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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

INDICE:

DOCUMENTO POLITICO

Parte 1: Lo scenario internazionale p. 2-10

Parte 2: La crisi italiana p. 11-19

Parte 3: La proposta del PCL p. 20-36

Parte 4: La linea di costruzione del PCL p. 37-46

 ____________________________________________________________________________

EMENDAMENTI:

POL1: sostitutivo della parte 1 - Lo scenario internazionale (Carboni e al.) p. 47

POL2: aggiuntivo a “Per una svolta nelle forme di lotta”  (Carboni e al.) p. 51

POL3: aggiuntivo a “La battaglia dei rivoluzionari nei sindacati” (Bacchiocchi) p. 51

POL4: sostitutivo a parte di “La battaglia dei rivoluzionari nei sindacati” (Bacchiocchi) p. 52POL5: sostitutivo del capitolo “L'unicità del PCL e …” (Liverani, Canfarini e al.)  p. 53

POL6: “Per un metodo leninista nel rapporto con le elezioni” (Liverani, Canfarini e al.) p. 54

POL7: aggiuntivo a “Rafforzare il lato politico del nostro intervento di massa” (Doro e al.) p. 56

POL8: “Il ruolo del PCL nell’emigrazione italiana” (Liverani, Canfarini e al.) p. 56

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I PARTE: LO SCENARIO INTERNAZIONALE

[qui emendamento POL1, sostitutivo sino a p.10, testo a p. 47]

LA CRISI CAPITALISTA INTERNAZIONALE 

Da ormai sette anni la crisi capitalista segna lo scenario mondiale. Per i suoi caratteri e

la sua durata, è la crisi più profonda che il capitalismo mondiale ha attraversato negli

ultimi 80 anni.

Questa crisi non è uniforme. Anzi si è retta su uno sviluppo ineguale e combinato: crisi in

Occidente, sviluppo a Oriente e nell'area Brics.

Tale contraddizione tuttavia non è statica. Lo sviluppo prolungato della Cina, comel'ascesa dei paesi “neosviluppati” dell'Asia (India), dell'Africa (Sudafrica), dell'America

Latina (Brasile), ha parzialmente ammortizzato la crisi americana ed europea. Ma non è

stata in grado di riassorbirla e superarla in direzione di una ripresa reale dell'economia

mondiale. Viceversa, la crisi del capitalismo occidentale- che ha spostato il proprio

baricentro dagli USA all'Europa- si è riverberata sulle cosiddette “economie emergenti”,

producendo un rallentamento dei tassi di sviluppo della Cina e dell'India, e di riflesso

sull'intera area Brics (in particolare sul Brasile).

Oggi - contraddittoriamente - proprio il rallentamento dell'area Brics, unita alla recenti

ipotesi di restrizione della politica monetaria della FED (attualmente sospese), sta

provocando un parziale ritorno di capitale finanziario e investimenti nell'occidenteimperialista e in Giappone: ciò che da un lato può sospingere una loro limitata “ripresa”,

dall'altro aggrava ulteriormente la crisi dei Brics. Che a sua volta rischia di riverberarsi

sull'economia mondiale.

L'economia mondiale è dunque in una impasse instabile e contraddittoria. Che oggi non

delinea una prospettiva di reale ripresa complessiva. Ed anzi accumula nuovi fattori di

crisi.

Crisi capitalista e fattori storici

Il marxismo e l'intera esperienza storica mostrano che il ciclo capitalistico alterna

fisiologicamente crisi e riprese. La loro portata e il ritmo stesso della loro alternanza

tendono a variare nelle diverse fasi storiche del capitalismo. Ma si intrecciano anche con

fattori storici che trascendono il puro dato economico e che al tempo stesso incidono in

modo impressionante sulla stessa sfera dell'economia capitalista.

La grande crisi del 1929/33, e la sua ricaduta nel 1937, non furono “risolte” dal “normale

ciclo economico” e neppure dalle terapie Keynesiane del New Deal. Furono “risolte”

dalla seconda grande guerra imperialista. Che operò la distruzione concentrata e

radicale delle forze produttive in eccesso, creando le condizioni eccezionali di uno

sviluppo capitalistico trentennale.

La grande crisi capitalista di sovrapproduzione che oggi attraversa il mondo si confrontaanch'essa col quadro storico generale. Ben più che negli anni 30, non può essere

“risolta” e affrontata  con l'espansione della domanda pubblica: a causa dello sviluppo

abnorme dell'indebitamento dei principali stati imperialisti; dell'esaurimento (da 40 anni)

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L'imperialismo USA resta la principale potenza mondiale, ma aggrava la propria crisi di

ruolo politico internazionale. La vecchia linea Bush di sfondamento “imperiale” ed

espansionismo militare è clamorosamente fallita, a partire dal disastro dell'Irak e

dell'Afghanistan. La “svolta” dell’amministrazione Obama verso una politica   di

concertazione internazionale sotto egemonia americana si è anch'essa risolta in unsostanziale fallimento. A partire, clamorosamente, dalla zona strategica del Medio

Oriente.

La Cina ha rafforzato la propria posizione, sullo sfondo della crisi americana ed europea.

Ma è lontana dal disporre delle leve centrali di una possibile egemonia alternativa

globale. E vede acuirsi tutte le contraddizioni del suo impetuoso sviluppo. Sul terreno

economico (crisi delle esportazioni connessa alla recessione europea, bolla immobiliare

legata alla sua massiccia urbanizzazione, crisi del sistema bancario, livello insostenibile

degli investimenti sul pil, intorno al 50% ). Sul terreno sociale (con l'ascesa del livello di

mobilitazione sociale e di crescita dei conflitti di classe). Sul terreno politico: dove lo

scontro fra le cordate di regime si intreccia con la crisi sociale e fatica a risolversi in unnuovo stabile equilibrio.

La crisi dell'egemonia USA e l'assenza di un egemonia alternativa segnano nella loro

combinazione la crisi di direzione politica internazionale dell'imperialismo, con lo

sviluppo incontrollato di nuovi protagonismi, in diversi scacchieri e a diversi livelli (nuovo

corso nazionalista del Giappone, nuovo attivismo dell'imperialismo russo, ambizioni

turche e ruolo crescente delle petromonarchie in Medio Oriente..). Che a loro volta

aggravano la crisi di direzione imperialista. I diversi tentativi di ricomporre un equilibrio

mondiale, dopo il crollo dell'URSS, hanno mancato il proprio obiettivo. Sullo sfondo della

più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, l'imperialismo attraversa la più grande

crisi di direzione politica del dopoguerra.

LA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE

Negli anni della crisi, la lotta di classe nel mondo ha registrato una dinamica molto

differenziata, tra aree continentali e nelle stesse aree continentali.

Si conferma una indicazione del marxismo rivoluzionario e della sua tradizione teorica:

non esiste una relazione meccanica tra crisi capitalista e radicalizzazione di massa. La

crisi può favorire la radicalizzazione come una dinamica di arretramento e

disgregazione. Così, una ripresa capitalistica può, a certe condizioni, sospingere

l'ascesa della lotta di classe o favorirne il ripiegamento. Tutto dipende dalla relazione

dialettica che si viene a determinare tra l'evoluzione economica, il contesto politico, la

precedente dinamica della lotta di classe.

Questo rapporto complesso tra crisi capitalista e movimento operaio, trova oggi un suo

riscontro sia nelle aree direttamente investite dalla crisi, sia nei poli di sviluppo. Dentro

una dinamica segnata dal tratto ricorrente delle “brusche svolte”. 

La dinamica differenziata della lotta di classe

Nelle aree investite direttamente dalla grande crisi capitalista, il livello di risposta e

mobilitazione presenta un quadro molto diversificato da Paese a Paese.Complessivamente è possibile delineare due diverse tendenze.

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Da un lato una crisi profonda del movimento operaio nell'area dei paesi imperialisti

(USA, UE, Giappone): dove la crisi capitalista ha fatto irruzione dentro un processo

prolungato di arretramento e di scomposizione del proletariato, favorendo dinamiche di

ripiegamento.

Dall'altro lato, importanti processi di ascesa e radicalizzazione del movimento operaio e

dei movimenti di massa in paesi capitalistici a medio sviluppo (Grecia, Portogallo); o in

paesi arretrati a capitalismo restaurato, segnati da processi di industrializzazione legati

alle delocalizzazioni imperialiste (Romania, Bulgaria).

 Anche all'interno dei cosiddetti “poli di sviluppo”, si registrano processi differenziati. 

Da un lato fenomeni di brusca svolta sociale, sospinta dalla crisi delle classi dirigenti e

dall'esaurimento tendenziale del ciclo economico di ascesa, ma in cui la classe operaia

è ancora marginale o sostanzialmente passiva nel grosso delle sue forze (Turchia,

Brasile).

Dall'altro lato fenomeni di ascesa della lotta di classe, e della stessa classe operaiaindustriale: sia come effetto indiretto dello sviluppo prolungato e del conseguente

rafforzamento strutturale del proletariato; sia come effetto congiunto dei primi sintomi di

crisi, che impattando sull'ascesa di massa, favoriscono fenomeni di sua ulteriore

radicalizzazione.

E’ il caso - in forme e intensità diverse - dell'Asia: in paesi capitalistici altamente

sviluppati come Cina e India, e in realtà arretrate come Bangladesh e Thailandia. E’ il

caso anche, in un altro contesto, di paesi dell'America Latina tra loro molto diversi: come

l'Argentina, che a conclusione di un ciclo di sviluppo seguito al crack del 2001, e sullo

sfondo della crisi del peronismo Kichnerista, conosce uno espansione significativa del

movimento operaio industriale. O della Bolivia: dove lo sviluppo di un movimento diclasse indipendente dal nazionalismo piccolo borghese dominante e in contrapposizione

ad esso assume una valenza politica di estrema importanza.

Infine, in un contesto ancora differente, si registrano fenomeni di sviluppo e di ascesa

del movimento operaio in aree diverse dell'Africa. Sia in Nord Africa, in un rapporto di

intreccio con la rivoluzione araba. Sia in Sudafrica, a partire dalle miniere e sullo sfondo

di una strisciante crisi politica del “regime” ANC. Sia in aree centrali del continente

(Nigeria, Congo..), segnate da uno sviluppo economico distorto trascinato dal prezzo

crescente delle materie prime (legato a sua volta allo sviluppo capitalistico cinese), ma

anche caratterizzate perciò stesso dalla crescita del proletariato e delle sue

rivendicazioni.

L'arretratezza della coscienza di classe

Dentro questo quadro mondiale differenziato, emerge un dato prevalente: l'arretratezza

del livello di coscienza e organizzazione del movimento operaio internazionale, a fronte

della profondità della crisi capitalista e della crisi di egemonia politica della borghesia

mondiale. E’ un dato che segna il proletariato dei paesi imperialisti. Ma anche le stesse

dinamiche di ascesa di classe di altre aree e paesi neosviluppati: dove una giovane

classe operaia, di recentissima formazione, è spesso priva di riferimenti politici e

sindacali elementari. Complessivamente, di fronte alla più grande crisi capitalista

internazionale degli ultimi 80 anni, il livello di coscienza e organizzazione del movimentooperaio è infinitamente più arretrato di quello con cui affrontò la grande crisi degli anni

20/30.

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Lo scarto tra la profondità della crisi capitalista e l'arretratezza del movimento operaio

alimenta fenomeni diversi :

1. Una crisi diffusa di egemonia proletaria sulle più ampie masse oppresse esfruttate (disoccupate, precarizzate, immigrate o marginalizzate): a partire dalle

grandi realtà metropolitane dei paesi imperialisti e non.

2. Uno sviluppo di populismi reazionari di massa, in particolare in Europa, checapitalizzano la crisi dell'egemonia proletaria sugli strati inferiori delle classimedie, colpite dalla crisi, per indirizzarli contro il proletariato. E che spessopenetrano nell'immaginario e coscienza di settori di massa del proletariatostesso.

3. Lo sviluppo, all'opposto, di movimenti progressisti (“democratici” e interclassisti),che da un lato segnano positivamente la crisi delle classi dominanti e dei lororegimi, ma dall'altro, in forme diverse, misurano la crisi del proletariato e dellasua egemonia (movimento di massa in Iran nel 2009, movimento anti Erdogan inTurchia, movimento di massa in Brasile).

Complessivamente, la combinazione storica della crisi del capitalismo e della crisi del

movimento operaio, apre una fase internazionale di destabilizzazione dei vecchi equilibri

e delle forme politiche dominanti. L'instabilità politica e sociale, il succedersi di rapidi

capovolgimenti di fronte, tende a segnare l'intero scenario mondiale.

LE RIVOLUZIONI NEI PAESI ARABI

Le rivoluzioni nei paesi arabi hanno rappresentato e rappresentano un'espressione

concentrata e particolare di tanti fattori dello scenario mondiale: crisi di direzione

dell'imperialismo USA; dinamica delle brusche svolte; polarizzazione

rivoluzione/reazione; peso dell'elemento “democratico” nelle mobilitazioni; crisi delmovimento operaio.

L'ascesa della rivoluzione nei paesi arabi non è stata l'effetto diretto della crisi

capitalista. Certo, questa ha influito sui prezzi alimentari e sugli equilibri sociali, a partire

dalla Tunisia e dall'Egitto, concorrendo all'esplosione. Ma il tratto determinante

dell'innesco rivoluzionario e della sua propagazione è stato politico: la rivolta

democratica contro regimi oppressivi, logori e screditati, da parte di masse popolari

prevalentemente cittadine e giovanili, assieme al comune fondamento nazionale arabo.

Non a caso, il peso specifico del fondamentalismo fu marginale o assente nella prima

fase della rivoluzione, in tutti i principali paesi coinvolti (Tunisia, Egitto, Libia, Siria).

L'assenza di uno spazio di stabilizzazione “democratica” 

Ma il corso della rivoluzione, nei tre anni trascorsi, conferma l'assenza di uno spazio

reale di stabilizzazione democratico borghese in terra araba e nell'intero Medio Oriente.

La pressione della crisi capitalistica; la precipitazione della crisi economico sociale dei

paesi coinvolti; la fragilità delle leadership borghesi, liberali o democratiche, dopo

decenni di regimi bonapartisti o totalitari; la stessa dinamica travolgente della

mobilitazione di grandi masse che hanno sperimentato sul campo una propria forza

inaspettata e vogliono agire come fattore attivo degli avvenimenti: sono tutti elementi

che, combinati insieme, erodono gli spazi oggettivi di un possibile “equilibrio

democratico”. Si conferma, nel vivo degli avvenimenti, la teoria marxista della rivoluzione

permanente: o la classe lavoratrice si pone alla testa della mobilitazione popolare,

conquista il potere politico e porta a compimento, sul terreno della rivoluzione socialista,

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i compiti fondamentali della rivoluzione democratica (inclusa la rottura con

l'imperialismo); o tendono ad affermarsi sbocchi reazionari, siano essi fondamentalisti o

militari. E’ la lezione della Tunisia, dell'Egitto, e in forme diverse, il rischio dell'irrisolta

dinamica siriana.

Ipotesi intermedie, come l'affermazione di regimi bonapartisti piccolo borghesi di tipo

nasseriano o bathista, capaci di misure sociali progressive e di una relativa autonomia

dall'imperialismo, furono possibili sullo sfondo del boom post bellico e della presenza

internazionale dell'URSS. Appaiono assai improbabili nell'attuale contesto arabo e

mondiale.

Rivoluzione e controrivoluzione

Peraltro, sia la rivoluzione che la controrivoluzione si confrontano con le proprie

debolezze.

Per un verso, il crollo del governo dei Fratelli musulmani in Egitto, l’indebolimento diEnnhada in Tunisia, le difficoltà del nuovo regime militare bonapartista in Egitto, rivelano

la problematicità di ogni stabilizzazione reazionaria. Sia per il peso della mobilitazione

popolare, sia per la crisi economica, interna e internazionale, che abbatte gli spazi di

manovra dei governi reazionari.

 Al polo opposto, si rivela la difficoltà speculare del movimento operaio arabo. La classe

lavoratrice ha svolto un ruolo importante e decisivo nella dinamica delle principali

rivoluzioni dei paesi arabi. In Tunisia il sindacato è stato il principale riferimento della

sollevazione contro Ben Alì ed oggi della mobilitazione democratica anti Ennhada. In

Egitto gli scioperi operai hanno avuto un ruolo decisivo nella caduta finale del regime di

Mubarak, hanno rappresentato un fattore importante dell'opposizione di massa algoverno militare di Tentawi e a quello successivo dei Fratelli. E’ la conferma delle grandi

potenzialità del proletariato arabo. Ma, nel suo insieme, il movimento operaio e le sue

rivendicazioni sociali non hanno conquistato la direzione della rivoluzione. Anche nelle

sue espressioni più alte (Tunisia ed Egitto), il livello di coscienza e di autorganizzazione

è stato inferiore a quello del movimento operaio arabo e mediorientale in altri contesti

storici (ad es. l’Iran del 79 con lo sviluppo consiliare delle Schoras).  

 A loro volta, i limiti del movimento operaio e la sua subordinazione al fronte democratico

- in assenza di una direzione rivoluzionaria alternativa - hanno pesato enormemente

sulla dinamica della rivoluzione, indebolendo le stesse rivendicazioni democratiche e

spianando la strada alle derive reazionarie (Egitto).

Equilibrio instabile e crisi dell'imperialismo

Complessivamente, le rispettive debolezze della rivoluzione e della controrivoluzione

concorrono ad un equilibrio instabile, esposto a ripetute rotture e capovolgimenti di

scenario. Nel quale le potenze imperialiste, spiazzate dalla caduta dei vecchi regimi

amici, hanno cercato e cercano ogni volta un proprio reinserimento, per via economica o

militare: ma sempre a rimorchio degli avvenimenti e senza riuscire a stabilizzare la

situazione (caos egiziano con continui cambi di cavallo dell'imperialismo Usa, incognite

della guerra civile siriana e contraddizioni interimperialiste, vacanza di potere in Libia

dopo la “vittoria” militare..). A vantaggio delle petromonarchie del Golfo e della Russia diPutin, che allargano il proprio autonomo gioco di relazioni e influenze, a partire dalla

Siria e dallo stesso Egitto.

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LA CRISI EUROPEA

L'Unione Europea è l'epicentro della crisi capitalistica e della crisi di egemonia politica

borghese. L'Europa è innanzitutto l'unica area continentale ad aver vissuto una dinamica

ravvicinata di doppia recessione (2008/9, e 2011/13). Non si può escludere una parzialeripresa nel 2014. Ma la debolezza dell'Unione Europea, ben al di là della congiuntura

economica, è legata a un intreccio di fattori strutturali, che ha amplificato le ricadute

interne della crisi capitalistica:

a) La contraddizione tra moneta comune e assenza di uno Stato Federale, che priva la

BCE di una copertura istituzionale di ultima istanza, a differenza delle altre banche

centrali imperialiste.

b) Il divario strutturale crescente nell'area euro tra la Germania (e il blocco a lei più

strettamente legato) e larga parte delle economie della periferia (in particolare sud

europea e mediterranea, ma non solo): un divario progressivamente approfondito dalla

stessa dinamica della crisi capitalista e dalle politiche d’austerità. 

c) La fragilità del sistema bancario: grande acquirente dei titoli pubblici, e proprio per

questo esposto all'indebitamento pubblico degli Stati e a cicliche crisi patrimoniali.

d) Il progressivo indebolimento dell'Unione nell'arena mondiale: dove l'Europa non solo

non si avvantaggia della crisi americana, ma viene penalizzata dalla crescente

polarizzazione tra USA e Cina.

L'impasse dei processi di “unificazione” e “disgregazione” della UE

L'insieme di questi fattori mette a rischio, da tempo, la stessa tenuta dell'Unione. Senza

peraltro delineare uno sbocco risolutivo: né in direzione dell'integrazione imperialista; néin direzione di un arretramento verso un'area di libero scambio (con relativa fine

dell'Euro). Entrambe le direzioni di marcia sono bloccate da enormi difficoltà.

La marcia di una più avanzata unificazione politica è ostacolata dalla natura imperialista

degli Stati fondamentali dell'Unione e dalle loro contraddizioni, esaltate dalla stessa crisi.

L'imperialismo tedesco proietta sempre più i propri interessi sul versante asiatico, con

una relativa riduzione della propria proiezione in Europa: anche da qui la resistenza della

finanza tedesca ad ogni ipotesi di reale socializzazione del debito pubblico europeo

(Eurobond). L'imperialismo francese è indisponibile a rinunciare al proprio “sovranismo”,

a vantaggio dei propri interessi indipendenti e del proprio spazio di manovra e di

influenza (in particolare in Africa). In questo quadro gli stessi progetti di UnioneBancaria, a copertura delle banche private e delle finanze pubbliche, si riducono a

soluzioni minimali.

La disgregazione dell'Euro è contrastata da fattori ugualmente potenti. La sua

dissoluzione trascinerebbe con sé la fine del Mercato Comune europeo: con l'inevitabile

sviluppo di una nuova ondata protezionista nel cuore stesso dell'Europa e una nuova

spinta alla recessione internazionale. Per questo tutte le potenze “concorrenti” non solo

non tifano oggi per il crollo dell'Unione, ma accorrono a sostegno della sua tenuta. E’ il

caso in primo luogo degli Usa. E’ il caso della stessa Cina: che non vuole mettere a

rischio la propria esposizione commerciale e finanziaria in Europa.

Siamo di fronte alla stabilizzazione relativa della crisi dell'Unione. Questo equilibrio potrà

esser sbloccato, in una delle due direzioni, sulla base di significative spinte esterne, di

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carattere economico (nuovi crolli finanziari o pressioni protezioniste) o politiche (guerre

significative).

La crisi politica delle borghesie europee

Sulla crisi del capitalismo europeo si innesta la crisi politica delle borghesie europee. La

borghesia europea scatena la più grande offensiva sociale del dopoguerra contro il

proletariato, nel momento stesso di una sua grave crisi di consenso.Questa crisi di

consenso delle politiche di austerità ha generato e genera riflessi politici diffusi, tra loro

combinati.

1) Una rapida consunzione dei tradizionali governi borghesi, che al di là della propria

sopravvivenza esauriscono in tempi brevi il proprio ciclo espansivo (da Cameron, a

Rajoi, a Hollande..).

2) Una crisi ripetuta degli stessi regimi d'alternanza, a partire dalla disarticolazione degli

schieramenti che ne rappresentavano il tradizionale supporto (governi “d'emergenza” diunità nazionale in Grecia e Italia, crisi del bipolarismo in Portogallo, crisi tendenziale del

bipartitismo in Spagna, netto indebolimento del meccanismo bipolare in Francia..).

3) Una crescente polarizzazione politica, sui due versanti opposti. Da un lato a sinistra

delle socialdemocrazie tradizionali: o come sottoprodotto di ascese sociali (Izquierda

unida in Spagna, PC e Bloqueo in Portogallo..); o come effetto della crisi di consenso

della socialdemocrazia di governo (Fronte de Gauche in Francia..); o come risultante di

entrambi i fattori (Syriza in Grecia).

Dall'altro lato in direzione reazionaria. Con la dovuta distinzione tra un settore

apertamente fascista o fascistoide (Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, FN in

Francia, …) e una più vasta area di populismo reazionario, che tende a rafforzarsi neglistessi paesi imperialisti e ad esercitare maggiore incidenza sugli equilibri

politici/istituzionali.

Complessivamente, in forme e intensità diverse, si manifesta una crisi politica della

governabilità borghese nel vecchio continente.

La lotta di classe in europa e i suoi livelli differenziati

 Alla crisi della governabilità borghese fa riscontro una dinamica complessa delle

mobilitazioni sociali e di classe.

Negli anni della prima recessione (2008/2009) il dato prevalente è stata la difficoltà delmovimento operaio. A partire dal 2010 si sono manifestate tendenze di ripresa delle

mobilitazioni contro l'austerità. Ma dentro un ventaglio di livelli molto ampio.

In Romania e Bulgaria - nel disinteresse della sinistra europea - abbiamo assistito nel

2013 a vere crisi rivoluzionarie: la classe operaia e vaste masse popolari si sono

sollevate contro le politiche di austerità con atti concentrati e radicali (marcia sui palazzi

del potere in Romania contro il piano sanitario del governo, ribellione di massa in

Bulgaria contro l'aumento delle tariffe elettriche..), sino al rovesciamento dei rispettivi

governi.

In Grecia abbiamo assistito ed assistiamo ad una crisi pre rivoluzionaria prolungata: che

combina un alto livello di mobilitazione di massa, sia pure non rettilinea, una grave crisipolitico/istituzionale della borghesia, una drammatica crisi sociale. La polarizzazione alle

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estreme dei flussi elettorali (Syriza a sinistra, Alba Dorata a destra) è la registrazione

distorta della crisi prerivoluzionaria. Che è tuttora aperta.

In Spagna e Portogallo si è sviluppata dal 2011 un'ascesa di massa con riflessi politici

sull'indebolimento dei rispettivi governi: senza ancora una precipitazione diretta della

crisi politico/istituzionale, ma con la possibilità che questa maturi anche in tempi

ravvicinati.

In Francia e Gran Bretagna, la mobilitazione di massa ha conosciuto una dinamica a

sinusoide, ma con tendenza negativa. In Francia il prolungato movimento di lotta sulle

pensioni nel 2010 (seppure con un'ampiezza limitata), è rifluito dopo una sostanziale

sconfitta. Ed oggi l'ampio disincanto verso il governo Hollande non si accompagna alla

radicalizzazione. In Gran Bretagna abbiamo assistito nel 2010 ad un ampio e combattivo

movimento di lotta del Pubblico impiego contro il governo Cameron. Ma il movimento è

rifluito, pur a fronte di un aggravamento dell'offensiva governativa e alla crescente

impopolarità del governo.

In Italia, come vedremo, la parabola è stata negativa.

In Germania assistiamo ad una dinamica ancora diversa,. La recessione del 2008/2009

non ha registrato significative lotte sociali. Oggi, dentro la ripresa economica e nel

momento stesso del suo rallentamento, si sviluppa - unico caso in Europa - un ciclo

importante di lotte salariali, nel settore pubblico e privato: il proletariato tedesco chiede a

modo suo di partecipare allo “sviluppo” tedesco, in reazione alla stretta sociale subita dal

2001.

Da questo quadro differenziato, emerge un dato prevalente: la difficoltà del movimento

operaio europeo nei principali paesi imperialisti, ed in particolare della classe operaia

industriale. A sette anni dall'inizio della grande crisi -- con l'unica eccezione dellaSpagna - il livello di mobilitazione del proletariato europeo nei paesi imperialisti è

diminuito rispetto al decennio pre crisi (in Francia nel 95 contro Juppè e nel 2004 contro

Villepin, in Italia nel 2001/2003 contro Berlusconi..). Lo stesso sviluppo del populismo

reazionario nei paesi imperialisti ha un rapporto con la crisi del movimento operaio.

Rivoluzione o reazione in Europa

E tuttavia nulla sarebbe più sbagliato che immaginare una stabilizzazione della

situazione europea, che al contrario resta altamente instabile. Non solo nei paesi

periferici, ma negli stessi paesi centrali. A fronte della nuova recessione, la borghesia

europea dispone di risorse più limitate che nel 2008. Gli equilibri politici sono ovunquepiù fragili. La crisi di egemonia, dopo sette anni di crisi, si è fatta più acuta. La gestione

del fiscal compact, a partire dal 2015, sarà una prova molto impegnativa. Questo

scenario non determina meccanicamente, come abbiamo visto, processi di

radicalizzazione di classe. Ma certo moltiplicherà le occasioni di possibili brusche svolte

della mobilitazione di massa. Non solo nell'ipotesi della continuità della recessione, ma

anche in quella di una possibile ripresa. La borghesia europea “non può più governare

come prima”. Questo è il lato rivoluzionario oggettivo della crisi europea. Dentro una

polarizzazione sociale e politica destinata, in forme diverse, ad approfondirsi.

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II PARTE LA CRISI ITALIANA

La situazione italiana riassume in forma particolare molti aspetti dello scenario europeo.

E concorre come mai in passato alla crisi della U.E. La crisi della borghesia italiana equella parallela del movimento operaio, definiscono, nel loro bilanciamento, la cornice

della situazione nazionale.

LA CRISI DEL CAPITALISMO ITALIANO: DEPRESSIONE E DEBITO PUBBLICO

La crisi della borghesia italiana ha radici profonde.

In primo luogo siamo di fronte a una crisi strutturale che va al di là degli effetti

congiunturali della recessione.La recessione del 2008/2009, e quella del 2011/2013 si

sono sovrapposte alla stagnazione del precedente decennio. Per questo la doppia

recessione italiana ha assunto i caratteri di vera e propria depressione industriale: calodel 9% di Pil rispetto al 2007 (a fronte del -5,6% della Spagna e del+ 4,3% della

Germania); calo del 25% della produzione industriale (a fronte del  – 16% della Francia,

secondo dato peggiore tra i paesi imperialisti); crollo senza precedenti degli investimenti

(- 17% a fronte di una media euro del -10% e di un + 5,5% del capitalismo tedesco); crisi

di tutti i settori della grande impresa, (automobilistica, cantieristica, siderurgica..), in un

quadro di concentrazione industriale già molto minore della media dei concorrenti

imperialisti.

In secondo luogo la depressione industriale si accompagna ad una crisi straordinaria del

debito pubblico, che non ha punti di paragone tra i paesi imperialisti (con l'eccezione del

Giappone). Il debito pubblico, detenuto in maggioranza dalle banche italiane qualeriflesso della natura imperialista dell'Italia, si riversa perciò stesso sulle banche. La cui

situazione è critica: deprezzamento dei titoli pubblici, crescita massiccia della inesigibilità

dei crediti, crisi immobiliare (con relativo deprezzamento del patrimonio immobiliare delle

banche). La stretta del credito all'industria si rivela non solo più consistente che in altri

paesi, ma anche dagli effetti più pesanti sui processi di capitalizzazione a causa delle

caratteristiche italiane delle imprese e del mercato finanziario (prevalenza prestiti

bancari). Infine la ricapitalizzazione statale delle banche è più complicata che altrove,

proprio per il massiccio debito pubblico. Mentre l'ombrello protettivo della BCE strappato

da Monti nel giugno 2011 (impegno alla possibile ricapitalizzazione straordinaria delle

banche italiane e all'acquisto straordinario di titoli pubblici) è ancora in attesa di quellaUnione Bancaria europea che sta segnando il passo.

Disarticolazione del blocco dominante e attacco frontale al mondo del lavoro

Questo livello di crisi produce due effetti combinati. Da un lato ha favorito un processo di

disarticolazione del blocco dominante, sui terreni della gestione del conflitto, della

rappresentanza, degli equilibri di potere (uscita della Fiat da Confindustria nel segno di

un'autonoma gestione delle relazioni industriali, scontro tra aziende manifatturiere ed

energetiche, conflitti sulle fondazioni bancarie , scioglimento dei patt i di sindacato”..). 

Dall'altro lato ha sospinto un attacco senza precedenti contro Welfare e lavoro, quale

terreno di ricomposizione generale del blocco dominante (pensioni, sanità, istruzione,servizi e prestazioni sociali; art.18 e ridimensionamento diritti sindacali; massiccia

espulsione di forza lavoro dalle aziende e introduzione della licenziabilità dei dipendenti

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pubblici; ulteriore precarizzazione, smantellamento del contratto nazionale di lavoro..).

Mentre il divario tradizionale Nord Sud conosce un nuovo ampliamento in fatto di reddito

medio, livello di occupazione, diffusione della povertà, sotto la cappa dell'intreccio

strutturale tra borghesia del Nord e del Meridione, tra capitalismo “legale” e criminale.  

Il capitalismo italiano, più ancora di altri paesi imperialisti, non dispone di reali margini

“riformisti”. Il sommarsi di una straordinaria depressione produttiva e di una straordinaria

crisi del debito pubblico, lo spingono strutturalmente sulla via dell'aggressione a Welfare

e lavoro. Tanto più dentro la crisi europea e i nuovi termini della competizione

internazionale. In questo quadro, i vincoli pesantissimi del fiscal compact, a partire dal

2015, trascineranno un’ulteriore stretta sociale. 

LA CRISI POLITICA E ISTITUZIONALE DELLA SECONDA REPUBBLICA

In parallelo alla crisi economico sociale, l'Italia conosce una crisi politico istituzionale

senza precedenti negli ultimi 20 anni. E’ la crisi della “seconda Repubblica”: dell'assettoscaturito dalla dissoluzione, nel 91/93, delle forme politiche del dopoguerra.

La crisi della Seconda Repubblica è per molti aspetti più grave di quella della Prima. Non

solo perché ha come sfondo una crisi capitalista e sociale assai più profonda. Ma anche

perché manca ad oggi di un asse di svolgimento e di una prospettiva definita di sbocco.

 All'inizio degli anni '90, la borghesia italiana guidata dalla grande impresa investiva in un

progetto strategico: l'ingresso organico del capitalismo italiano nell'Europa di Maastricht,

nella prospettiva dell'euro; la concertazione come calmiere sociale e garanzia dei

sacrifici; il centrosinistra come miglior formula politica di rappresentanza degli interessi

generali del grande capitale. Questo progetto marciò, com'è inevitabile, tra mille intoppi

e contraddizioni. Ma era un progetto segnato da un asse. Che orientò lo stesso sviluppo

della riforma elettorale dell'assetto bipolare di alternanza.

Oggi, un grande capitale disarticolato dalla crisi non ha un'opzione politica organica.

Mentre da 2 anni la crisi del bipolarismo precipita al buio, senza ancora liberare una

linea di tendenza e ricomposizione che possa indicare un approdo per le stesse classi

dirigenti. Nei fatti l'Italia è oggi l'unico paese imperialista a non disporre, dentro la crisi

capitalista, di un quadro certo di governabilità politico/istituzionale.

La crisi del vecchio bipolarismo

Le forme di alternanza che hanno incardinato 20 anni di politiche borghesi hanno subitouna destabilizzazione. La crisi e le politiche di austerità hanno minato sensibilmente il

consenso dei partiti di centrodestra e centrosinistra, approfondendo le contraddizioni dei

loro blocchi sociali e concorrendo alla fluidità dei flussi elettorali. Dalle elezioni del 2008

a quelle del 2013, 10 milioni di voti hanno abbandonato PDL e PD: dopo sette anni di

crisi capitalista, nessuno dei due poli dispone della forza elettorale e politica per gestire

in proprio - l'uno “contro” l'altro - le politiche sociali dominanti. Mentre lo sviluppo

straordinario di un terzo polo populista capitalizza ed aggrava la crisi dei vecchi equilibri.

Da qui i governi di unità nazionale. Parallelamente i vecchi schieramenti di centrodestra

e centrosinistra hanno conosciuto un processo di sfaldamento politico. Mentre gli stessi

partiti cardine su cui si imperniano vedono precipitare la propria crisi, ben al di là dellemutevoli fortune elettorali. I principali partiti borghesi sono cantieri di lavori in corso

senza direzione dei lavori.

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Il PDL non si è mai emancipato dal controllo padronale di Berlusconi, e dalla sua

capacità di richiamo elettoral populista. Ed oggi si trova massimamente dipendente da

Berlusconi proprio nel momento della precipitazione della vicenda giudiziaria del

Cavaliere. Tutti i nodi irrisolti del PDL finiscono così col presentarsi insieme,: continuità

del primato del partito azienda, o partito strutturato e contendibile; soggetto“antieuropeo” o sezione italiana del PPE; partito segnato da un marchio populista oppure

legato all'interesse generale di sistema. Il bivio è reso più stringente dalla vicenda

Berlusconi, ma anche dalla profondità della crisi capitalistica. Generando

fisiologicamente spinte divaricanti nel partito. Berlusconi è stato ed è il collante unitario

delle contraddizioni interne. Ma proprio per questo un suo declino può precipitare una

dinamica esplosiva del suo mondo, con effetti a cascata sull'intero scenario politico.

Il PD vede acuirsi tutte le contraddizioni dell'”amalgama mal riuscito”  (D'Alema). Nato

come partito borghese di sistema, dopo un lungo processo di transizione, il PD è stato

organicamente fedele agli interessi del capitale e alle sue richieste politiche (rinuncia alle

elezioni anticipate nel novembre del 2011, sostegno a Monti e alle politiche lacrime esangue contro i lavoratori; approdo travagliato al governo Letta di unità nazionale, dopo

il fallimento elettorale e politico del centrosinistra). Ma queste politiche hanno

accompagnato la crisi del partito, su tutti i lati della sua fragile costruzione: crisi di

rapporto con ampie fasce dell'elettorato operaio e popolar e; crisi dell’equilibrio tra

vecchie cordate e processi di loro dissoluzione; crisi ripetuta di rapporto tra gruppi

dirigenti e gruppi parlamentari; contrasto con potenti aree mediatiche e d'opinione che

sono parte da sempre della costituzione materiale del centrosinistra (quotidiano

Repubblica” ). L'ascesa del Renzismo è al tempo stesso la registrazione della crisi del

PD e un suo fattore di possibile approfondimento. Il renzismo è un fenomeno politico

ibrido che tiene in sé elementi diversi (rampantismo generazionale, trasformismodisinvolto, populismo, rappresentanza di nuovi interessi borghesi emergenti..). Dentro la

crisi del PD, e quale possibile candidato vincente alle future elezioni, Matteo Renzi si sta

configurando come punto di attrazione e ricomposizione di settori crescenti del vecchio

apparato. Ma anche come fattore destabilizzante sia degli equilibri di governo, sia degli

equilibri interni al PD. L'uomo della possibile riscossa elettorale del PD diventa al tempo

stesso un ulteriore fattore di crisi del PD. Il partito che sino al febbraio 2013 appariva

l'unico punto di tenuta del bipolarismo e della seconda repubblica si è trasformato in un

epicentro della sua crisi.

Unità nazionale e nuovi equilibri istituzionaliI governi di unità nazionale che segnano dal 2011 lo scenario italiano sono stati al tempo

stesso effetto e concausa della crisi politica e istituzionale. Registrando un sostanziale

fallimento della propria missione.

Il governo Monti, sospinto dal combinarsi della crisi finanziaria e della crisi del

berlusconismo, ha realizzato le misure di sfondamento sociale per cui era nato (su

pensioni e lavoro) in accordo con l'Unione Europea: ma ha fallito l'obiettivo di ripristinare

il “normale” bipolarismo. Concorrendo anzi a destabilizzarlo (sconfitta elettorale del

centro sinistra, fallimento di una ricomposizione di governo tra Bersani e Monti, recupero

populista di Berlusconi “contro” le politiche fiscali di Monti, sfondamento del populismo

grillino).

Il successivo governo Letta, sospinto dalla precipitazione della crisi politico istituzionale

connessa alla elezione della Presidenza della Repubblica era nato con un progetto

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ambizioso: la stabilizzazione politica, sociale, istituzionale. Ma la crisi politica irrisolta ed

anzi aggravata di tutti i partiti della sua maggioranza si è rapidamente riversata sul

governo. Mentre la profondità della crisi capitalista, dentro i vincoli delle politiche di

bilancio, ha esaltato tutte le contraddizioni del suo composito blocco sociale di

riferimento in ordine alle politiche fiscali e di spesa. In queste condizioni, il governo Letta Alfano, nato con ambizioni superiori a quelle del governo Monti, si rivela in realtà

nettamente più debole dell'esecutivo precedente. Mentre la condanna giudiziaria di

Berlusconi, per i suoi effetti diretti e indiretti, pone serie ipoteche sulla sua prospettiva e

durata. In ottobre il tentativo di Berlusconi di far cadere il governo e ottenere elezioni

anticipate è fallito per l'opposizione compatta della borghesia e dell'ala ministeriale del

PDL. Ma il governo, pur rafforzato nell'immediato dall'indebolimento di Berlusconi, resta

esposto alle contraddizioni irrisolte del PDL e all'avanzata del renzismo nel PD, in un

contesto generale di precarietà che ripropone in prospettiva la possibilità di nuove

precipitazioni di crisi.

Questo quadro di estrema precarietà ha trascinato con sé una modifica strisciante degliequilibri istituzionali. Napolitano ha di fatto allargato, nella costituzione materiale della

democrazia borghese, i poteri reali della Presidenza della Repubblica. Nella definizione

diretta delle soluzioni di governo. Nel condizionamento della loro agenda. Nel rapporto di

forza con altri poteri della Stato (Parlamento). I governi Monti e Letta, per la loro genesi

e il loro mandato, hanno in parte rappresentato dei governi “presidenziali”. Retti in primo

luogo sul sostegno e protezione della Presidenza. In un sistema politico fuori controllo,

dentro una drammatica crisi sociale, la Presidenza della Repubblica è apparsa agli occhi

della grande borghesia e della sua stampa come l'unico possibile ancoraggio.

 Anche da qui lo sdoganamento di una possibile riforma gaullista, quale soluzione della

crisi italiana. In un quadro in cui tuttavia il ginepraio delle contraddizioni è tale da

ostacolare pesantemente quella stessa riforma istituzionale che vorrebbe sbloccare

l'impasse.

Il populismo reazionario grillino

Lo sviluppo del terzo polo populista (M5S) è il principale beneficiario della crisi congiunta

dei partiti borghesi (e del movimento operaio). Si tratta, elettoralmente, del più grande

movimento populista che si sia affacciato nel dopoguerra.

Il Grillismo ha raccolto un blocco sociale interclassista. Con una presenza centrale di

settori giovanili di precariato intellettuale metropolitano. Ma con un irradiamento

progressivo sia nel lavoro salariato, anche industriale, sia tra i disoccupati (dove il M5S è

il primo partito), sia nel piccolo e medio padronato (in particolare nel Nord Est). La crisi

dei blocchi sociali dei principali partiti si è travasata, da versanti opposti, nell'espansione

del movimento, al di là dell'iniziale confine nordista e metropolitano.

Le contraddizioni che compongono la sua base elettorale, il suo corpo attivo, la sua

rappresentanza istituzionale, non debbono far velo alla reale natura del M5S. Singole

bandiere e motivazioni “progressiste” (opposizione alle missioni militari, difesa dei beni

comuni, ambientalismo..) sono incorporate in un progetto complessivamente reazionario;

socialmente (attacco a dipendenti pubblici e pensioni per tagliare l'IRAP al padronato;

chiusura delle “fabbriche improduttive”; “salario di cittadinanza” come indennizzo alavoratori pubblici e privati di cui si chiede di fatto il licenziamento; abolizione del valore

legale del titolo di studio..); e politicamente reazionario (attacco ai migranti; abolizione

del sindacato; abolizione dei partiti, regime plebiscitario fondato sull'onnipotenza della

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Rete..): il regime dispotico nel M5S è la prefigurazione del regime reazionario che

Casaleggio e Grillo vorrebbero imporre quale sbocco della crisi della seconda

Repubblica. A differenza di altri soggetti reazionari sulla scena italiana (v. Lega Nord), il

M5S non è disponibile a logiche di coalizione: il suo obiettivo strategico è la conquista

del potere e la sua concentrazione esclusiva nelle proprie mani. La ricerca dellosfondamento populista è in funzione di questo obiettivo centrale. Al quale viene piegata

ogni mutevole scelta tattica: inclusa la campagna per Rodotà presidente o a “difesa della

Costituzione”. Per questo il grillismo agisce come potente concausa della crisi del

bipolarismo.

LA CRISI DEL MOVIMENTO OPERAIO

Il vero punto di forza della borghesia, è stata ed è la crisi del movimento operaio, che ha

consentito alle classi dominanti di reggere l'impatto di una crisi politica fuori controllo.

Il movimento operaio italiano nella crisi capitalista

 A differenza di altri paesi dell'Europa mediterranea, in Italia la crisi capitalistica e le

politiche di austerità non hanno registrato una risposta significativa del movimento

operaio e dei movimenti di massa. La dinamica di lotta ha al contrario conosciuto un

arretramento.

Tra il 2008 e il 2011, la presenza del governo Berlusconi trascinava una mobilitazione

politica “democratica” di opposizione, sebbene con una minor forza che nel decennio

precedente. Una mobilitazione che in parte compensava le difficoltà di risposta alla crisi

(movimento dell'Onda). Mentre l'aggressione della FIAT alla FIOM, e l'opposizione della

FIOM alla FIAT, definiva una linea simbolica riconoscibile di resistenza operaia, quale

possibile punto di ricomposizione dell'opposizione sociale (manifestazione nazionale

FIOM del 16 Ottobre 2010)

Tra il 2011 e il 2013, la sconfitta della FIOM, a partire dalla FIAT, ha privato il movimento

operaio di un possibile riferimento, accentuando fenomeni di demoralizzazione. Mentre

la caduta del governo Berlusconi per mano dei mercati finanziari, ha rimosso il bersaglio

centrale e simbolico della mobilitazione politica. Il movimento a difesa dell'art.18 ha

rappresentato un occasione preziosa di controtendenza. Proprio per questo la sua

sconfitta ha rafforzato la dinamica di ripiegamento.

Questo arretramento ha ragioni molteplici. Per un verso ha un rapporto col contesto

politico e sociale della crisi. La grande recessione del 2008/2009 ha fatto irruzione a

ridosso dell'esperienza del governo Prodi (2006/2008), che registrò il punto più basso di

scioperi rispetto a tutto il decennio precedente. Un governo che - col sostegno decisivo

delle sinistre politiche e della CGIL - colpì e disperse quelle domande di “svolta” di cui si

era nutrita la stagione di mobilitazioni dei primi anni 2000. Dentro questa parabola

discendente, la recessione ha finito col rafforzare la dinamica di arretramento: perché ha

colpito il mondo del lavoro proprio nel momento del ripiegamento sociale e della

delusione politica.

La responsabilità centrale della cgil

Questa analisi riporta alla ragione decisiva dell'arretramento operaio: la responsabilità

delle sue direzioni, politiche e sindacali. Ed in particolare della burocrazia CGIL: l'unica

direzione di massa del movimento operaio.

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Negli anni della crisi la principale preoccupazione della burocrazia CGIL è stata quella di

riconquistare la collaborazione col padronato; e di favorire una ricomposizione di

governo di centrosinistra, come sponda per la collaborazione sociale.

Sotto il governo Berlusconi, che emarginava la CGIL attraverso gli accordi separati con

CISL e UIL, la burocrazia sindacale ha fatto a suo modo un’“opposizione” controllata: per

spingere il padronato alla ripresa della collaborazione, in una prospettiva di ricambio

politico borghese (accordo del 28 giugno 2011 sulla deroga ai contratti).

La nascita del governo Monti spiazzò le aspettative della CGIL. Non a caso la burocrazia

sostenne sino all'ultimo momento, anche in contraddizione col PD, la necessità di

elezioni anticipate. Ma il coinvolgimento del PD e la necessità di coprire a sinistra la

segreteria Bersani, motivò il lasciapassare della CGIL (in particolare su pensioni e

articolo 18), concedendo al nuovo governo ciò che lo stesso Berlusconi non avrebbe

potuto realizzare. La pugnalata della CGIL al movimento di massa per la difesa

dell'art.18 è stata decisiva per la sua sconfitta. La ragione politica della burocrazia

restava la stessa: coprire il PD nell'anno di “transizione” in vista di un accordo di

concertazione con un governo Bersani, che veniva considerato scontato.

La clamorosa sconfitta elettorale di Bersani nel febbraio 2013 e l'approdo travagliato al

governo Letta Alfano, hanno perciò rappresentato una nuova sconfitta della burocrazia

CGIL. Tuttavia l'impossibilità di reggere in un limbo indefinito e la volontà di aprire alla

nuova direzione confindustriale di Squinzi, ha sospinto il grande accordo di

ricomposizione tra CGIL, CISL, UIL, e Confindustria attorno alla “esigibilità dei contratti”:

che completa e consolida l'accordo del 28 giugno 2011 nella direzione voluta dal

padronato. Cui si aggiunge una sorta di blocco dei produttori con Confindustria, a favore

di una nuova operazione sul cuneo fiscale (a vantaggio dei padroni) e il lasciapassare a

Letta sulle misure di ulteriore precarizzazione del lavoro.

Questa politica della burocrazia CGIL, se ha mancato sinora l'incontro coll'atteso

governo di centrosinistra, ha invece centrato un risultato di fondo: il disarmo del

movimento operaio. Con effetti drammatici non solo sociali, ma anche politici.

L'incapacità della FIOM nella costruzione di una alternativa

Il gruppo dirigente della FIOM è stato del tutto incapace di una alternativa di direzione

alla burocrazia della CGIL. Ed ha anzi accentuato progressivamente gli elementi di

subordinazione alla linea della confederazione.

Questo gruppo dirigente “sabatiniano” ha perseguito e persegue un “normale” ripristinodella dialettica col padronato, a partire dalla difesa del proprio ruolo sindacale. Per

questo si è opposto allo sfondamento della FIAT contro i diritti individuali e collettivi, ha

contrastato gli accordi separati, ha criticato linea e scelte della maggioranza CGIL in

passaggi cruciali (risposta a Marchionne, accordi del 28 giugno 2011), si è differenziato

all'ultimo congresso della Confederazione. Perciò stesso la FIOM ha richiamato su di sé,

a più riprese, attenzioni e aspettative di una parte importante della classe operaia

italiana. Tuttavia questo stesso gruppo dirigente si è rifiutato di trasformare le proprie

differenziazioni in una linea di massa alternativa.

Da un lato ha accettato il quadro di frammentazione dello scontro stabilimento per

stabilimento, per di più rinunciando ad una radicale risposta di lotta anche quando ve neerano le condizioni soggettive e la necessità oggettiva (mancata occupazione di Termini

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Imerese nel 2009): col risultato di subire il terreno di scontro cercato dal padronato e di

incoraggiare di fatto la sua linea di sfondamento progressivo.

Dall'altro lato ha cercato di surrogare la sconfitta con un accentuato manovrismo politico,

finalizzato a ottenere per via politica (e giudiziaria) ciò che appariva precluso sul terreno

dello scontro sociale: a partire da una nuova legge sulla rappresentanza. Da qui prima

l'azione di fiancheggiamento e di pressione sulla coalizione di centrosinistra, considerata

vincente. Poi il corteggiamento, a più riprese, dello stesso grillismo, quale interlocutore

della FIOM. Alla fine ha cercato di mascherare l'impasse della propria linea con

l'allineamento all'accordo CGIL, CISL, UIL, Confindustria su rappresentanza ed

esigibilità dei contratti: sino a presentare come “vittoria” della FIOM la rinuncia alla libertà

di lotta e di contestazione giudiziaria dei contratti.

L'allineamento FIOM nell'imminente congresso della CGIL, pur in presenza di limitate

distinzioni formali e di un feroce scontro di potere, sancisce la sua subordinazione nel

momento stesso della massima responsabilità della CGIL per la sconfitta del movimento

operaio.

L'arretramento della coscienza di classe

L'arretramento del movimento operaio per responsabilità delle sue direzioni, ha prodotto

a sua volta conseguenze politiche negative su diversi piani complementari.

In primo luogo sulla coscienza dei lavoratori. Sovrapponendosi ai processi di

scomposizione materiale della classe di più lungo percorso, e combinandosi con la crisi

verticale della sinistra, la sconfitta sociale del movimento operaio ha favorito un diffuso

indebolimento tra i lavoratori della stessa auto rappresentazione della propria ragione

sociale. Questo fenomeno ha investito anche settori di massa sindacalmente epoliticamente attivi : egemonia dell'antiberlusconismo liberale anche su settori combattivi

(a Torino il voto a Fassino filo FIAT di tanti lavoratori di Mirafiori che si erano schierati

per il No alla Fiat); penetrazione populista grillina in settori di classe operaia industriale,

sfiduciati e disperati (Sulcis). Qui si manifesta una differenza importante con i primi anni

90. Allora il combinarsi di un ciclo di lotte di massa (autunno dei bulloni del 92 - grande

sciopero generale del 94 contro il primo governo Berlusconi) con lo sviluppo di

Rifondazione comunista (in qualche modo relazionato anche a quel ciclo di lotte) fece

argine, nonostante tutto, al populismo leghista, contenendo la sua espansione nella

classe operaia. Oggi l'argine anti populista è infinitamente più debole (socialmente e

politicamente), a fronte di una crisi sociale assai più profonda.

In secondo luogo, l'arretramento del movimento operaio e della sua coscienza, ha

indebolito tutti i movimenti di massa, a partire da quello studentesco. Liberando uno

spazio più ampio, dentro la crisi sociale, per lo sviluppo di movimenti popolari a

egemonia reazionaria (Forconi): nei quali strati superiori delle classi medie costruiscono

la propria egemonia sugli strati inferiori della piccola borghesia e su più ampi settori

popolari. Mentre il grosso della popolazione povera del Meridione vive con un senso

diffuso di impotenza il peggioramento della propria condizione. Parallelamente lo stesso

arretramento della mobilitazione e della coscienza di classe indebolisce i movimenti

democratici e socialmente progressivi che si sviluppano su importanti terreni specifici

(dal movimento a difesa dell'acqua pubblica al movimento No Tav, ecc). Movimenti chehanno occupato uno spazio rilevante sia per le proprie importanti ragioni di merito, sia

anche, paradossalmente, per l'arretramento della frontiera centrale dello scontro sociale.

E che al tempo stesso, proprio per questo, subiscono l'assenza di un riferimento

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unificante che possa dare prospettiva alle loro rivendicazioni spostando i rapporti di forza

complessivi.

GLI OSTACOLI ALLA RIPRESA DI MASSA. LE POTENZIALITA’DI UNA BRUSCA

SVOLTA

Oggi permangono diversi ostacoli alla ripresa della mobilitazione di classe e di massa.

Uno sviluppo del movimento politico di classe e di massa per propagazione da singole

vertenze esemplari è ostacolato sia dalla dinamica della crisi (che spinge ogni vertenza

a ripiegare sulla propria specificità), sia dall'assenza di un investimento della direzione.

Tanto più a fronte dell'involuzione in corso della FIOM. Parallelamente, le tante lotte oggi

presenti (precariato, sanità, trasporto locale, casa..) non paiono in grado di avviare una

ricomposizione unificante. Ed anzi registrano una difficoltà di generalizzazione persino

sul proprio terreno specifico. Un'eccezione importante, però circoscritta, è rappresentata

dalle lotte nella logistica del centro nord: ma non a caso questa eccezione è legata allapresenza soggettiva di una direzione alternativa, grazie ad un piccolo sindacato classista

(Si Cobas). Tuttavia la situazione non è affatto stabilizzata. Si accumulano le fascine di

una possibile svolta.

Sul piano politico, la borghesia “non può più governare come prima” e ha enormi

difficoltà a definire un nuovo equilibrio. L'instabilità politica e istituzionale moltiplicherà

contraddizioni e fratture nelle forze dominanti, già esposte a una grave crisi di credibilità:

aprendo continuamente nuovi varchi per la possibile irruzione di iniziative di massa.

Sul piano sociale, la borghesia è priva di un margine di manovra e concessioni che le

consenta di recuperare consenso. Ed anzi è costretta dalla gravità della crisi capitalista,

e dai vincoli annunciati del fiscal compact, a intensificare le politiche di austerità proprio

nel momento della sua crisi di egemonia; dell’accumulo di miser ia e disperazione nel

lavoro salariato e in ampi strati popolari; della massima crisi di tutti i tradizionali

ammortizzatori (sociali, familiari, clientelari), sia nel Nord che nel Mezzogiorno.

Parallelamente l'assenza di una socialdemocrazia con basi di massa priva la borghesia

di un ammortizzatore politico del conflitto sociale, quale quello rappresentato nella prima

Repubblica dal PCI, e negli anni 90 in misura minore dai DS, caricando questo onere

sulla sola CGIL. Mentre il diversivo mediatico/populista a 5 Stelle, che pure ha

elettoralmente attecchito nello stesso lavoro salariato, non dispone di una presenza

organizzata nei luoghi di lavoro (il grillismo non è il peronismo).

In questo quadro, lo spazio oggettivo di una brusca svolta sociale è interamente

presente. E costituisce una fonte reale di preoccupazione borghese. Naturalmente è

impossibile prevedere quali saranno tempi, canali e dinamiche di una ripresa e

ricomposizione del fronte di lotta. Possono realizzarsi le più diverse combinazioni di

fattori sociali e politici, tutte “improbabili”, tutte possibili, capaci di innescare la miccia

della svolta (inclusi fatti incidentali, come in Turchia o Brasile..). Le varianti sono

potenzialmente infinite. Ciò che rende possibile l'innesco è il sottosuolo della profonda

crisi sociale e politica borghese.

Rivoluzione o reazione in Italia Nell'attuale quadro della crisi politico istituzionale, una eventuale ripresa reale del

movimento di massa potrebbe trasformarsi in un fattore dirompente. Ciò che sinora ha

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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consentito il dispiegarsi indolore del caos della seconda Repubblica, è stata la relativa

pace sociale. Proprio per questo una rottura sociale sarebbe gravida di effetti

destabilizzanti, più che in altri paesi. Sino a configurare una possibile crisi pre

rivoluzionaria. Ma è vero anche l'inverso. Senza una reale ripresa del movimento

operaio e dei movimenti di massa, la profondità della crisi italiana rischia di alimentareuna deriva reazionaria.

Dinamiche reazionarie sono già operanti. E si vanno aggravando. La repressione sta

conoscendo in alcuni contesti un salto di qualità, sul terreno del cosiddetto ordine

pubblico: col ricorso inedito a configurazioni di reato obiettivamente abnormi

(“terrorismo”, “devastazione e saccheggio “) contro ordinarie manifestazioni di conflitto.

L'intero dibattito sulla “Riforma istituzionale” (v. presidenzialismo) rivela che la tendenza

informale al bonapartismo e alla rottura con la tradizione costituzionale ha fatto

obiettivamente un passo avanti. Il populismo grillino ha conquistato una base di massa

ad un progetto reazionario di rottura istituzionale ben più profonda di quella “gaullista”. 

Queste tendenze reazionarie non compongono un unico disegno. Sono anzi segnate da

contraddizioni. Ma certo siamo in presenza di una massa critica di spunti reazionari

obiettivamente nuova. Che misura la profondità della crisi, e il drammatico ritardo del

movimento operaio a imporre la propria soluzione.

Rivoluzione socialista o reazione politica: questa è dunque in termini storici la vera

alternativa di prospettiva.

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III PARTE LA PROPOSTA DEL PCL

LA SOLUZIONE SOCIALISTA E RIVOLUZIONARIA

La prospettiva socialista e rivoluzionaria indica l'unica possibile soluzione storicamente

progressiva della crisi del capitalismo. Sul piano mondiale. Su scala europea. Sul

terreno nazionale.

In particolare l'esperienza di questi anni di crisi in Europa conferma una volta di più

l'inconsistenza e l'inganno di ogni ipotesi riformista. Le suggestioni di un “Europa sociale

e democratica” in ambito capitalistico, seminate a piene mani dalle sinistre riformiste e

da tanta parte dell'area centrista, sono prive di ogni fondamento materiale e storico.

Prima l'esaurimento del boom postbellico dalla metà degli anni 70 e poi il crollo del Muro

di Berlino avevano già colpito da tempo lo spazio storico “riformistico” del dopoguerra.

La grande crisi capitalistica e, in essa, la crisi europea, lo hanno seppellito.

Oggi tutte le borghesie europee - sotto ogni governo - muovono all'attacco del Welfare e

del lavoro. Con un salto di qualità rispetto alla dinamica degli ultimi 20 anni. Ciò non

dipende da “errate politiche liberiste” (teoria smentita dal più grande intervento statale di

tutta la storia, a sostegno del capitale). Dipende dalla profondità della crisi e dalla

competizione mondiale dentro questa crisi.

Le basi materiali dell'attacco a welfare e lavoro in europa

L'attacco al Welfare è trascinato dalle necessità del pagamento del debito pubblico; dalla

ricerca disperata di risorse per i “propri” capitalisti, contro concorrenti degli altri paesi;

dalla necessità di nuove riduzioni fiscali per le “proprie” imprese in un quadro

internazionale in cui la riduzione delle tasse sui capitalisti è diventato una voce centrale

della concorrenza mondiale; dalla volontà di assicurare con le privatizzazioni del Welfare

nuovi spazi di accumulazione del capitale.

Così, il passaggio dalle politiche di precarizzazione al nuovo attacco ai contratti nazionali

è sospinto dalla concorrenza sul mercato mondiale della forza lavoro: a fronte di bassi

salari asiatici e di salari medi americani tornati ormai al livello del 1980 e inferiori del

25% ai salari medi tedeschi.

L'illusione delle soluzioni riformiste: “europa sociale” o “moneta nazionale”

Le terapie ideologiche che pensano di rimediare a tutto questo nel quadro capitalista

cadono nel grottesco.

Le formazioni della “Sinistra Europea” (Syriza, Fronte de Gauche, Linke, Izquierda Unida

e ciò che resta del PRC) propongono ingegnerie democratiche e Keynesiane: riforma

della BCE quale prestatore diretto agli Stati, ristrutturazione “concordata” del debito

pubblico; audit per separare il debito “legittimo” da quello “illegittimo”. Queste proposte

non solo sono prive di un riferimento di classe; ma muovono alla ricerca utopica di un

“compromesso”  progressivo col capitalismo europeo, nel momento stesso della sua

massima crisi e della massima aggressione al lavoro. Dal punto di vista politico sono un

certificato di “responsabilità” e di “realismo” da esibire alle classi dirigenti europee perrivendicare il diritto a un proprio futuro ruolo di governo.

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 Altre formazioni, per lo più di estrazione stalinista, propongono invece l'uscita dall'Euro:

o in direzione delle vecchie monete nazionali (che nel quadro del capitalismo e della sua

crisi sarebbe solo un’occasione di saccheggio speculativo su salari e risparmi); o in

direzione di una “moneta comune” del Sud Europa, per “un'alleanza tra Stati che possa

avere più potere contrattuale a livello continentale”, sulla base di un blocco socialeesteso a “settori di borghesia nazionale” (v. il documento per la 2° Conferenza nazionale

della Rete dei Comunisti): una suggestione non solo priva di ogni fondamento, ma che

rimuove l'autonomia di classe e che ha come vero risvolto la negazione della rivoluzione

socialista. Nel nome dell'ennesima evocazione di una (immaginaria) “tappa democratico-

progressiva”. 

Per gli Stati Uniti Socialisti d'Europa

L'avanguardia di classe va liberata da queste fantasie. L'alternativa non è tra euro e

moneta nazionale. E’ tra capitale e lavoro. Tutte le rivendicazioni fondamentali della

classe operaia e degli sfruttati sono incompatibili col capitalismo europeo; con l'Unionedei capitalisti e dei banchieri, (con le sue istituzioni, leggi, trattati); con ogni quadro

capitalistico “nazionale”; con ogni cartello di Stati capitalisti.

Il recupero, la difesa, l'ampliamento del salario sociale; la difesa, la riqualificazione, la

ripartizione del lavoro; lo sviluppo di un grande piano di nuovo lavoro, richiedono un

piano di misure anticapitaliste radicali e un potere che le possa realizzare. In altri termini

una prospettiva di rivoluzione e di governi dei lavoratori. In ogni Paese e su scala

Europea.

La prospettiva degli “Stati uniti socialisti” d'Europa è l'unica reale prospettiva di

progresso per il mondo del lavoro e la maggioranza della società europea. L'alternativa

reale è una nuova profonda regressione sociale e lo sviluppo di derive politiche

reazionarie in tutto il vecchio continente.

IL GOVERNO DEI LAVORATORI: UNICA SOLUZIONE DELLA CRISI ITALIANA

La profondità della crisi pone l'esigenza di un'alternativa politica di classe: tanto radicale

quanto radicale è la crisi di sistema. Se le classi dominanti hanno fallito, una nuova

classe deve prendere le redini della società. Se la Repubblica borghese ha fallito, è

necessario battersi per una Repubblica dei lavoratori. La battaglia per un governo dei

lavoratori, su un programma anticapitalista, ha una propria specifica radice proprio nella

crisi italiana.

Il fatto che il movimento operaio sia arretrato, che la sua coscienza abbia subito

involuzioni profonde, che il tema di un governo dei lavoratori sia oggi lontano dalla

visione della stessa avanguardia, non giustifica una rimozione di quella prospettiva. Al

contrario. Proprio perché il movimento operaio è arretrato, proprio perché la sua stessa

avanguardia è disorientata, è necessario promuovere un intervento controcorrente,

tenace, paziente, che lavori a sviluppare la coscienza dei lavoratori al livello delle

necessità oggettive che la stessa crisi della borghesia oggi pone. Elevare la coscienza

soggettiva al livello delle necessità oggettive, è la ragione stessa di una politica

comunista. Questa battaglia e proposta politica contrasta apertamente gli indirizzi

presenti nelle sinistre attorno al nodo dell'”alternativa”. 

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Riformisti e centristi sulla questione dell'alternativa

Le sinistre cosiddette “radicali” hanno usato la domanda di un alternativa di governo,

presente in settori di massa e dell'avanguardia, per giustificare la propria subordinazione

alla borghesia liberale, in cambio di ministeri (o assessorati). La loro critica ideologica

alla “vecchia” concezione della “conquista del potere” proletario, è servita solo a

mascherare la ciclica candidatura alla gestione del potere borghese.

 Aree e soggetti di tipo centrista (né riformisti, né rivoluzionari) hanno combinato negli

anni il rifiuto della prospettiva del “governo dei lavoratori”, con gli atteggiamenti più

disparati. A seconda delle proprie diverse soggettività.

Sinistra Critica ha fatto parte della maggioranza Prodi dal 2006 sino alla fine del 2007

(da Mastella a Turigliatto), votando la fiducia 22 volte al governo “democratico”

dell'imperialismo italiano e alle sue misure anti operaie. La sua successiva opposizione

“anticapitalista”, pur autonoma dal centrosinistra, ha continuato a contrapporre alla

prospettiva del potere dei lavoratori l'illusione subalterna di una “democraziapartecipativa” (Porto Alegre) rimuovendo il concetto di rottura rivoluzionaria. 

 Altre aree e soggetti centr isti, rinnovano l'illusione di soluzioni “intermedie” tra governo

borghese e governo dei lavoratori (il governo di “emergenza popolare” avanzata dai

CARC; o di “liberazione nazionale” attorno al ritorno alla lira, avanzata dal MPL; o di

blocco sociale con la ”piccola borghesia e settori di borghesia nazionale”, rivendicato

dalla Rete dei Comunisti..). Queste “soluzioni” immaginarie pretenderebbero maggiore

“realismo”. Ma il loro unico risvolto reale è l'opposizione alla prospettiva del potere

proletario. A copertura di un minimalismo programmatico spesso combinato col retaggio

della tradizione stalinista (l'eterna suggestione della “tappa democratica” formalmente in

direzione del “socialismo”, in realtà in contrapposizione al socialismo).  Altri soggetti rimuovono totalmente la questione della prospettiva politica per ripiegare su

una pura dimensione di antagonismo di movimento (aree diverse dei Centri sociali,

dell'anarchismo, dell'”Autonomia”..). A volte mitizzando il valore di una specifica lotta,

vista ogni volta come nuovo paradigma (v. No Tav). A volte teorizzando l’“alternativa” -

non meglio precisata - come sommatoria progressiva di “spazi liberati”, in una logica neo

riformista. A volte risolvendosi in strumento di pressione negoziale sulle istituzioni o sulla

sinistra riformista (come per i Disobbedienti verso il Centro sinistra, il gruppo dirigente

FIOM e SEL). Più volte combinando insieme tutti questi elementi.

Il tratto comune di queste culture è un antagonismo senza centralità di classe e senza

rivoluzione. Che contribuisce a privare lotte e movimenti di una prospettiva unificante adanno delle loro specifiche ragioni.

Per un programma anticapitalista, fuori da ogni illusione

La prospettiva del governo dei lavoratori si fonda invece su un principio di realtà. Le

esigenze e le rivendicazioni fondamentali dei lavoratori, dei movimenti sociali, della

maggioranza della società, riconducono alla necessità della rivoluzione sociale

anticapitalista. Una rivoluzione sociale anticapitalista è inseparabile da un alternativa di

potere. Solo la classe lavoratrice, nella sua attuale composizione ed estensione - a

partire dalla classe operaia industriale - ha la forza potenziale per unificare attorno ad un

programma anticapitalista l'insieme delle domande ed esigenze di svolta, e perconquistare il potere politico. Solo un potere politico fondato sul blocco storico alternativo

tra classe operaia e masse oppresse e sfruttate, del Nord e del Sud, può sgomberare il

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campo dalla dittatura del capitale. Fuori da questa prospettiva resta di fatto una sola

conclusione: la convivenza con la società borghese e il suo Stato. La necessità di un

governo dei lavoratori è posta dalla natura stessa delle misure necessarie per l'uscita

dalla crisi.

La difesa del lavoro richiede il blocco dei licenziamenti, con l'esproprio sotto controllo dei

lavoratori delle aziende che licenziano; la sua ripartizione con la riduzione progressiva

dell'orario a parità di paga; un grande piano di opere di pubblica utilità (a partire

dall'ambiente e dal Mezzogiorno), finanziato da un aumento massiccio della tassazione

progressiva dei grandi redditi e da una tassazione radicale dei grandi patrimoni

(immobiliari e finanziari).

La difesa, la riconquista, l'estensione delle protezioni sociali e dei servizi (pensioni,

sanità, scuola, trasporti) è inseparabile dall'abolizione del debito pubblico verso le

banche; dall'esproprio e nazionalizzazione delle stesse banche, senza indennizzo per i

grandi azionisti dalla loro concentrazione in un’unico istituto pubblico, quale strumento di

pianificazione democratica dell'economia al servizio dell'interesse collettivo e mezzo di

liberazione dal cappio di mutui usurai.

Non c'è domanda sociale di svolta - in nessun settore delle classi oppresse - che possa

prescindere da queste misure. Non c'è possibilità di realizzare queste misure nel quadro

del capitalismo, grazie a un ministro di “sinistra” o a una pressione dei movimenti.  

Solo un governo dei lavoratori, fondato sulla loro organizzazione e la loro forza, può

realizzare queste misure in una prospettiva socialista. Non a caso le sinistre riformiste o

centriste, che respingono la prospettiva di un governo dei lavoratori, rimuovono la

necessità di quelle misure o finiscono col distorcerle, per cercare di renderle

(virtualmente) compatibili col quadro capitalista.Il PRC, che al governo ha votato la massiccia riduzione delle tasse per banchieri e

industriali (IRES dal 34% al 27,5% nel 2007), una volta all'opposizione ha vagheggiato,

di tanto in tanto, la “nazionalizzazione delle banche”: salvo poi precisare che il punto

decisivo è la.. “riforma della BCE” (alla coda dei professori liberali). 

Settori centristi hanno assunto la rivendicazione dell'abolizione del debito pubblico

(anche per effetto della nostra battaglia controcorrente). Ma la loro preoccupazione è

quella di dissolvere la portata anticapitalista di quella rivendicazione: o in direzione

dell'”audit” o svincolandola dalla nazionalizzazione delle banche. 

Così riformisti e centristi, in qualche occasione, hanno ripreso la parola d'ordine della

“nazionalizzazione” di una industria (Fiat o Ilva). Ma tacendo sul punto decisivo

dell'indennizzo, cercando la copertura della Costituzione borghese (che infatti prevede in

ogni caso l'indennizzo), rimuovendo la questione centrale del controllo operaio,

comunque rifiutando di estenderla all'insieme delle aziende che licenziano o inquinano.

In altri termini trasformando una possibile rivendicazione anticapitalista nel recupero

delle vecchie partecipazioni statali, dentro un quadro capitalista “riformato”. Tutto questo

dimostra una cosa sola: la costante preoccupazione dei dirigenti riformisti di apparire

“realisti” agli occhi dei liberali. E dei dirigenti centristi di apparire “realisti” agli occhi dei

riformisti.

La preoccupazione del PCL e dei rivoluzionari, è e deve essere esattamente opposta.

Quella di gettare un ponte tra le esigenze delle masse e la necessità delle rivoluzione. E

dunque di assumere la prospettiva del governo dei lavoratori come coronamento

decisivo della propaganda e agitazione anticapitalista. Contro ogni illusione.

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PROPOSTA E POLITICA DEL FRONTE UNICO

La prospettiva del governo dei lavoratori implica una politica di massa. Non

l'autorecinzione settaria dei rivoluzionari. Ma la lotta per conquistare le masse, e

innanzitutto l’avanguardia, alla prospettiva della rivoluzione. 

La politica leninista del “fronte unico” è parte di questa politica di massa. Essa ha una

base oggettiva: la necessità di unire i lavoratori e attorno ad essi tutti gli sfruttati, in

contrapposizione alle classi dominanti. Questa esigenza è tanto più stringente in un

quadro di grande crisi, di offensiva contro il lavoro, di unità di tutti i partiti padronali in

questa offensiva, di nuove pericolose tendenze reazionarie.

Sulla base di questa esigenza avanziamo una proposta incalzante di fronte unico di lotta

all'insieme della sinistra. A differenza che in altri paesi europei, in Italia l’attuale assenza

di una rappresentanza politica maggioritaria del movimento operaio e la riduzione della

sinistra politica ad un arco di forze molto modesto, non consente di tradurre la proposta

di fronte unico in una esplicita formula politica direttamente leggibile a livello di massa

(come in Grecia ad es. una proposta di “fronte unico Syriza - KKE sulla base di un

programma anticapitalista” ). Per questo la proposta di fronte unico mantiene ad oggi un

carattere generale e indeterminato: come proposta rivolta a “tutte le sinistre politiche,

sindacali, associative, di movimento” perché uniscano le forze in una azione di difesa dei

lavoratori; rompano ogni collaborazione col padronato e i suoi partiti; sviluppino un piano

di mobilitazione di massa unitaria e radicale, proporzionale all'attacco delle forze

dominanti; in ultima analisi si battano per una alternativa politica anticapitalista.

Questa politica leninista ha un risvolto tattico importante: entrare nelle contraddizioni tra i

gruppi dirigenti del movimento operaio e i settori più avanzati e combattivi della loro base

di massa; sviluppare la loro attenzione verso la proposta dei rivoluzionari; estendere la

conoscenza e influenza della proposta dei rivoluzionari all'interno del movimento

operaio, per costruire una sua direzione alternativa. Che è il fattore decisivo per lo

sviluppo e il successo della prospettiva di rivoluzione.

 Al tempo stesso la politica di fronte unico non si limita ad un'azione di propaganda, per

quanto fondamentale. Ma dentro questo orizzonte generale, si traduce in azione politica:

  nella partecipazione, col proprio programma, ad ogni movimento o scadenza dilotta che abbia carattere progressivo, al di là dei limiti politici della suapiattaforma e della natura delle forze promotrici.

  nella critica costante alla frammentazione delle scadenze di lotta e mobilitazione,dovuta a logiche di concorrenza, veti reciproci, primogeniture, tanto frequentenella prassi di forze riformiste e centriste, politiche e sindacali.

  in accordi di unità d'azione con altre sinistre su obiettivi parziali comuni, al di làdelle contraddizioni dei nostri temporanei alleati.

L'essenziale è non confondere mai una espressione, anche organizzata, di unità

d'azione su specifici obiettivi (come ad es. il No Debito) con un soggetto politico comune;

e/o concepirla come un accordo di cartello, escludente a priori altri soggetti e

componenti del movimento operaio.

Per noi ogni espressione di fronte unico va concepita come tassello particolare della

proposta generale di fronte unico anticapitalistico.Per le organizzazioni riformiste e centriste conta essenzialmente l'auto conservazione

del proprio spazio e ruolo particolare. Per i rivoluzionari la bussola di riferimento è

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sempre l'interesse generale del movimento operaio, nella prospettiva della rivoluzione.

Ciò che passa per una politica di unità di classe. Per questo il PCL, sul terreno

dell'azione di classe, è in un certo senso il soggetto più unitario della sinistra italiana.

PER L'INDIPENDENZA DI CLASSE

La proposta di fronte unico anticapitalistico, e la politica di fronte unico, si accompagna

ad una nostra proposta di svolta del movimento operaio: in direzione della piena

autonomia di classe; e sul terreno della azione di classe.

La proposta di fronte unico di classe è inseparabile dalla contrapposizione alla

borghesia, ai suoi governi, ai suoi partiti.

La rottura col PD

La rottura col Partito Democratico è la prima necessità politica del movimento operaio.Nonostante la sua natura compiutamente borghese, e i suoi solidi legami con la

borghesia, il PD ha continuato ad inglobare nella propria area di riferimento la maggior

parte del “popolo della sinistra”, grazie alla finzione distorta del gioco bipolare

(“contrapposizione a Berlusconi”).  Specularmente, la subordinazione al PD del grosso

delle sinistre politiche e sindacali ha contribuito in modo decisivo a coprire e consolidare

l'equivoco del bipolarismo, e con esso l'influenza del liberalismo su ampi settori di

massa. Solo una rottura col PD può dunque liberare uno sviluppo indipendente del

movimento operaio, della sua azione di massa, politica e sindacale, della costruzione di

un'alternativa di classe. Questa battaglia per la rottura del movimento operaio col PD è

resa oggi ancor più attuale dalla crisi profonda del PD.La crisi della seconda Repubblica, unita all'esperienza dei governi di unità nazionale tra

PD e Berlusconi (Monti e Letta) hanno introdotto un fatto nuovo nel rapporto tra il PD e

una parte del suo “mondo” di riferimento: che tende a ribellarsi, sino a fenomeni di rigetto

del partito stesso (abbandono elettorale, crollo delle iscrizioni). Questo fenomeno è

segnato da molti limiti. Non è maturato, per lo più, da un versante di classe ma da un

confuso versante democratico. Non è precipitato in reazione a misure anti operaie, come

art. 18 e legge Fornero. E’ precipitato piuttosto in reazione al “tradimento” del

bipolarismo (accordo di governo con Berlusconi), alla sconfessione delle promesse

elettorali. E’ la misura di quanto a lungo abbia scavato l'inganno bipolare, e della crisi del

movimento operaio italiano. E tuttavia, in una forma distorta e su un terreno spurio, siesprime un fenomeno inedito, che può avere una ricaduta di classe. Mai come oggi si è

fatto profondo lo scollamento tra il PD e un settore importante di lavoratori e popolo di

sinistra. Mai come oggi si pone l'occasione di una battaglia per l'emancipazione politica

del movimento operaio dal liberalismo e dal bipolarismo.

Le sinistre politiche e sindacali lavorano contro questa prospettiva. SEL lavora alla

ricomposizione col PD, e oggi segnatamente con Renzi, dentro il rilancio del vecchio

bipolarismo. La burocrazia Cgil assiste silente alla crisi del PD, nell'eterna attesa di un

futuro governo cui poter appendere la concertazione col padronato. Il gruppo dirigente

Fiom continua a lavorare come lobby per e verso un “nuovo” centro sinistra, in parte

quale sponda a Sel. Il risultato di queste politiche è che la crisi profonda del PD puòrisolversi a “destra”: liberando consensi verso il renzismo e/o il grillismo. Con nuovi effetti

pesantemente negativi sul movimento operaio.

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Contro queste politiche, la battaglia per un fronte unico di classe, autonomo e alternativo

al Pd, è oggi centrale: tra i lavoratori, nei movimenti sociali, nelle organizzazioni di

massa, in tutta la sinistra italiana.

La rottura col populismoParallelamente si pone la necessità di una piena indipendenza del movimento operaio

dal populismo reazionario. Il grillismo non è un possibile alleato, magari infido e

contraddittorio, del mondo del lavoro. E’ un suo avversario. Esso non contribuisce

solamente a corrompere e dirottare un potenziale di lotta di classe sul binario truffaldino

della “lotta alla casta”. Lavora a incorporare una parte dello stesso lavoro salariato al

proprio progetto reazionario.

I gruppi dirigenti delle sinistre politiche e sindacali hanno avuto pesanti responsabilità

nell'ascesa del grillismo e nella sua diffusione tra i lavoratori. Non solo per la propria

subordinazione al capitalismo in crisi. Ma anche per una politica criminale di

abbellimento del fenomeno Grillo dopo la sua esplosione. La rappresentazione del

grillismo come possibile componente di un “fronte democratico” da parte di SEL; la

prolungata apertura di credito da parte del PRC, ai tempi di Ingroia; la ricerca

dell'interlocuzione da parte del gruppo dirigente FIOM; il silenzio da parte della CGIL,

hanno contribuito in modo decisivo a legittimarlo anche agli occhi di settori

d'avanguardia.

Parallelamente, ancor più grottesca è stata l'apertura al M5S da parte di gruppi centristi:

da Cremaschi e la maggioranza del No Debito; ad ambienti del sindacalismo di base;

sino alla campagna elettorale a favore di Grillo dei CARC. Tutte espressioni dell'infinita

leggerezza del centrismo: che non avendo un programma, ma vivendo di suggestioni

estemporanee, finisce per salutare come espressione di movimento una manifestazione

(reazionaria) della sua crisi.

 All'opposto, è necessario sviluppare tra i lavoratori e in tutte le organizzazioni di massa

una campagna sistematica di controinformazione sulla natura del grillismo. A partire dal

rifiuto di un immaginario culturale che, anche a sinistra, ha sostituito i lavoratori con i

“cittadini”, la politica borghese con “la politica”, i partiti borghesi con “i partiti”. Restituire

alle cose il loro nome, è il presupposto stesso di un fronte unico di classe.

PER UNA SVOLTA UNITARIA E RADICALE DI LOTTA

La conquista dell’autonomia di classe si lega ad una svolta unitaria e radicale del

movimento operaio. Una svolta capace di unire ciò che la crisi divide. E al tempo stesso

capace di elevare la risposta del movimento operaio a un livello di scontro storicamente

nuovo.

Il senso strategico della “vertenza generale” 

L'esperienza di questi anni di crisi capitalista ha confermato non solo i guasti devastanti

delle politiche concertative col padronato o i governi borghesi. Ma anche il fallimento

delle linea di difesa atomizzata, in ordine sparso, delle singole trincee del mondo del

lavoro (linea Fiom). Si conferma l'esigenza di una grande vertenza unificante del mondodel lavoro, dei precari, dei disoccupati, attorno ad una piattaforma rivendicativa

indipendente. Questa proposta di svolta risponde al nuovo quadro della crisi capitalista e

all'esigenza di una nuova cultura del movimento operaio. Che rompa definitivamente con

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ogni sorta di concertazione. Ma superi anche definitivamente i vecchi limiti del

tradunionismo sindacale.

La cultura delle vecchie sinistre sindacali si è formata alla fine degli anni 60. Quando

ancora il lascito del boom capitalistico del dopoguerra (sviluppo industriale,

concentrazione operaia, margini riformisti) consentiva una dinamica di conquiste parziali

e progressive, singole vertenze aziendali o di categoria che innescavano un

trascinamento generale. E’ l'esperienza del lungo autunno caldo italiano (1969/76). La

fine del boom, la lunga stagnazione e infine la precipitazione della crisi capitalista, più di

35 anni di arretramenti, hanno distrutto le basi di una simile dinamica. Nel chiuso delle

singole trincee di stabilimento, si vive e subisce un rapporto di forza impari. Che certo

non elimina la necessità della resistenza. Ma elimina la reale possibilità di perseguire,

azienda per azienda, in ordine sparso, la ripresa generale del movimento operaio.

Uscire dal chiuso delle trincee aziendali, unificare le forze in un movimento generale,

capace di confrontarsi in campo aperto con le classi dominanti: questo è il senso

strategico della proposta di vertenza generale, rivolta a tutte le organizzazioni del

movimento operaio. Una proposta di fronte unico che richiama due necessità

complementari : una piattaforma di svolta; una svolta generale delle forme di azione di

massa.

Per una piattaforma di lotta indipendente e unificante

La piattaforma per una vertenza generale deve selezionare un'insieme di rivendicazioni

mirato a unificare l'azione di massa del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati,

attorno alle esigenze più urgenti e drammatiche. Ponendo la classe operaia, a partire

dalla classe operaia industriale, come perno di ricomposizione del blocco sociale

anticapitalista. In questo senso proponiamo:

  Blocco dei licenziamenti e pieno ripristino dell'articolo 18.

  Ripartizione del lavoro attraverso la riduzione generale dell'orario a parità di paga(30-32 ore settimanali), senza flessibilità e annualizzazioni, senza finanziamentoai padroni, a spese dei profitti, con una drastica limitazione del lavorostraordinario e controllo operaio sui ritmi.

  Cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione, varate negli anni dai governi dicentrosinistra, centrodestra, unità nazionale; trasformazione di tutti i contrattiatipici o particolari in contratti a tempo pieno e indeterminato

  Parità di diritti tra lavoratori italiani e migranti, permesso di soggiorno a tutti ilavoratori extra comunitari e alla loro famiglie.

  Salario minimo intercategoriale per legge a 1500 euro nette mensili.

  Salario garantito di 1200 euro ai giovani in cerca di prima occupazione e aidisoccupati che cercano lavoro, sino all'acquisizione di un lavoro a tempo pieno eindeterminato.

  Aumento generale di salari e stipendi privati e pubblici, col pieno recupero diquanto perduto negli ultimi 15 anni.

  Cancellazione delle leggi Gelmini su scuola e università: e grande piano diinvestimento nella scuola pubblica.

  Cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, e ripristino del sistemapensionistico a ripartizione,come precedentemente alla controriforme degli ultimidecenni.

  Cancellazione delle leggi reazionarie sul Pubblico impiego, e ripristino dei diritti

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3° Congresso del PCL

DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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dei pubblici dipendenti.

La nostra piattaforma raccoglie in definitiva tutte le sofferenze sociali delle classi

subalterne del Nord e del Sud, cumulatesi nel tempo e aggravate dalla crisi, per tradurle

in una piattaforma di riscatto generale: una piattaforma tanto radicale quanto radicale è

stato l'attacco subito.

Per una svolta nelle forme di lotta

Parallelamente, si pone l'esigenza di una svolta nelle azioni di lotta. Il vecchio

armamentario riformista (scioperi simbolici di pura propaganda, forme tradizionali di

pressione negoziale..) non regge da tempo i nuovi livelli di scontro. A maggior ragione

non regge la prova della crisi capitalista e la nuova escalation dell'aggressione sociale.

La necessità di contrapporre alla borghesia e ai suoi governi una forza di massa uguale

e contraria emerge in ogni passaggio come questione decisiva. Da qui una proposta

generale di svolta. [qui inserire emendamento POL2, testo a p. 51] 

La svolta è necessaria nelle vertenze aziendali. Occupare le aziende che licenziano;

generalizzare l'indicazione dell'occupazione; coordinare le aziende occupate; costituire

una cassa nazionale di resistenza, a sostegno del prolungamento della lotta: significa

capovolgere il quadro frammentato di infinite vertenze aziendali in una controffensiva

unificante e radicale. L'unica che possa riconnettere la forza materiale della classe, a

partire dall'industria. L'unica che, in un quadro di drammatizzazione del conflitto, possa

oltretutto strappare il blocco dei licenziamenti.

La svolta è necessaria nel movimento di massa: riconducendo le diverse lotte particolari

alla prospettiva di uno sciopero generale prolungato (combinato con l'occupazione delle

aziende che licenziano), capace di paralizzare il paese, di coinvolgere attorno ailavoratori tutti i settori oppressi e sfruttati, di ingaggiare una prova di forza che possa

piegare la resistenza avversaria.

La stessa esperienza di lotta di classe in Europa, tanto più in questi anni di crisi,

dimostra che solo un azione concentrata e radicale di massa, che impaurisca la

borghesia, può realmente strappare risultati fosse pure parziali (v. Romania e Bulgaria).

Mentre ogni frantumazione della lotta disperde le forze e manca gli obiettivi persino in

contesti di elevata mobilitazione: com'è il caso della Grecia, con la moltiplicazione degli

scioperi generali di protesta sotto la direzione di socialdemocratici e stalinisti, in

contrapposizione alla parola d'ordine dello sciopero generale prolungato (avanzata non

a caso dai nostri compagni del EEK, sezione greca del CRQI).

Proposta d'azione e prospettiva politica

La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio (vertenza generale,

nuove forme di azione) non è solo una proposta “sindacale”, fosse pure radicale. Pone la

prospettiva politica di un'esplosione sociale, concentrata e radicale, contro le classi

dominanti, guidata dalla classe lavoratrice. Getta un ponte tra le esigenze del movimento

operaio e un programma anticapitalista. Salda il terreno dell'azione sindacale alla

prospettiva del governo dei lavoratori.

Per questo i gruppi dirigenti riformisti o centristi della sinistra si contrappongono alla

nostra proposta, o si differenziano da essa. Non semplicemente per un minorradicalismo “sindacale”, ma per una diversa prospettiva politica. 

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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E’ la stessa ragione per cui il PCL è l'unico partito della sinistra ad avanzare una

proposta di svolta radicale dell'azione di massa sullo stesso terreno sindacale. A farne

terreno centrale di battaglia politica tra i lavoratori e nelle organizzazioni sindacali. A

lavorare nella lotta di classe per il suo concreto sviluppo.

E’ la riprova che solo una prospettiva di rivoluzione può liberare un intervento e una

proposta di massa all'altezza delle nuove necessità del movimento operaio.

LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI

[qui inserire emendamento POL3, testo a p. 51] 

La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio va investita in una

battaglia di fondo in tutte le organizzazioni sindacali della sinistra. Il nostro secondo

congresso ha definito l'indirizzo generale del nostro intervento sindacale e il criterio

leninista su cui si fonda: l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati non ha come obiettivo

“spostare a sinistra” un sindacato, scegliere “il sindacato più a sinistra” o la costruzione

di un “proprio” sindacato. Ma è parte della battaglia politica per la conquista delle masse

alla prospettiva della rivoluzione socialista. [qui emendamento POL4, sostitutivo delleultime 4 righe del paragrafo, testo a p. 52] La scelta dei sindacati di massa come

luogo privilegiato discende da questa impostazione. Il cui fondamento non è sindacale,

ma politico. Da qui, nel contesto italiano, la obiettiva centralità della battaglia nella CGIL,

contro la sua burocrazia dirigente, sulla base di un programma anticapitalista.

La battaglia nella CGIL contro la burocrazia sindacale

La profondità della crisi italiana ha aggravato le responsabilità della burocrazia CGIL.

L'aggravamento non riguarda, propriamente, la linea sindacale. La burocrazia CGIL

continua a negoziare contro i lavoratori, sul terreno richiesto dal padronato e dai suoi

governi, da più di 35 anni (distruzione della scala mobile, demolizione della previdenza

pubblica, precarizzazione del lavoro). Oggi la precipitazione della crisi trascina la politica

concertativa nella manomissione del contratto nazionale e dei diritti sindacali. Oggi come

ieri, il ruolo della burocrazia sindacale resta quello di “agenzia della borghesia nel

movimento operaio”(Lenin). 

Il vero salto delle responsabilità è politico. Dentro la crisi della seconda Repubblica, con

l'approdo dei DS a un partito borghese liberale, con la crisi verticale della sinistra

riformista, la CGIL si carica di un ruolo straordinario di supplenza politica. Presidio della

pace sociale e strumento disgregatore della resistenza di classe, la burocrazia CGIL

rappresenta oggi, sul versante di massa, il principale fattore di tenuta del regime

borghese nel momento della sua massima crisi sociale/politica/istituzionale.

La CGIL può svolgere questo ruolo a vantaggio della borghesia, proprio perché

organizza e controlla la maggioranza delle masse sindacalmente attive, a partire dalla

classe operaia industriale. Che è la ragione per cui il grosso della borghesia italiana - a

partire dall'attuale Confindustria - ricerca un punto di equilibrio e di accordo con la

burocrazia CGIL.

Per questa stessa ragione la battaglia dei rivoluzionari nella CGIL non ha solo valenza

sindacale. E’ parte della battaglia per la conquista della classe operaia, per unasoluzione rivoluzionaria della crisi della Repubblica.

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Le sinistre riformiste guardano diversamente al nodo CGIL, non perché hanno una

diversa “posizione sindacale”, ma perché hanno una diversa prospettiva politica. 

Esse si diversificano tra sostegno alla burocrazia CGIL (Politica e Lavoro, cioè il gruppo

di Patta e Nicolosi); affidamento al gruppo dirigente FIOM (in forme diverse, SEL e

PDCI); subordinazione alla FIOM, anche nel momento in cui questa si adatta alla

maggioranza CGIL (PRC). L'elemento comune è la subordinazione della scelta

sindacale ai propri interessi politici, per lo più sul terreno delle relazioni negoziali col

centrosinistra (come è avvenuto in tutta la storia di Rifondazione, dal 96).

Per i marxisti rivoluzionari il punto di partenza è invece, come sempre, l'interesse del

movimento operaio e della prospettiva rivoluzionaria. La battaglia per una svolta unitaria

e radicale del movimento operaio è apertamente contro la burocrazia CGIL e in

alternativa alla burocrazia di “sinistra” della FIOM. 

Lo sviluppo di questa battaglia passa per la costruzione di una tendenza sindacale

rivoluzionaria nella CGIL, basata su un programma d'azione sindacale anticapitalistico,radicata nel sindacato e nei luoghi di lavoro, capace di assumersi le proprie

responsabilità nel rapporto coi lavoratori sul terreno della lotta di classe.

In questo senso, la nascita della componente “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL” è un

passo avanti nella lotta alla burocrazia sindacale. Non si tratta, ad oggi, di una tendenza

sindacale rivoluzionaria. La sua direzione attuale (Cremaschi) ripropone limiti

programmatici del centrismo e contraddizioni irrisolte, sia sul terreno dell'azione di

classe che della stessa prospettiva della componente. L'assenza di un progetto

rivoluzionario, la sovrapposizione con confuse operazioni politiche centriste (“Rossa”),

alcuni elementi personalistici, ostacolano la sua evoluzione. Ma la nascita della

componente, di natura certamente classista, segna un terreno di confronto più avanzatonell'avanguardia. Sta ai rivoluzionari in CGIL sviluppare, da questa posizione più

avanzata, una battaglia di qualificazione rivoluzionaria della componente. Non possiamo

prevederne l'esito. Ma questa battaglia sarà comunque importante per la costruzione di

una tendenza sindacale rivoluzionaria in CGIL.

La battaglia nei sindacati di base, contro la logica sindacale del centrismo

La battaglia sindacale dei rivoluzionari non si esaurisce in CGIL, ma si sviluppa anche

nei sindacati di base. Queste organizzazioni - che si fondano positivamente, in linea

generale, su posizioni anticoncertative -raggruppano un settore limitato dell'avanguardia

(complessivamente, in termini reali, dai 100000 ai 150000 lavoratori), prevalentementenel pubblico impiego e nei servizi. E’ giusto rilevare differenze di impostazione e diversi

livelli di radicalità (come dimostra ad es. la lotta esemplare condotta dal Si Cobas nella

logistica). Ma la crisi capitalista e l'innalzamento del livello di scontro, hanno tanto più

evidenziato i limiti profondi di questi sindacati (USB, CUB, Confederazione Cobas..),

prevalentemente legati alla natura politica centrista dei loro gruppi dirigenti: logiche

autocentrate (“proprie” scadenze di sciopero e di lotta, spesso senza rapporto con la

dinamica e i tempi della mobilitazione di massa); teorizzazioni in qualche caso

dell'irrilevanza del proletariato industriale e del superamento del sindacato di classe

verso un “sindacato metropolitano” (come nel caso dell'USB); rissosità reciproca con veti

incrociati e logiche di “primogenitura” (ostacolando azioni sindacali comuni);contrapposizione ad azioni di massa radicali , quando si è svolto un ruolo dirigente su

settori di massa (SDL nel 2008 in Alitalia); assenza o carenza di regole interne

democratiche (in particolare nella USB).

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Il PCL è impegnato incondizionatamente a difendere e sviluppare i diritti dei sindacati di

base contro ogni normativa concertativa o corporativa mirata a cancellarli o ridurli.

 Al tempo stesso la battaglia per una svolta unitaria e radicale del movimento operaio

passa anche per una battaglia contro i limiti del sindacalismo di base. Che spesso

avvantaggiano il controllo della burocrazia CGIL sul movimento reale delle masse e

ostacolano lo sviluppo di una direzione delle lotte alternativa.

La battaglia contro i limiti del sindacalismo di base è un risvolto della battaglia politica

contro il centrismo. Organizzazioni centriste, prive di una reale prospettiva rivoluzionaria,

hanno fondato (e/o controllano) “propri” sindacati in ragione dei propri interessi politici: o

come strumento di demarcazione e autoconservazione di gruppo (la Rete dei Comunisti

con RDB e USB); o come strumento di relazioni pubbliche e di movimento (Bernocchi

con i Cobas). Cogliere la valenza politica dei limiti del sindacalismo di base è importante

per la battaglia dei rivoluzionari che militano nelle loro fila.

 Anche dentro i sindacati di base è dunque necessario lavorare alla costruzione ditendenze rivoluzionarie, sulla base di un programma e di un'azione sindacale di classe.

PER UN'EGEMONIA DI CLASSE SUL TERRENO DELLA BATTAGLIA“DEMOCRATICA”

I mar xisti rivoluzionari non confondono la centralità di classe coll’ambito economico

sindacale. All'opposto si battono per un'egemonia di classe su ogni terreno di lotta e in

ogni movimento socialmente o politicamente progressivo (ambientalista, di genere,

anticlericale, antirazzista, antifascista, antimperialista..).Il secondo congresso del PCL ha

affrontato, in questa direzione, l'articolazione di settore dell'intervento rivoluzionario.

Oggi la gravità della crisi della seconda repubblica e lo sviluppo di tendenze reazionarie

aggiunge una particolare rilevanza alla battaglia di egemonia di classe sul terreno di lotta

“democratico”, in tutte le sue forme ed espressioni. 

L'antifascismo anticapitalista

Sul terreno dell'antifascismo vanno contrastate apertamente le concezioni tradizionali

della sinistra. Tanto più a fronte dell'attuale crisi sociale e dello sviluppo reale - seppur

molto disomogeneo - di aree fasciste militanti in realtà degradate metropolitane e in

alcuni ambienti studenteschi.

Per le sinistre rif ormiste l'antifascismo è un puro richiamo di “valore” con cui giustificarela subordinazione alla borghesia “democratica” dentro il comune richiamo alla

Costituzione (borghese).

Per la composita area centrista l'antifascismo è separato da una prospettiva

rivoluzionaria: per questo talvolta si trasforma, in alcuni settori, in un riferimento

totalizzante, spesso combinato con una mitologia indistinta della Resistenza e una logica

di pressione sullo Stato (ieri “MSI fuori legge”, oggi “Casa Pound fuori legge”).

I rivoluzionari, tanto più oggi, assumono invece l'antifascismo come parte integrante e

inseparabile della battaglia anticapitalista per un governo dei lavoratori: l'unico che

possa estirpare le radici sociali e politiche del fascismo. Per questo legano l'azione

antifascista all’egemonia di classe nei settori oppressi e sfruttati. Rivendicano il fronte

unico di classe antifascista contro ogni subordinazione ai liberali. Promuovono la sfiducia

nello Stato borghese “democratico”, denunciandone ipocrisia e connivenze con l'estrema

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destra. Rivendicano il diritto all'autodifesa dallo squadrismo da parte di ogni soggetto

aggredito o minacciato (lavoratori, migranti, studenti), incoraggiando l'autorganizzazione

della loro forza contro ogni affidamento allo Stato. Su queste basi, il PCL si impegna a

sviluppare una tendenza rivoluzionaria in ogni ambito di fronte comune antifascista

(Comitati antifascisti, ANPI..).

Contro ogni subordinazione alla magistratura borghese

La stessa battaglia di egemonia si pone, su scala più ampia, sul terreno dello scontro

politico/istituzionale. Questo terreno è reso complesso non solo dall'arretramento dei

rapporti di forza. Ma dalla forte influenza esercitata da impostazioni

populiste/giustizialiste (Il Fatto, Travaglio, ecc), che combinano il richiamo feticistico alla

Costituzione borghese del 1948 con il sostegno alla Magistratura borghese e ai suoi

poteri, il silenzio o l'ambiguità verso la repressione dei movimenti sociali (Caselli),

specifiche posizioni reazionarie (abolizione del finanziamento pubblico dei partiti;

inasprimento delle pene carcerarie; legge elettorale maggioritaria); subalternità allecampagne liberiste (come per i dipendenti pubblici). Questo fronte neo populista ha fatto

e fa leva sulla crisi del PD e sulla contrapposizione a Berlusconi per candidarsi

all'egemonia nel campo di riferimento del centrosinistra, anche con aperture e sostegni

diretti al grillismo. La subordinazione ripetuta delle sinistre cosiddette “radicali” a questo

fronte (prima a Di Pietro, poi a Ingroia..) ha contribuito ad ampliare varchi e spazi di

questa cultura nel movimento operaio Il PCL si è contrapposto e si contrappone ad ogni

subordinazione dei lavoratori e movimenti a questa cultura giustizialista. La nostra

contrapposizione alla candidatura Ingroia aveva tra l’altro questa valenza di classe.

Naturalmente siamo e saremo parte di ogni movimento di massa animato da una

domanda democratica, fosse pure distorta, in contrapposizione a Berlusconi, alpresidenzialismo e ai disegni bipartisan di “riforma istituzionale” oggi allo studio. Così

come siamo a difesa incondizionatamente di spazi e diritti democratici riconosciuti dalla

Costituzione borghese, contro ogni loro cancellazione o limitazione. Ma lo siamo con la

piena autonomia di una angolazione di classe, proprio per questo coerentemente

democratica, in contrapposizione alle posizioni liberali e populiste:

1. Contro ogni subordinazione alla Magistratura borghese.

2. Per la difesa incondizionata di ogni lotta, movimento, realtà d'avanguardia chesia oggetto della repressione giudiziaria e poliziesca.

3. Per l'amnistia verso i cosiddetti reati sociali e di lotta.

4. Per una legge elettorale interamente proporzionale, ad ogni livello, in nome delprincipio della rappresentanza democratica contro la truffa della “governabilità”borghese.

 Anche sul terreno democratico si tratta dunque di lottare per l'autonomia del movimento

operaio. Subordinando la battaglia democratica alla lotta anticapitalista per una

Repubblica dei lavoratori. L'unica lotta capace di orientare una battaglia coerente sullo

stesso terreno democratico. L'unica soluzione capace di realizzare una democrazia

vera.

PER UNA REPUBBLICA DEI LAVORATORI

La Repubblica dei lavoratori è l'alternativa di fondo alla crisi della Repubblica borghese.

La battaglia per il governo dei lavoratori è in funzione di questa prospettiva: quella di un

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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cambio di classe della natura stessa dello Stato. Della sua base sociale, e di riflesso

della sua organizzazione e struttura.

L'intera vicenda della Seconda Repubblica documenta la bancarotta morale delle classi

dominanti e di tutti i loro partiti. La Seconda Repubblica fu celebrata 20 anni fa come la

nuova pagina della moralizzazione politica e della democrazia, grazie all'intervento della

Magistratura, al “primato del mercato”, alla riforma elettorale maggioritaria. E’ accaduto

l'opposto: un'espansione ulteriore della corruzione pubblica e privata, alimentata dalle

privatizzazioni e dalla personalizzazione della politica dominante; e insieme

l'ampliamento bipolare della rappresentanza borghese contro le ragioni del lavoro e della

maggioranza della società. Nel nome della governabilità anti operaia delle politiche di

rapina comandate dal grande capitale.

 Al fallimento della Seconda Repubblica non si può replicare con la nostalgia della Prima,

nel nome della Costituzione del 1948. L'intera storia della Prima Repubblica ha rivelato

l'ipocrisia di quella Costituzione. La Costituzione non fu “figlia della Resistenza”, ma del

suo tradimento per opera dello stalinismo (governo De Gasperi/Togliatti). Il suo fine fu

quello di mascherare dietro promesse solenni la ricostruzione del capitalismo e del suo

Stato, contro il proletariato. L'evocazione del suo mito da parte del riformismo è servita a

subordinare il movimento operaio allo Stato borghese, contro ogni prospettiva di

emancipazione sociale. In realtà la cosiddetta “democrazia italiana” è stata una

maschera della dittatura del capitale sul lavoro. Che non ha esitato a violare gli stessi

principi “democratici”, usando la violenza nelle piazze (Scelba), strumenti militari paralleli

(Gladio), iniziative e complicità stragiste (strategia della tensione), al pari di ogni

democrazia borghese. Tangentopoli fu la confessione conclusiva della verità della Prima

Repubblica e del suo Stato. E il cambio istituzionale della Seconda Repubblica fu diretta,

non a caso, dalle stesse classi che avevano sostenuto la Prima, contro le stesse classi

che ne furono vittima, entro lo stesso apparato borghese dello Stato. Secondo l'antico

canovaccio del trasformismo.

Non c'è reale alternativa alla crisi della Repubblica senza rottura rivoluzionaria con lo

Stato borghese. Senza edificare un altro Stato e un'altra Costituzione: che sanciscano il

potere reale dei lavoratori e della maggioranza della società, contro la falsità della

“democrazia” capitalista, e fuori da ogni equivoco burocratico. 

Il potere dei lavoratori, quale strumento di trasformazione rivoluzionaria, non può che

basarsi sull'autorganizzazione democratica e di massa dei lavoratori stessi. Su

organismi da loro eletti, diretti, controllati, a partire dai luoghi di lavoro e dal territorio ;

sulla revocabilità degli eletti; sull'assenza di ogni privilegio rispetto agli elettori; sul

coordinamento democratico degli organismi di massa, su scala nazionale;

sull'unificazione delle funzioni legislative ed esecutive; sulla forza organizzata dei

lavoratori stessi; sul loro potere decisionale sui grandi indirizzi dell'economia e della

società. Sono i principi della democrazia rivoluzionaria consiliare, su cui è nato il

movimento comunista (Comune di Parigi e Soviet russi). Sono la concretizzazione della

dittatura del proletariato come forma superiore di democrazia, in alternativa alla

democrazia borghese quale dittatura mascherata del capitale. Il fallimento dello Stato

borghese - quale regno dell'arbitrio, del privilegio, della corruzione, della separatezza

burocratica dalle grandi masse - misura l'attualità storica di questa alternativa di potere.

La lotta per la Repubblica dei lavoratori non deve essere relegata al futuro. In ogni lotta

immediata del mondo del lavoro, e di ogni settore oppresso e sfruttato, i rivoluzionari

debbono far vivere nelle forme opportune, la prospettiva e la possibilità di un altro

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potere. Non solo spiegando ai lavoratori, controcorrente, le potenzialità della loro forza.

Ma incoraggiando ovunque possibile l'autorganizzazione dei lavoratori e degli sfruttati.

Proporre, a certe condizioni, che una lotta di massa radicale, anche aziendale, esprima

un consiglio di delegati quale nuovo organismo di rappresentanza e direzione della lotta;

proporre un'assemblea nazionale di delegati eletti sui luoghi di lavoro come sededemocratica di definizione di una piattaforma di lotta; proporre che in un movimento degli

studenti, le assemblee di scuole o università eleggano un coordinamento nazionale di

delegati revocabili come organismo democratico di rappresentanza e di lotta: non

significa solo avanzare proposte funzionali allo sviluppo di una mobilitazione. Sono

anche una forma embrionale di introduzione, nel vivo della lotta, della prospettiva di un

altro potere, di un altro Stato, di un'altra democrazia. Sono un ponte gettato tra la

coscienza delle masse e la Repubblica dei lavoratori.

Le sinistre riformiste e centriste rifiutano queste parole d'ordine non semplicemente

perché sono “meno radicali”. Ma perché respingono una prospettiva reale di potere dei

lavoratori. O nel nome della Costituzione borghese. O nel nome della “democraziapartecipativa”. O nel nome della mitologia bonapartista del “chavismo” 

I comunisti, al contrario, assumono la lotta per la Repubblica dei lavoratori come il cuore

di tutta la propria politica.

LA NECESSITA’DEL PARTITO RIVOLUZIONARIO 

La necessità della costruzione di un partito comunista rivoluzionario discende

dall'insieme dei compiti richiesti da una prospettiva rivoluzionaria.

Battersi per una soluzione socialista, quale unica via d'uscita dalla crisi. Battersi per la

conquista del potere politico da parte della classe, fondato su suoi organismi democratici

di massa. Costruire il ponte, in ogni lotta, tra coscienza delle masse e necessità della

rivoluzione. Lottare per l’indipendenza del movimento operaio e di ogni movimento dalle

forze borghesi e populiste. Contrastare le burocrazie riformiste, politiche e sindacali, per

la conquista delle masse a un programma di rivoluzione. Battersi per una egemonia

anticapitalista nel movimento operaio e al tempo stesso per un'egemonia

anticapitalistica e di classe sull'insieme dei movimenti di lotta progressivi e dei settori

oppressi. Ricondurre le lotte nazionali del movimento operaio all'interesse internazionale

del proletariato e della prospettiva socialista mondiale.

Rimuovere uno di questi compiti di azione significa rinunciare alla prospettiva

rivoluzionaria o comprometterla.

 Al tempo stesso solo un partito rivoluzionario può combinare l'insieme di questi compiti,

integrarli in un piano organico di lavoro, costruire un'organizzazione di quadri e militanti

coscienti capace di perseguirli, in ogni ambito e su ogni terreno.

Tutta l'esperienza storica del movimento operaio, e l’esperienza attuale della lotta di

classe internazionale, mostra l'indispensabilità della costruzione del partito

rivoluzionario, su scala nazionale e mondiale. Quanto più si amplia il divario tra la

necessità della rivoluzione socialista e l'arretratezza della coscienza dei lavoratori, tanto

più si pone la necessità di un partito che lavori per sormontare questo divario. Senza

questo partito, senza lo sviluppo della sua egemonia alternativa, i più grandi movimentidi massa sono destinati ad essere egemonizzati dagli organizzatori della loro sconfitta.

Chi contrappone “i movimenti” alla costruzione del partito rivoluzionario, lavora in realtà

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per la sconfitta dei movimenti. Tutta l'esperienza dei movimenti di massa negli ultimi 20

anni è la conferma di questa verità.

La crisi verticale della sinistra italiana

In Italia la costruzione del partito rivoluzionario è resa straordinariamente attuale dal

combinarsi di due fattori. Non solo il divario tra l'arretramento della coscienza dei

lavoratori e la precipitazione della crisi delle classi dirigenti, ma il fallimento e il crollo

della vecchia sinistra politica.

La maggioranza della burocrazia del PCI sciolse il proprio partito per accelerare la

propria scalata al governo, contro i lavoratori. Puntando progressivamente a costruirsi

come riferimento del grande capitale al posto della vecchia DC. I governi di

centrosinistra, col loro carico di lacrime e sangue per i lavoratori, erano il banco di prova

di questa ricerca di investitura. I DS furono l'incubatore del PD.

I gruppi dirigenti di Rifondazione - in tutta la loro evoluzione, nomenclatura,scomposizione - hanno investito un grande patrimonio di attese dell'avanguardia di

classe in una prospettiva di centrosinistra: in una ciclica subordinazione ai suoi governi

borghesi, nazionali e locali, e alle loro politiche contro riformatrici. L'approdo nel governo

Prodi, col voto ai sacrifici e alla guerra in cambio di incarichi ministeriali e istituzionali

non fu “un errore”, ma il coronamento del lungo corso bertinottiano cui si subordinarono

di volta in volta - pienamente o criticamente - le componenti fondamentali del partito, con

la nostra eccezione.

Il combinato disposto di questi processi non ha solo rappresentato il tradimento del

movimento operaio e dei suoi interessi. Ma ha anche prodotto, come effetto ultimo, la

crisi verticale della sinistra politica, quale forma distorta di rappresentanza delmovimento operaio. Aprendo un vuoto politico che è divenuto rapidamente terreno di

pascolo di scorribande populiste, giustizialiste, qualunquiste.

La costruzione del partito rivoluzionario è dunque anche un investimento nella

ricostruzione della sinistra, sulla base di un bilancio storico degli ultimi 20 anni che

documenta la crisi del riformismo dentro la crisi di uno spazio storico riformista. Una

sinistra che ambisca a costruirsi come sinistra di governo del capitalismo in crisi, non

solo è votata a cogestire le politiche del capitale contro il lavoro, ma è esposta perciò

stesso, prima o poi, a cicliche crisi distruttive. L'intera storia del PRC lo dimostra. Una

sinistra può rilanciarsi su basi solide solo attorno ad un programma rivoluzionario.

L'unicità del PCL e la sua costruzione indipendente

[qui emendamento POL5, sostitutivo del capitolo, testo a p. 53] 

Il Partito Comunista dei Lavoratori è, ad oggi, l'unico partito in Italia a fondarsi su un

programma comunista rivoluzionario (centralità della lotta per il potere dei lavoratori). E

dunque sull'insieme organico delle conseguenze strategiche e tattiche che discendono

da quel programma.

Non esiste oggi un’articolazione plurale di organizzazioni marxiste rivoluzionarie, come

ad es. in Argentina (Frente de Izquierda): se vi fosse (e se un domani vi sarà) sarebbe

non solo possibile ma necessario ricercare un’unificazione, realizzando per questa via

un salto in avanti della costruzione del partito rivoluzionario. Ma così oggi non è. In Italia

la costruzione del partito rivoluzionario passa per la costruzione del Partito comunista

dei Lavoratori: per l'adesione al suo programma del settore più cosciente

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3° Congresso del PCL

DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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dell'avanguardia di classe e dei movimenti, e di tutti i militanti e gli attivisti della sinistra

che cercano un'alternativa alla bancarotta dei suoi gruppi dirigenti.

L'unicità del PCL non contraddice la ricerca della più ampia unità d'azione con altre

formazioni della sinistra, la politica del fronte unico di classe. Preclude viceversa ogni

rinuncia al nostro programma indipendente, ogni unificazione con altri programmi, ogni

subordinazione ad altri programmi.

Le diverse proposte “unitarie” - l'una contro le altre armate - che costellano l'attuale

dibattito della sinistra si fondano su altre prospettive.

La “costituente della sinistra” evocata da Sel mira a raggruppare attorno  a Vendola

l'ennesima sinistra di governo del centrosinistra, anche eventualmente allargato a

destra.

La proposta dell'ex ministro Ferrero di “unire la sinistra” in alternativa al PD, oltre a

convivere coi governi PD/PRC in Regioni e città, ripropone il canovaccio di un

programma riformista “antiliberista”: ed ha come unico scopo quello di salvare il gruppodirigente ferreriano dal naufragio politico post Ingroia.

La proposta di Alba rinnova l'illusione di un “nuovo modello di sviluppo” in ambito

capitalistico, partendo da un municipalismo “alternativo”: riflette la volontà (e velleità) di

gruppi intellettuali della sinistra riformista di ritagliarsi uno spazio politico in proprio sulle

rovine di Rifondazione e sulle contraddizioni di Sel.

L'operazione Rossa (Cremaschi, Turigliatto, Russo Spena, Rete dei Comunisti) combina

l'opposizione al PD e al centrosinistra col recupero dell’armamentario centrista: apologia

dei movimenti, rimozione della prospettiva del potere e di un programma transitorio,

rifiuto della costruzione del partito rivoluzionario; con una impostazione che consente il

coinvolgimento di aree del PRC, lasciando irrisolto il nodo del rapporto con

Rifondazione. L'operazione somma in sé mire diverse: salvare dal naufragio un pezzo di

Sinistra Critica dopo la sua dissoluzione, dare uno sbocco politico all'esperienza di

Cremaschi, dare a Ferrero uno spazio di manovra a sinistra. La somma delle

contraddizioni prevede un esito incerto.

Infine le diverse proposte di “unità dei comunisti”, avanzate ciclicamente dal PDCI e da

una galassia di gruppi stalinisti, riflettono solo la pervicace volontà di utilizzare il richiamo

“comunista” per rilanciare l'identità dello stalinismo. Peraltro l'”unità dei comunisti” a

prescindere da principi e programmi, ha già incorniciato la disfatta di Rifondazione.

Contrastare questa mistificazione è un atto di verità e di bilancio.

La difesa dell'autonomia del PCL non è dunque un atto di autoconservazione. E’ la

difesa del programma rivoluzionario e della costruzione del partito rivoluzionario,

nell'interesse del movimento operaio.

La difesa di questo programma è il recupero della memoria storica del marxismo

rivoluzionario e dell'avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio del 900. E al

tempo stesso un suo investimento nel futuro della lotta di classe: in una stagione storica

di grande crisi del capitalismo e del riformismo, che riattualizza in modo straordinario

proprio la ricchezza della tradizione rivoluzionaria del leninismo.

[qui inserire emendamento POL6, testo a p. 54-56] 

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IV PARTE LA LINEA DI COSTRUZIONE DEL PCL

La costruzione del PCL va perseguita in un quadro inedito di estrema instabilità degli

assetti politici, dello scenario di movimento, delle dinamiche della sinistra politica.

LA NOSTRA LINEA DI COSTRUZIONE NELLA PROSSIMA FASE

In altre fasi, la linea di costruzione del partito rivoluzionario ha potuto dotarsi di

un’organicità di progetto. Così è stato nella lunga fase di raggruppamento all'interno del

PRC, che ha fatto da gestazione del PCL: quando investimmo strategicamente nel

processo di ricomposizione politica del movimento operaio italiano dopo il crollo del

Muro di Berlino, ai fini dell'accumulo originario e della qualificazione programmatica di un

settore dell'avanguardia, contro le componenti riformiste e centriste del PRC. Così è

stato al compimento di quel processo, con la nascita del PCL: quando investimmo sullarottura con Rifondazione, a conclusione del suo ciclo politico di opposizione, dentro lo

spazio politico liberato dal suo coinvolgimento di governo, ai fini dello sviluppo

indipendente del nostro partito.

Il nostro secondo Congresso ha già tracciato un primo bilancio di questo percorso,

contestualizzando i successi ma anche i limiti dei risultati ottenuti, come vuole l'onestà

del metodo marxista. Su questo passaggio sarà indispensabile tornare in futuro nel

quadro di un bilancio complessivo della nostra costruzione.

Nella fase attuale, non si delineano le condizioni per definire un organico progetto di

costruzione attorno ad un asse strategico centrale. Non si delinea cioè una direzione,

uno specifico fronte, in cui investire un progetto di possibile sfondamento e di saltodell'accumulazione delle forze. Non, allo stato, sul versante del lavoro di massa: sia per

le dinamiche della lotta di classe; sia ancora per l'esiguità del nostro radicamento, in

termini di concentrazione di forze e direzione di situazioni di lotta e di movimento. Non,

allo stato, sul versante della crisi della sinistra. perché è prevalentemente implosiva, non

definisce linee chiare né di rottura né di ricomposizione; e perché il PCL non dispone

ancora della massa critica per polarizzare su di sè forze consistenti.

Nel presente dobbiamo definire una linea di costruzione che punti a consolidare le

nostre forze, con un piano di lavoro che incida sulla quotidianità della nostra azione.

Senza porre in alternativa “lavoro di massa” e “intervento sulla sinistra”,. Ma lavorando a

costruirci su entrambi i versanti, gestendo l'equilibrio di questo lavoro, razionalizzandolo,puntando a guadagnare nuove posizioni su entrambi i lati, con un lavoro metodico e

regolare.

Per conquistare una posizione soggettiva di maggior forza che ci consenta di intercettare

domani possibili brusche svolte e accelerazioni della situazione oggettiva: sia che esse

maturino in direzione di esplosioni sociali e dinamiche di movimento; sia che maturino in

direzione della precipitazione di processi di crisi e ricomposizione a sinistra.

LA RAZIONALIZZAZIONE DEL NOSTRO LAVORO DI MASSA

Sul versante dell'intervento di massa, dobbiamo curare, organizzare, consolidare unlavoro che spesso conduciamo disordinatamente.

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Propaganda e agitazione

Per costruire il ponte tra l'arretratezza della coscienza e la necessità della rivoluzione, il

lavoro di propaganda svolge un ruolo insostituibile: presentazione del programma

socialista; articolazione transitoria del programma; articolazione delle nostre parole

d'ordine di fase.

Questa attività è tanto più centrale per un piccolo partito come il nostro, il cui principale

fattore di richiamo e reclutamento è dato dal profilo complessivo del proprio programma

e della propria proposta, più che dall'impatto sul movimento delle masse.

 Al tempo stesso, pur essendo ancora un partito dedito principalmente ad una attività

propagandistica nella lotta politica e di classe, il PCL non può limitarsi alla propaganda.

Deve cercare di aprire varchi per l'agitazione delle proprie parole d'ordine e per la loro

sperimentazione nel movimento di lotta, sempre in rapporto con la sua dinamica (anche

in relazione a singole lotte aziendali o di settore, o a singoli passaggi dello scontro

politico). Con la consapevolezza che, a certe condizioni, singole esperienze di lottapossono essere detonatrici di radicalizzazioni più estese. Che in casi eccezionali anche

una piccola minoranza rivoluzionaria può essere determinante. Che forgiare nostri

agitatori è in ogni caso un aspetto importante della nostra costruzione.

Si tratta di bilanciare il ruolo centrale della propaganda con esperienze di agitazione di

massa secondo un criterio razionalizzato. In particolare nell'intervento sulla classe

operaia. Evitando, nella misura del possibile, l'empirismo e l'improvvisazione.

Il criterio di selezione delle situazioni di intervento

In questi anni di crisi capitalista, abbiamo a volte combinato nel nostro agire

comportamenti difformi. Da un lato il disimpegno dall'intervento aziendale e di fabbrica,non cogliendone la centralità (il volantino al mercato considerato prioritario o equivalente

al volantino di fabbrica). Dall'altro l'inseguimento di tutte le situazioni di crisi aziendali del

proprio territorio, senza criterio politico e con dispersione di forze.

Dobbiamo correggere questi atteggiamenti, sulla base di un criterio generale che dia

uniformità e maggiore efficacia al nostro lavoro di massa.cSi tratta di selezionare, in ogni

realtà, le situazioni di lavoro su cui intervenire con la diffusione periodica del nostro

volantino e del nostro giornale. Il criterio di selezione deve privilegiare l'importanza

politico/sindacale dell'azienda, la sua consistenza, la presenza di nostri compagni e/o di

nostri interlocutori politici, la dinamica di lotta. La situazione di crisi aziendale non può

essere l'unico criterio del nostro intervento. La nostra stessa credibilità presso unaazienda in crisi dipende dall'intervento o non intervento che vi abbiamo condotto prima.

Ciò vale, a maggior ragione, per le possibilità di nostro radicamento in quelle realtà.

Rafforzare il lato politico del nostro intervento di massa

E’ importante curare il profilo politico del nostro intervento di massa. Spesso il nostro

intervento, come PCL, su una realtà aziendale si limita alle problematiche specifiche di

quella azienda, o al versante generale delle questioni “economico/sindacali”. E’ un

errore. Naturalmente un intervento mirato al radicamento non può e non deve esulare da

queste tematiche. E del resto parte decisiva della nostra proposta investe la dimensione

dell'azione sindacale (vertenza generale). Ma ridurre alla sola sfera sindacale il nostrointervento sui luoghi di lavoro contraddice due ragioni di fondo.

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La prima è che un partito leninista ha il compito di sviluppare la coscienza delle masse, e

innanzitutto della loro avanguardia, educandole a leggere da un punto di vista di classe

l'insieme degli accadimenti politici, nazionali e internazionali, e l'insieme delle questioni

sociali, ben oltre la soglia della dimensione sindacale. La polemica di Lenin contro

l'economicismo resta una lezione di scuola attualissima (Che Fare). Un volantino difabbrica su Grillo o la rivoluzione nei paesi arabi non ha meno valore di un volantino

“sindacale”. 

La seconda è che tanto più un piccolo partito come il nostro ha la necessità di sviluppare

una propaganda complessiva sul proprio programma. Anche a fronte della nostra

difficoltà, per la nostra debolezza, a configurarci come strumento utile sul terreno

immediato dello scontro (aziendale e/o sindacale).

Il potenziamento del lato politico del nostro intervento investe innanzitutto il centro del

PCL, in ordine al carattere dei volantini periodici da girare al partito. E al tempo stesso

riguarda le sue articolazioni locali e di settore. [qui inserire emendamento POL7, testoa p. 56] 

L'intervento dei nostri militanti nelle proprie situazioni di lavoro

In questo quadro va curato in particolare l'intervento nelle proprie situazioni di lavoro.

 Ancora registriamo qualche fenomeno di dissociazione tra militanza nel PCL e

disimpegno dall'intervento nel proprio luogo di lavoro: per cui un militante “esemplare”

nella propria sezione o nel territorio non milita nella propria azienda, né politicamente, né

sindacalmente. Come talora registriamo qualche fenomeno di sdoppiamento tra il livello

politico della proposta del partito e il profilo dell'intervento aziendale: per cui un militante

del PCL che aderisce al programma rivoluzionario del partito, poi riduce l'intervento nella

propria azienda alla sola dimensione sindacale. Questi limiti vanno superati, con un

duplice livello di attenzione, nazionale e locale.

E’ innanzitutto una questione di principio: un militante rivoluzionario del PCL è un

militante rivoluzionario nella lotta di classe. E la prima frontiera della lotta è quella del

proprio luogo di lavoro.

In secondo luogo è una questione vitale nella costruzione di un possibile ruolo dirigente

o di riconoscibilità politica dei nostri compagni/e in dinamiche di lotta delle proprie

situazioni di lavoro.

In terzo luogo è questione di omogeneizzazione del nostro intervento: la compattezza

con cui un corpo militante di partito sviluppa le proprie campagne e parole d'ordine è unmisuratore dell'efficacia politica delle campagne e della stessa forza d'immagine del

partito (v. Trotsky nel dialogo coi compagni del SWP nel 37/38). Che a sua volta è un

potente fattore d'attrazione e di costruzione.

Il radicamento del PCL nelle organizzazioni di massa e di movimento

In questo quadro, va curato l’inserimento di tutti i nostri militanti in organizzazioni di

massa e di movimento. Molti sono ancora i casi di nostri compagni/e, che non hanno

iscrizione sindacale. E’ una lacuna che va corretta. Ogni nostro lavoratore, precario,

pensionato deve avere una collocazione sindacale. Questa collocazione, liberamente

scelta, va definita anche in rapporto alle specificità di settore. Ma l'indicazione prioritariaper i nostri militanti non ancora iscritti ad alcun sindacato è quella della iscrizione alla

CGIL, fatto salvo le situazioni in cui sindacati di base anticoncertativi abbiano una reale

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rappresentanza tra i lavoratori dell’azienda e/o del comparto e sostengano vertenze

legate ai bisogni reali dei lavoratori e utili ai fini di una svolta unitaria e radicale del

movimento operaio (esempi la lotta dei lavoratori del San Raffaele e della logistica).

Inoltre si raccomanda che tale iscrizione sia concordata con gli organismi dirigenti del

partito tenendo conto anche della nostra battaglia per l’egemonia programmatica nellanuova componente “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL” .

Più in generale va curato l'inserimento dei nostri compagni nelle organizzazioni di massa

e nelle realtà di movimento, secondo un piano di distribuzione delle forze finalizzato al

radicamento. Ogni militante del PCL deve avere una propria trincea di combattimento

(sia essa una struttura di quartiere, un comitato antifascista, un comitato ambientalista..)

Il secondo Congresso ha definito un’impostazione per l'intervento nei diversi settori. Il

presupposto di questo intervento è un inserimento attivo di tutti i nostri compagni nelle

realtà di settore.

Nel metodo si tratta di lavorare in ogni ambito di movimento e di intervento per unaprospettiva di raggruppamento di tendenze rivoluzionarie, basate sul nucleo delle nostre

rivendicazioni di settore in rapporto alla lotta per un governo dei lavoratori.

Queste tendenze rivoluzionarie non sono da considerare “frazioni di partito” (i militanti

del PCL di un determinato settore). Devono essere il raggruppamento di un’avanguardia

attorno all'intervento della nostra componente. Il rapporto tra componente di partito e

tendenze di settore non è quello del comando, ma quello dell'egemonia politica. Si tratta

dell'applicazione, sul versante di massa, della politica del raggruppamento rivoluzionario.

Il lavoro di costruzione di queste tendenze non è lineare. Tanto più in una situazione di

arretratezza della coscienza dei movimenti e di nostra debolezza, può anche passare

attraverso un inserimento in tendenze di sinistra più larghe, che in questo o quell'altrosettore, nazionalmente o localmente, si rivelino un veicolo di differenziazione classista e

maturazione dell'avanguardia. L'essenziale è la chiarezza dell'obiettivo e del metodo di

lavoro.

L'esperienza avviata dei CSR nelle università e nelle scuole, il nostro lavoro nella

opposizione interna in CGIL, investono in forme e contesti diversi questo terreno di

riflessione. Rappresentano un laboratorio per l'intero partito.

Le campagne nazionali di ragruppamento tematico

Su questo livello di lavoro ordinario (da conquistare), va verificata, di volta in volta, la

possibilità di innestare un livello superiore di intervento.

Possiamo sperimentare, a certe condizioni, operazioni di raggruppamento d'avanguardia

attorno a specifiche campagne su rivendicazioni caratterizzanti. Come quella sviluppata

sulla nazionalizzazione delle aziende in crisi, tramite la raccolta di un pronunciamento in

seno all'avanguardia. Il fine di queste campagne, essenzialmente propagandistiche, non

è solo quello di avanzare rivendicazioni corrette nella lotta di classe. Ma è anche quello

di far leva su una specifica parola d'ordine rivoluzionaria per avvicinare al nostro

programma complessivo un settore più largo dell'avanguardia, in funzione della nostra

costruzione e radicamento.

La costruzione di un'area di simpatizzanti del PCL nel popolo della sinistra muove anchedallo sviluppo di questo profilo d'intervento.

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Per la conquista di ruoli di direzione nelle lotte

 A sua volta lo sviluppo di queste campagne di raggruppamento è legato alla conquista di

situazioni di nostro radicamento su cui far leva ( direzione di una lotta, ruolo centrale in

una battaglia di massa..). Questo è ad oggi un limite della nostra costruzione.

Disponiamo di una presenza nazionale relativamente diffusa: incomparabilmente la più

larga a sinistra del PRC. Ma ancora non dirigiamo situazioni di lotta significative capaci

di un richiamo generale. Né disponiamo di presenze concentrate in aziende o categorie.

La contraddizione tra l'essere il soggetto più significativo dell'estrema sinistra, e l'avere

un livello di concentrazione minore (talvolta) di soggetti concorrenti anche molto più

piccoli, è un fattore che riduce il nostro impatto e la potenzialità di sviluppo.

Il nostro lavoro, da qui al prossimo congresso, dev'essere mirato al superamento di

questa contraddizione. In questo quadro assume una valenza politica importante per

l'intero partito lo sviluppo, in diverse città, del nostro lavoro studentesco: sul terreno

dell'accumulazione delle forze, ma anche della potenziale conquista di un ruolo dentrouna possibile dinamica di ripresa del movimento.

[qui inserire emendamento POL8, testo a p. 56-67] 

L'INTERVENTO SULLA CRISI DELLA SINISTRA

Parallelamente, l'intervento sulla crisi della sinistra è un aspetto importante del nostro

lavoro di costruzione. Non è l'asse centrale, come fu nella fase iniziale della nostra

costruzione. Già il nostro secondo congresso razionalizzava la conclusione della fase

“del raggruppamento” incentrata sull'investimento centrale nella crisi del PRC, a seguito

di una modifica delle condizioni politiche che l'avevano determinata (fine del governoProdi, avvento di Berlusconi e ricollocazione delle sinistre all'opposizione, affermazione

di Ferrero su Vendola al congresso del PRC). E sanciva il passaggio alla fase della

“delimitazione” del PCL: delimitazione programmatica e strategica dalle organizzazioni

riformiste e centriste della sinistra, quale terreno di chiarificazione delle nostre ragioni di

forza marxista rivoluzionaria indipendente. Questa politica, unita al nostro intervento di

massa, ci ha consentito di reggere il cambio di situazione; di preservare le nostre forze;

di consolidare la nostra presenza, il nostro piccolo spazio pubblico, anche attraverso la

presentazione, ovunque possibile, alle elezioni. Ma dentro un quadro di rapporti di forza

sostanzialmente immutato. L'ultima fase registra elementi di novità, che possono

incidere parzialmente sulle nostre dinamiche di costruzione.

Il processo strisciante di dissoluzione della Federazione della Sinistra. Il crollo

dell'operazione Ingroia. La dissoluzione di Sinistra Critica. L'ingresso in Parlamento di

Sinistra e Libertà quale unica rappresentanza istituzionale della sinistra sullo sfondo

della crisi drammatica del PD, configurano, da versanti diversi, una fase di

destrutturazione. Che può anche aprire spazi per confuse operazioni centriste (v.

Rossa). Ma che determina al tempo stesso nuove condizioni e opportunità del nostro

intervento. Un intervento proporzionale alle nostre forze, ma da sviluppare nella sua

specificità.

L'attenzione al “popolo della sinistra” Nell’intervento di classe e di massa va rivolta particolare attenzione alla relazione con un

popolo di sinistra allo sbando. Non può essere il nostro unico punto di riferimento e

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dobbiamo essere pronti a dialettizzarci a più ampio raggio con l'eventuale attivizzazione

di nuovi settori di massa, nel caso di brusche svolte della situazione. Ma, ad oggi, il

riferimento prioritario del nostro intervento politico non può essere indistinto. Né può

privilegiare il bacino protestario del grillismo: perché anche quando esso coinvolge

settori di classe, registra una dinamica di passivizzazione qualunquista e di arretramentodella coscienza, non di radicalizzazione.

Il nostro riferimento centrale dev'essere il settore di massa del mondo del lavoro e della

sua avanguardia larga che cerca “a sinistra” una rappresentanza delle proprie ragioni di

classe e che per questo può entrare in collisione con i gruppi dirigenti delle sinistre. I

nostri volantini, la nostra propaganda, deve cercare di parlare a questo mondo. Facendo

leva sul suo embrione di coscienza per svilupparlo in direzione rivoluzionaria. Questo

approccio va articolato nell'intervento sulle diverse sinistre e sulla loro crisi.

Il nostro intervento sulla crisi del PRC

La crisi del PRC è profonda. Non sancisce necessariamente la sua scomparsa. Ma certo

conosce, dopo l'esperienza Ingroia, un salto di qualità. E’ una crisi oggettiva: esclusione

dal Parlamento; rapporto di forza con Sel; consumazione dello spazio negoziale col

centrosinistra; assenza di una prospettiva di ricambio; scontro nel gruppo dirigente per la

leadership. E al tempo stesso una crisi soggettiva: demoralizzazione e disorientamento

interno; dinamica diffusa di abbandono silenzioso; crisi di credibilità complessiva del

gruppo dirigente.

Si tratta di una crisi più profonda di quella del 2008, successiva al fallimento

dell'Arcobaleno. Allora lo scontro interno e persino la scissione di Vendola produsse il

carburante della tenuta del PRC (illusioni di sinistra sulla “svolta” di Ferrero). Oggi la crisi

investe proprio quelle illusioni. E precipita su un partito assai più prostrato.

La crisi profonda di un partito che ha a lungo imprigionato abusivamente l'immaginario

della sinistra “radicale” e “comunista”non può essere indifferente per la costruzione del

partito rivoluzionario. Tanto più se essa investe un corpo organizzato e un area

d’avanguardia tuttora molto più grande di quella che oggi organizza e influenza il PCL.

La conquista di militanti, iscritti, sostenitori del PRC dev'essere uno dei nostri obiettivi di

fase.

E’ una conquista non semplice. Sia perché la dinamica della crisi è lenta e tortuosa. Sia

perché matura in un clima di scoramento, cui quella stessa crisi concorre. Sia perché il

nostro partito è ancora troppo piccolo per rappresentare un punto di attrazione centrale.Tuttavia non è un caso se per la prima volta dal 2008 registriamo un sia pur piccolo

passaggio di militanti e iscritti dal PRC al PCL (in Veneto, nelle Marche, in Piemonte, in

Toscana..) e qualche nuovo spazio di relazioni, contatti, interlocuzioni in quel mondo.

Ogni conquista di un frammento dal PRC va considerato un fatto prezioso. Sia in sé. Sia

perché può aprire varchi per successive capitalizzazioni e conquiste.

In questo quadro un'attenzione specifica va rivolta all'area di Falce e Martello, attuale

minoranza di sinistra del PRC, che raccoglie attorno a sé un piccolo settore di

avanguardia operaia e giovanile. E che oggi è posto dalla crisi verticale del PRC di

fronte alla crisi senza sbocco della linea opportunista del proprio gruppo dirigente. La

conquista al PCL di quadri e attivisti di FM è preziosa per la nostra costruzione, ancheper il loro livello medio di formazione.

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L'intervento del PCL sulle contraddizioni di SEL

SEL si sta rafforzando, com'è fisiologico, sulla crisi del PD e sull'esperienza dell'unità

nazionale. Al tempo stesso la sua crescita si carica di contraddizioni, legate alla natura

reale del suo gruppo dirigente, ed in particolare al ruolo di Vendola e della sua linea

spregiudicata. Che prima ha realizzato il blocco di coalizione con Bersani anche in

funzione di una propria scalata del PD (offerta di unificazione PD/Sel); dopo l'avvento

dell'unità nazionale, si è attestata su un'opposizione soft per non rompere i rapporti col

PD (sino a sospendere l’annunciata Costituente della sinistra); infine di fronte all'ascesa

di Renzi, si è affrettata a fornirgli sponda e a prenotare un accordo di governo, per

timore di essere scaricati.

Questo funambolismo trasformista è e sarà fonte di inevitabili travagli, dentro una

formazione che può raggiungere il livello elettorale della vecchia Rifondazione, ma che

dispone di un'ossatura organizzativa infinitamente più debole. In particolare un'eventuale

esperienza di governo potrebbe avere una carica dirompente su SEL.

Subordinatamente all’intervento sul PRC, il PCL deve dunque prestare attenzione anche

a quello su su SEL. SEL è oggi un riferimento per un settore del movimento operaio, in

particolare della FIOM. La battaglia contro il vendolismo, la chiarificazione dei suoi

inganni, la denuncia e previsione dei suoi approdi, è uno dei canali di intervento su un

pezzo dell'avanguardia di classe. Il nostro partito è ancora troppo piccolo per poter

capitalizzare, su scala significativa, le contraddizioni di Sel. Ma la crisi del PRC

indebolisce la concorrenza politica su questo terreno.

Lo scioglimento di Sinistra Critica e il nostro intervento sul centrismo

La crisi e lo scioglimento di Sinistra Critica merita un'attenzione specifica. La nascita diSC ha rappresentato nel 2008 un fattore di indebolimento del nostro sviluppo e di

confusione nell'avanguardia politica.

La sua storia è stata la storia di un fallimento: la pretesa di un “anticapitalismo”

movimentista senza programma e partito rivoluzionari. L'esplosione dello scontro interno

tra un ala iper movimentista (Cannavò) e un ala conservativa di SC e del suo equivoco

originario (Turigliatto), ha sanzionato questo fallimento. Il tentativo della componente

Turigliatto di rilanciare l'equivoco centrista nell'incontro con Cremaschi e la Rete dei

Comunisti (“Rossa”) rappresenta - al di là dei suoi esiti - la riprova dell'impermeabilità del

gruppo dirigente di tradizione “pablista” alle lezioni dell'esperienza. E il preannuncio in

prospettiva di nuove crisi.Il PCL deve assumere l'esperienza di SC come misura paradigmatica del fallimento del

centrismo. E farne argomento di chiarificazione nell'avanguardia ai fini della costruzione

del partito rivoluzionario.

L'attenzione ai gruppi locali, e il lavoro di polarizzazione

La crisi della sinistra può liberare uno spazio d'intervento su gruppi e formazioni locali,

privi di un riferimento nazionale. Questa articolazione di gruppi politici locali non è nuova,

e spesso rappresenta una stratificazione, negli anni, delle crisi (nazionali e/o locali) del

PRC, di esperienze di movimento e di battaglie territoriali. Il PRC ha rappresentato in

passato, nonostante tutto, un asse di gravitazione di queste esperienze. Oggi la suacrisi, unita alla dispersione di tanti gruppi centristi, può liberare verso il PCL attenzioni

nuove da questo versante. L'adesione al PCL dell'organizzazione napoletana di

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“Comunisti Napoli Est”, rappresenta non solo un fatto importante in sé, ma la misura di

possibilità nuove in questa direzione.

Come sul terreno dell'intervento di massa, il PCL può ricorrere a interventi di

polarizzazione su terreni che ci caratterizzano e che al tempo stesso esercitano una

capacità di richiamo nell'avanguardia politica e nel popolo della sinistra.

E’ il caso ad es. della battaglia antigrillina: abbiamo la necessità di intessere un quadro

di relazioni con tutti i gruppi politici e culturali della sinistra interessati a questa battaglia.

 Anche con la promozione di iniziative comuni.

E’ il caso ad es. della battaglia anticlericale: che oggi si confronta con un quadro di

riferimento nuovo (il corso neopopulista del nuovo Papato) ma che proprio per questo è

ancor più discriminante che in passato, anche a sinistra.

E’ il caso ad es., sul piano internazionale, della battaglia antisionista e “anticampista”:

dentro un quadro internazionale segnato dallo scontro fra rivoluzione e controrivoluzione

negli stati arabi.

Su questi e altri terreni il PCL può attivare, nel tempo, un filone di iniziative

caratterizzanti di raggruppamento, mirate a rafforzare un'area di riferimento, di relazioni,

di simpatia attorno al partito nell'avanguardia politica del popolo della sinistra.

LA COSTRUZIONE PER SALTI

Il documento politico del nostro secondo congresso razionalizzava la concezione della

costruzione per salti del partito rivoluzionario.

L'assimilazione profonda di questa concezione da parte dei nostri militanti riveste un

importanza centrale.

Il lato oggettivo e soggettivo della costruzione del partito

L'intera storia del movimento operaio dimostra che la costruzione di partiti rivoluzionari

non segue un processo rettilineo. Ma è segnata da un infinito saliscendi di avanzate,

ritirate, successi e insuccessi. La stessa storia del bolscevismo ne è una

documentazione esemplare. Un partito rivoluzionario non cresce solo in rapporto alle

proprie ragioni. Cresce in rapporto allo sviluppo della lotta di classe, ai processi di

ricomposizione politica del movimento operaio, ai processi tortuosi di maturazione

dell'avanguardia di classe sospinti da nuove esperienze ed eventi. Questi eventi, a loro

volta, non dipendono dalla “volontà” dei rivoluzionari, ma da un concorso imprevedibile

di fattori e dalla loro imprevedibile combinazione. Tutto questo è tanto più vero per un

partito molto piccolo come il nostro, che non ha un'incidenza diretta sulla dinamica della

lotta di classe; e ancor più in un quadro di grande instabilità politica e sociale, quale oggi

segna lo scenario nazionale e mondiale.

Ciò non significa affatto teorizzare una posizione passiva o attendista dei rivoluzionari. Al

contrario. L'essenziale è preparare attivamente e preventivamente il partito all'incontro

con le possibili svolte della situazione oggettiva: perché solo così quelle svolte potranno

essere incorporate alla costruzione del partito e favorire un salto nel suo sviluppo. E

questa preparazione soggettiva, a sua volta, investe una molteplicità di aspetti tra loro

correlati: la formazione dei quadri, la cura del radicamento sociale, l'accumulo di

esperienza nel lavoro di massa, la proiezione pubblica più ampia possibile del

programma del partito e della sua stessa esistenza, la demarcazione dalle tendenze

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3° Congresso del PCL

DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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riformiste e centriste, la conquista di uno spazio nel dibattito delle sinistre e

dell'avanguardia.

Questo lavoro paziente può nell'immediato non dare risultati, apparire ininfluente per lo

sviluppo del partito, produrre insoddisfazione in compagni giustamente impazienti. Ma in

realtà questo lavoro è decisivo. E’ l'investimento nel lato soggettivo della costruzione del

partito: senza il quale il migliore scenario oggettivo che potesse prodursi andrebbe

disperso. Con un danno enorme per il movimento operaio e il suo interesse generale.

Il terzo Congresso del PCL, col suo quadro d'analisi e indicazioni di lavoro, vuol essere

un investimento concentrato sul lato soggettivo della nostra costruzione.

Il Frente de Izquierda e la costruzione per salti

L'esperienza in corso del Partito Obrero e della sinistra rivoluzionaria argentina, attorno

al Frente de Izquierda, documenta assai bene, in forme particolari, una dinamica di

costruzione per salti.Per lungo tempo, il Partito Obrero ha rappresentato in Argentina una presenza politica

organizzata sicuramente riconoscibile ma obiettivamente marginale nel movimento

operaio e nelle dinamiche di massa. Con risultati elettorali anche dello 0,2/0,3%.

Nell'ultimo decennio, una concatenazione di eventi sussultori e straordinari (il crack del

2001 e la sollevazione dell'Argentinazo, la ripresa capitalistica e l'ascesa del movimento

operaio, la crisi profonda e ripetuta del peronismo) hanno consentito al P O e all’insieme

della sinistra rivoluzionaria trotzkista un salto qualitativo nell'accumulazione delle forze

(in termini di crescita militante e di espansione elettorale), con un avanzamento nella

costruzione del partito rivoluzionario. Un fatto potenziale di enorme rilevanza per lo

sviluppo del marxismo rivoluzionario su scala internazionale. E che ci auguriamo vengainvestito in questa direzione dall'intero CRQI.

Ma il PO ha potuto capitalizzare la svolta oggettiva degli eventi perché ha saputo

reggere controcorrente gli anni dell'isolamento e della marginalità restando fedele ai

principi e al programma del marxismo, sviluppando la propria esperienza nella lotta di

classe, costruendo pazientemente la propria organizzazione, formando e radicando i

propri quadri, lottando incessantemente contro le altre correnti e tendenze riformiste e

centriste, e subendo abitualmente per questo l'accusa di “settarismo”. 

In questo senso l'esperienza argentina parla anche a noi e all'intera avanguardia del

movimento operaio italiano.

Le lezioni delle esperienze del marxismo rivoluzionario in Italia

L'intera nostra esperienza documenta la relazione tra fattori oggettivi e soggettivi della

nostra costruzione.

La brusca svolta del crollo internazionale dello stalinismo nel 1989, le sue ricadute sul

movimento operaio italiano (scioglimento del PCI, nascita e sviluppo di Rifondazione),

sono stati determinanti per il salto soggettivo del marxismo rivoluzionario in Italia: hanno

consentito a un piccolissimo gruppo di marxisti rivoluzionari - poche decine di unità - di

investire in una battaglia di raggruppamento rivoluzionario all'interno del PRC, contro le

posizioni riformiste e centriste. E quindi di creare le premesse soggettive della rottura col

PRC e della nascita del PCL, nel momento oggettivo della svolta ministeriale di quel

partito (governo Prodi). Ciò che ha significato un indubbio salto in avanti sul terreno

dell'accumulazione delle forze.

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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Successivamente, la nostra esperienza di costruzione si è confrontata con un quadro

oggettivo prevalentemente sfavorevole. Caratterizzato dall'arretramento della lotta di

classe. Dal cambio dello scenario politico. Ma anche, più nel profondo, da un senso

comune e un immaginario dell'avanguardia segnati, più che in ogni altro paese europeo,

da tradizioni spontaneiste o staliniste (la mitologia “comunista”). Ciò fa sì che iltrotskismo - a differenza che in Francia, in Argentina o in Bolivia - non sia parte di una

tradizione del popolo della sinistra, ma sia percepito spesso come una tendenza

separata. Anche nel momento in cui si è attratti dalle sue posizioni e proposte.

Questo elemento oggettivo non si è prodotto per caso. E’ il lascito, in ultima analisi, della

mancata battaglia per il trotskismo da parte del gruppo dirigente pablista dei GCR

(Maitan) in un passaggio cruciale: quando la grande svolta di massa del 68/69, che

avrebbe potuto segnare uno sviluppo straordinario del marxismo rivoluzionario, fu

abbandonata senza combattere alla semina ideologica dell'estrema sinistra centrista, del

maoismo, dello stalinismo. Con conseguenze di lungo periodo sulla cultura profonda di

intere generazioni del movimento operaio.

Questa esperienza è ricca di insegnamenti.

Rivela, ancora una volta, il ruolo centrale del fattore soggettivo nella preparazione

dell'incontro con gli eventi storici di svolta. E tanto più in un paese come l'Italia. Dove la

costruzione del partito rivoluzionario non può oggi appoggiarsi su una tradizione, ma è

chiamato a costruirne una “nuova” (la tradizione leninista) nella formazione politica e

culturale dell'avanguardia, a partire dalla giovane generazione.

Non sappiamo, né possiamo sapere, quando e in che forme si produrrà una svolta dello

scenario politico e di massa. Sappiamo che il marxismo rivoluzionario non dovrà ripetere

l'esperienza del 68. Dovrà trovarsi preparato all'appuntamento, con una coerenza dilinea e di programma. E potrà esserlo se oggi, controcorrente, lavorerà a rafforzare, su

ogni lato, la battaglia per il proprio programma; a conquistare nuove posizioni

nell'avanguardia sociale e politica; a conservare ed estendere, nella misura del possibile

il proprio spazio di riconoscibilità, in contrapposizione al riformismo e al centrismo. La

battaglia di posizionamento oggi del marxismo rivoluzionario nella ricomposizione in

corso nell'estrema sinistra sarà decisiva domani ai fini della capitalizzazione della svolta.

perché deciderà del rapporto di forza con le altre tendenze del movimento operaio nella

polarizzazione dell'avanguardia della nuova generazione.

Bologna, 12.10.2013

Comitato Pol i t ico d el Part i to Comun ista dei Lavoratori

 Approvato all’unanimità con 26 favorevoli  

NOTA ALLEGATA AL DOCUMENTO POLITICO

Il documento politico del terzo Congresso riconferma gli specifici indirizzi politici e programmatici varati dal secondo Congresso del PCL in ordine ai diversi settori di

intervento (questione meridionale, migranti, ambientalismo, anti clericalismo). Taliindirizzi, nella loro articolazione, vanno dunque considerati interni alla proposta di lineagenerale che il documento politico avanza.

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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EMENDAMENTI

POL1: SOSTITUIRE LA PRIMA PARTE – LO SCENARIO INTERNAZIONALE

(da pag. 2 a pag. 10 del documento) con il seguente testo:

UNA NUOVA TAPPA DELLA CRISI MONDIALE

Il quadro mondiale è caratterizzato dalla crisi catastrofica, senza precedenti, del capitalismo, giunta ormai al

settimo anno. La crisi attuale non è una semplice crisi ciclica, ma rappresenta la punta dell’iceberg del

capitalismo in putrescenza, l’esplosione della regressione economica iniziata negli   anni ’70, che vede la

caduta tendenziale del saggio medio di profitto come suo elemento principale. L’esplosione della bolla

immobiliare nel 2007 negli Usa non è stato altro che il salto qualitativo di questo processo.

Il periodo storico che coinvolge l’attuale scenario è segnato non soltanto da una mancata ripresa, ma da un

marcato approfondirsi della crisi inarrestabile. Il precipitare della crisi non è un fenomeno limitato ad alcuni

paesi o ad alcune zone, ma coinvolge a livello globale tutti i poli capitalistici: dagli USA, epicentro della crisi

del 2007, alla Cina.

La recente svolta nella politica monetaria della FED non soltanto segna il fallimento della politica di stimolo

monetario che aveva lo scopo di incentivare l’economia (il livello di produttività degli USA resta di gran

lunga inferiore al periodo precedente il 2007, la disoccupazione permane a livelli alti), ma soprattutto

rappresenta un elemento di approfondimento della crisi nei paesi cosiddetti “emergenti” (col rischio della

fuga di capitali), in particolar modo per quanto riguarda la Cina.

L’enormità del debito pubblico degli stati nazionali non solo non consente alla borghesia una politica di tipo

neo-keynesiano, ma risulta essere un fattore destabilizzante per l’intera economia mondiale. La crisi del

debito pubblico degli USA ha aperto una nuova fase di instabilità nelle borse, in particolar modo in Cina,che possiede una grossa fetta del debito americano. La Cina si trova, a sua volta, in un contesto

economico difficile segnato dal calo delle esportazioni e della domanda interna e da un conseguente

rallentamento della produzione.

Nel quadro europeo l’ipotesi di una nuova bancarotta della Grecia e del Portogallo pone inevitabilmente il

rischio di un’impennata della crisi nell’eurozona, nel quadro di un forte rallentamento della sua produzione

industriale. La Germania, che vede la sua produzione industriale crescere al di sotto delle aspettative, ne

verrebbe inevitabilmente travolta in quanto paese creditore.

La borghesia non possiede nessuna via d’uscita dalla crisi, se non operando la distruzione delle forze

produttive, nella prospettiva di una guerra mondiale (determinata soprattutto dall’acuirsi di contrasti inter -

imperialistici e dalle contraddizioni crescenti tra gli USA e la Cina). Più in generale le più recenti vicissitudinidell’economia mondiale concorrono nel gonfiare un’inedita speculazione finanziaria internazionale che

rischia di esplodere in una nuova bolla senza precedenti.

LA CRISI E LA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE

Il fondamento del materialismo dialettico è quello di indagare scientificamente i rapporti esistenti tra i

fluttuamenti della struttura economica e i fenomeni sovrastrutturali connessi. Il legame dialettico tra le crisi e

la lotta di classe è alla base dello sviluppo del socialismo scientifico ad opera di Marx ed Engels. Scriveva

Engels nel 1895, a proposito dell’analisi di Marx sugli eventi del 1848 in Francia, che “la crisi commerciale

mondiale del 1847 era stata la vera madre delle rivoluzioni di febbraio e marzo” . Nel 1850, sulla Neue

Rheinische Zeitung , i padri del socialismo scientifico scrivevano: “Una nuova rivoluzione non è possibile senon in seguito a una nuova crisi. L’una è però altrettanto sicura quanto l’altra” .

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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La realtà conferma il metodo marxista. Nel quadro dell’attuale crisi emergono due fattori politici importanti

che caratterizzano una fase pre-rivoluzionaria, con esplosioni rivoluzionarie in diversi paesi, a livello

mondiale:

1) La crisi della borghesia e delle classi dirigenti a tutte le latitudini (dalla crisi politica che si è prodotta

in Italia dopo le elezioni, fino alla scomposizione del blocco peronista in Argentina nel quadro della

crescita del FIT, solo per citare due esempi).

2) La tendenza alla radicalizzazione delle masse e all’ascesa della lotta di classe, sia nei paesi arretrati

che nei centri imperialistici.

Le recenti rivolte in Turchia e in Brasile non solo mostrano il legame con la crisi, ma hanno segnato e

segnano una nuova tappa nella rivoluzione mondiale. La rivolta della gioventù e dei lavoratori in Brasile ha

costituito un punto di svolta non solo nel proprio paese, ma in tutto il continente dell’America Latina,

caratterizzata da una crisi verticale delle classi dominanti e del nazionalismo borghese.

La radicalizzazione delle masse non si manifesta globalmente in modo univoco: ciò dipende in primo luogo

dal livello di organizzazione del movimento operaio e dalle sue precedenti esperienze storiche. In alcunipaesi si manifesta nell’esplosione di movimenti interclassisti a carattere democratico (vedi la rivolta di Gezi

Park) o del sottoproletariato delle metropoli, che a loro volta possono costituire la miccia per un’esplosione

del movimento operaio (come nel caso della rivolta della gioventù greca del 2008). In altri paesi si ha una

vera e propria ascesa del movimento operaio, come nel caso della recente lotta degli operai tessili del

Bangladesh.

 Al contempo occorre sottolineare un dato importante: l’entrata in lotta di nuovi settori del proletariato, in

precedenza tra i settori più arretrati e sfruttati dalla borghesia. E’ il caso, ad esempio, del più grande

sciopero dei lavoratori degli esercizi pubblici della storia degli Stati Uniti, che ha visto scendere in lotta

migliaia di lavoratori di fast-food, ristoranti e catene alimentari. O, per quel che riguarda l’Italia, è il caso

della lotta esemplare dei lavoratori della logistica nei mesi scorsi, un importante settore di proletariatoimmigrato che per la prima volta fa la sua entrata nella scena della lotta di classe.

LA LOTTA DI CLASSE IN EUROPA

L’Unione Europea, al centro della valanga della crisi, è teatro in questi ultimi anni di un’ascesa, e non un

riflusso, delle lotte di massa. Al centro della lotta di classe europea è stata senza dubbio la Grecia,

precipitata nel 2012 in una crisi rivoluzionaria senza precedenti dalla lotta contro la dittatura dei colonnelli.

La Spagna è stata attraversata nel corso degli ultimi anni da un’impennata di lotte e movimenti di massa: il

movimento degli “Indignados” è stato una manifestazione della  rovina economica e del decadimento

sociale della piccola borghesia come di vasti settori del proletariato. Sul piano del movimento operaio si

sono avute esplosioni di diversi settori del proletariato, dall’esemplare lotta dei minatori delle Asturie (conf orme di lotta radicali senza precedenti) allo sciopero dei lavoratori dell’istruzione del 2011, il più grande

dalla caduta di Franco, che ha completamente paralizzato il paese. Negli ultimi mesi una serie di scioperi

locali, molti dei quali ad oltranza, ha segnato la lotta di classe in Spagna. In Portogallo si sono avute, nello

stesso periodo, immense mobilitazioni di massa di fronte ai palazzi del potere.

In Francia esistono centinaia di vertenze in grandi e medie aziende ma sono tutte tenute separate ed

isolate. Nei grandi scioperi dell’autunno del 2010 Sarkozy poteva essere rovesciato con battaglie di strada,

ma la burocrazia lo ha salvato.

La caratteristica negativa principale di tutte queste lotte è stata, infatti, l’assenza di una centralizzazione sia 

all’interno dei propri paesi che sul piano europeo. La burocrazia sindacale, isolando e indebolendo le lotte,

ne ha minato la forza propulsiva e la capacità di contagio. Per questo diventa elemento centrale un piano di

azione internazionale del Partito e delle sezioni europee del CRQI con l’obiettivo di costruire un fronte unico

europeo delle lotte.

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LE RIVOLUZIONI ARABE NEL CONTESTO DELLA CRISI MONDIALE

Il processo rivoluzionario nei paesi arabi, iniziato a Tunisi, è il fenomeno più lampante dello stretto legame

tra crisi e rivoluzione. La causa principale dell’esplosione rivoluzionaria è stata senza dubbio l’aumento del

prezzo dei generi alimentari di prima necessità in tutto il Maghreb (in media del 30%), come effetto della

gigantesca speculazione finanziaria sulle materie prime. Tutto ciò unito alla politica di svalutazione della

moneta nell’intera zona e all’aumento insostenibile della disoccupazione. In Egitto, in cui un terzo della

popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, l’aumento del prezzo del pane è stato la miccia che ha

innescato il processo rivoluzionario.

In Siria si è avuta una crescita della disoccupazione stimata al 25% della popolazione nel 2011, in un

processo di apertura al mercato da parte del regime di Assad che ha colpito la popolazione con

licenziamenti e calo della spesa pubblica.

La classe operaia in questo processo ha avuto un ruolo fondamentale: sia in Tunisia che in Egitto l’ondata

di scioperi è stata l’elemento determinante nella cacciata dei dittatori Ben Alì e Mubar ak. La lotta

organizzata della classe operaia ha segnato tutte le fasi successive del processo rivoluzionario, dagliscioperi a carattere insurrezionale seguiti all’assassinio di Chokri Belaïd (segretario generale del Partito

Unificato dei Democratici Patriottici) in Tunisia alla lotta dei metalmeccanici di Suez in Egitto. Proprio in

Egitto la radicalizzazione della classe operaia è dimostrata dall’aumento immenso del numero degli scioperi

nel 2013 (nel primo trimestre sono arrivati a 2.413, contro i 1.969 dell’intero 2012). 

 Alle rivendicazioni sociali si sono aggiunte in primo piano, secondo una dinamica tipica dei paesi arretrati,

rivendicazioni a carattere democratico, con un elemento di mobilitazione centrale nella gioventù. Inoltre, il

processo non ancora concluso è stato un elemento di destabilizzazione dei piani imperialistici nell’area

araba.

La vittoria temporanea ed instabile di forze reazionarie e/o bonapartiste nelle varie tappe del processo

rivoluzionario non è un sintomo ne’ di stabilizzazione, ne’ di arretramento del movimento operaio (adeccezione della Siria, in cui la debolezza del movimento operaio è risultata determinante nel passaggio ad

una tappa negativa): è il risultato dell’assenza di un’alternativa politica, in definitiva di un’organizzazione

marxista rivoluzionaria nella regione.

Il ciclo apertosi non si è concluso: ad oggi l’imperialismo e la reazione non possiedono elementi di

stabilizzazione delle masse. L’evoluzione del processo ha mostrato tutta la validità della teoria della

rivoluzione permanente: soltanto un governo operaio e contadino può rompere con l’imperialismo e

realizzare completamente le rivendicazioni sociali e democratiche di tutte le masse oppresse. L’obiettivo

centrale nel processo rivoluzionario dei paesi arabi è quello della sconfitta delle direzioni reazionarie o

opportuniste e della costruzione del partito marxista rivoluzionario ed internazionalista. Allo stesso tempo la

rivoluzione araba non può essere risolta nazionalmente; la sorte della rivoluzione in un singolo paese èstrettamente connessa con l’intera area: la rivendicazione e la lotta per una Federazione Socialista del

Nord Africa e del Medio Oriente è un elemento primario in questa fase.

USA: LA LOTTA DI CLASSE NEL CENTRO DELL’IMPERIALISMO MONDIALE 

Un dato da non sottovalutare è la tendenza alla radicalizzazione della classe operaia negli Stati Uniti, nel

contesto di un fronte dell’attacco frontale del governo contro la classe operaia e contro i diritti democratici

(le misure approvate contro le forme di lotta del movimento “Occupy Wall Street” che portarono all’arresto

di tremila persone, la legge che abolisce la trattenuta sindacale, le misure approvate nel 2012 sulla raccolta

di informazioni sui cittadini non sospettati di atti illegali etc.).

Il 28 e il 29 ottobre del 2009, il 70% degli operai della Ford, il 90% in alcune fabbriche, bocciarono

l’accordo UAW-Ford che ricalcava quello della Chrysler tra Obama, Marchionne e i capi dell’UAW. Il succo

dell’accordo era: doppio livello salariale, salari ridotti in entrambi i livelli, aumento dei contributi sanitari e

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pensionistici a carico del lavoratore, massima flessibilità e blocco degli scioperi; ciò avrebbe riportato le

condizioni della classe operaia a prima degli anni 30’.

La cronaca della lotta operaia, di quella dei lavoratori dei servizi pubblici e della ristorazione di massa e

degli insegnanti è piena di accordi bocciati, di scioperi e picchetti durati settimane.

Elenchiamo i casi più significativi dove sono stati bocciati gli accordi che ripetevano quello tra Obama,

Marchionne, UAW alla Chrysler:

1) Febbraio 2013-Alla Boeing votò contro il 56% degli ingegneri ed il 52% dei tecnici. Questo rifiuto è

stato preceduto in più occasioni dalle denuncie che gli ingegneri e tecnici sul cattivo funzionamento

dei materiali e delle macchine. Nel 2007 due revisori dei conti furono licenziati per aver denunciato

le truffe contabili;

2) Aprile 2013- Senza contratto da un anno i lavoratori della AT&T bocciavano il contratto e votavano

per lo sciopero;

3) Febbraio 2013 -Lo sciopero dei lavoratori degli scuolabus di New York;

4) settembre- ottobre 2012 - il grande sciopero degli insegnanti di Chicago contro le misure scolastiche

di Obama, traditi e isolati dalla burocrazia sindacale;

5) agosto-2012 - la bocciatura, lo sciopero ed i picchetti alla Dundee Engine Plant (Michigan) bocciano

con una percentuale del /3% l’accordo locale sostenuto dall’UAW; 

6) Maggio 2012 - i lavoratori della Cartepillar di Joliet, Illinois al 94% votano l’accordo locale, si votano

sciopero e picchetti;

7) Agosto 2012 -Sciopero, picchetti e bocciatura accordo sindacale alla Costellum di Ravensswood,

arresti contro due operai accusati di aver lanciato contro i camion dei crumiri oggetti fatti di cemento

e chiodi;

8) Dicembre 2012- scioperi dei portuali della Costa occidentale.

Il dato che emerge è che burocrazia sindacale, con la crisi inarrestabile, ha come compito quello di isolare

le singole lotte. L’unificazione delle lotte potrà realizzarsi soltanto con strumenti indipendenti dalla

burocrazia ed in lotta aperta contro di questa. Questa è la lezione generale.

LA CRISI DELLA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO

“La crisi storica dell'umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria.” (Lev Trotsky, Il Programma di

Transizione)

Nel contesto della parabola ascendente della lotta di classe emerge, in assenza di partiti rivoluzionari di

massa, una risposta di classe non all’altezza della situazione e l’immaturità della coscienza della classeoperaia. Ma la crisi della coscienza del movimento operaio in diversi paesi non è un portato della crisi

capitalista: essa è un elemento determinato delle sue direzioni sindacali e politiche.

La crisi del capitalismo è anche la crisi del riformismo e delle burocrazie sindacali. Non potendo la

borghesia, nel contesto della crisi, offrire alcuna conquista stabile e duratura al proletariato e alle masse

sfruttate, ne consegue che qualsiasi lotta nelle mani della burocrazia sindacale conservatrice e delle

organizzazioni riformiste non può che portare alla sconfitta.

L’ascesa della lotta di classe nella stragrande maggioranza delle varie situazioni particolari, in particolar

modo in Europa, non ha finora trovato uno sbocco rivoluzionario, o per lo meno la continuità della lotta,

proprio a causa dei limiti imposti dalle direzioni conservatrici del movimento operaio, con un ruolo negativo

prevalente delle burocrazie sindacali.

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L’esempio più lampante è la Grecia, dove la forza rivoluzionaria della classe operaia è stata dispersa dalle

burocrazie sindacali in tanti scioperi non continui. Per non parlare del ruolo conservatore di Syriza, che ha,

ad esempio, boicottato lo sciopero degli insegnanti del maggio del 2013.

In questo contesto si inserisce il necessario lavoro di massa del partito rivoluzionario per elevare la

coscienza della classe operaia e per segnare la strada verso la rottura con la sua direzione burocratica. La

crescita immensa del Partido Obrero e del Frente de Izquierda in Argentina dimostra proprio questo: che un

partito marxista rivoluzionario con una giusta linea può, nel contesto dell’attuale crisi catastrofica, elevare la

coscienza della classe operaia e, in definitiva, spianare la strada verso la conquista della sua direzione.

A. Carbo ni (CP), G.F. Cambo ni, G. Satta, R. Camboni, S. Bitt i

 _____________________________________________________________________________________

POL2: INSERIRE NEL CAPITOLO “PER UNA SVOLTA NELLE FORME DI LOTTA”

(pag.28 del documento), dopo il secondo capoverso del capitolo:

 A tale scopo è indispensabile, in questa fase, agitare e sviluppare tatticamente nel complesso delle lotte di

classe la proposta della creazione di organismi di lotta indipendenti dalla burocrazia sindacale quali comitati

di sciopero, comitati di fabbrica e, soprattutto, la creazione di un coordinamento per delegati delle lotte. Ciò

al fine sia di centralizzare le tante vertenze isolate, rafforzandole; sia come mezzo per combattere la

burocrazia sindacale, neutralizzare la sua funzione di freno e strappare la classe operaia dalla sua

influenza.” 

A. Carbo ni (CP), G.F. Cambo ni, G. Satta, R. Camboni, S. Bitt i

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POL3: INSERIRE NEL CAPITOLO “LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI” (pag 29 del documento), all’iniz io subito s otto i l t i tolo del capitolo  

“Nei momenti critici della lotta la borghesia semina la discordia tra le masse operaie militanti e impedisce

che le azioni isolate di differenti categorie operaie si fondano in una generale azione di classe; essa è

sostenuta, in questo tentativo, dall’opera delle vecchie organizzazioni sindacali che spezzettano i lavoratori

di un settore professionale in gruppi artificialmente isolati, nonostante che siano tutti riuniti gli uni agli altri

dall’esistenza stessa dello sfruttamento capitalistico.…E’ in questo modo che la burocrazia sindacale

sostituisce deboli ruscelletti alle potenti correnti del movimento operaio…”  

“Ogni diserzione volontaria dal movimento professionale, ogni tentativo di scissione artificiale di sindacati

che non sia determinato dall’eccessiva violenza della burocrazia professionista (dissoluzione di sezioni

locali sindacali rivoluzionarie da parte dei vertici opportunisti) o dalla loro rigida politica aristocratica che

impedisce alle grandi masse di lavoratori poco qualificati di entrare negli organismi sindacali, rappresenta

un enorme danno per il movimento comunista”  

“Siccome i comunisti danno più valore alla natura e ai fini dei sindacati che alla loro forma, essi non devono

assolutamente esitare di fronte alle scissioni che si potrebbero produrre nel seno delle organizzazioni

sindacali se, per evitarle, fosse necessario abbandonare il lavoro rivoluzionario e rifiutarsi di organizzare la

 parte più sfruttata del proletariato. …Nel caso in cui una scissi one divenga inevitabile, i comunisti

dovrebbero accordare una grande attenzione a che tale scissione non li isoli dalla massa operaia.”  

“Ovunque, dove la scissione tra le tendenze sindacali opportuniste e quelle rivoluzionarie si è gia prodotta,

dove esist ono…sindacati di tendenza rivoluzionaria, se non comunisti, accanto ai sindacati opportunisti, icomunisti hanno l’obbligo di dare il loro contributo a questi sindacati rivoluzionari, di sostenerli, di aiutarli a

liberarsi dei loro pregiudizi sindacalisti e a collocarsi sul terreno del comunismo…Ma l’aiuto prestato ai

sindacati rivoluzionari non deve significare l’uscita dei comunisti dai sindacati opportunisti che si trovino in

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DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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uno stato di effervescenza politica e di evoluzione verso la lotta di classe. Proprio al contrario: è sforzandosi

 per affrettare quest’evoluzione delle masse nei sindacati che si trovano già sulla via della lotta rivoluzionaria

che i comunisti potranno giocare il ruolo di elemento unificatore, morale e pratico, tra gli operi organizzati,

 per una lotta comune tendente a distruggere il regime del capitale”  

(Estratti da “IL MOVIMENTO SINDACALE, I COMITATI DI FABBRICA E DI OFFICINA” atti del secondo

congresso della III Internazionale – luglio 1920)

F. Bacc hio cch i (Direzione)

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POL4: SOSTITUIRE NEL CAPITOLO “LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI” (pag 29 del documento), ultime 4 righe del primo paragrafo introduttivo del punto, da dopo “….

r ivoluzione social ista ” alla fine del paragrafo (a … “ prog ramma anticapital ista ”) 

La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio va investita in una battaglia di fondo in

tutte le organizzazioni sindacali della sinistra italiana.

Il nostro secondo congresso ha definito l'indirizzo generale del nostro intervento sindacale e il criterio

leninista su cui si fonda: l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati non ha come obiettivo strategico lo

“spostare a sinistra” un sindacato, o lo scegliere “il sindacato più a sinistra” o la costruzione di un “proprio”

sindacato. Ma è parte della battaglia politica più generale per la conquista delle masse alla prospettiva della

rivoluzione socialista.

Occorre però un aggiornamento riguardante la parola d’ordine tattica affermata al II congresso: la centralità

della battaglia nella CGIL per il lavoro sindacale del partito. Nel richiamare le responsabilità della CGIL

quale ragione decisiva dell’arretramento operaio nel contesto della più grande aggressione alle sue

condizioni di vita dal dopoguerra, il carattere irriformabile delle sue strutture, e al fine del perseguimento, sepur in questa fase solo come indicazione prospettica, della nostra proposta organizzativa strategica, la

“Costituente per la rifondazione del sindacato di classe”, è necessario rimuovere qualsiasi fattore di

fraintendimento riguardo la nostra proposta rivolta alla massa dei lavoratori sindacalmente attivi. Tanto più

se tale fattore non ha implicazioni essenziali e pratiche riguardo alla battaglia dei rivoluzionari in tutte le

organizzazioni sindacali della sinistra italiana.

Per questo ribadendo la necessità e l’importanza della battaglia dei rivoluzionari nella principale

organizzazione sindacale della classe lavoratrice italiana (maggioranza assoluta tra i lavoratori del privato),

si rimuove l’equivoco della “centralità” della CGIL, per affermare tanto più nella lotta in questa

organizzazione la centralità della lotta antiburocratica, sulla base di un programma anticapitalista per la

conquista delle masse alla prospettiva della rivoluzione socialista.(Se è criminoso voltare le spalle alle organizzazioni di massa per accontentarsi di finzioni settarie, non è

meno criminoso tollerare passivamente la subordinazione del movimento rivoluzionario delle masse al

controllo di cricche burocratiche apertamente reazionarie e conservatrici mascherate (“progressiste”). Lev

Trotsky, Il programma di transizione,1938).

In rapida sintesi, come verrà di seguito esplicitato: occorre dare battaglia nella CGIL contro la burocrazia

sindacale filoborghese (appoggio al PD) e nei sindacati di base contro la logica sindacale del centrismo e il

suo risvolto settario.

F. Bacc hio cch i (Direzione)

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3° Congresso del PCL

DOCUMENTO 1 POLITICO ed EMENDAMENTI

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POL5: SOSTITUIRE IL CAPITOLO “L'UNICITÀ DEL PCL E LA SUA COSTRUZIONE INDIPENDENTE” (p.35-36 del documento) con il seguente testo:

PER UNA SFIDA UNITARIA ALLE ORGANIZZAZIONI MARXISTE RIVOLUZIONARIE: CONTRO OGNIAUTOCENTRATURA SETTARIA E PER AGEVOLARE LA RIFONDAZIONE IN TEMPI RAPIDI DELLA IVINTERNAZIONALE

L’esigenza di unità che si respira a sinistra trova diverse proposte che costellano l'attuale dibattito della

sinistra ma che finiscono per fondersi su una comune ambizione: conquistare seggi parlamentari eludendo

qualsiasi principio politico.

La “costituente della sinistra” evocata da Sel mira a raggruppare attorno a Vendola l'ennesima sinistra di

governo del centrosinistra, anche eventualmente allargato a destra.

La proposta dell'ex ministro Ferrero di “unire la sinistra” in alternativa al PD, oltre a convivere coi governi

PD/PRC in Regioni e città, ripropone il canovaccio di un programma riformista “antiliberista”: ed ha come

unico scopo quello di salvare il gruppo dirigente ferreriano dal naufragio politico post Ingroia.

La proposta di Alba rinnova l'illusione di un “nuovo modello di sviluppo” in ambito capitalistico, partendo da

un municipalismo “alternativo”: riflette la volontà (e velleità) di gruppi intellettuali della sinistra riformista di

ritagliarsi uno spazio politico, in proprio, sulle rovine di Rifondazione e sulle contraddizioni di Sel.

L'operazione Ross@ (Cremaschi, Turigliatto, Russo Spena, Rete dei Comunisti) combina l'opposizione al

PD e al centrosinistra col recupero dell’armamentario  centrista: apologia dei movimenti, rimozione della

prospettiva del potere e di un programma transitorio, rifiuto della costruzione del partito rivoluzionario; con

una impostazione che consente il coinvolgimento di aree del PRC, lasciando irrisolto il nodo del rapporto

con Rifondazione. L'operazione somma in sé mire diverse: salvare dal naufragio un pezzo di Sinistra Critica

dopo la sua dissoluzione, dare uno sbocco politico all'esperienza di Cremaschi, dare a Ferrero uno spazio

di manovra a sinistra. La somma delle contraddizioni prevede un esito incerto.

Infine le diverse proposte di “unità dei comunisti”, avanzate ciclicamente dal PDCI e da una galassia di

gruppi stalinisti, riflettono solo la pervicace volontà di utilizzare il richiamo “comunista” per   rilanciare

l'identità dello stalinismo. Peraltro l'”unità dei comunisti” a prescindere da principi e programmi, ha già

incorniciato la disfatta di Rifondazione.

Contrastare questa mistificazione è un atto di verità e di bilancio. La difesa dell'autonomia del PCL non è

dunque un atto di autoconservazione. E’ la difesa del programma rivoluzionario e della costruzione del

partito rivoluzionario, nell'interesse del movimento operaio. La difesa di questo programma è il recupero

della memoria storica del marxismo rivoluzionario e dell'avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio

del 900. E al tempo stesso un suo investimento nel futuro della lotta di classe: in una stagione storica di

grande crisi del capitalismo e del riformismo, che riattualizza in modo straordinario proprio la ricchezzadella tradizione rivoluzionaria del leninismo e dunque sull'insieme organico delle conseguenze strategiche

e tattiche che discendono da quel programma. Ma non esiste solo il PCL vi è altresì un’articolazione plurale

di (piccole) organizzazioni marxiste rivoluzionarie con cui è necessario ricercare un’unificazione,

realizzando per questa via un salto in avanti della costruzione del partito rivoluzionario.

Così come a livello internazionale anche in Italia tra le diverse or ganizzazioni della “sinistra di classe” che si

richiamano al trotskismo, le divergenze sono significative, ma non tali da toccare, né nella forma, né nella

pratica, i principi fondamentali del programma comunista e rivoluzionario.

Secondo il metodo leninista-trotskista, e in funzione delle necessità della battaglia per la rivoluzione

socialista, tali diverse forze dovrebbero lavorare ad un processo di fusione e rivendicare la costruzione di

un’unica Internazionale, con diritto di frazione o anche solo tendenze distinte, eventualmente in lotta, sullabase dei criteri del centralismo democratico, per far trionfare le proprie specifiche posizioni.

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Un raggruppamento rivoluzionario fondato su basi programmatiche chiare che agevolerebbe il lavoro di

“rifondazione rapida” della IV Internazionale. 

Il Pdac (LiT) è tra le organizzazioni presenti in Italia la più vicina al PCL dal punto di vista programmatico.

Questa piccola organizzazione, seppur sia segnata dall’onta di aver depotenziato la costruzione del partito

rivoluzionario e abbia concentrato dal 2006 ad oggi il grosso delle sue energie nell'attacco ossessivo al

nostro partito, non può essere ignorato. La storia esige uno sguardo più alto delle beghe di bottega, per

questo è necessario posizionarci all’altezza che il momento storico ci chiede e responsabilmente dobbiamo

considerare questa organizzazione nonostante la sua marginalità politica e l’astio nei nostri confronti un

nostro interlocutore. Ne va della stessa credibilità del progetto politico di costruzione del partito

rivoluzionario e rappresenterebbe un passo chiave per la stesso auspicabile avvicinamento della LiT al

CRQI.

Si registrano inoltre alcune evoluzioni da non sottovalutare: la fuoriuscita dell’Associazione Contro Corrente

dal PRC (sezione del CWI) e la scissione di Sinistra Critica, che ha dato vita a Sinistra Anticapitalista. Si

tratta come nel caso del Pdac di piccole forze ma che non possono essere ignorate. In particolare

l’Associazione Contro Corrente nasce direttamente dalla Amr Progetto Comunista e si è contraddistinta per

una battaglia coerente di frazione nel PRC. Quanto a Sinistra Anticapitalista siamo in presenza di una

direzione difficilmente recuperabile ma va posta attenzione alla sua base militante che, liberatasi del blocco

movimentista (Cannavò-D’Angeli) ha deciso di investire nella costruzione di una sinistra di classe. Sarebbe

quantomeno inopportuno non tentare di sottrarre queste energie al centrismo eclettico di Cremaschi&Co.

La stessa attenzione merita Falce e Martello che nonostante abbia costantemente coperto a sinistra

l’opportunismo di Rifondazione e conservi le tare dovute alla sua appartenenza al CMI, rappresenta un

valido raggruppamento di quadri trotskisti sperimentati. Sollecitare la rottura di FM dal PRC in funzione del

progetto marxista rivoluzionario è una strada che dev’essere tentata. 

La costruzione del partito rivoluzionario passa indubbiamente per la costruzione del Partito comunista dei

Lavoratori ma non possiamo rannicchiarci in un solipsismo rassicurante. Al contempo una strategia che

ponga attenzione alle varie anime che si richiamano al trotskismo non significa rinunciare al nostro

programma indipendente né la subordinazione ad altri programmi, ma la conquista di una più vasta area

militante al marxismo rivoluzionario conseguente. Nessuna concessione quindi al centrismo, ma al

contrario un lavoro e al tempo stesso una sfida unitaria che arma la stessa costruzione del partito

rivoluzionario attraverso l'adesione al suo programma del settore più cosciente dell'avanguardia di classe e

dei movimenti, e di tutti i militanti e gli attivisti della sinistra che cercano un'alternativa alla bancarotta dei

suoi gruppi dirigenti.

L. Liv erani, R. Canfarini (Direzion e), M. Castell ini, G. Turci, F. Fior entino , C. Bagni, F. Poli, S. Falai, M

Balell i , M. Gianessi, E.L. Silvio, O. Lall i

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POL6: INSERIRE IL CAPITOLO “PER UN METODO LENINISTA NEL RAPPORTO CON LE ELEZIONI” (p. 36 del documento), al termine della parte III:

Il terreno della lotta di classe e dell’azione di massa è l’ambito centrale di lavoro e d’intervento dei

comunisti. E’ il terreno di costruzione dell’alternativa anticapitalista, della prospettiva del potere dei

lavoratori. Ma ciò non significa ignorare e rimuovere il terreno della lotta elettorale.

La partecipazione alle elezioni borghesi e la presentazione autonoma dei comunisti sono il riferimento

centrale della nostra politica elettorale. I comunisti partecipano normalmente alle elezioni borghesi. L’interatradizione rivoluzionaria comunista ha combattuto aspramente sia l’”astensionismo di principio”, sia più in

generale ogni posizione di disimpegno o sottovalutazione dell’importanza delle scadenze elettorali. E

questo non per una ragione “elettoralistico istituzionale”, ma per la ragione esattamente opposta: la

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partecipazione ovunque possibile alle elezioni borghesi è un’occasione preziosa di propaganda

rivoluzionaria tra le masse, di intervento nella lotta di classe, di costruzione del partito rivoluzionario.

La battaglia del bolscevismo tra il 1907 e il 1910 contro la sua frazione “otzovista” che contestava la

partecipazione alle elezioni della Duma; la battaglia di Rosa Luxemburg nel 1918 contro il rifiuto dei

comunisti tedeschi di partecipare alle elezioni dell’Assemblea Costituente; ma soprattutto la forte battaglia

di Lenin e della larga maggioranza della terza Internazionale comunista contro le posizioni astensioniste

del bordighismo italiano, del Kapd tedesco, del tribunismo olandese (Gorter), hanno avuto questo segno

costante. Non si tratta affatto- diceva Lenin- di aderire al “parlamentarismo borghese” o di attenuare la

denuncia della sua natura. Al contrario: si tratta di utilizzare a fondo con tutti i mezzi disponibili la tribuna

delle elezioni borghesi- e l’eventuale elezione di una propria rappresentanza nelle istituzioni borghesi- per

allargare la denuncia del parlamentarismo e creare le condizioni del suo superamento rivoluzionario:

lavorando a sviluppare, anche per questa via, la coscienza politica delle masse.

Sotto questo profilo il rapporto dei rivoluzionari con le elezioni è esattamente opposto alla logica riformista.

Per le sinistre riformiste il terreno elettorale è normalmente l’ambito di concretizzazione di compromessi

istituzionali con i partiti borghesi in vista di ministeri o assessorati. Per i rivoluzionari è un terreno di

denuncia della borghesia, dei suoi partiti, delle politiche collaborative dei riformisti. Di conseguenza, è

opposta la valenza e l’uso di eventuali eletti. Per le sinistre riformiste, gli eletti nelle istituzioni borghesi sono

una pedina negoziale del “gioco istituzionale”. Per i comunisti sono preziosi tribuni del proprio programma

rivoluzionario agli occhi del proletariato: e per questo fisiologicamente collocati, per principio e senza

eccezioni,all’opposizione di ogni governo borghese (nazionale e locale). Per la stessa ragione i comunisti si

battono per una legge elettorale coerentemente proporzionale, senza soglie di sbarramento e distorsioni

maggioritarie: perché contrappongono il principio della piena rappresentanza democratica al feticcio della

governabilità borghese.

La forma normale di partecipazione dei rivoluzionari alle elezioni, è quella della presentazione autonoma e

alternativa. Nella tradizione rivoluzionaria le elezioni non sono un terreno di fronte unico d’azione, ma

prevalentemente un terreno di propaganda e presentazione del proprio programma indipendente: non di ciò

che unisce i rivoluzionari ad altri partiti, ma di ciò che li distingue o li contrappone ad essi (siano questi i

partiti borghesi, oppure siano, su un versante diverso, partiti di sinistra riformista o centrista).

L’indipendenza elettorale dei comunisti, come espressione della loro indipendenza politica e

programmatica, è un riferimento ricorrente del marxismo rivoluzionario.

La presentazione elettorale autonoma dei comunisti è rivendicata da Marx nell’Indirizzo alla Lega del 1850,

contro ogni ipotesi di blocco con la piccola borghesia democratica. E’ ampiamente rivendicata nella

tradizione bolscevica contro la logica generale dei blocchi elettorali tra il menscevismo e l’opposizione

borghese liberale (partito cadetto). E’ sostenuta da Trotsky in Germania all’inizio degli anni ‘30 contro la

proposta avanzata dall’organizzazione centrista SAP di un candidato di fronte unico tra comunisti e

socialdemocratici per le elezioni presidenziali (posizione tanto più significativa nel momento in cui Trotsky

rivendicava il fronte unico d’azione contro il fascismo): “L’idea di far proporre il candidato alla presidenza

dal fronte unico operaio è un’idea radicalmente sbagliata. Si può proporre un candidato solo sulla base di

un programma ben definito. Il partito non ha il diritto di rinunciare, durante alle elezioni, alla mobilitazione

dei suoi aderenti e all’inventario delle sue forze. La candidatura di partito, contrapposta a tutte le altre

candidature, non può impedire in nessun modo l’accordo con altre organizzazioni per obiettivi immediati di

lotta” (Trotski, 1931).

I comunisti rifiutano di rimuovere o nascondere l’autonomia del programma comunista, e quindi del proprio

partito, di fronte alle masse: questa è stata sempre l’indicazione di fondo. E questa indicazione si èfrequentemente scontrata con l’impostazione centrista. Per il centrismo il rapporto con le elezioni è

subordinato per lo più a considerazioni contingenti “di movimento” o all’inseguimento di “un vantaggio”

immediato (reale o presunto), fuori dalla coerenza di un programma generale indipendente: da qui la

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fr equente oscillazione tra disimpegno elettorale ( “ci preoccupiamo delle lotte, non delle elezioni”) e la

ricerca privilegiata di blocchi elettorali con i partiti riformisti ( o di proprio nascondimento in liste

genericamente “alternative”). Per il marxismo  rivoluzionario, invece, il rapporto con le elezioni è sempre

principalmente finalizzato al proprio progetto generale: da qui la necessità di presentazione autonoma e

alternativa.

In sede di bilancio rispetto al II congresso del PCL è corretto analizzare come gli appoggi critici al

ballottaggio per Pisapia e De Magistris hanno rappresentato uno scivolone incomprensibile e impegna

pertanto il partito a boicottare le urne al secondo turno (ad eccezione che non sia presente un proprio

candidato). Ancor più grave aver sostenuto Medici alle elezioni di Roma sin dal primo turno. Queste

esperienze dimostrano la totale inutilità di un approccio manovrista e rilanciano con forza la necessità di

mantenere il partito estraneo a incomprensibili pastoie elettoraliste.

La presentazione elettorale del PCL esclude inoltre blocchi elettorali con gruppi e formazioni di tipo

centrista. Il terreno elettorale non è, per definizione, un terreno di unità d’azione. E’ il terreno dove i

rivoluzionari si affacciano con la propria proposta generale, autonoma e distinta, in funzione della

costruzione del proprio partito. Il PCL, che da un lato rappresenta, di gran lunga, la forza politica più

significativa a sinistra del PRC, dall’altro (anche per questo) ha esigenza di farsi conoscere per quello che

è, nella sua distinzione dai gruppi centristi, nella fisionomia complessiva del suo autonomo progetto. Ogni

blocco con gruppi centristi sarebbe in contraddizione con questa esigenza. Per questo a cominciare dalle

imminenti elezioni europee il PCL si presenterà in forma autonoma nel caso in cui: Pdac  –Contro Corrente-

Falce Martello non accetteranno un processo di accordo politico sul modello del FiT argentino.

L. Liv erani, R. Canfarin i (Direzione), M. Castell ini, G. Turc i, F. Fiorentino , C. Bagn i, F. Poli, M. Balell i ,

M. Gianessi, E. L. Silvio , O. Lall i

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POL7: INSERIRE NEL CAPITOLO “RAFFORZARE IL LATO POLITICO DEL NOSTRO INTERVENTO DI

MASSA”, (p. 38 del documento) al termine dell’ultimo paragrafo (p. 39 del documento):

 A questo fine, si tratterebbe di dare al nostro intervento carattere sistematico e omogeneo. Per quanto

riguarda il centro del partito, quindi, gli organismi dirigenti nazionali si faranno carico, tramite la

commissione lavoro o singoli compagni, di seguire, controllare e favorire attivamente il nostro intervento

operaio sul territorio, al fine di garantirne il massimo di efficacia e continuità possibile. Ciò avverrà

attraverso indicazioni e contatti periodici con i coord inamenti regionali e/o con le sezioni all’interno delle

quali sono presenti aziende o realtà di intervento importanti.

F. Doro (Direzione), L. Sorge (Direzione), A.Carbo ni (CP), Mario Tommasi (CP), A. Tron ca (CP), O.

Lall i , L. Liverani, S. Rosano

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POL8: INSERIRE IL CAPITOLO “IL RUOLO DEL PCL NELL’EMIGRAZIONE ITALIANA”

(p.41 del documento), al termine del capitolo “Per la conquista di ruoli di direzione nelle lotte” 

La borghesia aizza gli operai di una nazione contro gli operai di un'altra, cercando di dividerli. Gli operai

coscienti, comprendendo l'inevitabilità e il carattere progressivo della distruzione di tutte le barriere

nazionali operata dal capitalismo, cercano di aiutare a illuminare e a organizzare i loro compagni dei paesi

arretrati (Lenin, Il capitalismo e l'immigrazione operaia, 1913).

La crisi perdurante del capitalismo sta provocando un’inversione di tendenza: l’Italia dopo decenni, da terra

d’immigrazione sta tornando ad essere terra da cui emigrare.

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Gli iscritti all’AIRE (Anagrafe italiani residenti all’estero), cittadini italiani che risiedono e lavorano all’estero

per più di un anno, sono saliti nel 2012 a 4,3 milioni. Erano 3,5 milioni tra il 2005-06, segnando un esodo di

800.000 lavoratori avvenuto in soli 6 anni. Gli italiani emigrati all'estero sono più numerosi degli immigrati

stranieri in Italia e nel loro percorso di integrazione incontrano gli stessi ostacoli: la lingua, la burocrazia e la

ricerca del lavoro (La repubblica 19 novembre 2009).

L’emigrazione è in parte usata come valvola di sfogo di una disoccupazione crescente e rappresenta un

aspetto da non sottovalutare e su cui il PCL deve intervenire per aprire un nuovo terreno di agitazione.

Organizzare direttamente i lavoratori di lingua italiana all’estero aprirebbe un canale di lavoro per la stessa

costruzione della IV Internazionale.

L. Liv erani, R. Canfarini (Direzion e), M. Castell ini, G. Turci, F. Fiorenti no, C. Bagni, F. Poli, S. Falai,

M. Balell i , M. Gianessi, E. L. Silvio, O. Lall i