risultato estetico, consentendo di collocare il serbatoio in un idoneo locale tecnico e non sul tetto. Il sole è una fonte energetica non costante nel tempo e legata alle condizioni climatiche. Per tali ragioni gli impianti solari necessitano di un sistema di riscaldamento integrativo di tipo convenzionale per garantire la continuità nella produzione del calore. A tal fine possono essere integrati nell’impianto i seguenti sistemi: • resistenza elettrica, installata direttamente nel serbatoio solare; • caldaia istantanea che riscalda l’acqua in uscita dal serbatoio solare; • caldaia che tiene in temperatura l’acqua nel serbatoio solare mediante uno scambiatore di calore posto nella parte superiore del serbatoio stesso. In definitiva, un impianto solare termico, oltre ai collettori, comprende: • un serbatoio di accumulo; • uno o più scambiatori di calore; • una pompa di ricircolo e relativa centralina di comando (se l’impianto è a circolazione forzata); • un sistema integrativo del calore di tipo tradizionale (gas, gasolio, elettricità, biomasse); • valvole, tubazioni e altri componenti per la sicurezza. collettori solari possono essere collocati su qualsiasi pertinenza dell’immobile di proprietà dell’utente. La decisione in merito alla fattibilità tecnica si basa sull’esistenza nel sito d’installazione dei seguenti requisiti, che dovranno essere verificati dal progettista/installatore in sede di sopralluogo: • disponibilità della superficie necessaria per installare i pannelli; • corretta esposizione e inclinazione della suddetta superficie. Le condizioni ottimali per l’Italia sono: • esposizione SUD (accettata anche SUD-EST, SUD-OVEST, con limitata perdita di produzione); • in caso di fabbisogno costante di acqua calda durante l’anno, l’inclinazione consigliata è pari indicativamente alla latitudine del luogo (35°-45°); • in caso di fabbisogno di acqua calda prevalentemente estivo, l’inclinazione consigliata è pari alla latitudine del luogo diminuita di 15° (20°-30°); • in caso di fabbisogno di acqua calda prevalentemente invernale, tipicamente per sistemi solari per il riscaldamento degli ambienti, l’inclinazione consigliata è pari alla latitudine del luogo aumentata di 15° (50°-60°); • assenza di ostacoli in grado di creare ombreggiamento. In ogni caso, per quanto riguarda i tetti a falda, poiché le differenze di prestazioni alle diverse inclinazioni non sono particolarmente significative, il posizionamento dei collettori parallelamente alla falda è sempre da preferire per una migliore resa estetica e per la semplicità d’installazione. 47  –  Impianto  Minieolico  (Schema  Enel  Green  Power)    Eredi dei mulini a vento, i sistemi eolici di piccola taglia, anche detti per semplicità mini eolici, sfruttano la risorsa “vento” per produrre energia elettrica. Si dà a questi sistemi il nome di “mini” per differenziarli dai grandi impianti che costituiscono le centrali eoliche, le cosiddette wind farm. Proprio per effetto delle ridotte dimensioni e della semplicità di installazione si adattano molto bene all’inserimento presso insediamenti esistenti di privati e aziende. In questa vasta famiglia di impianti rientrano sistemi dalle caratteristiche e applicazioni più svariate.

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La tabella in basso fornisce una prima indicazione delle diverse tipologie di turbine eoliche classificate per potenza elettrica nominale e per applicazione. Un’ulteriore classificazione può risultare utile, in base alla tecnologia utilizzata: • impianti ad asse orizzontale (bipala, tripala, multipala). Sono i più diffusi, derivati dalla tecnologia delle grandi centrali eoliche. Il rotore è disposto verticalmente e si orienta inseguendo la direzione del vento; • impianti ad asse verticale. Il rotore si presenta in svariate forme e geometrie sulla base della soluzione tecnica individuata dal singolo produttore. Hanno caratteristiche interessanti in termini di robustezza e silenziosità anche se in genere sono più costosi dei precedenti. Un sistema mini eolico connesso alla rete elettrica è costituito dai seguenti componenti: • sostegno, generalmente costituito da un palo in acciaio infisso nel terreno (direttamente o più spesso tramite fondazione in c.a.) o posto sulla sommità degli edifici. L’altezza del palo è correlato alla potenza dell’impianto e può variare da un minimo di 2 metri (piccoli sistemi da qualche centinaia di watt di potenza) a oltre 50 metri per sistemi da 200 kW di potenza; • turbina, costituita a sua volta dal rotore (le pale) e dalla navicella che contiene gli organi meccanici di trasmissione del moto impresso dal rotore e il generatore elettrico; • sistema di controllo del generatore e inverter, ovvero le apparecchiature elettroniche che gestiscono il funzionamento del sistema rotore-generatore in tutte le condizioni di vento e che consentono l’adeguamento dell’energia elettrica prodotta alle caratteristiche della rete elettrica. come reagisce un impianto alle sollecitazioni del vento L’intensità del vento viene misurata attraverso la sua velocità (in metri al secondo o chilometri all’ora). Per una quantificazione immediata dei valori di velocità del vento si veda a livello indicativo la scala Beaufort qui riportata. In genere un impianto eolico di piccola taglia non reagisce alle sollecitazioni del vento sino a una velocità di circa 3-3,5 metri al secondo (circa 11-13 km/h). Superata questa velocità minima del vento il rotore si avvia spontaneamente e inizia a generare energia elettrica. Tuttavia ai bassi regimi di vento corrispondono esigui valori di potenza erogata dalla macchina. Ciò significa che, ad esempio, una turbina da 1 kW di potenza nominale, in condizioni minime di vento tali da farla avviare potrà generare una potenza trascurabile, non superiore a qualche decina di watt. Al crescere del vento, la potenza prodotta dalla macchina aumenta in modo più che proporzionale, sino a raggiungere i valori dichiarati come “nominali” a 12-14 metri al secondo (circa 40-50 km/h). Velocità del vento superiori alla nominale determinano incrementi di potenza elettrica generata assai limitati poiché i sistemi di controllo (elettronici e/o meccanici) intervengono per ridurre le sollecitazioni a cui vengono sottoposti gli organi meccanici ed elettrici. In condizioni estreme di vento quasi tutti i sistemi eolici si arrestano per evitare danneggiamenti. Considerando quanto sopra detto, è necessario scegliere un sito che non solo sia in grado di mettere in movimento il generatore eolico ma che sia mediamente tale da garantire nel tempo una potenza erogata, e conseguentemente una energia generata, adeguata a giustificare la spesa iniziale sostenuta. Il dato che fornisce un buon criterio di valutazione, sia pure indicativo, è la velocità media del vento su base annuale del sito prescelto. Si tratta di un parametro che si mantiene abbastanza costante negli anni e garantisce, quindi, stabilità di benefici in termini di energia prodotta. In linea del tutto generale e intuitiva, escludendo considerazioni di carattere ambientale e autorizzativo, si può convenientemente installare un impianto mini eolico laddove le condizioni di vento nell’arco dell’anno siano tali da garantirne un adeguato funzionamento e una produzione di energia che garantisca un’accettabile remunerazione del costo sostenuto. Ma come si può valutare il sito dal punto di vista della sua idoneità a produrre una quantità di energia soddisfacente? Si fa ricorso come già detto alla velocità media del vento su base annuale. è quindi importante valutare tale grandezza nel punto esatto e l’altezza in cui si intende installare il generatore mini eolico. Siti con velocità media annua inferiore a 4,5 metri al secondo (circa 16 km/h) non sono in generale considerati remunerativi. Il territorio italiano è contraddistinto da valori della velocità media del vento di solito non elevati. Ad altezze contenute dal livello del terreno sottostante (non superiori a 25 metri di altezza) questo valore è generalmente compreso fra 2 e 7 metri al secondo.

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48  –  Consolidamento  strutturale    1 – RIPARAZIONE DI LESIONE A “CUCI E SCUCI” 1) Rimuovere il vecchio intonaco mettendo a vivo la muratura; 2) asportare gli elementi di muratura interessati dalla lesione e alcuni adiacenti fino a formare un vano di dimensioni atte a ricevere nuovi elementi murari, ponendo cura nel formare un andamento perimetrale del vano con buoni ammorsamenti fra nuova e vecchia muratura; 3) inserire i nuovi elementi (laterizio, pietrame), previa pulizia e lavaggio del vano ponendo particolare cura nella realizzazione dei detti ammorsamenti, usando malte a ritiro nullo o meglio leggermente espansive, confezionate comunque con inerti simili a quelli che costituiscono la malta esistente. 2 – RIPARAZIONE DI LESIONE CON INIEZIONI DI MALTA 1) Rimuovere l’intonaco per una ampiezza di circa 40 cm a cavallo della lesione; 2) pulire i lembi della lesione asportando le parti di muratura degradate e lavare con getto di acqua a pressione; 3) scegliere accuratamente i punti in cui praticare i fori in funzione dell’andamento della lesione e delle porosità del muro; in genere sono sufficienti 3/4 fori a ml di fessura; 4) eseguire fori di 30 mm di diametro e di profondità uguale a quella della lesione; 5) disporre i boccagli di iniezione e stuccare la lesione con malta cementizia; 6) eseguire l’iniezione di malta idonea cementizia con l’ausilio di un tubicino secondario per lo spurgo dell’aria esistente nella lesione, procedendo dal basso verso l’alto; 7) a iniezione avvenuta, chiudere il tubicino di sfiato e tenere per qualche minuto la lesione sotto leggera pressione. 3 – RIPARAZIONE DI LESIONE ISOLATA MEDIANTE INIEZIONI ARMATE 1) Rimuovere l’intonaco esistente mettendo a vivo la muratura su entrambe le facce per una striscia della larghezza di circa 80 cm a cavallo della lesione; 2) asportare le parti di muratura deteriorate, lavare con getto di acqua a pressione la zona di intervento e la lesione, eventualmente ripristinare la muratura, sigillare la lesione; 3) sbruffare la muratura con malta cementizia e applicare rete esl diametro 5/10x10; 4) eseguire con perforatrice a rotazione fori di diametro 36 mm (non passanti) disposti su ogni faccia della muratura a coppia, inclinati verso il basso di circa 15° e incrociati in modo tale da cucire la lesione con passo dei fori su ogni faccia pari a 80 cm; sfalsamento, rispetto ai fori dell’altra faccia, pari a 40 cm; 5) lavare accuratamente i fori; 6) iniettare idonea malta cementizia a ritiro compensato nei perfori con leggera pressione, procedendo dal basso verso l’alto; 7) inserire nei perfori le barre di armature sagomate come da disegno; 8) applicare intonaco di malta cementizia 4 – PLACCATURA ARMATA 1) Rimuovere l’intonaco esistente riportando a vivo la muratura, pulire la superficie della stessa con getto di acqua e sbruffare con malta di cemento e sabbia; tale operazione va eseguita con le dovute cautele ed eventualmente a strisce alternate; 2) applicare sulla parete una rete els diametro 6/10x10 cm, fissandola provvisoriamente con chiodi e tenendola convenientemente staccata dalla muratura; ) procedere alla realizzazione di perfori con attrezzo a rotazione (preferibilmente mediante carotatrice), come indicato nel grafico allegato; 4) lavare i perfori; 5) iniettare nei perfori malta preconfezionata sino a completo assorbimento della malta da parte della muratura; la malta va iniettata a bassa pressione; 6) inserire nei perfori barre di acciaio, precedentemente tagliate e sagomate come indicato sul disegno, fissando opportunamente le estremità di queste alla rete elettrosaldata; 7) applicare idonea malta cementizia preconfezionata, mediante apposita macchina miscelatrice e spruzzatrice, a passate successive, sino a realizzare lo spessore necessario (circa 4 cm).

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5- RINFORZO DI SOLAI ESISTENTI IN C.A. 1) Pulizia dell’estradosso del solaio e martellinatura della superficie; 2) esecuzione dei fori sui muri d’ambito, come indicato nel grafico allegato; 3) applicazione di rete els del diametro di 8/15x15 cm, collegandola al solaio con ferri diametro 8 in numero di almeno 4 per ogni mq, (armatura da predisporre in fori non passanti praticati nel solaio); 4) predisposizione delle armature di collegamento ai campi di solaio contigui, (arma- tura minima 2 diametro 14/100 cm); 5) bagnatura del solaio esistente; 6) getto della soletta e sigillatura delle armature poste nei fori sui muri d’ambito, usando cls avente CK 250 kg/cm2, additivato con opportuni prodotti per la ripresa di getto 49  -­‐  Facciata  ventilata    l sistema è caratterizzato dalla presenza di un’intercapedine ventilata (spessore = 20-60 mm) tra l’isolante e il rivestimento esterno, che elimina i problemi di con- densa e attenua gli effetti dell’irraggiamento solare. Opportune aperture sulla parete, sia superiormente che inferiormente, provvedono ad attivare la ventilazione. Pertanto, nella stagione estiva si produce l’effetto camino: l’aria nell’intercapedine si trova a temperatura maggiore di quella esterna e tende a salire. Il moto ascensionale contribuisce alla riduzione dell’energia termica, smaltisce l’eventuale presenza di condensa e abbassa la temperatura superficiale esterna dell’isolante; in inverno l’effetto camino è molto ridotto e l’isolante riduce la trasmissione del calore dagli ambienti interni verso l’esterno. Il rivestimento è applicato mediante un telaio fissato al supporto, che svolge anche la funzione di distanziatore. Le lastre di rivestimento sono indipendenti e autoportanti e non devono esserne impedite le dilatazioni termiche; devono assicurare la tenuta all’acqua, agli agenti atmosferici e agli urti; devono avere buone caratteristiche meccaniche. Tra i materiali impiegati per il rivestimento vi sono l’alluminio, il legno, il PVC, le pietre, i laterizi, i prodotti lapidei agglomerati (pietre ricomposte), l’intonaco idraulico di forte spessore (3 cm) su armature di lamiera stirata e protetto da intonaco plastico o doghe di calcestruzzo 50  –  Solaio  Predalle  e  Spirol   Il solaio a lastra “Predalle” è nato per servire grossi cantieri nell’edilizia civile e industriale. Viene utilizzata per la realizzazione di cantine, garage, edifici industriali dove sono richiesti sovraccarichi notevoli, grosse luci da coprire e resistenza al fuoco REI posizionando l’armatura a momento positivo sopra la lastra che ha già uno spessore di 4 cm. Riduce notevolmente i tempi di posa e la manovalanza grazie all’ausilio di mezzi idonei per il sollevamento e posizionamento. Questo tipo di solaio è composto da una soletta in c.a. su cui sono affogati tralicci tipo “bausta” e sopra la quale sono posizionati blocchi di polistirolo espanso che costituisce l’alleggerimento del solaio il tutto a formare pannelli di luci diverse a seconda dell’esigenza e larghezze di 120 cm o 250 cm standard o variabili. Soletta in c.a.: la soletta (lastra), di spessore 4 cm. modulo 120 cm o 250 cm, viene gettata in stabilimento previa posizionatura dell’armatura, costituita da rete e traliccio elettrosaldati più il tondo in acciaio B450C. Tralicci: tipo “bausta” distanziati a formare le nervature del solaio. Polistirolo espanso: costituisce l’alleggerimento del solaio finito e determina l’altezza, la larghezza e l’interasse tra le nervature. b)Montaggio Il solaio a lastra è di facile e veloce messa in opera su cantieri dove è possibile piazzare gru di sollevamento. Il montaggio avviene mediante l’ausilio di una struttura provvisoria rigida controventata (puntelli rompitratta) per il sostegno delle lastre, opportunamente calcolata. Le lastre vengono montate parallele una di fianco all’altra Terminata la fase del montaggio si aggiungono, in corrispondenza dei

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vincoli (cordolo o trave), l’armatura a momento negativo (monconi superiori) e a momento positivo (monconi inferiori) opportunamente calcolati e idonea armatura di ripartizione (rete elettrosaldata). Bagnare abbondantemente prima del getto delle nervature e della soletta collaborante in cls. c)Vantaggi · Velocità di posa: avendo le lastre un modulo di 120 o 250 cm, è evidente che si abbattono notevolmente i tempi di posa in opera. · Riduzione manovalanza: grazie all’ausilio di mezzi idonei per il sollevamento e posizionamento. · Isolamento termico-acustico: il polistirolo espanso è un materiale coibentante e fonoassorbente. · Eliminazione dell’intonaco: a superficie inferiore è completamente liscia, complanare e verniciabile. I giunti delle lastre possono essere rasati con apposite malte. · Versatilità: risolve gran parte dei problemi costruttivi dovuti a carichi, luci, vincoli, forme architettoniche e forometrie. · Soluzioni REI: ottime per ottenere resistenze al fuoco REI. · Funzione cassero: le lastre sono particolarmente adatte a fungere da cassero per le travi a spessore. L’eliminazione in cantiere dei tralicci consente l’alloggiamento delle armature delle travi (vedi travi TMR senza piatto), garantendo idoneo copriferro ed eliminando completamente le operazioni di carpenteria. Solaio Spirol › DESTINAZIONE D’USO La destinazione d’uso del pannello alveolare precompresso è la realizzazione di solai in molteplici contesti costruttivi, ed in particolare l’esecuzione degli impalcati di parcheggi e autorimesse, interrati multipiano, edifici direzionali commerciali in elevazione multipiano, strutture antisismiche, coperture di complessi industriali e coperture di capannoni in genere, in totale assenza di puntellazione. › CARATTERISTICHE Il solaio alveolare precompresso è un pannello in CLS prodotto per estrusione con CLS vibrato. Nella ricetta per il confezionamento del CLS viene utilizzato un rapporto di acqua e cemento atto a garantire una resistenza alla compressione e alla trazione di grado elevato. La precompressione viene raggiunta impiegando trefoli in acciaio armonico stabilizzato. Quindi il pannello alveolare è armato con acciaio in pretensione e fornito di fresature all’estradosso in corrispondenza degli appoggi. Tali caratteristiche permettono un semplice e sicuro collegamento direttamente alle strutture portanti e la realizzazione di pannelli con luci fino a 22 metri. L’esecuzione del getto su casseri metallici perfettamente levigati fa si che la superficie d’intradosso risulti liscia e priva di macroporosità. Tale caratteristica permette che i solai alveolari possano essere impiegati senza l’applicazione di intonaci. La superficie a vista dell’intradosso è di gradevole finitura liscia fondo cassero, da lasciare a vista (standard medio di produzione industriale). I solai alveolari precompressi presentano vantaggi nell’impiego che si possono apprezzare sin dal momento della loro messa in opera grazie alla completa autoportanza, evitando così ogni puntellazione intermedia. Un adeguato dimensionamento della profondità degli appoggi, della precompressione da indurre agli elementi, in funzione della luce del solaio, della natura dei materiali e dei carichi di prima fase, ne garantiscono l’equilibrio e la portanza nelle fasi transitorie senza l’ausilio di puntellazioni alle estremità. Qualora il solaio richieda la realizzazione di una cappa collaborante, le prestazioni attese in esercizio si ottengono solo a maturazione avvenuta dei getti integrativi; tuttavia, per lo svolgimento dell’ordinaria attività di cantiere, il solaio può essere caricato prima della realizzazione dei getti o della loro completa maturazione.

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Leggi Urbanistiche

51  -­‐  Come  è  organizzata  la  gerarchia  delle  strade    Decreto Legislativo 30 aprile 1992 - Nuovo Codice della strada (D.L. 285/1992) Art. 2 Definizione e classificazione delle strade Le strade sono classificate riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi: 1. Autostrade; 2. Strade extraurbane principali; 3. Strade extraurbane secondarie; 4. Strade urbane di scorrimento; 5. Strade urbane di quartiere; 6. Strade locali 52    -­‐  Standard  urbanistici  D.M.  1444  del  1968    Decreto sugli Standard: Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati e i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art.17 della legge 6 agosto 1967 n°765. Con questo decreto vengono fissati i valori dei limiti introdotti dalla Legge Ponte per quanto riguarda gli indici e gli standard urbanistici; vengono altresì definite le zone territoriali omogenee in cui si applicano tali limiti. Per abitante: 4,50 mq destinati all'istruzione 2,00 mq destinati alle attrezzature di interesse comune 9,00 mq destinati agli spazi pubblici attrezzati 2,50 mq destinati a parcheggi. Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.). 53  -­‐  La  legge  1150  del  1942  di  cosa  tratta    La legge innanzi tutto riordinò la materia relativa agli strumenti di piano, affidandone la principale responsabilità ai Comuni, anche se fu previsto un sistema gerarchico che avrebbe dovuto garantire un completo e capillare controllo del territorio. - A livello più generale venne istituito il Piano Territoriale di Coordinamento, finalizzato ad orientare e coordinare l'attività urbanistica di aree vaste e vincolante per i piani subordinati; - A livello comunale sono invece previsti il Piano Regolatore Generale e i Programmi di Fabbricazione (quest'ultimi per i Comuni non obbligati a redigere il PRG); - La legge poi prevede che i PRG siano attuati attraverso i Piani Particolareggiati, redatti dal Comune. Per ciascuno di questi strumenti di piano sono indicati specificamente i contenuti, le modalità di formazione e le procedure per l'adozione, la pubblicazione, la presentazione di osservazioni e l'approvazione. E' inoltre definita la loro validità nel tempo: il PRG ha validità a tempo indeterminato, fin quando non venga modificato da una "variante". I Piani Particolareggiati hanno validità di 10 anni, entro i quali devono essere attuati. La legge disciplinava anche dettagliatamente l'attività privata, con una serie di norme che introducono le lottizzazioni ed i comparti edificatori (strumenti esecutivi per attuare i piani particolareggiati), la licenza edilizia per l'edificazione nei centri abitati e nelle zone di espansione, le sanzioni per chi viola le norme urbanistiche. Per quanto riguarda l'esproprio, infine, la legge si rifaceva alle norme del 1865. 54  -­‐  L'art.  13  della  legge  1150/1942,  quali  strumenti  urbanistici  introduce  

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L'art.13 della legge 1150/42 introduce i piani particolareggiati esecutivi, che sono il mezzo di attuazione del P.R.G. In detti piani devono essere indicati le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati: le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze; gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico; gli edifici destinati a demolizione o ricostruzione, ovvero soggetti a restauro o a bonifica edilizia; le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili secondo la tipologia indicata nel piano; gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare; la profondità delle zone laterali a opere pubbliche la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future. 55  -­‐  Legge  457/1978  Piani  di  Recupero     Art. 27. Individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente 1. I comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature. 2. Le zone sono individuate in sede di formazione dello strumento urbanistico generale ovvero, per i comuni che, alla data di entrata in vigore della presente legge ne sono dotati, con deliberazione del consiglio comunale sottoposta al controllo di cui all'art. 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (controllo soppresso dalla legge n. 127 del 1997). 3, Nell'ambito delle zone, con la deliberazione di cui al precedente comma o successivamente con le stesse modalità di approvazione, possono essere individuati gli immobili, i complessi edilizi, gli isolati e le aree per i quali il rilascio della concessione è subordinato alla formazione dei piani di recupero di cui al successivo art. 28. 4. Per le aree e gli immobili non assoggettati al piano di recupero e comunque non compresi in questo, si attuano gli interventi edilizi che non siano in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici generali. Ove gli strumenti urbanistici generali subordinino il rilascio della concessione alla formazione degli strumenti attuativi, ovvero nell'ambito delle zone destinate a servizi i cui vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'art. 31 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse. Inoltre sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo comma dell'art. 31 che riguardino globalmente uno o più edifici anche se modifichino fino al 25 per cento delle destinazioni preesistenti purché il concessionario si impegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e spese dell'interessato, a praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n.10, e successive modificazioni. (il comma 4 ha sostituito gli originari commi quarto e quinto per effetto dell'articolo 14 della legge n. 179 del 1992) Art. 28. Piani per il recupero del patrimonio edilizio esistente 1. I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente articolo 27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento. 2. I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui all'articolo 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (visto soppresso dalla legge n. 127 del 1997).

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3. Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al terzo comma del precedente articolo 27 ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l'individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente articolo 27. 4. Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale. 5. I piani di recupero sono attuati: (il comma 5 ha sostituito gli originari commi quinto, sesto e settimo per effetto dell'art.13, comma 1, della legge n. 179 del 1992) a) dai proprietari singoli o riuniti in consorzio o dalle cooperative edilizie di cui siano soci, dalle imprese di costruzione o dalle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all'esecuzione delle opere, dai condomini o loro consorzi, dai consorzi fra i primi ed i secondi, nonché dagli I.A.C.P o loro consorzi, da imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e da cooperative o loro consorzi; b) dai comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a) nei seguenti casi: 1) per gli interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti; 2) per l'adeguamento delle urbanizzazioni; 3) per gli interventi da attuare, mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unità minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell'ipotesi di interventi assistiti da contributo. La diffida può essere effettuata anche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso. 6. I comuni, sempre previa diffida, possono provvedere all’esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute. 7. I comuni possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguano gli interventi previsti dal piano di recupero. 56  -­‐  Piani  decennali  della  legge  457/1978     Legge 5 agosto 1978, n. 457 - GU 19 agosto, n. 231 | Norme per l'edilizia residenziale. Nell'articolo 1 vengono definiti i contenuti del Piano decennale di edilizia residenziale Titolo I | Piano decennale per l'edilizia residenziale. Organi e funzioni 1. Contenuti del piano. 25  A partire dall'anno 1978 è attuato un piano decennale di edilizia residenziale riguardante: a) gli interventi di edilizia sovvenzionata diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici (1/a); b) gli interventi di edilizia convenzionata e agevolata diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio esistente; c) l'acquisizione e l'urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti residenziali (1/a). I finanziamenti per l'edilizia residenziale agevolata e sovvenzionata possono essere destinati ad interventi di edilizia residenziale pubblica o ad opere ad essi funzionali, da realizzare su aree o immobili demaniali concessi a comuni o ad altri enti ai sensi della normativa vigente. Tali aree o immobili devono comunque essere ricompresi in piani di recupero ovvero in programmi integrati di intervento, di riqualificazione urbana o di recupero urbano (1/b). Il piano indica e quantifica le risorse finanziarie e creditizie da destinare all'edilizia residenziale pubblica e determina i criteri per la loro gestione coordinata, tenuto conto delle linee generali di intervento nel settore dell'edilizia residenziale indicate dal C.I.P.E. Il piano decennale definisce il programma operativo per il primo quadriennio ed è soggetto a revisione

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ogni quattro anni. Sulla base del piano nazionale le regioni formulano propri programmi quadriennali e progetti biennali di intervento. Alla relazione previsionale e programmatica ed alla relazione generale sulla situazione economica del Paese, è allegata una relazione sull'andamento del settore edilizio e sullo stato di realizzazione dei programmi di edilizia residenziale. 57  -­‐  Cosa  sono  e  come  sono  organizzati  i  P.I.P.  (Piani  di  Insediamento  Produttivo)    Sono piani di iniziativa pubblica attuativi del Piano Regolatore Generale. Possono essere progettati per accogliere o solo attività monotematiche (artigianali, industriali, commerciali e turistiche), oppure un insieme di attività tra quelle sopra elencate. Sono strumenti che possono essere realizzati soltanto su aree individuate, ai sensi dalla normativa urbanistica, come "aree industriali". Le aree su cui sorgeranno i fabbricati sono espropriate dal Comune e sono successivamente ricedute agli operatori o in diritto di proprietà, oppure in diritto di superficie. Qualunque intervento edilizio in dette aree è regolato da un atto notarile (convenzione) con cui sono disciplinati i rapporti e gli obblighi dei singoli operatori nei confronti del Comune. I compiti assegnati al Comune, oltre a quelli strettamente tecnici, riguardano: 26  verifica   che   i   futuri   operatori   possiedano   i   requisiti   soggettivi   previsti   dalle   vigenti   disposizioni   legislative   in  materia  e  dalle  norme  tecniche  di  attuazione  dello  strumento  urbanistico,  per  poter  essere  assegnatari  di  un  lotto;  esercizio  del  diritto  di  prelazione  sulla  cessione  dei  fabbricati;  formazione  ed  aggiornamento  annuale  di  una  graduatoria  di  soggetti  a  cui  assegnare  gli  eventuali  lotti  liberi.    58  -­‐  Come  si  attua  il  P.R.G.  con  quali  procedure    Attraverso i piani attuativi che non sono altro che i piani di dettaglio con i quali vengono attuati i P.R.G. I piani di dettaglio quindi sono piani particolareggiati o anche detti p.p di iniziativa pubblica e rappresentano lo strumento attuativo del piano regolatore generale predisposto dal Comune e inerente all'ambito territoriale stesso.  59   -­‐   Qual   è   la   differenza   tra   Piani   Intercomunale   e   Piano   di   Coordinamento  Territoriale    I Piani Territoriali di Coordinamento e i Piani Regolatori Intercomunali furono introdotti dalla Legge n°1150 del 1942. I P.T.C., detti anche piani regionali, di norma si estendono nell'ambito della regione e coincidono col suo territorio. La funzione di detti piani è quella di coordinare armonicamente lo sviluppo dei vari centri, sia per quanto riguarda l'assetto edilizio presente e futuro, sia per quanto riguarda le principali vie di comunicazione, la creazione, la ubicazione e sistemazione delle industrie e delle altre attività economiche in un insieme unitario e completo nello stesso tempo. Non sono piani essenzialmente urbanistici perchè costituiscono degli strumenti di coordinamento di tutte le forme di attività e quindi, oltre all'edilizia, disciplinano i trasporti, le comunicazioni, le industrie, insomma tutta l'attività economica e sociale delle Regioni. Hanno durata illimitata e obbligano i Comuni ad uniformare ad essi i propri piani regolatori. Sono in sostanza provvedimenti amministrativi che creano soltanto oneri in quanto dispongono che volendo eseguire degli interventi, essi non potranno essere attuati che con l'osservanza di certe modalità e limitazioni. I Piani Intercomunali si redigono quando, per le caratteristiche di sviluppo degli aggregati edilizi di due o più Comuni contermini, si riconosce opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti l'assetto

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urbanistico dei comuni stessi. Le aree per le quali si è pensato ai P.I., sono innanzi tutto quelle di una grande città che dal punto di vista dei servizi e dello sviluppo urbanistico si estende oltre la circoscrizione comunale ed interessa con la sua espansione, una serie di comuni satelliti. In secondo luogo il riferimento è alle aree complementari, che nell'insieme hanno uno sviluppo unitario, ma differenti caratterizzazioni delle sue parti, per cui i Comuni devono coordinare il loro sviluppo urbanistico se non vogliono creare squilibri nell'utilizzazione del territorio.  60-­‐  Che  cosa  prevede  la  legge  sull'Impatto  Ambientale   Normativa sui beni culturali LEGGE n.490 D.L. 29 1999. TESTO UNICO in materia di beni culturali e ambientali. VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE: la legge prevede che l'approvazione, in base alla norma dell'art.6 della legge n.349 /'86per i progetti di opere sottoposte a valutazione di impatto ambientale, sia rilasciata dal ministero il quale si pronuncia sulla base del progetto definitivo sulla compatibilità dell'impatto ambientale. In caso di incompatibilità di tutela e conservazione del bene con il progetto redatto il ministero si pronuncia negativamente, quindi la procedura si considera conclusa. 61-­‐  Cosa  sono  i  Piani  Paesistici    Codice dei beni culturali e del paesaggio Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Il Piano paesaggistico è uno strumento che permette di individuare e tutelare i beni paesaggistici. I contenuti del Piano sono individuati dall'articolo 143 del Dlgs 42/2004 PARTE TERZA Beni paesaggistici - TITOLO I Tutela e valorizzazione - Capo III Pianificazione paesaggistica - Articolo 143 Piano paesaggistico 1.   In   base   alle   caratteristiche   naturali   e   storiche   ed   in   relazione   al   livello   di   rilevanza   e   integrità   dei   valori  paesaggistici,  il  piano  ripartisce  il  territorio  in  ambiti  omogenei,  da  quelli  di  elevato  pregio  paesaggistico  fino  a  quelli   significativamente   compromessi   o   degradati.   2.   In   funzione   dei   diversi   livelli   di   valore   paesaggistico  riconosciuti,  il  piano  attribuisce  a  ciascun  ambito  corrispondenti  obiettivi  di  qualità  paesaggistica.  Gli  obiettivi  di  qualità  paesaggistica  prevedono  in  particolare:  o a.  il  mantenimento  delle  caratteristiche,  degli  elementi  costitutivi  e  delle  morfologie,  tenuto  conto  anche  delle  tipologie  architettoniche,  nonché  delle  tecniche  e  dei  materiali  costruttivi;  o b.   la   previsione   di   linee   di   sviluppo   urbanistico   ed   edilizio   compatibili   con   i   diversi   livelli   di   valore  riconosciuti   e   tali   da   non   diminuire   il   pregio   paesaggistico   del   territorio,   con   particolare   attenzione   alla  salvaguardia  dei  siti  inseriti  nella  lista  del  patrimonio  mondiale  dell’UNESCO  e  delle  aree  agricole;  o c.  il  recupero  e  la  riqualificazione  degli  immobili  e  delle  aree  sottoposti  a  tutela  compromessi  o  degradati,  al  fine  di  reintegrare  i  valori  preesistenti  ovvero  di  realizzare  nuovi  valori  paesaggistici  coerenti  ed  integrati  con  quelli.  3.   Il   piano   paesaggistico   ha   contenuto   descrittivo,   prescrittivo   e   propositivo.   La   sua   elaborazione   si   articola  nelle  seguenti  fasi:  o a.  ricognizione  dell’intero  territorio,  attraverso  l’analisi  delle  caratteristiche  storiche,  naturali,  estetiche  e  delle   loro   interrelazioni   e   la   conseguente   definizione   dei   valori   paesaggistici   da   tutelare,   recuperare,  riqualificare  e  valorizzare;  o b.  analisi  delle  dinamiche  di  trasformazione  del  territorio  attraverso  l’individuazione  dei  fattori  di  rischio  e   degli   elementi   di   vulnerabilità   del   paesaggio,   la   comparazione   con   gli   altri   atti   di   programmazione,   di  pianificazione  e  di  difesa  del  suolo;  28  o c.  individuazione  degli  ambiti  paesaggistici  e  dei  relativi  obiettivi  di  qualità  paesaggistica;  o d.  definizione  di  prescrizioni  generali  ed  operative  per  la  tutela  e  l’uso  del  territorio  compreso  negli  ambiti  individuati;  o e.  determinazione  di  misure  per  la  conservazione  dei  caratteri  connotativi  delle  aree  tutelate  per  legge  e,  ove  necessario,  dei  criteri  di  gestione  e  degli  interventi  di  valorizzazione  paesaggistica  degli  

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immobili  e  delle  aree  dichiarati  di  notevole  interesse  pubblico;  o f.   individuazione   degli   interventi   di   recupero   e   riqualificazione   delle   aree   significativamente  compromesse  o  degradate;  o g.   individuazione  delle  misure  necessarie  al   corretto   inserimento  degli   interventi  di   trasformazione  del  territorio   nel   contesto   paesaggistico,   alle   quali   debbono   riferirsi   le   azioni   e   gli   investimenti   finalizzati   allo  sviluppo  sostenibile  delle  aree  interessate;  o h.  individuazione,  ai  sensi  dell’articolo  134,  lettera  c),  di  eventuali  categorie  di  immobili  o  di  aree,  diverse  da  quelle  indicate  agli  articoli  136  e  142,  da  sottoporre  a  specifiche  misure  di  salvaguardia  e  di  utilizzazione.  4.   Il  piano  paesaggistico,  anche  in  relazione  alle  diverse  tipologie  di  opere  ed  interventi  di  trasformazione  del  territorio,  individua  distintamente  le  aree  nelle  quali   la  loro  realizzazione  è  consentita  sulla  base  della  verifica  del  rispetto  delle  prescrizioni,  delle  misure  e  dei  criteri  di  gestione  stabiliti  nel  piano  paesaggistico  ai  sensi  del  comma  3,  lettere  d),  e),  f)  e  g),  e  quelle  per  le  quali  il  piano  paesaggistico  definisce  anche  parametri  vincolanti  per   le   specifiche   previsioni   da   introdurre   negli   strumenti   urbanistici   in   sede   di   conformazione   e   di  adeguamento  ai  sensi  dell’articolo  145.  5.  Il  piano  può  altresì  individuare:  o a)   le   aree,   tutelate   ai   sensi   dell’articolo   142,   nelle   quali   la   realizzazione  delle  opere  e  degli  interventi   consentiti,   in   considerazione  del   livello  di   eccellenza  dei   valori   paesaggistici   o  della   opportunità  di  valutare   gli   impatti   su   scala   progettuale,   richiede   comunque   il   previo   rilascio   dell’autorizzazione   di   cui   agli  articoli  146,  147  e  159;  o b)  le  aree,  non  oggetto  di  atti  e  provvedimenti  emanati  ai  sensi  degli  articoli  138,  140,  141  e  157,  nelle  quali,  invece,  la  realizzazione  di  opere  ed  interventi  può  avvenire  sulla  base  della  verifica  della  conformità  alle  previsioni   del   piano   paesaggistico   e   dello   strumento   urbanistico,   effettuata   nell’ambito   del   procedimento  inerente   al   titolo   edilizio   e   con   le   modalità   previste   dalla   relativa   disciplina,   e   non   richiede   il   rilascio  dell’autorizzazione  di  cui  agli  articoli  146,  147  e  159;  o c)   le   aree   significativamente   compromesse   o   degradate   nelle   quali   la   realizzazione   degli   interventi   di  recupero  e  riqualificazione  non  richiede  il  rilascio  dell’autorizzazione  di  cui  agli  articoli  146,  147  e  159.  6.  L’entrata   in  vigore  delle  disposizioni  previste  dal  comma  5,   lettera  b),  è  subordinata  all’approvazione  degli  strumenti   urbanistici   adeguati   al   piano   paesaggistico   ai   sensi   dell’articolo   145.   Dalla  medesima   consegue   la  modifica   degli   effetti   derivanti   dai   provvedimenti   di   cui   agli   articoli   157,   140   e   141,   nonché   dall’inclusione  dell’area   nelle   categorie   elencate   all’articolo   142.   7.   Il   piano   può   subordinare   l’entrata   in   vigore   delle  disposizioni   che   consentono   la   realizzazione  di   opere  ed   interventi   ai   sensi   del   comma  5,   lettera  b),   all’esito  positivo   di   un   periodo   di   monitoraggio   che   verifichi   l’effettiva   conformità   alle   previsioni   vigenti   delle  trasformazioni  del  territorio  realizzate.  8.  Il  piano  prevede  comunque  che  nelle  aree  di  cui  all’articolo  5,  lettera  b),   siano   effettuati   controlli   a   campione   sulle   opere   ed   interventi   realizzati   e   che   l’accertamento   di   un  significativo   grado   di   violazione   delle   previsioni   vigenti   determini   la   reintroduzione   dell’obbligo  dell’autorizzazione   di   cui   agli   articoli   146,   147   e   159,   relativamente   ai   comuni   nei   quali   si   sono   rilevate   le  violazioni.   9.   Il   piano   paesaggistico   individua   anche   progetti   prioritari   per   la   conservazione,   il   recupero,   la  riqualificazione,  la  valorizzazione  e  la  gestione  del  paesaggio  regionale  indicandone  gli  strumenti  di  attuazione,  comprese   le   misure   incentivanti.   10.   Le   regioni,   il   Ministero   e   il   Ministero   dell’ambiente   e   della   tutela   del  territorio  possono  stipulare  accordi  per  l’elaborazione  d’intesa  dei  piani  paesaggistici.  Nell’accordo  è  stabilito  il  termine  entro  il  quale  è  completata  l’elaborazione  d’intesa,  nonché  il  termine  entro  il  quale  la  regione  approva  ilpiano.   Qualora   all’elaborazione   d’intesa   del   piano   non   consegua   il   provvedimento   regionale,   il   piano   è  approvato   in   via   sostitutiva   con   decreto   del   Ministro,   sentito   il   Ministro   dell’ambiente   e   della   tutela   del  territorio.  Il  decreto  non  è  soggetto  alle  disposizioni  dell’articolo  3  della  legge  14  gennaio  1994,  n.  20.  11.  L’accordo  di  cui  al  comma  10  stabilisce  altresì  presupposti,  modalità  e  tempi  per  la  revisione  periodica  del  piano,   con   particolare   riferimento   alla   eventuale   sopravvenienza   di   provvedimenti   emanati   ai   sensi   degli  articoli   140  e  141.  12.  Qualora   l’accordo  di   cui   al   comma  10  non  venga   stipulato,  ovvero  ad  esso  non   segua  l’elaborazione  congiunta    62  -­‐  Di  cosa  tratta  la  legge  n.  2359  del  1865   Si tratta della prima legge italiana riguardante le disposizioni in materia di Esproprio per Pubblica Utilità, con lo scopo di introdurre norme per il risanamento e l'ampliamento delle città, viste le precarie condizioni, soprattutto igieniche di molti aggregati urbani.

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Furono introdotti due importanti strumenti urbanistici: i Piani Regolatori Edilizi ed i Piani di Ampliamento. I Piani Regolatori Edilizi, attuabili entro 25 anni, erano obbligatori soltanto per i Comuni con oltre 10.000 abitanti e, una volta approvati, contenevano implicitamente, il riconoscimento della dichiarazione di opera di pubblica utilità. Norme simili erano previste anche per i Piani di Ampliamento, dove si stabiliva l'obbligo di cedere il terreno necessario alla costruzione di vie pubbliche "senza altra formalità", ma sempre dietro compenso per l'esproprio. Secondo quanto stabilito dagli art.39, 40, 41 di tale legge, l'indennità di esproprio era pari al Valore di Mercato (Vm) del terreno espropriato, dove per Vm si intende il prezzo pagato da un privato per l'acquisto del terreno in regime di libera contrattazione e senza speculazioni. Si comprende che per l'elevato onere finanziario dovuto alle indennità di esproprio, questa legge non ebbe applicazione molto estesa, tranne in alcuni casi eccezionali, per ragioni di grave morbilità, in cui si fece ricorso alla formazione di piani regolatori edilizi o di veri e propri piani di risanamento. Per la prima volta si offriva ai Comuni la possibilità di fare partecipare l'iniziativa privata ai costi di realizzazione dei nuovi insediamenti. 63  -­‐  Di  cosa  tratta  la  legge  n.  2892  del  1885,  cosiddetta  legge  "Napoli"   A seguito di una grave epidemia di colera che colpì la città di Napoli nel 1884 fu emanata la legge 2892 per il risanamento della città. Tra le cause dell'epidemia vi erano l'affollamento abitativo e le pessime condizioni igieniche sanitarie. Per porre fine all'insalubrità, il piano di risanamento, prevedeva ampie zone di demolizione e ricostruzione. Per attuarlo venne messo in discussione per la prima volta il diritto di proprietà a beneficio del fine sociale ed un provvedimento, nato esclusivamente per far fronte a delle esigenze di tipo igienico e sanitario, rappresentò un momento evolutivo fondamentale per la legislazione urbanistica sul tema dell'esproprio e del calcolo dell'indennità. Questo calcolo non si basava più sul semplice Valore di Mercato (Vm) dell'immobile, infatti le proprietà da espropriare erano, in questa particolare situazione, edifici dei quartieri più poveri e degradati della città, di cui la maggior parte dati in locazione. Era per tanto necessario tenere conto del calcolo dell'indennizzo, del reddito che i proprietari percepivano con gli affitti. Per tale ragione l'art. 13 della legge prevedeva che l'indennità dovesse essere calcolata "come media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio, purché essi abbiano data certa, corrispondente di rispettivo anno di locazione. In difetto dei fitti accertati, l'indennità sarà fissata sull'imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati. I periti non dovranno tenere conto nella stima dei miglioramenti e delle spese fatte dopo la pubblicazione del Piano". In questo modo l'esproprio si basava sul criterio dell'indennità che sommava il valore di mercato alla reddittività dell'immobile e i proprietari percepivano un indennizzo molto più alto rispetto a quello calcolato sul solo Vm, in quanto il Saggio di Capitalizzazione Annuo (relativo agli affitti) era allora parti a circa il 14-18% (oggi è inferiore al 4%). 64  -­‐  Quali  sono  gli  strumenti  legislativi  che  regolano  l'esproprio   Testo unico esproprio: D.P.R. 327/2001 (come modificato dal D.Lgs. 302/2002) Il testo disciplina l’espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità.  65  -­‐  Il  Piano  Territoriale  di  Coordinamento  esiste  sempre   Il PTC, normato secondo lo schema degli articoli 5-6 della legge urbanistica 1150/42 tuttora vigenti, ha

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funzione di Piano-quadro riguardo alla gestione e lo sviluppo dei territori regionali. La legge 142/90 (ora inserita nel testo Unico DLgs 267/200) assegna alle regioni un compito di programmazione economico-sociale, non tanto di pianificazione (ruolo svolto più dalle province o dalla Città metropolitana). 66  -­‐  Opere  di  urbanizzazione  primaria    Sono opere d'urbanizzazione primaria (art. 4, legge 29 settembre 1964, n. 847): le  strade  a  servizio  degli  insediamenti,  compresi  gli  allacciamenti  alla  viabilità  principale  dei  lotti  edificabili;  gli  spazi  necessari  per  la  sosta  e  il  parcheggio  degli  autoveicoli,  in  relazione  alle  caratteristiche  degli  insediamenti;  i   condotti   idonei   alla   raccolta   ed   allo   scarico   delle   acque   luride   (nere)   ed   i   relativi   allacciamenti   alla   rete  principale  urbana,  compresi  gli  impianti  di  depurazione;  la  rete  idrica,  costituita  dalle  condotte  per  l’erogazione  dell’acqua   potabile   e   relative   opere   per   la   captazione,   il   sollevamento   ed   accessorio,   nonché   dai   necessari  condotti  d’allacciamento  alla  rete  principale  urbana;  la   rete   per   l’erogazione   e   la   distribuzione   dell’energia   elettrica   per   usi   domestici   e   industriali   comprese   le  cabine  secondarie;  la  rete  del  gas  combustibile  per  uso  domestico  ed  i  relativi  condotti  d’allacciamento;  la  rete  telefonica,  comprese  le  centraline  telefoniche  a  servizio  degli  edifici;  la   pubblica   illuminazione   comprendente   le   reti   e   gli   impianti   per   l’illuminazione   delle   aree   e   delle   strade  pubbliche  e  d’uso  pubblico;  gli  spazi  di  verde  attrezzato,  le  aree  a  servizio  dei  singoli  edifici  mantenute  a  verde  con  alberature  ed  eventuali  attrezzature.  Alle opere d’urbanizzazione primaria sono equiparati: gli   impianti   cimiteriali,   cioè  gli  ampliamenti  e   le  costruzioni  dei  cimiteri,   compresi   le  vie  d’accesso,   le   zone  di  parcheggio,  gli  spazi  e  i  viali  destinati  al  traffico  interno  e  le  costruzioni  accessorie  (art.  26-­‐  bis,  D.L.  n.  415/1989  convertito   dalla   legge   n.   38/1990);   i   parcheggi   realizzati   nel   sottosuolo   o   nei   locali   siti   al   piano   terreno   dei  fabbricati  esistenti  (art.  11,  legge  n.  122/1989).  Opere  di  urbanizzazione  secondaria  Sono opere d'urbanizzazione secondaria (art. 44, legge n. 865/1971 e successive modifiche): gli  asili  nido;  le  scuole  materne;  le  scuole  dell’obbligo;  i  mercati  di  quartiere;  le  delegazioni  comunali;  le  chiese  ed  altri  edifici  religiosi;  gli  impianti  sportivi  di  quartiere;  i  centri  sociali  e  le  attrezzature  culturali  e  sanitarie;  le  aree  verdi  di  quartiere.  

67  -­‐  Legge  167  del  1962     Questa legge introduce i Piani di Edilizia Economica Popolare (PEEP). Lo scopo fondamentale è quello di fornire all'ente pubblico, gli strumenti concreti per programmare gli interventi nel settore della casa, e per incidere tramite questi, sull'assetto del territorio urbano, contrastando la speculazione fondiaria e indirizzando lo sviluppo edilizio con i piani di zona (di contenuto analogo ai piani particolareggiati) da realizzare su aree espropriate, all'edilizia economica e popolare. Per la prima volta l'esproprio era utilizzabile non solo per i terreni destinati per i terreni pubblici, ma anche per quelli destinati a residenza, e veniva stabilita un'indennità di esproprio inferiore al valore di mercato, fissata al valore che le aree avevano sul mercato due anni prima dell'adozione del piano PEEP. Questo doveva consentire ai comuni (e agli enti, istituti e cooperative costruttori case popolari, cui potevano essere assegnati i terreni edificabili) di acquisire ad un costo relativamente contenuto aree più centrali e di dotarle di tutti i servizi sociali necessari, che dovevano essere previsti nello stesso piano di zona. Si prevedeva, infine, di innescare un processo di finanziamento a rotazione: i comuni, ottenendo i terreni a basso prezzo e rivendendoli (una volta urbanizzati) agli assegnatari pubblici e privati, avrebbero potuto ricavare fondi da reinvestire in acquisto di altre aree ed in costruzione di servizi. 68  -­‐  Legge  765  del  1967  

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La Legge n°765 del 1967, nota come Legge Ponte, apporta alla Legge Urbanistica del 1942 una serie di ampie modifiche, determinanti per razionalizzare il sistema di strumenti e di controlli, dandogli la configurazione tutt'ora vigente. Le più importanti modifiche si possono raggruppare secondo i tre obiettivi che la legge si propone: 1. Avviare una estesa applicazione dei piani urbanistici, e garantirne il rispetto. Vengono così fissati i termini entro i quali il Comune, obbligato a redigere il PRG, viene sostituito dagli organi statali; si decentra agli uffici regionali del Ministero dei Lavori Pubblici l'approvazione degli strumenti minori (piani particolareggiati, regolamenti edilizi, programmi di fabbricazione). Inoltre si rende obbligatorio il regime di "salvaguardia" dei piani già adottati ma non ancora approvati, per impedire che i piani stessi siano vanificati da licenze edilizie rilasciate in contrasto con le loro previsioni. Si precisano sanzioni per le violazioni delle prescrizioni. 2. Porre un freno allo sviluppo edilizio incontrollato. Vengono poste drastiche limitazioni all'edificazione in assenza di strumenti urbanistici e si stabilisce che la licenza edilizia possa essere concessa solo quando le opere di urbanizzazioni siano già esistenti o siano previste dai piani particolareggiati di iniziativa pubblica o lottizzazioni private, già approvati nelle zone di espansione. 3. Ottenere la partecipazione dei privati alle spese di urbanizzazione, fino ad allora gravanti esclusivamente sui Comuni. Viene prescritto che siano a carico dei privati la realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria (compresa la cessione gratuita dell'area occorrente) e il versamento del contributo corrispondente a una quota dei costi delle opere di urbanizzazione secondaria. Tale obbligo deve essere sancito da una convenzione tra privato e Comune, necessaria per ottenere l'autorizzazione a lottizzare. La lottizzazione privata si affiancherebbe così al piano particolareggiato di iniziativa pubblica come strumento ordinario di attuazione del PRG nelle nuove zone urbane. La sentenza della Corte Costituzionale n°55 del 29 maggio 1968 vanificava gli effetti della Legge Ponte, dichiarando illegittimi gli articoli della legge urbanistica che non prevedevano un indennizzo per l'imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni abbiano contenuto espropriativo. In altri termini, rilevando che la legislazione vigente identificava di fatto il diritto di proprietà di un suolo con il diritto di edificarlo (jus aedificandi), la sentenza stabiliva che un vincolo di non edificabilità costituisce un danno al proprietario da risarcire con un indennizzo, e che il diritto all'indennizzo decorre dal momento stesso di adozione del PRG. 69  -­‐  Quali  sono  i  contenuti  fondamentali  della  legge  865/1971   Legge di riforma della casa, "Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica utilità". La legge stabiliva l'impiego unitario dei fondi stanziati per l'edilizia economica e popolare, con un coordinamento a livello nazionale tramite il CER (Comintato Edilizia Residenziale) e l'effettiva distribuzione affidata alle Regioni, in base a piani di localizzazione da esse approvati. Veniva anche prevista la creazione di Consorzi regionali degli IACP, il loro riordinamento ..., e la determinazione dei canoni di affitto e delle quote di riscatto. Gli elementi fondamentali della legge 865 riguardano i problemi di pianificazione del territorio. Venivano ampliate le possibilità di intervento dei Comuni, consentendo l'espropriazione delle aree - edificate e non - per la formazione non solo dei PEEP, ma anche di Piani per gli Insediamenti Produttivi (PIP). Veniva inoltre stabilito che le aree PEEP possono coprire fino al 60% del fabbisogno totale di edilizia abitativa per un decennio. Innovazioni importanti contenute in questa legge sono l'estesa introduzione del diritto di superficie, con conseguente proprietà del bene edificato, su un terreno che rimane di proprietà altrui. Queste norme miravano evidentemente ad aumentare lo spazio a disposizione dell'edilizia pubblica, nell'intento di ridurre il peso della speculazione fondiaria. L'indennità venne riferita non più al valore di mercato delle aree, ma al loro valore intrinseco. Nelle

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aree esterne ai centri edificati l'indennizzo veniva posto pari al valore agricolo medio corrispondente alle colture in atto nell'area da espropriare, con un raddoppio a favore del proprietario diretto coltivatore. Nelle aree comprese nei centri edificati e nelle zone delimitate come centri storici, veniva assunto come base il valore agricolo medio della coltura più redditizia fra quelle praticate nell'intera regione agraria. Tale valore doveva essere moltiplicato per un coefficiente (tra 1 e 5) per tenere conto dell'andamento di mercato delle aree. 70  -­‐  Cosa  sono  i  comparti  edificatori   Il concetto di comparto edificatorio viene introdotto dall'art. 23 della legge n. 1150 del 1942 abrogato dall'art. 58 del DP.R. n. 327 del 2001 - Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità - limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione Il comparto edificatorio definisce gli ambiti territoriali minimi entro cui l'intervento edilizio deve essere realizzato in modo unitario da più aventi titolo. Viene introdotto per superare le difficoltà di attuazione del piano dovute alla eccessiva frammentazione della proprietà fondiaria. 71  -­‐  Programma  di  Fabbricazione.  Quale  legge  lo  introduce   È introdotto dalla legge fondamentale dell'urbanistica, la n°1150/1942. Il programma di fabbricazione è previsto per i Comuni non obbligati a redigere il P.R.G. È definito come un allegato del Regolamento Edilizio e indica solo le zone di espansione dell'abitato e i tipi edilizi delle aree fabbricabili. 72  -­‐  Cosa  contiene  il  Regolamento  Edilizio    In linea generale il contenuto dei regolamenti edilizi è stabilito dall'art.33 della Legge Urbanistica, che elenca una serie di materie che devono essere precipuamente disciplinate. Ciò significa che ogni Comune può adottare norme anche in materie diverse da quelle previste nell'articolo predetto, sempre che riguardino l'attività edilizia. Con l'art.31 il legislatore ha voluto stabilire solo il minimo a cui i Comuni debbono uniformarsi nei rispettivi regolamenti. Il Regolamento Edilizio nel dettare norme deve distinguerle a seconda che riguardino: il  nucleo  edilizio  esistente;  le  zone  di  ampliamento  dell'abitato;  il  restante  territorio  comunale.  Le norme regolamentari possono dividersi in tre gruppi: norme  di  procedura,  riguardanti  la  composizione,  la  competenza  ed  il  funzionamento  dei  vari  organi  e  uffici  cui  è  attribuita  la  disciplina  urbanistica,  la  licenza  di  costruzione,  la  progettazione,  la  esecuzione  e  la  vigilanza  dei  lavori.   norme   di   carattere   urbanistico   riguardanti   la   distanza   e   l'altezza   dei   fabbricati,   i   tracciati   stradali,   la  tipologia  degli  edifici  secondo   le  zone  di   territorio,   l'aspetto  estetico  degli  stessi.  norme  di  carattere   igienico-­‐sanitario,  riguardanti  le  dimensioni  delle  costruzioni  ed  i  servizi  tecnici,  igienici  e  l'osservanza  delle  prescrizioni  relative  ai  materiali  da  costruzione.  La funzione del regolamento edilizio è complementare alla disciplina urbanistica, ma non sostitutiva ad essa. Le sue disposizioni, anche se in qualche caso contengono prescrizioni tecniche, sono in prevalenza di ordine giuridico-amministrativo. Le limitazioni imposte dai regolamenti edilizi sulle altezze, sulle distanze, sul volume degli edifici, essendo diretti alla tutela degli interessi pubblici, sono inderogabili da parte dei privati, i quali devono uniformarsi sotto pena di sanzioni che possono giungere all'abbattimento di quanto costruito contro le prescrizioni. Il regolamento edilizio si applica a tutto il territorio comunale nel momento stesso in cui entra in vigore.

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73  -­‐  Cosa  contiene  l’N.T.A    consentono la specificazione e il dettaglio della zonizzazione 74  -­‐  A  cosa  serve  lo  zoning    E' uno dei fondamentali e più diffusi strumenti di disciplina dello sviluppo urbano, che consiste, essenzialmente, nel vincolare l'uso del suolo a destinazioni prefissate (residenza, industria, commercio, ecc...), specificate nel piano regolatore; insieme alle disposizioni sulla viabilità e sulle attrezzature, esso costituisce l'ossatura del piano. Sotto l'aspetto tecnico, la zonizzazione è anzitutto intesa al contatto delle densità urbane e quindi della distribuzione demografica degli insediamenti nel territorio; in secondo luogo essa mira a costituire la trama strutturale e quindi il sostegno logico della forma urbana. Questi scopi, tuttavia, sono difficilmente raggiungibili con la zonizzazione, che l'esperienza ha dimostrato strumento imperfetto. Nonostante la sua larghissima fortuna, essa resta in sé un mezzo che ha il limite di accettare e radicalizzare la tendenza alla settorializzazione propria della società contemporanea. Per questo la zonizzazione, anche se tutt'ora largamente impiegata, è ritenuta strumento superato, ove non sia sorretta da altri accorgimenti. 75  -­‐  Zona  territoriale  omogenea    La zona territoriale omogenea è un'area omogenea del territorio urbano, omogenea in quanto a standard urbanistici. La divisione del territorio in zone territoriali omogenee è uno degli strumenti fondamentali del Piano Regolatore Generale. Le zone territoriali omogenee sono principalmente 6: A, B, C, D, E, F. Il Piano Regolatore Generale può prevedere delle sotto zone (es: A1, A2...) 76  -­‐  Cos'è  un'area  CIF   Il Centro Internazionale di Formazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (CIF/OIL) è lo strumento di formazione dell'ILO, un'agenzia delle Nazioni Unite impegnata a promuovere la giustizia sociale ed il rispetto dei diritti fondamentali nel mondo del lavoro. Nell'ambito del Centro, l'Amministrazione Interna garantisce il miglior utilizzo possibile delle strutture del Campus e la manutenzione di edifici e strutture. 77  -­‐  Si  può  costruire  in  assenza  di  PRG  o  di  qualsiasi  altro  piano   Si può costruire in assenza di PRG o di qualsiasi altro piano ? È possibile purché vengano rispettati dei limiti. Tali disposizioni sono contenute nell'articolo 41 della legge 1150/1942: DENSITÀ MAX CONSENTITA NEL CENTRO ABITATO 1,5 MC/MQ DENSITÀ MAX CONSENTITA NELLE ZONE EXTRAURBANE 0,03 MC/MQ L'ALTEZZA DI UN EDIFICIO NON DEVE SUPERARE LA LARGHEZZA DEGLI SPAZI PUBBLICI O PRIVATI SU CUI ESSO PROSPETTA  78  -­‐  Riguardo  a  cosa  la  legge  Tognoli  sostituisce  la  765/1967  o  la  1150/1942  Secondo la legge 765/67 per ogni 20 mc di costruito si prevede 1 mq di parcheggi La legge Tognoli incrementa la superficie destinata a parcheggi prevedendone 1 mq per ogni 10 mc .

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79  -­‐  Cos'è  la  perequazione  urbanistica    È una sorta di baratto tra il pubblico (le disposizioni dello strumento urbanistico) e il privato (il proprietario di un terreno affetto da tali disposizioni). È un trasferimento "forzato" della proprietà da un area spesso centrale ad una di eguale valore (di mercato) in un area spesso periferica o d'espansione. 80  –  Legge  sugli  ambienti  di  lavoro    Ai fini dell’applicazione dei presenti indirizzi tecnici, i locali degli edifici di cui sopra sono così classificati: 2.1 Locali di categoria 1 - Laboratori e locali adibiti ad attività lavorativa (ambienti a destinazione d’uso industriale, artigianale, commerciale, produttivo o di servizio non ricompresi nei locali di cui alla categoria 2). - Archivi e magazzini con permanenza di addetti (locali destinati a permanenza di merci e materiali vari, utilizzati nello svolgimento di servizi logistici, commerciali o altro, dove sia prevista la permanenza di addetti). 2.2 Locali di categoria 2 - Uffici di tipo amministrativo e direzionale - Studi professionali - Sale lettura, sale riunioni - Ambulatorio aziendale/camera di medicazione. - Refettorio - Locali di riposo 2.3 Locali di categoria 3 - Spogliatoi - Servizi igienici - WC - Docce - Disimpegni - Archivi e magazzini senza permanenza di addetti, depositi (luoghi destinati a raccogliere e custodire oggetti o merci per convenienza mercantile) …..Superficie dei locali di categoria 3 Per i seguenti locali di categoria 3 devono essere rispettate le seguenti s.u. minime: = spogliatoi (quando previsti): m2 1,2 per addetto per turno, con lato minimo di m1,2 e s.u. minima di m2 4; = servizio igienico: la superficie in pianta del locale W.C. con lavabo deve esserealmeno m2 2; nel caso che il lavabo sia posto nell'antibagno, la superficie del locale W.C. può essere ridotta fino a 1 m2

con lato minimo comunque non inferiore a m 0,9. Il disimpegno con lavabo (antibagno) deve avere superficie minima di m2 1,5. Per i locali di categoria 3, accessori ad ambienti la cui destinazione d’uso prevede la produzione e manipolazione di alimenti e bevande, è fatto salvo quanto previsto dalla deliberazione del C.R. n.273 del 28/6/1994 “Regolamento locale “tipo” di igiene in materia di alimenti e bevande, in attuazione dell’art.5 della L.R. 17 ottobre 1983, n.69 come modificata con L.R.14 aprile 1990, n.48”. I servizi igienici e/o docce non devono avere accesso dai locali di categoria 1 e 2, se non attraverso disimpegno, corridoio o antibagno. Illuminazione naturale dei locali di categoria 2 I locali di categoria 2 devono essere illuminati con luce naturale proveniente da aperture attestate su spazi esterni. La superficie illuminante deve corrispondere ad almeno: = 1/8 della superficie utile del locale, se la superficie del locale è inferiore a m2 100; = 1/10 della superficie utile del locale, con un minimo di m2 12,5, se la superficie del locale è maggiore di m2 100. Come parametro di riferimento si ritiene che: = il 50% della superficie illuminante sia collocata a parete, se la restante parte è costituita da lucernai; = il 25% della superficie illuminante sia collocata a parete, se la restante parte è costituita da aperture a sheed o a lanterna. I locali di categoria 3 possono essere privi di illuminazione naturale Aerazione dei locali di categoria 2 e 3 a) Per i locali di categoria 2, le esigenze di ventilazione naturale comportano una superficie apribile attestata su spazi esterni pari a:

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= 1/8 della superficie utile del locale, se la superficie del locale è inferiore a m2 100; = 1/16 della superficie utile del locale, con un minimo di m2 12,5, se la superficie del locale è maggiore di m2 100. Come parametro di riferimento le porte comunicanti direttamente con l’esterno possono essere comprese nel computo della superficie apribile. b) Fatte salve eventuali norme specifiche, i locali di categoria 3, possono essere privi di areazione naturale ad esclusione di servizi igienici – wc e spogliatoi per i quali, in caso di superficie apribile, attestata su spazi esterni, assente o inferiore ad 1/8 della superficie utile del locale, deve essere fatto ricorso all’areazione forzata. I flussi di areazione devono essere distribuiti in modo da evitare sacche di ristagno. In caso di servizi igienici privi di areazione naturale, l'aspirazione forzata deve assicurare un coefficiente di ricambio minimo di 6 volumi ora se in espulsione continua, ovvero assicurare almeno 3 ricambi in un tempo massimo di 5 minuti per ogni utilizzazione dell'ambiente, se in aspirazione forzata intermittente a comando automatico temporizzato. 81  –  Legge  sul  risparmio  energetico    Un efficace isolamento termico deve essere in grado di contenere il calore all’interno degli edifici durante l’inverno e schermare dalla calura solare in estate. Per ridurre il flusso termico che avviene tra due ambienti a temperature differenti e migliorare le prestazioni energetiche degli edifici è necessario principalmente realizzare un involucro edilizio con una bassa trasmittanza termica, utilizzare materiali isolanti, evitare i ponti termici, verificare la tenuta all’aria e regolare la ventilazione. Il bilancio energetico tra entrate ed uscite di calore deve tendere al pareggio e il fabbisogno di energia deve mantenersi basso. Seguire la normativa italiana sul risparmio energetico e prendere piccoli accorgimenti, consente di migliorare le prestazioni di un edificio: meno sprechi, autoproduzione di energia, tecnologie più efficienti, sostituire o restaurare gli infissi obsoleti, sostituire le vecchie caldaie altre più efficienti, isolare le pareti.

LEGGE NAZIONALE 9 GENNAIO 1991, n.10 Già la legge nazionale n.10 del 1991- Norme per l’attuazione del Piano Energetico Nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili dell’energia - imponeva di verificare l’isolamento di pareti murarie e coperture per evitare dispersioni di energia e sprechi. Le fonti considerate rinnovabili sono il sole, il vento, le risorse geotermiche, l’energia idraulica, le maree e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali. Anche la cogenerazione o il calore di recupero dai fumi di scarico degli impianti termici sono considerate fonti di energia assimilabili alle fonti rinnovabili. La norma obbliga inoltre alla manutenzione degli impianti ed alla emissione di ulteriori norme attuative per la certificazione energetica degli edifici.

DECRETO LEGISLATIVO 19 AGOSTO 2005, n.192 Il 19 agosto 2005 viene emanato il D.Lgs. n.192, che recepisce la Direttiva Comunitaria 2002/91/CE relativa al rendimento energetico dell’edilizia. Anche questo decreto, come il precedente, richiede per la sua piena operatività una serie di decreti attuativi. In linea di principio la norma stabilisce criteri e modalità per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici e favorire lo sviluppo e l’integrazione delle fonti rinnovabili, disciplina la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici e i criteri generali per la certificazione energetica, invita all’ispezione periodica degli impianti di climatizzazione, che devono essere effettuate da esperti in certificazione energetica.

DECRETO LEGISLATIVO 29 DICEMBRE 2006, n.311 Successivamente il D.Lgs.n.311 – Disposizioni correttive ed integrative al Decreto Legislativo 19 Agosto 2005, n.192 – modifica ed integra il D.lgs.192/2005. Innanzitutto amplia l’ambito di intervento che ora non riguarda solo gli edifici di nuova costruzione ma anche gli impianti in essi installati, i nuovi impianti installati in edifici esistenti, le opere di ristrutturazione degli edifici e degli impianti esistenti. La 311/2006 dispone, inoltre, che per migliorare le prestazioni energetiche del proprio edificio o del proprio impianto è

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possibile accedere ad incentivi o sgravi fiscali, presentando obbligatoriamente l’attestato di certificazione energetica.

DECRETO MINISTERIALE 26 GIUGNO 2009 Nel giugno 2009 viene emanato un ulteriore decreto: Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica degli edifici. Dal 25 Luglio 2009 le Regioni prive di norme sulla certificazione energetica degli edifici dovranno seguire le linee guida nazionali, mentre le Regioni che hanno già recepito la direttiva comunitaria 2002/91/CE dovranno conservare le proprie norme, ma adeguarle a quelle nazionali.

82  –  Differenze  tra  Permesso    a  Costruire  e  S.C.I.A    art. 77 Legge Regionale Toscana 1/2005 Il permesso è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi. Il rilascio del permesso è in ogni caso subordinata alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte dei comuni dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio o all'impegno dei privati di procedere all'attuazione delle medesime contemporaneamente alle costruzioni oggetto della permesso. art. 78 Sono considerate trasformazioni urbanistiche ed edilizie soggette a permesso di costruire, in quanto incidono sulle risorse essenziali del territorio: a) gli interventi di nuova edificazione e cioè di realizzazione di nuovi manufatti edilizi diversi da quelli di cui alle lettere successive del presente articolo ed all' articolo 79 ; b) l'installazione di manufatti, anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, quali esplicitamente risultino in base alle vigenti disposizioni; c) la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria da parte di soggetti diversi dal comune; d) la realizzazione di infrastrutture e d'impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; e) la realizzazione di depositi di merci o di materiali e la realizzazione d'impianti per attività produttive all'aperto, che comporti l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato; f) gli interventi di ristrutturazione urbanistica, cioè quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico d' interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale; g) le addizioni volumetriche agli edifici esistenti non assimilate alla ristrutturazione edilizia; h) gli interventi di sostituzione edilizia intesi come demolizione e ricostruzione di volumi esistenti non assimilabili alla ristrutturazione edilizia, eseguiti anche con contestuale incremento volumetrico, diversa articolazione, collocazione e destinazione d’uso, a condizione che non si determini modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale e che non si renda necessario alcun intervento sulle opere di urbanizzazione. Art. 79 - Opere ed interventi sottoposti a SCIA 1. Sono soggetti a SCIA: a) gli interventi di cui all’articolo 78, comma 1, qualora siano specificamente disciplinati dal regolamento urbanistico di cui all’articolo 55, dai piani attuativi comunque denominati, laddove tali strumenti contengano precise disposizioni planivolumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata in base al comma 4; b) le opere di reinterro e scavo non connesse all’attività edilizia o alla conduzione dei fondi agricoli e che non riguardano cave e torbiere; c) i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili, edifici ed aree, anche in assenza di opere edilizie, nei casi individuati dalla disciplina della distribuzione e localizzazione delle funzioni di cui all’articolo 58; d) le demolizioni di edifici o di manufatti non contestuali alla ricostruzione o ad interventi di nuova

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edificazione; e) le occupazioni di suolo per esposizione o deposito di merci o materiali che non comportino trasformazione permanente del suolo stesso; f) ogni altra trasformazione che, in base alla presente legge, non sia soggetta a permesso di costruire. 2. Sono inoltre soggetti a SCIA: a) gli interventi necessari al superamento delle barriere architettoniche e all’adeguamento degli immobili per le esigenze dei disabili, anche se comportano aumento dei volumi esistenti oppure deroga agli indici di fabbricabilità; b) gli interventi di manutenzione straordinaria ossia le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti, anche strutturali, degli edifici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e che si tratti di interventi diversi da quelli disciplinati dall’articolo 80, comma 2, lettera a); detti interventi di manutenzione straordinaria non possono comportare mutamenti della destinazione d’uso; c) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, ossia quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili; tali interventi comprendono il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio; tali interventi comprendono altresì gli interventi sistematici, eseguiti mantenendo gli elementi tipologici formali e strutturali dell’organismo edilizio, volti a conseguire l’adeguamento funzionale degli edifici, ancorché recenti; d) gli interventi di ristrutturazione edilizia, ossia quelli rivolti a trasformare l’organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente; tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti; tali interventi comprendono altresì: 1) demolizioni con fedele ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con gli stessi materiali o con materiali analoghi prescritti dagli atti di cui all’articolo 52 oppure dal regolamento edilizio, nonché nella stessa collocazione e con lo stesso ingombro planivolumetrico, fatte salve esclusivamente le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica; 2) interventi di recupero dei sottotetti a fini abitativi eseguiti nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge regionale 8 febbraio 2010, n. 5 (Norme per il recupero abitativo dei sottotetti); 3) modifiche alla sagoma finalizzate alla realizzazione di addizioni funzionali agli organismi edilizi esistenti che non configurino nuovi organismi edilizi, nel limite del 20 per cento del volume esistente. Non sono computate, ai fini dell’applicazione degli indici di fabbricabilità fondiaria e territoriale, le addizioni funzionali consistenti nel rialzamento del sottotetto al fine di renderlo abitabile o nella realizzazione di servizi igienici, qualora carenti, oppure nella creazione di volumi tecnici, scale, ascensori o autorimesse pertinenziali all’interno del perimetro dei centri abitati come definito dall’articolo 55, comma 2, lettera b); e) gli interventi pertinenziali che comportano la realizzazione, all’interno del resede di riferimento, di un volume aggiuntivo non superiore al 20 per cento del volume dell’edificio principale, ivi compresa la demolizione di volumi secondari facenti parte di un medesimo organismo edilizio e la loro ricostruzione, ancorché in diversa collocazione, all’interno del resede di riferimento. Non sono computati ai fini dell’applicazione degli indici di fabbricabilità fondiaria e territoriale gli interventi consistenti nella realizzazione di autorimesse pertinenziali all’interno del perimetro dei centri abitati come definito dall’articolo 55, comma 2, lettera b). 3. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 83 bis, comma 1, sono altresì realizzabili mediante SCIA le varianti ai permessi di costruire aventi ad oggetto le opere e gli interventi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo che risultino conformi alle prescrizioni contenute nel permesso di costruire. 4. La sussistenza della specifica disciplina degli atti, di cui al comma 1, lettera a), deve risultare da un’esplicita attestazione del comune da rendersi in sede di approvazione dei nuovi strumenti o atti ovvero in sede di ricognizione di quelli vigenti, previo parere della commissione edilizia, se istituita, ovvero dell’ufficio competente in materia.

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5. Le opere e gli interventi di cui al presente articolo sono subordinati alla preventiva acquisizione degli atti di assenso comunque denominati, qualora dovuti, rilasciati dalle competenti autorità ed in particolare qualora: a) l’esecuzione delle opere interessi beni tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio; b) gli immobili interessati siano assoggettati alla disciplina di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette); c) gli immobili interessati siano assoggettati a disposizioni immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all’articolo 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, alle prescrizioni oppure alle misure di salvaguardia dei piani di bacino di cui alla parte III, titolo II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale); d) il preventivo rilascio dell’atto di assenso sia espressamente previsto e disciplinato, in attuazione della presente legge, dagli strumenti della pianificazione territoriale oppure dagli atti comunali di governo del territorio, ancorché soltanto adottati, con riferimento alle zone territoriali omogenee classificate “A” di cui al d.m. 1444/1968, o ad immobili che pur non essendo compresi fra quelli di cui alle lettere a), b), o c), siano giudicati meritevoli di analoga tutela per particolari motivi di carattere storico, culturale, architettonico od estetico.    83–  Linee  guida  Ispesl      Nei casi in cui i lavori in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, devono essere scelte attrezzature di lavoro idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure dando priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale. Qualora, ove queste misure da sole non bastino ad evitare o ridurre sufficientemente i rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, in relazione alla quota ineliminabile di rischio residuo, subentra l’obbligo del ricorso ai Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Nei lavori in quota si è esposti a rischi, sia di caduta dall’alto o strettamente connessi ad essa, sia di natura diversa in relazione alla attività specifica da svolgere e che procurano morte o lesioni al corpo o danni alla salute. Si individuano le seguenti tipologie: a) rischio prevalente di caduta a seguito di caduta dall’alto; b) rischio susseguente alla caduta derivante da: • oscillazione del corpo con urto contro ostacoli (“effetto pendolo”); • arresto del moto di caduta per effetto delle sollecitazioni trasmesse dall’imbracatura sul corpo; • sospensione inerte del corpo dell’utilizzatore che resta appeso al dispositivo di arresto caduta e da tempo di permanenza in tale posizione; c) rischio connesso al DPI anticaduta derivante da: • non perfetta adattabilità del DPI; • intralcio alla libertà dei movimenti causata dal DPI stesso; • inciampo su parti del DPI; d) rischio innescante la caduta derivante da: • insufficiente aderenza delle calzature; • insorgenza di vertigini; • abbagliamento degli occhi; • scarsa visibilità; • colpo di calore o di sole; • rapido abbassamento della temperatura; e) rischio specifico dell’attività lavorativa: • di natura meccanica (bordi spigolosi, attrezzi taglienti, caduta di oggetti, ecc.); • natura termica (scintille, fiamme libere, ecc.); • natura chimica;

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• natura elettrica; f) rischio di natura atmosferica derivante da: • vento, pioggia o ghiaccio su superfici di calpestio, ecc.  84  –  Conto  Energia    Il Quinto Conto Energia è il nuovo decreto che regolerà il sostegno, tramite le tariffe incentivanti, agli impianti fotovoltaici. Si tratta, nello specifico, dell’ultimo regime di sostegno per gli impianti fotovoltaici che, trascorsi 5 semestri, non usufruiranno più di alcun incentivo. Il nuovo regime incentivante parte dopo 45 giorni dalla data di comunicazione da parte dell’AEEG del raggiungimento della soglia di 6 miliardi di euro di costo annuo degli incentivi. Tale tetto è stato raggiunto il 12 luglio, data che segna la fine del Quarto Conto Energia e l’inizio del nuovo sistema di incentivazione. L’AEEG ha così comunicato, con apposita delibera, che il 27 agostoè la data fissata per la decorrenza del nuovo regime incentivante. A sua volta il Quinto Conto Energia cesserà dopo 30 giorni solari dal raggiungimento di un costo indicativo cumulato di 6,7 miliardi di euro l’anno, tetto che rischia di esaurirsi già prima della partenza del nuovo regime, data la “minore” convenienza del nuovo regime rispetto al precedente che ha innescato una corsa degli operatori per rientrare nel Quarto Conto Energia. Vediamo, in pillole, chi accederà direttamente al Quinto Conto Energia e chi avrà priorità di accesso ai registri. L’accesso diretto alle tariffe incentivanti, ovvero senza i vincoli del registro, avverrà per i seguenti impianti: a. impianti di potenza fino a 50 kW realizzati su edifici con moduli installati in sostituzione di coperture su cui è operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto; b. impianti di potenza non superiore a 12 kW, ivi inclusi rifacimenti e potenziamenti, che comportano un incremento della potenza dell'impianto non superiore a 12 kW; c. impianti integrati con caratteristiche innovative, o impianti realizzati da amministrazioni pubbliche, fino al raggiungimento di un costo indicativo cumulato degli incentivi di 50 ml€; d. impianti a concentrazione fino al raggiungimento di un costo indicativo cumulato degli incentivi di 50 ml€; e. impianti di potenza compresa tra 12 kW e 20 kW, ivi inclusi rifacimenti e potenziamenti, che richiedono una tariffa ridotta del 20% rispetto a quella spettante ai pari impianti iscritti al registro. Gli impianti non ricadenti fra quelli indicati precedentemente, qualora rispettino i requisiti stabiliti dal presente decreto, accedono alle tariffe incentivanti previa iscrizione in appositi registri. Per l’accesso a tali registri la priorità verrà data alle seguenti categorie: opere di bonifica dell’amianto; efficienza energetica; realizzazione con componenti principali realizzati all’interno di un Paese che membro dell’UE/SEE, realizzazione su terreni bonificati; impianti di potenza non superiore a 200 kW al servizio di attività produttive. Per lo smaltimento dell’amianto e l’utilizzo di prodotti made in UE/SEE sono inoltre stati introdotti nuovamente dei premi dedicati, che saranno corrisposti mediante la tariffa autoconsumo. 85  –  Di  cosa  tratta  la  Legge  10  del  1977  (P.P.A.)    Programmi pluriennali di Attuazione: Coordinano la realizzazione di quanto predisposto dagli strumenti pianificatori generali (P.U.C. e P.F). Assicurano che l'espansione e lo sviluppo degli insediamenti non avvenga in maniera episodica e casuale o comunque dettata da interessi privati. 86  -­‐  Definizione  di  proprietà  e  di  diritto  di  proprietà    L'art. 832 del Codice Civile definisce il Contenuto del Diritto di proprietà Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.

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l'articolo pone quindi un limite alla disposizione e godimento del bene  88-­‐  Di  cosa  trattano  gli  articoli  13,  15  e  26  della  Legge  47  del  1985  sul  primo  Condono  Edilizio    il 13 dell'"accertamento di conformità" di un'opera realizzata senza titolo abilitativo il 15 delle "Varianti in corso d'opera" il 26 delle "opere interne". oggi sono stati abrogati ma inseriti in forma più o meno identica nel dpr 380/01 88  -­‐  Differenza  tra  standards  urbanistici  e  edilizi    Limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra fabbricati nonché quantità minime di spazi ed attrezzature pubbliche e di uso collettivo in rapporto agli insediamenti residenziali e produttivi. Devono essere osservati nella redazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi e nella revisione di quelli esistenti. I limiti attinenti l'attività edilizia (anche detti "standards edilizi") ineriscono alla densità edificatoria, all'altezza degli edifici e alla distanza tra i fabbricati a seconda dell'appartenenza del lotto edificabile ad una delle diverse zone territoriali omogenee (zone A - centro storico; zona B - di completamento e così via) previste dallo strumento urbanistico generale; gli "standards urbanistici" comunemente detti attengono, invece, ai rapporti massimi tra spazi edificabili e spazi destinati ad attività collettive, verde pubblico e parcheggi, nonché al rapporto tra popolazione ed attrezzature sanitarie, ospedaliere, universitarie, parchi urbani e territoriali. A differenza degli standards edilizi, che attengono alle quantità e alle modalità dell'edificazione, gli standards urbanistici si configurano, negli strumenti urbanistici generali, come concreta individuazione di aree sottratte all'edificazione privata e riservate all'utilizzazione per scopi pubblici e sociali. Essi presuppongono, nella grande maggioranza delle ipotesi, la successiva espropriazione da parte della pubblica amministrazione e la realizzazione degli interventi per mano pubblica (per la disamina della relativa procedura si rinvia alla voce Espropriazione. Ne consegue che, una volta decorso un quinquennio dall'approvazione del PRG senza che sia stato approvato il piano particolareggiato di esecuzione, l'individuazione decade e gli immobili riacquistano una - limitata - capacità edificatoria, se esterni al perimetro del centro edificatorio, ovvero possono formare oggetto d'interventi di recupero se situati all'interno del perimetro. Sul tema della decadenza dei vincoli di PRG si rinvia alla voce Piano Regolatore Generale. 90-­‐  Nulla  Osta  Provvisorio  NOP  (Nulla  Osta  Provvisorio)    Gli enti e i privati responsabili delle attività sono tenuti a richiedere al comando l'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni o di modifiche di quelli esistenti. Il comando esamina i progetti e si pronuncia sulla conformità degli stessi alla normativa antincendio entro quarantacinque giorni dalla data di presentazione. Qualora la complessità del progetto lo richieda, il predetto termine, previa comunicazione all'interessato entro 15 giorni dalla data di presentazione del progetto, è differito al novantesimo giorno. In caso di documentazione incompleta od irregolare ovvero nel caso in cui il comando ritenga assolutamente indispensabile richiedere al soggetto interessato l'integrazione della documentazione presentata, il termine è interrotto, per una sola volta, e riprende a decorrere dalla data di ricevimento della documentazione integrativa richiesta. Ove il comando non si esprima nei termini prescritti, il progetto si intende respinto. 90  -­‐  Come  si  misura  l'altezza  degli  edifici  in  base  alla  legge  818   MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 30 novembre 1983 Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi

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Altezza ai fini antincendi degli edifici civili altezza massima misurata dal livello inferiore dell'apertura più alta dell'ultimo piano abitabile e/o agibile, escluse quelle dei vani tecnici, al livello del piano esterno più basso. 91-­‐  Cos'è  la  compartimentazione  antincendio    La compartimentazione ai fini della Prevenzione Incendi, non è altro che la suddivisione dell'edificio in aree delimitate da strutture con resistenza al fuoco predeterminata al fine di controllare e contenere la propagazione del fuoco in caso di incendio. Ad esempio, in edifici alti più di 24 m si deve realizzare una compartimentazione verticale con strutture (solai e muri) che abbiano una resistenza al fuoco di almeno 120 minuti. Ogni compartimento non deve superare i 2000 mq per piano e non devono esserci aperture tra due compartimenti contigui. Nel caso di vani scala o ascensori, questi dovranno essere opportunamente protetti e isolati rispetto agli ambienti dei piani.      92  -­‐  Cosa  significa  REI   E' un acronimo che serve ad indicare la resistenza al fuoco di un elemento costruttivo (componente o strutturale) e compare nell'Allegato A del D.M. del 30 Novembre 1983. R, indica la stabilità intesa come attitudine a conservare la resistenza meccanica sotto l'azione del fuoco; E, indica la tenuta ai fumi intesa come attitudine a non lasciare passare né produrre (se sottoposto da un lato all'azione del fuoco) vapori o gas caldi sul lato non esposto. I, indica l'isolamento termico inteso come attitudine a ridurre entro un certo limite di tempo la trasmissione di calore. I numeri che seguono la sigla stanno ad indicare i minuti di stabilità, tenuta ed isolamento termico in caso di incendio. Ad esempio REI 120 indica che i tre criteri sopra citati saranno rispettati per 120 minuti, ossia 2 ore dallo scoppio dell'incendio. 93   -­‐   Quali   devono   essere   le   norme   di   sicurezza   antincendio   per   gli   edifici   di   civile  abitazione   E' del 24 settembre scorso la lettera-circolare emanata dal Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco che ha per oggetto alcuni chiarimenti al punto 8 (Norme transitorie) del Decreto Ministeriale n. 246 del 16 maggio 1987 "Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione". Si legge sulla circolare: "Pervengono richieste di chiarimenti circa l'obbligo di prevedere l'impianto idrico antincendio fisso in edifici aventi altezza superiore a 24 metri e fino a 32 metri (edifici di tipo "b"), preesistenti alla data di entrata in vigore del D.M. 16/5/1987, n.246". Dopo una precisa motivazione la circolare conclude che "per gli edifici di tipo "b", esistenti alla data di entrata in vigore del citato decreto ed esclusi dalla precedente fattispecie, non è prescritta l'installazione di impianti idrici antincendio di tipo fisso in quanto tale misura non è contemplata tra le norme di adeguamento di cui al punto 8 dell'allegato al D.M. n. 246/1987." 94  -­‐  Come  funziona  un  filtro  a  fumo  e  quale  deve  essere  il  senso  di  apertura  delle  uscite  di  sicurezza    Un filtro a prova di fumo è un vano delimitato da strutture con resistenza al fuoco REI predeterminata,

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e comunque non inferiore a 60’, dotato di due o più porte munite di congegni di autochiusura con resistenza al fuoco REI predeterminata, e comunque non inferiore a 60’, con camino di ventilazione di sezione adeguata e comunque non inferiore a 0.10 m2 sfociante al di sopra della copertura dell’edificio, oppure vano con le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco e mantenuto in sovrappressione ad almeno 30 mbar, anche in condizioni di emergenza, oppure aerato direttamente verso l’esterno con aperture libere di superficie non inferiore a 1 m2 con esclusione di condotti.  95  -­‐  Differenza  tra  scala  protetta  e  scala  antifumo  interna   Decreto Ministeriale 30 novembre 1983 Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi SCALA PROTETTA è una scala in un vano compartimento antincendio, con accesso diretto da ogni piano, con porte di sicurezza al fuoco REI, dotate di congegno di autochiusura. SCALA ANTIFUMO INTERNA è una scala in un vano compartimento antincendio, con accesso da ogni piano attraverso un vano filtro a prova antifumo, con porte di sicurezza al fuoco REI dotate di congegno di autochiusura. 96   -­‐   Quali   sono   le   norme   antincendio   per   autorimesse   in   riferimento   al   D.M.   del   1  febbraio  1986   Decreto ministeriale 1° febbraio 1986 (G.U. n. 38 del 15 febbraio 1986) NORME DI SICUREZZA ANTINCENDI PER LA COSTRUZIONE E L'ESERCIZIO DI AUTORIMESSE E SIMILI Le norme del DM hanno per oggetto i criteri di sicurezza intesi a perseguire la tutela dell'incolumità delle persone e la preservazione dei beni contro i rischi di incendio e di panico nei luoghi destinati alla sosta, al ricovero, all'esposizione e alla riparazione di autoveicoli. Vedi D.M. 1 febbraio 1986 97  -­‐  Quali  sono  le  norme  antincendio  per  l'acciaio    Va rivestito da materiale isolante, o protetto da vernici che aumentano il tempo di esposizione al fuoco senza collassare. 98  -­‐  Cosa  dice  la  Legge  13/1989  circa  le  barriere  architettoniche    Disposizioni   per   favorire   il   superamento   e   l'eliminazione   delle   barriere   architettoniche   negli   edifici   privati   (9  gennaio  1989)  Le prime disposizioni tecniche per il superamento delle barriere architettoniche sono contenute nella Circolare Ministeriale del 19 giugno 1968, successivamente riprese ed ampliate dal D.P.R. del 27 aprile 1978 che costituisce un punto fondamentale nella disciplina della materia, soprattutto per quanto riguarda le direttive di progettazione senza barriere architettoniche negli edifici pubblici a carattere collettivo e sociale. La legge 13 del 1989 affronta le problematiche della progettazione senza barriere nell'ambito dell'edilizia residenziale, quindi negli edifici privati di nuova costruzione, negli interventi di ristrutturazione, negli spazi esterni di pertinenza e di accesso. Precedentemente le prescrizioni normative si riferivano alle opere ed agli edifici pubblici e privati “aperti al pubblico”, e poco significativamente agli interventi di edilizia residenziale pubblica. Con la legge 13 le disposizioni per favorire la fruizione degli spazi vengono estese a tutti gli edifici privati, residenziali e non, in sede di nuova costruzione o di ristrutturazione degli stessi. Il 14 giugno dello stesso anno viene emanato il D.M. 236, il Regolamento di attuazione della Legge 13/89. Viene definito, in questa occasione ed in una accezione più ampia, il concetto di "barriera architettonica" e si delineano tre livelli qualitativi di progettazione e costruzione, espressi attraverso i concetti di: accessibilità, visitabilità ed adattabilità.

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All'art. 2 del decreto 236 del 1989 si legge: a)   per   accessibilità   si   intende   la   possibilità,   anche   per   persone   con   ridotta   o   impedita   capacità   motoria   o  sensoriale,  di  raggiungere  l'edificio  e  le  sue  singole  unità  immobiliari  e  ambientali,  di  entrarvi  agevolmente  e  di  fruirne  spazi  e  attrezzature  in  condizioni  di  adeguata  sicurezza  e  autonomia.  b)  per  visitabilità  si  intende  la  possibilità,  anche  da  parte  di  persone  con  ridotta  o  impedita  capacità  motoria  o  sensoriale,  di  accedere  agli  spazi  di  relazione  e  ad  almeno  un  servizio  igienico  di  ogni  unità  immobiliare.  Sono  spazi  di  relazione  gli  spazi  di  soggiorno  o  pranzo  dell'alloggio  e  quelli  dei  luoghi  di  lavoro,  servizio  ed  incontro,  nei  quali  il  cittadino  entra  in  rapporto  con  la  funzione  ivi  svolta.  c)  per  adattabilità  si  intende  la  possibilità  di  modificare  nel  tempo  lo  spazio  costruito  a  costi  limitati,  allo  scopo  di  renderlo  completamente  ed  agevolmente  fruibile  anche  da  parte  di  persone  con  ridotta  o  impedita  capacità  motoria  o  sensoriale.  Accessibilità  (concetto  più  importante).  Un  edificio  e  le  singole  unità  immobiliari  che  lo  compongono  possono  essere   raggiunte  e  percorse  senza   limitazione  alcuna  da  una  persona  portatrice  di  handicap  che  si  muove  su  sedia  a  ruote.  All'esterno  deve  esserci  almeno  un  percorso  senza  barriere  architettoniche  (gradine  ed  ostacoli).  Negli  edifici  con  più  di  tre  piani  è  obbligatoria  l'installazione  di  un  ascensore.  Per  gli  edifici  fino  a  tre  piani  deve  essere  garantito  l'accesso  al  piano  terra  e  la  possibilità  di  una  futura  installazione  di  meccanismi  di  elevazione  per   i   piani   superiori,   qualora   se   ne   presenti   l'esigenza.   Almeno   il   5%   degli   alloggi   di   edilizia   sovvenzionata  devono  risultare  accessibili  con  un  minimo  di  1  unità  per  ogni  intervento.  Visitabilità.  Si  tratta  di  un'accessibilità  limitata  ad  alcune  parti  dell'edificio  e  delle  singole  unità  immobiliari.  Tale  requisito  si  intende  soddisfatto  quando  è  garantito  l'accesso  agli  spazi  di  soggiorno,  ad  un  servizio  igienico  e  ai  percorsi  di  collegamento.  Adattabilità.  Rappresenta   un   livello   ridotto   di   qualità,   infatti   gli   spazi   devono   essere   progettati   in  modo   tale   da   renderli  accessibili  con  poche  trasformazioni  che  abbiano  un  costo  limitato  (l'ampliamento  delle  forature  per  le  porte,  l'asportazione  di  un  bidet  per  dare  spazio  di  manovra  ad  una  carrozzella  in  un  bagno,  ecc.).  Alcune soluzioni tecniche: porte,   larghezza   minima   75   cm   e   spazi   di   manovra   adeguati;   infissi   esterni,   altezza   della   maniglia   e/o   del  dispositivo   di   comando   elettrico   compresa   tra   1,00   m   e   1,30   m;   servizi   igienici,   deve   essere   consentito  l'accostamento   laterale   alla   tazza   wc,   bidet,   vasca,   doccia,   lavatrice   e   l'accostamento   frontale   al   lavabo,  tenendo  in  conto  la  necessità  di  tutti  gli  spazi  di  manovra.  La  doccia  deve  essere  a  sedile  ribaltabile  e  dotata  di  telefono,  devono  inoltre  essere  presenti  i  maniglioni  ed  il  corrimano  per  consentire  lo  spostamento  dalla  sedia  ai   sanitari;   percorsi   orizzontali   e   corridoi,   devono  essere   larghi   almeno  1,00  m  e  avere  ogni   10  m  circa  degli  slarghi  per  consentire  l'inversione  di  manovra  con  la  sedia  a  ruote;  rampe,  non  possono  superare  un  dislivello  superiore  a  3,20  m,  larghezza  minima  di  0,90  m  o  1,50  m,  se  si  vuole  consentire  l'incrocio  di  due  persone,  ogni  10  m  ed  in  presenza  di   interruzioni  mediante  porte,   la  rampa  deve  prevedere  un  ripiano  di  dimensioni  1,50  x  1,50  m.  La  pendenza  non  può  superare   l'8%.  ascensore  di  edifici  nuovi  non  residenziali,  cabina  di  dimensioni  minime   1,40   (profondità)   x   1,10   m   (larghezza),   porta   sul   lato   corto   e   luce   netta   di   0,80   m.   Pianerottolo  antistante  minimo  di  1,50  x  1,50  m.  ascensore  di  edifici  nuovi   residenziali,   cabina  di  dimensioni  minime  1,30  (prof.)  x  0,95  (largh.),  porta  sul  lato  corto  e  luce  netta  di  0,80  m.  Pianerottolo  antistante  minimo  di  1,50  x  1,50  m.  ascensore   in  caso  di  adeguamento  di  edifici  preesistenti  dove  non  sia  possibile   l'installazione  di   cabine  di  dimensioni   superiori,   dimensioni  minime:   cabina   1,30   x   0,95  m,   porta   sul   lato   corto   e   luce   netta   di   0,80  m,  pianerottolo  antistante  minimo  1,50  x  1,50  m.  

99  -­‐  Cosa  prevede  la  normativa  per  le  costruzioni  in  zona  sismica      Le azioni sismiche imprimono alle strutture delle sollecitazioni orizzontali simili a quelle del vento. I provvedimenti da prendere per garantire la stabilità degli edifici nei confronti di tali forze variano in base al grado di sismicità della zona stabilito dalla normativa per tutto il territorio nazionale. Le Regioni tramite il D.M. 3 Marzo 1985 hanno stilato una carta Sismica Regionale con evidenziati i movimenti ed eventuali scosse delle zone del territorio. Il citato D.M. affronta quattro argomenti: Analisi   del   terreno   di   fondazione,   presa   visione   del   terreno   si   studia   il   grado   di   sismicità   in   base   alle   zone  

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evidenziate   dalla   suddetta   carta;   Tipi   di   costruzione,   edifici   in  muratura   portante,   edifici   a   pannelli   portanti,  edifici  con  strutture  intelaiate;  Azioni  sismiche,  si  basano  su  indagini  statiche  dei  movimenti  sussultori  o  ondulatori  di  ciascuna  zona;  Altezza  dei  nuovi  edifici,  vengono  imposti  dei  vincoli  sull'altezza  dei  nuovi  edifici  nelle  zone  più  colpite  per  il  rilascio  del  Nullaosta.  Per le strutture in c.a. la normativa prevede alcuni accorgimenti tecnici per garantire migliori condizioni di stabilità: la   maggiorazione   delle   sezioni   del   25%   rispetto   alle   dimensioni   ricavate   dai   calcoli,   sia   per   le   strutture   di  elevazione  che  per  le  fondazioni;  interposizione  dei  giunti  ogni  20  m  di  lunghezza  del  fabbricato;  cordoli  in  c.a.  di  collegamento  dei  plinti  da  realizzarsi  nel  punto  di  innesto  pilastro-­‐plinto;  cordoli  in  c.a.  da  realizzarsi  a  livello  di   ogni   solaio   in   corrispondenza   del   nodo   pilastro-­‐trave-­‐solaio,   estesi   a   tutto   il   perimetro   del   fabbricato.   Il  cordolo  deve  essere  anche  a   livello  del  solaio  di  gronda;  evitare   la  disposizione  di  strutture  spingenti  a   livello  della  copertura,  disponendo  cioè   i   travetti  dell'orditura  primaria  del   tetto  parallelamente  alla  pendenza  della  falda.  Per le strutture in muratura portante si devono osservare le seguenti disposizioni: gli  interassi  massimi  che  si  possono  avere  devono  essere  di  7  m;  la  rastremazione  del  muro  deve  essere  fatta  in  modo  tale  che  negli  ultimi  due  piani  ci  sia  almeno  un  muro  di  2  teste,  naturalmente  lo  spessore  del  muro  alla  base   deve   essere   rapportato   all'altezza   totale   dell'edificio;   le   finestre   non   devono   stare   ad   una   distanza  inferiore  a  1  m  dagli  angoli  dell'edificio;  le  aperture  interne  nei  muri  non  devono  avere  una  larghezza  maggiore  del   50%   della   larghezza   del  muro   stesso,   ai   lati   dell'apertura   deve   sempre   rimanere   una   lesena  maggiore   o  uguale  allo  spessore  del  muro;  a  livello  delle  fondazioni  e  in  corrispondenza  di  ogni  solaio  si  deve  realizzare  un  cordolo   in   c.a.   di   irrigidimento   lungo   tutto   il   perimetro   del   fabbricato   e   nelle  murature   interne,   la   cui   h   sia  maggiore  o  uguale  a  20  cm  e  la  larghezza  deve  essere  pari  allo  spessore  del  muro  sottostante.    100  –  Ventilazione  Meccanizzata  Controllata    La ventilazione meccanica controllata (VMC) è un sistema integrato di ventilazione che permette all’aria di accedere nell’abitazione da dispositivi collocati nelle camere e nel soggiorno, gli “ingressi aria”. Le bocchette di estrazione collocate nei locali più inquinati (bagno e cucina) provvedono a controllare il flussi di estrazione in base alle effettive necessità. Il trasferimento dell’aria dai locali camera a letto e soggiorni verso cucine e bagni avviene dal sopralzo esistente delle porte dal pavimento (0,5 cm). si può effettuare la ventilazione negli ambienti con diverse modalità: Autoregolabile La VMC autoregolabile è un sistema di ventilazione permanente a portata costante. La portata di rinnovo dell’aria viene fissata secondo la struttura dell’edificio, in funzione del volume degli ambienti. Questa tecnica permette di controllare costantemente i volumi d’aria di rinnovo. In questo modo, il rinnovo dell’aria all’interno dell’abitazione è costante e controllato tutto l’anno, in- dipendentemente dalle condizioni atmosferiche. semplicità e affidabilità per un sistema che si autoregola Igroregolabile La VMC igroregolabile è un sistema di ventilazione dotato di prese d’aria e di bocchette d’estrazione provviste di sensori meccanici per l’umidità. Questi sensori, collocati in ogni ambiente, permettono di adattare automaticamente la portata d’aria in entrata e in uscita al tasso di umidità interna. Questa rilevazione ha l’effetto di produrre una migliore qualità dell’aria evitando sprechi di energia, ventilando dove e quando occorre. Per queste caratteristiche il sistema igroregolabile è maggiormen- te utilizzato nelle abitazioni progettate con i nuovi concetti della bioedilizia. Maggiore è l’umidità, maggiore è il ricambio d’aria  101  –  Nuova  Normativa  Termica    I DECRETI LEGISLATIVI 192/2005 - 311/2006 Con tali strumenti legislativi anche l’Italia è stata chiamata all’applicazione del contenimento dei

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consumi energetici previsto dal protocollo di Kyoto, anche al settore dell’edilizia. Infatti secondo le recenti stime, l’energia impiegata nel settore delle costruzioni è pari a circa il 40% del consumo totale all’interno dell’Unione Europea. A tal fine i decreti legge introducono anche in Italia la Certificazione Energetica degli edifici che ha l’obiettivo di sensibilizzare tutti gli attori del processo edilizio in riferimento alle problematiche energetico-ambientali e introdurre il para- metro “efficienza energetica” come valore del mercato edilizio. I D.Lgs. contengono prescrizioni che riguardano edifici nuovi ed esistenti. In quest’ultimo caso le prescrizioni si articolano in funzione dell’intervento. Le verifiche imposte riguardano esclusivamente il contenimento dei consumi energetici per il riscaldamento invernale degli edifici, trascurando completamente la climatizzazione estiva, se non per il control- lo dell’inerzia termica minima delle pareti e delle coperture, che analizziamo nel seguito in dettaglio. Le verifiche sui consumi energetici invernali possono essere condotte in due modi alternativi, anche se non del tutto equivalenti: n Verifica semplificata - metodo delle trasmittanze limite: prevede il calcolo delle trasmittanze termiche U dei componenti edilizi che costituiscono l’involucro dell’edificio, e la verifica che i valori ottenuti siano inferiori ai valori limiti tabulati, in funzione delle varie soglie temporali. Per poter eseguire questa verifica devono essere rispettate alcune condizioni geometriche sull’edificio e sui rendimenti degli impianti di generazione e distribuzione del calore. n Verifica completa - metodo dell’Epi limite: prevede il calcolo dell’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale dell’intero edificio. I valori di Epi non devono essere superiori ai valori limite tabulati. Nel caso si ricorra a questo tipo di verifica, le trasmittanze degli elementi dell’involucro possono superare al massimo del 30% i valori limite tabulati. Oltre a questo tipo di verifica, i D.Lgs. 192/05 e 311/06 impongono le seguenti verifiche aggiuntive: n trasmittanza termica massima delle pareti divisorie tra unità immobiliari, pari a 0,80 W/m2K, n trasmittanza termica massima delle pareti esterne di ambienti non riscaldati, n condensazioni superficiali e interstiziali, n analisi dei ponti termici strutturali, n massa superficiale (inerzia termica elementi opachi). Come anticipato, la verifica della massa superficiale dell’involucro dell’edificio prescritta nell’Allegato I comma 9 lettera b., garantendo un minimo controllo sull’inerzia termica dell’edificio, ha la finalità di diminuire la potenza di picco degli impianti nel periodo invernale e di contenere indirettamente il ricorso alla climatizzazione estiva degli edifici. La norma prevede di verificare che (ad esclusione della zona F) per le località in cui il valore medio mensile dell’irradianza sul piano orizzontale nel mese di massima insolazione I 290W/m2: pareti opache esclusi gli intonaci (verticali, orizzontali e inclinate) sia maggiore di 230 kg/m2; n gli effetti positivi che si ottengono con il rispetto dei valori di massa superficiale delle pareti opache possono essere raggiunti, in alternativa, con l’utilizzo di tecniche e materiali, anche innovativi, che permettano di contenere le oscillazioni della temperatura degli ambienti. In merito alle modalità di verifica degli effetti positivi di un elemento costruttivo dell’involucro che non raggiunga il valore di 230 kg/mq, come finalmente chiarito dal DPR n.59 del 2 aprile 2009, è necessario riferirsi a quanto già previsto dal D.Lgs. 311/2006 nell’Allegato M, ove in merito alle VALUTAZIONI PER IL PERIODO ESTIVO è riportata la norma UNI EN ISO 13786:2001 Prestazione termica dei componenti per edilizia - Caratteristiche termiche dinamiche -Metodi di calcolo. L’esecuzione dei calcoli dinamici secondo tale norma, porta a valutare la prestazione di inerzia termica in termini di sfasamento del- l’onda termica, espresso in ore, e di fattore di attenuazione, adimensionale. Nei casi in cui il valore di sfasamento superi le 8-9 ore, dal punto di vista tecnico-energetico, la prestazione dell’elemento può essere considerata sufficiente - valori ottimali di inerzia si hanno con uno sfasamento di 10-12 o più ore. Il fattore di attenuazione limite consigliato è a 0,40.

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I più recenti regolamenti termici locali, così come anche il regola- mento attuativo del D.Lgs. 192/2005, DPR n.59 del 2 aprile 2009, per le pareti verticali opache riporta come valore limite alternativo ai 230 kg/mq, una trasmittanza termica periodica Yie (uguale al prodotto della trasmittanza termica dell’elemento per il relativo fattore di attenuazione) pari a 0,12 W/m2K. Lo stesso regolamento prevede per le chiusure opache orizzontali e inclinate (coperture) un valori limite di trasmittanza termica periodica Yie di 0,20 W/m2K. È evidente che per garantire una buona inerzia termica, è importante la massa dell’elemento quanto la conducibilità termica dello stesso, in modo da garantire una grande capa- cità di accumulo termico durante il periodo di esposizione ai raggi solari  102  -­‐  Direttiva  2010/31/UE    Edifici a “energia quasi zero”: - dal 31 dicembre 2018 per gli edifici pubblici; - dal 31 dicembre 2020 per tutti i nuovi edifici. Definizione (art. 2): Edificio ad altissima prestazione energetica. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo [...] coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili, compresa l’energia da fonti rinnovabili prodotta in loco o nelle vicinanze. 103  -­‐  Quali  sono  le  prestazioni  che  possono  essere  richieste  ad  un  architetto   1. progettazione architettonica, urbanistica, strutturale; 2. restauro architettonico; 3. consolidamenti statici; 4. stime e perizie; 5. Direzione Lavori 6. coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione o in cantiere dopo corso 494/96 (ora sostituito da DL 81/2008) di 120 ore e esperienza di cantiere (1 anno); 7. progettazione antincendio (10 anni di iscrizione o 2 se si fa il corso presso i VV.FF); 8. collaudo statico; 9. collaudo amministrativo; 10. arredatore; 11. designer; 12. insegnante; 13. Dipendente pubblico del ASL, Comune, Provincia, Catasto. 104  -­‐  Come  si  prepara  una  parcella  professionale    Per preparare una parcella ci si deve basare sui Tariffari professionali stabiliti dalla Legge 143 del 1949 che fissano dei "minimi inderogabili" a cui fare riferimento a seconda della tariffa scelta. N.B. I minimi inderogabili sono stati aboliti dal c.d. Decreto Bersani. Pertanto il calcolo della parcella professionale ha solo una funzione indicativa. Ci sono 4 tipi di tariffe: a   percentuale,   calcolata   sull'importo  delle  opere,   secondo   la   categoria  e   la  prestazione  professionale;  per   la  progettazione   si   calcola   in  base  al  Computo  Metrico  Estimativo,  per   la  Direzione  dei   Lavori   si   calcola   in  base  all'importo   dei   lavori   a   consuntivo;   a   vacazione,   calcolata   in   base   al   tempo   che   si   impiega   a   svolgere   un  incarico;  a  quantità,  calcolata  in  base  alla  produzione  ripetitiva  dei  beni,  molto  usata  nel  campo  del  design  industriale;  a  discrezione,   calcolata   sul   confronto   di   casi   analoghi,   generalmente   per   "consulenze"   e   nei   rapporti   del  professionista  con  la  Committenza  Privata.  Le tabelle da consultare sono la A e B per l'incarico parziale, la A e A1 per l'incarico totale, sempre dopo la conoscenza della Classe e Categoria dell'immobile e l'importo delle opere.

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Da aggiungere all'onorario c'è il rimborso spese che può essere di due tipi da stabilire con il Committente: analitico,  con  documentazione  di  tutte  le  spese  sostenute;  a  forfait,  in  percentuale  rispetto  all'onorario  totale  (10%  -­‐  40%).  Per la progettazione di opere edilizie ripetitive (case a schiera, cellula tipo, ecc.) verrà pagato al progettista il progetto della singola unità e per le unità successive e che si ripetono, l'onorario sarà diminuito ad 1/5 o ad 1/2. L'onorario per prestazioni d'urgenza viene incrementato del 25%, mentre quello in sedi disagiate del 50%. Per le prestazioni urbanistiche valgono i tariffari della Circolare Ministeriale 6679 dei LL.PP. del 1969, in cui i tipi di onorari variano a seconda della prestazione urbanistica. In genere l'importo è determinato dalla somma dei compensi relativi sia all'area interessata dal piano che alle volumetrie esistenti e da progetto, con l'applicazione di coefficienti decrescenti all'aumentare della superficie. Per superfici maggiori di 100 h. l'onorario è a discrezione. Dati  parcella  1.   professionista:   nome   cognome   qualifica,   recapito,   CF   e   P   IVA;   2.   data   emissione   notula(parcella)   e   n°  progressivo   3.   committente:   nome   cognome   o   rag.   soc.   cliente,   indirizzo,   CF   o   P   IVA;   4.   rif.   tariffa   e  aggiornamenti  ministeriali,  prestazioni  compiute,  tipo  di  onorario,  quantificazione  onorario  accessori,  e  spese;  5.  contributo  cassa  nazionale  previdenza,  IVA  applicata,  totale  spettante  in  lettere.    105  -­‐  Che  cosa  si  intende  per  "parcella  a  percentuale"  e  come  si  calcola    La parcella a percentuale è un tipo di tariffa professionale che per le prestazioni architettoniche prevede il calcolo dell'onorario in percentuale all'importo delle opere progettate, secondo la categoria e la prestazione professionale. Per poter determinare l'onorario bisogna conoscere: - l'esatta classificazione dell'opera in base alla classe e alla categoria (tabella A); -l'ammontare dell'appalto, a consuntivo dell'opera eseguita o l'importo presunto in caso di sola progettazione; -le prestazioni effettuate dal professionista (tabella B). Queste possono riguardare l'intero processo produttivo dell'opera o soltanto alcune fasi, cioè delle prestazioni parziali; 106  -­‐  Direttore  dei  Lavori      Il Direttore dei Lavori deve tutelare gli interessi della Committenza nei confronti dell'impresa e di terzi, controllando la buona riuscita delle opere in tutte le fasi del loro svolgersi. Le mansioni svolte dal Direttore dei Lavori riguardano diversi aspetti del processo operativo: aspetto  tecnico,  consiste  nella  migliore  realizzazione  delle  opere  progettate;  aspetto  amministrativo,  consiste  nella   verifica   del   rispetto   delle   norme   contrattuali   e   dei   capitolati;   aspetto   contabile,   consiste   nel   continuo  controllo  per  la  misurazione  e  valutazione  dei  lavori  da  un  punto  di  vista  economico.  Per adempiere ai suoi doveri, il Direttore dei Lavori deve compilare durante lo svolgimento dell'opera stessa tutta una serie di documenti tecnici e contabili, a cui si aggiungono i verbali, le disposizioni, le relazioni aggiuntive, i certificati necessari per far rispettare i termini e le disposizioni contrattuali. I principali documenti che il D.d.L. deve tenere per conto della Committenza sono: Manuale  del  D.d.L.:  agenda  in  cui  sono  annotate,  in  ordine  cronologico,  le  varie  circostanze  che  possono  aver  influito   sull'andamento   tecnico   ed   economico   del   lavoro;   Giornale   dei   Lavori:   contiene   la   cronistoria   del  cantiere,  l'ordine  ed  il  modo  con  cui  progrediscono  i  lavori,  il  numero  di  operai,  i  macchinari  usati,  le  condizioni  metereologiche.  Normalmente  è  redatto  dall'Assistente  dei  Lavori,  un  tecnico  di  fiducia  del  D.d.L.;  Libretti  delle  Misure:  contiene  la  registrazione  della  quantità  dei  lavori  svolti  e  la  descrizione  della  qualità  degli  stessi.  Le  misurazioni  vengono  riportate  a  corpo  e  a  misura,  spesso  affiancate  da  disegni  esplicativi;  Liste   settimanali   degli   operai   e   delle   provviste:   vi   sono   riportate   le   giornate   degli   operai,   i   noli   dei   mezzi  d'opera,   le  provviste  fornite  dall'Appaltatore  in  base  al  Capitolato,  ecc.;  Registro  di  Contabilità:  è  il  quaderno  delle  misure  (prese  dal  Libretto  delle  Misure)  per  i  prezzi  unitari.  Contiene  anche  le  riserve  dell'Appaltatore  e  deve   essere   firmato   anche   da   quest'ultimo   oltre   che   dal   D.d.L.;   E'   senz'altro   il   più   importante   in   assoluto   e  

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rappresenta  il  documento  cardine  su  cui  ruota  tutta  la  contabilità.  Il  registro  di  contabilità  serve  per  procedere  all'emissione  di  uno  stato  di  avanzamento   lavori  e  relativo  certificato  di  pagamento.  Vi  si  annotano   le  riserve  dell'appaltatore.  Stati  di  Avanzamento  dei  Lavori:  fornisce  il  quadro  tecnico-­‐economico  dei  lavori  alla  scadenza  di  ogni  rata  d'acconto  prevista  dal  Capitolato  Speciale;  Certificati  di  Pagamento:  è  il  documento  che  autorizza  i  pagamenti  all'impresa  come  da  contratto;  Registro  dei  Pagamenti:   riepilogo  di  tutti   i  pagamenti  effettuati  all'Impresa  dall'inizio  alla  fine.  Permette   il  confronto  tra   il  prezzo  totale  del  realizzato  e  la  spesa  preventivata;  Conto  Finale:  non  è  altro  che  l'ultimo  Stato  di  Avanzamento  Lavori  dove  viene  riportato  tutto  ciò  che  a  livello  contabile  è  intervenuto  nel  processo  produttivo.    107  -­‐  Verbali    Consegna   dei   Lavori;   Sospensione   dei   Lavori   (e   Ripresa   dei   Lavori);   Certificato   di   Ultimazione   Lavori;   Esame  delle   Riserve   formulate   dall'Impresa;   Emissione   di   Ordini   di   Servizio   per   la   corretta   gestione   del   cantiere;  Valutazione  della  necessità  di  Varianti  al  contratto  per  cui  redigere  perizie  supplettive;  Valutazione  di  possibili  revisioni  dei  prezzi  contrattuali,  ecc.    108  -­‐  Chi  dà  l'incarico  al  Direttore  dei  Lavori   In campo amministrativo e penale sono fondamentali le disposizioni dell’art.6 della legge 47/1985, nel testo modificato dal DL 146/1985 che si trascrive di seguito: “Il titolare della concessione, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché – unitamente al Direttore dei lavori – a quelle della concessione a edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. Essi sono altresì tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”. Il Direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, con esclusione delle varianti in corso d’opera di cui all’art.15, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunica- zione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla concessione, il Direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all’incarico conte- stualmente alla comunicazione resa al sindaco. In caso contrario il sindaco segnala al Consiglio dell’Ordine professionale la violazione in cui è incorso il Direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall’Albo professionale da 3 mesi a 2 anni”. 109  -­‐  Capitolato  Generale  dello  Stato    Il Capitolato Generale dello Stato è uno strumento, valido su tutto il territorio nazionale, che regola i rapporti tra committente ed appaltatore, attraverso una serie di norme (a cui bisogna riferirsi nella compilazione dei Capitolati Speciali) obbligatorie per l'esecuzione di ogni processo produttivo che riguardano: Capo I, aggiudicazione dei lavori; Capo II, esecuzione dei lavori; Capo III, pagamenti all'appaltatore; Capo IV, collaudo dei lavori; Capo V, disposizioni riguardanti eventuali scioglimenti del contratto; Capo VI, definizione di eventuali controversie. 110  -­‐  Capitolato  Speciale  d'Appalto   Il Capitolato Speciale è un documento che regola i rapporti tra il Direttore dei Lavori e l'Appaltatore. Deve essere compilato per ogni lavoro dal progettista dell'opera e viene a costituire parte integrante di tutti gli elaborati, grafici e non, necessari alla realizzazione dell'opera stessa. Vengono esaminati gli

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aspetti fondamentali dei lavori: oggetto ed importo descrizione dell'opera importo complessivo incidenza di ogni fase di lavorazione. 111  -­‐  Come  funziona  il  contratto  d'appalto    È il documento che regola i rapporti tra la committenza e l'appaltatore il quale si impegna a seguito di un corrispettivo in denaro, ad eseguire i lavori con organizzazione di mezzi necessari e a proprio rischio. Si registra con il contratto l'avvenuto pagamento della cauzione definitiva che il Capitolato Generale fissa pari al 5% dell'importo contrattuale e il Capitolato Speciale può elevare fino al 10%. Fanno parte del contratto il Capitolato Speciale ed il progetto esecutivo. È prevista sempre nel contratto la possibilità che l'appaltatore affidi ad un'altra ditta la realizzazione di una parte dei lavori, pur rimanendo unico responsabile nei confronti del Committente, oppure la possibilità, per l'Appaltatore di trasferire l'intero contratto ad un'altra ditta, in tal caso si tratta di cessione d'appalto ed il nuovo appaltatore si sostituisce al cedente in tutti gli oneri e i diritti nei confronti del committente. 112  -­‐  Con  quale  procedura  il  Direttore  dei  Lavori  effettua  i  pagamenti  all'impresa    I pagamenti per i lavori eseguiti vengono versati all'impresa a scadenze prestabilite in sede di contratto o in base a delle date o in base ad un certo importo raggiunto. Il Direttore dei Lavori riporta la situazione amministrativa dei lavori eseguiti nel Registro di Contabilità, seguendo l'ordine cronologico delle diverse fase lavorative, quando si è raggiunto un certo importo o dopo un certo periodo, come stabilito dal Capitolato Speciale, deve essere emesso uno "Stato di Avanzamento dei Lavori" (S.A.L.) dove vengono riportate le quantità e gli importi delle opere eseguite, nonché l'acconto da corrispondere all'impresa. Approvato lo S.A.L., si emette il Certificato di Pagamento con il quale si autorizza ufficialmente il pagamento all'impresa. 113  -­‐  Cosa  sono  le  "riserve"    Le riserve non sono altro che possibili contestazioni sollevate dall'imprenditore che esegue l'opera riguardo alla contabilità dei lavori, quando ci siano delle discordanze rispetto a quanto stabilito dal Capitolato d'Appalto in relazione ai criteri di misurazione, all'interpretazione nell'applicazione dei prezzi o ad altre voci del Capitolato Speciale d'Appalto. Tali riserve devono essere riportate nel Registro di Contabilità (pena la loro non validità), dove il Direttore dei Lavori conteggia le misure per i prezzi unitari contemporaneamente allo svolgimento dei lavori stessi, e presentate in occasione della redazione degli Stati di Avanzamento dei Lavori. È compito sempre del Direttore dei Lavori prendere atto delle riserve presentare dall'impresa e valutare caso per caso se accettarle o respingerle. Le riserve possono essere presentate dall'appaltatore fino al momento della presentazione del Conto Finale dei Lavori. Le riserve devono essere esplicitate sempre nel termine di 15 giorni e confermate nel conto finale, pena la loro decadenza. 114  -­‐  Dove  si  stabiliscono  gli  Stati  di  Avanzamento  dei  Lavori   Si stabiliscono in sede contrattuale e vengono riportati nel Capitolato Speciale d'Appalto. Gli acconti possono essere suddivisi in funzione di intervalli di tempo prestabiliti (uno Stato di Avanzamento dei Lavori ogni 3 mesi) oppure in funzione di un importo prestabilito (uno S.A.L. ogni 50 mila euro di lavori eseguiti). 115-­‐  Chi  effettua  le  perizie  di  variante  e  a  chi  vengono  mandate  

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Il Direttore dei Lavori effettua la perizia di variante ogni qual volta si rende necessaria, durante l'esecuzione dei lavori, una variazione di spesa rispetto a quanto era stato preventivato, dovuta nella maggior parte dei casi alla necessità di interventi non prevedibili allo stato iniziale dei lavori. Le perizie vengono poi sottoposte ai Committente che deve dare il suo benestare alla variante e alla successiva continuazione dei lavori. 116  -­‐  A  cosa  serve  il  computo  metrico    Il computo metrico serve a determinare, prima della realizzazione, il costo di costruzione dell'intervento, sulla base di un progetto esecutivo e di specifici prezzari, forniti per le diverse zone dalle associazioni professionali, Camera di Commercio, Industria e Artigianato, dalle Regioni. Nella stesura del Computo devono considerarsi tutti i tipi di lavori da eseguire, le quantità e i prezzi ad essi relativi e sommare gli importi parziali per avere l'ammontare del costo totale. La stesura del computo metrico viene eseguita generalmente dall'impresa che deve fare un'offerta per aggiudicarsi i lavori. 117  -­‐  Cosa  contiene  il  Verbale  di  Consegna  dei  Lavori    Il Verbale di Consegna dei Lavori fa parte dei documenti che devono essere compilati dal Direttore dei Lavori e serve a stabilire ufficialmente la data di inizio dei lavori a partire dalla quale decorrono i tempi di esecuzione dell'opera in base a quanto stabilito dal Capitolato Speciale allegato al contratto.  118  -­‐  Come  funziona  una  gara  d'appalto    I modi fondamentali di indire una gara d'appalto sono: a) L'asta pubblica a cui possono partecipare tutte le imprese in possesso dei requisiti richiesti dal bando d'appalto per lavori pubblici. L'aggiudicazione avviene in base all'offerta più economica nel tipo di gara in corso, che può essere ad "offerta di prezzo", cioè si aggiudica i lavori l'impresa che propone il prezzo minimo in valore assoluto oppure ad "offerta a ribasso" quando viene fissato un prezzo a base d'asta e si aggiudica i lavori l'impresa che propone il maggior ribasso in percentuale sul valore stabilito. Lo svolgimento della gara si svolge in un'unica tornata che comprende redazione e pubblicazione del bando, ... dell'incanto, aggiudicazione. b) Licitazione privata è uno dei modi più diffusi di appaltare lavori e si riferisce alla legge n.14 del 2 febbraio 1973. Il committente sia pubblico che privato effettua una scelta delle imprese che a suo giudizio offrono le maggiori garanzie di professionalità, le quali possono partecipare solo dietro uno specifico invito. Successivamente i lavoro sono affidati all'impresa che propone l'offerta migliore rispetto ai valori della base d'asta. c) Trattativa privata è il modo che offre maggiore libertà sia nella scelta ... sia nella definizione dell'importo dei lavori. È usata molto spesso dalla committenza privata ed eccezionalmente da quella pubblica che vi ricorre solo in condizioni di lavori particolari. d) L'appalto-concorso è la forma più complessa di affidamento dei lavori, si può considerare simile alla licitazione privata per quanto riguarda la limitazione del numero di imprese partecipanti che devono essere specificatamente invitate, ma differente da un punto di vista economico, in quanto l'aggiudicazione prescinde dal prezzo più conveniente. Infatti in questo caso la natura economica dell'offerta non costituisce l'elemento fondamentale, ma viene valutata unitamente all'aspetto qualitativo delle prestazioni da appaltare, considerando nel loro complesso le caratteristiche professionali dell'impresa, la quale è chiamata ad elaborare il progetto e verrà coinvolta tecnicamente nell'iniziativa. La commissione esaminatrice si troverà a dover scegliere tra una serie di proposte progettuali molto diverse, per idee, soluzioni adottate, costi, strutture e caratteristiche estetiche e la scelta sarà determinata sulla basi di parametri precisi per confrontare i rapporti qualità-funzione e qualità- prezzo. e) La concessione è una forma meno usata perché si addice soltanto a lavori di notevole entità, consiste

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nell'affidamento dei lavori da parte della pubblica amministrazione ad altro ente pubblico o privato che può provvedere direttamente all'esecuzione dell'opera o gestire l'operazione facendo eseguire i lavori ad altri mediante appalto. La legge 80/1987 stabilisce di poter ricorrere alla concessione soltanto per opere di importi superiori ai 20 miliardi di lire. Con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M:) del 1988 sono stati indicati i requisiti minimi di carattere economico, finanziario, tecnico-organizzativo che devono avere le imprese, nonché i criteri di selezione delle stesse. La concessione è basata sulla stipula di una Convenzione-Tipo con il concessionario, in base alla quale quest'ultimo si impegna a provvedere agli studi preliminari, al conseguimento delle autorizzazioni necessarie e a tutte le pratiche burocratiche per poter procedere all'esecuzione dei lavori. Quando un ente pubblico può ricorrere alla trattativa privata Vi ricorre in circostanze particolari, quando ad esempio si debbano svolgere dei lavori con una certa urgenza e si vogliano eliminare i tempi, relativamente lunghi, delle altre forme di appalto, oppure quando le caratteristiche dell'opera da eseguire, necessitino di un'impresa specializzata e qualificata per eseguirle, oppure anche per altri generi di lavori, purché l'importo complessivo corrisponda ad una cifra inferiore ai 300 milioni di lire. Le nuove disposizioni contenute nella "Legge Quadro" (art. 24) hanno eliminato la limitazione dell'utilizzabilità di questo tipo di appalto unicamente per lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria, nei casi di urgenza, laddove si devono ripristinare opere già esistenti, danneggiate o rese inutilizzabili da eventi imprevedibili di natura pericolosa. Sono confermate invece le disposizioni precedenti per il ricorso a tale procedura: scelta dell'impresa qualificata per quel tipo di opera; realizzazione di lotti successivi; utilizzo generale per importi fino a 300 milioni di lire. Quali sono i tipi d'appalto Si distinguono quattro tipi di appalto: Appalto a corpo o a forfait. Si presenta quando il compenso dell'imprenditore è fissato invariabilmente in base alle parametrazioni risultanti dal contratto, l'importo totale dell'opera viene stabilito a monte del progetto, ciò significa che a volte per rispettare l'importo contrattuale si effettuano poche varianti ai lavori durante la loro esecuzione, infatti in caso di modifiche al contratto l'appalto a corpo non risulta elastico e la direzione dei lavori deve tenere una contabilità in aumento ed una in detrazione rispetto all'ammontare dell'importo stabilito. Per tale motivo è indispensabile una dettagliata elaborazione del progetto esecutivo. È l'appalto preferito dalla committenza privata che si ... da eventuali rischi derivanti da lavori a consuntivo. Appalto a misura. Il credito dell'imprenditore nell'appalto a misura viene computato in funzione della quantità di lavoro effettivamente svolto rispetto alle singole categorie di lavori; in base ai singoli prezzi unitari si determina il credito dell'imprenditore. Lavori in economia Si ha quando il Committente partecipa direttamente all'esecuzione dell'opera, assumendo le vesti del Direttore dei Lavori. Viene normalmente usato per lavori di limitata entità e difficoltà 52  tali da poter essere gestiti dallo stesso committente che provvede direttamente all'acquisto dei materiali necessari, al noleggio delle attrezzature, all'impiego della manodopera. L'appalto misto è una forma di contratto in cui coesistono varie categorie di opere per ciascuna delle quali si stabilisce una differente retribuzione: a corpo, a misura e in economia. Si può avere ad esempio che le strutture di un fabbricato vengano retribuite a corpo "vuoto per pieno", mentre le opere di fondazione vengano valutate a misura. 119-­‐  Qual  è  la  differenza  tra  il  progetto  di  preliminare,  definitivo  ed  esecutivo    Il progetto preliminare rappresenta il primo dei tre livelli di definizione nella stesura di un progetto definiti dalla normativa italiana. Esso "stabilisce i profili e le caratteristiche più significative degli elaborati dei successivi livelli di progettazione" in funzione del tipo di intervento. Esso si compone di vari elementi, la cui presenza è tuttavia lasciata a discrezione del responsabile unico del procedimento, che ne valuta la necessità: relazione illustrativa; relazione tecnica; studio di

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prefattibilità ambientale; indagini geologiche, idrogeologiche ed archeologiche preliminari; planimetria generale e schemi grafici; prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani di sicurezza; calcolo sommario della spesa. Nel caso in cui il progetto debba essere posto a base di gara per concessioni di lavori pubblici o appalti dovrà contenere ulteriore documentazione. Il progetto definitivo "contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio della concessione edilizia, dell'accertamento di conformità urbanistica o di altro atto equivalente". Rappresentando la fase successiva al progetto preliminare, è redatto sulla base delle indicazioni contenute in quest'ultimo, e delinea gli aspetti fondamentali del progetto esecutivo. Esso comprende: una relazione descrittiva; le relazioni geologica, geotecnica, idrologica, idraulica e sismica; le relazioni tecniche specialistiche; i rilievi planoaltimetrici e lo studio di inserimento urbanistico; gli elaborati grafici; se previsto, studio di impatto ambientale o studio di fattibilità ambientale; calcoli preliminari di strutture ed impianti; disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici; piano particellare di esproprio; computo metrico estimativo; quadro economico. Se il progetto è posto a base di gara, invece del disciplinare descrittivo e prestazionale è presente un capitolato speciale d'appalto ed uno schema di contratto, in cui è anche indicata la sede e i tempi di redazione del progetto esecutivo. Il progetto esecutivo rappresenta la terza ed ultima delle fasi in cui è comunemente suddiviso un progetto e la sua stesura. Esso rappresenta l'ingegnerizzazione di tutti gli interventi previsti nelle precedenti fasi di progettazione in ogni particolare, rappresentando così la fase tecnicamente più definita dell'intera progettazione. Da esso risulta esclusa solo la progettazione del cantiere e delle relative opere provvisorie. Il progetto esecutivo è redatto sulla base delle direttive fornite dal progetto definitivo e si compone dei seguenti elementi: una relazione generale; le relazioni specialistiche; gli elaborati grafici, anche quelli relativi alle strutture, agli impianti ed alle opere di risanamento ambientale; i calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti; i piani di manutenzione dell'opera nel suo complesso e nelle parti di cui è composto; i piani di sicurezza e coordinamento; il computo metrico estimativo definitivo ed il quadro economico; il cronoprogramma dei lavori; elenco dei prezzi unitari ed eventuali analisi; il quadro dell'incidenza di manodopera per le diverse categorie di cui si compone la lavorazione; lo schema di contratto ed un capitolato speciale d'appalto. 120-­‐  Come  si  effettua  il  collaudo    Si distinguono due tipi di collaudo: quello statico e quello amministrativo obbligatorio per la Committenza Pubblica, facoltativo per quella privata. Non si può evitare di sottoporre l'opera al collaudo statico (Legge n.1086 del 5/11/1972). Il collaudo amministrativo non è altro che la verifica di tutti i requisiti qualitativi e quantitativi dell'opera realizzata rispetto quanto era stato stabilito nel Capitolato Speciale d'Appalto. Il collaudo statico invece consiste nella verifica delle strutture attraverso le prove di carico dei solai, la verifica delle dimensioni dei vari elementi strutturali in c.a. che devono essere uguali a quelle previste dai calcoli, il controllo delle sezioni e della qualità dei tondini di acciaio usati per le armature, ecc. L'incarico per il collaudo spetta ad un tecnico di fiducia della Committenza che non sia né il Progettista né il Direttore dei Lavori dell'opera realizzata. Per quanto concerne il collaudo statico l'impresa deve mettere a disposizione del collaudatore alcuni operai e mezzi necessari allo scopo. Dopo aver verificato la regolare esecuzione dei lavori, il collaudatore redige il Verbale di Collaudo. Per quanto concerne il collaudo amministrativo il ... redige una Relazione Segreta... Ci sono dei casi in cui non è obbligatorio il collaudo, ad esempio, per le opere pubbliche si possono distinguere tre categorie in base all'importo della spesa sostenuta per realizzarle: per  importi  fino  a  500  milioni  di  lire  non  è  previsto  il  collaudo,  è  sufficiente  il  Certificato  di  Regolare  Esecuzione  dei  Lavori,  che  deve  essere  compilato  dal  Direttore  dei  Lavori;  per  importi  compresi  tra  i  500  milioni  di  lire  ed  un  miliardo  di  lire  il  collaudo  è  facoltativo;  per  importi  superiori  ad  un  miliardo  il  collaudo  è  obbligatorio.  Nuove disposizioni introdotte dalla "Legge Quadro"

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il collaudo va eseguito entro 6 mesi dalla dati di ultimazione dei lavori, il Certificato di Collaudo ha ora carattere provvisorio e assume valore definitivo, automaticamente, solo dopo due anni e due mesi dalla sua emissione; durante il periodo di provvisorietà, l'appaltatore deve rispondere per difformità e vizi dell'opera riconoscibili, purché tempestivamente denunciati dal titolare dei lavori stessi; i collaudatori sono tecnici nominati dall'amministrazione nell'ambito delle proprie strutture, salvo casi di carenza di organico. 121  -­‐  Nuove  Norme  Tecniche  per  le  Costruzioni    Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 4 febbraio 2008 - Suppl. Ordinario n. 30 Il testo del Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008 Indice Generale Cap. 01 Premessa e oggetto delle norme Cap. 02 SICUREZZA E PRESTAZIONI ATTESE individua i principi fondamentali per la valutazione della sicurezza, definendo altresì gli Stati Limite Ultimi (SLU) e gli Stati Limite di Esercizio (SLE) per i quali devono essere effettuate le opportune verifiche sulle opere; introduce, inoltre, i concetti di Vita nominale di progetto, Classi d’uso e Vita di riferimento delle opere; classifica, infine, le possibili azioni agenti sulle costruzioni ed indica le diverse combinazioni delle stesse e le verifiche da eseguire Cap. 03 AZIONI SULLE COSTRUZIONI codifica i modelli per la descrizione delle azioni agenti sulle strutture (pesi e carichi permanenti, sovraccarichi variabili, azione sismica, azioni del vento, azioni della neve, azioni della temperatura, azioni eccezionali). Cap. 04 COSTRUZIONI CIVILI E INDUSTRIALI tratta le diverse tipologie di costruzioni civili ed industriali in funzione del materiale utilizzato (calcestruzzo, acciaio, legno, muratura, altri materiali). Cap. 05 PONTI disciplina i criteri generali e le indicazioni tecniche per la progettazione e l’esecuzione dei ponti stradali e ferroviari. Per i ponti stradali, oltre alle principali caratteristiche geometriche, definisce le diverse possibili azioni agenti, con i diversi schemi di carico per quanto attiene le azioni variabili da traffico. Per i ponti ferroviari particolare attenzione è posta sui carichi ed i relativi effetti dinamici. Particolari e dettagliate prescrizioni sono, poi, fornite per le verifiche, sia agli SLU che agli SLE. Cap. 06 PROGETTAZIONE GEOTECNICA tratta il problema della progettazione geotecnica distinguendo, in particolare, il progetto e la realizzazione: - delle opere di fondazione; - delle opere di sostegno; - delle opere in sotterraneo; - delle opere e manufatti di materiali sciolti naturali; - dei fronti di scavo; - del miglioramento e rinforzo dei terreni e degli ammassi rocciosi; - del consolidamento dei terreni interessanti opere esistenti, nonché la valutazione della sicurezza dei pendii e la fattibilità di opere che hanno riflessi su grandi aree. Nell’articolazione del progetto vengono introdotte, distintamente, la modellazione geologica e la modellazione geotecnica del sito i cui metodi e risultati delle indagini devono essere esaurientemente esposti e commentati, rispettivamente, nella “relazione geologica” e nella “relazione geotecnica”. Dopo le indicazioni relative alle verifiche agli stati limite, si fa un breve ma significativo cenno al metodo osservazionale ed al monitoraggio del complesso opera-terreno. E’ introdotto, infine, un importante paragrafo sui tiranti di ancoraggio, con le relative verifiche, regole di realizzazione e prove di carico. Cap. 07 PROGETTAZIONE PER AZIONI SISMICHE tratta la progettazione in presenza di azioni sismiche ed introduce un importante paragrafo riguardante esplicitamente i criteri generali di progettazione e modellazione delle strutture, per la evidente riconosciuta importanza che assume nella progettazione la corretta modellazione delle strutture, anche in relazione all’ormai inevitabile impiego dei programmi automatici di calcolo. Nel paragrafo inerente i metodi di analisi ed i criteri di verifica, viene opportunamente trattata, accanto a quella lineare, l’analisi non lineare. Sono, poi, fornite le disposizioni per il calcolo e le verifiche delle diverse tipologie di strutture (cemento armato, acciaio, miste acciaio-calcestruzzo, legno, muratura, ponti, opere e sistemi geotecnica). Cap. 08 COSTRUZIONI ESISTENTI

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affronta il delicato problema della costruzioni esistenti; dopo i criteri generali sulle diverse tipologie di edifici e le variabili che consentono di definirne lo stato di conservazione, introduce la distinzione fondamentale dei tre diversi tipi di intervento che possono essere effettuati su una costruzione esistente: - interventi di adeguamento, atti a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle NTC; - interventi di miglioramento, atti ad aumentare la sicurezza strutturale esistente pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalle NTC; - riparazioni o interventi locali, che interessino elementi isolati e che comunque comportino un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti. Un ulteriore importante paragrafo riporta le disposizioni per la progettazione degli interventi in presenza di azioni sismiche nelle diverse tipologie di edifici. Cap. 09 COLLAUDO STATICO riporta le prescrizioni generali relative al collaudo statico delle opere e le responsabilità del collaudatore. Indicazioni sono fornite sulle prove di carico, con particolare attenzione alle prove di carico su strutture prefabbricate e ponti. Cap. 10 REDAZIONE DEI PROGETTI STRUTTURALI ESECUTIVI E DELLE RELAZIONI DI CALCOLO tratta le regole generali per la redazione dei progetti strutturali e delle relazioni di calcolo, ovvero della completezza della documentazione che caratterizza un buon progetto esecutivo. Qualora l’analisi strutturale e le relative verifiche siano condotte con l’ausilio di codici di calcolo automatico, un apposito paragrafo indica al progettista i controlli da effettuare sull’affidabilità dei codici utilizzati e l’attendibilità dei risultati ottenuti. Cap. 11 MATERIALI E PRODOTTI PER USO STRUTTURALE completa i contenuti tecnici delle norme fornendo le regole di qualificazione, certificazione ed accettazione dei materiali e prodotti per uso strutturale, rese coerenti con le procedure consolidate del Servizio Tecnico Centrale e del Consiglio Superiore e le disposizioni comunitarie in materia. Cap. 12 RIFERIMENTI TECNICI infine, segnala a titolo indicativo, alcuni dei più diffusi documenti tecnici che possono essere utilizzati in mancanza di specifiche indicazioni, a integrazione delle norme in esame e per quanto con esse non in contrasto.