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DNA FINGER-PRINTING (Durata: 1 giorno) Introduzione all’attività da parte dei relatori: “In questo esperimento risolverete un delitto immaginario attraverso l'analisi del DNA. Campioni del DNA di tre sospettati serviranno come materiale di partenza. Uno di loro è il colpevole ed ha lasciato tracce del proprio DNA sulla scena del delitto. Questo DNA può provenire da materiale biologico (saliva, capelli con bulbo intatto, tracce di epidermide, sperma o sangue). Prenderete confidenza con la tecnica del "DNA fingerprinting": “tagliare” il DNA con enzimi di restrizione e separarne i frammenti così prodotti per mezzo dell'elettroforesi su gel di agarosio. Il risultato sarà un "pattern" di bande del sospettato, chiamato anche impronta genetica, che voi confronterete con il DNA ritrovato sulla scena del delitto. Se i "patterns" saranno uguali, avrete trovato il colpevole. Grazie al suo elevato valore di prova, il DNA finger-printing è utilizzato in particolare per determinare la paternità e per risolvere indagini criminali.” Prerequisiti: Struttura del DNA, Plasmidi, Enzimi di restrizione. Tempo richiesto: 3 ore. Scopo: confrontare le tre provette di Dna (estratto da batteri diversi, plasmidi) per capire quale sia quello del colpevole; la diversa sequenza delle basi azotate nel Dna del plasmide caratterizzano il singolo plasmide.

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DNA FINGER-PRINTING (Durata: 1 giorno)

Introduzione all’attività da parte dei relatori:

“In questo esperimento risolverete un delitto immaginario attraverso l'analisi del DNA. Campioni del DNA di tre sospettati serviranno come materiale di partenza. Uno di loro è il colpevole ed ha lasciato tracce del proprio DNA sulla scena del delitto.

Questo DNA può provenire da materiale biologico (saliva, capelli con bulbo intatto, tracce di epidermide, sperma o sangue).

Prenderete confidenza con la tecnica del "DNA fingerprinting": “tagliare” il DNA con enzimi di restrizione e separarne i frammenti così prodotti per mezzo dell'elettroforesi su gel di agarosio.

Il risultato sarà un "pattern" di bande del sospettato, chiamato anche impronta genetica, che voi confronterete con il DNA ritrovato sulla scena del delitto.

Se i "patterns" saranno uguali, avrete trovato il colpevole. Grazie al suo elevato valore di prova, il DNA finger-printing è utilizzato in particolare per determinare la paternità e per risolvere indagini criminali.”

Prerequisiti: Struttura del DNA, Plasmidi, Enzimi di restrizione.

Tempo richiesto: 3 ore.

Scopo: confrontare le tre provette di Dna (estratto da batteri diversi, plasmidi) per capire quale sia quello del colpevole; la diversa sequenza delle basi azotate nel Dna del plasmide caratterizzano il singolo plasmide.

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Parte Teorica

Dna Finger-Printing

Il Dna finger-printing è un metodo di identificazione che consiste nel comparare frammenti di acido deossiribonucleico (DNA) provenienti da diversi individui. Il Dna è il materiale genetico contenuto nel nucleo delle cellule di tutti gli esseri viventi. Nei mammiferi i filamenti di Dna sono raggruppati in strutture chiamate cromosomi. Con l'eccezione dei gemelli omozigoti identici, il DNA di ogni individuo è unico. La prima operazione da eseguire per la realizzazione del Dna finger-printing, è estrarre un campione di Dna da un tessuto o da un liquido del corpo, come ad esempio capelli, sangue o saliva. Il campione deve essere ora suddiviso utilizzando enzimi di restrizione, la cosiddetta digestione, i siti di restrizione sono i punti dove gli enzimi di restrizione vanno a tagliare, la differenza che si evidenzierà sarà la frammentazione: due Dna uguali produrranno lo stesso numero di frammenti con lo stesso peso molecolare.

I segmenti ottenuti sono organizzati in base alla loro grandezza usando:

1. un processo chiamato elettroforesi; 2. evidenziati con un colorante fluorescente; 3. esposti per lo studio ai raggi ultra violetti.

Il DNA finger-printing è stato ultilizzato per la prima volta come tecnica di identificazione nel 1985.

Originariamente utilizzato per rilevare la presenza o meno di malattie genetiche, è in seguito risultato utile per le indagini criminali e nella medicina legale. Infatti se, analizzando campioni di materiale biologico provenienti, ad esempio, da un luogo particolare come lo scenario di un delitto otteniamo che il DNA finger-printing prodotto da due diversi campioni coincide, allora i due campioni prelevati provengono dalla stessa persona e quindi possiamo dedurre che il sospettato è colpevole.

La prima prova per una condanna criminale, basata su test del DNA negli Stati Uniti, si è presentata nel 1988. Nelle indagini criminali, le impronte digitali del DNA sono state derivate dalle prove raccolte sulla scena del crimine, e confrontate con le impronte digitali del DNA dei sospetti. La prova del DNA può condannare o meno un sospettato. In generale le corti hanno accettato come prove affidabili i test sul DNA, tuttavia il DNA finger-printing è discutibile sotto alcuni punti di vista, come ad esempio l'esattezza dei risultati, il costo del test e il possibile abuso di questa tecnica.

L'esattezza del DNA finger-printing è stata messa in discussione per parecchi motivi. In primo luogo perchè il DNA viene suddiviso in strisce che possono non essere uniche per ciascun individuo; ricerche su grande scala hanno messo in evidenza che test sull'unicità del DNA non sono state effettuate. In più questi test vengono condotti in laboratori privati che non sempre possono seguire le procedure standard e controlli di qualità. Inoltre dato che l'uomo deve in seguito interpretare il test, vi è anche il problema dell'errore umano. Il DNA finger-printing è un test costoso e alcune persone con pochi capitali potrebbero non essere in grado di difendersi adeguatamente da accuse che si basano sul test in questione. L'uso molto diffuso di questa tecnica a scopo di identificazione potrebbe portare alla creazione di un database contenente tutte le nostre impronte di DNA. Il database potrebbe potenzialmente essere utilizzati per scopi illeciti come identificare individui con malattie che potrebbero portare a discriminazioni sul luogo di lavoro.

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Enzimi di Restrizione

La parola "enzima" viene dal greco enzyme (letteralmente "nel levito"), e venne usata per la prima volta nel 1878 dal biochimico Kuhne per contrapporre i "fermenti organizzati", cioè i microorganismi interi, ai fermenti presenti in estratti di microorganismi, in particolare nel lievito di birra. Dal suo contesto iniziale, l’uso del termine enzima si è poi allargato in quanto tutti gli organismi viventi, dai batteri più primitivi all’uomo, producono enzimi necessari per la vita.

Dal punto di vista funzionale, gli enzimi sono proteine che svolgono il ruolo di catalizzatori. I catalizzatori infatti rendono più efficienti, o addirittura possibili, determinate reazioni chimiche, che nel caso degli enzimi avvengono all’interno della cellula; senza gli enzimi le medesime reazioni procederebbero troppo lentamente o potrebbero non avvenire affatto. Il potere catalizzante deriva dalla loro struttura molecolare: gli enzimi avvicinano, legandoli, i reagenti altrimenti dispersi in una soluzione, li dispongono nella posizione ottimale affinché reagiscano efficacemente e soprattutto stabilizzano i prodotti intermedi della reazione. In questa maniera le specie chimiche reagiscono in un microambiente, detto sito attivo, che facilita la rottura di alcuni legami chimici e la creazione di nuovi, con la conseguente formazione di nuove molecole.

L’enzima di restrizione è un particolare tipo di enzima che è in grado di riconoscere specifiche sequenze di basi lungo il filamento di Dna, e di "tagliare" esattamente in corrispondenza di queste sequenze.

La sua scoperta avvenne casualmente tramite un’osservazione: quando in un ceppo del batterio Escherichia Coli si introduceva del DNA proveniente da un ceppo diverso, questo DNA veniva letteralmente tagliato a pezzetti. Fu postulato che vi fossero degli enzimi prodotti dai batteri responsabili di questa attività. In seguito fu dimostrato che lo stesso accadeva quando i batteri venivano infettati da un virus: il DNA del virus veniva immancabilmente ridotto in frammenti inattivi, cioè la crescita del virus si disse ristretta in un determinato ceppo di batteri. Di qui il nome di enzimi "di restrizione". Gli enzimi di restrizione sono ritenuti essere una sorta di sistema immunitario primitivo dei batteri. Come fu successivamente scoperto essi attaccano solamente il DNA esterno, ad esempio di un virus, perché il DNA dei batteri presenta delle modificazioni chimiche, per la precisione l’aggiunta del gruppo metile (CH3), che lo rendono inattaccabile dai propri enzimi. Non passò molto tempo e il primo di questi enzimi venne scoperto e purificato in batteri della specie Haemophilus influenzae e quindi battezzato HindII. Attualmente il loro numero ha superato abbondantemente il migliaio e sono venduti da industrie biotecnologiche che devono il loro successo al grande uso che si fa di essi nella ricerca.

La caratteristica che rende così preziosi gli enzimi per lo studio del DNA è che ognuno di essi riconosce, lega e taglia il DNA in una sequenza ben precisa. Ad esempio, EcoRI (isolato da Escherichia coli RY13) riconosce la sequenza GAATTC, mentre BamHI (isolato da Bacillus amyloliquefaciens H) la sequenza GGATCC.

Sebbene le sequenze riconosciute siano alle volte simili, ogni enzima è in grado di discriminarle con estrema precisione. In questa maniera è possibile tagliare l’intero genoma umano in frammenti più maneggiabili, detti frammenti di restrizione; o, conoscendone la sequenza, ritagliarne fuori un certo gene; o ancora, modificare un gene

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accorciandolo; operazioni queste che preludono a qualunque studio di biologia molecolare.

Mediante l’azione di un enzima detto DNA ligasi, i frammenti possono essere poi saldati ad un altro frammento di DNA di qualunque natura, purchè trattato con lo stesso enzima di restrizione (ciò da origine a estremità complementari, che possono poi unirsi).

La possibilità di costruire in vitro molecole ibride di DNA è stata determinata dalla scoperta di enzimi, le endonucleasi di restrizione, che tagliano la molecola di DNA a livello di siti specifici, dando così origine a frammenti particolari.

La maggior parte dei batteri produce uno o più enzimi di restrizione, probabilmente perché essi offrono il vantaggio selettivo di proteggere in qualche misura la cellula dall’infezione da parte dei fagi che contengono DNA a doppia elica.

Finora sono state caratterizzate oltre 2000 endonucleasi di restrizione differenti, che vengono identificate con una sigla di tre lettere: la prima, maiuscola, è la lettera iniziale del nome del Genere, e le altre due, minuscole, sono le prime due lettere della stessa specie batterica. Ad esempio, EcoR1 e HindIII sono endonucleasi di restrizione presenti rispettivamente in particolari ceppi di E. coli e di Haemophilus influenzae.

Elettroforesi

Esempio di migrazione elettroforetica di una soluzione ionica. Le particelle cariche positivamente migrano verso il polo negativo e viceversa. A seconda delle dimensioni le particelle si dispongono in zone diverse del gel:

le più grandi più vicine ai pozzetti di caricamento e le più piccole più avanti.

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L'elettroforesi è un metodo di separazione basato sulla diversa velocità di migrazione di particelle elettricamente cariche attraverso una soluzione, sotto l'influenza di un campo elettrico.

Il principio base è quello di un setaccio molecolare attraverso il quale le diverse molecole vengono fatte passare: la velocità di migrazione dipende dalla massa, dalla dimensione, dalla carica e dalla forma delle varie particelle, ossia dalla loro mobilità elettroforetica. Questa grandezza è il rapporto tra la velocità della particella (cm/s) e il campo elettrico utilizzato (Volt/cm). La mobilità elettroforetica, essendo una funzione del rapporto tra carica e raggio, è diversa da una particella ad un'altra, applicando un campo elettrico ad una miscela ionica le varie specie migreranno con velocità diversa a seconda delle rispettive mobilità.

L'elettroforesi è un metodo di separazione eccellente per macromolecole ed in particolare per proteine e frammenti di DNA; la sua semplicità e la sua velocità rendono tale sistema il più diffuso ed utilizzato.

La migrazione elettroforetica che avviene su un supporto solido di natura porosa imbevuto di una soluzione elettrolitica (tampone che permette il passaggio della corrente) prende il nome di elettroforesi zonale in quanto le sostanze restano separate in zone ben distinte.

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Gel elettroforesi di DNA

L'elettroforesi su gel separa i frammenti di DNA in base alla loro dimensione: frammenti di lunghezza minore sono meno ostacolati nella loro corsa attraverso le maglie del gel, quindi si troveranno nella parte bassa di quest'ultimo, mentre i frammenti più grossi si troveranno localizzati nella parte prossima ai pozzetti di caricamento.

Grazie alla presenza dei gruppi fosfato (PO43-) il DNA è carico negativamente e migrerà quindi verso il polo positivo.

La maggior parte delle separazioni elettroforetiche di campioni di DNA viene eseguita su gel di agarosio, in quanto esso ha pori di dimensioni adeguate. I campioni di DNA vengono preparati aggiungendo un colorante (come il blu di bromofenolo) e inoltre una volta terminata la separazione, anche il gel viene colorato (solitamente viene utilizzato il bromuro di etidio, un colorante fluorescente che viene stimolato utilizzando la luce ultravioletta di un transilluminatore).

Cella elettroforetica

Fattori che influenzano la separazione elettroforetica:

• tampone e suo pH:

il tampone ha una duplice funzione: 1. rende possibile il passaggio della corrente 2. mantiene costante il pH durante il processo elettroforetico Il tampone più usato è di EDTA (Etilen diammina [contiene due gruppi amminici NH2] tetracetico acido)

• differenza di potenziale ed intensità di corrente:

Un incremento di d.d.p. permette di ridurre notevolmente i tempi di esecuzione della corsa ma causa anche un aumento del calore prodotto, da tenere sotto controllo in quanto potrebbe denaturare alcune sostanze.

• diffusione:

Il processo elettroforetico s'accompagna sempre a fenomeni di diffusione. Questa non incide sulla mobilità ma sulla larghezza delle bande, comportando un effetto negativo ai fini della separazione.

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Attività di Laboratorio

Nella nostra esperienza il Dna finger-printing è stato effettuato, per semplificare le operazioni, con Dna di plasmide invece che con Dna umano: il Dna plasmidico, con le sue 3, massimo 5 bande (dopo essere stato digerito dagli enzimi di restrizione), infatti ha il grande vantaggio di essere estremamente più semplice del genoma umano.

Ci sono stati consegnati 4 campioni diversi di Dna, 3 di diversi individui e 1 del cosiddetto “colpevole”, campione da utilizzare come elemento di confronto rispetto al contenuto delle altre 3 provette.

Il Dna ci è stato fornito già estratto e purificato in apposite provette: 1 per ogni individuo (plasmide), contrassegnate dai numeri 1, 2 e 3, e 1 contenente il Dna “ritrovato sulla scena del delitto”, contrassegnato dalla lettera C (da usare come paragone e da confrontare con gli altri 3 campioni).

Un Set di queste provette, contenenti i campioni, è stato dato ad ogni bancone di lavoro: ogni alunno era stato dotato di una pipetta con la quale estrarre dalle provette “comuni” e riposizionare parte del materiale genetico nelle provette personali (10 microlitri);

sono stato inoltre fornite:

- una provetta personale contenente “Loading Buffer” ( o “Loading Dye”), composto di glicerolo, del quale vedremo l’utilizzo successivamente, e, nel nostro caso, di due pigmenti: Blu di Monofenolo (Viola) ed Oxilen Cianolo (Azzurro), che serviranno come indicatori di limite nella fase dell’elettroforesi;

- un set di due provette, per ogni bancone di lavoro, contenti:

- la prima, contrassegnata dalla lettera E, Enzima di Restrizione EcoR1, estratto da Escherichia Coli;

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- la seconda, contrassegnata dalla lettera R, soluzione Tampone necessaria per il funzionamento dell’Enzima di Restrizione, contenente MgCl2 e Tris, che mantengono il Ph stabile.

L’operazione di trasferimento del materiale genetico da un set di provette all’altra, definita in gergo di “pipettatura”, spiegataci nei particolari, ci è stata proposta in modo da farci prendere maggiore confidenza, per quanto possibile in un’attività limitata al tempo di alcune ore, con le basilari operazioni di laboratorio;

L’utilizzo delle pipette, strumento che può prelevare da 1 a 10 microlitri di liquido, è stato eseguito con l’ausilio di puntali sterili, di pvc, “usa e getta” in modo da non contaminare i campioni tra loro durante l’operazione: abbiamo dunque trasferito dalle provette comuni, 10 microlitri di materiale genetico in ogni corrispondente provetta personale, in ognuna di queste abbiamo, successivamente, aggiunto 5 microlitri di materiale prelevato dalla provetta contrassegnata dalla lettera E e 5 microlitri di materiale prelevato dalla provetta contrassegnata dalla lettera R. Ognuna delle quattro (1, 2, 3 e C) provette contiene quindi

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materiale gentico, Enzima EcoR1 ed soluzione Tampone, e tutte insieme vengono poste, con il portaprovette in polistirolo che funge da supporto di galleggiamento, in un bagnetto termostatato ad acqua per circa 5 minuti, con la parte delle provette contenente il materiale genetico immerse nell’acqua, alla temperatura di circa di 37° poiché è questa la temperatura a cui gli enzimi di restrizione utilizzati si attivano e lavorano nel miglior modo.

Durante i 5 minuti in cui gli enzimi digeriscono il materiale genetico, abbiamo iniziato le prove sul gel di agarosio inserito in una cella elettroforetica, era infatti necessario iniziare a prendere confidenza con i pozzetti del gel e con l’inserimento, tramite la pipetta, di materiale in essi, prima di posizionarvi il materiale genetico dei nostri campioni.

Le prove sono state effettuate con Loading Dye (o “Loading Buffer”) da inserire nei pozzetti del gel di agarosio.

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Terminata la digestione del materiale genetico, abbiamo aggiunto ad ogni provetta (1, 2, 3 e C) 5 microlitri di Loading Dye (o “Loading Buffer”), questo perché il Loading Dye addensa il campione e, nell’operazione di posizionamento nei pozzetti, grazie alla presenza di glicerolo, che aumenta il peso specifico del campione, permette al campione stesso di rimanere nei pozzetti senza diffondersi nel liquido (tampone) di corsa del gel.

Tutte le provette contengono, quindi, ciascuna 25 microlitri di materiale (10 di materiale genetico, 5 di EcoR1, 5 di Soluzione Tampone ed infine 5 di Loading Dye) e vengono poste a centrifugare.

Terminata la centrifugazione, prese le provette abbiamo posto, mediante la pipetta, 10 microlitri di composto, provenienti ognuno da un diverso campione di Dna, in ogni pozzetto del gel di agarosio.

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Riempiti i pozzetti del gel di agarosio, abbiamo chiuso la cella elettroforetica e fatto iniziare la corsa del gel: questa avviene poiché i poli, rosso e nero, si caricano rispettivamente positivamente e negativamente grazie al passaggio di corrente elettrica, mentre il materiale genetico, l’acido desossiribonucleico, è tendenzialmente carico negativamente, poiché le basi azotate tendono, infatti, ad emettere protoni, e risulta quindi attratto dal polo positivo.

Il Dna spostandosi verso il polo positivo, siccome è stato posto dentro un pozzetto, si infila, per raggiungere tale polo, all’interno delle trame dello spessore del gel.

Una volta acceso l’alimentatore (da fornisce corrente elettrica a 110 volt) della cella elettroforetica, inizia la corsa del gel, dove i coloranti (il viola, blu di monofenolo e l’azzurro, OxilenCianolo) contenuti nel Loading Dye ne serviranno a monitorare la corsa, perché il peso molecolare dei frammenti di Dna sarà minore della banda azzurra e maggiore della banda viola: per questo motivo la banda viola sarà, quindi, quella che scorrerà maggiormente verso il polo positivo mentre la banda azzurra sarà quella che rimarrarà maggiormente vicina alla posizione di partenza, cioè al polo negativo.

La corsa del gel si è completata in nostra assenza poiché avrebbe richiesto circa 40 minuti di inattività e di semplice osservazione; successivamente al termine della corsa del gel, il gel di agarosio stesso viene colorato immergendolo in una soluzione di Blu di Metilene. Colorante che richiede lungo tempo per la colorazione del gel in modo che risultino così visibili le bande della sequenza del Dna: è quindi possibile vedere come la sequenza delle bande del campione n°2 sia corrispondente alla sequenza delle bande del campione C, cioè quello del “colpevole”.

L’attività ha permesso di raggiungere gli scopi pratici posti inizialmente, cioè la possibilità di confrontare le sequenze genetiche dei vari campioni analizzati e di riconoscere il campione corrispondente a quello del “colpevole”;

ma ha, allo stesso tempo, permesso di raggiungere gli obiettivi formativi preposti, per quanto possibile in una attività di sole 3 ore: l’attività ci ha infatti offerto uno “spaccato” di alcune professioni scientifiche che hanno come principale attività quella di laboratorio ed ha inoltre permesso di vedere applicate, nella sfera pratica, le nozioni teoriche di biologia apprese durante l’esperienza scolastica.