Dolore e Sedazione 2012

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Dolore e Sedazione

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8.1 Definizione

L’Associazione Internazionale per lo Studio delDolore (IAPS) definisce il dolore come una “espe-rienza sensoriale ed emozionale spiacevole asso-ciata a un danno reale o potenziale del tessuto odescritta in termini di tale danno”. Il dolore èanche un’esperienza psicologica complessa, nellaquale i meccanismi cognitivi e affettivi sono spes-so non meno importanti del danno tissutale.

8.2 Caratteristiche anatomo-funzionali dell’età pediatrica

Il bambino è un paziente particolare, in continuacrescita ed evoluzione per gli aspetti sia cognitivi,relazionali ed emozionali, che funzionali.

I sistemi che regolano la nocicezione presenta-no durante lo sviluppo alcune peculiarità anato-mo-funzionali :• dalla 23a settimana di età gestazionale il siste-

ma nocicettivo è anatomicamente e funzional-mente pronto alla percezione del dolore;

• le prime fibre spino-talamiche si formano apartire dalla 22a settimana e le connessionitalamo-corticali verso la 24a settimana;

• dalla 30a settimana, le cellule della sostanzagelatinosa del midollo, che ricevono informa-

zioni dalle fibre C non mielinizzate, completa-no l’organizzazione in struttura laminare dellecorna dorsali;

• i recettori per gli oppioidi sono presenti giàprima della nascita;

• i neurotrasmettitori e i neuromodulatori impli-cati nelle vie del dolore raggiungono picchi diconcentrazione nel periodo perinatale, il pepti-de calcitonina gene-correlato (CGRP), la soma-tostatina, la sostanza P sono presenti nellecorna dorsali del midollo spinale dall’8a-10a

settimana di vita fetale;• alcuni neurotrasmettitori inibitori della tra-

smissione dolorosa vengono invece espressi inepoca postnatale;

• quanto minore è l’età gestazionale, tanto mag-giore è la sensibilità del neonato allo stimolodoloroso, per l’immaturità funzionale dei siste-mi discendenti inibitori che nelle età successi-ve controlleranno e moduleranno la trasmissio-ne nocicettiva [1];

• nel neonato la soglia al dolore diminuisce rapi-damente dopo stimolazioni algogene ripetute,per l’instaurarsi di una situazione di prolunga-ta ipersensibilità locale e centrale [2]; la reite-razione dello stimolo porta a forme di “ricordoscritto” e può sconfinare nel dolore cronico;

• la memoria di esperienze dolorose esiste giànei primi giorni di vita; sono dimostrate leconseguenze a lungo termine di un dolore nontrattato in età neonatale-pediatrica, a livello siafisico che psico-comportamentale [3];

• i processi coinvolti nella nocicezione sono neiprimi mesi di vita estremamente plastici emodulabili [4]. I bambini tra 1 e 2 anni non riescono a localiz-

zare il dolore o a esprimere la sua intensità; più alungo rimane la difficoltà nel descrivere la qualità

Dolore e sedazione

Maria Cristina Mondardini, Simonetta Baroncini8

M.C. Mondardini (�)Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Baroncini,Dipartimento Salute della donna, del bambino e dell’adolescente,Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

81L. Mirabile, S. Baroncini (eds), Rianimazione in età pediatrica, © Springer-Verlag Italia 2012

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del dolore; tale capacità si acquisterà solo con losviluppo cognitivo e del linguaggio.

In età neonatale-pediatrica la risposta endocri-no-metabolica al dolore e allo stress non trattati èvalutata 3-4 volte maggiore rispetto alle età suc-cessive.

8.3 Strategie comportamentali per ilbambino ricoverato in area critica

Analgesia e sedazione adeguate debbono essereassicurate al paziente ricoverato in rianimazionepediatrica; sono parte integrante delle cure inten-sive da offrire al paziente.

È indispensabile prevenire e controllare l’espo-sizione del bambino a dolore e stress attraverso:• identificazione delle fonti di dolore e stress:

procedure diagnostiche, terapeutiche o chirur-giche; ambiente estraneo, con elementi di dis-turbo come rumori e luci; lontananza dei geni-tori;

• trattamento, stilando un piano terapeutico perogni paziente, regolarmente revisionato [5],che preveda interventi farmacologici e non far-macologici assicurando un buon livello dianalgosedazione, in particolare durante la ven-tilazione meccanica;

• valutazione dell’efficacia del trattamento attra-verso la misurazione del dolore e del livello disedazione; valutazione della comparsa di effetticollaterali come la dipendenza e la tolleranza.

8.3.1 Trattamento

Dal momento dell’ingresso in rianimazione, ognipaziente, nel rispetto delle specifiche esigenze cli-nico-diagnostiche, deve ricevere un trattamentoanalgesico-sedativo programmato secondo unalgoritmo il cui ordine è determinato dal grado diadeguatezza del trattamento stesso.• Interventi non farmacologici: sono in grado di

agire sulla componente affettivo-psicologicadel dolore, cioè ansia e paura, migliorando ilcomfort. Sono rivolti a correggere fattoriambientali stressogeni (luci e rumori) e pro-muovono una maggiore attenzione al piccolopaziente e alla famiglia.

È auspicabile aprire la rianimazione alla pre-senza dei genitori, potenziare la comunicazione,l’ascolto e il coinvolgimento.

Le tecniche utilizzabili dipendono dall’età equindi dalla fase del ciclo evolutivo del paziente,ma non solo, essendo condizionate dallo stato cli-nico e dalla contemporanea somministrazione ditrattamenti farmacologici.

Al contatto fisico con tecniche di contenimen-to posturale e massaggio potranno aggiungersi,con l’acquisizione di competenze cognitivo-psico-logiche, tecniche di rilassamento e di distrazione.

Il nursing deve applicare i principi del gentle-handling e del minimal-handling, rispettando iritmi di sonno e pianificando l’esecuzione dellemanovre potenzialmente algiche.• Interventi farmacologici: prevedono l’uso di

analgesici oppioidi (Cap. 66), non oppioidi(Cap. 67), soprattutto in associazione con iprimi, e di ipnotico-sedativi (Cap. 68). Sonoattualmente proposti trattamenti adiuvanti conα2 agonisti e N-metil-D-aspartato (NMDA)antagonisti, con una evidenza clinica non anco-ra completamente accertata.Sicuramente utile può essere il contributo degli

anestetici locali, a partire dall’applicazione topicadella preparazione EMLA prima di proceduredolorose, fino all’infusione in continuo tramitecatetere peridurale o blocco nervoso perifericocontinuo, grazie soprattutto alla maggiore sicurez-za delle nuove generazioni di anestetici localicome ropivacaina e levobupivacaina.

8.3.2 Valutazione

Accanto alle risposte fisiologiche al dolore, comel’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria edella pressione arteriosa e intracranica, e alla com-parsa di alterazioni ormonali, metaboliche e immu-nitarie, esistono risposte comportamentali allo sti-molo doloroso diverse a seconda dell’età:• il neonato risponde con un riflesso semplice di

retrazione, o movimenti del volto, aggrotta lesopracciglia, strizza gli occhi, stira la bocca;

• la risposta del lattante è più complessa e orien-tata, con allontanamento non solo dell’arto, madi un’estesa parte del corpo;

• il bambino, in quanto sviluppa processi cogni-

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tivi, è capace di anticipazione ed è in grado direagire con varie strategie, non più solo com-portamentali (decision making).Rispecchiando queste differenze, la misura del

dolore in età pediatrica si avvale di scale diverseper fasce di età.

Le scale del dolore nel bambino sono di duecategorie: osservazionali o self-report; mentre lescale osservazionali si basano sulla valutazionedelle risposte comportamentali e fisiologiche, inquelle self-report è il piccolo paziente a dichiara-re l’intensità del suo dolore, esprimendone cosìanche la quota affettiva.

Fra le scale self-report nominiamo la FacesPain Scale (Wong-Baker Faces Pain) e la VisualAnalogue Scale (VAS) [6], la prima utilizzabile dai4 anni di età, la seconda dai 7 anni; queste scale,richiedendo la piena collaborazione da parte delbambino, non sono sempre applicabili in ambitointensivo.

Più appropriate alla valutazione del dolore delpaziente in rianimazione sono le scale osservazio-nali:• la Premature Infant Pain Profile (PIPP) [7] per

i neonati, la Objective Pain Scale (OPS) [8] peri lattanti, la Children’s Hospital of EasternOntario Pain Scale (CHEOPS) [9] e la FacesLegs Activity Cry and Consolability (FLACC)[10] per i bambini. La valutazione del livello di sedazione utilizza

sistemi di punteggio come la Comfort Scale (Fig. 8.1),la Comfort Behavioural Scale, in cui vengonoesclusi i parametri fisiologici della frequenza car-diaca e della pressione arteriosa, o la StateBehavioral Scale (SBS).

Sono state proposte tecniche strumentali dimonitoraggio neurofisiologico, il Bispectral Index(BIS) [11], o i Potenziali Evocati Uditivi (MLAEP),alla ricerca di dati sempre più precisi, non inficia-ti dalla soggettività dell’osservatore o da condi-zioni “inesplorabili”, come in caso di sedazionefarmacologica profonda o blocco neuromuscolare.I limiti di questi strumenti non consentono almomento la loro validazione in ambito pediatrico.

Queste scale devono essere somministrateseguendo particolari norme e rispettando i tempidi osservazione. Gli intervalli di somministrazionesono in genere di 4-6 ore, ma possono variare inbase alle condizioni cliniche del paziente. La

misura ottenuta è utile per modulare la terapia edevitare tanto la sovrastima [12,13] quanto la sotto-stima [14,15] degli apporti farmacologici, garanti-re la massima sicurezza e identificare precoce-mente la comparsa di effetti conseguenti ai tratta-menti protratti.

8.4 Tolleranza, dipendenza e astinenza

8.4.1 Introduzione

I cambiamenti nella pratica clinica, conseguenti airisultati degli studi che hanno dimostrato i vantag-gi, anche a lungo termine, della terapia analgesicae sedativa, hanno fatto emergere nel tempo dueproblematiche importanti: tolleranza e astinenza.Conoscerle è indispensabile per riconoscerle etrattarle, ma ciò non deve avvenire a scapito del-l’uso degli analgesici e dei sedativi ai dosaggi piùadeguati alle esigenze cliniche del paziente.

Uno degli effetti conseguenti alla ripetuta eprolungata somministrazione di analgesici oppioi-di e di sedativi è lo sviluppo della tolleranza: l’ef-ficacia farmacologica si riduce e la dose richiestaper raggiungere gli stessi risultati aumenta. Sitratta di una tolleranza farmacodinamica conse-guente all’adattamento cellulare al farmaco, i cuicomplessi meccanismi cellulari e molecolari sonoancora, in parte, da chiarire.

8.4.2 Tolleranza

Intorno alla metà degli anni ’70 si pensava che latolleranza e la dipendenza potessero essere spie-gate in termini di perdita di recettori endogeni disuperficie degli oppioidi, desensibilizzazione deirecettori, antagonismo funzionale. Non avendoevidenziato consistenti variazioni riguardo airecettori, la ricerca si è poi indirizzata “oltre” ilrecettore, focalizzandosi sulle possibili modifica-zioni nelle vie metaboliche della trasduzione delsegnale postrecettoriale.

La prolungata esposizione al farmaco incre-menterebbe l’accoppiamento con il bersaglio pro-teico proteina G stimolatoria (Gs), determinandouna sovraregolazione dei sistemi enzimatici ade-

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nosinmonofosfato ciclico (cAMP) e protein-chi-nasi A (PKA), implicati nella regolazione dellatrasmissione sinaptica.

Mentre la somministrazione a breve terminedegli oppioidi coinvolge la proteina G inibitoria(Gi), con effetto inibitorio downregulation sul

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Fig. 8.1 COMFORT Scale: valutazione dello stato di sedazione (punteggio tra 17 e 26 indica analgo-sedazione adeguata)

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cAMP e sulla PKA, quella a lungo termine ha uneffetto opposto, upregulation, e gradualmente riat-tiva questi sistemi. L’induzione dell’adenilciclasie della PKA porta ad aumento della durata delpotenziale d’azione del neurone e aumento delrilascio di neurotrasmettitori, di conseguenza l’ef-fetto analgesico si riduce [16].

Il meccanismo alla base dell’upregulationdipenderebbe da diversi fattori, tra cui il fattore ditrascrizione proteico cAMP Response Element-Binding (CREB), la cui fosforilazione, in genereinibita dagli oppioidi, aumenta in corso di tratta-mento cronico.

L’espressione di questi fenomeni è estrema-mente variabile da individuo a individuo, mostran-do, almeno in parte, una base genetica; una partedei geni responsabili è stata identificata e spieghe-rebbero pure le differenze interindividuali nellanecessità di analgesici, osservata tra i pazienti.

Fattori farmaco-correlati e paziente-correlati,inoltre, influiscono sullo sviluppo e sulla rapiditàdi comparsa della tolleranza: • la durata dell’occupazione del recettore, legata

alla somministrazione in continuo piuttostoche a boli intermittenti;

• l’uso di oppioidi sintetici, con una maggioreaffinità al recettore;

• la quantità di farmaco utilizzata;• la prematurità (per le condizioni farmacocine-

tiche specifiche di questi pazienti).I pazienti prematuri metabolizzano la morfina

principalmente nella forma morfina-3-glucuronide(M3G), che ha proprietà proalgiche; nel nato a ter-mine e nelle età maggiori il maggior metabolita èla morfina-6-glucuronide (M6G), che ha proprietàanalgesiche; entrambi i metaboliti hanno un’emi-vita più lunga del loro composto d’origine. Il gra-duale accumulo di M3G può determinare antago-nismo degli effetti della morfina e accelerare lacomparsa di tolleranza.

Anche l’utilizzo prolungato di benzodiazepineporta allo sviluppo di tolleranza; questo fenomenopresenta caratteristiche diverse in termini ditempo di comparsa e intensità, a seconda dell’ef-fetto valutato: è maggiore per l’effetto anticonvul-sivante e sedativo-ipnotico, rispetto all’effettoansiolitico.

8.4.2.1 Strategie terapeutiche Per prevenire lo sviluppo della tolleranza o rallen-tare la sua comparsa sono state proposte strategiefarmacologiche e procedurali, ma per nessuna diqueste, al momento, esiste evidenza di efficaciaclinicamente accertata.

Il trattamento analgesico e sedativo deve esse-re somministrato sempre alla dose utile in queldeterminato momento, la dose va modulata e tito-lata in modo attivo, attraverso la valutazione clini-ca, applicando le scale di misurazione del dolore edella sedazione per evitare dosaggi insufficientima anche sovradosaggi inutili, che possono acce-lerare la comparsa di tolleranza.

Le strategie non farmacologiche, precedente-mente descritte, mirate al miglioramento del com-fort, possono ridurre il bisogno di analgesici esedativi, e in questo modo contribuire al rallenta-mento del processo.

Al fine di ritardare lo sviluppo di tolleranza èproposta la rotazione dei farmaci [17,18] a inter-valli regolari, in genere settimanalmente o almanifestarsi di segni di necessità di aumentare ladose. Il presupposto teorico della rotazione è lega-to all’importanza dell’occupazione recettorialenello sviluppo della tolleranza.

Nel passaggio da un farmaco a un altro occor-re tener conto della diversa potenza e utilizzare letabelle di conversione (Cap. 66). Studi sulla tolle-ranza da oppioidi nell’adulto con cancro hannoevidenziato che, a trattamento iniziato, il cambiofra un oppioide e un altro comporta effetti analge-sici più forti di quanto prevedibile dalle tabelle diequipotenza; questo fenomeno, noto come incom-plete cross-tolerance, potrebbe giustificare l’uti-lizzo iniziale di dosi non perfettamente corrispon-denti a quelle equipotenti.

Recentemente, nel paziente adulto, sono statiutilizzati protocolli che prevedono un’interruzionegiornaliera della somministrazione, un intervallo-finestra di sospensione fino al risveglio del pazien-te, fino a che non diventi in grado di eseguire ordi-ni elementari [19]. In questo modo non solo dimi-nuirebbe la dose cumulativa del farmaco, ma siassisterebbe a una riduzione del tempo di ventila-zione e della durata del ricovero in rianimazione.

Le difficoltà di applicazione di questa strategianel paziente pediatrico dipendono dal rischio diassistere a risvegli con agitazione ed episodi di

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auto-estubazione: è stato proposto allora solo unalleggerimento quotidiano [12].

L’approfondimento delle conoscenze dei mec-canismi molecolari e cellulari alla base della tolle-ranza [20] ha dato inizio alla sperimentazione ditrattamenti farmacologici adiuvanti: • infusione parallela di NMDA antagonisti [4]:

ketamina a basse dosi, dextromethorphan,amantadine; dati sperimentali supportano ilruolo dei recettori NMDA nello sviluppo dellatolleranza e l’efficacia degli antagonistiNMDA nella prevenzione;

• concomitante somministrazione di un oppioideantagonista: naloxone a basse dosi [21];

• uso di inibitori dell’ossido-nitrico sintetasi(NOS).

8.4.3 Dipendenza

Quando il trattamento è prolungato, può instaurar-si una condizione di dipendenza: uno stato di alte-razione fisiologica che determina la necessità dicontinuare la somministrazione dei farmaci perevitare la comparsa delle crisi di astinenza.

È una forma di dipendenza fisica, diversa daquella psicologica in cui l’esigenza della sostanzadipende dall’effetto euforico che produce, e diver-sa pure dalla tossicodipendenza, che vede un usoripetuto e compulsivo accompagnato frequente-mente da comportamenti antisociali o criminali econ un’alta incidenza di ricaduta dopo trattamento.

I genitori dei piccoli pazienti sottoposti a tera-pia analgesica e sedativa prolungata vanno infor-mati in modo adeguato sulle problematiche delladipendenza fisica e sulla necessità di un tratta-mento per controllare e prevenire l’astinenza, unavolta programmata la sospensione di questi farma-ci: è necessario spiegare loro la differenza fradipendenza fisica e tossicodipendenza, rassicuran-doli sull’evoluzione e sulla prognosi.

Dipendenza fisica è stata registrata dopo l’usodi oppioidi, benzodiazepine, barbiturici, ketami-na, propofol, isoflurane.

Alle variazioni del trattamento, come un’im-portante riduzione del dosaggio o una bruscainterruzione, il paziente può presentare un insiemedi sintomi e segni clinici che configurano la sin-drome da astinenza.

8.4.4 Astinenza

Il meccanismo molecolare alla base di questofenomeno è sempre legato alla sovraregolazionedella via metabolica del cAMP, all’iperattivazionedei recettori accoppiati alla proteina Gs e deirecettori aminoacidi eccitatori.

Aumenta il rilascio di neurotrasmettitori ecci-tatori a livello del Sistema nervoso centrale(SNC), con attivazione del Sistema reticolareascendente e dei centri del Sistema nervoso sim-patico, come il locus coeruleus: si assiste a unincremento dell’attività simpatica e dell’eccitabi-lità neurologica.

Le manifestazioni cliniche della sindrome daastinenza coinvolgono il SNC, l’apparato gastro-enterico e il sistema nervoso simpatico.

Segni di attivazione del SNC sono: irritabilità,riduzione del sonno con impoverimento del pat-tern, iperriflessività tendinea profonda, ipertono,incapacità di concentrazione, delirio, allucinazio-ni visive e uditive, alterazione dei movimenti (tre-mori, cloni, atassia, movimenti coreo-atetosici,convulsioni). Nel neonato sono presenti pianto“acuto”, che gli anglosassoni definiscono high-pitched, e accentuazione del riflesso di Moro.

Le disfunzioni dell’apparato gastro-entericoconsistono in vomito, diarrea, inappetenza, rista-gno gastrico, difficoltà di suzione e deglutizione.

L’iperrisposta adrenergica si presenta contachicardia, ipertensione, tachipnea, piloerezione,sbadigli, starnuti, sudorazione e rialzo termico.

Essendo tutti sintomi non specifici, in caso dicomparsa è necessario escludere in prima istanzatutte le condizioni patologiche che possono causa-re alterazioni analoghe: la diagnosi di astinenza èin definitiva una diagnosi di esclusione; il ricoveroin ambiente intensivo può da solo essere causa dialterazioni psicologico-comportamentali. Altri far-maci possono indurre effetti collaterali simili: ami-nofillina o alte dosi di cortisone, per esempio, pos-sono accompagnarsi ad agitazione e insonnia.

Il primo passo nella formulazione di strategiedi prevenzione di questo problema è l’identifica-zione del paziente a rischio e questo rischio, comeclinicamente dimostrato, si correla alla dosecumulativa e alla durata del trattamento.

In caso di trattamento con fentanyl: una dosecumulativa uguale o maggiore a 1,5 mg/kg o un

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tempo di somministrazione di 5 giorni pone ilpaziente al 50% di rischio di sviluppare astinenza,il rischio sale al 100% se la dose cumulativa è di2,5 mg/kg o il tempo di somministrazione di 9giorni [22].

Per il midazolam una dose cumulativa uguale omaggiore a 60 mg/kg si associa in modo statistica-mente significativo a comparsa di astinenza allasospensione [23].

Nella pratica clinica segni e sintomi da sospen-sione di oppiacei o di benzodiazepine si sovrap-pongono, perché, quasi costantemente, queste dueclassi di farmaci sono somministrate insieme;risulta quindi difficile separare e ascrivere i sinto-mi specificatamente all’uno o all’altro dei farmaci.

I sintomi possono insorgere precocemente, se sitratta di farmaci con emivita breve, o a distanza digiorni dalla sospensione, se si tratta di farmaci alunga emivita o con metaboliti attivi. Un ritardonella comparsa dei sintomi si può osservare neipazienti con alterazioni della funzionalità epaticae/o renale.

La registrazione di una crisi di astinenzarichiede un trattamento efficace e urgente per evi-tare le dannose conseguenze psicologiche e limi-tare la sofferenza associata a questa condizione; iltrattamento prevede la somministrazione endove-nosa di una dose rescue del farmaco in sospensio-ne, l’impiego di terapia specifica in caso di con-vulsioni e l’interruzione temporanea del program-ma di riduzione scalare delle infusioni.

Si attende la stabilità clinica prima di riprende-re il programma di sospensione.

Nella terapia della sindrome d’astinenza odurante il programma di di svezzamento è indica-to l’uso di α2 agonisti.

8.4.4.1 Strategie terapeutichePer prevenire la sindrome da astinenza, il pazien-te a rischio deve seguire un programma di svezza-mento, che andrà costruito “su misura” e modula-to sull’andamento clinico e sulla risposta allevariazioni terapeutiche.

Il goal durante lo svezzamento dai farmaci èmantenere i parametri psico-fisiologici del pazien-te uguali a quelli registrati prima del periodo disvezzamento [24].

Al momento non esiste un programma di svez-zamento ideale, efficace e sicuro, basato su evi-

denze cliniche sistematicamente testate. È sicuramente necessario procedere con una

sospensione lenta e graduale, riducendo giornal-mente i dosaggi del 10-20%. La riduzione simul-tanea di analgesici e sedativi accelera il program-ma di svezzamento ma rende più difficile, in casodi manifestazioni di astinenza, l’identificazionedel farmaco responsabile. I limiti di questa moda-lità di sospensione sono prevalentemente di duetipi: essa obbliga al mantenimento di un accessovenoso e comporta un prolungamento del ricoveroin ambiente intensivo.

La conoscenza dei meccanismi alla base del-l’astinenza ha portato all’introduzione degli ago-nisti α2 adrenocettori, la clonidina e la dexmede-tomidina [25], nel trattamento dei sintomi dellasindrome d’astinenza o per accelerare il processodi detossificazione [26], prevenendo la comparsadelle crisi.

Strategie cliniche ampiamente descritte preve-dono la conversione del principio attivo utilizzatocon un altro appartenente alla stessa classe farma-cologica, ma con caratteristiche farmacocinetichee farmacodinamiche differenti, per esempio un’e-mivita più lunga, insieme alla variazione della viadi somministrazione, cioè l’utilizzazione della viaenterale, sottocutanea o transcutanea [5]. In que-sto modo il programma di sospensione potrebbeessere completato anche al di fuori dell’ambienteintensivo.

Il metadone, per alcune sue proprietà, è unodegli oppioidi più comunemente utilizzati in corsodi conversione anche se, in linea teorica, tutti glioppioidi a uso enterale potrebbero essere utilizza-ti. È un oppioide sintetico a lunga emivita e buonabiodisponibilità orale, agonista μ recettore, anta-gonista NMDA recettore, e può essere usato doposomministrazione prolungata di qualsiasi oppioideagonista.

La dose ottimale di metadone da utilizzare incorso di conversione non è stata però accertata: lamaggior parte degli esperti calcola una dose equi-valente, sulla base della differenza di potenza e diemivita rispetto all’oppioide usato, tenendo contoanche della biodisponibilità orale. La revisionedella letteratura vede cronologicamente un conti-nuo modificarsi della dose proposta: l’inizialeposologia di 0,1 mg/kg da ripetersi 2-4 volte algiorno, proposta da Tobias nel 1990 [27], è stata

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successivamente modificata dall’autore stesso,che nel 2000 [28] suggerisce una quantità giorna-liera di metadone in milligrammi uguale a quelladi fentanyl. Per altri autori la dose equivalente dimetadone si ottiene moltiplicando la dose giorna-liera di fentanyl in milligrammi per 2,4 [29,30].Gli intervalli di somministrazione variano fra le 8e le 12 ore. L’utilizzo della dose equivalentepotrebbe però, nel contesto del paziente critico inetà pediatrica, assegnare un dosaggio sovrastima-to, non necessario, perché non tiene conto dellepossibili variazioni farmacocinetiche correlatealla condizione clinica [31].

La conversione può avvenire gradualmente, conun meccanismo di embricatura fra i due farmaci,prevedendo la sospensione del fentanyl dopo laquarta somministrazione di metadone; le prime dosidi metadone possono essere somministrate per viavenosa, con più rapido e sicuro raggiungimento diuna concentrazione sierica adeguata.

Anche nel programma di sospensione della seda-zione con benzodiazepine è prevista la possibilità diconvertire il farmaco in uso con un altro a emivitapiù lunga, somministrabile per via enterale.

La dose della nuova benzodiazepina è pure cal-colata sulla base delle differenze di emivita e dipotenza. Nel programma di sospensione del mida-zolam si può prevedere la conversione con loraze-pam: per calcolare la dose equivalente di lorazepamsi dividono i milligrammi giornalieri di midazolamsomministrati per un fattore di conversione uguale a12, calcolato sulla base della potenza del lorazepam,doppia rispetto al midazolam moltiplicata per la suaemivita, 6 volte più lunga [28]. Gli intervalli disomministrazione sono in genere di 6 ore.

Anche in questo caso si possono embricare idue farmaci, sospendendo il midazolam dopo laquarta somministrazione di lorazepam.

Il periodo della sospensione dei farmaci seda-tivi e analgesici rappresenta indiscutibilmente undelicato momento nel processo di guarigione delpaziente, ed è importante che sia stabilmentecoadiuvato dall’applicazione delle tecniche nonfarmacologiche utili a contenere il disagio.

8.4.4.2 Scale di valutazione Durante il programma di sospensione dei farmaciil paziente deve essere regolarmente valutato.

Gli strumenti di monitoraggio principalmentein uso sono sistemi di punteggio che registrano lapresenza di sintomi e segni clinici quantificando-li, in modo da valutare l’entità del problema.

Per lungo tempo si è ricorsi al sistema di pun-teggio sviluppato da Finnegan nel 1975, per i neo-nati da madre tossicodipendente, il NeonatalAbstinence Score (NAS) [32] (Fig. 8.2).

Più recentemente sono state proposte altre scale:nel 2004 Cunliffe ha proposto la SedationWithdrawal Score [18] e, nello stesso anno, Franck[33] ha proposto la Opioid and BenzodiazepineWithdrawal Scale (OBWS) [34]; successivamente,nel 2008, la stessa autrice elabora una nuova scala apartire dalla precedente, riducendone gli item, e pro-pone la Withdrawal Assessment Tool-Version 1(WAT-1).

Sempre nel 2008 Ista pubblica la SophiaBenzodiazepine and Opioid Withdrawal Checkliste(SBOWC) [35], e l’anno successivo, 2009, la SophiaObservation Withdrawal Symptoms-scale (SOS)[36], riducendo gli item da 24 a 15.

La valutazione del paziente con la scala SOSrichiede 2 minuti di osservazione, mentre la WAT-1 richiede approssimativamente 7 minuti.

La scala prescelta deve essere applicata rego-larmente nel corso della giornata; il monitoraggiova intensificato se compaiono segni di astinenza ecomunque proseguito fino a tre giorni dal terminedel programma di sospensione.

La registrazione di un valore oltre il limite sta-bilito per quella scala può riflettere la presenza diastinenza, ma può anche dipendere da altre cause:per agevolare la diagnosi differenziale è stato sug-gerito di intensificare le rilevazioni, se dopo 3registrazioni distanziate di 2 ore l’una dall’altra ilvalore rimane alto si può ragionevolmente parlaredi crisi di astinenza [30].

In corso di crisi di astinenza la comparsa disintomi neurologici più gravi, come clonie o con-vulsioni, prevede l’impiego di terapia specifica.

Mantenere l’infusione delle benzodiazepinedurante il programma di sospensione degli oppioi-di, o somministrare clonidina, può prevenire lacomparsa dei sintomi neurologici maggiori e con-trastare l’agitazione e l’irrequietezza.

Si attende la stabilità clinica prima di riprende-re il programma di sospensione.

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M.C. Mondardini, S. Baroncini90