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DOCUMENTO MINISTERIALE “LA BUONA

SCUOLA”

MARIO FRACCARO

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Il giudizio complessivo, ad una prima lettura, è positivo

Si affronta il problema della scuola italiana con un coraggiosa

impostazione innovativa, senza timore di contestare luoghi comuni,

stereotipi e zone di caccia riservate (come quelle tradizionalmente delegate

dai politici al Sindacato).

– Si chiude – almeno nelle intenzioni – il cinquantennale

tormentone della graduatoria nazionale dei precari (oggi chiamata ad

esaurimento), nell’intento lodevole di vincere una partita che tanti danni ha

fatto alla scuola e alla stessa immagine degli insegnanti.

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Il giudizio complessivo, ad una prima lettura, è positivo

– Si cerca di dare stabilità al corpo docente, tentando di frenare (“almeno tre anni”) una

mobilità patologica, che impedisce a molte scuole di sviluppare una propria identità

professionale e culturale (il cosiddetto “effetto istituto).

– Si riafferma con forza il diritto del Governo e del Parlamento – della “politica” in sostanza

– di riappropriarsi della definizione del nuovo stato giuridico dei docenti, a cominciare

dal ridisegno dei criteri della carriera economica. Si decreta così la fine dell’esperienza

fallimentare della contrattualizzazione del rapporto di lavoro avviata nel 1995.

– Si definisce – anche se in maniera ancora troppo “modesta” – lo sviluppo professionale

(il docente “mentor”), la carriera retributiva (non solo per anzianità) e la valutazione

dei docenti attraverso un sistema di crediti didattici, formativi e professionali (introduzione del

portfolio)

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La “buona scuola” in sei capitoli

1)assumere tutti i docenti di cui la scuola ha bisogno

2)le nuove opportunità per tutti i docenti. Formazione e

carriera nella nuova scuola

3)la vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura,

burocrazia zero

4)ripensare ciò che si impara a scuola

5)fondata sul lavoro

6)le risorse per la buona scuola, pubbliche e private. Il piano scuola del Governo è presentato in modo suggestivo: tratta del sistema di reclutamento

per concorso pubblico, alla creazione dell’organico funzionale, alla reintroduzione del tempo

pieno al sistema di valutazione, allo sfoltimento delle pratiche burocratiche e al rilancio

dell’autonomia.

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Riportiamo di seguito una sintesi dei capitoli del Rapporto sulla

Buona Scuola presentato dal Governo, al fine di mettere in

evidenza punti di interesse e di criticità rilevabili nelle proposte

contenute nel documento della buona scuola.

Capitolo 1 - Assumere tutti i docenti di cui la scuola ha bisogno (pagg. 11-42)

Lo svuotamento delle GAE, oltre a dare una risposta alle legittime aspettative dei precari, permetterà di

attivare procedure di reclutamento certe e costanti nel tempo attraverso i concorsi ordinari.

Nel piano, però, molte questioni sono lasciate in ombra ed è urgente nella sua realizzazione siano

esplicitate.. E’ necessario approfondire la sorte della terza fascia d’istituto alla quale, in assenza di

sufficienti docenti abilitati, si dovrà ricorrere per almeno alcuni anni. In questo senso è opportuno

prevedere, nelle future procedure abilitanti, una valorizzazione dell’esperienza lavorativa per non

sperperare professionalità che negli anni si sono impegnate per il buon andamento della scuola.

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Capitolo 2 - Formazione e carriera docenti (pagg. 43-60)

La proposta è quella di “ripensare la carriera dei docenti, per introdurre elementi di

differenziazione basati sul riconoscimento di impegni e meriti oltre che degli anni trascorsi

dall’immissione in ruolo”. Ci si muove esclusivamente sul terreno salariale, riconoscendo

periodicamente (ogni 3 anni) “scatti di competenza” legati all’impegno e alla qualità

delle prestazioni e una retribuzione accessoria e variabile annuale per lo svolgimento di

attività aggiuntive e di progetti legati a funzioni obiettivo o per competenze specifiche. I primi

(scatti di competenza) vengono riconosciuti al 66% dei docenti e finanziati con fondi

tratti dagli attuali scatti automatici di anzianità; la retribuzione accessoria viene invece

finanziata dal Fondo d’Istituto. L’individuazione del 66% dei beneficiari è

genericamente demandata a un Nucleo di Valutazione di cui al momento risultano del

tutto incerti i criteri di costituzione e le modalità di funzionamento, né si chiarisce se

si tratti di un organismo interno (come l’attuale Comitato per la valutazione) o esterno

(come definito dal recente Regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione);

ugualmente imprecisato il ruolo del Dirigente Scolastico.

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Capitolo 3 - La vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura,

burocrazia (pagg. 61-86)

AUTONOMIA Occorre realizzare pienamente l’autonomia scolastica. Ciò significa quattro cose:

- Non c’è vera autonomia senza responsabilità. E non c’è responsabilità senza valutazione.

- Le scuole saranno aiutate e valutate su questo a costruire il proprio progetto di

miglioramento, partendo da un coinvolgimento sempre più significativo dei docenti e degli

studenti

- Ogni scuola deve poter schierare la miglior squadra possibile.

- I dirigenti scolastici potranno scegliere tra i docenti coloro che coordinano le attività di

innovazione didattica, la valutazione o l’orientamento e premiarne, anche economicamente,

l’impegno.

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Capitolo 3 - La vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura,

burocrazia (pagg. 61-86)

VALUTAZIONE DI ISTITUTO Il sistema Nazionale di Valutazione (DPR 80/13) sarà reso operativo dall’a.s. 2015/2016 per

tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie. E’ fin troppo evidente lo sforzo degli

estensori del testo governativo di utilizzare una terminologia positiva e

rassicurante. Valutare il sistema è necessario, ma occorre ispirarsi all’Europa che

indica precisi criteri: chiarezza, inclusività, semplicità, progressività.

Occorre individuare i livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, rendere

l’Invalsi realmente autonomo rivedendo radicalmente la funzione dei test,

separare la valutazione dei risultati del sistema dai processi di valorizzazione del

personale, rendere credibile il ruolo ispettivo (attualmente inefficiente perché

privo di personale). La valutazione deve essere realmente di sistema e deve

coinvolgere tutti a partire dai decisori politici, con l’obiettivo di innalzare la

qualità della didattica e non di classificare le scuole. E così si potrà più

efficacemente partire.

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TRASPARENZA E RENDICONTAZIONE A partire dal 2015 per ogni scuola saranno pubblicati, in forma aggregata e, dove possibile, di

microdati:

- i flussi di dati sull’organizzazione della scuola (organico, edilizia, bilancio)

- i rapporti di autovalutazione di ogni scuola e i relativi piani di miglioramento;

- i bilanci delle scuole (di previsione e conto consuntivo, con la descrizione analitica

dell’impiego delle risorse provenienti da Stato, Enti locali, famiglie e privati);

- tutti i progetti finanziati attraverso il MOF o altri fondi a bilancio della scuola;

- una mappatura delle interazioni delle scuole con il territorio: partenariati con imprese,

fondazioni, amministrazioni locali, eventi.

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REGISTRO NAZIONALE DEI DOCENTI DELLA SCUOLA

Il registro sarà attivo a partire dall’anno scolastico 2015-2016 e offrirà le

informazioni sulla professionalità (un portfolio ragionato) di tutti gli

amministrativi, dirigenti, insegnanti, associato alla scuola in cui sono in

servizio.

Il registro sarà lo strumento che ogni scuola (o rete di scuole) utilizzerà per

individuare i docenti che meglio rispondono al proprio piano di

miglioramento e alle proprie esigenze. Per i Sindacati è totalmente

irricevibile.

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Capitolo 4 - “Ripensare ciò che si impara a scuola” (pagg. 87-102)

Il documento pone l’accento sull’esigenza di dare adeguato spazio ad ambiti culturali che

sono peculiari della nostra identità e della nostra tradizione, musica e arte; si sofferma

inoltre sulla necessità di un potenziamento dell’educazione fisica, dell’insegnamento delle

lingue straniere, oltre a indicare come indispensabile l’introduzione del coding (la

programmazione) sin dalla scuola primaria, promuovendo l’informatica per ogni indirizzo

scolastico.

Alfabetizzazione digitale - Il documento fissa traguardi ambiziosi e con dettaglio di

tempi, prevedendo un piano nazionale per l’introduzione del coding in tutti gli ordini e

gradi di scuola, a partire dalla primaria, nella quale entro tre anni gli alunni dovranno

“imparare a risolvere problemi complessi con la logica del paradigma informatico”

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Capitolo 5 - Fondata sul lavoro (pagg. 103-115)

5.1 Alternanza scuola-lavoro – La via italiana al modello duale -

Nel documento del Governo si ipotizza l’obbligo dell’Alternanza Scuola

Lavoro negli ultimi tre anni degli Istituti Tecnici e lo incrementa di un anno

negli Istituti Professionali, prevedendo un monte ore dei percorsi di almeno

200 ore l’anno. Costo: 75 milioni di euro solo per gli Istituti tecnici, a

fronte degli 11 milioni stanziati per il 2014. In termini generali, servono

complessivamente oltre 100 milioni di Euro e soprattutto la disponibilità di

imprese presenti su tutto il territorio nazionale, così da garantire pari

opportunità a tutti gli studenti.

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Capitolo 6 - Le risorse per la buona scuola, pubbliche e private (pp. 117-126)

Nell’affrontare il tema si prendono in considerazione due possibili fonti di finanziamento: risorse pubbliche

integrabili da contributi privati opportunamente incentivati.

Risorse pubbliche - Con l’obiettivo di rendere le risorse pubbliche più ingenti e certe, si annuncia il

rifinanziamento del Fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa e della dotazione di risorse prevista a

sostegno dell’autonomia scolastica dalla Legge 440 del 1997. Per il MOF si prevede l’assegnazione alle scuole

di un budget triennale aumentando le risorse per quelle scuole che sviluppano pratiche per il potenziamento

dell’offerta formativa, per la formazione, la produzione contenuti didattici, l’innovazione digitale, l’alternanza

scuola-lavoro.

Risorse private - Servono perché quelle pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le

esigenze. Le risorse private sono viste come fattore che può trasformare la scuola in un investimento

collettivo.

Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola.

Sommare le risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere. Per facilitare

le scuole a ricevere risorse occorre costituire le scuole in fondazioni o in Enti con autonomia patrimoniale.

E poi va offerto al settore privato e no profit un pacchetto di vantaggi fiscali.

Affermare che le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti per fare fronte alle esigenze

delle scuole vuol dire che lo Stato alza bandiera bianca. Si arrende alla sfida di garantire il

diritto all’istruzione dei cittadini.

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Obbligo a 18 anni e infanzia generalizzata

Nessun accenno all’obbligo a 18 anni.

Per la scuola dell’infanzia c’è un passo verso l’estensione delle sezioni e

l’aumento del tempo scuola attraverso l’organico funzionale.

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Non possiamo esimerci, però, dal sottolineare diversi punti critici

- Non si affrontano temi scottanti ed urgenti come alcune

necessarie modifiche dell’ordinamento, tra cui il vero nodo da sciogliere

rimane quello del superamento degli istituti professionali statali da

collegare alla diffusione della formazione e istruzione professionale

regionale. Nelle poche regioni dove la IeFP è attiva (oltre al Trentino Alto

Adige), ha dimostrato di essere l’antidoto più efficace alla dispersione e alla

disoccupazione giovanile e va pertanto integrata a pieno titolo, insieme

all’apprendistato, nell’ordinamento scolastico italiano (come in tanti altri

Paesi europei, non solo in Germania).

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– L’introduzione generalizzata degli stage degli allievi, impropriamente

chiamata “sistema duale” alla tedesca, non ha nessun effetto sulla dispersione

(soprattutto al Sud): bisogna avere il coraggio di introdurre stabilmente

nell’istruzione tecnica e professionale una vera alternanza scuola – lavoro, con una

revisione dei curricoli, degli organici e delle figure professionali.

– Non si affrontano altri nodi pressanti degli ordinamenti,

soprattutto per quanto riguarda la scuola secondaria di 1°grado, anello

debolissimo di tutto l’ordinamento, ed anche la riduzione di un anno della

scolarità da 13 a 12 anni (in termini di quadriennalizzazione dell’istruzione

secondaria di 2° grado), per quanto non generalizzata.

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– Negativo il voler ancora una volta inserire nuove discipline

(quasi tutte del curricolo cosiddetto “umanistico”: filosofia, storia dell’arte,

musica, ecc.) in curricoli come quelli italiani che, come dimostrano le

ricerche internazionali (PISA docet), sono i più estesi in senso

temporale ed anche i più carichi per numero di discipline. Nessun cenno

alle discipline o attività opzionali, né ad un rafforzamento della

cultura tecnica e scientifica in tutti gli ordini e gradi di scuola.

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– Nessuna decentralizzazione e poche novità in

termini di autentica autonomia. Se può essere in parte

comprensibile in questa fase un mantenimento dei processi di

riforma a livello centrale, senza diretto coinvolgimento delle

Regioni, non si può però prescindere dall’assegnare,

almeno ad una parte di Istituti, forme coraggiose di

autonomia , senza la quale non spiccheranno il volo efficaci

innovazioni.

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La professione docente nel dossier “La buona scuola”

I punti positivi

1)Un nuovo Stato giuridico.

Si intaccano per la prima volta i pilastri della conservazione sindacale,

burocratica e partitica, ai quali la scuola è inchiodata dagli anni 70. Si

afferma la volontà del Governo e del Parlamento di riappropriarsi della

condizione dei docenti, varando un nuovo Stato giuridico e decretando la fine,

o quantomeno il ridimensionamento, dell’esperienza fallimentare della

contrattualizzazione del rapporto di lavoro avviata nel 1995.

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2)Stabilità del corpo docente

Si esprime la volontà di superare il precariato e di risolvere il

cinquantennale tormentone del binomio graduatoria ad

esaurimento e graduatoria da concorso per titoli ed esami.

3)Avvio di sviluppo professionale e valutazione dei docenti.

Si fa un cenno, per quanto limitato, all’articolazione della carriera (il

docente mentore) e a nuove modalità di valutazione dei docenti.

Ma non è tutto oro quello che riluce.

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Le contraddizioni inconciliabili con una nuova docenza

Non si possono assumere 150.000 insegnanti nel 2015, andando oltre la

sentenza della Corte europea, e altri 40.000 nel triennio 2016-2019, e

pensare nel contempo di valorizzare la professione docente. Ci penserà

forse il MEF a ridimensionarne l’entità ma non ci si può esimere dallo

stigmatizzare che si è nuovamente di fronte all’utilizzo della scuola come

ammortizzatore sociale per la disoccupazione intellettuale. Questa

impostazione demolisce qualsiasi prospettiva di qualificazione della

professione e di miglioramento della scuola. Con questa infornata di

assunzioni, che sono il triplo rispetto ai posti vacanti (50.000), non si avrà

mai nessuna rivalutazione retributiva e l’insegnamento rimarrà un

mestiere di ripiego.

1)“Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”.

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A parte il numero eccessivo di insegnanti che andrebbero a costituire l’organico funzionale, il tipo di

utilizzo appare nella maggioranza dei casi insostenibile. Una quota di insegnanti sarebbe utilizzata per

le supplenze anche brevi, un ruolo di tappabuchi a vita, dequalificante e demoralizzante. Soluzioni

per affrontare il problema delle supplenze brevi vanno ricercate in una diversa struttura oraria degli

insegnanti, in un’organizzazione scolastica che superi il modello militaresco delle classi e in un uso

intelligente delle tecnologie digitali. Va inoltre proposto un maggior livello di autonomia e di

responsabilizzazione degli studenti accompagnato a un forte ridimensionamento normativo, almeno

nella secondaria di 2° grado, delle responsabilità civili a carico degli insegnanti e della scuola nei

confronti della tutela dei minori, come peraltro avviene in altri sistemi europei.

Oltre alle supplenze, l’altro utilizzo dell’organico funzionale è rivolto all’ampliamento dell’offerta

formativa. La scuola italiana non ha bisogno di ampliamenti, abbiamo già un curricolo esorbitante e un

numero di ore di insegnamento fin troppo elevato. C’è necessità di fare meglio con meno. E’ questo il

caso del liceo quadriennale e dell’introduzione generalizzata negli Istituti professionali delle qualifiche

triennali e dei diplomi quadriennali. Altro che ampliare.

Né va dimenticato che l’organico funzionale è già stato sperimentato negli anni Ottanta e fu un

fallimento.

2)Organico funzionale: un vicolo cieco già sperimentato.

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Qualsiasi politica che intenda valorizzare il merito deve intervenire prima

delle assunzioni. Questo hanno fatto tutti i Paesi che hanno risultati alti

nelle indagini internazionali, basti citare la Finlandia e Singapore. La

selezione va fatta fin dall’ingresso in formazione. Nell’attuale situazione di

emergenza ( come la definisce il documento governativo) non si può

comunque procedere a massicce assunzioni senza valutazione, nemmeno

se provenienti dalle GAE. Le leggi si cambiano e si deve dare la possibilità

alle scuole di intervenire prima dell’assunzione, non solo con l’anno di

prova che non ha mai risolto nulla.

No alla progressione

3)Il merito si valuta in ingresso.

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Esprimo il più fermo disaccordo con la proposta di progressione retributiva ipotizzata nel documento.

Come noto, è prevista la sostituzione degli scatti automatici di anzianità con un meccanismo che

prevede che in ciascuna scuola un 66% di insegnanti abbia, ogni tre anni, un aumento retributivo,

mentre un altro 33% rimanga al palo. Gli scatti si chiameranno di “competenza” e saranno valutati su 3

parametri: merito didattico, formativo e professionale. Detta brutalmente siamo di fronte a una divisione in

“buoni” e “cattivi”, con l’idea che per i primi il premio costituisca una gratificazione e una motivazione

all’impegno e che per i secondi la punizione diventi la molla per migliorarsi. Ma questi sistemi non

hanno mai funzionato e non sono in vigore in nessuno dei Paesi dove l’istruzione funziona bene. E’ da

tempo superata l’idea dell’insegnamento come attività individuale, la convinzione fallace che il solo

potere dei singoli sia in grado di cambiare il sistema. L’insegnamento può migliorare solo come lavoro

di squadra. I singoli non cambieranno il sistema se non collaboreranno e non svilupperanno un’impresa

collettiva. E questo non potrà avvenire se entro la stessa scuola gli insegnanti saranno in competizione

tra loro per guadagnarsi un aumento: mors tua vita mea.

4)No alla progressione retributiva contingentata per merito.

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Si continua inoltre a prevedere lo sviluppo degli scatti stipendiali su 35 anni, uno fra i più

lunghi al mondo. Va accorciato. Si può ipotizzare un abbassamento graduale per tutti gli

attuali insegnanti di ruolo fino a un massimo di 25 anni. Ai nuovi invece bisogna avere il

coraggio di offrire condizioni di lavoro diverse con vantaggi e opportunità meno

impiegatizie e più legate allo sviluppo professionale, con una progressione retributiva

molto più breve, 10 o 15 anni al massimo, e una retribuzione di ingresso nettamente

superiore all’attuale (con l’eliminazione però della ricostruzione di carriera). E’ giusto ed

opportuno che la progressione sia per tutti collegata ad una valutazione dell’attività svolta,

ma, come si è detto, non può essere aprioristicamente limitata al 66%, una deleteria corsa

competitiva che, stabilita a livello di singola scuola, creerebbe anche sperequazioni fra

insegnanti di diverse scuole, che ricordano gli aspetti più controversi del “concorsone” del

2000.

5)No al permanere di una progressione retributiva su 35 anni

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Ciò che manca nel documento è la previsione di uno strutturato ed articolato sviluppo

professionale, legato a nuove funzioni. La differenziazione della carriera docente in Italia è una

storia più che trentennale di fallimenti e rinvii, dovuta certamente a veti sindacali e a carenza

di risorse, ma soprattutto a mancanza di volontà politica. Se ora il governo, come afferma,

vuole riappropriarsi della materia, occorre che agisca con più coraggio nell’allocazione delle

risorse, riservandone all’articolazione di carriera. L’articolazione professionale non può

limitarsi da un lato al solo docente mentor, e dall’altro a incarichi temporanei e transitori. Si

dovrebbero, al contrario, ipotizzare fasi successive dello sviluppo di carriera, con differenziati

livelli retributivi, che, per esempio nell’ambito gestionale, potrebbero condurre fino ai vertici

dell’Amministrazione.

6)L’assenza di una strutturata articolazione di carriera.

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I risultati di una gestione statalista e centralistica degli insegnanti

sono sotto gli occhi di tutti.

Pensare di risolvere i problemi mantenendo lo stesso governo del

sistema è non solo illusorio, ma per alcuni aspetti persino

colpevole.

7) Nessuna decentralizzazione e poche novità in termini di autentica

autonomia.